RESPIRA COME SE FOSSI FELICE. La via dell'Alf ( Luciana Landolfi e Paolo Borzacchiello)

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RESPIRA COME SE FOSSI FELICE


Collana editoriale I misteri di Minerva

RESPIRA COME SE FOSSI FELICE LA VIA DELL’ALF Direttore Editoriale: Roberto Mugavero Grafica: Ufficio grafico Minerva Edizioni Direttore di Collana: Piera Vitali © 2016 Minerva Soluzioni Editoriali srl, Bologna

Proprietà artistica e letteraria riservata per tutti i Paesi. Ogni riproduzione, anche parziale, è vietata.

ISBN: 978-88-7381-869-4 edizioni MINERVA Via Due Ponti, 2 - 40050 Argelato (BO) Tel. 051.6630557 - Fax 051.897420 www.minervaedizioni.com info@minervaedizioni.com


LUCIANA LANDOLFI PAOLO BORZACCHIELLO

RESPIRA COME SE FOSSI FELICE La via dell’Alf

MINERVA



Ai cercatori di Supervita sulla Terra



INDICE

Prefazione (scritta dopo) di Paolo Borzacchiello

p. 11

La mia lettera per Paolo (il mio saluto a un nuovo Supervivente) di Luciana Landolfi

p. 13

Capitolo I La via della gioia

p. 19

Capitolo II Le parole della gioia

p. 36

Capitolo III Il codice Alf: Alto Luminoso Fluido

p. 48

Capitolo IV Nomina solo ciò che esiste

p. 77

Capitolo V Ringrazia per ciò che non hai

p. 91

Capitolo VI Lamentati per ciò che desideri

p. 100


Capitolo VII Chiedi “Perché?” e ti sarà dato

p. 106

Capitolo VIII Offri ciò che cerchi

p. 118

Capitolo IX Se non ti ami, ama

p. 126

Capitolo X Se sei stanco, riposa

p. 136

Capitolo XI Infrangi i tabù

p. 144

Capitolo XII Il corpo sacro

p. 156

Capitolo XIII La Piramide della conoscenza Alf

p. 171

Capitolo XIV Scrivere e parlare in Grazia e Amore

p. 186

Capitolo XV Il codice della vita: la matrice Alf

p. 197

Ringraziamenti di Luciana Ringraziamenti di Paolo Il nostro abbraccio

p. 211 p. 212 p. 213


PREFAZIONE (Scritta dopo) di Paolo Borzacchiello

La prefazione, lo dice la parola stessa, di solito si scrive prima. È una sorta di dichiarazione di intenti che l’autore o gli autori fanno ai propri lettori. Questa, quindi, è una prefazione strana, scritta dopo. Del resto, era impossibile, per me, scriverla prima, perché quando ho iniziato a lavorare con Luciana a questo libro sull’Alf, non avevo la minima idea di quel che avrei scritto e di dove sarei andato a finire. La Verità è che per scrivere questo libro ho dovuto abbandonarmi a un flusso che non credevo nemmeno esistesse. E l’abbandono ha lasciato che tutto fluisse meravigliosamente, senza posa. Ho scritto questo libro a tempo di record, fra Roma, Londra, Parigi e le Highlands scozzesi, in un paio di mesi. Come me lo spiego? Ispirazione, grazia, lavoro sinergico con una mente eccelsa qual è Luciana, la vera anima che incontrerete in queste righe, leggendo e ispirandovi pagina dopo pagina. Quando ero in procinto di terminare la prima stesura di questo libro intervista a Luciana Landolfi, creatrice dell’Alf (che sta per Alto, Luminoso, Fluido), lei mi ha spedito una lettera di ringraziamento, partorita – è il caso di dirlo – dopo la gestazione del libro. In questa lettera parla di supervivenza, una parola nuova che ancora nessuno aveva pensato e pronunciato e che, secondo me, esprime alla perfezione e in estrema sintesi tutto quello che è l’Alf e tutto quello che puoi fare con l’Alf. Quindi, dopo averla letta, ho deciso di usarla come introduzione. Alcune parole, probabilmente, non le capirai subito, perché presuppongo-


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no la lettura del testo che segue. Fa niente. Leggila lo stesso. E quel che non capisci, capirai. Parlo di testa, ovviamente, perchĂŠ con il cuore saprai immediatamente tutto quel che c’è da sapere.


LA MIA LETTERA PER PAOLO (Il mio saluto a un nuovo supervivente) di Luciana Landolfi

Caro Paolo, scriveva Ludwig Wittgenstein che «i limiti del mio mondo sono i limiti del mio linguaggio» e viceversa. Sviluppare un nuovo linguaggio, da questo punto di vista, significa allargare i confini di ciò che definisco mondo. E, per l’Alf, che tu conosci e che i nostri lettori conosceranno presto, significa anche espandere in nuove direzioni la coscienza del corpo. La parola è carne, una nuova parola è un nuovo corpo, e la parola nuova che offre l’Alf a chi ne percorre la Via è: supervivenza. Così nuova che nessun vocabolario la contiene e al contempo così antica che già risuona in chi la legge come conosciuta, familiare, cara, salvifica. È la parola che da sola è: Alta, Luminosa e Fluida. Ha in sé¸ direzione e potenza, leggerezza e sapienza e un indicibile, anche se detto, amore per la Vita. O forse dovremmo già dire: supervita. Non posso che ricorrere a evocazioni e suggestioni e alla poesia per cercare di trasferire in questa lettera, che è anche un invito a scrivere ancora insieme, più un sentire universale che un sapere personale. L’Uomo supervivente è quell’uomo con le ali sognato da Nikola Tesla? È colui che sa scegliere la gioia come maestra. Colui che è consapevole di essere fonte infinita di energia. È colui che sa che non c’è inizio e non c’è fine, che ricorda di essere tornato a se stesso e che infinite volte tornerà. La fine è il mio inizio, scriveva Tiziano Terzani. Verso i tre anni, tuo figlio ti chiederà come è venuto al mondo.


