Con il contributo di
giacomo mazzocchi
gli eroi siamo noi Direttore Editoriale: Roberto Mugavero Grafica e impaginazione: Studio Morskipas Editor: Giacomo Battara © 2012 Minerva Soluzioni Editoriali srl, Bologna Tutti i diritti letterari di quest’opera sono di esclusiva proprietà dell’autore Proprietà artistica e letteraria riservata per tutti i Paesi. Ogni riproduzione, anche parziale, è vietata. ISBN: 978-88-7381-445-0 MINERVA EDIZIONI Via Due Ponti, 2 - 40050 Argelato (BO) Tel. 051.6630557 - Fax 051.897420 http://www.minervaedizioni.com e-mail: info@minervaedizioni.com
giacomo mazzocchi
gli eroi siamo noi storie di rugby, di vita e di 6 nazioni
Minerva Edizioni
Prefazione
Devo scrivere solo una dedica al lavoro di un amico e mi ritrovo con la tentazione di produrre un trattatello sulla Passione. Perché Giacomo Mazzocchi non è un narratore qualsiasi ma un appassionato diverso da chi – come me – ama lo sport ma preferisce raccontare la passione altrui, dal Campione al Bidone, dal Vincitore allo Sconfitto, magari con una partecipazione sentimentale più forte alla vita di un nato perdente: quello che non si stanca, non si annoia, non si ritira nella tenda come Achille corrucciato, alla maniera di insoddisfatti atleti di successo, ma continua a tentare e a soffrire (Passione vuol dire anche Sofferenza) senza illudersi, senza compiangersi. Per sport. Giacomo è appassionato di se stesso, ha una felice vena narrativa che anima e rende vive le figure che va riportando in scena dalla memoria, ma al momento giusto sul palcoscenico c’è anche lui, partecipe di fatiche e sacrifici, di esaltazioni e depressioni, soprattutto solidale con i vincitori della gara sportiva che hanno perduto la sfida della vita e hanno lasciato sul campo l’ultima medaglia. Gli incontri, gli eventi, i ritratti, le figurine
sono nel suo repertorio personale e dunque assumono straordinaria credibilità. "Io c’ero, io sapevo, io partecipavo" è il primo impegno del cronista vero e in ogni pagina il narratore si affianca al suo eroe. In queste pagine risalta la Passione del Rugby – dopo escursioni sui campi verdi del calcio e quelli azzurri della nautica – con espressioni plastiche: si sente la dolce brutalità di uno sport forte e gentile e l’affermato senso di superiorità che non è arroganza ma spudorata franchezza. Divisi da differenti passioni, ci unisce una figura che evoca tenerezza e rimpianti: quel Giorgio Chinaglia – Long John – che per Mazzocchi è nato nella culla del rugby prima di diventare – per me – un calciatore eterno.
Italo Cucci
Mi piace il rugby e continuerò a giocarlo a tutti i costi. Ernesto "Che" Guevara
A Laura per un sorriso
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cap 1
seven rugby
M
ai notte fu più lunga e terrificante di quella fra il 5 ed il 6 aprile 2009. L’Aquila Rugby era rientrata in serata da Alghero reduce da un’importante vittoria esterna. Ad attendere la squadra in piazza c'era anche Lorenzo Sebastiani, il pezzo azzurro più pregiato, assente dalla trasferta per infortunio. Il gruppo, come di consueto, andò a festeggiare al ristorante. Si unì anche il ventenne Sebastiani. Lorenzo Cavallo, quarantaquatt’ anni, co-allenatore del "quindici" abruzzese preferì rientrare a casa a Scoppito, una decina di chilometri a Nord-Ovest dall’Aquila, dove, all’ora di cena, l’aspettava la famiglia: moglie e tre figli fra i dieci e i tredici anni. L’ex "pilone" dell’Aquila campione d’Italia nel 1993, si destreggiava fra tre diversi mondi: quello di Ispettore Superiore di Polizia, con l’incarico di eseguire indagini per conto dell’autorità giudiziaria della città, di allenatore della squadra cittadina di rugby, infine di marito e padre. Dopo la cena la famiglia andò a coricarsi presto. Le camere da letto erano situate al terzo livello Il Capitano azzurro Sergio Parisse vola vincente contro la Scozia. Un'Aquila purissima come suo padre Sergio, Campione d’Italia, trasferitosi in Argentina. La famiglia Parisse sta progressivamente rientrando a L’Aquila per partecipare alla ricostruzione della città.
