Prima del sito canadese di incontri “Ashley Madison”, a Bologna negli anni ’20 già accadeva… Si firmava il “Samaritano”, curava una rubrica sul Carlino Sera chiamata “Terza classe”. Vi trovavano spazio soprattutto i messaggi delle donne, piccole e grandi confessioni di femmine di ogni età. Confidenze, palpiti d’amore, dubbi, ansie, contenuti delicati, a volte scabrosi. È passato quasi un secolo dalla apparizione di questo pseudonimo, la rubrica vide la luce nell’agosto del 1923. Leggere oggi questo piccolo ma graziosissimo quanto intenso volume è come confrontare il tempo che viviamo a un’età sempre viva, a tracce evidenti di un passato ancora sensibile, consumato dagli anni, ma non ancora svanito del tutto. Leggere dei “dolci peccati delle belle bolognesi” è stato come dare una linea ai pensieri mettendoli in piega con i bigodini di un’altrettanto dolce nostalgia. Franco Basile
€ 5,90 i.i.
MINERVA MINERVA
Il "SAMARITANO"
i Dolci Peccati delle Belle Bolognesi Anastatica
Nuova prefazione di Franco Basile
MINERVA
Prefazione
Pag. V-IX
Introduzione 3 Confidenze al ÂŤSamaritanoÂť 17 Le ineffabili 35 Le irresolute 51 Le enigmatiche 69 Le curiose 83 Le gelose 93 Le gaje 99 Le ardenti 109 Le concupiscenti 119 Le malinconiche 131 Le inquiete 141 Le disperate 157 Le deluse 167
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Prefazione Si firmava “Samaritano”, curava una rubrica sul Carlino Sera chiamata “Terza classe”. È passato quasi un secolo dall’apparizione di questo pseudonimo, la rubrica ha visto la luce nell’agosto del 1923. Anni Venti, tempi di grandi avvenimenti, di ansie e di tensioni, l’Italia si stava riprendendo dalla guerra la cui eco era ben viva nell’aria, i ricordi erano nitidi, come se tutto quello che era successo fosse ridefinito e messo a fuoco, limpido ed evidente in ogni particolare. Occorreva riprendersi, ricominciare daccapo, l’onda della vittoria era il viatico per il ritorno a una normalità che non si sa bene in quale maniera avrebbe dovuto verificarsi. Per un po’, ritrovarsi dopo lo stordimento della catastrofe bellica, vivere lontano dal dramma e dalla paura, fu come prendere rifugio in un vecchio e gradevole sogno, come vivere una quiete avvolgente. I giorni che si incanalavano ad uno ad uno parevano figli di una calma drogata, e la realtà una dissolvenza incrociata fra passato e presente. A poco a poco, accompagnata dai sogni, la mente cominciò a muoversi lungo la segnaletica di antiche abitudini tenendo però d’occhio il mutare delle cose. Con la pace fu come varcare una porta magica da cui ricongiungersi a quanto era rimasto in sospeso dopo l’avvio del conflitto. Intanto, col passare del tempo, i giornali riflettevano gli eventi più importanti come se i fogli fossero la prolunga di un registro su cui segnare quello che stava accadendo, o preconizzare ciò che sarebbe avvenuto. Si parlava di politica, i fascisti tenevano banco, le piazze erano arene dove le masse si incontravano e si scontravano:
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grandi titoli, articoli prolissi, venivano trattate questioni economiche, si raccontava della famiglia reale, di fiabeschi matrimoni, di personaggi come Gabriele D’Annunzio che proprio all’epoca aveva ricevuto il suggello di principe di Monte Nevoso, si scriveva di Guglielmo Marconi che sull’Elettra, appartata alchimia galleggiante, svolgeva ricerche sulla ionosfera. Fatti di rilievo, il prestigio di un giornale, il peso di una testata, è notorio, sono dovuti a calibrate scelte editoriali, al modo con cui vengono svolti temi capaci di incidere su sfere della società tra cui quelle di governo, dell’economia, della cultura: ma non tutti, a quei lontani giorni, seguivano dissertazioni di tal peso, anche perché erano spesso ampollose nella loro aulica impostazione, per cui ecco manovre di alleggerimento come spazi riservati allo sport, bricolage, cucina, lavori domestici, moda e così via. Tra le tante, ecco “Terza classe”, specie di tribuna popolare ispirata al vagone ferroviario occupato da un’umanità vivace e multiforme. Chiacchiere, pettegolezzi, retorica, ovvietà, con il tuttologo di turno che pontificava su quanto avveniva in giro per il mondo, che sapeva ogni cosa su questo o quel fenomeno politico e atmosferico, che affermava di conoscere la composizione di cento governi, che chiamava per nome ministri, dive del cinema muto, grandi cantanti lirici, fabbricanti d’armi, proprietari terrieri e persino di produttori di acetico balsamico. Chiacchiere, mettere il naso nei fatti altrui, lo spettegolare, ciò che oggi chiamiamo gossip era anche allora esercizio quotidiano come se vita e curiosità dovessero seguire un questionario strettamente personale, e quindi uno svolgimento mentale fatto di sussurri, ammiccamenti, di “si dice”, un mare di parole, un compendio di fatti priva-