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Se tu gli dici che è nato sotto un cavolo, non sarà contento. La stessa cosa vale per la cicogna. Anche dire dalla pancia della mamma non lo renderà soddisfatto. Ma se tu gli dici che ha scelto di scendere sulla terra e che ha scelto i suoi genitori e la sua casa, lo vedrai sorridere felice, perché gli è davvero molto chiaro questo. E si sentirà capito. In realtà, quello che ti sta chiedendo è: lo sai anche tu come sono venuto al mondo? Lo sai anche tu che io sono un Supervivente? Ti dice che non è qui per sopravvivere, né per vivere, ti dice che è qui per supervivere. Hanno già questa pretesa altissima i suoi tre anni. Sopravvivere, Vivere, Supervivenza. Sopravvivere significa soddisfare i bisogni primari. Vivere significa relazionarsi, affettivamente, sessualmente, godere del tempo libero, realizzarsi. Supervivenza significa ricordarsi che in tutto questo siamo un altissimo e lucente flusso eterno d’energia che ha in potenza tutte le infinite possibilità. Il supervivente trasforma il verbo essere in essenza, non si affeziona a definizioni ed etichette dell’Ego, ma aspira a sentire, come non citare Shakespeare, la materia di cui sono fatti i sogni, che è la sua stessa essenza. Trasforma il verbo avere in sostanza: non possiede nulla, se non tutto. Tutto ciò che è energeticamente nell’universo, di cui si sente parte contenitore e contenuto. Trasforma il verbo fare in coscienza piena della differenza che scorre tra movimento e gesto. E la sua esistenza diventa Gesto, respiratorio, posturale e verbale consapevole e volontario. Riconosce nel suo corpo e in quello di tutti gli uomini la sacralità del tempio della conoscenza e lo accompagna, conoscendone le leggi, nell’estasi fisica, luogo in cui può percepire nitidamente di essere parte di un tutto che senza alternative chiamerà Uno. Non ha bisogno della promessa di una vita ultraterrena per realizzare pienamente la sua natura spirituale sul pianeta Terra, perché ogni gesto, dal bere un sorso d’acqua al sorriso, è


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espressione della sua coscienza di essere nato per scelta irrinunciabile: ogni atto è occasione per accorgersi della sua nascita volontaria. Per questo non accusa, non condanna, non giudica la casa in cui è venuto alla luce, la famiglia che lo ha accolto. Guarda al passato con gratitudine, come occasione di risveglio dal sonno del vivere, prima del super vivere. Il Supervivente dedica parole d’amore e preghiere al Corpo Sacro: sa che abita un Dono. Sa che l’Intenzione della mente in questo corpo genera un’alleanza tra cellule, che una a una, chiamate ad agire in un’unica direzione, produrranno un flusso d’energia in grado di mutare gli eventi. Per questo crede nella forza generatrice e trasformatrice della preghiera, della parola volontaria, e la pratica con il gesto verbale e posturale. Non distingue momenti di preghiera dal discorrere con se stesso o con gli altri: ogni momento in cui accede al dono divino della parola è preghiera. È cosciente che il linguaggio Alf può, in qualsiasi occasione della narrazione, essere fonte di gioia per il corpo di chi ascolta: questa è già preghiera. Quando diciamo a qualcuno: non chiedermi perché, ma sento che il tuo corpo già sta guarendo, sento che la tua pace già sta accadendo. Ecco, questa è già preghiera. Riconosce una Verità oltre le apparenze delle forme. E riconosce di non possederla, ma della Verità si fa cercatore curioso, divertito, entusiasta e con sicurezza afferma: c’è sempre almeno un altro modo di vedere le cose. Indipendentemente dalle sue opinioni sul mondo, ricorda di mettere in sicurezza il corpo respirando come se i suoi pensieri fossero felici, anche quando questi non lo sono. Celebra l’innocenza del corpo. Accetta la sofferenza, come preludio di una gioia più alta: la osserva e non la giudica, dialoga con essa, non si chiude, non ne riconosce un senso individuale, ma universale. Vive la sofferenza, sua e degli altri esseri viventi, come fatto a cui rela-


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zionarsi con lo stesso linguaggio della Gioia. Infatti, non ne fa un lamento. Scioglie la sofferenza dalla triade vittima, carnefice e salvatore: non accusa per il dolore, non si accusa e non pretende che altri si sostituiscano a lui nell’affrontarlo. Sa chiedere aiuto con fiducia: non è “cosa puoi fare tu al posto mio” ma “aiutami a ricordare cosa so fare per risalire”. Sa perdonarsi per ricominciare; sa che può scivolare dalla supervivenza alla sopravvivenza emozionale, ma instancabilmente, nella luce del suo centro di gravità permanente, cento-volte-cento ricomincia il cammino Alf. Quotidianamente. Il Supervivente diffonde l’Alf per invito. Non impone, non fa proselitismi: testimonia con la sua Supervivenza una possibilità per chiunque di elevarsi verso un’esistenza pienamente volontaria. Rinuncia allo sguardo da turista nell’universo: guarda con meraviglia ogni cosa come se l’avesse creata e si compiace personalmente della bellezza del mondo: guarda che meraviglia questo fiume, e questi fiori e questa pietra: sono stato proprio bravo. Riconosce nella gratitudine la fonte e il frutto dell’abbondanza tra gli esseri viventi e l’Universo. La Supervivenza invita a compensare con la Luce l’oscurità: non la contrasta, la illumina. Il supervivente non è un illuminato è un illuminante. Dove c’è guerra, parla di pace, dove c’è ingiustizia parla di giustizia, dove c’è rabbia, parla di perdono, dove c’è disamore parla di amore. Non cerca il permesso per essere in Gioia: la afferma. Non discute sulla Gioia: la afferma. Riconosce un unico codice linguistico, respiratorio e posturale, parla all’anima universale, alla mente sociale e al corpo individuale e si rivolge a questa triade come a un’unica entità.


