attualità
dossier
fatti
missioni
Un incontro speciale con papa Francesco in Corea
Il mistero del Natale coinvolge le famiglie
P. Ettore Andrich. Un missionario generoso
Vivere e operare come corpo apostolico
MISSIONI
RIVISTA MENSILE DI ATTUALITÀ MISSIONARIA
OMI
Prezzo di copertina € 2,20 - dicembre 2014 - Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, C/RM/68/2012
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SOMMARIO MISSIONI OMI Rivista mensile di attualità fondata nel 1921 Anno 21 n.12 dicembre 2014
attualità
La Roma di sant’Eugenio di Fabio Ciardi OMI
L’incontro
La testata fruisce dei contributi statali diretti di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 250
di Maurizio Giorgianni OMI
EDITORE
Provincia d’Italia dei Missionari Oblati di Maria Immacolata Via Egiziaca a Pizzofalcone, 30 80132 Napoli
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Con i giovani per la rinascita del continente africano
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Notizie in diretta dal mondo oblato
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di Gianluca Rizzaro OMI
news
REDAZIONE
Via dei Prefetti, 34 00186 Roma tel. 06 6880 3436 fax 06 6880 5031 pax1902@gmail.com
a cura di Elio Filardo OMI
Mgc news
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Papa Francesco, pellegrino in periferia
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L’indomabile missionario
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Lettere al direttore
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Tipolitografia Abilgraph - Roma
Lettere dai missionari
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FOTOGRAFIE
Qui Thailandia, Qui Nigeria
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DIRETTORE RESPONSABILE
Pasquale Castrilli REDAZIONE
fatti
Salvo D’Orto, Elio Filardo, Gianluca Rizzaro, Adriano Titone COLLABORATORI
Alfonso Bartolotta, Claudio Carleo, Anna Cerro, Fabio Ciardi, Gennaro Cicchese, Angelica Ciccone, Luigi Mariano Guzzo, Thomas Harris, Sergio Natoli, Michele Palumbo
di Luigi Mariano Guzzo
di Alberto Gnemmi OMI
PROGETTO GRAFICO E REALIZZAZIONE
missioni
Elisabetta Delfini STAMPA
Si ringrazia Olycom www.olycom.it UFFICIO ABBONAMENTI
Via Tuscolana, 73 00044 Frascati (Roma) tel 06 9408777 - Valentina Valenzi rivista.missioni.omi@omi.it Italia (annuale) Estero (via aerea) Di amicizia Sostenitore
17 euro 37 euro 35 euro 65 euro
Da versare su cc p n. 777003 Home Banking: IBAN IT49D0760103200000000777003 intestato a: Missioni OMI Rivista dei Missionari OMI via Tuscolana, 73 00044 Frascati (Roma) Finito di stampare novembre 2014 Reg. trib. Roma n° 564/93 Associata USPI e FESMI www.missioniomi.it www.facebook.com/missioniomi
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dossier
DOSSIER
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La famiglia nello spirito del Natale 14
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opo essere stato per molti anni guida spirituale della Comunità di Sant’Egidio, poi, per dodici anni (2000-2012) vescovo di Terni-Narni-Amelia, da giugno 2012, mons. Vincenzo Paglia è tornato a Roma, a seguito della nomina a presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia. L’ufficio del dicastero vaticano, in cui monsignor Paglia ci riceve per l’intervista, è significativamente a due passi dalla basilica di Santa Maria in Trastevere, dove è stato parroco per una ventina d’anni e dove trent’anni fa ebbe inizio la pregevole iniziativa del pranzo di Natale con i poveri di Roma. Pochi metri più in là, la sede internazionale della Comunità di Sant’Egidio. In questo angolo nel cuore di Trastevere si intrecciano il passato, il presente e il futuro di monsignor Paglia: tanti ricordi ed ispirazioni per l’impegno pastorale attuale del quale il presule, a colloquio con Zenit, ha tracciato le sfide più attuali. Con un occhio alle festività natalizie imminenti.
Mons. Vincenzo Paglia racconta perché il mistero del Natale coinvolge profondamente ogni famiglia di Luca Marcolivio Zenit
In un suo libro, intitolato In cerca dell’anima, descriveva un paese, l’Italia, in grossa crisi di identità umana e spirituale. Questa “perdita dell’anima” è un problema anche mondiale? Il Natale può aiutarci a ritrovare l’anima perduta? È un mondo che rischia di perdere l’anima, perché pensa che l’anima sia solo il mercato, il conflitto, il prevalere sugli altri, ma non l’amore. Ma l’anima che può rendere vivibile il mondo è solo l’amore, è solo quel Bambino piccolo, che viene al mondo, perché tutti possano accogliere l’amore. In tal senso noi cristiani abbiamo un indispensabile compito: aiutare gli uomini di tutte le fedi e di tutte le culture a ritrovare l’anima.
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una foto per pensare 014_021.indd 14-15
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foto di Alfonso Bartolotta OMI, albartem@yahoo.fr testo di Anna Cerro, annacerro@gmail.com
UNA FOTO PER PENSARE
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I nostri giorni stanno nel qui e ora, nel presente pregnante ed esigente. Perché possano avere senso necessitano di una solida base, di una prospettiva forte. Io la trovo nella “vita di dentro”, nella profondità delle emozioni e dei sentimenti, nell’interiorità. Intriga questo allenamento interessante e faticoso, che esige la messa in relazione di quello che c’è all’interno con la concretezza dell’esterno. Chiama alla coerenza - sofferta e mai compiuta - tra ciò in cui si crede e quello che poi effettivamente si fa. Il traguardo è accorciare, con pazienza e perseveranza, questo cono d’ombra tra il mondo “di dentro” e quello “di fuori”. Decidendo di fare sul serio potremmo ritrovarci unità composta e risolta che emana bellezza.
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editoriale Pasquale Castrilli OMI pax1902@gmail.com
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La sfida del Natale A
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NATALE
Festa in famiglia
nni fa avevamo fatto un gioco con i ragazzi. Dodici domande per “sfidare” la conoscenza dell’evento storico del Natale di Gesù Cristo, figlio di Dio. Partendo dal dato biblico avevamo notato quanto era stato aggiunto dalla tradizione e dalla pietà popolare. I tre magi? La Scrittura non specifica il numero di questi uomini venuti dall’Oriente (Mt. 2,1). La grotta? Gesù, dice il Vangelo, nacque in una “casa” (Mt. 2,11). L ’asino e il bue? Dispiace dirlo, ma… dei due animali non c’è traccia nei Vangeli. I genitori dei ragazzi si erano un po’ preoccupati nell’ascoltare i loro figli tornati dall’incontro di formazione. Ma qualcuno di loro mi disse, tempo dopo, che quell’occasione era stata utile per parlare in famiglia, per svegliarsi e prendere coscienza, pensando al vero senso del Natale, senza ridurlo ad una favoletta, ad un mito. Ecco. Si tratta proprio di questo: non trasformare l’evento “Natale” in un aneddoto a lieto fine da narrare ai bimbi prima di andare a dormire per conciliare la loro notte. Raccontare il Natale come fosse una novella fa perdere a questo fatto la sua storicità e inevitabilmente la sua verità. In altre parole narrare il Natale come una bella storiella, sminuisce la forza dell’evento. Toglie a Cristo la verità della sua mis-
sione di Salvatore, a Dio la forza della scelta “scandalosa” di incarnarsi, a Maria e Giuseppe il valore della loro disponibilità alla Volontà di Dio, ai pastori la semplicità di una fede sincera, ai Magi il senso di un viaggio lungo e faticoso. Si tratta, in realtà, di un momento drammatico e forse non proprio sdolcinato. Una coppia di sposi, lei alla vigilia del parto, che non trova albergo, il rifiuto di questo bambino prima ancora della sua nascita, l’entrata ‘incosciente’ di Dio nella storia. Certo, tutti, bambini e adulti, abbiamo bisogno di favole per sognare e rendere più lieti i nostri giorni. Ma nel terzo millennio, in questi tempi italiani di cui siamo protagonisti, conviene forse tornare all’autenticità del Natale. A sentire la solidarietà di Dio, a fare scelte di vita sobria, ad abbandonare sterili confronti per lasciare il posto all’accoglienza reciproca. Madre Teresa di Calcutta diceva: «È Natale ogni volta che sorridi ad un fratello e gli tendi la mano, ogni volta che riconosci con umiltà i tuoi limiti e le tue debolezze, ogni volta che permetti al Signore di rinascere per donarlo agli altri». Il Natale ci sfida, a tutte le latitudini, a costruire un presente di pace che ci apra ad un futuro di nuova speranza e ottimismo. ■
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lettere al direttore
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Talita Kum Pozuelo è arrivato a Roma Venerdí 3 ottobre siamo partiti per Roma con una delegazione spagnola. Dal momento che ci siamo incontrati all’aereoporto di Madrid ero sicuro che cominciava un’esperienza indimenticabile. Eravamo incaricati di rappresentare i nostri amici spagnoli al Convegno della Procura delle missioni che si svolgeva nella Casa provinciale degli OMI a Frascati (Rm), in quel fine settimana: Mercedes Ossorio, Tino Migliaccio OMI ed io, di Pozuelo de Alarcón, per presentare il progetto “Talita Kum Pozuelo”, Evilio Moran, di Valladolid, per presentare la “Ong AMYCO” (Amicizia e Collaborazione Oblata). A Roma ci aspettava la nostra casa e la nostra familia italiana. È stato vivere un’intenso scambio di buone notizie, che normalmente non vengono raccontate nei giornali né in televisione. Abbiamo
incontrato persone che hanno deciso di rispondere ad una chiamata di Dio; quel gruppo di persone è arrivato con il desiderio di condividere le proprie esperienze. Quanto mi è piaciuto imparare che aiutare gli altri non è solo cosa di sacerdoti, ma anche di laici! Protagonisti dell’incontro erano quei progetti nati dalla solidarietá di gente che aveva deciso di non vivere piú per se stessa, ma per gli altri. È stato una boccata di aria fresca, un’aria che mi ha riempito di forza e mi ha spinto a continuare nel progetto che abbiamo
cominciato. La convivenza oblata mi ha riempito di energia, e adesso so che ci sono persone in Italia che pregano per noi e che ci appoggiano, e anche noi facciamo lo stesso per loro. Abbiamo terminato la giornata di domenica conoscendo il superiore generale OMI, p. Louis Lougen, che ci ha riempito anche lui di voglia ed entusiasmo per continuare. Oltre a questo, abbiamo fatto anche una visita a S. Pietro dove abbiamo terminato la nostra avventura pregando sulla tomba di S. Giovanni Paolo II, il papa dei
