L'enigma della croce occitana

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l’enigma della croce occitana


l’enigma della croce occitana di Francesco Altan Direttore Editoriale: Roberto Mugavero Editor: Giacomo Battara © 2013 Minerva Soluzioni Editoriali srl, Bologna Proprietà artistica e letteraria riservata per tutti i Paesi. Tutti i diritti letterari di quest’opera sono di esclusiva proprietà dell’autore. Ogni riproduzione, anche parziale, è vietata. ISBN: 978-88-7381-515-0

Minerva Edizioni Via Due Ponti, 2 - 40050 Argelato (BO) Tel. 051.6630557 - Fax 051.897420 www.minervaedizioni.com e-mail: info@minervaedizioni.com


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l’enigma della croce occitana

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Nota dell’autore I fatti, i personaggi descritti, i nomi e i dialoghi ivi contenuti sono unicamente frutto dell’immaginazione, dell’ingegno e della libera espressione artistica dell’autore. Ogni altro riferimento, identificazione o similitudine a fatti, luoghi reali, cose, nomi e persone sono da considerarsi puramente casuali.

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A mio padre, alla mia Rosa Gialla, a Davide e Elisa. A Ennio, Daniela e a tutti i Friulani sparsi nel mondo.

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Riassunto del romanzo giallo precedente Nel volume, Il Segreto dell’Oca Dorata, dello stesso autore e per i tipi di Terra Ferma Vicenza, vincitore a Parma della rassegna letteraria “I Sapori Del Giallo”, un frate animato dalla fede e profondo conoscitore della storia medievale era custode di un importante segreto. Essendo molto anziano cercava dei successori che, in assoluto riserbo, proseguissero le proprie ricerche. Toni e Maria, “i segnati dalla piuma”, furono designati a ereditare il pesante fardello. Il loro amore, come il vero amore, insieme alla fede, avrebbe garantito che il segreto venisse tramandato e custodito al sicuro da ogni umana velleità. Armati di antichi manoscritti, codici cifrati e inchiostri alchemici, si assunsero l’onere di scoprire tutti i misteri legati alla ricetta dell’oca dorata. Come provetti archeologi, riportarono alla luce cripte sepolte dalla storia, gallerie nascoste sotto millenarie abbazie e altri luoghi inviolati; incontrando sulla loro strada antichi ordini cavallereschi, nazisti in cerca di riscatto e agenti dell’intelligence israeliana. Tra innumerevoli colpi di scena, una tenera storia d’amore e l’affresco nostalgico di un’epoca, quella degli anni Cinquanta, in cui le persone erano molto legate alle proprie tradizioni popolari, culturali e gastronomiche “i segnati dalla piuma” giunsero all’omega, risvegliando nel lettore il fanciullo assopito, lasciandolo senza respiro nel vortice d’intense emozioni.

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1 Sospeso tra cielo e mare, l’occhio di Amon-Ra tingeva di porpora figure tremolanti. La risacca frangeva i flutti come sogni dispersi al passaggio del grecale e la marea livellava le rugosità della sabbia come la tenerezza placava i solchi della solitudine. Un pescatore fumigava teredini dallo scafo, come un saggio intento a scacciare intense emozioni. Lentamente lo stato di grazia sfumava, come a divezzare l’estasi dalle pupille degli astanti e nel bagnasciuga orme appaiate si diradavano fino a confondersi. Con l’imbrunire la volta celeste si apprestava a indicare la rotta a marinai sperduti o disorientati. Così appariva a Toni la spiaggia di Caorle, mentre seduto sulla prua di un bragozzo, si gustava il tramonto. La piccola imbarcazione da pesca incrociava a non più di un quarto di miglio dal faro della chiesa della Madonna dell’Angelo. Le due vele, dai colori vivaci, erano tese e la chiglia rastremata fendeva e arricciava le calme acque di prora. Discendendo lentamente il fiume Lemene, il natante guadagnò il mare aperto. A bordo, oltre a Toni, c’erano sua moglie Maria e il pescatore Aldo Sebastian, zio di Maria e capitano costiero. Come spesso accadeva, Aldo attendeva l’oscurità per tendere reti e nasse. Nel tardo pomeriggio, il fasciame del guscio emise qualche scricchiolio e Aldo lo condusse attraverso i canaloni che dividevano la laguna. Era in quei luoghi che Toni s’immaginava macchiaiolo e fantasticava di trasferire su tela la poesia e la suggestione 11