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La parola che fa bene alla carne è benefica per l’universo, perché non riconosce alcuna separazione . La supervivenza è restituire Unità cosciente a ciò che l’uomo ha separato nel linguaggio. È l’irrinunciabile vocazione all’Ascesi. È l’instancabile sguardo verso le stelle. La Supervivenza è ricordare al corpo la sua appartenenza energetica all’Infinito. La Supervivenza non è pensiero filosofico, non è cultura o sapere, è un istinto innato, cellulare. Se fosse un bisogno, sarebbe l’origine di tutti i bisogni evolutivi. È l’istinto dell’uomo di portarsi fuori dalla foresta per innalzare il proprio cuore, il muscolo cardiaco in carne viva, oltre la linea dell’orizzonte. E di salire sulle più alte cime per portare il volto oltre la linea dell’orizzonte. È salire, salire ancora. Nessuno sa perché l’uomo voglia ridurre le distanze tra i piedi e le stelle. Fisicamente. E neppure perché la gioia in corpo sia un senso di luce di verticalità assoluto. Forse perché da bambini, alzare le braccia verso il padre e la madre era alzare le braccia verso divinità terrene. E quel gesto non ce lo scorderemo mai. Non potevamo andare avanti se qualcuno non ci portava in Alto. E questo qualcuno siamo, ora, adesso, noi.



I LA VIA DELLA GIOIA

La frase da meditare Il vero Io è quello che tu sei, non quello che hanno fatto di te. (Paulo Coelho) Il film da scoprire Il colore viola (Steven Spielberg) La canzone da ispirare Oh Happy Day (Philip Doddridge) L’Alf (che sta per Alto, Luminoso, Fluido) ha pochissimo a che vedere con quel che puoi fare con la tua intelligenza. Ha moltissimo a che fare, invece, con il tipo di persona che sei o che scegli di essere. Ci sono tre tipi di persone, da questo punto di vista. Il primo tipo è costituito dalle persone che riconoscono il nesso causa-effetto nel mondo che li circonda. Queste persone sono consapevoli di contribuire alla determinazione del loro destino. Essere consapevoli del nesso causa-effetto è cosa ben diversa dal sapere che esiste questo fenomeno e dal dichiarare di “crederci”. Chi è realmente consapevole del nesso causa-effetto agisce in modo congruo con questa consapevolezza. Ad esempio, esercita consapevolezza nel pensiero e nel linguaggio, perché sa (magari


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non sa bene come, ma sa) che dalle sue parole e dai suoi pensieri dipende il modo in cui si muove. Chi è realmente consapevole del nesso causa-effetto, ad esempio, evita di mangiare carne di animali, perché sa che la bistecca che si trova nel piatto è l’effetto di una causa precisa, ovvero di un animale che, prima di essere bistecca, ha respirato pensato e vissuto. Chi è realmente responsabile del nesso causa-effetto, ad esempio e infine, pratica quella che i buddisti chiamano la retta azione, ovvero l’attenzione ai gesti e alle azioni che compie, sapendo perfettamente (anche in tal caso, senza magari sapere bene come) che ogni gesto si traduce in un’onda o in una particella (come teorizzato dal Nobel per la fisica Werner Karl Heisenberg, tra i fondatori della meccanica quantistica) e che, come tale, influenza l’intera realtà. Se non sei una persona di questo genere, puoi decidere di esserlo. Anche ora, se vuoi. Anche adesso, prima di scorrere lo sguardo sulla prossima parola. Il secondo tipo è costituito dalle persone che sono disposte ad accettare che questo nesso esista e ad assumersene la responsabilità attraverso la pratica essenziale tanto quanto ineludibile del fare. Si tratta di cosa ben diversa dal pubblicare stati di Facebook in cui si inneggia alla legge dell’attrazione e poi si inveisce contro il governo ladro. Chi realmente “sa” questo nesso si astiene dalla parola spiacevole, perché – a chiunque sia diretta – è comunque un lascito energetico di cui egli, con altri, dovrà fare i conti. Si tratta di cosa ben diversa, anche, dal proclamare credenza piena nei principi dell’attrazione salvo poi lamentarsi ogni due per tre di tutte le cose che non vanno, di questo e di quello. Le persone che realmente “sanno”, saltano a piè pari questo passaggio e volano direttamente verso quel che di più alto sanno di potere raggiungere. Invece di lamentarsi per il fango in cui sono impantanati, inneggiano alla cima.


