Missioni omi 03 2015

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Prezzo di copertina € 2,20 - marzo 2015 - Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, C/RM/68/2012

attualità

dossier

fatti

missioni

Paolo Damosso e il suo libro su Mario Borzaga OMI

Tour demazenodiano nella prima città della Sicilia

Un originale e artistico percorso mariano

I discepoli e l’Eucaristia

MISSIONI

RIVISTA MENSILE DI ATTUALITÀ MISSIONARIA

OMI

n. 3 MARZO 2015

Con il giovane Eugenio de Mazenod

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a Palermo

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SOMMARIO MISSIONI OMI Rivista mensile di attualità fondata nel 1921 Anno 22 n.03 marzo 2015

attualità

Nelle stanze di S. Filippo Neri di Fabio Ciardi

Romanzo d’Amore

La testata fruisce dei contributi statali diretti di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 250

di Pasquale Castrilli OMI

EDITORE

Provincia d’Italia dei Missionari Oblati di Maria Immacolata Via Egiziaca a Pizzofalcone, 30 80132 Napoli

news

Via dei Prefetti, 34 00186 Roma tel. 06 6880 3436 fax 06 6880 5031 pax1902@gmail.com

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La nuova evangelizzazione

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Notizie in diretta dal mondo oblato

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di David Lopez OMI

REDAZIONE

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a cura di Elio Filardo OMI

Mgc news

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Storia di una facciata

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Camminare sostenuti da Maria

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Lettere al direttore

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Tipolitografia Abilgraph - Roma

Lettere dai missionari

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FOTOGRAFIE

Qui Spagna, Qui Senegal

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DIRETTORE RESPONSABILE

Pasquale Castrilli REDAZIONE

fatti

Salvo D’Orto, Elio Filardo, Gianluca Rizzaro, Adriano Titone COLLABORATORI

Claudio Carleo, Giovanni Chimirri, Fabio Ciardi, Gennaro Cicchese, Angelica Ciccone, Luigi Mariano Guzzo, Thomas Harris, Luisa Miletta, Sergio Natoli, Michele Palumbo

di Angelo Daddio OMI

di Pasquale Castrilli OMI

PROGETTO GRAFICO E REALIZZAZIONE

missioni

Elisabetta Delfini STAMPA

Si ringrazia Olycom www.olycom.it UFFICIO ABBONAMENTI

Via Tuscolana, 73 00044 Frascati (Roma) tel 06 9408777 - Valentina Valenzi rivista.missioni.omi@omi.it Italia (annuale) Estero (via aerea) Di amicizia Sostenitore

A Palermo

Finito di stampare febbraio 2015 Reg. trib. Roma n° 564/93 Associata USPI e FESMI www.missioniomi.it www.facebook.com/missioniomi

DOSSIER

sui passi di S. Eugenio de Mazenod

17 euro 37 euro 35 euro 65 euro

Da versare su cc p n. 777003 Home Banking: IBAN IT49D0760103200000000777003 intestato a: Missioni OMI Rivista dei Missionari OMI via Tuscolana, 73 00044 Frascati (Roma)

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dossier

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Un affascinante viaggio culturale e spirituale sui luoghi della gioventù palermitana del fondatore dei Missionari OMI

E di Vincenzo David enzodavid@virgilio.it

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ugenio de Mazenod visse a Palermo dal 6 gennaio 1799 all’11 ottobre 1802. Fu il suo esilio palermitano. Ripercorrere i luoghi da lui frequentati durante il suo soggiorno durato quasi quattro anni è un esperienza davvero interessante. Attraversare le piazze, le strade, i palazzi e le chiese dove è passato circa duecento anni fa ci introduce, senza nemmeno accorgerci, in un’atmosfera di altri tempi. Studiando le lettere dell’epoca che Eugenio scrisse al padre, ad altri familiari ed amici e le sue memorie Souvenirs de famille, che egli stes-

so elaborò molti anni dopo l’esilio in Italia, con alcuni laici della comunità oblata di Palermo avevo compiuto studi in merito al periodo che Eugenio de Mazenod trascorse a Palermo dal 1799 al 1802 e nel 1996 pubblicammo il volume “Eugenio de Mazenod racconta se stesso: l’esperienza palermitana” (Editrice Missionari OMI). La visita di alcuni Oblati a Palermo mi ha dato l’occasione di organizzare un itinerario dei luoghi frequentati dal fondatore. È come camminare sulle sue orme in una sorta di “tour demazenodiano” a Palermo.

Il porto di Palermo e il palazzo dei Cannizzaro Si parte dal porto di Palermo dove la sera del 6 gennaio 1799 arrivarono da Napoli con la nave dell’ammiraglio portoghese Puységur. Eugenio, suo padre Carlo Antonio, suo zio canonico Fortunato e suo zio Luigi, capitano di vascello. I De Mazenod partirono da Napoli la sera del 3 gennaio 1799 e giunsero, dopo un difficile viaggio, a Palermo la sera del 6 gennaio 1799, festa dell’Epifania. Eugenio, a tal proposito, scrive nei Souvenirs de famille:

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una foto per pensare 014_021_03.indd 14-15

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foto di Giovanni Chimirri, gio.chimirri@gmail.com testo di Luisa Miletta, luli89@libero.it

UNA FOTO PER PENSARE

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È la prima cosa che impariamo a fare: tenere la mano di qualcuno. Il primo contatto di un neonato passa attraverso lo stringere forte il dito della mamma, come se il dito sostituisse il cordone che lo legava al grembo materno e di cui, una volta nato, sente la mancanza. I bambini tengono le mani degli adulti per imparare a camminare, attraversare la strada, sentirsi protetti da ogni male, ma anche per insegnar loro a stupirsi dei dettagli del mondo, a pensare alla pioggia come una doccia che lava la natura e la disseta. Con le mani si accolgono le anime altrui, anche quelle più scure, quelle che necessitano della gioia di un bambino che le riempia dei colori della vita.

L’anima tra le mani 28

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MISSIONI

editoriale Pasquale Castrilli OMI pax1902@gmail.com

OMI

Assolutamente si!

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È

attualità

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fatti

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Paolo Damosso e il suo libro su Mario Borzaga OMI

Tour demazenodiano nella prima città della Sicilia

Un originale e artistico percorso mariano

I discepoli e l’Eucaristia

MISSIONI

RIVISTA MENSILE DI ATTUALITÀ MISSIONARIA

OMI

n. 3 MARZO 2015

Con il giovane Eugenio de Mazenod

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a Palermo

un’affermazione molto in voga in Italia, in questi tempi. Sentiamo risponderci così (o forse rispondiamo anche noi così) a domande che poniamo (o riceviamo), con l’idea di dare maggiore sostanza e convinzione al nostro assenso. E, come spesso capita, l’aggettivo rischia di negare il sostantivo tanto che un sì semplice assume un peso più greve dell’assolutamente sì. Come il caro che oggi sembra avere più valore del carissimo che dovrebbe esserne il superlativo. Al di là delle notazioni di linguistica e di uso delle parole nel linguaggio comune, l’assolutamente sì, tanto usato, mi fa pensare, in questa Quaresima, al beneplacito libero di Gesù Cristo di fronte alla Volontà del Padre che lo invia per la redenzione del genere umano. Un compito grande. Alcuni teologi nel corso dei secoli si sono avventurati su un argomento forse tra i più delicati: quale coscienza Cristo aveva di sé stesso e della missione salvifica alla quale era stato chiamato? A partire dal Vangelo di Giovanni che presenta sette grandi segni che accreditano Gesù come Messia, fino alle dispute ariane sull’ignoranza di Cristo, per arrivare a Fulgenzio da Ruspe che affrontò per primo, in maniera specifica, il tema dell’autocoscienza di Cristo. Ciò che a noi interessa è il dono della salvezza re-

alizzato dal Figlio di Dio e la sua volontà di essere a servizio del Padre e degli uomini. Il fondatore dei Missionari Oblati di Maria Immacolata, S. Eugenio de Mazenod, fece un’esperienza personale, profonda e fondamentale per il seguito della sua vita, un venerdì santo, probabilmente del 1807. In quell’occasione si sentì salvato: amato, perdonato e accolto dalla misericordia di Dio, resa manifesta dalla croce del Figlio. Si era posto nella condizione di beneficiare dell’assolutamente sì detto da Cristo al Padre e alla sua Volontà. Questa forte esperienza spirituale era stata preceduta da anni burrascosi che il giovane francese aveva vissuto da esule, con il padre, in Italia. Nizza, Torino, Venezia, un anno a Napoli e i quasi quattro anni a Palermo… Proprio a Palermo, la città del neo eletto presidente della repubblica italiana, Sergio Mattarella, ci rechiamo per un tour ben organizzato che è stato già sperimentato da vari pellegrinivisitatori. Si percorrono le strade del capoluogo siciliano, si entra in piazze, si visitano palazzi e chiese, per cogliere il percorso umano e spirituale del giovane Eugenio. Anni importanti che preparano il ritorno in patria e che preludono al suo sì personale a Dio, alla vocazione sacerdotale e missionaria, ad una vita finalmente libera. ■

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lettere al direttore

MISSIONI

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La linfa

In questo tempo nel quale il Mediterraneo è crocevia e via crucis di un nuovo esodo di migliaia di esseri umani che scappano da guerre, persecuzioni e fame, è opportuno chiederci “Dov’è tuo fratello?” Nel solco della chiesa che riflette sul ruolo e la missione della famiglia nella chiesa e nel mondo, l’Ufficio Migrantes di Palermo ha desiderato dare un contributo, nell’ottica interculturale e attraverso alcuni linguaggi artistici, al Convegno degli operatori della pastorale familiare delle chiese di Sicilia, riuniti presso l’Hotel Fiesta a Campofelice di Roccella (Pa) dal 21 al 23 novembre 2014. “La linfa” è stato il titolo del concerto di fraternità proposto dalla comunità interculturale ‘Arcobaleno di popoli’. Come ogni albero ha una sua linfa, così ogni persona ed ogni famiglia, attraverso le differenze culturali e le appartenenze

etniche, esprime e rende visibile la medesima linfa: l’Amore. ‘Arcobaleno di popoli’ ha espresso questa convinzione attraverso canti, danze, sketches ed esperienze. È stato un modo di condividere, costruire fraternità, di essere, non solo una sola famiglia umana, ma anche la famiglia di Dio che cerca

di essere icona trinitaria nella comunità degli uomini. Alla serata erano presenti cattolici, hindù, musulmani e cristiani di altre confessioni. Sergio Natoli OMI Palermo

Informare forma di solidarietà La parrocchia S. Nicola a

Patti (Me) è stata per anni retta dai missionari Oblati di Maria Immacolata. Per chi come me ha sentito, sin da bambina, parlare di “missione”, la presentazione del libro di p. Pasquale Castrilli, è stata occasione di riflessione. A cominciare dalla copertina del libro. Nel tempo delle immagini l’autore ha trovato nella

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vignetta la sintesi del confronto tra due modi di diffondere “la lieta novella” e il titolo sembra essere la sua didascalia: “Raccontare il Vangelo o la terra di missione? Riviste missionarie nell’era di internet”. Il titolo pone una domanda che, da una parte esprime un dubbio, dall’altra ci suggerisce, anche, grazie al sottotitolo, la risposta; il dubbio dell’autore sul modo migliore di dare una testimonianza e la certezza di avere trovato una soluzione: stare al passo con i tempi e sapere utilizzare i nuovi strumenti della tecnologia e dell’informatica. L’informazione missionaria cartacea, telematica, televisiva racconta fatti e situazioni di cui i missionari sono protagonisti o osservatori in un’ottica che vede l’informazione come prima forma di solidarietà. Spesso si confonde nel parlare quotidiano la parola missione con vocazione. La vocazione è ciò che determina la missione; la missione, quindi, è il risultato della vocazione. Nel numero di dicembre di Missioni OMI ho letto una pagina di p. Adriano Titone, missionario Oblato, in cui risulta chiaro il

significato di missione: “vivere e operare come corpo apostolico. Missione è partecipare alla vocazione apostolica di quei primi dodici discepoli che Gesù costituisce apostoli, cioè inviati. Non possiamo vivere la missione ciascuno per conto suo, ma piuttosto come cellula viva all’interno della chiesa, corpo di Cristo che ci rende partecipi della sua missione e ci invia ai confini dell’esistenza di uomini e donne del nostro tempo”. L’enciclica Gaudium et Spes sottolinea che “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo” (GS 1). La comunità dei cristiani si sente realmente solidale con il genere umano e con la sua storia. La ringrazio del suo lavoro e auguro a lei e a chi vive per le missioni e nelle terre di missione di continuare ad operare con fiducia, serenità e successo, rinnovando ogni giorno la propria impegnativa scelta d’amore. Alessandra Lo Presti Patti (Me) Grazie Alessandra delle sue parole e

dell’incoraggiamento ai missionari. La presentazione del libro a Patti, svoltasi il 25 gennaio nell’Antico caffè Galante, ci ha permesso di ragionare su alcuni temi della missione e dell’informazione a servizio dei popoli del sud del mondo. Fa piacere sapere che il seme missionario, seminato dagli OMI nella sua bella città, abbia portato degli ottimi frutti!