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di quel paesaggio disegnato dalla mano di Dio: piccoli lembi di terra emersa occupati da casoni; canneti pettinati da sbuffi di vento; acque brulicanti di fauna ittica e interi stormi di morette, svassi, alzavole, germani, egrette e aironi. Era persuaso di aver avuto accesso al portale dell’armonia con la natura, solo grazie alla luce dell’amore e della conoscenza. Questo contrastava con la dottrina del vuoto e dei cerchi concentrici Zazen che tanto amava, ovvero l’equilibrio e la forza. Dopotutto, non una ma molte erano le strade che conducevano all’illuminazione. Vi era chi seguiva la via degli studi filosofici o teologici e chi, in modo semplice, il metodo empirico. La storia dell’umanità era disseminata di bramini, asceti, filosofi e profeti che, attraverso l’edificazione di templi, chiese, sinagoghe e moschee, avevano contribuito a dare significato alla vita di popoli di culture diverse. A ogni modo, nel piccolo e semplice universo della civiltà contadina del dopoguerra, la religione cattolica era il “verbo”, mentre il ritmo delle stagioni e la gioia delle piccole cose, gli strumenti per avvicinarsi alla pace interiore. Maria era seduta sul ponte di poppa. Si specchiava sull’acqua, spazzolando i capelli e intonando un dolcissimo canto. La gravidanza le aveva conferito maggiore bellezza e sensualità. Il suo alone di grazia era favorito dalla sinuosità delle forme. Pensava alla vita che portava in grembo, al sentimento che aveva favorito il concepimento e al senso di quiete che provava. D’un tratto, un pettirosso le si posò accanto per beccare delle briciole di pane. L’uccellino pareva ascoltare ogni parola sussurrata dalle labbra di Maria. Finiti i bruscoli, decise di riprendere il volo. La lampada a petrolio rischiarò il ponte di poppa e a prua le onde si incresparono spumando. 12


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Aldo e Toni calarono le reti. Si trovavano a circa mezzo miglio dalla costa, in direzione sud rispetto all’asse della foce del fiume Livenza. Il tempo mutò improvvisamente, il mare assunse un colore prossimo all’inchiostro e le sartie si tesero sibilando e crepitando. L’orizzonte plumbeo, rischiarato dal bagliore dei lampi, di tanto in tanto pareva squarciato da fenditure sfolgoranti. L’aria era pregna dell’odore che precedeva la pioggia. Aldo pensava alle anguille; sicuramente sarebbero rimaste impigliate nelle reti e magari, con un po’ di fortuna, anche uno o due storioni del Livenza! Il succedersi del sordo fragore dei tuoni annunciò che il temporale era vicino. Il ticchettio delle prime gocce di pioggia indusse Maria a cercare riparo e calore tra le braccia di Toni. Entrambi si rannicchiarono sotto una tela cerata. Aldo, ritto sul ponte, manteneva la rotta protetto da un impermeabile. «Amore ricordi?», esordì Toni, «quando da bambini ci riparavamo sotto i carri di fieno agostano, in attesa che il temporale cessasse? Era un momento d’intimità con la natura. Rammenti il profumo di terra e di strame bagnato? Pareva che la dimensione del tempo rallentasse, fino a fermarsi. Ci scaldavamo coprendoci con il foraggio asciutto e sognavamo ad occhi aperti. Più brutto era il temporale più felici eravamo, sicuri che il rimorchio ci avrebbe protetti». «Pensi che Isabel senta queste cose?» «Credo di sì! Sei sicura che si tratti di una bambina?» «Sì. Comunichiamo attraverso sensazioni e stati d’animo. A volte ho l’impressione che si diverta un sacco a nuotare nel mio pancione. Credi che sia contenta di avermi come mamma?» 13