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Il terzo tipo di persone, infine, è costituito da tutti coloro che credono alle coincidenze e che ignorano o dileggiano le persone del primo e del secondo tipo. Per loro, tutto è coincidenza. Nessuna autodeterminazione, nessun potere di azione o creazione. Queste persone possono scegliere di diventare persone del primo o del secondo tipo, oppure leggere altrove. Quando ho conosciuto Luciana, il corpo che ha dato voce all’Alf, la voce che ha dato corpo all’Alf, ho cercato dapprincipio di capirla e di capire il suo insegnamento. Ma, come scrive Igor Sibaldi, «capire è un verbo molto sopravvalutato. In realtà, deriva dal latino capere, contenere, e indica lo sforzo di inserire qualcosa di nuovo in un recipiente che già si possiede. “Questo lo capisco!” vuol dunque dire “Questo non mi dice nulla di veramente nuovo, questo può trovar posto nel recipiente che ho già!”. Mentre “non capisco!” dovrà di conseguenza significare. Ecco qualcosa di veramente nuovo! Ora dovrò allargare questo mio recipiente nuovo!». E così, invece che chiamare l’intelletto a un’impresa che pareva davvero impegnativa, ho scelto (ecco un verbo con cui ti conviene fare amicizia) di farne esperienza pratica e di viverlo con tutto me stesso. Così, ho cominciato ad accorgermi dell’Alf. Ho continuato a seguire Luciana nel suo lavoro, ad accorgermi sempre di più di quanto potente e audace fosse la sua visione. Ma che cos’è, dunque, l’Alf? Contravvenendo a uno degli assiomi che più tardi leggerai (ma ho alzato le mani mentre scrivevo. Alza le mani anche tu, adesso. Capirai con la testa, dopo, il perché. Intanto, fallo), voglio cominciare con il dirti cosa non è l’Alf. Non è – in senso stretto, anche se il marchio è registrato come tale – un metodo. Perché il metodo puoi applicarlo o meno.


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Non è una tecnica. Perché la tecnica puoi usarla o lasciarla nel cassetto. Non è una fede. Perché la fede presuppone, di nuovo, mancanza di consapevolezza del preciso potere che tu possiedi, in quanto essere umano. Né, tanto meno, è una fede religiosa, perché rifugge da qualsiasi gabbia per innalzarsi in alto, sempre più alto. L’Alf è una via. E, come tale, va percorsa. È una via, quindi (proprio come il Tao) non può essere scritta, solo camminata. In un senso o nell’altro. Puoi percorrere la via verso il basso (ho le mani alzate) o verso l’alto; stare fermo non è concesso, non finché sei vivo in questo mondo. Ecco, l’Alf è la via che ti conduce in alto. È la via della Gioia. E, come tale, è la via che conosci meglio, anche se ti sei dimenticato quasi tutto. Paolo (da ora in avanti, “P”): La cosa che più ho amato, fin dal principio, è questa idea incredibile secondo la quale tutte le vie finora esplorate dall’uomo, dal Taoismo al Buddismo al Cristianesimo, sono accomunate da un’unica, grande idea: la promessa della gioia. Mi piacerebbe tanto che tu me ne parlassi un po’. Luciana (da ora in avanti, “L”): L’origine dell’Alf fu la mia osservazione degli effetti sulla postura e sulla percezione del tono e dell’umore generale dei miei allievi, in seguito al cambiamento del vocabolario e della postura nella narrazione dell’evento traumatico o della problematica esistenziale che mi esponevano. L’uso di particolari parole si era dimostrato efficace per ridurre il disagio. Accade che quando chiediamo a un soggetto di riportare un ricordo del trauma o del disagio, facendogli cambiare lessico,


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l’informazione non possa più essere mantenuta nel cervello e nel corpo con lo stesso livello di energia. P: Questa è la promessa, in fondo: se fai quel che ti dico, allora avrai quel che desideri. Se cambi le parole, insomma, cambi il modo in cui stai. L: Non solo: anche il mio corpo reagiva in modo diverso, mutando repentinamente tono e umore a seconda delle parole ascoltate o lette e delle immagini che esse costruivano nella mia mente. Così, ancor prima di strutturare l’Alf, cominciai a chiedere ai miei interlocutori di cambiare lessico, anche invitandoli a prendere coscienza del respiro. Sentivo che termini che avevano a che fare con un campo dialettico Basso, Oscuro e Coagulante e relativa postura e respirazione del soggetto narrante, influenzavano direttamente il mio campo energetico-umorale. Osservando gli effetti fisici dell’ascolto su di me, vivendola come esperienza diretta, cominciai anche a sviluppare un concetto ancora oggi molto importante nella mia ricerca, che di fatto continua e si arricchisce di giorno in giorno: la responsabilità energetica comunicazionale. Ovvero: ciò che dico crea campo energetico e questo campo energetico coinvolge, anche a insaputa del soggetto in ascolto, un mutamento delle funzioni fisiche, somatiche in senso ampio, nell’interlocutore, modificando ritmo respiratorio e postura. Quando usiamo l’espressione “tu mi togli il fiato”, questo accade davvero. Quando dici: «Tu mi abbatti», la tua colonna vertebrale si piega. Il livello di emotività stimola contenuti emotivi di valenza equivalente. Un’emotività legata al dolore suggerisce immagini e rappresentazioni simboliche di oscurità, blocco, mostri delle tenebre, dolore, frattura, interruzione. E mentre alla nostra mente cosciente questo appare del tutto “logico”, non ci accorgiamo che stiamo usando metafore che