In Laos Mauro Ferrari e la moglie laoziana, Banchit Kirivong hanno fatto visita a mons.Tito Banchong, amministratore apostolico di Luang Prabang. Mauro, ex scolastico oblato negli anni ‘60, dal 1969 al 1973 ha insegnato, come laico,

nella scuola Dao Hung di Luang Prabang. Nel giugno 1973 sposò Banchit e con lei rientrò in Italia. Da allora, periodicamente tornano in Laos. Hanno potuto incontrare p. Tito e partecipare per la prima volta alla messa. Hanno anche conosciuto uno dei tre nuovi diaconi di etnia k’hmù,che riceveranno l’ordinazione sacerdotale nel corso di quest’anno. Angelo Pelis OMI Roma Informazione per i nostri lettori Dal prossimo mese di aprile l’abbonamento a Missioni OMI costerà 19 euro. Un adeguamento che risulta necessario per i costi di produzione del nostro mensile.

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cartolina missionaria

La Roma di sant’Eugenio/2

Nelle stanze di S di Fabio Ciardi ciardif@gmail.com

A

Roma sant’Eugenio si trovava come a casa sua. Era ammirato dalla città che percorreva in fretta a piedi da un lato all’altro per mille incombenze. Quando ormai il suo primo soggiorno, dopo cinque mesi, stava volgendo al termine, nel diario annotava: “Non ho quasi il coraggio di confessare che, unicamente preso dai miei affari a Roma, ho messo poca cura nel visitare le curiosità che attirano tanti stranieri in questa superba città. Attento solo a cercare i monumenti di cui la pietà di tutti i secoli ha lasciato tante tracce, ero soddisfatto nel visitare una basilica, pregare sulla tomba di un santo, contemplare qualcuna delle loro opere e i luoghi da loro abitati” (16 aprile 1826). Il giorno dopo, sempre attratto dai santi, decise di visitare la chiesa di S. Girolamo del-

la Carità tra piazza Farnese e via Giulia, dove S. Filippo Neri aveva vissuto ben 33 anni della sua vita, dal 1551 al 1583, fondandovi l’Oratorio.

Nasce l’oratorio La chiesa sorge su rovine di epoca romana, identificate come la casa della nobile matrona santa Paola, che nell’anno 382 ospitò S. Girolamo, invitato a Roma da papa Damaso. Per questo si chiama chiesa di S. Girolamo.Nel 1524 Clemente VII l’aveva data all’Arciconfraternita della Carità. Per questo “S. Girolamo alla Carità”. Oggi la chiesa è abitualmente chiusa. Per entrare devo suonare il campanello dell’attigua casa delle suore, che gentilmente mi introducono in questo gioiello. Subito appare la Cappella Spada, il capolavoro del Borromini. Dopo aver visto la cappella di S. Filippo dello Juvarra, salgo nella stanzetta dove viveva S. Filippo e dove accoglieva amici e penitenti. Mi piacerebbe es-

sere in compagnia degli altri visitatori del suo tempo, tra i quali S. Ignazio di Loyola, S. Felice da Cantalice, S. Carlo Borromeo, S. Camillo de Lellis… Oltre alle visite c’erano dei compagni fissi: la gatta, gli uccellini nella gabbia sempre aperta, il cagnolino Capriccio. La stanzetta risultò troppo angusta e fu necessario adattare il granaio posto sopra la navata destra della chiesa a sala di incontro. È così che nacque l’Oratorio.

Una fonte di ispirazione Mi siedo nella stanza dove S. Filippo ha vissuto e apro il diario di sant’Eugenio: “17 aprile 1826. Desideravo da molto tempo celebrare il santo sacrificio nella camera occupata per più di 30 anni da S. Filippo Neri e di servirmi dello stesso calice usato da lui. L’altro giorno, con questo scopo, sono andato a tastare il terreno per non illudermi. Mi promisero che qualsiasi giorno avessi scelto, sarebbero stati contenti

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di S.Filippo Neri di soddisfare la mia devozione. Sono dunque andato questa mattina e la cappella è stata immediatamente aperta ed è stato preparato il prezioso calice. L’altare si trova proprio nella piccola camera occupata dal santo, proprio quella in cui fu favorito da tante visioni celesti (…). Questa stanza è stata la sola di tutta la casa a non essere stata preda delle fiamme. Il Signore non ha voluto permettere che un santuario così caro alla pietà fosse tolto ai fedeli che, da diverse parti del mondo vengono ad attingervi buoni sentimenti”. S. Filippo era tra i santi “preferiti” di sant’Eugenio. Quando questi ebbe l’idea di dare vita ai Missionari di Provenza pensò subito di ispirarsi alle sue regole. Vedeva i membri della futura comunità uniti come i padri dell’Oratorio. Nella prima lettera a p. Tempier, che diventò il suo primo compagno, aveva scritto: «Spero che avverrà di noi quel che fu dei discepoli di S. Filippo i quali, liberi come resteremo noi,

morivano prima di pensare di uscire da una Congregazione amata come una mamma». Un anno prima aveva scritto al suo amico Forbin Janson, in visita a Roma, perché gli procurasse una reliquia di Filippo Neri “che è uno dei patroni della mia piccola associazione della gioventù”, premurandosi di aggiungere: “ma che sia autentica!”. E gli raccomandò: “Nel tuo interesse non dimenticare di dir messa col calice di cui si serviva lui”.

Con il calice di S. Filippo Ora finalmente Eugenio stesso poteva celebrare la messa con quel calice. Da giovane sacerdote Eugenio aveva scritto anche una pagina delle sue note spirituali nella quale raccontava in maniera dettagliata come S. Filippo diceva messa. Sicuramente, quella celebrata nella stanza del santo, l’avrà vissuta, come S. Filippo, “con una devozione straordinaria…”. Come le suore con me, Eugenio scrive che anche allora il decano della

Una leggenda dice che la chiesa di S. Girolamo della Carità fu fondata nel IV secolo. Nel convento adiacente aveva abitato, tra il 1551 e il 1583, S. Filippo Neri

chiesa e il sacrestano furono “gentili oltre misura… e, dopo il ringraziamento della messa, ho dovuto accettare una tazza di cioccolata”. Tornò nella stanza di san Filippo dieci giorni più tardi, il 27 aprile, come annota ancora nel diario: “Non contento di aver detto la messa col calice di S. Filippo Neri, ho avuto la devozione di dirla anche nella cappella vicina alla camera che occupava e che è la stessa cappella in cui si fermava molto a lungo per celebrare i divini misteri…”. Una targa di marmo ricorda che quelle stanze furono un cenacolo di santità. Sant’Eugenio ha continuato la tradizione. Potremmo visitarle anche noi per entrare a far parte di quel cenacolo. n

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attualità

Romanzo d’ ORE ZO D’A M

ROMANZO D’AMORE

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Paolo Damosso

aga Damosso Paolo z r o B o i r Ma Mario Borzaga racconta

hi è Mario Borzaga? a domanda che mi sono immediatamente posto pria di scrivere questo libro, dopo la lettura del suo diafitto, preciso, profondo ed ispirato. osto primente p o diaaga? me spiegare una profondità d’animo diMcui non Borzriemediata ra del su i è ario che mi sono im u h tt «C le la o a percepire il fondo, che cammina inom parallelo anda allato libro, dopo È la d pieno ues pirato. n riegerezza di un giovane bello, intelligente, diqvita, i scrivere , profondo ed is nimo di cui no a dangolo artire prima di compiere 28 anni, inmun ciso dità d’a a in parallelo alla presperdun , o fo tt ro fi p , rio di foresta in Laos, e mai più ritrovato? di vita, gare una do, che cammin te, pieno n ome spie come a vita – quella di Mario Borzaga – C sceneggiata , intelligen epire il fo sperduo a perc i un giovane bello ni, in un angolo sc romanzo, che lui stesso definisce Romanzo d’Amore». 8 an za d to? mpiere 2 leggerez e rima di co e mai più ritrova eneggiata com ar tire pDamosso s, mPaolo ao L a – sc ore». in ag m a rz ’A o d st B re zo to di fo Roman di Mario – quella stesso definisce i Una vita amosso zo, che lu Paolo D an m ro un

del suo libro su p. Mario Borzaga OMI recentemente pubblicato

9 788821 593901

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€ 15,0 0

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di Pasquale Castrilli OMI pax1902@gmail.com

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na scoperta per lo scrittore e artista Paolo Damosso. Una sorpresa decisamente inaspettata, la conoscenza della vicenda umana e spirituale di p. Mario Borzaga, il missionario Oblato di Maria Immacolata morto martire nel 1960, in Laos, assieme al catechista Paolo Xyooj e del quale è stata introdotta la causa di beatificazione. Una rivelazione che Paolo Damosso ha consegnato alle pagine del suo libro

Romanzo d’Amore edito dalle Paoline lo scorso dicembre e presentato a Roma il 10 gennaio. Damosso come ha strutturato il libro? Il filo della narrazione è quello cronologico? La prima volta che mi hanno parlato di Mario Borzaga, mi hanno raccontato del suo martirio. Per essere sintetici: un giovane di 28 anni, missionario in Laos, uc-

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un servizio

silenzioso

ciso nel 1960 e mai più ritrovato. Una notizia che non ha mai fatto notizia. Una storia consumata in un angolo di mondo di cui si è sempre parlato troppo poco e che ha visto il sacrificio di persone che hanno donato se stesse in nome di un Vangelo da tradurre in ogni gesto e in ogni attimo di vita. Partire da qui mi è sembrato naturale. I minuti trascorsi dalla cattura al suo sacrificio sono stati il terreno su cui ho costruito tutta la narrazione. Questo giovane trentino, lontano dalla sua terra e dalle sue radici, è costretto a scavare lo spazio di terra in cui il suo corpo resterà, senza essere più trovato. Tutto questo mi ha turbato e coinvolto in un modo che non mi aspettavo. Cosa passa nella testa di un uomo in quei momenti? Cosa pensa? Cosa vede di fronte a sé? Ho immaginato che ripercorresse la

Altare dedicato a p. Mario nella chiesa parrocchiale S. Antonio a Trento

vita intera, come un quadro in cui tutto si sviluppa in una successione sorprendente e provvidenziale. Ho pensato al carico di vitalità, di energia, di legittime paure che “un ragazzo” di quell’età può avere in quelle circostanze. Un naturale rifiuto di una fine così cruenta, una fatica umana insopportabile. Ho pensato al fatto che, se in questi casi, il corpo è recluso, la mente vola, corre. E il nostro Mario insegue la memoria, per ritrovare pienamente il senso della sua vita, della sua scelta, della fede e del suo martirio. Da qui parto e ritorno con regolarità, alternando la sua storia di famiglia e di crescita. Un percorso

Desidero ringraziare di cuore tutta la famiglia religiosa dei Missionari Oblati di Maria Immacolata. Questo libro è dedicato in particolare ai tanti missionari Oblati sparsi, oggi, per il mondo, che continuano il loro servizio silenzioso, senza risparmiare energie e coraggio. Un grazie particolare va a p. Angelo Pelis, che mi ha trasmesso tante emozioni, ricordando il confratello Mario la cui memoria è ancora viva negli occhi e nelle voci di molti dei suoi compagni di viaggio, in particolare di mons. Alessandro Staccioli e di p. Gigi Sion, memorie preziose per la mia ricerca. Infine non posso dimenticare il calore che mi hanno trasmesso a Trento la sorella Lucia, il notaio della causa Marlies Miorelli, l’amico di seminario e coordinatore della Commissione storica, don Giorgio Bolognani. Un concerto di voci e di cuori per far vivere, nel modo più credibile e attuale, il Romanzo d’Amore di Mario Borzaga. Paolo Damosso

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naturale e normale. Un’umanità sorprendente e disarmante che ci parla. Basta ascoltarlo e fare silenzio dentro e fuori di noi. Quali sono state le sue fonti principali per conoscere la vicenda umana e il cammino spirituale di Mario? Al centro della mia ricerca c’è il dia-

In alto, un momento dell’Assemblea annuale Amici di p. Mario. Sotto, mons. Tito Banchong celebra messa a Luang Prabang

rio di Mario. Un’opera corposa, ricca di spunti, profonda e intima che alcune volte ho sentito quasi di violare, anche se è stata resa pubblica da tempo, grazie all’impegno e all’entusiasmo della sorella Lucia. Pagine che lui ha scritto di certo non per essere lette da un pubblico, in cui annota e riflette con se stesso i passaggi della sua vita, a partire dal primo ottobre 1956 al 18 aprile 1960, pochi giorni prima del suo martirio. Un diario che ho dovuto leggere molte volte e nel quale sono cascato. Mi ha attratto, coinvolto e un po’ anche stravolto. Le ragioni non sono spiegabili razionalmente. Ho incontrato

Mario in un momento della mia vita in cui la sua umanità mi ha parlato direttamente, senza mediazioni. Ha parlato a me, Paolo, mi ha detto delle cose, mi ha provocato, e ho immaginato come poter mettere al centro del mio libro queste parole. In parallelo ho fatto una ricerca sulle sue lettere ai familiari, ad alcuni parenti. Parole che lui scrive con un altro tono, conscio di dover comunicare all’esterno un cammino spesso faticoso e, negli ultimi tempi, anche pericoloso. Io desidero fortemente che il mio libro inviti a scoprire queste fonti, in particolare il diario. Un testo che deve aprire e invogliare a leggere ciò che lui scrive, con il cuore ispirato e con l’abilità dello scrittore/giornalista. Questi scritti ci parlano di Mario uomo. La sua umanità è paradigmatica. Una chiave presente sempre, che s’intreccia alla sua tensione verso la santità. Per questa ragione Mario Borzaga è simbolo di un’esperienza di santità ordinaria, carnale, quotidiana. Talmente uomo, da provocare tutti alla santità. Nonostante questo, la profondità dei suoi pensieri è tale che risulta, una strada maestra da percorrere. Abbiamo bisogno, oggi, di Mario. Perché capace di riflessioni altissime che illuminano ogni suo gesto, e incapace di smettere di fumare. Una debolezza su cui ho insistito molto, perché lui ne parla molto. Non sono convinto che questi siano tempi per presentare santi impossibili da raggiungere. È tempo di riflettere su una santità profondamente umana, che vive i problemi dell’uomo e della donna di oggi. Sono convinto che anche il lettore si possa immedesimare in questo aspetto che avvicina, che ci fa sentire Mario come uno di noi. Il migliore di noi. Cosa l’ha colpita di più della vita di questo giovane missionario? Le parole che lui scrive hanno la freschezza dell’età e la maturità piena di

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attualità

un adulto, di un uomo che ha percorso una vita intera. Tante volte nel leggerlo, mi sono fermato è ho detto: “ma è un ragazzo… come ero io a ventotto anni? Cosa pensavo, vivevo e facevo?”. Ho cercato di richiamare a me stesso molte volte questo aspetto. E sono sicuro che i giovani, oggi, possono avere un bel punto di riferimento in lui. Un esempio solido, ispirato. Ma nello stesso tempo un uomo con le sue domande e le sue fragilità. Incarnato in una scelta coraggiosa che vive senza farsi sconti. Partire per il Laos, in quegli anni, voleva dire andare su un altro pianeta. In assenza di comunicazione, senza skype, facebook e il cellulare in tasca.

