Cira Santoro. Nata e cresciuta fino a diciotto anni a Grottaglie, in provincia di Taranto, è arrivata a Bologna nel 1985 dove si è iscritta e laureata in Lettere Moderne con una tesi sul teatro. Ha vissuto a Siviglia, a Sarajevo ma mantenendo sempre la residenza a Bologna, diventata nel frattempo la sua città adottiva. Tra un viaggio sull’autobus 21 e l’altro sempre con le arzille vecchiette al suo fianco si occupa di teatro.
Forse un modo di leggere questo libro è portarlo con sé nei viaggi in autobus, qualunque autobus di qualunque città italiana, così da riconoscere i personaggi, i tipi, le situazioni e guardarli con gli occhi delle arzille vecchiette per non arrabbiarsi e riderci sopra. Short stories, storie brevi ma intese come piccole istantanee, raccontano il microcosmo dell’autobus. I discorsi occasionali, le frasi che si colgono in una conversazione al cellulare, gli sguardi, le persone in questo libro diventano brandelli di vita, piccoli quadri in cui sono racchiusi pensieri, sensazioni, sentimenti di un anno da pendolare vissuto insieme alle arzille vecchiette dell’autobus 21 che, con il loro accento bolognese e la tolleranza propria di questa città rappresentano una sorta di resilienza all’alienazione metropolitana.
€ 90
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Le vecchiette di Cira Giancarla Codrignani
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hi avrebbe mai pensato che sull’autobus 21 si fanno incontri incredibili. A Cira capitano ascolti che io, pur frequentando il trasporto pubblico, non ho mai la fortuna di cogliere. Forse sono io che mi perdo qualcosa, se mi pare che in autobus si senta solo il chiacchiericcio autoreferenziale di giovani e meno giovani con il cellulare attaccato all’orecchio o con l’auricolare pendente. Se non ascoltano musica, sembrano parlare da soli come i matti: raccontano, spesso a gran voce, cose personali, di solito banalissime e del tutto inutili, qualche volta perfino delicate e imbarazzanti. E non ci accorgiamo delle arzille vecchiette. Cira racconta, scandito nelle sue stagioni, un anno “esemplare” di battute e considerazioni di vecchie signore che ancora testimoniano un’inventiva popolare, sapida e a volte geniale, propria della “Bologna di una volta”, quella che parlava il dialetto come se fosse la lingua. E certo era una lingua, se così spesso chi diceva una battuta la traduceva subito in italiano, per vezzo. Poi ci sono le parole, quelle non traducibili nell’italiano convenzionale: “zavaglio”, “giandone”, “tomella”, “sbordellone”, “saracca”, “buridone”… Come non sentire profumo di casa al primo “eh, ban ban” di qualcuno che
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ha visto un puvratt “ravanare” nel “rusco” e sa distinguere “la suppa” dall’esclamazione “soppa!”? Le “arzille vecchiette” – di cui è protagonista la Nirvana, quella che trova strano il nome di Cira e sa che il proprio «è uno stato: quando uno sta bene va nel Nirvana» – sono anziane lucide (qualche svarione non è quasi mai fuori posto se i Tdays dell’assessore Colombo diventano “happy days”) che in certi casi sfiorano il surreale («fossi una farfalla scapperei anch’io»; se sale una donna con il niqab «è come se fosse entrato un pezzo di buio»). Le arzille sono in genere di sinistra, lamentano l’inadeguatezza della politica, rimpiangono l’assenza de “l’Unità” dalle bacheche, vanno “al partito” e votano anche le primarie. Se qualcuno critica l’immigrazione, lo rimbeccano e sono solidali con immigrati e zingari, soprattutto se si imbattono in una coppia di innamorati. Gli uomini sono sullo sfondo: presenti negli autobus, non si relazionano se non interpellati; solo qualcuno si fa apprezzare perché non accetta il posto a sedere che gli è stato offerto: «sta con lei da 64 anni» e le resta vicino in piedi. Purtroppo i maschi più giovani restano anonimi, guardano come affamati le ragazze e capita di vederli ubriachi: «Soppa, quanta gente ciucca c’è a Bologna…». I cultori di bolognesità possono mettere questo libretto accanto alla letteratura del nostro “Ottocento minore” in cui emergono figure femminili caratteristiche, a partire dalla Sgnera Cattareina di Alfre-