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«Sì, immagino che lo sia ma tu cerca di non prendere freddo e stammi vicino. Forse è stata una pazzia portarti a pesca oggi!» «Antonio Bortolin, non pensarlo nemmeno per scherzo! Nessuno al mondo avrebbe potuto impedirmi di essere qui con te! Vorresti forse privare tua figlia di queste emozioni?» «No! Maria ti prego, non litighiamo proprio ora». «Hai ragione. Tienimi stretta». Quella notte di fine agosto del 1958, il temporale preannunciò l’autunno. Le raffiche di vento e la pioggia battente resero difficile il recupero delle reti. Sui volti di Aldo e dei giovani sposi, c’erano stanchezza, soddisfazione e allegria. Il grande sacco da caffè in iuta brulicava di anguille, mentre uno storione di circa cinquanta chili sbatteva la coda sulle doghe del ponte di coperta. Alle prime luci dell’alba, a levante, un ventaglio di flebili colori sfrangiati scacciò le ombre della notte. Dalle sponde del fiume Lemene, un concerto d’orchestrali piumati accompagnò l’evento. Maria se ne stava accovacciata vicino a Toni. Sonnecchiava e sognava Isabel che correva sui prati adorni di margherite. Ritto sull’alto bordo, Aldo fumava la pipa. Osservava l’acqua del fiume che si apriva al passaggio della barca. Il fragore improvviso di un pesante battito d’ali destò la sua attenzione! Era una coppia di cigni che spiccava il volo. Vicino alla riva, una nidiata di anatroccoli arruffati assisteva chiassosa alla prima lezione. Aldo si accostò alla cavana. Alcuni commercianti lo attendevano. Sorrise al pensiero che di lì a poco avrebbero denigrato la qualità del pescato pur di spuntare il prezzo più basso. Erano loro a dettare le regole del 14


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gioco. Li considerava delle sanguisughe. Fosse stato per lui, quel pesce sarebbe ritornato in laguna, ma a casa c’erano cinque bocche da sfamare. Dopo il matrimonio, Toni e Maria si erano trasferiti in uno splendido attico, nel centro di Portogruaro. L’appartamento, spazioso e luminoso, era arredato con mobili, tendaggi e tappeti ottocenteschi. Nella cucina rustica spiccava una vecchia madia di larice, una credenza in noce scuro, una stufa a legna in muratura, un nuovissimo frigorifero americano di colore beige e un lavello di marmo bianco. Il padrone di casa era un amico del papà di Toni e per una cifra ragionevole lo aveva ceduto in affitto. Ogni mattina Toni si recava nel podere di famiglia trasformato in una moderna azienda agricola. Oltre a prodotti ortofrutticoli, si allevavano polli ruspanti, oche, anatre, galline, suini, bovini da carne e mucche da latte. Toni aveva costruito anche un locale adibito alla macellazione dei maiali e alla stagionatura dei salumi. Il latte vaccino, conferito alla latteria ternaria, era trasformato in burro e formaggi. Tuttavia la vendita diretta di questi prodotti agricoli, nei mercati del comprensorio portogruarese, garantiva guadagni soddisfacenti. Maria si occupava delle faccende domestiche, della contabilità dell’azienda e delle altre incombenze riguardanti “l’Ordine della Rassa”. Dato l’approssimarsi della nascita di Isabel, aveva già allestito la cameretta, facendola dipingere di una tonalità calda, color ambra. L’aveva arredata con un settimanale, una scrivania, un armadio e una culla di legno di frassino, di colore chiaro. I tendaggi in seta e lino, finemente ricamati, conferivano alla stanza un che di regale. Sul soffitto aveva fatto affresca15


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re scene di bambini che giocavano attorno ad alberi da frutto e fiori. Maria era così entusiasta, radiosa e piena di vita, da sembrare animata dall’energia del sole. Una sera si sentì pervadere dal desiderio. D’impulso si mise alla guida della propria FIAT Topolino e raggiunse Toni in campagna. Senza rivelargli il motivo della visita inattesa, lo afferrò per mano e lo invitò a seguirla. Profumava di frutta matura e nel suo sguardo c’era una sensualità disarmante. Camminarono sopra l’argine del fiume Lemene, scambiandosi occhiate maliziose. Duecento metri più a valle salirono sulla loro barca. Con pochi vigorosi colpi di remo Toni raggiunse la corrente e si lasciò trasportare. Fissava la moglie come se fosse inebetito. Obbediva a un richiamo sessuale antico quanto il mondo. Raggiunta un’ansa Maria lo pregò di accostare. Il sole stava arrossendo. Entrambe le rive erano ornate da salici piangenti e vegetazione palustre. Accompagnate dal frinire di grilli e cicale le rondini volteggiavano a pelo d’acqua. Due coppie di cigni precedevano una famiglia di germani con i loro piccoli batuffoli striati. Raggiunta la sommità dell’argine corsero fino al casone da pesca. Al riparo da occhi indiscreti si abbracciarono e si abbandonarono al fuoco della passione. Per un po’ rimasero stretti l’uno all’altra. Toni si era quasi addormentato. Maria invece si sentiva rinata. «Amore, ti piacciono le famiglie numerose? Vorrei almeno quattro figli. Non sono adorabili quei pulcini di germano?» «Come faccio a risponderti di no, mi hai messo nel sacco come un luccio! Sei contenta?» «Sì, mi sento proprio felice». «Sei veramente una pescatrice astuta! Mi sento spesso preso all’amo!, ma non approfittare di me, sono un povero marito indifeso!» 16