giovani, chiedendo la sua intercessione per il gruppo giovani che sono parte di questo progetto. I compagni di viaggio e il soggiorno mi hanno rinnovato e in Spagna è ritornato un Gonzalo diverso da quello che era partito. Solo Dio ha potuto essere l’autore di un’esperienza simile. In definitiva, sono tornato alla mia vita con l’intenzione di cambiare direzione; non sono piú io il protagonista della stessa, ma ho deciso di mettere gli altri al mio posto, e concretamente i piú bisognosi. Gonzalo García Madrid
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Ricordando Pierino Da un lato la vita, la famiglia, le persone; dall’altro le cose che non si vedono, l’eternità, Dio e la voce della trascendenza che abita nel cuore. Così te ne sei andato tra la voglia di vivere accanto a noi e la debolezza fisica. Lo sapevi e ci avevi preparati lasciandoci il messaggio che “la morte è un risvegliarsi in cielo”. Avevi chiaro l’obiettivo: il Cielo, Dio. Per questo obiettivo hai vissuto, hai amato e donato. Hai vissuto la tua realtà di operaio che apprezza il salario, fonte di sussistenza per la famiglia e di aiuto per i poveri. In tutto ciò che facevi mettevi passione e creatività. Hai amato la famiglia: tua moglie, “la regina della casa”. A lei hai consegnato i tuoi progetti, i desideri e il tuo amore. Hai saputo metterti da parte tante volte per vederla felice. Hai amato noi, tuoi figli ai quali non hai mai fatto mancare nulla, soprattutto i consigli, il sostegno, il rigore e la capacità di introdurci nella vita fondata su radici profonde come l’onestà, l’unione, la condivisione e la fede. Era questa che ti ha accompagnato nella vita, in gioventù, quando militavi
nell’Azione Cattolica e poi in età matura, in ogni contesto laico o religioso, in situazioni liete e nella sofferenza. La tua vita non era solo il lavoro e la famiglia, ma anche ‘gli altri’: i vicini di casa, la comunità parrocchiale, i poveri, i missionari, i giovani…Ai vicini non facevi mancare la tua battuta e un invito alla preghiera (ti incontravano quasi sempre con Radio Maria sintonizzata nella radiolina). Alla comunità
parrocchiale hai donato il servizio con naturalezza, perché la chiesa era anche la tua casa. Poi il volontariato alla Caritas ed in particolare nell’allestimento di container destinati alle missioni degli OMI. Così nel 1988 hai deciso di partire per raggiungere una di queste missioni, il Senegal, dove sei stato accolto da p. Giancarlo Todesco. Hai avuto uno sguardo attento per i poveri a cui non hai fatto mancare i tuoi aiuti spirituali e
materiali che hai offerto tramite i missionari. Anche per i giovani ti sei prodigato, perché ci fosse un posto per loro nella parrocchia. Ti sentivi un pò papà e un po’ nonno con le tue correzioni e i tuoi sorrisi. Poi con la mamma vi siete resi disponibili ad organizzare la prima “Estate Ragazzi” che ancora oggi vede impegnati tanti ragazzi e famiglie. In ultimo il tuo rapporto con Dio che condiva ogni tua azione, il tuo essere, il tuo donarti. In Lui hai trovato la forza di servire, di essere sempre disponibile per tutti, anche quando avresti voluto godere un ben meritato riposo. Hai saputo abbandonarti alla misericordia di Dio facendo della tua vita e soprattutto della tua sofferenza una preghiera vivente.. Annapaola e Giancarlo Rasia Aosta V Convegno ecclesiale 2015 La Chiesa italiana cammina verso il V Convegno nazionale che si terrà a Firenze dal 9 al 13 novembre 2015. La“traccia” preparatoria è reperibile su Internet cliccando www.avvenire.it/Chiesa/ Documents/a%20cei%20 traccia%20Firenze%20 2015%20web.pdf
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attualità
Gli incontri con S. Gaspare del Bufalo di Fabio Ciardi ciardif@gmail.com
La Roma di
sant’Eugenio R
oma, “è come un compendio del cristianesimo. Quale alimento alla devozione fornisce la vista di tanti monumenti, lì a testimoniare la vittoria dei martiri che hanno sommerso l’idolatria nel loro sangue! I loro corpi sono ancora visibili, il loro ricordo, per così dire, è ancor fresco… Qui tutto è santo per chi ci viene da autentico pellegrino cristiano; io ci vedo solo gli apostoli, i martiri, i santi confessori di tutti i tempi:… Qui si ritrovano tutti i santi, da S. Pietro fino al beato Benedetto Labre e ad altri più moderni”. Così scriveva sant’Eugenio de Mazenod il 6 dicembre 1825. Era la prima volta che visitava la città eterna. Ne rimase subito conquistato. Vi tornò altre cinque volte e sempre andò alla ricerca delle tombe dei santi e dei luoghi del loro passaggio: Caterina da Siena, Filippo Neri, Francesca Romana, Francesco Borgia, Giovanni Berchmans, Giuseppe Calasanzio, Giovanni Leonardi, Giuseppe Benedetto Labre, Ignazio di Loyola, Leonardo da Porto Maurizio, Luigi Gonzaga, Paolo della Croce,
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Stanislao Kostka… Durante le sue visite, a Roma c’erano anche santi viventi come Vincenzo Pallotti, Anna Maria Taigi, Elisabetta Canori Mora. Con i lettori di “Missioni OMI” potremmo seguire sant’Eugenio nelle sue camminate per la città alla scoperta dei luoghi dei santi. Iniziamo dall’incontro con un santo suo contemporaneo, S. Gaspare del Bufalo, più giovane di lui di appena cinque anni. Come sant’Eugenio, aveva fondato nello stesso periodo (15 agosto 1815) un gruppo di missionari, consacrati al Preziosissimo Sangue. Proprio durante il primo viaggio a Roma, sant’Eugenio annota nel diario: «Visita al Canonico del Bufalo, per conoscere l’Istituto dei Missionari del sangue prezioso di Nostro Signore» (11 aprile 1826). I due si incontrarono un’altra volta, nel 1832. Non sappiamo niente riguardo al terzo viaggio del 1833. Nel quarto, avvenuto nel 1845, S. Gaspare era ormai morto da otto anni. Adesso riposa nella chiesa di Santa Maria in Trivio. Tutti conoscono Fontana di Trevi, pochi la chiesetta accanto, detta di Santa Maria in Trivio (= all’incontro di tre strade, da cui deriva la parola Trevi). Una grande storia, quella della piccola chiesa, che inizia con la costruzione voluta dal generale bizantino Belisario, in segno di pentimento per avere mandato papa Silvestro in esilio nell’isola di Ponza, dove morì nel 537. L’ho visitata il 21 ottobre, giorno della festa di S. Gaspare. Un’aula rettangolare un po’ scura, rischiarata da una bellissima Madonna col Bambino del primo ‘400 che risplende sull’altare maggiore. Nella terza cappella a sinistra le spoglie di S. Gaspare del Bufalo con la sua statua in
bronzo: un autentico capolavoro, sembra vivo, ci puoi parlare come ci parlò sant’Eugenio nel 1832. Cosa si dissero quel giorno? Valutarono la possibilità di una fusione tra i due gruppi di missionari. In seguito sant’Eugenio scrisse a S. Gaspare una lettera in merito, in obbedienza «alla ispirazione del Signore» che lo invitava a proporre l’unificazione, lasciandone «l’esame e la responsabilità a chi ha più lumi e grazie di me, e mi quieto nella pace di un cuore che comunque debba succedere dirà sempre con fiducia “Io sono amico di tutti quelli che amano il Signore”». Sant’Eugenio aveva trovato
nella Congregazione del Preziosissimo sangue lo «stesso spirito, lo stesso ministero e pressoché le stesse regole» degli Oblati. La loro Regola, come la sua, iniziava con una prefazione che analizzava i mali della chiesa e proponeva i necessari rimedi: S. Gaspare mandò a chiamare p. Giovanni Merlini, suo uomo di fiducia e futuro successore nella direzione generale dell’Opera, perché fosse lui a trattare il progetto. Dopo essersi incontrato con sant’Eugenio, Merlini annotò, sul retro della lettera di sant’Eugenio: «Mons. D’Icosia desidera unire la sua Congregazione con la nostra del P.mo Sangue. Nulla si è concluso perché non si son voluti togliere i voti. In Francia è tale istituzione e nel 1832 si contano 6 Case». S. Gaspare aveva istituito una fraternità sacerdotale senza voti, che voleva fosse unita solo dai vincoli di carità, un po’ come era stata agli inizi la Società dei Missionari di Provenza. Mentre Eugenio de Mazenod, tre anni dopo la fondazione, aveva capito di dover abbracciare i voti, vivendo in pieno l’ideale della vita religiosa, S. Gaspare ha sempre tenuto al carattere puramente sacerdotale della sua Pia Unione. Per sant’Eugenio i voti erano essenziali nel progetto della sua opera, così come la libertà dai voti per quella di S. Gaspare. Così il progetto di unione non andò in porto. Eugenio de Mazenod e Gaspare del Bufalo, i Missionari Oblati e i Missionari del Preziosissimo Sangue: due carismi della chiesa, distinti e pur chiamati a vivere in comunione. Andando alla Fontana di Trevi, dopo avervi gettato la fatidica monetina, converrà entrare nella chiesetta adiacente per dare un saluto a S. Gaspare. n
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attualità
L’incontro Le sorprese di un lavoro di traduzione in occasione della visita di papa Francesco in Corea lo scorso mese di agosto. di Maurizio Giorgianni OMI gioma18@hotmail.com
H
o difficoltà a scrivere queste righe. Per raccontarvi il mio incontro con papa Francesco sento che dovrei avere un cuore più libero. Ma forse il modo migliore per essere liberi è donare quello che si è vissuto. Tutto è iniziato quando sono tornato dalle vacanze in Italia. Il 5 luglio sono rientrato in Corea ed il 6 ricevo una telefonata dalla CBCK (Conferenza episcopale coreana). Mi chiedono se posso correggere alcune bozze scritte in italiano di un discorso di benvenuto per papa Francesco. «Per amore al papa e alla chiesa co-
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corea del sud
Nel 2005, meno della metà della popolazione sudcoreana non ha espresso alcuna preferenza religiosa. Per quanto riguarda il resto della popolazione, la maggior parte è cristiana o buddista. Secondo il censimento del 2007, il 29.2% della popolazione a quel tempo era cristiana (il 18.3% si è dichiarato protestante, mentre il 10.9% cattolico), ed il 22.8% era buddista. Altre religioni presenti sono l’Islam e nuovi movimenti religiosi come il Jungismo, Cheondoismo e il Buddismo Won. La religione praticata più antica era lo
in pillole
sciamanismo coreano. Oggi, la libertà di religione è garantita dalla costituzione, e non c’è una religione di Stato.