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spingono il Corpo a una imitazione di questo contenuto logico. Chi ripete spesso “mi sento tutto sulle spalle”, avrà un’altissima probabilità di soffrire fisicamente di dolori alla cervicale, di contratture. Una delle raccomandazioni dell’Alf è proprio quello di evitare tutte le metafore, come ripeterò anche in seguito, che se fossero vere creerebbero un danno al corpo. L’espressione per esempio “mi ha pugnalato alle spalle” non solo non ci porterà a sentire la colonna vertebrale forte e fluida, ma potrebbe, nella sua continua ripetizione, invitare il corpo a rappresentarla con dolori di tipo acuto e pungente! Per questo ripeto: portate fuori il corpo dalla metafora, se questa metafora rappresenta in qualche modo un rischio per la salute. P: Mi piace moltissimo la parte in cui dici di avere strutturato la teoria Alf dopo aver vissuto la pratica Alf. Questo è, a mio parere, essenziale. In tutti i campi. Ci sono corsi di vendita tenuti da persone che non hanno mai venduto nulla in vita loro, ti lascio immaginare. E quindi tu, sulla base di questo, sei riuscita a decodificare questo incredibile sistema, e hai coniato i termini Alf e Boc. Iniziamo il nostro viaggio da qui. L: Inizio proprio rimarcando l’importante considerazione che la teoria è giunta dopo la pratica, anche per me è fondamentale. Di fatto, ho raccolto evidenze, ho tradotto su carta quel che è successo davvero. E questo è bellissimo. Cito un passaggio molto illuminante, al proposito, di Carl Jung: «Nessuno può comprendere realmente queste cose se non le abbia egli stesso sperimentate. Ecco perché mi interessa molto di più indicare le vie e le possibilità di una simile esperienza che porre formule intellettuali, le quali per difetto di esperienza rimarrebbero necessariamente vuoti fantasmi verbali. Moltissimi, purtroppo, imparano le parole a memoria e si immaginano le esperienze relative, e poi, secondo il temperamento,


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si esprimono in tono di credenti o di critici. Qui si tratta di una nuova impostazione di problemi, di un nuovo (eppur così vecchio!) campo di esperienza psicologica, nel quale non giungeremo a un risultato teorico di un qualche valore se non quando i relativi fenomeni psichici saranno noti a molti. Si comincia sempre con lo scoprire fatti, e non teorie. Le teorie nascono poi dalla discussione fra molti». (C. G. Jung, L’io e l’inconscio) Tornando alla tua richiesta di maggiori delucidazioni, Alf è l’acronimo di Alto Luminoso Fluido, metodo (ma abbiamo detto che è meglio dire “via”) che unisce linguaggi, gesto e respiro, prendendo spunto dalle tre condizioni fisiche dell’uomo felice e percettive dell’uomo in estasi: l’altezza, la luce, il flusso. Le tre condizioni che uniscono corpo, mente e anima in un unico linguaggio respiratorio posturale e verbale. L’Alf è un linguaggio universale, atemporale e aculturale. L’Alf è anche una via che permette di scegliere consapevolmente le parole che fanno bene, il respiro che fa bene, il gesto che fa bene. Al corpo, alla mente, all’anima. L’Alf è un metodo di comunicazione universale, verbale e non verbale; è un modello relazionale; è un insieme di tecniche che possono essere utilizzate per la comunicazione, la persuasione, il miglioramento del proprio benessere e del benessere della società. L’Alf è un codice linguistico, respiratorio e posturale che parla all’anima universale, alla mente sociale, al corpo individuale, rivolgendosi alla triade come a un’unica entità. Alta, luminosa e fluida. Farsi capire dall’anima, dal corpo e dalla mente, imparando il linguaggio umano dell’Uno. Questo è l’Alf. Dall’altra parte, potremmo dire all’altro capo del filo, c’è invece tutto quello che è Boc, ovvero basso, oscuro, contratto


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(o coagulato). Un esempio di linguaggio Boc è molto spesso rappresentato dal lessico giornalistico: parole negative, iperboli, rappresentazioni persino escatologiche (mi raccomando: teniamo le mani alzate…) come disastro, apocalisse, devastante, bufera, tempesta, ciclone. Parole che si reiterano inflazionandosi e perdendo così il loro valore intrinseco. Parole scelte a bella posta o anche solo per abitudine con l’obiettivo di colpire (appunto) i bassi (appunto) istinti del lettore. Un linguaggio, dalla politica allo sport, dalla cronaca alla cultura, erede per molti versi dell’epica omerica e cavalleresca, figlio delle sfide tra l’Italia di Comuni e Signorie. Figlio del divide et impera. Possiamo così riassumere che gli stati d’animo Boc e gli stati d’animo Alf descrivono due paesaggi fisici contrapposti. Nello stato d’animo Boc, l’organismo suggerisce parole che contengono il corpo in un ambiente privo di luce, acqua, fino ad arrivare alla percezione di mancanza d’ossigeno e all’impossibilità di movimento, attratto in un campo gravitazionale iperpotente. Nello stato d’animo Alf, l’essere umano descrive invece la flora e la fauna dell’Eden percorso e bagnato dall’acqua in un orizzonte diurno a livello terrestre e a livello celeste, un universo a-gravitazionale abitato da stelle e pianeti luminosi tra i quali si può muovere liberamente. P: Ti seguo da tanto tempo e leggo sempre i tuoi post con attenzione. Più volte mi hai spiegato che l’Alf pratica l’astensione dal giudizio e che la polemica è Boc. Ricordo benissimo che una partecipante a uno dei nostri gruppi di lavoro aveva postato su Facebook il link di un sito che promuoveva il veganesimo. Tu, pur essendo stata vegana ed essendo tuttora vegetariana, hai risposto che, cito a memoria, «pur essendo il modo di mangiare vegano molto Alf, l’Alf non si schiera». Ci