La sua umanità è paradigmatica. Una chiave presente sempre, che s’intreccia alla sua tensione verso la santità Peraltro, questo non vuol dire che i missionari di oggi abbiano vita facile, anzi, basta leggere le cronache per capire che il martirio continua ad essere drammaticamente attuale. Mario è un faro esemplare nella sua essenzialità. E ancora c’è un aspetto che ho voluto mettere al centro della mia narrazione: Armando. Chi è Armando? È un nome di fantasia che Mario fa comparire il 12 luglio del ’59 e che rappresenta una sorta di alter ego. Un lato di se stesso con cui deve combattere, un mediocre con il quale deve dialogare. Un modo per guardarsi dentro, cercando un con-

fronto con la parte di sé meno ispirata. Da qui la mia riflessione di base, di cui sono convinto. Ognuno di noi ha in sé il suo Armando. Viviamo in un costante confronto con noi stessi. Convive in ogni persona questo dualismo che può essere un motivo di fatica, ma è soprattutto una crescita e un’opportunità. Per questa ragione mi sono immaginato Mario, negli ultimi istanti, in dialogo fitto con Armando, alla ricerca di una definitiva identità: un uomo, un missionario, un martire. Come ha scelto il titolo del libro Romanzo d’Amore? La risposta è, in questo caso, molto semplice. È Mario che me l’ha suggerita. Scrive nel suo diario: “Così la mia vita passa come il più bel romanzo del mondo, perché è un Romanzo d’Amore, d’Amore con la lettera maiuscola”. Mai come di questi tempi abbiamo bisogno di vivere e leggere la realtà attraverso uno sguardo d’Amore. In una società distratta, pessimista e sempre più individualista, l’Amore resta “l’arma benefica” più efficace e contagiosa. Penso che amare sia l’opzione fondamentale, la decisione quotidiana che siamo chiamati a prendere. Mario Borzaga ha scelto l’Amore come motore di ogni decisione, nei momenti belli e nei momenti più difficili. Anche di fronte ai suoi carnefici. Non è venuto mai a patti con l’odio o con l’egoismo. Ha amato. Oggi diremmo, senza se e senza ma. Senza condizioni e senza retorica o manierismi. Per questa ragione, a mio parere, lui ci può riportare all’essenza originale di una vita vissuta con libertà e ispirazione. Parla della vita di p. Mario come di una “vita sceneggiata come un romanzo”. Sarebbe interessante realizzare un film su questo missionario. Cosa ne pensa? Le vite dei santi sono storie da film.

Paolo Damosso Nato a Torino nel 1964, è autore e regista di programmi televisivi. Sono oltre settanta i lavori che ha scritto e diretto, realizzando reportage, documentari, docufiction e film. Nel 2013 esce il suo primo romanzo La scelta.

Sono vicende piene di intrecci, colpi di scena, scelte faticose, cambiamenti. Mi sono sempre chiesto perché, dal punto di vista divulgativo, spesso sono proposte e raccontate con timidezza, in modo un po’ sbiadito o con un linguaggio per devoti o per esperti. Per questa ragione e per mia deformazione professionale, cerco di scrivere come fosse “un film da leggere”, di cui si desidera capire come va a finire. Questo è il caso del nostro Romanzo d’Amore. Di fatto, quindi, la sceneggiatura del film di p. Mario è già scritta. Mi verrebbe da dire: quando incominciamo a girarla? Per il momento auguro a chi legge di immaginare il suo film, di chiudere gli occhi e di vivere, al fianco di Mario, una vita spesa con Amore. n

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attualità

La nuova

EVANGELIZZAZIONE da Giovanni Paolo II a Francesco Cosa intendiamo quando parliamo di “nuova evangelizzazione”? Percorriamo i più importanti documenti ecclesiali degli ultimi 35 anni di David Lopez OMI dlmomi@hotmail.com

L

a prima volta che Giovanni Paolo II usò il termine “nuova evangelizzazione” fu in un’omelia, in Polonia, il 9 giugno 1979. L’occasione fu a celebrazione del millenario dell’evangelizzazione del suo paese natale. Nonostante siano passati più di trentacinque anni, questa espressione continua ad essere usata con frequenza anche da papa Francesco.

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Alle origini della scristianizzazione In realtà, anche se Giovanni Paolo II fu il creatore e divulgatore dell’espressione, il concetto che voleva comunicare risale a molto tempo prima. Dai tempi della Rivoluzione francese la chiesa cattolica ha dovuto adattarsi ad una nuova situazione socioculturale e religiosa, soprattutto in Europa. La modernità ha sviluppato, in un lento ma devastante processo, una cultura fortemente secolarizzata che, seppur con alcuni aspetti positivi, ha provocato una perdita delle radici cristiane del continente. Ha acceso un fuoco che ha divampato in tutta l’Europa, distruggendo progressivamente la stessa comprensione religiosa della vita, dell’uomo, della società e della cultura. Ciò che rimane è una grande sfida, ovvero come evangelizzare una società che in pratica non è più cristiana, seb-

bene conservi molte forme dell’antica cristianità. Già nel 1975 scriveva Paolo VI: “A causa delle situazioni di scristianizzazione frequenti ai nostri giorni (ci sono) moltitudini di persone che hanno ricevuto il battesimo, ma vivono completamente al di fuori della vita cristiana” (Evangelii Nuntiandi 52). Detto in poche parole: la facciata è cristiana, ma il cuore è pagano.

Christifideles Laici e Redemptoris Missio Due testi esprimono il pensiero di Giovanni Paolo II sulla “nuova evangelizzazione”. Il primo si trova nell’esortazione apostolica Christifideles Laici del 1988, dove usa questa espressione in sei occasioni. È particolarmente rilevante questo passaggio: “Interi paesi e nazioni, dove la religione e la vita cristiana erano un tempo quanto mai fiorenti e capaci di

dar origine a comunità di fede viva e operosa, sono ora messi a dura prova, e talvolta sono persino radicalmente trasformati, dal continuo diffondersi dell’indifferentismo, del secolarismo e dell’ateismo. (…) Il benessere economico e il consumismo, anche se frammisti a paurose situazioni di povertà e di miseria, ispirano e sostengono una vita vissuta «come se Dio non esistesse. (…) Solo una nuova evangelizzazione può assicurare la crescita di una fede limpida e profonda, capace di fare di queste tradizioni una forza di autentica libertà” (ChL 34). L’altro testo lo troviamo nell’enciclica Redemptoris Missio (1990), che costituisce uno dei documenti fondamentali del magistero ecclesiale di tutti tempi sull’argomento della missione. Il tema centrale del documento è la missione ad gentes o missione propriamente detta, cioè tra i non cristiani, ovvero la prima evange-

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Milano, una delle piazze scelte per l’iniziativa “10 piazze per 10 comandamenti”

Evangelii gaudium lizzazione. Insieme e in rapporto con la missione ad gentes, il documento dà un’importanza nuova, particolare e sorprendente al nostro termine. Appare per la prima volta una definizione di “nuova evangelizzazione”. Giovanni Paolo II sostiene che la missione della chiesa è una sola, distinguendo però fra tre situazioni diverse: la missione “ad gentes”, indirizzata ai non cristiani; la “pastorale ordinaria”, indirizzata alle comunità cristiane solide; e finalmente “una situazione intermedia, specie nei paesi di antica cristianità, ma a volte anche nelle chiese più giovani, dove

interi gruppi di battezzati hanno perduto il senso vivo della fede, o addirittura non si riconoscono più come membri della chiesa, conducendo un’esistenza lontana da Cristo e dal suo Vangelo. In questo caso c’è bisogno di una «nuova evangelizzazione», o «rievangelizzazione»” (RM 33). Questa definizione vuole superare la dialettica tra pastorale e missione o, per dirla in altro modo, chiarire l’uso del glossario dei termini missionari applicati ad ambienti tradizionalmente cristiani. Possiamo dire, ad esempio, citando un famoso libro, che la Francia

Esortazione apostolica

L’ Evangelii Gaudium di papa Francesco si caratterizza per franchezza, chiarezza, positività e realismo. Il papa propone soluzioni ardite, coraggiose ed efficaci a numerose questioni. Si sta affermando come punto di riferimento imprescindibile.

è un “paese di missione”, ma lo è nello stesso senso in cui lo è il Turkmenistan, dove la chiesa è appena agli inizi? Certamente no, o meglio, in parte sì e in parte no. Utilizzando il concetto di “nuova evangelizzazione” s’intende chiarire questa situazione di “missione” in un contesto tradizionalmente cristiano. Utilizzando sempre le parole del papa polacco, “non sembra giusto equiparare la situazione di un popolo che non ha mai conosciuto Gesù Cristo, con quella di un altro che lo ha conosciuto, lo ha accettato e poi lo ha rifiutato, pur continuando a vivere in una cultura che ha ampiamente assimilato principi e

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creatività

“LA NUOVA EVANGELIZZAZIONE RIGUARDA TUTTA LA VITA DELLA CHIESA. Essa si riferisce, in primo luogo, alla pastorale ordinaria che deve essere maggiormente animata dal fuoco dello Spirito, per incendiare i cuori dei fedeli che regolarmente frequentano la comunità... In secondo luogo, la nuova evangelizzazione è essenzialmente connessa con la missione ad gentes. La Chiesa ha il compito di evangelizzare, di annunciare il Messaggio di salvezza agli uomini che tuttora non conoscono Gesù Cristo… Un terzo aspetto riguarda le persone battezzate che però non vivono le esigenze del Battesimo. Oltre ai metodi pastorali tradizionali, sempre validi, la Chiesa cerca di adoperare anche metodi nuovi, curando pure nuovi linguaggi, appropriati alle differenti culture del mondo, proponendo la verità di Cristo con un atteggiamento di dialogo e di amicizia che ha fondamento in Dio che è Amore”. Benedetto XVI alla chiusura del Sinodo sulla Nuova evangelizzazione, 28 ottobre 2012

pastorale

valori evangelici. Per quanto riguarda la fede sono due situazioni sostanzialmente diverse” (RM 37).