NOME UFFICIALE LINGUE UFFICIALI CAPITALE FORMA DI GOVERNO INDIPENDENZA INGRESSO NELL’ONU SUPERFICIE TOTALE
REPUBBLICA DI COREA COREANO SEUL REPUBBLICA SEMI PRESIDENZIALE DAL GIAPPONE 15 AGOSTO 1945 17 SETTEMBRE 1991 100.210 KM2
Seul
reana, lo faccio volentieri», rispondo subito. Da uno, i discorsi diventano due, e poi una relazione sullo stato della chiesa, e poi altre relazioni. Praticamente in due settimane mi trovo ogni giorno a dover correggere discorsi, relazioni, controllando le traduzioni dal coreano all’italiano. Pensavo fosse una cosa semplice, ma si rivela impegnativa. Anche p. Vincenzo Bordo qualche volta viene coinvolto nel lavoro.
Amare la chiesa Mi dicevo alcune volte “ma chi me l’ha fatto fare..” però davvero è stata una esperienza di crescita e di amore verso la chiesa coreana e verso il papa. Verso la fine di luglio ancora qualche piccolo aiuto e poi il lavoro sembra finito. Mi richiamano dalla CBCK per ringrazi-
armi e per chiedermi il numero di conto bancario. «Il suo lavoro va pagato», mi dicono. Io scherzando rispondo: «no, no è per il papa e per la chiesa». Comunque insistono anche perché era nei loro budget e ci mandano un compenso per la traduzione. Nel cuore un po’ di soddisfazione ce l’ho, nel mio piccolo un minimo contributo a questa visita del papa l’ho dato. Qualche giorno dopo ricevo un’altra telefonata. «Padre il 14 agosto ha qualche impegno?» Guardo i miei impegni, è un giovedì e di solito lavoro in comunità per l’economato. «No il 14 non ho impegni particolari. Perché?» rispondo. «Ho una cosa importante da chiederle». dall’altra parte la voce diventa seria… «Vede, padre, il 14 agosto il Santo Padre, dopo aver incontrato il presidente, avrà l’incontro coi vescovi coreani qui
alla CBCK. Pensavamo di chiederle se è disponibile per le traduzioni dal coreano in italiano». «Vuole dire che devo tradurre per il papa?», rispondo un po’ incredulo. «Sì, per il papa e il seguito della persone che vengono dall’Italia». A questo punto mi si è inceppata la lingua. «Ma siete sicuri, Io non sono così bravo nella lingua coreana. Tradurre un testo con tempo è un conto, ma tradurre in simultanea…a dire il vero non me la sento». Provo anche a spiegare e indicare alcuni nomi di persone che parlano bene le due lingue e potrebbero essere adatte. Ma la risposta è che il vescovo Kang, presidente della CBCK non vuole all’incontro altre persone, ma solo un prete e ha fatto il mio nome, dato che conosco già tutti i discorsi avendoli corretti. A questo punto dico di sì, subito. Incoscientemente.
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Dall’incontro personale informale agli incontri ufficiali. Papa Francesco dimostra una grande capacità di comunicazione ad ogni livello. In alto, con p. Maurizio Giorgianni OMI, in basso a colloquio con la presidente Park Geun-Hye
Verso il 14 agosto Nei giorni dopo la telefonata, fino al 14 agosto nella mia mente avevo l’episodio dell’annunciazione a Maria. Mi dicevo: “ma come è possibile? Io non conosco…il coreano”. E la risposta dentro era fidati, forse c’è un piano di Dio e poi studia e preparati bene. Ho iniziato così a rileggere e memorizzare il discorso di benvenuto del vescovo, a memorizzare i nomi dei vescovi e i loro dicasteri, per essere preparato per le presentazioni. Ovviamente non potevo non prepararmi anche dentro. Incontro il padre spirituale che mi dice «non avere paura», e tanta preghiera. E così arriva il 14 agosto. La mattina alle 10 con p. Vincenzo siamo sulla stra-
da che va all’aeroporto per salutare il papa sperando un sguardo. Ma vediamo solo la macchina sfrecciare ed un braccio che benedice. Alle 11 prendo la metropolitana e vado alla CBCK, anzi vado a pregare. L’incontro inizia alle 18, ma dalle 16 mi è stato detto di essere pronto. Mi spiegano cosa devo fare e mi mostrano una “stanza” di legno. «Lei starà qui dentro, qui c’è il microfono, il pulsante quando deve parlare, la cuffia per ascoltare, ecc. Farà un po’ caldo». Stanza? Cuffie… “Addio papa” mi dico. Però già essere qui e vederlo a 20 metri (dietro il vetro) mi dà tanta contentezza. Provo a vedere se posso salutarlo quando arriva (mi sembrava di essere Zaccheo), ma
mi dicono di andare nella sala traduzione per essere pronto. Così vado nella “stanza”, pronto con la cuffia. Inizia l’incontro e tocca a me tradurre il saluto di benvenuto del vescovo Kang al papa. Terminato il mio compito, parla il papa. Io devo solo ascoltare, per la traduzione dall’italiano al coreano c’è un prete coreano.
Il Vangelo messo in pratica Vedere il papa parlare è una esperienza particolare. Parla molto semplicemente e le parole mirano dritto all’essenziale. Vivo con lui la gioia, ma anche la “difficoltà” con cui sta dicendo alcune cose importanti ai vescovi, soprattutto nel momento in cui non segue più i
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attualità
fogli scritti, ma il suo cuore. Altre piccole traduzioni prima che l’incontro finisca. Poi è il momento della foto di gruppo con tutti i vescovi. Esco dalla sala traduzioni e finalmente posso vedere il papa (senza il vetro). È seduto a 20 metri da me con tutti i vescovi per la foto e le firme. Mi godo la scena da lontano, felice. Averlo visto così vicino è un sogno. Vedo che il papa incrocia i miei occhi, allora gli faccio un sorriso ed un inchino di saluto (alla coreana). Il papa mi vede e con le mani mi fa cenno come per dirmi, “dopo ti voglio parlare, vai lì all’angolo”. E improvvisamente dopo che le foto sono finite il papa lascia i vescovi che uscivano dalla sala e mi chiama con la mano per avvicinarmi. Mi avvicino e gli stringo la mano, felice. Lui mi dice «Tu sei quello di Messina, vero?» “Si, Santità». Il papa mi dice di aver letto quello che avevo scritto sull’Osservatore Romano, il giorno della sua partenza per la Corea. Mi incoraggia. Mi dice diverse cose e di continuare a lavorare bene per la chiesa in Corea. Io so solo rispondere “grazie” e non stacco le mie mani dalle sue per tutto il tempo. Ho avuto l’impressione di incontrare un padre che ti conosce, che ti vuol bene e che ti aiuta… ma era il papa. Soprattutto ho ricevuto un grosso regalo da Dio. Non ho fatto nulla per riceverlo, è stato proprio gratuito. Vedendo il papa ho visto il Vangelo messo in pratica. Nella stanza dell’incontro dei vescovi, c’erano tutti i vescovi di Corea, cardinali, giornalisti, professori, vaticanisti. L’ultimo in ordine fisico e morale in quella stanza ero io. Il papa ha avuto gli occhi per me che ero l’ultimo …davvero il Vangelo. Vedere e sentire il papa durante i giorni in cui è stato in Corea è stato un messaggio di amore e umiltà. Adesso è il momento di continuare a vivere con umiltà e amore verso quelli che mi sono stati affidati. n
Grazie, papa Francesco: ora tocca a noi !
«Come cattolici in Corea diciamo grazie a papa Francesco per le parole e la testimonianza indimenticabile che ci ha lasciato. Ora spetta a noi, che siamo rimasti qui, far sì che questi “semi di un mondo nuovo” crescano e diventino vita». Lo ha detto all’agenzia Fides p. Vincenzo Bordo, OMI, che 22 anni fa ha fondato nella città di Suwon la “Casa di Anna”, centro di accoglienza che assiste anziani soli, ragazzi abbandonati, uomini senza fissa dimora, disoccupati. P. Bordo racconta ancora: «Il papa in Corea ha parlato di riconciliazione, perdono, dialogo, attenzione ai poveri. Ma, soprattutto, ha compiuto gesti di grande tenerezza verso le persone sofferenti: anziani soli, handicappati, vittime del traghetto naufragato, le “donne di conforto” (donne forzate alla prostituzione dai soldati giapponesi negli anni della guerra). Abbracciandole, ha curato le piaghe di una intera nazione. Ora, dopo giorni indimenticabili, spetta a noi cristiani rimasti qui raccogliere la sua eredità e continuare su questa strada». P. Bordo ha ripercorso alcuni momenti del viaggio, significativi anche per il futuro della comunità cristiana in Corea: «Alla presidentessa Park, che affronta il problema del nord Corea con la determinazione della forza militare, Francesco ha parlato di dialogo, pazienza e ascolto. Con amore vero e sincero ha abbracciato una donna disabile: per i puritani della religione questo non era opportuno. I genitori dei ragazzi morti nel traghetto di Sewol hanno iniziato una campagna di protesta contro il governo per le sue inadempienze: incontrandoli, ha voluto manifestare affetto e vicinanza. Abbracciare le “donne di conforto” potrebbe incrinare i delicati rapporti con il Giappone, ma Francesco le ha fatte sedere in prima fila, durante la messa in cattedrale. Papa Francesco forse non è stato “politicamente corretto”, ma non ha avuto paura degli ipocriti: ha amato teneramente, ha ascoltato con rispetto, ha consolato chi soffre. Per questo il suo esempio sarà fonte di ispirazione per tutti i fedeli in Corea».