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della casetta monofamiliare, facente parte di un complesso cooperativo di una ventina di abitazioni di recente costruzione. Il giorno dopo cominciava una nuova settimana e bisognava presentarsi a scuola e al lavoro ben carichi. Una sana e laboriosa famiglia abruzzese. L’inferno, cui nessuno poteva essere preparato, deflagrò nel bel mezzo della notte. Alle 3.32 la crosta terrestre si aprì come un’anguria, in direzione NordSud, gettando nel caos e nel terrore i settantaduemila abitanti della città e quelli di ventisette paesi limitrofi, Scoppito incluso. Per quaranta secondi Lorenzo Cavallo, sua moglie Chiara, i figli Lucia, Giorgio e Marco, rimasero inchiodati ai loro letti. «Sballottati nel buio totale come pulcini chiusi in una scatola che qualcuno agita. Il boato che accompagnava la frattura era apocalittico. La terra sotto di noi si stava spalancando per inghiottire tutto: me, la mia famiglia, la mia casa!» I danni maggiori nei terremoti non sono tanto quelli procurati dalla sola entità del sisma, bensì quelli combinati con la sua forza e durata. Quaranta secondi di terrore puro. Un tempo infinito. In quel tempo si possono correre i quattrocento metri in pista, scendere a venti metri di profondità in apnea, sparare a una cernia e riportarla a galla, imbastire un’azione da meta in mezzo ai pali, realizzarla e piazzare la successiva trasformazione per vincere una partita all’ultimo secondo.
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Quando cadde il silenzio Lorenzo Cavallo realizzò di essere vivo. Anche sua moglie accanto a lui lo era. Sentì Marco e Lucia urlare papà dalla camera a fianco. Cercò di accendere la luce sul comodino, ma fu inutile. Riprese il controllo della situazione: terremoto, casa in piedi, famiglia viva. A tentoni si diresse verso il pianerottolo, in mutande, inciampando nei mobili rovesciati e suppellettili sparsi sul pavimento. «Prestò» urlò, «ma con calma, scendiamo e andiamo fuori così come siete». Si intrupparono lungo le scale, e poco dopo furono fuori. Tutti, meno Chiara. Lorenzo stava per precipitarsi dentro casa quando uscì la moglie con un paio di borsoni nelle mani. Nel buio, appena rischiarato da una luna velata quasi piena, Lorenzo percepì un sorriso soddisfatto sulla bocca determinata di Chiara. Nei mesi precedenti si erano avvertite un centinaio di scosse. Qualcuno aveva ipotizzato che si trattasse di segnali premonitori, ma non venne preso sul serio Chiara, ad ogni buon conto, aveva preparato due borsoni con il necessario per una famiglia di cinque persone nel caso di abbandono improvviso della casa. Le notti di primavera a 820 metri di altitudine sono ancora gelide. La famiglia Cavallo, aprì subito i borsoni, si vestì e si infilò in una delle due auto con cui la famiglia si muoveva per fare la spola fra il paesino e la città. Era-
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no entrambe parcheggiate nel giardino con le chiavi nel cruscotto. Cavallo le mise in moto e le sistemò nel punto più lontano dalle mura di casa. Accese i fari per illuminare l’abitazione. Vide qualche lesione, qualche calcinaccio e qualche tegola staccata. Esternamente la casa aveva tenuto. Emergenza superata. Non aveva terminato di pensarlo che la terra di nuovo sussultò. Pochi secondi. La prima scossa di assestamento, forte ma non deflagrante. No, l’emergenza non era affatto finita. Rientrare in casa neanche a pensarci. Certo, però, lui doveva rientrare. Aveva bisogno di telefonare dal fisso che stava sul tavolino all’ingresso e recuperare il telefonino che era in carica in cucina... Questione di un attimo. Tranquillizzò con aria di comando Chiara e Lucia. Si avvicinò quatto alla porta di casa rimasta aperta, con i sensi all’erta. Si infilò nel vano illuminato dai fari delle auto. Il telefono era a terra. Si precipitò in cucina inciampando nella madia e nei bicchieri sparpagliati sul pavimento. Trovò il ripiano di marmo. Strappò dalla presa cavetto e cellulare ed in pochi istanti fu di nuovo fuori nella notte semibuia. Fronteggiata l’immediata esigenza, ora doveva pensare ed agire in qualità di rappresentante della forza pubblica di Stato. Bisognava al più presto capire l’accaduto. La scossa doveva aver provocato una catastrofe. La sua casa era di recente costruzione, edificata secondo canoni moderni. Aveva provvisoriamente retto all’ impatto sismico. Ma L’Aquila? Il suo vasto centro storico, eretto nei secoli senza alcuna prospet-