Evangelii Gaudium e testimonianza personale Papa Francesco ha continuato a usare l’espressione “nuova evangelizzazione”, sebbene con nuove sfumature, e soprattutto l’ha messa in pratica. Fin dalla sua prima apparizione sul balcone della Basilica di San Pietro, Francesco ha impressionato il mondo con il suo nuovo stile. Il papa argentino ha mostrato chiari segni di “novità”, contrassegnati da uno spirito missionario. Non solo nel suo insegnamento, ma soprattutto nel suo modo di fare, ha cercato di sviluppare una vera evangelizzazione. La sua vicinanza alla gente, in particolare ai poveri e agli ammalati, i suoi modi informali, il suo stile semplice e povero, hanno affascinato tanti cattolici e non cattolici. Una giornalista di un noto settimanale americano ha felicemente sintetizzato: “Papa Francesco non ha cambiato il testo, ma la musica”. Il nuovo pontefice ha scritto anche

quello che possiamo chiamare il primo documento ufficiale della chiesa sulla nuova evangelizzazione, l’esortazione apostolica Evangelii Gaudium, in cui raccoglie il frutto dei lavori del Sinodo dei vescovi sulla nuova evangelizzazione e la trasmissione della fede cristiana del 2012. Infatti, il Sinodo è citato trenta volte e l’espressione “nuova evangelizzazione” è utilizzata dodici volte, unita ad altre simili come “nuova tappa evangelizzatrice”, “conversione missionaria o pastorale”, “uscita missionaria”, “rinnovazione”. Per Francesco, la nuova evangelizzazione non è soltanto una modalità della missione universale della chiesa per la situazione dei territori di antica cristianità, ma qualcosa che tocca tutta la chiesa. La chiave non è il fuori, ma il dentro: è la comunità che deve rinnovarsi, diventare più evangelica e evangelizzatrice, purificandosi della “mondanità”. Il problema non è solo il mondo che è cambiato, ma la chiesa che deve cambiare, per non essere del mondo, ma del Vangelo e poterlo trasmettere a tutti. Francesco sottolinea che non è importante soltanto la veri-

tà del messaggio che si trasmette, ma anche il modo di farlo; non dobbiamo vedere solo “che cosa” comunichiamo ma “come” lo facciamo. Questo ha delle conseguenze nel “purificare” tanti modi di fare che non sono essenziali e che oggi non aiutano l’evangelizzazione. Scrive ancora il papa: “Nel suo costante discernimento, la Chiesa può anche giungere a riconoscere consuetudini proprie non direttamente legate al nucleo del Vangelo, alcune molto radicate nel corso della storia, che oggi ormai non sono più interpretate allo stesso modo e il cui messaggio non è di solito percepito adeguatamente. Possono essere belle, però ora non rendono lo stesso servizio in ordine alla trasmissione del Vangelo. Non abbiamo paura di rivederle” (EG 43). Giovanni Paolo II e Francesco ci aiutano a capire cosa significa quella “nuova evangelizzazione” che lo Spirito Santo chiede a tutti i membri della chiesa. Sta a noi, ciascuno nella propria vocazione, continuare ad ascoltare lo Spirito come hanno fatto loro e rispondere con generosità e audacia nei nostri ambienti. ■

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A Palermo

sui passi di S. Eugenio de Mazenod Un affascinante viaggio culturale e spirituale sui luoghi della giovent霉 palermitana del fondatore dei Missionari OMI

di Vincenzo David enzodavid@virgilio.it

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ugenio de Mazenod visse a Palermo dal 6 gennaio 1799 all’11 ottobre 1802. Fu il suo esilio palermitano. Ripercorrere i luoghi da lui frequentati durante il suo soggiorno durato quasi quattro anni è un esperienza davvero interessante. Attraversare le piazze, le strade, i palazzi e le chiese dove è passato circa duecento anni fa ci introduce, senza nemmeno accorgerci, in un’atmosfera di altri tempi. Studiando le lettere dell’epoca che Eugenio scrisse al padre, ad altri familiari ed amici e le sue memorie Souvenirs de famille, che egli stes-

so elaborò molti anni dopo l’esilio in Italia, con alcuni laici della comunità oblata di Palermo avevo compiuto studi in merito al periodo che Eugenio de Mazenod trascorse a Palermo dal 1799 al 1802 e nel 1996 pubblicammo il volume “Eugenio de Mazenod racconta se stesso: l’esperienza palermitana” (Editrice Missionari OMI). La visita di alcuni Oblati a Palermo mi ha dato l’occasione di organizzare un itinerario dei luoghi frequentati dal fondatore. È come camminare sulle sue orme in una sorta di “tour demazenodiano” a Palermo.

Il porto di Palermo e il palazzo dei Cannizzaro Si parte dal porto di Palermo dove la sera del 6 gennaio 1799 arrivarono da Napoli con la nave dell’ammiraglio portoghese Puységur. Eugenio, suo padre Carlo Antonio, suo zio canonico Fortunato e suo zio Luigi, capitano di vascello. I De Mazenod partirono da Napoli la sera del 3 gennaio 1799 e giunsero, dopo un difficile viaggio, a Palermo la sera del 6 gennaio 1799, festa dell’Epifania. Eugenio, a tal proposito, scrive nei Souvenirs de famille:

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La figura della duchessa di Cannizzaro è stata un prezioso punto di riferimento per il giovane Eugenio

“Eccoci dunque a Palermo, felici di essere scampati a tanti pericoli”. Le regina Carolina provvide prontamente alle loro necessità inviando al canonico Fortunato 25 once insieme alla preghiera di celebrare una messa per lei. Costeggiando parte del lungomare di Palermo, si attraversa via Cavour ed arriviamo a palazzo Branciforte, già palazzo del conte Raccuja, lussuosa residenza della famiglia Branciforte a cui apparteneva la duchessa di Cannizzaro e, precisamente, del principe di Butera Ercole Michele Branciforte e Pignatelli, figlio di Salvatore Branciforte e Maria Anna Pignatelli Aragona. La sosta è l’occasione per conoscere la famiglia dove Eugenio è stato ospitato durante il suo soggiorno palermitano: la duchessa di Cannizzaro, donna Rosalia Moncada Branciforte, principessa di Larderia, il duca di Cannizzaro, Baldassarre Platamone

e i figli Michele, Concetta e Francesco. La figura della duchessa di Cannizzaro, devota e pia donna che si comunicava due volte la settimana e conduceva una vita esemplare, è stata certamente un prezioso punto di riferimento per il giovane Eugenio, tanto che lui arriverà a considerarla una “seconda mamma” ed “una santa”. Eugenio ricorda che la duchessa gli aveva ispirato un particolare attaccamento per le sue gentilezze arrivando a sostenere che “i suoi figli certamente non l’amavano più di me. Lo provai molto alla sua morte, quando tutti potettero vedere che il mio dolore fu incomparabilmente più sensibile e più profondo di quello dei suoi figli”.

La chiesa di S. Ignazio all’Olivella Percorriamo via bara all’Olivella, e giungiamo a piazza Olivella dove si

trova la chiesa di S. Ignazio all’Olivella, luogo dove il giovane Eugenio si confessava e dove costruisce una sincera amicizia con i Padri filippini oratoriani ed, in particolare, con p. Bonnaro, che scorge in Eugenio un ragazzo dalla particolare fede, tanto da presentarlo come modello per gli altri ragazzi che frequentano l’oratorio. L’ordine dei Filippini si stabilì a Palermo nel 1593 ed ebbe una notevole influenza in città. La chiesa, di stile tardo barocco con influenze neoclassiche, fu iniziata nel 1598, su progetto dell’architetto Antonio Mattone e terminata nel 1622. Sul lato destro della chiesa è situato l’oratorio edificato nel 1769 dall’architetto Venanzio Marvuglia. L’ex casa dei Padri filippini è oggi sede del Museo archeologico regionale. Possiamo ammirare il ricco portale cinquecentesco, il cortile minore con al centro una scultura del XVI secolo: un tritone restaurato ed il chiostro maggiore che contiene, sotto i portici, sculture varie d’età romana.

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nuove scoperte a

Palermo

Il “Tour demazenodiano” a Palermo ha le sue origini in un testo, pubblicato nel 1996, dal titolo Eugenio de Mazenod racconta se stesso: l’esperienza palermitana, scritto da Antonio Adorno, Vincenzo David, Gabriella Moavero e Marcella Moavero, appartenenti all’Associazione Missionaria Maria Immacolata (AMMI). Il libro voleva essere una sintesi e un approfondimento del rapporto profondo tra il fondatore e la città siciliana, nella quale egli aveva vissuto nel pieno della giovinezza. Sulla base della notevole conoscenza riguardo al periodo palermitano di Eugenio, a quasi vent’anni di distanza dalla pubblicazione del volume, Vincenzo David ha ripreso in

mano la ricerche condotte attorno al 1990 per organizzare questo interessante “Tour demazenodiano” in giro per Palermo. L’idea e l’occasione sono arrivate grazie ad una viaggio del noviziato oblato di Marino Laziale (Rm) nel capoluogo siciliano, nel maggio 2014. Dal loro desiderio di visitare i luoghi in cui aveva vissuto Eugenio dal 1799 al 1802 è nato un percorso di interesse storico, culturale e spirituale. Già per la stesura del libro erano state consultate alcune fonti sulla vita di Eugenio de Mazenod, come anche diversi volumi di storia e architettura della città. Ora, per aggiornare quel lavoro con dati più recenti e dettagliati, alla bibliografia iniziale si sono aggiunti una serie di testi di nuova pubblicazione contenenti studi su Palermo, i suoi palazzi e le sue ville. Le ricerche per il nuovo “tour” «««

Eugenio ricorda la bontà della gente che abitava il quartiere degli “onesti conciatori di pelli”

Il quartiere dei conciatori e il palazzo dei Ventimiglia di Belmonte Riprendendo via Maqueda arriviamo in via Venezia nel quartiere “degli onesti conciatori di pelli”, un tempo bagnata dal fiume Papireto, oggi interrato, dove i De Mazenod soggiornarono nei primi mesi a Palermo. Eugenio

ricorda la bontà della gente che abitava il quartiere: “Non abbiamo avuto che da lodare le attenzioni di questa brava gente”. Ripercorrendo via Maqueda

arriviamo ai quatto canti e camminando per alcuni metri lungo corso Vittorio Emanuele (già via del Cassero), all’altezza dell’odierna piazza Bo-

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accentuazione della severità neoclassica, è un luogo dove Eugenio trascorre molti pomeriggi, frequentando un circolo esclusivo di nobili: il principe e la principessa di Ventimiglia, il duca di Berry, Cesare, primogenito del conte di Chastellaux, il barone e la baronessa di Talleyrand. Ogni domenica la famiglia Ventimiglia offre un ricevimento a tutta la colonia francese presente a Palermo.

La festa di S. Rosalia e la cattedrale

Il palazzo dei Ventimiglia è un luogo dove Eugenio trascorre molti pomeriggi, frequentando un circolo esclusivo di nobili

logna, giungiamo a palazzo Riso, già palazzo dei Ventimiglia di Belmonte, nota famiglia dell’aristocrazia palermitana della quale Eugenio diviene un frequente ospite particolarmente gradito. Eugenio era molto legato a questa famiglia e rammenta che “a casa del principe ero come a casa mia, e dovrò rimproverarmi d’aver dimenticato le gentilezze che non hanno cessato di avere per me sia il principe, sia la principessa, sia la contessa di Vérac, altra sua figlia, che era venuta a riunirsi nel bel castello che il principe aveva fatto costruire nei dintorni di Palermo, sul poggio dell’Arenella”. Il palazzo dei Ventimiglia, costruito nel 1784 da Venanzio Marvuglia, di elegante monumentalità barocca, con una particolare

Percorriamo corso Vittorio Emanuele dove avvenivano ed avvengono ancor oggi i festeggiamenti in onore di S. Rosalia, patrona di Palermo. Il giovane Eugenio rimane impressionato da tale maestosa festa che dura quattro giorni e che termina con fuochi d’artificio e con ricevimenti e balli organizzati nei palazzi nobiliari. Eugenio nelle sue memorie ricorderà minuziosamente lo svolgimento della solennità che non si discosta da quella che attualmente si svolge la sera del 14 luglio: la sfilata del carro con la statua di S. Rosalia e con i musici che suonano durante tutto il tragitto del carro; i drappi colorati nei balconi lungo via del Cassero (oggi corso Vittorio Emanuele); la folla che ingombra la strada e che accompagna il carro; i fuochi d’artificio eseguiti alla fine del percorso del carro alla Marina di fronte al palazzo del Principe di Butera; le corse dei cavalli; i Vespri di S. Rosalia con musiche che si svolgono in cattedrale; la messa in cattedrale, splendidamente illuminata con 7.000 candele. Salendo lungo via del Cassero giungiamo alla cattedrale di Palermo, splendido e maestoso capolavoro normanno del 1184. Ivi, nel lato destro sorge la cappella di S. Rosalia, dove è collocata, dietro una bronzea cancellata, l’urna d’argento

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si sono arricchite anche di approfondimenti condotti all’Archivio di Stato di Palermo, in diverse biblioteche e attraverso dialoghi con un funzionario dell’Assessorato Regionale dei Beni Culturali. Nuove scoperte sono state effettuate tramite questo minuzioso lavoro. La più interessante è l’identificazione del palazzo dove risiedeva la famiglia dei Cannizzaro a Palermo. Si tratta del palazzo Belmurgo Cannizzaro, in piazza Marina, distrutto da un bombardamento nel 1943. L’altra scoperta è stata l’individuazione della villa dei Cannizzaro presso la Villa Florio-Pignatelli, e non la Casena Grande di cui invece si parla nel testo del 1996. Dopo il tour realizzato con il noviziato oblato di Marino, altri due gruppi di laici oblati hanno potuto fare l’esperienza di questo itinerario guidato in giro per Palermo e altri si sono prenotati per i prossimi mesi. Per tutti i gruppi

«««

che volessero prendere parte al “tour demazenodiano” è possibile contattare Vincenzo David inviando una mail a: enzodavid@virgilio.it. Angelica Ciccone

del 1631 con le ossa di S. Rosalia e due bassorilievi del neoclassico e canoviano Valerio Villareale: “S. Rosalia prega Gesù perché freni l’angelo ministro delle divine vendette, nel flagellare il popolo con la peste e la carestia” e “Processione di S. Rosalia”. Nella cattedrale si trovano le tombe maestose in porfido dei sovrani normanni e svevi: Federico II imperatore; Ruggero II, re di Sicilia. In altri sepolcri sono collocati Costanza d’Altavilla ed il marito Enrico VI di Svezia e Costanza d’Aragona, moglie di Federico II.