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do Testoni. Le bolognesi, oltre alla fama di essere brave in cucina e a letto, sono state sempre stimate per la cultura e l’intraprendenza. Sono quelle che non si perdono mai d’animo, reagiscono con ironia, sono legate alla famiglia senza convenzioni. Le “arzille” infatti possono dire di un “umarein” che è “ismito” e dare un “consiglio” al marito che si è fermato poco prima di essere investito dicendogli di andare un po’ più avanti. Per i figli fanno di tutto, ma ben consapevoli che «non sono io che vivo con mio figlio, è mio figlio che vive con me». Quando sono vecchie, le “arzille” possono diventare – come descrive Cira – «storte come un rametto d’ulivo», ma non perdono gli occhi «svegli e onnivori». Ricordano i libri (Balzac per un’arzilla era un secondo marito e, così, «andavano in tre a fare la spesa…»), i viaggi (ma ci si consola: in autobus se non c’è tutto il mondo, ce n’è un bel pezzo), il teatro, il cinema. Non sempre apprezzano le nuove tecnologie, soprattutto se il cellulare glielo regala la figlia (“puvratta”) perché vuole “controllarla”. L’anziana andrà magari appoggiata al bastone, ma non si sente esclusa, se di una coetanea dirà che, beh, «avrà al massimo 80 anni…». Questo di Cira non solo è un libretto divertente. È una lezione di ascolto. Ascolto della vita che ci passa accanto anche in forme anonime, che varrebbe la pena di non trascurare. Se non stiamo attenti, ci può succedere di perdere umanità…
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Prefazione
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e arzille vecchiette di San Donato sono un omaggio alle numerose donne anziane che popolano le strade e gli autobus di Bologna, tutt’altro che rassegnate e tristi, spesso lucidissime osservatrici del reale e con ancora tanta voglia di vivere addosso. Provate a venire in San Donato il sabato mattina. Le troverete alla Coop, nelle piazzette a braccetto con le badanti, nei giardini a giocare a carte, ahimé nelle tabaccherie a giocare al lotto e ovunque ci sia la possibilità di combattere la solitudine. Sono tantissime e a volte vedi solo loro. La prima volta che ci ho fatto caso ho avuto le vertigini: mi sembrava di essere su un pianeta parallelo in cui non esistevano donne sotto i settantacinque anni di età ed io mi sentivo l’unica sopravvisuta. Da sopravvisuta allora ho iniziato ad osservarle, a guardare sotto la crosta dell’età la donna che ha studiato, amato, fatto figli, lavorato, consumato passioni e sulla crosta la libertà che, a volte, si è conquistata. Ci sono quelle con la faccia schifata che ti guardano storto, ci son quelle pacificate col mondo che sull’autobus stendono le gambe e appoggiano le mani sulla pancia guardando fuori come fosse
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la tv, ci sono quelle timide, quelle con gli occhiali esagonali grigio topo, quelle africane con le treccine e quelle maghrebine con il velo, ci son quelle che parlano sempre e quelle che non parlano mai, quelle che si sentono giovani e quelle che portano i loro anni nelle vene varicose, quelle che son state ieri dal parrucchiere e quelle che confondono l’estetista con la fisioterapista. Ci son quelle che han perso tutti i capelli e hanno una testolina transessuale, quelle con la voce da bambina e quelle che han fumato mille e mille sigarette, quelle che non si riescono a moderare e quelle che dicono tutto lì sull’autobus come se non ci fosse un domani. Tra tutte, ho scelto quelle che non hanno paura di esprimere la propria opinione e si misurano con i cambiamenti che ha subito la città in maniera laica e disincantata a volte drasticamente disillusa. Nelle arzille vecchiette c’è un modo di vedere il mondo che è proprio a molti bolognesi. Con l’amore che nutro verso questa città che mi ha accolta nel 1985 come giovane studentessa di Lettere Moderne racconto quella che considero la sua parte migliore, quella popolare, divertente, polemica, ottimista, attaccata ai piaceri della vita e al piacere della vita, vissuta fino in fondo come un viaggio senza capolinea.