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Con i giovani per la
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Il lavoro dell’associazione Ymca in un quartiere di Dakar 10 MISSIONI OMI · 12_14
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un equivoco
Chi conosce a cosa si riferisca e di cosa parli il testo della celebre canzone Y.M.C.A., portata al successo dal gruppo musicale americano dei Village People alla fine degli anni ’70 e immancabile in ogni veglione di Capodanno che si rispetti? IL BRANO NON È UNA CELEBRAZIONE DELL’YMCA e del suo lavoro meritorio e ultracentenario nel mondo, quanto piuttosto una presa in giro. Il riferimento è agli Stati Uniti pre-Stonewall, ovvero al periodo precedente gli scontri tra i sostenitori del movimento omosessuale e la polizia (rivolta che poi diede il via alla nascita dei fronti di liberazione gay in diversi Paesi), quando troppo spesso i circoli e le palestre affiliate all’Ymca venivano utilizzati come luoghi di incontro clandestino tra omosessuali. La grande affermazione ottenuta dal brano, uno dei
risolto
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N
di Gianluca Rizzaro OMI gianlucarizzaro@gmail.com
maggiori successi di sempre della disco-music, ha fatto passare in secondo piano, come spesso accade, l’idea originaria dell’Ymca e tutto ciò che, nel corso dei decenni, l’associazione ha operato e continua ad operare. Basti pensare all’impegno nella lotta contro il razzismo, le guerre - il lavoro con i rifugiati e i prigionieri di guerra è valso all’associazione il Nobel per la pace nel 1946 - la discriminazione, la disoccupazione giovanile, attraverso svariati progetti, compresi programmi di cooperazione per Paesi in via di sviluppo. L’Ymca ha fin dagli inizi considerato l’attività sportiva come momento fondamentale della crescita di ciascun giovane. Nel quadro dell’impegno in questo campo, furono proprio due insegnanti di educazione fisica di due college Ymca, James Naismith nel 1891 e William Morgan nel 1895, ad inventare rispettivamente il basket ed il volley.
el cortile della parrocchia oblata Maria Immacolata, nel quartiere di Parcelles Assainies, nella capitale del Senegal, c’è un continuo viavai di persone. Molte entrano in chiesa per una preghiera personale, altre si avvicinano alla statua della Vergine, situata nell’angolo opposto rispetto al cancello d’ingresso, altre ancora attraversano l’intero cortile per mettersi in coda ed essere ricevute da un sacerdote o dalla segretaria nell’ufficio parrocchiale. C’è poi un flusso di persone che percorre il corridoio di sabbia che costeggia l’aula liturgica e si reca nel cortile posteriore, quello con le stanze per il catechismo e gli incontri. Non sono bambini, né catecumeni. Sono gli studenti di Ymca (Young Men’s Christian Association, Associazione Giovanile Maschile Cristiana) e ogni giorno, dal lunedì al venerdì, dalle 18 alle 20, si ritrovano per imparare a leggere e a scrivere. Ogni anno sono almeno 200 e frequentano i corsi di alfabetizzazione organizzati dalla sezione Ymca di Parcelles Assainies, una delle 12 sezioni dell’Associa-
zione dei Giovani Cristiani, attiva in Senegal dal lontano 1982.
Che cos’è Ymca L’Ymca nacque a Londra nel 1844, fondata da George Williams e da altri 11 giovani e, da allora, ha fatto molta strada. Oggi è presente in oltre 125 Paesi del mondo, con 14mila associazioni locali a cui collaborano 700mila volontari e circa 25mila figure professionali. È un organo consultivo dell’Onu, del Consiglio d’Europa e dell’Unesco e continua a lavorare “con e per l’uomo”, ma soprattutto “con e per i giovani”. Il motto universale dell’associazione è il “Che tutti siano uno” del capitolo 17 del Vangelo di Giovanni. Nel primo documento ufficiale di Ymca firmato nel 1855 da 99 esponenti dell’associazione, già all’epoca diffusa in tutto il mondo, si legge: “Le Associazioni Cristiane dei Giovani intendono unire quei giovani che, riconoscendo Gesù Cristo quale loro Dio e Salvatore, secondo le Sacre Scritture, desiderano essere i suoi discepoli, nella fede e nella vita, ed unire i loro sforzi per esten-
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PROGETTI DI SCOLARIZZAZIONE IN BENIN Sono numerose le associazioni impegnate da decenni in Africa per la scolarizzazione di bambini e adulti. È il caso della Ong Educo, nata dall’unione di Intervida e Educación Sin Fronteras, che ha promosso un progetto di scolarizzazione e miglioramento degli istituti educativi a Sinendé, 564 chilometri da Porto Novo, la capitale. Il progetto è rivolto a bambini tra i 6 e gli 8 anni la cui formazione viene finanziata da sponsor. La Ong ha proposto anche a 450 famiglie di sostenere altrettanti bambini che vivono in condizioni di povertà estrema. L’associazione garantisce l’istruzione dei bambini, fornendo loro materiale scolastico e cercando di migliorare le condizioni di vita, oltre a rinnovare le scuole. Inoltre, offre laboratori di sostegno affinché i genitori possano seguire l’istruzione dei rispettivi figli. Sinendé è una zona rurale dove vivono famiglie prevalentemente contadine. Educo è attiva in 68 scuole del Benin e in 6 comunità da ormai un quinquennio. Il Benin è un Paese dove il 47% della popolazione vive con meno di 1,25 dollari al giorno. L’aspettativa di vita è di 59 anni e il tasso di mortalità infantile di bambini con meno di 5 anni è di 90 ogni mille nati vivi. Il tasso di analfabetismo femminile tra gli adulti è del 72%, mentre tra gli uomini è del 55%. La Ong è impegnata in 16 Paesi di tutto il mondo a favore di 500mila piccoli. In Africa opera in Senegal, Burkina Faso, Mali e Ghana.
dere il suo Regno tra i giovani”. Ogni Ymca nazionale ha una dichiarazione costitutiva. In quella italiana, adottata nel 1946 (anche se la prima Ymca italiana vide la luce nel 1851, in Piemonte) si legge: “Le Associazioni Cristiane dei Giovani - Ymca - sono libere associazioni (...) composte di giovani, i quali intendono promuovere lo sviluppo della loro personalità fisica, intellettuale, sociale e spirituale, nella fede e nella vita cristiana, secondo i convincimenti e le tradizioni di ciascuno”.
Un servizio all’uomo Ma torniamo a Dakar. «L’attività di alfabetizzazione che Ymca svolge nel nostro quartiere - spiega Serge Coly, 33 anni, insegnante di scuola elementare e responsabile della scuola serale - è rivolta principalmente a persone che non sono mai andate a scuola, che hanno abbandonato gli studi per cause di forza maggiore o anche a tutti quei giovani che provengono da Paesi non francofoni (Gambia, Nigeria, GuineaBissau). Molti di loro devono imparare il francese per relazionarsi con i loro
Da sinistra Caroline (di spalle), Serge Coly, Antoine e p. Claudio Carleo OMI, durante uno degli incontri organizzativi. A fianco, in alto, Emmilie Mané, segretaria della scuola e tesoriera della sezione Ymca di Parcelles Assainies e due volontari Ymca, Joe e Martin, davanti alle aule dove si tengono i corsi
datori di lavoro, che spesso sono europei, ma è ovvio che l’alfabetizzazione risulti comunque utile per potersi destreggiare meglio nella vita della città. È grazie agli studi che si diventa veri cittadini e si comprende meglio cosa fare della propria vita e per la propria comunità». Così da ottobre a giugno Serge, e come lui molti altri volontari di Ymca, al termine del proprio turno di lavoro, raggiungono i locali messi a disposizione dai Missionari Oblati di Maria Immacolata, ai quali è affidata la cura pastorale della parrocchia di Parcelles, e mettono le loro competen-
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ze al servizio di queste persone. «Tutti gli insegnanti e tutti i volontari di YMCA - continua Serge - sono cristiani e sono spinti dall’amore per il prossimo che si trova in stato di bisogno, ma anche dalla possibilità di conoscere tante persone. Per me, ad esempio, che al mattino insegno ai bambini, dirigere un gruppo di studenti adulti è un’esperienza incredibile: mi sento arricchito da queste persone quotidianamente». Gli studenti della scuola serale
sono per l’80% musulmani. La scuola adotta il programma statale, adattandolo alle esigenze dei singoli studenti. La durata del corso è di sei anni per accedere all’esame per ottenere il diploma statale, altrimenti di almeno tre anni per ottenere una preparazione ideale. Già dopo un anno di corsi, tuttavia, quasi tutti sono in grado di parlare, capire e comunicare in francese. L’importanza di Ymca in questo progetto di alfabetizzazione viene
sottolineato da Emmilie Mané, la segretaria della scuola: è grazie a lei che tutto funziona per il meglio. «Purtroppo nella nostra città non ci sono molti altri luoghi per l’alfabetizzazione degli adulti. Anzi, diciamo pure che non ce ne sono affatto! L’attività che svolgiamo con gli studenti, così come quella che quotidianamente portiamo avanti per aiutare i bambini di strada, dà una speranza in più al nostro popolo. E Dio solo sa quanto ce ne sia bisogno». Far parte di Ymca non serve solo ad aiutare gli altri. «Sono entrata in Ymca subito dopo la cresima, prima facevo parte della gioventù studentesca cattolica. Ho iniziato occupandomi dei bambini e, siccome amo tantissimo stare con i piccoli, sono stata conquistata. Ora ho un ruolo di responsabilità nella branca Ymca di Parcelles (è la responsabile dell’economia, ndr.) e non posso non essere grata ad Ymca per la formazione ricevuta e per le capacità acquisite. Prima - conclude Emmilie con un sorriso - avevo paura di parlare davanti alle persone, adesso mi sento n una leader».