Eugenio e la vita mondana Terminata la visita alla cattedrale scendiamo lungo l’antica via del Cassero ed arriviamo a palazzo Butera alla Kalsa, il più imponente fra quelli della palazzata a mare. Venne costruito nella prima metà del secolo XVIII, quando la famiglia raggiunse il suo massimo potere. Al piano terra vi sono le rimesse, le stalle e i magazzini. Il piano nobile è allo stesso livello della pubblica terrazza sulle mura cinquecentesche cittadine e si affaccia verso il mare. In

questo palazzo si svolgono molte feste a cui partecipa anche il re Ferdinando IV con giochi, rinfreschi e balli che durano fino a tarda sera. Nonostante

il clima e le distrazioni nelle quali si trova immerso, Eugenio, anche se in parte se ne sente attratto, al contempo prova dentro di sé una sorta di re-

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pulsione nei confronti del lusso e dello sfarzo di cui è circondato. Ricordando nelle sue memorie la maestosa festa di S. Rosalia osserverà: “Ero lontano dal prendere parte a questi divertimenti. Al contrario, cosa singolare! Quando mi trovo in mezzo a questa dissipazione, al rumore degli strumenti e a questa gioia tutta mondana, il mio cuore si rinchiude, la tristezza si impadronisce di me, e io scelgo un luogo appartato o separato da tutto questo mondo che mi sembra pazzo; mi dò a pensieri seri, anche melanconici, al punto di essere tentato di piangere. Sono stato sorpreso molte volte in questa disposizione da persone di mia conoscenza, che volevano farmene uscire, non potendoselo spiegare. E che non ero nel mio elemento. Mi trovavo come forzatamente nel mondo. Non aveva alcuna attrattiva per me. Condannavo questa dissipazione di cui ero testimone: ripugnava a tutti i sentimenti della mia anima che aspirava a tutt’altra gioia. Più la dissipazione degli altri era grande, più il contrasto era violento e

dominava tutti i miei affetti”. È giusto notare che Eugenio riconosce anche in tali particolari circostanze, il disegno della Provvidenza: “Ci sarebbe troppo da dire sui costumi depravati dell’alta società di Palermo: non ne parlerò. Voglio solamente constatare l’infinita bontà di Dio, che con la sua potente grazia mi preservò costantemente in mezzo a grandissimi pericoli ispirandomi non solo di allontanarmene, ma una specie di orrore per ogni genere di dissipazione che trascina in errori”. È interessante la visita della Kalsa, storico e pittoresco quartiere di origine araba dove abitavano il padre e gli zii di Eugenio. In tale quartiere sorgono splendidi palazzi (palazzo Lancillotto Castello di Torremuzza, palazzo Amato di Galati, poi Tomasi di Lampedusa, palazzo Piraino, palazzo Petrulla), la chiesa della Pietà e la chiesa di S. Teresa, entrambe capolavori del barocco palermitano. Ci si ferma poi ad uno dei ristoranti siti a piazza Marina per il pranzo o ad un pub per un veloce panino. A piazza Marina sorgeva il pa-

lazzo Belmurgo Cannizzaro, distrutto dai bombardamenti del 1943, dove il giovane Eugenio probabilmente fu ospitato.

Le belle stagioni alla Villa Florio-Pignatelli Dopo il pranzo è possibile proseguire il tour in auto arrivando alla piana dei colli, luogo di villeggiatura della nobiltà palermitana e dove vennero

DA PALERMO UN PRESIDENTE CATT OL L’ELEZIONE DI SERGIO MATTARELLA A PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ITALIANA È LA VITTORIA DI PALERMO E DI TUTTA LA SICILIA

Era questo il senso di molte delle prime pagine dei giornali siciliani tra il 31 gennaio e il 3 febbraio, giorni dell’elezione e del giuramento del dodicesimo Presidente della Repubblica italiana.

Persona di profonde radici cattoliche, Mattarella, nato a Palermo il 23 luglio 1941, ha rivestito numerosi incarichi istituzionali come ministro, vicepresidente del Consiglio e giudice costituzionale. Domenica 1 febbraio, dopo la celebrazione eucaristica alla quale aveva partecipato come ogni domenica, nella chiesa dei Santi Apostoli, vicino piazza Venezia, a Roma, è stato avvicinato da alcune suore che gli hanno chiesto di posare per una foto. Nelle sue prime parole agli italiani, il ricordo per le difficoltà di coloro che soffrono

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costruite molte ville. In tale zona sorgeva la villa della famiglia dei Cannizzaro che con molta probabilità è la “Villa Florio-Pignatelli” fatta costruire nel 1792 dal Duca di Cannizzaro su un fondo acquistato dal giureconsulto Casimiro Drago. Eugenio trascorre le belle stagioni in tale villa e la definisce la sua “casa di adozione”. Egli mantiene una corrispondenza quasi quotidiana con il padre che vive nel quartiere della Kalsa. Eugenio riceve da parte di questa nobile famiglia una bella e cordiale ospitalità per la quale esprime nella lettera scritta al padre nel novembre 1799 tutto il proprio entusiasmo: “Mio caro papà, godo di tutte le comodità, una camera incantevole, gabinetto, ecc., un cameriere ai miei ordini, che mi ha spolverato i vestiti questa mattina (cosa importante); l’abito azzurro è stato accomodato; questa mattina alzandomi credevo di essere in mezzo ai campi. La mia camera ha una veduta incantevole. I padroni e i servi si affrettano a prevenire tutto ciò che posso desiderare. Così, come cer-

tamente pensate, mi guardo bene dal voler far nascere delle necessità”.Persino il clima è dei più favorevoli: “Qui c’è il più bel tempo del mondo”, scrive Eugenio allo zio Fortunato.

Il ritorno in Francia L’11 ottobre 1802 il giovane Eugenio dà il suo addio all’“incantata Sicilia”, giungendo a Marsiglia il 24 ottobre 1802, dopo una sosta a Cefalù. È questo il momento storico giusto per tornare in Francia. Infatti, Napoleone Bonaparte, divenuto già dal novembre 1799 Primo Console, concede delle amnistie e favorisce il rientro degli emigrati politici. D’altra parte conclude con l’Inghilterra la pace di Amiens (1802) grazie alla quale la Francia amplia i propri domini coloniali, mentre la libertà dei mari viene ripristinata. Certamente gli anni trascorsi a Palermo sono stati molto intensi e caratterizzati da incontri con interessanti persone e dalla nascita di molte amicizie divenute care ad Eugenio. È particolarmente dolorosa la separazione

delle persone che durante questi anni gli sono state più vicine, specialmente i figli della duchessa di Cannizzaro Michele e Francesco con i quali ha vissuto una buona amicizia. Eugenio ricorda, infatti, nei Souvenirs de famille che “la riconoscenza per i Siciliani non avrà termine se non con la morte”. Sicuramente il dolore più grande che Eugenio vive è dovere lasciare a Palermo, senza sapere quando potrà ancora vederli, il padre e gli zii, che pensano che sia per loro più opportuno restare a Palermo, non essendo intenzionati a collaborare col regime che la Rivoluzione francese ha generato. Il tour demazenodiamo costituisce un’occasione per ripercorrere un pezzo di storia vissuta a Palermo da Eugenio, città dove trascorre una parte dell’esilio forzato e dove, nonostante l’inserimento in un mondo aristocratico e mondano, con l’aiuto della Provvidenza che lo preserva da grandi pericoli, inizia la sua crisi interiore, che lo porterà a maturare la vocazione al sacerdozio ed alla santità. ■

TT OLICO PER LA REPUBBLICA ITALIANA maggiormente in questo frangente storico del Paese. Un figlio della migliore tradizione cattolica democratica e sociale italiana, che, al di là di una casacca partitica, rilancia l’idea di una politica che si fonda su precise radici culturali. Molte associazioni cattoliche, all’indomani dell’elezione, si sono felicitate con il Presidente, dall’Unitalsi alla Comunità di S. Egidio, dall’Azione cattolica al Movimento cristiano lavoratori rimarcando la “scelta felice” e auspicando attenzione su temi come la dignità della persona e del lavoro, il contrasto alla povertà, l’impegno per la riduzione delle disuguaglianze, per il rispetto ella legalità e per la pace.

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news

Notizie in diretta dal mondo oblato

messaggi Guinea Bissau e notizie Un’altra missione affidata agli Oblati dalle missioni l 24 novembre scorso i Missionari Oblati di Maria Immacolata hanno a cura di Elio Filardo OMI eliofilardo@omimissio.net

I

fatto l’ingresso ufficiale nella missione di Cacine, in Guinea Bissau. Alla messa celebrata in quella circostanza hanno preso parte mons. Pedro Carlos Zilli, vescovo di Bafata, p. Alberto Gnemmi, provinciale della Provincia mediterranea, p. Alberto Ruiz Gonsalves, consigliere provinciale, e p. Bruno Favero, superiore della delegazione missionaria Senegal-Guinea Bissau. Cacine si trova nella regione di Tombali, nel sud della Guinea Bissau. Collocata nel territorio della diocesi di Bafata, conta 47 villaggi con circa 15mila abitanti. La comunità cattolica di Cacine al momento non dispone né di una cappella né di una chiesa, per cui la messa domenicale si svolge in un’aula della scuola pubblica. Nella missione di Cacine è presente dal dicembre 2009 una comunità delle suore Missionarie dell’Immacolata (PIME), mentre la parrocchia Nostra Signora di Fatima di Catió precedentemente era

Turkmenistan

Chiesa in costruzione

«C

ondividendo la gioia della fede in Cristo, siamo felici di donare a tutti la grazia e la gioia che proviene dalla fede. Questa gioia è arrivata in Turkmenistan 18 anni fa come un dono. Non abbiamo ancora una chiesa fatta di mattoni o legno, ma abbiamo costruito la nostra chiesa di pietre vive». Lo afferma, in una nota inviata all’Agenzia Fides, p. Andrzej Madej OMI, superiore della Missio sui iuris in Turkmenistan, costituita nel 1997 da papa Giovanni Paolo II. P Madej vive e opera con una comunità di confratelli, in qualità di rappresentante della Santa Sede ad Ashgabat. «Viviamo nel paese che solo vent’anni fa era

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VENZUELA

LA MISSIONE COMPIE 25 ANNI

affidata alla cura pastorale dei sacerdoti del PIME. Per il momento sono due gli Oblati con il compito di avviare la nuova missione: p. Roberto Gallina e p. Daniel Aliou Mané. Arrivati a Cacine nel pomeriggio del 7 novembre scorso, i due sono stati accolti prima dal pastore evangelico José Valberto Texeira Oliveira di nazionalità brasiliana, a Cacine dal 1995, e poi da una piccola rappresentanza della comunità cristiana cattolica accompagnata dal responsabile Herculano Da Silva Abna. (fonte: procuramissioniomi.eu)

Nel 2015 gli Oblati festeggiano i 25 anni di presenza in Venezuela, una missione che fino a questo momento ha coinvolto 22 Oblati provenienti da diversi paesi. Il primo gruppo missionario composto da tre Oblati spagnoli è arrivato in Venezuela il 14 dicembre del 1990 e si è stabilito a Casigua el Cube nella regione di Zulia, una parrocchia di 5845 km² con popolazione colombiano-venezuelana e due comunità indigene di etnia Barí. Attualmente in Venezuela ci sono 6 padri, un vescovo emerito, mons. Ramiro, e due scolastici, per un totale di 9 oblati. La missione attende anche l’arrivo di p. Sante Ronchi che nel mese di dicembre ha lasciato la Romania. Gli Oblati sono impegnati nelle parrocchie di Jesús Nazareno di Palo Gordo e in quella di Nuestra Señora Del Carmen a S.ta. Bárbara de Barinas. (fonte: nosotrosomi.blogspot.com)

ancora parte dell’impero sovietico. In questo paese - spiega p. Andrzej - si è tentato di costruire una società senza Dio. Oggi la chiesa locale è affidata agli Oblati di Maria Immacolata che curano una comunità cattolica di circa 150 persone. Ci vogliono circa tre anni per preparare i nostri catecumeni al battesimo. La nostra comunità prega in un edificio preso in affitto, ma l’entusiasmo non manca, mentre il numero di persone continua a crescere. La nostra chiesa cerca sempre di essere fonte di gioia e luce diffondendo il messaggio di amore, solidarietà e speranza di Gesù, cercando sempre di rispettare la cultura e le tradizioni di questo bellissimo paese». «Siamo stati testimoni di come gli anni di vita “senza Dio” abbiano lasciato molte ferite: famiglie spezzate, violenza domestica, umanità ferita, perdita del senso della vita. Molte fosse comuni sono state rinvenute. Ora è il tempo della riconciliazione, l’inizio del rinnovamento, della nuova vita, di nuovi legami e nuove speranze. La Parola di Dio ha il potere di riunire coloro che sono stati dispersi “come pecore senza pastore“. La chiesa è oggi una comunità di riconciliazione, che cura le ferite della separazione, guarisce i cuori, donando nuova pace e facendo rinascere la fiducia» conclude p. Andrzej. (fonte: fides.org)

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Italia

Campione mondiale di scacchi per sacerdoti

P.