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tiva antisimica, sarà ancora in piedi? L’elettricità era andata. Le linee telefoniche cadute. Il silenzio attorno totale. Provò a fare qualche telefonata con il cellulare. Inutilmente. I ponti dovevano essere saltati. L’unica fonte d’informazione era la radio della macchina. Cercò le lunghezze d’onda delle emittenti locali, ma erano mute. Trovò, invece un "Giornale Radio Speciale" della RAI che già parlava di un cataclisma di portata eccezionale. La notizia del disastro, quella notte si propagò più all’estero che in Italia. Il primo, infatti, a mettersi in contatto nella notte fu Darren Coleman, l’allenatore della stagione precedente. In Australia era giorno e le televisioni locali stavano seguendo con grande attenzione il dramma aquilano gettando nell’ansia i tanti emigranti abruzzesi. Era presto per fare il punto della situazione, ma sicuramente le vittime dovevano essere tante, specie tra le persone che abitavano in centro storico e pensò al "Torrione", dove abitavano sua madre, suo fratello Cesare e l’altro fratello Marcello, disabile. Capì che doveva andare. Doveva raggiungere al più presto il suo presidio. Era il momento dell’azione. La famiglia? Per il momento era al sicuro. A patto che a nessuno venisse in mente di rientrare in casa per nessuna ragione al mondo, fintato che lui non fosse tornato o non avesse trovato il modo di comunicare. Tutto stava succedendo molto in fretta. I minuti pesavano ore. Alle 4 del mattino, ventotto minuti dopo l’inizio della fine del mondo, Loren-
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zo imboccò la Statale 17 Ovest in direzione della città. Non si vedeva anima viva. Con la luna ormai coperta non si riusciva a distinguere molto ai lati della strada. Nessuna luce dalle poche abitazioni di contadini dalle zona. La notte a Est non era illuminata dai familiari bagliori della città. Lorenzo guidava con attenzione mentre manovrava inutilmente il cellulare che non dava segni di vita. Ogni cinque minuti il "Giornale Radio" aggiornava la situazione e cominciò a parlare di morti... A un paio di chilometri da L’Aquila finalmente la suoneria del telefono lo fece sobbalzare. «Lorenzo! Sono io, Laura... Come state?» La voce era di Laura Natali, la cognata. dottoressa presso l’"Ospedale Civile San Salvatore", situato fuori città, a Ovest, oltre l’autostrada. «Bene, bene. Ci siamo sistemati nell’auto in giardino. Io sto venendo in città... Ma voi? Notizie di casa?» «Guarda qui si è spento tutto da più di un’ora. I cellulari funzionano sì e no. Sono riuscita a parlare con Cesare dieci minuti fa e mi ha detto che ha portato via tutti dal "Torrione" e che la zona è piena di macerie, di mura crollate. Non si circola praticamente più in centro. Io sono in ospedale. Ero di turno. Qui è emergenza estrema. Non funziona niente. I malati gravi non posso essere trattati. La struttura è pericolante. Mi aspetto che fra poco cominceranno ad arrivare i primi morti, i feriti. Qui è il caos... Abbiamo bisogno di aiuto. È una priorità assoluta...»
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La decisione di Lorenzo Cavallo fu immediata. Fece una lettura rapidissima della situazione e scelse la migliore azione di gioco: più utile tentare di raggiungere la Questura probabilmente inaccessibile, oppure girare subito a sinistra e arrivare in fretta all’Ospedale?... La seconda! «Laura fra tre minuti sono in Ospedale». Il chiarore delle prime luci dell’alba cominciava a illuminare la scena. La parte Ovest de L’Aquila, oltre l’autostrada, era tutta di recente costruzione e si intuivano danni minori. L’"Ospedale Civile San Salvatore" era invece una "babele". Fuori dall’ingresso il caos era indescrivibile, pieno di malati semivestiti appoggiati ovunque, sistemati su letti di fortuna. Il piazzale antistante era invaso da vetture ed ambulanze con morti e feriti. La struttura aveva tenuto, non c’erano stati crolli interni, ma le colonne portanti erano piegate e dal cemento fuoriuscivano spunzoni di ferro. Avrebbe tenuto se fosse giunta un’altra forte scossa? A fatica Lorenzo raggiunse lo staff medico dell’ospedale. Assieme alla dottoressa Natali c’erano altri due medici: Vittorio Festuccia, padre di Carlo, cinquantuno volte "tallonatore" azzurro e membro del "Tour 2102" dell’Italia in Argentina, Canada e Stati Uniti; Giorgio Castellani, cardiologo, padre di Andrea, "pilone", venti volte azzurro. Pensò che i malati e i feriti fossero in buone mani. I tre erano rimasti all’interno dell’Ospedale a coordinare le operazioni. Sarebbero stati gli ultimi ad abbando-
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nare la nave ma era certo che tutti gli altri dovevano andarsene in fretta. All’ospedale Lorenzo Cavallo era conosciuto come poliziotto e la questione che gli venne posta fu questa: «Ispettore, il problema è quello degli allettati, e del reparto geriatrico. C’è gente che non può muoversi neanche con le stampelle, che hanno le flebo attaccate, ingessati... Avremmo bisogno urgente di un’intera squadra di soccorso... Ma sappiamo che è impossibile...» Nella testa di Lorenzo si accese di colpo una lampadina. «Un momento. Mi avete fatto venire un’idea».