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sono aspetti dell’Alf che mi sono molto chiari. Ad esempio, una delle cose che maggiormente ho apprezzato fin dall’inizio è l’atteggiamento Alf che prevede di evitare di schierarsi contro qualcosa e di, piuttosto, parlare di ciò di cui sei a favore. Così, ad esempio, per essere Alf, eviterò di dire che sono contro la guerra e parlerò dei motivi per cui sono a favore della pace. Questo lo posso fare, questo lo posso insegnare. Facendo l’avvocato del diavolo, tuttavia, mi vien da chiederti: per praticare e percorrere questa via della Gioia devo proprio astrarmi del tutto? Qual è la differenza fra evitare il giudizio e fregarsene? Non corri il rischio di diventare indifferente, di non prendere mai una posizione precisa? Cioè, se Martin Luther King non si fosse schierato contro la segregazione? Se nessuno prende posizione come si possono fare i cambiamenti? Voglio dire, il Nazareno si è esposto, non ha detto ai farisei “fate voi”. Può sembrare molto “me ne lavo le mani”. Che ne dici? L: L’argomento è basilare ed è doveroso arricchire questo passaggio, per evitare di esser fraintesi e per portare, invece, ancora più persone su questa meravigliosa via della Gioia. Ricorda sempre che l’Alf è la disciplina del fare. L’Alf lo devi fare per forza. E quindi, ecco la differenza fra il giudizio e l’azione coinvolta. Giudicare è Boc. Se Martin Luther King avesse giudicato chi lo ostacolava, sarebbe stato Boc. Lui, invece, ha proposto. Per comprendere appieno questa differenza fondamentale devi ragionare su questo. L’azione coinvolta, che dunque non è giudizio e non è critica fine a se stessa ed è, per questo, molto Alf, è tale se basata su tre presupposti diversi. Primo, descrizione del tuo progetto personale per cambiare le cose. Secondo, descrizione di quale vantaggio porti alla collettività (famiglia, colleghi, amici) questa tua scelta. Terzo, descrizione di quale impegno prevedi per te all’interno di questa tua scelta e di quale impegno prevedi per le persone che ne sono


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coinvolte. Dire di essere a favore dell’alimentazione vegana è un giudizio. Applicare questi tre punti, invece, è Alf. Ti faccio un esempio pratico, molto semplice. Dire che questo ufficio è in disordine e lamentarsi perché nessuno se ne occupa è un’azione giudicante. Innesca polemica e non risolve la questione. Sono le lamentele che ascolti tutti i giorni, da Facebook al telegiornale. Dire, invece: «Credo che questo ufficio abbia bisogno di una sistemata, ho chiamato il pittore e mi ha detto che ci potrebbero volere tre giorni, e possiamo farlo se voi mi date una mano in questa cosa», ha un significato diverso. Devi offrire la tua soluzione personale, il tuo impegno e il tuo coinvolgimento in compiti precisi di altri. In estrema sintesi: Lamento + inazione = malattia. Lamento + azione = rivoluzione! Hai presente tutti i vari “Je suis Charlie” e le bandiere tricolori che hanno riempito le bacheche del mondo? Dove sono, adesso? La frase «ama e fa ciò che vuoi» di Agostino di Ippona è la summa di questo approccio: deciso il tuo intento, agisci di conseguenza, nei modi che credi: non è “ama e sii gentile”, ma ama e decidi i mezzi più opportuni di difendere il tuo Amore. Ma, soprattutto: fa’! C’è chi sugli spalti dello stadio inveisce contro l’arbitro con gli epiteti che conosciamo, chi invece tace: ma chi sta giocando la partita? Possiamo essere spettatori urlanti o spettatori silenti: ma questo non cambia la nostra natura di spettatori, fino a quando non decidiamo che quella partita la vogliamo giocare in prima persona. Faccio un altro esempio molto pragmatico: in ufficio c’è una macchia sul muro.


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Luigi: vede la macchia e tace. Giorgio passa e dice: «Ma guarda qua! Come si può?». E se ne va. Luca dice: «Ah! Una macchia sul muro! Qualcuno dovrebbe assolutamente intervenire!». Filippo: «Guarda la macchia, prende uno straccio e la pulisce». Alessandro: Guarda la macchia, prende uno straccio, la pulisce, torna alla sua postazione e propone un protocollo per la verifica della pulizia dell’ufficio. Se non posso o non voglio fare nulla per la macchia, devo tacere. Chi giudica non è sostanzialmente diverso da chi tace, ma chi giudica offre frustrazione senza soluzione, soprattutto senza indicare quale sia e sarà il suo preciso impegno per risolvere la situazione di cui si lamenta. Appare socialmente più “coinvolto e attivo” ma ciò che di fatto avviene è un risucchio energetico. Se qualcuno ha già raccontato tre volte, dico solo tre volte, un suo disagio personale, relazionale, o professionale, senza aver compiuto alcun gesto concreto per modificare la situazione di cui si lamenta, matura una convinzione razionale che il suo problema non abbia di fatto soluzione. P: Nessun lamento, dunque, ma solo, al massimo, un lamento da professionista o, come vedremo poi, un lamento finalizzato a ottenere una precisa risposta dall’Universo. La Via della Gioia, intuitivamente, porta in alto. Porta verso Dio, quale che sia la definizione che ne dai o l’immagine che ne possiedi. In molte culture e in talune religioni, la cattolica in primis, questa via è tuttavia davvero poco praticata, a favore di dinamiche che fanno leva sulla paura e sul controllo, aspetti decisamente Boc. Fra i Testimoni di Geova si parla di Torre di Guardia e Sorveglianti, come se ci fosse qualcosa da controllare. E in Chiesa