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La famiglia nello spirito del Natale 14 MISSIONI OMI 路 12_2014
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opo essere stato per molti anni guida spirituale della Comunità di Sant’Egidio, poi, per dodici anni (2000-2012) vescovo di Terni-Narni-Amelia, da giugno 2012, mons. Vincenzo Paglia è tornato a Roma, a seguito della nomina a presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia. L’ufficio del dicastero vaticano, in cui monsignor Paglia ci riceve per l’intervista, è significativamente a due passi dalla basilica di Santa Maria in Trastevere, dove è stato parroco per una ventina d’anni e dove trent’anni fa ebbe inizio la pregevole iniziativa del pranzo di Natale con i poveri di Roma. Pochi metri più in là, la sede internazionale della Comunità di Sant’Egidio. In questo angolo nel cuore di Trastevere si intrecciano il passato, il presente e il futuro di monsignor Paglia: tanti ricordi ed ispirazioni per l’impegno pastorale attuale del quale il presule, a colloquio con Zenit, ha tracciato le sfide più attuali. Con un occhio alle festività natalizie imminenti.
Mons. Vincenzo Paglia racconta perché il mistero del Natale coinvolge profondamente ogni famiglia di Luca Marcolivio Zenit
In un suo libro, intitolato In cerca dell’anima, descriveva un paese, l’Italia, in grossa crisi di identità umana e spirituale. Questa “perdita dell’anima” è un problema anche mondiale? Il Natale può aiutarci a ritrovare l’anima perduta? È un mondo che rischia di perdere l’anima, perché pensa che l’anima sia solo il mercato, il conflitto, il prevalere sugli altri, ma non l’amore. Ma l’anima che può rendere vivibile il mondo è solo l’amore, è solo quel Bambino piccolo, che viene al mondo, perché tutti possano accogliere l’amore. In tal senso noi cristiani abbiamo un indispensabile compito: aiutare gli uomini di tutte le fedi e di tutte le culture a ritrovare l’anima.
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Renato Balduzzi, mons. Paglia e Concetta Mirisola distribuiscono doni ai partecipanti al pranzo di Natale a Roma
Come può il Natale tornare a essere la festa della famiglia? C’è un semplice detto popolare che ha un suo profondo senso: “Natale coi tuoi…”. È come se, a Natale, anche a livello popolare, si sentisse il bisogno di stare in casa. Secondo me è molto profondo questo bisogno. A Natale vediamo che anche Gesù, per nascere, ha bisogno di una famiglia, anche Dio per salvare gli uomini ha bisogno di una famiglia e deve chiedere l’assenso di Maria e, attraverso l’angelo, anche di Giuseppe. In questo senso il Natale mostra la bellezza e la preziosità della famiglia per tutti. Penso a quei poveri pastori, perseguitati dalla società ebraica del tempo che furono i primi ad accorrere, trovando Maria, Giusep-
IL NATALE IN ALCUNE P MEDIO ORIENTE/IRAQ IL GOVERNO IRACHENO DICHIARA IL NATALE “FESTA NAZIONALE” A dicembre dello scorso anno, il governo iracheno ha accolto la richiesta avanzata dal Patriarcato caldeo Mar Louis Raphael I Sako e ha stabilito che il 25 dicembre sia giornata di festa nazionale e di vacanza per tutti i cittadini del Paese. Come aveva riferito l’agenzia AsiaNews, si era trattato di un nuovo, importante riconoscimento nei confronti di una minoranza religiosa spesso perseguitata. Lo scorso anno a Baghdad, era stato allestito un albero di Natale di cinque metri sulle sponde del fiume Tigri, nel quartiere di Karrada, sul lato orientale del fiume, dove convivono in modo pacifico cristiani e musulmani sciiti e sunniti. Mar
Sako aveva inviato una lettera al primo ministro Nouri al-Maliki, chiedendogli di dichiarare il 25 dicembre “giorno di vacanza per tutti gli irakeni”. Un modo per riconoscere il valore e l’importanza di una comunità che, per secoli, ha contribuito in modo attivo allo sviluppo della nazione. Nella missiva - riferiva ancora l’agenzia - il Patriarca caldeo ricordava che Gesù non è venuto solo per i cristiani, ma è per tutti”; egli ha inoltre sottolineato “il rispetto speciale” che i musulmani “hanno per Lui”. In risposta, il Consiglio dei ministri riunito a Baghdad e presieduto dal premier al-Maliki aveva preso questa “importante decisione”. In aggiunta, le autorità della capitale avevano fatto allestire luminarie e altri alberelli decorati in diversi
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il Natale di
san Pio da Pietrelcina
Padre Pio, al secolo Francesco Forgione, nacque a Pietrelcina, nel beneventano il 25 maggio 1887 e sin dall’infanzia si sentì chiamato ad una vita di consacrazione religiosa. Fu ordinato sacerdote nell’Ordine dei Cappuccini il 10 agosto 1910, nel Duomo di Benevento. Dal 1916 sino alla morte, ha svolto il ministero sacerdotale presso il convento di Santa Maria delle Grazie a San Giovanni Rotondo (Fg). Ha operato con assiduità e semplicità per il bene delle anime che a lui accorrevano, vivendo nella preghiera e nella sofferenza. Ricevette le stimmate la mattina del 20 settembre 1918. Per tutta la sua vita sacerdotale fu un apostolo indefesso del confessionale. Morì il 23 settembre 1968, fu beatificato il 2 maggio del 1999 e canonizzato il 16 giugno 2002 da Giovanni Paolo II. Padre Pio amava molto il Natale, era la festa liturgica che sentiva di più. E, soprattutto, gli piaceva dir messa nella chiesetta di San Giovanni Rotondo. Era una cerimonia solenne, che toccava di diritto al superiore del convento, ma tutti sapevano quanto lui »»»
E PARTI DEL MONDO quartieri per “mostrare il loro rispetto e la loro vicinanza” alla comunità cristiana. Dopo l’invasione degli Stati Uniti, ricordava AsiaNews, nel 2003, gli estremisti islamici hanno preso di mira la minoranza religiosa, uccidendo centinaia di persone fra cui un vescovo, sacerdoti, uomini d’affari, medici e politici. Tale situazione ha spinto migliaia di cristiani a fuggire dall’Iraq, passati in 10 anni da oltre due milioni a meno di 300mila.
EUROPA/GERMANIA I CANTORI DELLA STELLA PER I BAMBINI RIFUGIATI IN TUTTO IL MONDO Per la 57ma volta, nei giorni precedenti il 6 gennaio 2015, i “Cantori della Stella” (Sternsinger) dell’Infanzia Missionaria
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pe e il Bambino, quindi una famiglia, certamente singolare, ma certamente famiglia. Per questo il mistero del Natale coinvolge in maniera diretta e molteplice le nostre famiglie. Ricordo da bambino, quando scrivevo la lettera da mettere sotto il piatto, ricordo l’allestimento del presepe che coinvolge tutta la famiglia, per avere dentro casa questo mistero, ricordo la bellezza della messa di mezzanotte che commuove tutti (e se quella notte nevica non rimaniamo a casa, siamo spinti ancor più ad andare!). Ecco perché il legame tra Gesù che nasce e la famiglia è uno degli aspetti più evidenti di questo mistero. Basti pensare al coinvolgimento degli artisti sul Natale: credo non ci sia poeta, pittore o scultore che non si sia confrontato con questo mistero. In che modo la Sacra Famiglia di Nazareth è un modello per le famiglie di ogni tempo e luogo?
tedesca, sfileranno per le strade della Germania con i loro canti natalizi. “Portare la benedizione, essere benedizione: per i bambini rifugiati in Malawi e in tutto il mondo!” era il motto della campagna dello scorso anno. Circa il 46 per cento dei 45,2 milioni di persone in fuga dal proprio paese sono bambini e ragazzi con meno di 18 anni. In Africa, Asia e America Latina, i Cantori delle Stella aiutano i bambini rifugiati di molti paesi. I piccoli fuggiti dalla guerra civile in Siria ricevono medicinali, cibo e coperte; in Sudafrica e nel Congo promuovono programmi che permettono ai bambini rifugiati di frequentare una scuola nel loro luogo di destinazione. Il superamento di esperienze traumatiche e l’educazione alla pace sono al centro dei programmi per i bambini nei paesi usciti da una guerra civile, come Sierra Leone o Sri Lanka. In Malawi, si promuovono programmi di scolarizzazione e superamento di traumi nel campo per rifugiati a Dzaleka dove vivono circa 17mila
“Venne a Nazaret e stava loro sottomesso. Sua Madre custodiva tutti questi fatti nel suo cuore” (Lc 2,51). Queste righe del Vangelo di Luca descrivono trent’anni di Santa Famiglia. La famiglia di Nazareth è un grande esempio, tant’è che l’icona che ha guidato l’evento di Milano (VII Incontro Mondiale delle Famiglie, 1-3 giugno 2012, ndr) e che custodiamo nel nostro dicastero è, appunto, l’icona della Santa Famiglia, il cui centro è Gesù. Non dobbiamo allora pensare che ogni famiglia debba tornare ad avere Gesù come centro ed ispiratore? Non dobbiamo augurarci che i genitori si preoccupino dei figli come Maria e Giuseppe? Certo, non una preoccupazione ossessiva: Gesù aveva la libertà di andare con i parenti, persino di “scomparire”. Allo stesso tempo come possono i genitori non riflettersi nel rapporto che avevano Giuseppe e Maria? Vediamo una delicatezza straordinaria di rappor-
persone. Indossando i vestiti dei Re Magi, con la stella cometa e con i loro canti, nel tempo natalizio e nei primi giorni dell’anno nuovo i “Cantori della Stella” bussano alle porte delle case tedesche. Circa mezzo milione di bambini nelle parrocchie cattoliche della Germania porteranno la benedizione “C+M+B” (“Christus mansionem benedicat”, “Cristo benedica questa casa”) alle famiglie, raccogliendo offerte per i loro coetanei che soffrono in tutto il mondo. La raccolta dei “Cantori della Stella” tedeschi è diventata la più grande iniziativa di solidarietà in tutto il mondo, che vede i bambini impegnarsi per i loro coetanei bisognosi.
