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T
empo fa, quando io e voi lettori eravamo
soltanto una scintilla nel cielo, una strega crudele chiamata Guerra s’impadronì delle nostre terre, allevando i temibili uccelli di ferro che si divertivano a distruggere le abitazioni in una partita di tiro al bersaglio. Persino i ponti non riuscivano a scamparla. Ce n’era uno di legno che univa un paesino di campagna tagliato perfettamente a metà da un lungo canale. La Guerra lo prese di mira diverse volte, tuttavia gli abitanti non si stancavano mai di ricostruirlo, sempre più solido, e gli uccelli di ferro dovettero rassegnarsi a lasciarlo in pace. – Almeno per un po’ – tuonò quella strega crudele.
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Ora, infatti, la serenitĂ di quel paesino, incorniciato da sconfinati campi di mais, sembrava garantita da un periodo di quiete.
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Accanto al ponte, al di qua del canale, vivevano il signor Tanino e la moglie Teresa con le loro quattro bestie. A dir la verità non erano esattamente quattro, è un modo simpatico per spiegare che non avevano molti animali rispetto al signor Giannantonio, proprietario di una grande fattoria centenaria dall’altra parte del canale.
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Il signor Tanino aveva ereditato dal nonno una semplice casa, una piccola stalla, un campo di mais, un orto pieno di verdure con alcuni alberi da frutto e un laghetto che muoveva la ruota di un minuscolo mulino. Insieme alla moglie dedicava tutta la giornata al lavoro della terra e alla cura degli animali: un toro, due galli ben separati, tre mucche, quattro vitellini, cinque gatti, sei oche, sette conigli, otto topi ormai addomesticati, nove pulcini, dieci galline e undici‌ no, un mulo!
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Non confondetelo con un ciuco, un asino comune per capirci; il mulo è tutt’altro: ha un papà cavallo e una mamma asina, mentre il ciuco ha entrambi i genitori asini. Dove eravamo rimasti? Sì, a un mulo che Tanino aveva comprato alla fiera del bestiame, lasciandosi convincere che portasse sacchi pesanti meglio di un carretto e facesse la guardia meglio di un cane. Infatti un cane mancava in quella piccola proprietà e, dopo la scomparsa di Enrico Quarto, nessuno aveva mai preso il suo posto.
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Ma… facciamo un passo indietro. La fiera del bestiame si teneva in città ogni anno. Era un appuntamento immancabile per Tanino, che vi si recava con la moglie per cercare mangimi in offerta e ammirare gli animali in mostra dei grandi allevatori. Tra i quali si distingueva il signor Giannantonio. Tanino aveva sempre desiderato, fin da bambino, di partecipare come allevatore a quell’importante manifestazione. Quando la visitò per la prima volta a sei anni, accompagnato dal nonno, ne fu ammaliato e iniziò a sognare. – Nonno, da grande trasformerò la tua stalla in una fattoria gigantesca.
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Ma i sogni non sempre esaudiscono tutti i nostri desideri, a volte però ci accontentano un poco per non deluderci. Fatto sta che le quattro bestie nella stalla di Tanino erano il premio di consolazione per la sua tenacia e, per quanto riguarda la fiera, dovette accontentarsi di visitarla da semplice spettatore. Negli ultimi anni la fiera del bestiame fu completamente ricoperta da immensi capannoni di metallo, per evitare che la Guerra si innervosisse alla vista di un gran via vai di gente e per l’eccessivo odore di letame. Tanino e Teresa passeggiavano mano nella mano, partivano dal padiglione numero 1 degli attrezzi da lavoro e, senza perdere neppure un angolo, arrivavano sul far del tramonto al padiglione numero 40 delle sementi per campi. Il tempo lo trascorrevano soprattutto alla premiazione delle migliori mucche da 14
latte, agghindate come modelle, che sfilavano accanto ai ricchi proprietari sotto gli occhi stupefatti dei visitatori. Mentre i due contadini si stavano recando nel padiglione numero 21 dei conigli, l’attenzione di Teresa fu catturata da un uomo e una donna seduti accanto a un casotto di legno, uno alla destra e l’altra alla sinistra. Sopra c’era la scritta Trich e Berlìch. Nel dialetto di quei territori significava più o meno “poco o niente”, in poche parole: Fermati, questo è un affare!
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Alla fiera non vi era niente che costasse poco, anche il mangime dei polli richiedeva molte giornate di lavoro. E allora cosa vendevano quei due? Tanino e Teresa non riuscirono a resistere e si avvicinarono incuriositi. L’omino si alzò di scatto: – Cara, apri il casotto ai signori! La donna tirò fuori una chiave dal grembiule, aprì il lucchetto arrugginito e spalancò una porticina cigolante. Dentro, in fondo nel buio, respirava un’ombra. – Tanino, sono galline? – domandò Teresa. – Mah, non vedo bene, c’è qualcosa sotto la paglia – rispose il marito, che pensava già a una fregatura. – Galline? – intervenne la voce squillante del venditore. – Signori, guardate bene. Vi servono gli occhiali? È un mulo speciale, non come tutti gli altri muli. Porta sacchi pesanti meglio di un carretto e fa la guardia meglio di un cane da guardia. 16
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