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Introduzione
Fermata dell’autobus 21, via Mondo, Bologna.
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opo anni di insulti lanciati dal finestrino della mia vecchia Peugeot 206 verso gli automobilisti troppo lenti che non ti lasciano passare, verso quelli che pensano di stare sul calcinculo e si appiccicano al cofano della tua macchina, verso chi ti lampeggia per lasciargli il passo, verso gli arroganti che ti tagliano la strada, verso gli egoisti che non ti fanno entrare nella coda della tangenziale, verso i menefreghisti che ti lasciano ore sullo svincolo di entrata mentre dietro di te c’è un’orchestra sinfonica di clacson, verso quelli che ti guardano come se fossi un’incapace e pensano “ecco… una donna…”, dopo anni di invettive lanciate sull’asfalto ho capito che è meglio farsi quaranta minuti di autobus che quaranta di tangenziale. Invece di passare il tragitto casa-ufficio urlando «Cazzo vuoi? Deficiente! Ma hai visto? Dove vuoi che vada?» e arrivare a lavoro senza voce, con le mani che tremano e il desiderio di sbranare il primo essere vivente che osa mettersi di mezzo tra me e la scrivania, meglio aspettare lo sferragliante autobus 21, con l’autista che si ferma vicino ai tuoi piedi, ti apre la porta, ti porge lo
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scalino e ti accoglie malinconicamente con i suoi tristi sedili di plastica blu. È lunedì. Ricomincia una nuova settimana. Arriva l’autobus. Vuoto. Tre arzilli vecchietti salgono alla fermata successiva alla mia. Due uomini e una donna. I due maschi si siedono al posto riservato ai disabili, agli infortunati, agli anziani, alle donne in gravidanza e agli adulti con bambini piccoli, lei si siede sul sedile dietro al loro. Età media tra i settantacinque e gli ottanta, portati bene. Lei capelli biondi tinti e legati a banana, alta uno e sessantacinque, circa novanta chili. Pantofola rossa di vernice, gonna nera e camicetta bianca a pois rossi. Gli altri, due anonimi ometti collerici che hanno passato metà della loro vita in officina e l’altra metà al bar latteria Aloa. I due sono in una discussione animata su stranieri e immigrazione. «Quei sozzoni di stranieri che di notte dormono per sctrada. Mo io li manderei tutti a casa loro. Cosa ci sctanno a fare qui? A sporcare le sctrade di pissio…» «E scì eh… Han rovinato Bologna… Mo io non mi vergogno mica a dirlo… Io scion rassista.» L’arzilla vecchietta che fino a quel momento è stata zitta dice: «Tè ti conossco da una vita e non hai mai capito niente, ma ormai penscio che puoi anche scmettere di scforzarti». È così che ho scoperto il mondo delle arzille vecchiette di San Donato. Donne in via di estinzione, maestre di vita, amiche di viaggio sull’autobus 21.
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Ma chi sono? E dove vanno a quest’ora del mattino? Vivono l’autobus come fosse casa loro. Chiacchierano, discutono, intervengono. Se a bordo ci fosse un creativo avrebbe già inventato il social bus, ultima frontiera dell’innovazione sociale dopo le social streets, ma siccome ci sono solo arzille vecchiette, straniere che portano i bimbi all’asilo, casalinghe disperate, impiegati uniformati, manovali assonnati e adolescenti frastornati, su quest’autobus si viaggia a vista.