Gennaro Cicchese, vincitore della Clericus Chess International 2014, intervistato da Alessandro De Carolis ai microfoni di Radio Vaticana, spiega che la competizione ha coinvolto sacerdoti di tutto il mondo in un clima di amicizia e di dialogo. P. Gennaro parla anche del valore pedagogico degli scacchi che, associando l’esercizio mentale con il movimento, permette ai bambini di lavorare “sulla psicomotricità - su scacchiera gigante, per esempio - e l’interdisciplinarietà, che sono degli aspetti preziosi di questo gioco. E poi sulla possibilità di aprire un nuovo rapporto tra insegnante e alunno, perché gli scacchi riescono a tradurre e polverizzare le difese, le rigidità che si possono creare”. P. Gennaro ricorda che in passato il gioco degli scacchi ha incontrato qualche opposizione nella chiesa e che oggi molti sacerdoti trovano in questa attività un “grande beneficio personale”. Gli scacchi «insegnano tante cose: la strategia, la tattica e quindi la possibilità di affrontare i problemi in maniera nuova e diversa. Io personalmente - continua p. Gennaro - ho riscoperto gli scacchi in un momento di aridità spirituale, perché gli scacchi sono bellezza, arte, logica, sono impegno e anche divertimento». Gli organizzatori del campionato hanno inviato una lettera a papa Francesco chiedendogli di benedire l’iniziativa e di fare la “prima mossa”. Il papa è entrato subito in gioco invitando i partecipanti all’udienza generale. La Clericus Chess è un vero e proprio campionato del mondo e italiano di scacchi per preti, suore e religiosi. I tornei e le due conferenze aperte al pubblico si sono svolte il 12 e 13 dicembre 2014 presso l’Istituto Santa Maria dei religiosi Marianisti, con il patrocinio di numerosi enti tra i quali l’Ufficio nazionale della CEI per la Pastorale del tempo libero, il CONI del Lazio, la Federazione scacchistica italiana e il Centro sportivo italiano.

SPAGNA

RIVISTA MISSIONARI DEL TERZO MILLENNIO Gli Oblati sono coeditori e cofondatori di Missionari del Terzo Millennio, una delle più importanti rivista missionaria in Spagna. Alle spalle di questa pubblicazione c’è un gruppo di congregazioni missionarie che intende far conoscere la missione ad gentes. Oggi la rivista va avanti anche con il contributo delle Pontificie Opere Missionarie spagnole ed è pubblicata parzialmente sul sito revistamisioneros.es. P. Joaquin Martinez, OMI è un collaboratore della rivista nella quale vengono pubblicati periodicamente articoli e notizie che riguardano gli Oblati. (fonte: nosotrosomi.blogspot.com)

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NOVITÀ

NELLE ZONE Nuova vita, nuovi germogli, un volto nuovo per il Movimento giovanile Costruire! Quest’anno ogni comunità sta vivendo cambiamenti e novità, dando vita a nuovi cammini, percorsi ed esperienze. Un volto giovane, quello dell’attuale MGC, che pieno di linfa ed entusiasmo affronta le sfide del nostro tempo per continuare a testimoniare la bellezza dell’incontro con Gesù Cristo. Anche la Segreteria nazionale MGC cambia volto! Un volto più giovane, più fresco. Negli ultimi mesi, infatti, ci sono stati alcune sostituzioni dei segretari. Molti terminavano la loro esperienza in segreteria, ad esempio Pietro Greco dopo quattro anni. All’incontro dello scorso settembre c’è stata una redistribuzione dei segretari di ogni zona e nuovi ingressi di ragazzi più giovani. Questo nuovo volto dovrebbe essere anche più stabile per il prossimo periodo, così da permettere alla segreteria di lavorare in maniera più salda, garantendo l’unità dell’intero movimento. Irene Benedetto

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A Firenze… I nuovi germogli della zona fiorentina sono le pre-comunità, una femminile ed una maschile. Ne fanno parte ragazze e ragazzi dai 16 ai 18 anni provenienti da diverse parrocchie che, attratti dall’MGC durante il percorso giovanissimi, hanno detto ‘sì’ al movimento, alla comunità e alla famiglia oblata. Per i primi anni di cammino, i ragazzi sono affiancati da animatori più grandi. Ogni mese sono organizzati incontri di formazione sui temi base dell’MGC e si svolgono i primi incontri di comunione, in cui si cerca di condividere i frutti dell’incontro personale con Dio. Da animatrice della precomunità femminile, devo dire che questo servizio mi piace molto e costruire un rapporto, una comunità con le ragazze più piccole è un arricchimento per il mio cammino, un rinterrogarsi su quello che ha significato per me scegliere l’MGC dieci anni fa e, allo stesso tempo, su cosa vuol dire essere MGC nella mia vita oggi, così diversa da quella in cui avevo detto il primo ‘sì’. Ecco perché le pre-comunità sono il nostro germoglio; non solo perché costituiscono la novità di quest’anno, ma perché sono ciò che ha rimesso in gioco il movimento nella zona fiorentina. Con la loro ondata di freschezza hanno portato nuova linfa ed entusiasmo, rinnovando la gioia del nostro stare insieme. Benedetta Giardi

A S. Maria Capua Vetere… Un nuovo gruppo nasce in Campania: l’MGC di S. Maria Capua Vetere (Ce). I primi contatti sono avvenuti per il desiderio di trovare risposta a domande che albergavano nel cuore; così, come lo sbocciare dei fiori a primavera, è nato questo gruppo. La prima cosa che mi ha colpito di questo gruppo è stata l’accoglienza incondizionata di ognuno che si è avvicinato al gruppo. Ognuno ha trovato il suo posto e non veniva giudicato da nessuno. Tante le attività che si sono svolte: la tombolata, la festa di fine anno, la vendita delle rose per la festa della mamma, le palme. I giovani che si sono accostati al gruppo sono stati tanti, ma non tutti si sono sentiti chiamati a questo carisma, tuttavia ognuno ha fatto l’esperienza di essere accolto e amato. Un gruppo variegato, dunque, che incontra e accoglie tutti come fratelli. Angela Cinotti A Pescara… A Pescara si sta sviluppando una piccola realtà giovanile grazie

agli sforzi di p. Roberto Bassu, con l’ausilio di una coppia della parrocchia di Sant’Andrea, dei giovani del Centro giovanile di Marino, di p. Luca Mancini e degli Oblati della comunità di Pescara. P. Roberto racconta: “il desiderio di creare un gruppo giovanile è sempre stato forte e l’occasione di poterlo realizzare è nata da una cena che abbiamo organizzato con alcuni adolescenti, che già facevano parte del gruppo del dopo cresima della parrocchia di Sant’Andrea. Insieme a loro si è aggiunto un gruppetto di giovani della vecchia comunità oblata della chiesa del “Cuore Immacolato” che ha chiesto di

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condividere con noi lo stesso cammino. In questo modo abbiamo riunito circa quindici giovani che seguono gli incontri in comunità. Alcuni hanno partecipato a esperienze insieme all’MGC come la tre-giorni vocazionale di Loreto, tenutasi lo scorso ottobre. È ancora prematuro parlare di gruppo nascente dell’MGC, ma ad aprile è in programma una missione giovanile a Pescara, nella quale contiamo di riunire, con l’aiuto di Dio, ancora più giovani interessati a camminare con Gesù e chissà che allora non potremo parlare di MGC”. Luisa Miletta

A Messina… Quando si ripone nelle mani di Dio quel che si semina, questo non può che portare frutti. In questi ultimi anni per Messina è stato tempo sia di semina che di raccolto. Tra le piante più robuste vi è quella delle Giornate al Centro Agape di Gesso durante le quali si riuniscono le realtà del mondo oblato messinese. Più giovani sono le piante degli incontri di comunione e formazione mensili. L’MGC da qualche anno, partecipa anche all’organizzazione di Feste Giovani vicariali e della Tenda missionaria, come anche alle Giornate GiovanInsieme aperte alle scuole e agli universitari. Il lavoro del coro ci ha donato il disco “I frutti che ti offriamo” e da quest’anno è partita anche una scuola di chitarra. Sempre maggiore spazio ha l’Associazione “Wind of Change”, strettamente legata alla nostra comunità. I nuovi semi, gettati da poco, sono il “Giardino di Maria”, esperienza di convivenza femminile e di volontariato presso alcune case di riposo della nostra città, ed il nuovo gruppo giovanissime. Domenico Pellegrino

A Taranto… L’idea di dar vita ad una comunità MGC a Taranto è andata concretizzandosi dopo la missione parrocchiale del marzo 2014. Frutto di sogni comuni, la missione cominciava a prendere forma. La scelta di Dio, di alimentare sempre più i rapporti alla luce del Vangelo, di mettersi in gioco per dare la vita come fino a quel momento non avevamo fatto. La missione ha ha fatto emergere questo seme che Dio aveva piantato nel nostro cuore e che ha cominciato a germogliare: vivere insieme giornate intere, testimoniare la vita negli incontri con i giovani, andare incontro agli altri portando Gesù nelle case. Questa esperienza ci ha fatto rendere conto di volere di più e, parlandone con p. Saverio, abbiamo intrapreso un cammino basato soprattutto sulla comunione fra noi e sulla formazione, sulla vita di comunità. L’estate ci ha riservato due momenti decisivi per questa scelta: la Scuola di formazione a Marino e l’esperienza di Lourdes con il Centro giovanile. Il cammino ha acquisito la fisionomia di una nascente comunità MGC. Ad oggi siamo in quattro, ma pensiamo di crescere. Ci impegniamo a vivere nel nostro quotidiano secondo lo stile di vita MGC. Raffaele La Neve

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una foto per pensare

foto di Giovanni Chimirri, gio.chimirri@gmail.com testo di Luisa Miletta, luli89@libero.it

L’anima t 28 MISSIONI OMI · 03_15

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È la prima cosa che impariamo a fare: tenere la mano di qualcuno. Il primo contatto di un neonato passa attraverso lo stringere forte il dito della mamma, come se il dito sostituisse il cordone che lo legava al grembo materno e di cui, una volta nato, sente la mancanza. I bambini tengono le mani degli adulti per imparare a camminare, attraversare la strada, sentirsi protetti da ogni male, ma anche per insegnar loro a stupirsi dei dettagli del mondo, a pensare alla pioggia come una doccia che lava la natura e la disseta. Con le mani si accolgono le anime altrui, anche quelle più scure, quelle che necessitano della gioia di un bambino che le riempia dei colori della vita.

a tra le mani 29

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fatti

Storia di una

facciata C

ome la tela di Penelope, l’uomo fa e il tempo disfa, perché l’uomo possa di nuovo rifare. E col passare dei secoli dimentichiamo ciò che fecero i nostri precursori, a meno che documenti e testimonianze non riportino alla luce ciò che era piombato pian piano nel dimenticatoio. Dopo la festa dell’Assunta 2014, nella Basilica a lei dedicata, a S. Maria a Vico (Ce), è stata ispezionata la facciata della chiesa e purtroppo sono state trovate in condizioni poco rassicuranti le quattro statue che vi furono poste a suo tempo come ornamento.

Consultando i documenti È stata una bella occasione per ispezionare anche ciò che gli Oblati che ci hanno preceduto avevano realizzato e puntualmente appuntato nel Codex Historicus e nei verbali dei Consigli di amministrazione della comunità. La seconda guerra mondiale era ancora in corso, quan-

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A 70 anni di distanza, ricordiamo la ristrutturazione della facciata della Basilica dell’Assunta a S. Maria a Vico (Ce) di Angelo Daddio OMI angelodaddio@omimissio.net

do, il 31 dicembre 1944, leggiamo nel Codex “l’ingegnere Grassi presenta il progetto di restauro della facciata della chiesa”. E l’8 gennaio 1945, “tempo rigido. Neve sui monti. S’inizia lo sgombero del giardinetto prospiciente la facciata della Chiesa, poiché verso aprile si ha intenzione di iniziare i restauri di detta facciata secondo il progetto dell’ingegnere Grassi; detto progetto di cui abbiamo copia nell’archivio è stato affisso alla porta della Chiesa il 1° gennaio. Questa sera la commissione dell’Assunta ha consegnato un libretto del Banco di Napoli per la somma di lire 80mila

circa, quale supero della festa del 1944; detta somma come è stato dichiarato nel registro dei verbali che s’è inaugurato per la circostanza servirà per i festeggiamenti esterni della prossima festa. La Commissione si mette a disposizione per aiutare e raccogliere fondi necessari per i restauri della facciata”. Purtroppo la copia di detto progetto nell’archivio non è stata ritrovata. Intanto la guerra continua, ma cominciano anche i preparativi per iniziare i lavori e così l’11 marzo 1945 è annotato che “da Ripa viene portato il gesso necessario per le statue della facciata della chiesa”.