L’Aquila, 6 aprile 2009, ore 11 del mattino. Una squadra di rugbisti aquilani ha posto in salvo i degenti allettati nel pericolante Ospedale San Salvatore. In primo piano il cardiologo Giorgio Castellani padre di Andrea 20 volte pilone azzurro.
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Lorenzo Sebastiani, 20 anni, pilone 1,84 m. x 18 kg., Nazionale U18 perito nel terremoto aquilano. Se eroicamente non è dato sapere. Il suo corpo è stato ritrovato 3 giorni dopo fra le macerie.
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Tris d’assi di Capitani Azzurri dell’ultimo decennio. Da destra l’aquilano Sergio Parisse, il padovano Marco Bortolami, l’italiano d’Argentina Martin Castrogiovanni. Sessant’anni in tre quando John Kirwan li schierò contemporaneamente contro gli All Blacks, nel 2002 ad Hamilton. Bortolami, esordiente capitano (il più giovane della storia), Parisse e Castrogiovanni esordienti assoluti. (Foto Sabrina Conforti)
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Prese dalla tasca il cellulare. Cercò la funzione che utilizzava per inviare ai giocatori le convocazioni e digitò questo messaggio: «se stai bene tu e i tuoi familiari vieni all’ospedale c’è bisogno di te». Si erano fatte le cinque e mezzo del mattino. Il primo ad arrivare, venti minuti dopo, fu Carlo Cerasoli. «Eccomi!, cosa c’è da fare?», chiese. A seguire si materializzarono tutti quelli a cui crolli, macerie, auto inutilizzabili, vie impercorribili, non impedirono di arrivare: Antonio Fidanza, il "pilone" italo sudafricano, Lorenzo Bocchino, la gigantesca "seconda linea", Ollie Hodge, l’"ala" beneventana Stefano Varrella. Una equipe senza frontiere. Infine anche Massimo Mascioletti il direttore tecnico della squadra, icona del rugby nazionale con diciasette mete realizzate in cinquantaquattro partite, non aveva letto il messaggio ma si era recato in ospedale per cercare la moglie di turno in camera operatoria. Chi non fu in grado di ricevere il messaggio, invece, fu Lorenzo Sebastiani, purtroppo. Terminata la cena il nuovo Lo Cicero del rugby italiano, anziché tornare a casa, vista l’ora tarda, si era fermato a dormire presso amici che abitavano in centro. Il vecchio edificio non aveva retto l’urto della scossa L’aquilano Andrea Masi placca l’All Blacks Leon Macdonald. Dotato di un impatto devastante sugli avversari, in attacco e in difesa. Apre brecce per i suoi compagni a costo di infortunarsi. È stato il protagonista del primo successo italiano in patria contro la Francia. Sua la meta della vittoria per 22-21 del 12 marzo 2011. Votato quale "Giocatore dell’Anno" del Sei Nazioni 2011. Esordiente nell’Aquila Rugby a 16 anni e a 18 nella Nazionale Maggiore. Nella foto è assistito dal pilone di Benevento Salvatore Perugini, cresciuto nel vivaio aquilano. (foto Luciano Diana)
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micidiale implodendo con il suo contenuto umano, compreso Sebastiani e i suoi tre amici. Il biondo "pilone" della "Nazionale Giovanile", in un primo tempo dato per disperso, fu trovato due giorni dopo, scavando fra le macerie. Dunque al "San Salvatore" la squadra era di sette, ma presto si moltiplicò. L’esempio e l’impegno trascinarono dietro il gruppo una ventina di giovani non rugbisti, si trattava di studenti universitari, di persone arrivate all’ospedale per avere notizie di propri cari o per accompagnare qualche ferito. Barelle e lettighe non erano disponili, erano tutte impegnate. La squadra trasportò all’aperto lungo corridoi e scale intasate e pericolanti ogni singolo malato avvoltolato delicatamente in lenzuola resistenti, fintanto che furono tutti al sicuro in luoghi di fortuna in attesa delle tende o di un ospedale da campo. Più tardi si aggiunse anche Dario Pallotta, sorpreso dal cataclisma nella sua casa del centro. Come migliaia di altri aquilani si era precipitato per strada, correndo fra i palazzi crollati o pericolanti alla ricerca di spazi aperti e sicuri. Era in mezzo alla strada quando sentì delle grida di aiuto di una donna. Era intrappolata all’interno della casa. Il crollo della scala aveva bloccato la porta di ingresso. Il titolare della maglia numero quindici dell’Aquila Rugby buttò giù la porta. Sul momento per la confusione e la puzza di gas che usciva dalle Sergio Parisse, 84 caps azzurri in 10 anni. 40 presenze record da capitano. Sposato con la francese Alexandra Rosenfeld, Miss Europa 2006.