ASIA/CINA VERSO IL NATALE IMPEGNATI NELLA CARITÀ CRISTIANA E NELL’EVANGELIZZAZIONE Come tutti gli anni, la comunità cattolica cinese sta intensificando il suo cammino verso
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ci tenesse e lo lasciavano fate. D’altronde, il suo era un rito lunghissimo che rimaneva impresso nel cuore dei fedeli che vi assistevano. Proprio intorno a quelle celebrazioni accadevano fatti inspiegabili e miracolosi che due testimoni hanno raccontato nel loro diari. Lucia Iadanza, figlia spirituale di Padre Pio, ha scritto nelle sue memorie un fatto accaduto la notte del 24 dicembre 1922. «I frati - ha raccontato - avevano portato in sacrestia un grande braciere intorno al quale si erano messi alcuni fedeli per riscaldarsi. Recitavamo il rosario in attesa della messa. Padre Pio pregava in mezzo a noi. A un tratto, in un alone di luce, vidi apparire tra le sue braccia, Gesù Bambino. Il volto del padre era trasfigurato, i suoi occhi guardavano quella figura di luce con le labbra aperte in un sorriso stupito e felice. Quando la visione svanì, Padre Pio si rese conto che io avevo visto tutto. Così, mi si avvicinò e mi disse di non parlarne con nessuno».
ti, un’attenzione reciproca unica, non perché fossero sempre d’accordo, anzi ci fu un momento piuttosto critico e Giuseppe ebbe bisogno dell’angelo. Non hanno bisogno di angeli anche le
Due anni dopo accadde più o meno lo stesso episodio. Lo rievoca p. Raffaele da Sant’Elia, che visse accanto a Padre Pio per 35 anni. I due frati avevano le loro camere una accanto all’altra. «Stavo scendendo in chiesa per la messa di mezzanotte del Natale del 1924 - ha scritto p. Raffaele il corridoio era illuminato da un lume a petrolio. In quella penombra, vidi che anche Padre Pio era uscito dalla sua cella e camminava piano. Era avvolto in un alone di luce e portava tra le braccia Gesù Bambino. Rimasi immobile, folgorato, sulla porta della mia cella. Mi inginocchiai. Padre Pio passò accanto a me, raggiante, e non si accorse neppure che io ero lì ad appena due passi da lui!». Padre Ignazio da Ielsi, che fu superiore del convento di San Giovanni Rotondo dal 1922 al 1925, scrisse nelle sue memorie: “Padre Pio celebra il Natale con un’infinita passione. Sempre vi pensa. Gli basta sentire il suono di una pastorale o della ninnananna, per sollevargli lo spirito, tanto che a guardarlo sembra che sia andato in
famiglie di oggi? Se la famiglia resta sola, è difficile che sopravviva. Anche noi abbiamo bisogno di angeli che ci aiutino, che ci spieghino e ci sollecitino a riscoprire l’affetto. L’amore è
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un arte non è un sentimento. Purtroppo oggi è scambiato come sentimento, quindi come tale “mobile”. L’amore è la nostra costruzione di una casa, l’amore è un progetto, l’amore è amici-
il Natale nel segno della carità cristiana e dell’evangelizzazione. Secondo le informazioni raccolte dall’agenzia Fides, le comunità sono mobilitate per visitare le famiglie bisognose, gli anziani soli, i malati, gli ospizi e gli orfanotrofi, senza fare alcuna distinzione tra cattolici e non cattolici, portando a tutti l’augurio di pace che viene dal Natale del Signore. Tante parrocchie, inoltre, stanno preparando i canti natalizi, e il parroco di Peng Jiazhai di Xi Ning, sottolinea il loro particolare significato: “Dobbiamo cantare il Natale del Signore nel modo migliore, perché ci sono tantissimi non cristiani che frequentano la chiesa nella notte di Natale, come tutti gli anni, e per noi è il momento propizio per l’evangelizzazione”. È ormai giunto alla decima edizione il “Charity Party for Christmas” promosso da Jinde Charities, l’ente caritativo cattolico cinese. Si svolge a metà dicembre e raccoglie oltre 500 mila Yuan (equivalenti a
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zia, è perdono, è costruire assieme un sogno che permanga. Lo è anche la famiglia di Nazareth, sia pure in maniera non organica. In qualità di parroco della basilica di Santa Maria in Trastevere, lei è stato, assieme alla Comunità di Sant’Egidio, l’ideatore del pranzo di
Natale con i poveri… Questo pranzo nacque dal bisogno di offrire un gesto “robusto” che esaltasse il cambiamento che avveniva nella storia con la nascita di Gesù. Questo cambiamento doveva avere un risvolto “familiare”. L’idea fu molto semplice: a Natale tutti vanno in famiglia, ma quelli che la famiglia non ce l’hanno, le per-
75mila euro) che sono destinati alle bambine della famiglie povere (per le spese quotidiane), agli orfani disabili (per l’acquisto di strumenti di riabilitazione) e ai bambini delle famiglie contagiate dall’Aids (per poter ritornare a scuola). La serata di beneficenza ormai “si è trasformata in una finestra di fede ed evangelizzazione” confermano i partecipanti. Oltre 400 tra imprenditori e ambasciatori, cattolici e non, cinesi e stranieri, prendono parte con grande generosità alla serata. Presenti anche rappresentanti dell’autorità civile che apprezzando l’iniziativa di beneficenza e in generale l’opera caritativa svolta dai cattolici, contribuiscono con offerte personali.
AFRICA/SUDAFRICA LA TV STATALE CANCELLA LA MESSA DI NATALE DI PAPA FRANCESCO La cancellazione della diretta televisiva della messa di Natale di papa Francesco da parte della tv
sone sole, quelle che vivono per strada? Dove vanno? Ecco l’idea di aprire la basilica agli abbandonati, perché fossero loro la famiglia di Gesù. Insomma, una sorta di “presepe alla rovescia”: viene Gesù sulla terra e gli diamo una stalla; vengono i poveri e noi diamo loro una basilica. In tal senso questi trent’anni hanno mostrato la bellezza di un gesto
pubblica sudafricana “dimostra un’inaccettabile ostilità nei confronti della chiesa cattolica da parte di un organo dello Stato finanziato con denaro pubblico”. Lo ha affermato ad agosto un editoriale di “The Southern Cross”, l’organo di informazione della Southern African Catholic Bishops’ Conference (SACBC, che riunisce i vescovi di Sudafrica, Botswana e Swaziland) che critica la decisione della SABC (South African Broadcasting Corporation) di cancellare dalla sua programmazione la trasmissione della messa di Natale dalla Basilica di San Pietro. “Pur non essendo il problema più urgente che la chiesa in Sudafrica deve affrontare” chiosa l’editoriale, questa decisione indica un clima “di ostilità nei confronti della nostra chiesa”. Si ricorda che la cancellazione della messa del papa dalla programmazione dell’emittente “contraddice la sua stessa politica di trasmissione, che intende assicurare una giusta ed equa rappresentanza delle comunità religiose sudafricane”. Secondo
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»»» estasi”. Padre Pio viveva intensamente l’evento e la poesia del Natale. Emozioni forti, abbandoni estatici, pensieri soavi. Direi che “soffriva” il Natale: quando un sentimento è assai profondo, diventa struggente, e allora fa soffrire… dolcemente…Davanti a Gesù Bambino, Padre Pio avvertiva le intime vibrazioni dell’esteta nel contemplare il bello, il sublime, l’ineffabile, sorridente, gli occhi che sprizzavano letizia, lo sguardo illuminato dal chiarore dell’innocenza, della umiltà, della semplicità. È sempre una gioia del nostro spirito riguardare l’immagine del padre che regge tra le sue braccia il divino Bambino. A p. Agostino formula in questi termini gli auguri natalizi: “Il celeste Bambino faccia sentire anche al vostro cuore tutte quelle sante emozioni che
come questo. Il pranzo di Natale con i poveri si fa ormai in tutto il mondo, con più di 130mila ospiti ogni anno. Ricordo quando S. Francesco d’Assisi parlava del Natale, dicendo che era il giorno più bello e che anche i poveri devono gioire. Diceva: “Se dovessi parlare con il governatore di tutte le nazioni, farei spargere da mangiare in tutte le strade del
de’ sentire a me nella beata notte, allorché venne deposto nella povera capannuccia” (Epist. I, 281). “Capannuccia”: un vezzeggiativo che soltanto un innamorato del presepio e di Gesù bambino poteva coniare. Padre Pio confessa la propria incapacità ad esprimere a parole la folla di sentimenti variegati: “Oh Dio, padre mio, non posso esprimervi tutto quello che sentì nel cuore in questa felicissima notte. Mi sentivo il cuore traboccante di un santo amore verso il nostro Dio umano” (Epist. I, 982). E dinanzi alla grotta resta sveglio tutta la notte santa: come dormire mentre si attua il mistero di Dio che per amore si fa bambino? (cfr. Epist. I, 982). Marcello Stanzione
mondo e in tutte le città, perché anche gli uccelli del cielo, anche gli animali gioiscano e mangino, a partire dai più poveri”. Del resto Betlemme vuol dire “città del pane”. Partecipare al pranzo di Natale, dopo trent’anni dalla nascita, è una conferma dell’importanza che il Natale non sia un giorno vuoto o magari solo pieno di lampadine per le strade,
ma non nel cuore. Ricordo un’anziana povera di Ostia, in uno dei nostri pranzi, seduta vicino a me. A un certo momento alzò lo sguardo, ammirando i mosaici di Santa Maria in Trastevere, il cassettonato in oro, le più di 400 persone in festa. Poi mi disse: “Don Vincenzo, oggi, quasi quasi, stiamo meglio noi del papa”. n
“The Southern Cross” l’episodio va inserito nel contesto di una “strisciante marginalizzazione” della chiesa cattolica, la cui voce è esclusa dalla rete televisiva a pagamento DStv, che si è rifiutata di inserire nella sua offerta la tv cattolica EWTN, “con il banale pretesto che la sua gamma di canali evangelici copre adeguatamente le esigenze dei cristiani”. In questo caso, afferma l’editoriale, i cattolici possono esprimere la loro protesta cancellando l’abbonamento all’emittente, cosa che non è però possibile con la tv pubblica, il cui canone è obbligatorio per tutti i possessori di un televisore. “In cambio, la SABC ha l’obbligo di offrire un servizio a tutti i cittadini del Sudafrica, incluso il 7% della popolazione che appartiene alla fede cattolica” afferma l’editoriale, che conclude minacciando di boicottare i prodotti reclamizzati dalla tv di Stato.