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è tutto un pentitevi o vi lambiranno le fiamme dell’inferno, urlato da uomini vestiti di nero (l’uomo nero delle favole?). È tutto un parlare di penitenze e di peccati capitali. A proposito, approfondendo alcuni tuoi post, ho verificato che, in effetti, i peccati capitali in origine erano otto, non sette come contrariamente si crede. Secondo l’eremita greco Evagrio Pontico (sec. IV), i vizi capitali sono otto. A quelli che noi conosciamo, lui aggiunge la tristezza, in ciò sostenuto poi da Giovanni Cassiano (sec. IV-V), suo discepolo. L’ottavo vizio capitale è la tristezza ed è (era, per alcuni) considerato un vizio perché sottolinea il non essere grati a Dio per averci donato la vita e per le sue opere. I peccati capitali, secondo questa corrente di pensiero, ci tengono lontani da Dio e uccidono il nostro spirito. Questo tipo di pensiero afferma che per eliminare da noi i peccati capitali dobbiamo praticare le virtù opposte, perché le virtù avvicinano lo spirito alla meta del lungo viaggio per tornare al proprio Creatore. Se sono avido, dovrò perciò donare. Se sono ingordo, dovrò per forza controllare questo mio impulso. E se sono triste? Qual è la virtù opposta? L: Se sei triste, devi gioire. Ma loro non ti possono dire di fare questo tipo di penitenza, perché la Gioia è l’emozione che, più di ogni altra, ti avvicina a Dio. E in certi ambienti preferiscono tenertene lontano, per esercitare su di te maggior controllo. Molto semplicemente è così. Le persone che vivono nella Gioia sanno che Dio è con loro, dentro di loro. Tra l’altro, la tristezza è l’unico vizio capitale che riconosco. Come dici tu, era l’ottavo vizio capitale, ma fu tolto. Perché è l’unico vizio che ha come pentimento la Gioia. L’unico vizio che ha come penitenza la Gioia. Ogni giorno faccio penitenza, ogni giorno pratico la Gioia. Nel mio studio dico: facciamo penitenza insieme. Sono una così grande peccatrice che dovrò essere felice per il resto della mia vita. Per farmi perdonare dal mio Dio,


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dovrò godere! Godere e provocare godimento a esseri umani, animali e cose. Per farmi perdonare dal mio Dio quando ho dimenticato la grazia infinita di essere nata viva. Rinuncerò a dirmi povera, sconsolata, incompresa e abbandonata. Rinuncerò la narrazione del trauma del mio mondo, perché questa è la terra della Gioia e della luce. Il Dio della Gioia chiede tutto, non ammette ragioni né tentennamenti. Siccome sono ancora imperfetta, ogni giorno faccio penitenza ogni giorno sono in Gioia. Sacrificati: sii felice. Quando dico ai miei allievi che devono fare penitenza e che devono ogni giorno praticare la Gioia, sorridono. Non sanno ancora che stanno facendo qualcosa di sacro... stanno scegliendo quale Dio alimentare. Quando piango disperata e nello stesso momento alzo le braccia al cielo e dico: «Offro la gioia della pace nel mio cuore», sto realizzando qualcosa di sacro. Entro con corpo volontario nella Verità. E subito arriva la grazia. E subito torna la pace del cuore momentaneamente dimenticata. Questo fenomeno si chiama “perfetta letizia” ed è stato descritto la prima volta da San Francesco. Ed è quanto puoi sperimentare attraverso la pratica della Via. P: Quello che mi stai dicendo, Luciana, e quello che i nostri lettori scopriranno nelle prossime pagine, è dunque che noi abbiamo il potere di convertire energeticamente la realtà che ci circonda inventandocene di sana pianta un’altra? Significa che possiamo diventare Creatori, a prescindere da quel che in questo momento abbiamo intorno? L: Quel che ti sto dicendo, Paolo, è: menti e fa’ la cosa giusta. Il corollario di questo principio, che permea tutti gli assiomi Alf di cui parleremo dopo, è: entra nella gioia anche senza l’allegria. Certo, capisco che gli assiomi Alf, a una prima occhiata, possano sembrare contro intuitivi o, addirittura, in contrasto


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con la realtà attuale e percepita. Ma, per come la vedo io, un conto è avere ragione, un altro è la Verità. La ragione è mutevole, instabile, personale, discutibile. La Verità è impersonale, immutevole, immutabile: è il centro di Gravità permanente, il Faro, la Via. La ragione, anche se non si direbbe mai, è emozionale, si sposta lungo un asse energetico orizzontale, temporale. La Verità è neutra dal punto di vista emozionale, la sua energia cresce lungo un asse verticale atemporale. Si dice che in Oriente si ascolta per cogliere la Verità e in Occidente si discute per aver ragione e io sono d’accordo con questa idea. Per chi segue la via dell’Alf, la Gioia è lo stato naturale di ogni cosa, di ogni essere vivente e per la scala della conoscenza Alf la Luce, o meglio l’essere Luce, supera intelligenza e sapere. Per la Via dell’Alf, la Gioia è la Verità da custodire nel Corpo Sacro. Tutta la disciplina e la pratica Alf aspirano a riportare questo stato di Gioia nel Corpo: la respirazione, gli esercizi posturali, le preghiere universali Alf, gli assiomi. Ogni cosa aspira a questo. E se la mente se ne dimentica, si dimentica di essere grata, si dimentica di essere nell’abbondanza, si dimentica di essere Luce creatrice, si dimentica la Verità, allora sia concesso, anzi sia dovuto, mentire alla mente per fare la cosa giusta per la gioia. Per il Corpo sacro. L’Alf dice: entra nella gioia anche senza l’allegria. Entra nella gioia senza l’autorizzazione della mente. Entra nella gioia con corpo volontario. Se la mente dice: ecco, per questo evento tu devi essere triste e arrabbiato, tu chiediti: «Perché devo? Cosa potrebbe accadermi di così terribile se non lo fossi? Chi mi giudicherebbe? Chi me lo impedirebbe?». E poi, ancora: «Il dolore e la sofferenza sono tabù? Chi è il guardiano della soglia che mi sbarra la strada? Chi mi premierà per la mia sofferenza?».