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tubature rotte, non si rese nemmeno conto se i due anziani terrorizzati fossero uomini o donne. Pensò solo a portarli fuori. Solo dopo scoprì che erano marito e moglie. L’uomo era finito sotto un grosso pezzo di parete inzuppato dall’acqua che fuoriusciva dai tubi. Pallotta lo tirò fuori sollevando il tutto. Fece due viaggi. Il primo con la nonnina trasportata sulle spalle con in mano una bomboletta di ossigeno. Poi toccò al nonno. Mentre li trasportava fuori, in piena trance agonistica, si avvertì una nuova scossa. «Sinceramente mi sono preoccupato. Successivamente ho sentito che era richiesto aiuto all’ospedale principale nel quale alcuni piani erano sul punto di crollare. Ci siamo passati la voce tra i compagni e siamo accorsi. Abbiamo aiutato ad evacuare i pazienti e l’attrezzatura necessaria. È stato allestito un ospedale da campo in uno spazio limitrofo». Alle 11 del mattino del 6 aprile, dopo cinque ore di lavoro, la squadra aveva sistemato le cose. Era andata in meta nonostante il ripetersi di scosse anche di terzo grado. Lorenzo Cavallo, successivamente ebbe l’incarico di svolgere le indagini di accertamento dei fatti con possibile rilevanza penale per la Commissione Grandi Rischi. Dalla Prefettura gli fu chiesta anche una relazione sui salvataggi all’Ospedale San Salvatore. Sulla base delle sue considerazioni, il 16 novembre del 2011, presso l’Auditorium Soricchi de L’Aquila, furono conferite da parte del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, sette medaglie di bronzo
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al valore civile. Gli insigniti erano: Massimo Mascioletti, Stefano Varrella, Antonio Fidanza, Ollie Hodge, Lorenzo Bocchini, Dario Pallotta, Carlo Cerasoli. Quest’ultimo ha seguito le orme dell’Ispettore Cavallo arruolandosi nella Polizia, e fa parte della squadra delle Fiamme Oro Roma Rugby. La squadra ha ricevuto elogi e premi da ogni parte. Jaques Rogge, «Presidente del Comitato Comitato Olimpico Internazionale» e valente rugbista è stato il primo a premiare i giocatori aquilani in occasione dei Giochi del Mediterraneo a Pescara 2009. L’11 settembre successivo L’IRB, li ha insigniti per il loro coraggio con lo Spirit of Merit Award, il massimo riconoscimento annuale della International Rugby Board. E Lorenzo Cavallo? Nessun premio o riconoscimento specifico per lui. Ha fatto solo il suo dovere di poliziotto e rugbista. La scossa principale del terremoto de L’Aquila è stata registrata alle 3.32 del 6 aprile 2009. è durata 40 secondi con una magnitudo media di 5,9 gradi della Scala Richter con picchi di 7,2 gradi. Ha reso impraticabile per sempre l’intero Centro Storico della città provocando danni per 10 miliardi di euro, 1600 feriti e 308 morti, fra cui la giovane promessa del rugby italiano, Lorenzo Sebastiani.
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a crescita non è fatta solo di carezze. Massimo Mascioletti
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