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Autunno
Il carabiniere di quartiere In Via Marconi l’autobus è pieno come un uovo. Sono saliti i pendolari che dalla stazione di Bologna raggiungono gli uffici e i negozi del centro. In mezzo ad una folla di vecchietti rintronati, depressi cronici, smanettoni impenitenti, lettrici incallite e studenti fuorisede sale un carabiniere di quartiere. Così è scritto sulla fascia rossa cucita sulla manica della giacca. Saluta con un bel “buongiorno”, sonoro, diretto a tutto l’autobus. Ovviamente nessuno risponde, ma lui non fa una piega. Tira fuori un sacchetto di carta bianco e dice con forte accento sardo: «La vitta è già cossì amara di su-ho» e porge il sacchetto ad un’arzilla vecchietta seduta al posto del navigatore. Lei lo prende, ci guarda dentro e dice: «Cosc’è? Un trucco per distrarre i criminali? Io le assaggio, ma sce scion diuretiche poi mi ci accompagna lei alla tolette». Tira fuori una caramella gommosa alla coca cola e poi parlano delle nipotine, del quartiere e delle vacanze andate benissimo a Santa Teresa di Gallura. eevgg L’autobus 21 alle nove della sera è pieno di bella gioventù dalle facce multicolori. Lo spread anagra-
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fico crolla di almeno quarant’anni e i discorsi sono tutta un’altra storia. L’arzilla vecchietta di San Donato si perde un bel pezzo di mondo. eevgg La filodiffusione Sull’autobus 21 c’è un uomo grassottello, pelato, con gli occhiali spessi sopra uno sguardo basso e le cuffiette nere di spugna sulle orecchie. È seduto in mezzo a due arzille vecchiette: tiene sulle gambe una cartella di cuoio vuota e sulla cartella un walkman nero, di quelli anni Ottanta con le musicassette. Scende alla fermata di Sant’Isaia per entrare nel portone delle Laura Bassi, dove forse insegna. Appena sceso si sente una voce disdire «Puvrett…» mentre la filodiffusione emette Il mio canto libero al synt. Le arzille vecchiette tacciono o canticchiano piano. Nuovi amori Un’arzilla vecchietta di San Donato con jeans, camicia etnica e una coda di capelli bianchi stinti siede alla fermata dell’autobus 21, con due sporte piene di roba poggiate per terra. Passano gli autobus ma lei non sale e sorride ad un arzillo vecchietto fermo sul marciapiede di fronte che la guarda. Uno dei due, lo so, tra qualche minuto attraverserà la strada per raggiungere l’altro.
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INVERNO
Nirvana #1 Stamattina decido di fare le presentazioni con l’arzilla vecchietta di San Donato. Mi faccio avanti, ma lascio che sia lei a partire. «Lei come si chiama?», mi chiede dopo un po’ che parliamo. «Cira», le dico. «Mo che sctrano nome. Non l’ho mai scentito. Io mi chiamo Nirvana.» «Nirvana?», le chiedo io, «Ma lei lo sa cosa significa Nirvana?» «Mo zerto!», risponde fiera, «È uno sctato. Quando uno scta bene va nel Nirvana.» Già. Per ora siamo arrivate alla Bolognina. eevgg Autobus 21 a zero gradi. Sono preoccupata. È da un po’ di giorni che non vedo più l’arzilla vecchietta di San Donato. Spero non sia iniziata l’ibernazione. eevgg