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Se soffri, da un punto di vista mentale hai “ragione”. Ma se onori la Gioia di essere nato vivo, allora sei nella Verità. Sai, Paolo, le persone, nella vita, dovrebbero porsi domande più utili. Ad esempio, di fronte a un problema, le persone dovrebbero chiedersi: «Ciò che ora mi fa soffrire, potrebbe farmi sorridere tra dieci anni?». Domande di questo tipo attivano le risorse che sono dentro di te e ti fanno letteralmente sperimentare punti di vista diversi. Ti ricordi i cento motivi per cui ti sei arrabbiato o sei rimasto di cattivo umore per un giorno intero negli ultimi tre anni? Forse te ne ricordi tre. Sai perché non te li ricordi? Perché erano fesserie dell’Ego. Allora, ecco il momento più alto in cui esercito il libero arbitrio: decido di agire, quotidianamente, persino a dispetto dei miei pensieri negativi automatici, verbalmente, posturalmente, verso la Gioia. Questo non ha nulla a che fare con il cosiddetto pensiero positivo. Spesso, provocatoriamente dico: che i miei pensieri facciano quel vogliono, io faccio altro! Non ho alcuna intenzione di cambiare i miei pensieri, che arrivino pure nel flusso incessante che li caratterizza. Sbalzi ormonali, la dieta, un contrattempo nel traffico, il gesto scortese di uno sconosciuto: i pensieri mutano velocemente secondo gli eventi interni ed esterni al mio corpo. Non ho alcuna intenzione di controllarli! Sai che fatica sarebbe? E sarebbe inutile, perché viviamo in un mondo così ricco di stimoli esterni che è davvero impossibile controllarli tutti. Ci sarà sempre qualcuno che ti pesta i piedi, in metropolitana, o che parcheggia davanti al tuo cancello. Ecco, io lascio che i pensieri fluiscano, perché conosco i bisogni della mia mente e so che il bisogno primario è proprio produrre incessantemente pensieri. Alcuni sono abbinati a sensazioni positive, altri no. Io intervengo sulle sensazioni, non sui pensieri.


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Come dico ai miei allievi da anni, io metto in sicurezza il corpo. I pensieri cambiano: mantieni la respirazione cosciente. I pensieri tolgono il sorriso: sorridi. I pensieri ti abbattono: alzati. I pensieri ti tolgono la pace: offri la gioia della tua pace nel cuore. I pensieri ti dicono lamentati: taci I pensieri ti dicono sei povero: ringrazia per l’abbondanza. I pensieri ti dicono non guarirai mai: recita cento-volte-cento il mantra “Offro la Gioia del mio corpo in salute”. I pensieri ti dicono: nessuno ti ama. Allarga le braccia più che puoi e cento-volte-cento ripeti: io amo il mondo e il mondo ama me. I pensieri hanno sempre ragione. Tu puoi avere più ragione dei tuoi pensieri. Un’antica storiella Zen narra di un vecchio saggio che non aveva mai mentito in vita sua, mai. Tutti, nel villaggio, lo conoscevano per la sua spettacolare virtù, tanto da aver dimenticato il suo nome di battesimo. Lo chiamavano semplicemente “l’Uomo Verità”. Se ne stava tutto il giorno a meditare lungo un sentiero al centro della foresta, godeva respirando dell’aria fresca e dei profumi della natura seduto sul suo masso di pietra bianca. In lui regnava una gran pace. Capitò un giorno che un giovane ansimante e visibilmente spaventato si avvicinò a lui nella notte implorandolo così: «Ti prego, ti prego buon uomo copri la mia fuga, i briganti mi stanno inseguendo e vogliono uccidermi per derubarmi di questa collana che porto al collo! Se dovessero arrivare a te, non dirgli ti prego di avermi veduto!», detto questo, riprese di gran carriera la sua corsa tra la folta boscaglia. Il vecchio sag-


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gio, con una certa fatica data l’età, si alzò dalla sua pietra bianca e si sedette dall’altra parte del sentiero. Dopo pochi minuti, ecco i briganti: «Buon vecchio, hai visto passare di corsa nella foresta un ragazzo, con una lucente collana d’oro al collo?» E il vecchio: «Da quando sono seduto qui, no». Ciò che in realtà accade, se fai la cosa giusta, è che non hai mentito alla Verità. Hai fatto solo la cosa giusta. Tu sei Altezza, tu sei Luce, Tu sei flusso eterno d’energia. Tecnica alf: lamentati da professionista Chi giudica, cerca colpevoli, responsabilità e, anche, motivazioni convincenti perché le cose non possano, più che non debbano, cambiare ed evolvere da una condizione di disagio. Chi prende posizione attiva riguardo a un qualsiasi argomento, invece, si propone come soluzione. Detto questo il nostro consiglio Alf è di lamentarsi da professionisti, seguendo questo schema: Descrivi la situazione (oggettivamente!) che vorresti vedere evolvere; Descrivi i vantaggi che chi ti ascolta potrà ottenere da una evoluzione della situazione che non ti piace; Indica come tu parteciperai alla soluzione, specificando modi, tempi, risorse, abilità e capacità che metterai in campo, concretamente; Indica quale potrebbe essere il ruolo del tuo interlocutore nel cambiamento da te proposto.


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