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Prefazione di Italo Cucci
PREFAZIONE
Di Italo Cucci
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Andrea e io ci siamo persi, negli ultimi anni, dopo aver speso in tivù anche un po’ d’intelligenza oltre le solite chiacchiere. Ma fra antichi viaggiatori rimangono fatali connessioni temporali, come rimembranze che affiorano nelle stagioni più avare di frutti. Premetto che la pandemia e il “tutti in casa” hanno favorito il pensare più che il fare, la riflessione più dell’esibizione, e anch’io non ho potuto fare a meno di rimpiangere i Ritratti del coraggio opponendoli ai miti del Calciobusiness. Non faccio nomi ma sono convinto che i ragazzi d’oggi faticheranno a ricordare, fra venti/trent’anni, i pedatori d’oggi, quasi tutti esotici (cerco parole politicamente corrette) mentre Andrea e io c’imbattiamo, sul Viale del Tramonto, in compagni di strada leggendari, eterni, prima vissuti da ammiratori, poi da cronisti, infine da narratori. Quanti ce ne saranno? Voglio essere generoso: una magnifica dozzina. Fra questi, quell’eterno ragazzo cui chiesi, un giorno, chi fosse il più grande, fra Maradona e Pelé, e mi rispose: «Escludendo me, Diego. E tu?». Per evitare dibattiti risposi: «Di Stefano». E lui per la prima volta tacque. Lui era Omar Sivori, il pilastro della bellezza e allegria del calcio. Già, molti dimenticano che il calcio deve divertire. E quando Omar pazziava e il mister s’adombrava il già
saggio Boniperti diceva: «Lasciatelo vivere, è il suo calcio, il più bello». N’era convinto Umberto Agnelli da quando Renato Cesarini gli aveva suggerito di portare quel ciuffo ribelle, quelle caviglie sottili, quei piedi animati in Zona Juve. Poi passarono gli anni e un ginnasiarca senza fantasia volle allontanarlo e ci riuscì. Anche per colpa mia. No, non faccio il fenomeno, racconto un fatto. Omar era stato semplicemente sospeso dopo l’ennesimo rifiuto di obbedire a Heriberto Herrera, detto anche HH2 o Accacchino (da Brera). Mentre Agnelli meditava il da farsi, Sivori sparì. Io lavoravo a “Stadio” e un amico di Sanremo, Sergio Sricchia narratore di boxe, mi avvertì che Omar era lì, nella casa estiva di Liedholm. Ci arrivai in poche ore, mi piazzai sulla porta e quando l’esule apparve mi presentai. Capì che stavo sullo scoop e mi fece felice: una lunga feroce intervista che aiutò la Juve a decidere. Lo mandarono via. Napule Napulè, la città che Pino Daniele avrebbe didascalizzato magnificamente: «Napule è mille culure / Napule è mille paure / Napule è a voce de’ criature / Che saglie chianu chianu / E tu sai ca’ non si sulo...». Poi solo rimase, dopo alterne sfortune, e tornò in Argentina. Non avevo sensi di colpa ma un giorno in Rai mi chiesero un personaggio per una trasmissione domenicale sponsorizzata dalla IP – c’erano soldi, insomma – e io dissi Sivori. «Ce lo trovi?» Un collega di Baires mi diede un numero, risposero da una casa di campagna, il rifugio di Omar nella Pampa. E arrivò lui: «Que pasa?». Poche parole. E i soldi. «Arrivo.» E arrivò. Un’altra vita.