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«Toni Bortolin, se tu sei indifeso io sono una suora orsolina!» «Ma non mi dire, proprio tu che riusciresti a vendere cubetti di ghiaccio agli eschimesi!» «Forse hai ragione. Sai invece cosa farò questa sera dopo cena? Ti sedurrò e ti porterò di nuovo alle porte di un fantastico sogno. Ti piace la mia idea?» «Solo alle porte o anche oltre?» «Dipenderà da te…» «Non è uno dei tuoi scherzi vero?» «Osi pensare che ti stia prendendo in giro?!» «Va bene, ti credo. Ora per favore possiamo rientrare a casa? Sono affamato». «D’accordo, raggiungiamo la barca». «Agli ordini». Risalirono il fiume, ormeggiarono e raggiunta la FIAT Topolino arrivarono a Portogruaro. Il bagno di casa aveva un allestimento moderno. Dopo essersi lavato e asciugato, indossò un paio di pantaloni di cotone. La sua pelle brunita profumava di muschio bianco. Maria sciolse i capelli lunghi e mossi, gli si avvicinò e lo baciò. Lo fece stendere sul letto, unse le mani con olio di sandalo e gli massaggiò la schiena fino a rilassarlo completamente. E per ringraziarla Toni le raccontò una storia: «C’era una volta una barca che, incolpando il destino, vagava alla deriva sbalzata da uno scoglio all’altro. Era convinta di non poter decidere da sola la propria rotta. Così, un giorno, lasciò che un’onda più forte la trascinasse in una secca. Con il fasciame squarciato e il timone spezzato, in balia del vento e delle mareggiate, si sentì perduta. Solo un brandello di vela osò ancora sfidare gli eventi, tanto che, dopo anni di solitudine, quel tenace lembo di lino, si tese e gonfiò il 17


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petto davanti al possente dio dei venti. A Eolo sarebbe bastato un soffio per spazzare in mare il relitto, ma colpito dal coraggio di quel drappo malconcio gli donò un alito di Tramontana. Fu così che il relitto, con il timone spezzato raggiunse il litorale. Superando mille difficoltà, l’impresa riuscì e imparò la lezione. Arenata in un piccolo porticciolo, lasciò che un canuto mastro d’ascia la riparasse. Il lavoro di restauro durò anni e il cabinato, seppur di piccole dimensioni, riprese la via del mare. Lo scafo era bianco, le vele turchesi, mentre il ponte di coperta era nobilitato da una preziosa essenza lignea. Sui fianchi il motto Faber est suae quisque fortunae (ciascuno è costruttore della sua sorte). Mesi dopo, cavalcando le onde dell’oceano, il piccolo natante sfidò le acque smeraldine dell’arcipelago indiano». «È bella peccato finisca cosi!» «Posso provare a inventare il seguito?» «Dai, provaci». «A bordo regnava l’allegria. L’equipaggio era formato da un capitano marittimo e dalla sua giovane moglie. Navigando sull’oceano indiano, scorsero un isolotto. Il luogo non era segnalato sulle carte nautiche. Attratti dalla bellezza del posto, s’infilarono in uno stretto canale. Era costeggiato da ripide pareti di roccia e conduceva nell’interno di un territorio inesplorato. Proseguirono per circa un’ora ed ebbero una gradita sorpresa: un’insenatura generata da una sorgente d’acqua dolce. Le rive erano ricoperte da cespugli fioriti. Emanavano un profumo intenso e avevano colori cangianti. Sullo sfondo c’era una fitta vegetazione. Gettata la cima scese a terra. Con foglie di palma intrecciate e uno spesso manto d’infiorescenze preparò un giaciglio. Frattanto ella, armata di un lungo coltello, si addentrò nella fore18