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In diretta dal mondo oblato
messaggi Perù e notizie IV Congresso JOMI dalle missioni giovani delle missioni oblate del Perù, dall’1 al 3 agosto si sono a cura di Elio Filardo OMI eliofilardo@omimissio.net
I
riuniti per il IV Congresso dei Giovani Oblati di Maria Immacolata (JOMI) a Huánuco, nella parrocchia Cristo Salvatore della missione di Aucayacu. I partecipanti sono stati aiutati a riflettere sul discernimento vocazionale facendo riferimento sia al messaggio di papa Francesco sia ai contenuti proposti per il triennio oblato nel 2014 sulla comunità apostolica. L’incontro è stato l’occasione per entrare in contatto con la missione oblata di Aucuyacu, per pregare e conoscere la vita di S. Eugenio. I congressi JOMI sono in continuità con gli incontri che si sono svolti prima delle Giornate mondiali della Gioventù (GMG). Essi contribuiscono alla formazione secondo il carisma oblato e alla preparazione degli animatori dei gruppi. Negli ultimi quattro anni la Delegazione oblata del Perù ha lavorato per creare una struttura forte ed organizzata in grado di sostenere la missione
RD Congo
Consacrazione di due COMI
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e COMI (Cooperatrici oblate missionarie dell’Immacolata) hanno scelto la data del 19 ottobre, Giornata missionaria mondiale, per celebrare la consacrazione di Josée Manwana con voti perpetui e la prima oblazione di Lyliane Manzanza. Il superiore provinciale degli Oblati di Maria Immacolata, p. Abel Nsolo, ha presieduto l’Eucarestia nella chiesa di S. EloiKinshasa Barumbu e nell’omelia ha parlato del dovere missionario di ogni battezzato, soprattutto dei consacrati come le COMI. P. Nsolo ha raccomandato a Josée Manwana e Lyliane Manzanza di seguire il modello di Maria
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IRLANDA
MEDAGLIA DEL BUON SAMARITANO
dei giovani impegnati nelle parrocchie e nelle comunità oblate. Il V Congresso JOMI del 2015 si svolgerà nel Napo e per questo la Croce oblata è stata consegnata ai giovani rappresentanti della missione di Santa Clotilde. (fonte: eltrocheronaporuna.blogspot)
di Nazareth. Al termine della celebrazione Giovanna Clemente, delegata della presidente delle COMI, ringraziando l’assemblea ha espresso la sua gioia nel vedere l’Istituto radicarsi nella Repubblica Democratica del Congo. (fonte: pretredanslarue. blogspot)
Il vescovo ausiliare di Dublino, mons. Ray Field, a nome del Pontificio Consiglio per la Pastorale della salute ha consegnato la medaglia del “Buon Samaritano” a p. Vincent Mulligan, un Oblato che negli ultimi 28 anni ha accompagnato tanti gruppi di ammalati a Lourdes. L’arcivescovo Zygmunt Zimowski, presidente del Pontificio Consiglio per la Pastorale della salute ha scritto che p. Vincent Mulligan è stato il “Cristo ed il prossimo di molti fratelli e sorelle che ha aiutato a rifugiarsi presso Maria loro madre, nel tempo della sofferenza e della prova, sicuro che lei avrebbe ascoltato i suoi figli sofferenti e li avrebbe avvicinati al cuore di suo Figlio e loro fratello Gesù Cristo”. P. Vincent, molto conosciuto per il suo impegno a favore degli ammalati, è la prima persona in Irlanda a ricevere questo riconoscimento. Dal 1888 i Missionari Oblati di Maria Immacolata organizzano pellegrinaggi verso Lourdes da Gran Bretagna e Irlanda. (fonte: omiworld.org)
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Camerun
Terrore nel Paese
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l nord del Camerun ai confini con la Nigeria è stato più volte vittima di attacchi della setta islamica Boko Haram. P. Ferdinand Owono Ndih OMI, responsabile del pre-noviziato a Mokolo, il 26 settembre ha scritto che è stato costretto ad andare d’urgenza a Mokolo dove la setta islamica sparge terrore. Il 27 settembre è stato seppellito un catechista decapitato mentre si dirigeva verso casa dopo aver presieduto la preghiera nella sua comunità. Quella stessa domenica la cappella di Ldoubam, a pochi chilometri dal confine, vicino a Mokolo, è stata incendiata, e tutto il villaggio raso al suolo da un centinaio di persone armate che hanno aperto il fuoco sulla gente che girava nel mercato domenicale. Vittime di questa spirale di violenza un poliziotto ed un giovane insegnante. Data l’estensione della frontiera, l’esercito non può essere ovunque. Il pre-noviziato CANADA
è composto da 16 giovani, tra i quali 6 nigeriani che hanno avuto problemi a causa della decisione del governo camerunense di chiudere la frontiera del nord per la setta Boko Haram. Anche la frontiera meridionale risulta chiusa a causa del virus Ebola. (fonte: omiworld.org)
Audacia e perseveranza oblata
Dal 23 ottobre al 16 dicembre, l’Écomusée du fier monde sta presentando a Ottawa l’esposizione “L’audacia e la perseveranza dell’eredità degli Oblati”. Attraverso questa mostra è possibile conoscere la storia degli Oblati in Canada, in modo particolare quella dell’Îlot Saint-Pierre Apôtre a Montréal e dell’Université Saint-Paul di Ottawa. Gli Oblati sono arrivati a Montréal nella parrocchia di Saint-Pierre Apôtre, nel 1848 promuovendo un’originale opera parrocchiale a servizio della popolazione operaia. Ancora oggi, la comunità cristiana Saint-Pierre Apôtre e Sainte-Brigide si distingue per l’apertura verso gli esclusi e le persone omosessuali. Il Centre StPierre porta avanti l’eredità di questa comunità. A Ottawa gli Oblati hanno avuto un ruolo importante nella costruzione della diocesi e nella crescita della “piccola città” divenuta capitale della nazione. Hanno investito in diversi settori per mantenere viva la chiesa cattolica e per salvaguardare la lingua francese. Una delle opere più importanti degli Oblati è nell’ambito dell’educazione sostenibile che continua ancora oggi attraverso l’Università di Ottawa. Fondato nel 1980, l’Écomusée du fier monde è al contempo museo della storia industriale ed operaia di Montréal e museo cittadino. (fonte: ecomusee.qc.ca)
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LA CREATIVITÀ A SERVIZIO DELLA MISSIONE
Negli ultimi anni è diventato forse più impegnativo coinvolgere i giovani nelle attività del Movimento. In passato si pensavano giornate, meeting, attività missionarie varie; oggi è necessario dare nuova linfa alle iniziative e trovare strade e linguaggi nuovi per l’ evangelizzazione del mondo giovanile. C’è bisogno di buone idee e tanta creatività! Una carrellata di proposte e attività che l’MGC promuove nelle varie zone della Penisola.