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ti. Perché non convogliare questa forma di interesse nelle pagine di un giornale? Alla domanda risposero i redattori di Carlino Sera con l’invenzione di “Terza Classe”. Ecco dunque la nascita della rubrica che registrò un successo forse insperato, una chiacchierata scritta diventata in breve un successo con domande e risposte proprio come avviene per un biglietto di andata e ritorno. Un profluvio di lettere calò sulla testa del capo-rubrica descritto come persona colta e informata, sorta di confessore laico, soggetto accattivante e allusivo, romantico e al tempo stesso arguto. Era il “Samaritano”, ospite discreto di realtà intime, instancabile fornitore di consigli, accorto traduttore in italiano di messaggi non proprio in linea con l’ortodossia sintattica. Dopo vaglio ed eventuali ritocchi formali, sul giornale cominciarono ad apparire lettere dalla forma ineccepibile, e così le risposte rivolte per lo più a signore e signorine che a loro volta usavano uno pseudonimo tipo Menefrego, Pallida Ortensia, Falena, Rose Appassite, Bluette Crepuscolare, Monella, un campionario di fantasie anagrafiche che faceva da contrappunto all’immaginazione del “Samaritano”. Ma chi era costui? Molti hanno cercato di dargli un volto, un nome vero, sempre inutilmente. C’era chi lo immaginava alto e bello, flessuoso ed elegante, atletico e forte, chi vecchio e barbuto, chi lo vedeva tra i veli di una nuvola di fumo soppesare il letargico ticchettio di una macchina tipografica, chi diceva di averlo apprezzato per un’elaborazione democratica delle decisioni e chi, senza averlo mai conosciuto, sosteneva che era uno che faceva quello che voleva, e che l’elaborazione democratica la lasciava agli altri. Lui, il “Samaritano” - sempre secondo chi non l’aveva mai conosciuto -, giudicava impraticabili
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taluni pensieri avendo da tempo abrogato qualsiasi possibilità di discussione. Le lettere arrivavano a pacchi, c’era molto da lavorare e da strizzare gli occhi per decifrarle, per vagliarne il contenuto e quindi soppesare la risposta. Erano scritte a mano, la dattilografia non era da tutti. Erano i messaggi delle donne i più numerosi, piccole e grandi confessioni di femmine di ogni età. Confidenze, palpiti d’amore, dubbi, ansie, contenuti delicati, a volte scabrosi. Il “Samaritano” era diventato un simbolo, l’astrazione a cui corrispondere i propri stati d’animo, come avviene oggi chattando, rivolgendosi cioè a un altro tipo di astrazione, a un portale elettronico non sempre in grado di mantenere il segreto esposto com’è agli assalti degli hackers o al trasferimento di dati. Allora certi fenomeni non si concepivano nemmeno in sogno, in Terza Classe la privacy era assicurata, bastava stare zitti o trincerarsi dietro un nome fittizio. Il “Samaritano” aveva molto lavoro, macinava risposte, dispensava consigli, consolava le donne che si lamentavano perché avevano i baffi, le gambe pelose e il seno cadente. Dava indicazioni a una donna in là con gli anni che lamentava una vita di sacrificio perché il marito aveva la malattia del sonno, rispondeva a chi gli chiedeva quali metodi adottare per sedurre un uomo, rispondeva a chi gli chiedeva un rimedio contro il verme solitario o a chi gli chiedeva lumi sull’efficacia del brodo di rana. “Sono tra le tue braccia”, scriveva un’altra lettrice che stava attraversando un brutto momento. Diceva di non avere le idee chiare, che era come se il suo cervello si nutrisse di nebbia, che le sembrava di vivere all’ombra di cieli corruschi gravidi di gigantesche nuvole. Poi c’era chi si sentiva trascurata e che, insoddisfatta sul piano
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amoroso, era turbata perché un giorno aveva rivisto un antico spasimante. “Forse lo amo ancora, ma piuttosto che avere un amante faccio l’attrice cinematografica, penso di darmi all’arte muta. Sono sconvolta, mi sento una foglia sospinta dal vento in procinto di essere tamponata da una nuvola nera. Che fare?” Messe insieme le lettere che trattavano questioni atmosferiche, il “Samaritano” consigliò di rimanere al coperto, do non esporsi troppo, di non volare troppo in alto, e a un’altra, disperata perché abbandonata dal fidanzato, disse di stare tranquilla, che tutto si sarebbe risolto. Dimenticare un amore impossibile? La soluzione è l’uovo di Colombo, sentenziò. Basta innamorarsi di un’altra persona, la nuova passione sommergerà l’antica. Rispondendo a una delle tante bolognesi, il “Samaritano” giunse poi alla conclusione che sogno e poesia hanno ragione anche della peggiore delle realtà. Dopo tante letture, dopo mesi e mesi vissuti tra sospirosi messaggi, di denunce di infedeltà e proclami di autonomia sentimentale, il “Samaritano” invitò un gruppo di fanciulle a condurre la propria vita con spirito di indipendenza e di franca sincerità. “In parole povere - concluse - fate quello che volete”. Selezionate, catalogate e suddivise in capitoletti, le lettere sono diventate un libro. Leggere il volumetto è come confrontare il tempo che viviamo a un’età sempre viva, a tracce evidenti di un passato ancora sensibile, consumato dagli anni, ma non ancora svanito del tutto. Leggere dei dolci peccati delle belle bolognesi è come dare una linea ai pensieri mettendo in piega i ricordi con i bigodini della nostalgia. Franco Basile