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sta e raccolse banane selvatiche, ananas, manghi e altri frutti tropicali. Nel silenzio, rotto solo dal gorgheggio di pappagalli e altri uccelli, decisero di spogliarsi e tuffarsi nella piccola baia. L’acqua era talmente limpida e pura che, nonostante la profondità, s’intravedeva nitidamente il più piccolo pesce colorato che sostava sul fondo. Nuotarono fino a raggiungere una fresca e spumeggiante cascata. Si baciarono e fecero l’amore in modo passionale. La pelle della ragazza profumava di latte di cocco e i suoi occhi, scuri come perle d’ossidiana, catturarono e rapirono il cuore del giovane. Al tramonto, mentre un fascio di riflessi dorati addolciva gli animi, si sdraiarono vicino al fuoco e deliziarono i palati con frutta e pesce cotto alla brace». «Ti è piaciuto il seguito della storia?» «Sì. Vieni tra le mie braccia». Le morbide linee dei corpi e la dolcezza dei gesti, lentamente intagliarono una sola figura, avvinta in un manto di fiamma intenso. Dalle imposte aperte del soggiorno l’aria settembrina effondeva un fresco aroma di uva pigiata e mentre uno spicchio di luna ammiccava cenarono rischiarati dal barlume di una candela. Maria aveva preparato un’insalata di frutti di mare, filetti d’anguilla affumicata, sarde in saor e brodetto di pesce alla caorlotta. Si coricarono quando il campanile aveva scandito l’ultimo rintocco di mezzanotte. L’alba li avrebbe colti abbracciati, con la serenità tratteggiata sui volti. Il giorno seguente, in assoluto segreto, “i segnati dalla piuma” si dedicarono allo studio degli antichi tomi, costituenti il lascito del defunto Fra Fulgenzio. Per il momento, fra le recenti brutte esperienze, Toni e Maria, nuovi custodi del segreto dell’antica ricetta dell’oca 19


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dorata e gran maestri dell’antico ordine cavalleresco che la proteggeva, avevano deciso di non reclutare nuovi accoliti. Stavano, infatti, valutando attentamente la proposta di un fidato dignitario ecclesiastico francese, amico di Monsignor De Novittis. La missiva, recapitata da un corriere fidato, era sigillata con la ceralacca e scritta in occitano antico da Monsignor François De Fuà. Questa lingua era parlata nel medio evo anche da alcuni ordini cavallereschi. Maria, più avvezza allo studio di questa forma espressiva, tradusse a Toni il contenuto della lettera: «Miei cari discepoli dell’unico Verbo, la parola di Dio. Sono consapevole che recentemente le circostanze vi sono state avverse e che l’unico conforto è al riparo dalla luce del sole. Vi prego di valutare attentamente la possibilità di consentire l’ingresso nella Cattedrale di Julia Concordia, agli architetti, capimastri e muratori di Tolosa. Grazie a loro, il restauro e la custodia della chiave di volta della navata centrale, fino ad oggi perduta, sarà forse possibile. La sua sparizione va attribuita alla barbarie di alcuni uomini senza Dio. Sono persuaso che, con lo sforzo comune, sarà possibile salvaguardare un patrimonio che appartiene all’intera Cristianità. Il compasso è funzionale alla piramide come l’occhio del pastore alla Cattedrale; è tempo che la fede torni a irradiare la propria luce anche sugli eretici e chi persegue la via del maligno. Spero che la vostra attenta osservanza dei sacramenti riceva un giorno il giusto riconoscimento. Vi auguro ogni bene e vi benedico nel nome di nostro Signore». «Maria, non mi pare casuale che Mons. De Fuà scriva in lingua d’oc, utilizzando un frasario che si presta a diverse interpretazioni. Non a caso, ha incluso nel testo la piramide, il compasso e il muratore, notoriamente 20


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simboli massonici. Sembra un invito a considerare di trasformare il vecchio ordine, di cui siamo custodi, in una confraternita più protetta e consona ai tempi. Inoltre par di capire che ci stia chiedendo di farlo entrare, insieme ai suoi fedelissimi cavalieri! Sei d’accordo?» «Sì ma mi chiedo perché, considerati i rischi, il vescovo si esponga in prima persona?, è vero che è stimato da Mons. De Novittis, ma è sufficiente per...» «Già, lo penso anch’io…, chissà cosa farebbe il povero zio Fulgenzio al nostro posto? Maria ho uno brutto presentimento! Credo che faremmo bene a “rimanere affacciati alla finestra”. Ci saranno tempi migliori per valutare la proposta e la candidatura di questi aspiranti cavalieri». «Sono dello stesso avviso! Non abbiamo alcuna fretta e la prudenza non è mai troppa».

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