I fondi e la guerra Il problema era reperire i fondi per pagare il materiale, e così il 5 aprile 1945 “si riunisce per la prima volta la Commissione per la facciata della Chiesa, sotto la presidenza del p. Superiore e si stabiliscono le norme per la distribuzione del foglietto per la raccolta delle offerte”. E finalmente l’11 aprile “cominciano i lavori di restauro della facciata della chiesa”. Il ritmo dei lavori di allora non era certo quello di oggi tanto che il 23 aprile “l’impalcatura della facciata della chiesa è quasi terminata: per 3 giorni non s’è potuto lavorare a causa del vento”. Ma anche il vento della

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guerra non si era ancora placato, così che p. Giovanni Basile a cui dobbiamo le annotazioni del Codex Historicus, ci fa sapere, il 27 aprile 1945, “ridda di notizie sull’andamento della guerra e sulla cattura di Mussolini”; e il 30 aprile: “si attende da un momento all’altro la resa della Germania. Mussolini è stato giustiziato: giustizia di Dio!”. Il 2 maggio appare il personaggio più importante di tutta la vicenda del restauro della facciata: “Nel pomeriggio viene lo statuario per eseguire le statue della facciata della chiesa, ma ancora non può mettersi al lavoro perché non sono pronte né le impalcature, né i muratori”. Solo qualche giorno di attesa e il 4 maggio è una giornata del tutto particolare per S. Maria a Vico e per il mondo intero: “Comincia il lavoro delle statue della facciata. Due giorni

fa si è avuta l’annuncio della resa del fronte italiano. Sia ringraziato il Signore: questa sera verso le 22 si è avuta la lieta notizia della resa del fronte occidentale. Finisce così la guerra dopo tanti anni di sofferenza. Te Deum laudamus! In piazza qualche grida di gioia, qualche voce ha fatto sentire la canzone del Piave, un gruppo di giovani è venuto e ha suonato a storno le campane della nostra chiesa. I grandi fatti della storia si mescolano ai piccoli della vita di tutti i giorni: “In mattinata è morta la madre del nostro dottor Ruggiero. Nella nottata è morta donna Carlotta moglie del notaio De Lucia”. Dieci giorni dopo, il 14 maggio 1945 appare un secondo personaggio molto caro agli Oblati di allora, il papà di p. Giuseppe Signore: “Si continuano i lavori della facciata. La statua di S.

Vincenzo è quasi ultimata. Don Antonio Signore tornato il giorno 12 segue adesso da vicino i lavori che andavano piuttosto a rilento. È ultimato il timpano”. Il 21 maggio è stato sempre un giorno particolare per gli Oblati e lo fu anche nel 1945 anche se S. Eugenio de Mazenod era solo venerabile. P. Basile racconta: “Gran passeggio ai Canteri, in onore del P. Fondatore. Gli apostolini sono accompagnati da 3 padri e dal P. Superiore. Bella giornata! Si comincia l’impalcatura per la statua del Fondatore nella facciata della chiesa. La statua di S. Pio è stata ultimata per il giorno 20. Si hanno notizie da Oné di Fonte dove tutti stanno bene, grazie a Dio. È finita la guerra, ma si ha l’impressione che gli animi non siano in pace. Dateci o Signore la vera pace!”.

Giovanni Palliggiano Il 23 maggio 1945, il verbale del consiglio di casa ci fa conoscere anche il nome del’artista chiamato da Napoli come statuario: “Si decide di dare a cottimo il restante dei lavori della facciata per £ 60.000 di mano d’opera. Si approva di eseguire possibilmente il portale secondo il progetto, di ritoccare

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fatti La Basilica dell’Assunta vede i suoi prodromi in una semplice cappella che, dopo l’anno 1000, conteneva una statua lignea dell’Assunta di stile italo-bizantino. Un punto di attrazione sulla via Appia. DAL 1450 AL 1809 la presenza dei Domenicani fornì un grande apporto culturale con una rinomata scuola teologica. A FINE ‘800 fu istituito un Collegio e, a partire DAL 1902, sorse una casa di formazione dei Missionari Oblati di Maria Immacolata. La parrocchia fu eretta il 29 SETTEMBRE 1955, elevata a basilica minore il 30 AGOSTO 1957.

la croce, di chiudere l’occhio di bue e di farlo eseguire in basso rilievo secondo il progetto dell’ingegnere e dell’artista Palliggiano”. Giovanni Palliggiano era figlio di un noto decoratore napoletano e padre di Maria Palliggiano (Napoli, 1933-1969) che si diplomò all’accademia di Belle Arti di Napoli nel 1954, l’artista più famosa della famiglia. Il 31 maggio 1945 p. Basile ci fa sapere come hanno pensato di recuperare parte dei soldi che nel frattempo erano stati spesi e quelli che restavano ancora da spendere: “Si sono appianati alcuni dissidi nati tra la commissione dell’Assunta e la casa, a proposito della processione che intendiamo fare il 15 agosto, i cui proventi dovranno andare per i lavori della chiesa. È quasi ultimata la statua di S. Alfonso sulla facciata”.

Imprevisti e conclusione Non potevano certo mancare gli imprevisti: “Continua un caldo soffocante. Continuano i lavori della facciata: il portale sta richiedendo molto tempo e molta spesa, poiché s’è dovuto procedere all’istallazione di due putrelle di ferro come architrave, benché l’architrave vi fosse” (31 luglio 1945). E il giorno

dopo, 1 agosto, “Lo statuario rimessosi alquanto dalla sua grave indisposizione, ultima il quadro della facciata, così ha finito l’opera sua: 4 statue, la croce, il quadro a bassorilievo, costo £ 28.000 (ventottomila per la sola mano d’opera). È finita l’opera dello statuario ma la facciata non è ancora completata, anche se ormai la festa dell’Assunta è alle porte. 15 agosto 1945. “Giornata memorabile: confessioni e comunioni in massa. Siamo in 14 confessori sino alle 10. Alle 11 messa solenne cantata dal P. Superiore. La corale dei giovani nostri e degli apostolini eseguisce la 2a Pontificalis di Perosi. A pranzo è con noi l’ingegnere della facciata. Solennissima processione della nostra Madonna, accomodata su un carro sul quale salgono un padre e 6 apostolini. Bella manifestazione di fede e di devozione alla Madonna specialmente alla Cementara dove la Madonna s’è recata per la prima volta. Sua Eccellenza Mons. Capasso giunto verso le 5 pomeridiane vi prende parte sino alla parrocchia… La statua tirata da due paia di magnifici buoi. Seguono la statua: Sua Eccellenza, il Predicatore, un padre cappuccino, il P. Superiore e il Sindaco. Indi i reduci e folto gruppo di

uomini…Giornata memorabile. Peccato che la facciata non sia ultimata: ci vogliono ancora alcuni giorni di lavori, ma fa bene lo stesso ed è interessante nel suo candore”. Il 18 agosto: “Si riprendono i lavori della facciata”, mentre il 31 agosto “i lavori della facciata ancora non si terminano. Si lavora lentamente alla masseria. Caldo eccessivo, siccità!”. E finalmente ci siamo… ma siamo giunti al 20 ottobre 1945: “Si finiscono i lavori della facciata, dopo tante sofferenze e preoccupazioni”. Qualche giorno dopo anche il verbale del consiglio di casa mette fine all’opera: “Si prende atto della fine dei lavori della facciata della chiesa che si chiudono con un passivo di £ 18.000 che speriamo venga coperto” (8 novembre 1945). Per avere solo un’idea della spesa dell’opera cominciata l’11 aprile e terminata il 20 ottobre un’indicazione ci viene dal contratto dei lavori a cottimo: “Manuali n. 2 a £ 240 al giorno per 6 giorni £ 1.440”. Come dire che la paga giornaliera di un operaio era di 120 lire. Felici quegli operai che oltre a guadagnarsi la giornata, hanno anche lavorato per lasciarci una testimonianza della fede della loro generazione. n

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fatti

Camminare sostenuti da Maria U

n libro assolutamente originale nei contenuti e nello stile narrativo. Ne è autore p. Salvatore Franco, 53 anni, oblato di Maria Immacolata che da sette anni lavora a Palermo nel consultorio familiare Cana. “Nel silenzio della luce. Percorso di rinascita interiore”. (Paoline editoriale libri 2014, € 16) è stato inserito dalla casa editrice nella collana “spiritualità del quotidiano”. Missioni OMI ha rivolto all’autore alcune domande per conoscere questo testo.

Un percorso terapeutico in compagnia della Vergine Maria. P. Salvatore Franco OMI ci racconta il suo ultimo libro di Pasquale Castrilli OMI pax1902@gmail.com

Come nasce l’idea di questo libro? L’idea ha un’origine lontana, quando negli anni giovanili mi recai con un mio amico - che poi si è sposato con Marcela, la pittrice che ha realizzato la parte iconografica del libro - a visitare la basilica di S. Pietro. In seguito alla commozione suscitata dalla Pietà di Michelangelo, ho cominciato a riflettere su ciò che aveva potuto vivere Maria nella sua relazione con Gesù. Con il tempo e grazie anche all’esperienza come psicologo, ho maturato la convinzione che fosse possibile realizzare un percorso terapeutico fondato su ciò che della persona umana rivela l’esperienza di Maria. Dal suo cammino di crescita con il figlio Gesù mi è sembrato infatti si rivelasse un metodo di meditazione per affrontare anche i passaggi più impegnativi della nostra vita. Come si sviluppa il contenuto? Il libro si costruisce attorno ad un personaggio inventato, Yedidà, nipote della profetessa Anna che sopraggiunse nel tempio di Gerusalemme quando Gesù, preso in braccio da Simeone, venne

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chi è

Psicologo e psicoterapeuta, p. Salvatore Franco ha una lunga esperienza in terra siciliana. “La mia occupazione principale - dice - è l’offerta di ascolto e aiuto psicologico soprattutto nel consultorio familiare Cana dell’Associazione Oasi Cana onlus, fondata da p. Antonio Santoro OMI e parte della Famiglia oblata”. Laureatosi in psicologia nel 2005 a Firenze, con una tesi sulla Psiconeuroimmunologia dei tumori, nel 2011 p. Salvatore

l’autore

proclamato “luce dei popoli” e “segno di contraddizione”. La protagonista scrive nove lettere ad un amico per descrivere il suo percorso interiore per capire ciò che la nonna aveva vissuto, il perché della sua felicità e il significato del misterioso segno di contraddizione di cui aveva sentito parlare. Il fascino che questa vicenda aveva suscitato in lei fin da piccola e gli interrogativi sul

si è specializzato in Psicoterapia all’Istituto di Gestalt di Palermo, con una tesi sulla rielaborazione delle immagini traumatiche. Ha anche conseguito un master di secondo livello all’Università Cattolica sulla cura della sessualità con una tesi sull’utilizzo dell’insegnamento del metodo dell’ovulazione nella consulenza di coppia. Per l’editrice Missionari OMI ha pubblicato due sussidi di catechismo popolare “Il Vangelo a Ballarò” e il saggio “Ministri di Misericordia”. Informazioni su p. Salvatore e sull’associazione possono essere trovate cliccando www.oasicana.it. Per il consultorio familiare si può leggere www.consultoriocana.it.

senso del dolore nella vita, la conducono ad intraprendere un itinerario che la porterà a far parte del gruppo di donne raccolto attorno a Maria nell’ultimo periodo della sua vita terrena. Questa esperienza si conclude con l’arrivo a Roma, dove l’incontro con la comunità cristiana e con Claudia, una ragazza orfana di cui lei, appassionata di medicina, si prenderà cura, l’aiuterà a

trovare finalmente la risposta che cercava. In ogni lettera viene menzionata una diversa parte del corpo, ripresa poi nell’esercizio a conclusione del capitolo e collegata ad una tappa di un processo di crescita integrale della persona. In questo modo il lettore può partecipare attivamente all’itinerario proposto apprendendo un metodo di meditazione che lo aiuterà ad entrare

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fatti

Alcune illustrazioni del libro. Dall’alto, in senso orario, Grembo, Segno di contraddizione e Parola

La dignità di Maria

Se Dio dona gratuitamente e liberamente la sua grazia che suscita la fede, egli attende la nostra risposta alla sua chiamata. Maria, predestinata a diventare la Madre del Figlio di Dio, è chiamata nel giorno dell’Annunciazione e risponde: «Io sono la serva del Signore, si faccia di me secondo la tua parola» (Lc 2,38). La sua risposta, preparata e ispirata dal Signore, le dona tutta la sua dignità di donna. Dio non ci costringe ad amarlo. Anche se la sua grazia precede e ispira la nostra fede, aspetta da noi una risposta di uomini liberi che ci restituisce la nostra dignità davanti a lui. La gloria di Dio non si costruisce sulle rovine dell’umanità o l’annientamento dell’uomo. Se è vero che Dio non ci attende che per sceglierci e farci grazia, è altrettanto vero che attende la nostra risposta e vuole la nostra santificazione per rallegrarsi in noi. Max Thurian

meglio in contatto con se stesso e a trovare un sostegno per il proprio cammino umano e spirituale. C’è un pubblico specifico al quale è diretto il libro? L’apertura del libro a varie dimensioni dell’esperienza umana, compresa quella artistica, lo rende adatto a chiunque sia affascinato dalla possibilità di intraprendere un viaggio interiore. L’itinerario proposto ha infatti il fine di avviare il lettore ad un percorso che lo conduca a ricomporre in armonia e pienezza le fragilità e le potenzialità presenti in ciascuno di noi e, in questo modo giungere all’incontro, forse inaspettato, con Gesù, venuto come luce. Cosa c’è di autobiografico in questo tuo libro? Considerando il fatto che l’idea di questo libro nasce negli anni giovanili, devo dire che vi confluisce tanta parte della mia esperienza, degli interrogativi e della ricerca che sempre hanno caratterizzato il mio cammino. Mi ritrovo molto nelle domande che Yedidà si pone sulle contraddizioni della vita e nel valore che dà all’amicizia, nel suo desiderio di prendersi cura

dei più deboli. Talvolta, anche nelle descrizioni mi sono servito dei miei ricordi, come per esempio in quella della vedova povera o in quella del terremoto di Antiochia dove ho ripensato al sisma che colpì la mia città, Napoli, negli anni ’80. Nel testo sono presenti delle belle illustrazioni. Puoi dirci perché hai pensato anche ad una parte iconografica? Il tema della luce ci riporta alla visione e a ciò che questa evoca alla nostra sensibilità. Le immagini contenute nel libro sono collegate con il tema di ogni lettera e con una didascalia che riprende una frase chiave del testo. Esse sono state pensate e realizzate per aiutare il lettore ad entrare meglio nel cuore di ciascuna lettera e a fare la “sua” esperienza di luce prima ancora di scoprire le nuove suggestioni che la lettera propone. n