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Gli schizzinosi #1 Autobus 21 e una donna elegante col fazzoletto premuto sul naso. Rigida sul suo sedile, muove solo le pupille e appena qualcuno si avvicina sembra che sussulti. L’arzilla vecchietta di San Donato seduta di fronte a lei le chiede: «Scignora ha bisogno? Scta poco bene?». La donna spinge la schiena tra il sedile e il finestrino, allontana la testa, spalanca gli occhi e preme ancora di più il fazzoletto sul naso con un’espressione schifata mentre fa no-no con la testa. «Autisctaaaa!», urla l’arzilla, «Andiam a prendere i cavalli per tirare la carrossa. Stamattina abbiam sciù la scignorina lassiamisctare.» Si appoggia sul bastone, si alza e va a cercarsi un posto in fondo, lontano. Scambi di cortesia L’arzilla vecchietta di San Donato stamattina fa fatica a salire sull’autobus 21. Le porgo una mano, lei si appoggia e si dà la spinta mentre mi passa carrello e bastone. Una volta salita, riprendendosi le sue cose, dice: «Grassie, a buon rendere… Quando sarà ansiana lei l’aiuterò io». Che tanto si sa, puoi anche ingrassare, invecchiare e decadere, ma in questo paese la morte mai. L’eternità viaggia con noi. Un pezzo di mondo Sull’autobus 21 l’arzilla vecchietta di San Donato racconta: «Da ziovane mi sciarebbe piaciuto viag-
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giare, ma non avevo la poscibilità. Poi scion diventata grande e qualche viaggio l’ho fatto col mio primo marito che c’aveva la moto Gussi. Sciam stati ai lidi ferraresi, in Abrusso e in Cecoslovacchia. Ma lì col partito. Adesscio scion vecchia e non viaggio più, ma qui dentro vedo tutto il mondo. E sce non è tutto, ce n’è un bel pesso». Questo si chiama turismo sostenibile. Vedovanza Sull’autobus 21 sale un’arzilla vecchietta di San Donato. Indossa un giacchino blu, fatto all’uncinetto, legato al seno con un fiocco nero. Porta la sua schiena curva e la classica nuvola di capelli bianchi fino ai posti riservati. Si siede di fronte ad una donna del quartiere e questa appena la vede la saluta calorosamente. Ha saputo da una vicina che la povera è rimasta vedova da pochi mesi e sfiorandole il dorso della mano le fa le condoglianze. «Mi dispiace», sussurra. «E di cosa?», risponde l’altra sollevando gli omeri, «Aveva novant’anni. Era ora.» Si tira su nel tentativo vano di raddrizzare la schiena e vedere meglio cosa succede fuori dal finestrino. Due cingalesi scaricano cassette per il negozio di frutta e verdura mentre una donna obesa trascina un trolley colorato e un marocchino fuma una sigaretta davanti alla macelleria islamica. La vicina fa finta di sorridere e rimane con lo sguardo sulla vecchietta che, pare, sia stata con lui sessan-
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taquattro anni. Ma l’autobus non è un posto per parlare d’amore. Nirvana #2 Sull’autobus 21 c’è Nirvana. «Buongiorno Nirvana, come sta?», la saluto. «Scion un po’ nei pensieri…», mi risponde, «Per il Toni. Scion tre scettimane che non sci fa vedere. Scion sctata alla Sciala Scirenella e l’ho visto con la Vilma, la mia amica. Scecondo me sci son messi insieme.» «Mi dispiace», le dico. «Mo che, non è mica quello il problema… È che scenza di lui mi muovo poco e adesso ho un gran male alle gambe.» Pensavo fosse amore e invece… La pasionaria #3 Sull’autobus 21 l’arzilla vecchietta di San Donato racconta: «Ieri mi è arrivato il conguaglio della Taresc, che sci chiama coscì adesso il rusco. Una cifra che non sci può neanche dire. Ma siccome ho più di settant’anni pago settanta centesimi alla posta invece di un euro e trenta. Penscio che noi vecchi dovremmo andare tutti davanti al comune a lanziare i sessanta centesimi che ci resctano nella vasca del Nettuno che magari realissa i nostri desideri. Ci fan pagare cifre da milionari e ci trattan da pessenti». Chissà se voterà alle primarie l’arzilla pasionaria di San Donato.