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lettere dai missionari

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Valori coreani e cristiani Da 20 anni vivo in Corea. Questa nazione mi ha insegnato tanti valori. Alcuni esempi. La mattina presto prima di iniziare i lavori del cantiere, tutti gli operai si radunano e fanno 20,30 minuti di ginnastica per riscaldare i muscoli ed evitare incidenti sul lavoro. Poi il capo cantiere fa un briefing per spiegare i lavori del giorno. Anche la gente normale la mattina presto si ritrova nel vicino parco per fare ginnastica collettiva. Il senso della disciplina e della responsabilità sono alcuni dei valori che hanno fatto grande questo Paese. Francesco, dopo essere andato felicemente in pensione, ha iniziato a fare volontariato al nostro centro. Un giorno si presenta baldanzoso e mi dice: “Sono felice, perché ho iniziato di nuovo a lavorare. È un lavoretto leggero, ma ne sono soddisfatto perché mi

posso rendere ancora utile alla famiglia e continuare a contribuire alla società”. Il senso del lavoro del sacrificio per la nazione sono alcuni dei valori che hanno fatto crescere questo nazione. Il lavoro fatto con determinazione ed intelligenza (nelle statistiche della Organization for Economic Cooperation and Developement (OECD) la Corea è al secondo posto per ore lavorative pro capite) porta frutti grandiosi. Un ingegnere navale mi confidava: “Trent’anni fa siamo venuti qui e gli abbiamo insegnato a fare le navi. Ora siamo noi italiani a comprare le navi da loro e sono i migliori nel mondo”. Vivo in un piccolo sobborgo all’estrema periferia della capitale. Il nostro villaggio era circondato da campi e serre. Un angolo tranquillo. Nel 2010 il governo, rendendosi conto

della carenza di alloggi, ha designato la nostra aerea edificabile. Ora a distanza di appena quattro anni è sorta una nuova città: 35mila abitanti, scuole, strade e persino un parco con pini ventennali! La determinazione e l’impegno sono alcuni dei valori che hanno impresso un grande sviluppo a questo Stato. L’investimento nell’educazione e nello studio a lungo termine (la Corea è al primo posto tra i paesi dell’OECD per le spese che la famiglia affronta per far studiare i propri figli) fa grande una nazione. Nel 1940 la Corea era più povera del Bangladesh. Ora è una delle più grandi ed influenti nazioni nel mondo. Il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban-Kimoon, è un coreano. In Corea ho imparato anche... che una grande tradizione e valori millenari, se non

sono coltivati e approfonditi continuamente possono scomparire e addirittura morire. Questo, quando lasciano il posto ad una sfrenata rincorsa alla ricchezza economica (la Corea, ora, è uno dei paesi più ricchi del mondo) portano alla distruzione, alla scomparsa di una cultura. La Corea vanta anche, tra i suoi tristi primati: il più alto numero di suicidi nel mondo, il più basso tasso di natalità nel mondo e i ragazzi si definiscono i più infelici nell’ambito dei 40 Paesi dell’ OECD. 25 anni fa quando sono arrivato in questo stupendo Paese ho trovato grandi valori umani e persone felici. Oggi vedo intorno a me tanta ricchezza economica e molta infelicità. Da 2.000 anni ormai Gesù ci insegna che i valori che perdurano e rendono felice una persona e fanno di questo nostro

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MISSIONI

mondo un posto migliore per vivere e una società più serena sono: l’amore donato senza condizioni, il perdono offerto con sincerità, la gioiosa accoglienza dell’altro, la condivisione generosa dei talenti che ognuno porta nella sua vita, il perseguimento della pace come cammino nonviolento, il dialogo con il diverso da me. Questi valori non passeranno mai e il popolo, la comunità che sarà capace di viverli in pienezza vivrà felice per l’eternità. Perché l’amore, il perdono, l’accoglienza,

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la condivisione, la pace e il dialogo... non passeranno mai. Vincenzo Bordo OMI Corea

Apertura di una casa per studenti Il 4 novembre, a Aix, Cours Mirabeau 56, presso il Centro internazionale De Mazenod. si è aperta una Casa per studenti delle scuole superiori, allo scopo di rispondere alle loro esigenze umane e spirituali. Sarà per loro un’oasi di pace nel cuore

della città. Il temporale non ha condizionato l’emozione gioiosa della giornata inaugurale, al contrario! Felici e contenti, si sono ritrovati al caldo e all’asciutto, in questo luogo che li accoglierà ogni martedì e venerdì dalle 12 alle 14. Un appuntamento da non perdere se si cerca un po’ di attenzione in questo mondo frenetico! A questo infatti mira l’iniziativa diocesana: rispondere alle esigenze dei giovani, accompagnandoli nella crescita umana e spirituale, grazie anche ai volontari.

Sono tre i poli formativi offerti ai giovani: un polo artistico per scoprire i loro talenti musicali, un polo di orientamento scolastico per discernere le aspirazioni e scegliere i migliori percorsi, un polo spirituale per aprirli all’incontro, preparando veglie di preghiera e la messa del sabato sera. É un programma che chiederà di essere arricchito dai suggerimenti degli studenti in quanto questa casa è per loro, ma non può crescere senza di loro. Véronique Huet www.centremazenod.org

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lettere dai missionari

MISSIONI Dove gli OMI hanno chiuso

Qui Spagna di Antonio Diodati OMI antoniodiodati89@gmail.com

Qui Senegal di Claudio Carleo OMI claudiocarleo@gmail.com

Da Jamm’ bell’ a Jamm rekk! Da Napoli al Senegal. Il salto non è enorme. Nel dialetto partenopeo c’è un’espressione che si usa per incitare a darsi una mossa: “Jamm’ bell’!”. Anche a

“Se il chicco di grano non cade in terra e non muore, rimane solo; se invece muore, porta molto frutto” (Gv 12, 24). Jaén, città andalusa della Spagna, dove gli Oblati hanno gettato il seme del Vangelo e, dopo aver chiuso la comunità per continuare la missione, il carisma ha continuato a vivere attraverso l’opera di evangelizzazione dei laici. Abbiamo visitato, con p. Tino Migliaccio, Annamaria della parrocchia di Aluche e Chichi, laica di Jaén, una comunità di giovani tra i 19 e i 26 anni

Napoli c’è fretta, c’è sempre un impegno che mette pressione. Al massimo ci si può permettere un caffè, che è diventato “espresso”, perché bisogna far presto. “Jamm’ bell’, ja!”. Sin dai primi giorni in Senegal

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per condividere la nostra vita e l’ansia missionaria. Mi domando: perché ancora oggi, dopo tanti anni dalla chiusura della comunità, il Signore ci chiama a visitare questa città. La missione non termina, anche se gli Oblati partono, perché il carisma del nostro fondatore,

ho imparato una frase in wolof, che è la risposta ai saluti, alla domanda su come va la vita: “Jamm rekk!”. Solo pace. Cioè va tutto bene. Domanda e risposta si possono ripetere più volte in un dialogo,

sant’Eugenio de Mazenod, vive nel cuore delle persone a cui siamo stati inviati come missionari. Così quel chicco di grano caduto a terra porterà frutto. Non è semplice “abbandonare” e lasciar andare, e forse è poco umano, però è la via da percorrere per annunciare ai poveri la salvezza. Se in quel morire sapremo accogliere la presenza di Dio, saremo missionari.

anche dopo aver parlato di altro. Risposta che si può (e si deve) dare anche se le cose non vanno benissimo. “Jamm rekk!”. Solo pace. Solo pace, perché il tempo è da vivere, da godere nelle relazioni umane, con calma. Il tempo è per noi, il tempo è per stare insieme. Ho associato a “Jamm rekk” l’ataya, il té alla menta tipicamente senegalese. È un lungo procedimento: il té e la menta si fanno bollire, poi si versano e riversano nei bicchierini per creare la schiuma. È un rituale, un modo di stare insieme, di condividere. Con calma e nella pace. Jamm rekk!

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missioni

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In cammino verso i 200 anni dalla nascita dei

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Gesù condivide la vita con i discepoli nell’Eucaristia Preparate il luogo per la riflessione personale o di gruppo. Ponete su un tavolo i simboli eucaristici ad esempio un pane, un calice o una coppa di vino, delle spighe di grano o un grappolo d’uva.

200 ANNI Missionari Oblati

Costituzioni e Regole oblate Al centro della loro vita e della loro azione, gli Oblati mettono l’Eucaristia, fonte e culmine della vita della Chiesa. Vivono in modo da poterla celebrare degnamente ogni giorno. Partecipandovi con tutto il loro essere, offrono se stessi con Cristo Salvatore; si rinnovano nel mistero dalla loro cooperazione con lui, rinsaldano i legami della comunità apostolica e dilatano gli orizzonti del loro zelo alle dimensioni del mondo. Riconoscenti per il dono dell’Eucaristia, spesso faranno visita al Signore presente in questo Sacramento. (Costituzione 33)

CONDIVISIONE Portare alla mente o condividere esperienze sul tema dell’Eucaristia. Quale è stata la mia relazione con Gesù nell’Eucarestia? Richiamare i ricordi dell’infanzia, l’esperienza in famiglia, i ricordi della prima comunione… Quale è la mia relazione con Gesù Eucaristia all’interno nella della famiglia oblata? Come l’eucaristia sostiene la mia vita?

IMPEGNO Una preghiera di ringraziamento a Dio per il dono dell’Eucaristia.

LA PAROLA DI DIO

Gesù si mette a tavola con i Dodici

di Maria Immacolata

1816-2016

Matteo 26, 20. 26-32 Un commento di p. Fernand Jetté OMI Il primo atto dell’Oblato è l’Eucaristia posta al centro della sua vita e della sua azione. Il paragrafo si ispira molto all’insegnamento del Fondatore e del Concilio Vaticano II: “L’eucaristia si presenta come fonte e culmine di tutta l’evangelizzazione [...] nella santissima eucaristia è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra pasqua e pane vivo che, mediante la sua carne vivificata dallo Spirito Santo e vivificante, dà vita agli uomini i quali sono in tal modo invitati e indotti a offrire assieme a lui se stessi, le proprie fatiche e tutte le cose create.” (Presbiterorum Ordinis, 5 b). Per Eugenio de Mazenod, l’Eucaristia era il luogo di incontro quotidiano della Congregazione. Ogni mattina, durante la messa, e la sera durante l’orazione davanti a Cristo, in cappella, egli ricordava ogni padre e fratello della sua famiglia religiosa. Scriveva a P. Lacombe il 6 marzo 1857: «Voi non immaginate quanto mi preoccupi davanti a Dio dei nostra cari missionari

della Rivière Rouge. Ho solo questo mezzo per avvicinarli. Lì, alla presenza di Gesù Cristo, davanti al SS. Sacramento mi sembra di vedervi, di toccarvi. Deve capitare spesso anche a voi di trovarvi alla sua presenza. È allora che ci incontriamo in questo centro vivente che ci serve da comunicazione». ■

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Tessari, D.,

Sant’Eugenio de Mazenod, Padre e Pastore DINO TESSARI

SANT’EUGENIO DE MAZENOD

SANT’EUGENIO DE MAZENOD

DINO TESSARI

editrice Velar 2014, pp. 112, 8 euro

Per acquistare il libro •telefonare al numero 06.9408.777 (in ore ufficio), •scrivere a editrice.missionari.omi@omi.it •contattare l’autore: Missionari OMI, via Tacconi 6, 40139 Bologna

Padre e Pastore

ISBN 978-88-6671-070-7

€ 8,00

Attraverso testi e immagini il libro presenta la persona, gli ideali e la santità di Eugenio de Mazenod, fondatore dei Missionari Oblati di Maria Immacolata.. P. Louis Lougen, superiore generale OMI, ha scritto la prefazione nella quale presenta l’attualità di sant’ Eugenio. Il libro è stato scritto al termine del primo anno di preparazione al 200° anniversario della fondazione dei Missionari OMI che ricorrerà il 25 gennaio 2016.

9 788866 710707

I FRUTTI CHE TI OFFRIAMO Nato dall’incontro delle diverse sensibilità di un gruppo di autori, musicisti e artisti, che, lavorando insieme nella luce dello Spirito Santo, hanno sperimentato un crescente senso di unità e condivisione. In quest’ottica il CD ha già avuto il suo successo. La nostra speranza è che questo lavoro possa essere segno di unità anche per i gruppi di preghiera che vorranno utilizzare questi canti per animare le loro celebrazioni. L’ordine in cui compaiono i canti nel CD segue lo schema di una messa. I testi, gli accordi e gli spartiti di tutti i canti sono disponibili sul sito www. omimessina.it.

PER INFORMAZIONI ifruttichetioffriamo@gmail.com tel. 090 315423 - Missionari OMI, Messina (Gesso)

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LE NOSTRE COMUNITÀ,

SENEGAL

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