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VERCELLI Laura e Marco, insieme ad altri ragazzi provenienti da differenti realtà diocesane, si sono impegnati nel progetto dell’educazione di strada al rione Isola di Vercelli. Il più povero quartiere della città, una volta agglomerato di umide cascine di contadini, è oggi una zona multietnica in cui sono presenti situazioni di estrema povertà. Di fianco al rione Isola ha sede il grande campo rom della città. Laura e Marco hanno cercato di trasformare la strada, il terreno su cui i figli di queste famiglie si incontrano per giocare, in un’occasione per incontrare Gesù e la speranza del Vangelo. La strada come luogo per trovare la pace e non come occasione per imparare la violenza: questo il loro obiettivo! Le iniziative sono state molteplici e differenziate per età. Si è puntato a far socializzare tutti i bambini e ragazzi provenienti da contesti familiari differenti, facendoli giocare e divertire, portando un messaggio di solidarietà e fratellanza. Luca
FIRENZE Da alcuni anni si è affermato un bel lavoro di animazione dei giovanissimi, ragazzi e ragazze dai
12 ai 16 anni che, attratti dalla proposta di vivere valori cristiani, camminano con entusiasmo accompagnati da un gruppo di animatori. I ragazzi da ottobre a giugno partecipano agli incontri settimanali del loro gruppo di appartenenza, affrontando tematiche scelte in base alla loro età. Una volta al mese, tutti i gruppi trascorrono una giornata insieme, seguendo una tematica centrale, che contraddistingue l’intero anno e fornisce spunti per riflettere e crescere. Tra questi appuntamenti mensili, c’è la “merendata” di ottobre, durante la quale viene presentato il tema dell’anno. Ed è qui che entrano in scena la genialità e la creatività degli animatori MGC. Infatti la tematica dell’anno viene introdotta con un video che riscuote sempre successo! Alcune tematiche affrontate gli scorsi anni sono state: le serie TV, i programmi di Dmax e i film della Pixar. Quest’anno il tema è: i giochi da tavolo. Gabriele ROMA A giugno, durante il weekend di verifica dell’anno, i ragazzi dell’MGC hanno aperto le porte della comunità ad amici e conoscenti per farsi conoscere e per finanziare le missioni estere. Lo hanno fatto in modo creativo e divertente, con una “Paninata con delitto”: una cena a base di panini, salsicce, indagini e misteri da svelare, per una serata in perfetto stile Sherlock Holmes. L’evento ha visto la partecipazione di tante persone, invitate alla serata in qualità di ospiti, e di molti amici dell’AMMI e delle famiglie amiche, che hanno dato un’importante
aiuto nell’organizzazione. Preziosa è stata la presenza di p. Adriano Titone che ha raccontato la sua esperienza di missione nei Paesi del Sud del mondo. Per i giovani dell’MGC è stata un’occasione per donarsi agli altri, mettendo a disposizione i propri talenti, la cucina e la preparazione dei panini, la recitazione… e condividendo le esperienze in terra di missione. E’ emersa la bellezza dello stare insieme e di essere missionari nel quotidiano. Luisa CAMPANIA Da tempo nella zona campana ci interroghiamo su cosa può animare i giovani del nostro tempo. Pian piano abbiamo capito che per portare Gesù agli altri ci vuole anche creatività. Il primo passo non è stato abbandonare le “vecchie strade”, ma proporre nuova vitalità. Per esempio abbiamo animato dei workshop, mettendoci dentro nuovi ingredienti. I vari laboratori (danza, teatro, multimedia, canto e art attack) sono stati un’opportunità per andare in profondità con i ragazzi che si affacciavano all’MGC. Al di là del fatto che uno abbia o meno un talento per il teatro, la musica, la danza, la tecnologia o l’arte, ogni
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qualvolta si vive con Gesù tra noi, i risultati sono sempre significativi. Luigi
ha come obiettivo portare Dio ai giovani del quartiere. Raffaele
TARANTO L’idea degli incontri vicariali dei giovani del Quartiere Paolo VI è nata l’anno scorso dalla consulta di pastorale giovanile. Si è pensato di intraprendere un cammino che avesse come protagonisti i giovani delle quattro parrocchie del quartiere con la finalità di conoscerci e riconoscersi in un’unica realtà. Il primo incontro si è tenuto il 9 ottobre e ci ha proiettati verso la veglia missionaria “Periferie: cuore della missione”. Questo tema ha costituito un’occasione per lanciare un’iniziativa: preparare un cartellone che sarebbe stato presentato la sera della veglia. Con relativo premio al cartellone che meglio avesse descritto il tema. Dopo aver ascoltato alcune riflessioni del papa sulla Giornata missionaria mondiale, via libera alla creatività! In ciascun gruppo si sono messe in comunione idee per la realizzazione di una bozza del progetto. E’ stato utile offrire i propri talenti e collaborare. Questa iniziativa è stata l’occasione per rinnovare la voglia di incontrarsi, conoscersi ancora e riconoscersi come unica realtà che
CALABRIA Ripensando alle Mostre missionarie all’Università della Calabria, le idee per comunicare con i giovani sono state numerose. Al mattino veniva dato un post-it con uno ‘smile’ con l’impegno di consegnarlo ad un’altra persona! C’erano anche i ‘Free Hugs’, un modo per avvicinarsi all’altro, regalandogli un abbraccio. Si proponeva, inoltre, il “Fatti una domanda, avrai una risposta”: in un’ampolla erano contenute frasi del Vangelo o di papi, santi e beati, con messaggi di speranza e che potevano dare risposta. Si sono create delle sagome che ritraevano “il Discobolo” icona dell’arte classica greca, e “la Venere” di Botticelli esaltazione della bellezza e si proponeva ai ragazzi di prestare il proprio viso alle sagome. Molto gettonato era il tè delle 17: con biscotti e tisane. Quest’anno è stato preparato un cartellone su cui si chiedeva “Di cosa hai bisogno?” e poi venivano elencati strisce di carta staccabili con una scritta: lavoro, speranza, vacanza, amore, perdono, gioia, preghiera, nutella…. Con chi si riusciva a instaurare una comunicazione
profonda si proponeva una card, con un’immagine, una frase e un passo del Vangelo. Anna MESSINA Spesso si prova a pensare a come relazionarsi con i ragazzi e far trasparire nelle nostre parole la luce di Cristo. Per fare questo si prova a coinvolgerli in attività divertenti. E’ quanto, qualche anno fa, abbiamo provato a fare. Abbiamo organizzato una serie di incontri in una scuola superiore della città, durante i quali i ragazzi avrebbero dovuto riflettere su un tema per tutto l’anno: “La bellezza ci salverà”. Durante gli incontri, i ragazzi hanno potuto esprimere ciò che il tema suggeriva loro, realizzando elaborati scritti, piccole sculture, quadri e altro. La bellezza, insomma, da teorica che era, diventava sempre più concreta e presente tra a noi. Alcuni hanno scritto una favola sulla bellezza dello stare insieme, che è poi stata trasformata sia in un testo discorsivo sia in versi e su di essa è stata composta una musica. Oggi, riguardandola sorridiamo, perché in quel caso la bellezza ci ha salvato in quanto le difficoltà del singolo sono state superate grazie all’aiuto del gruppo e il gruppo ha preso forma con i talenti dei singoli. Domenico
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una foto per pensare
foto di Alfonso Bartolotta OMI, albartem@yahoo.fr testo di Anna Cerro, annacerro@gmail.com
L’interi o
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i orità
I nostri giorni stanno nel qui e ora, nel presente pregnante ed esigente. Perché possano avere senso necessitano di una solida base, di una prospettiva forte. Io la trovo nella “vita di dentro”, nella profondità delle emozioni e dei sentimenti, nell’interiorità. Intriga questo allenamento interessante e faticoso, che esige la messa in relazione di quello che c’è all’interno con la concretezza dell’esterno. Chiama alla coerenza - sofferta e mai compiuta - tra ciò in cui si crede e quello che poi effettivamente si fa. Il traguardo è accorciare, con pazienza e perseveranza, questo cono d’ombra tra il mondo “di dentro” e quello “di fuori”. Decidendo di fare sul serio potremmo ritrovarci unità composta e risolta che emana bellezza.
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fatti
Papa Francesco pellegrino in periferia Ripercorriamo tre viaggi che papa Francesco ha compiuto, nel corso di quest’anno, in luoghi significativi della “periferia” italiana di Luigi Mariano Guzzo guzzo.luigimariano@virgilio.it
P
apa Francesco, pellegrino tra le periferie del mondo. Viandante tra quelle aree territoriali che presentano situazioni di disagio, dolore, sconforto, ansietà. Proprio in queste ferite dell’uomo, papa Francesco cammina, come pellegrino, a portare consolazione e speranza. Per il primo viaggio apostolico da vescovo di Roma, Francesco non a caso sceglie Lampedusa e Linosa (8 luglio 2013), dove incontra i migranti finiti disperatamente dall’Africa sulle coste italiane. Si reca poi a Cagliari (22 settembre 2013), dove riafferma la dignità del lavoro e ad Assisi (4 ottobre 2013). Il 21 giugno 2014 visita Cassano all’Jonio, il 5 luglio 2014 Campobasso e il 27 luglio Caserta. Sicilia, Sardegna, Calabria, Molise e Campania, per restare nelle “periferie” della nostra Italia. Una mappa geo-politica, quella che disegna Francesco con i suoi viaggi, in cui - può sembrare un ossimoro - al centro vi sono le periferie. Ovunque, parole forti sul momento di crisi che vivono le nostre popolazioni e nel contempo inviti di fiducia e speranza.
In Calabria A Cassano risuona forte la parola “scomunica” pronunciata nell’omelia della messa celebrata nella Piana di Sibari davanti a 200mila fedeli.
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Dice: «Noi siamo un popolo che adora Dio. Noi adoriamo Dio che è amore, che in Gesù Cristo ha dato se stesso per noi, si è offerto sulla croce per espiare i nostri peccati e per la potenza di questo amore è risorto dalla morte e vive nella sua chiesa. Noi non abbiamo altro Dio all’infuori di questo! Quando all’adorazione del Signore si sostituisce l’adorazione del denaro, si apre la strada al peccato, all’interesse personale e alla sopraffazione; quando non si adora Dio, il Signore, si diventa adoratori del male, come lo sono coloro i quali vivono di malaffare e di violenza. La vostra terra, tanto bella, conosce i segni e le conseguenze di questo peccato. La ’ndrangheta è questo: adorazione
del male e disprezzo del bene comune. Questo male va combattuto, va allontanato! (…) Coloro che nella loro vita seguono questa strada di male, come sono i mafiosi, non sono in comunione con Dio: sono scomunicati!». Scomunica per i mafiosi. È la prima volta che un papa utilizza il termine “scomunica” con riferimento diretto alle organizzazioni criminali. In Calabria e dalla Calabria, papa Francesco va ben oltre le parole di Giovanni Paolo II pronunciate nel 1993 ad Agrigento. Papa Bergoglio ha scelto proprio la diocesi più piccola d’Italia per pronunciare il suo durissimo anatema contro i mafiosi. Cassano all’Jonio, il cui vescovo Nunzio Galantino è segretario
generale della Conferenza episcopale italiana, infatti, ha dovuto assistere, in pochi mesi, a due efferati delitti: quello del piccolo Cocò Campolongo, un bimbo di tre anni ucciso carbonizzato, insieme al nonno, nel gennaio scorso, e quello di p. Lazzaro Longobardi, ucciso dopo aver scoperto alcuni furti nella casa canonica. Dalla Calabria papa Francesco rivolge l’invito alle autorità amministrative di «vivere l’impegno politico e amministrativo per quello che è, un servizio al bene comune ed ai giovani». E ricorda che per i giovani che vogliono mettersi in gioco, un segno concreto di speranza è il Progetto Policoro, capace di creare possibilità lavorative.
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A sinistra, un momento dell’omelia di Caserta. A destra, a Sibari
Dio, è stata creata ad immagine di Dio e tutti noi siamo immagine di Dio!». C’è bisogno di diffondere dappertutto la cultura della solidarietà. «C’è tanto bisogno di questo impegno, di fronte alle situazioni di precarietà materiale e spirituale, specialmente di fronte alla disoccupazione, una piaga che richiede ogni sforzo e tanto coraggio da parte di tutti. Perché quella del lavoro è una sfida che interpella in modo particolare la responsabilità delle istituzioni, del mondo imprenditoriale e finanziario».
In Molise A Campobasso papa Bergoglio torna sul tema del lavoro e chiede espressamente un «patto per il lavoro», che «sappia cogliere le opportunità offerte dalle normative nazionali ed europee. È necessario porre la dignità della
persona umana al centro di ogni prospettiva lavorativa e di ogni azione occupazionale. Gli altri interessi, anche se legittimi, sono secondari». E a braccio aggiunge: «Al centro c’è la dignità della persona umana! Perché? Perché la persona umana è un’immagine di
il significato di una
visita
Scontato rimarcare l’atmosfera di festa che ha coinvolto i 50mila abitanti di Campobasso, presi dai preparativi per rendere bella la propria città in vista dell’arrivo del successore di Pietro. Mons. Giancarlo Bregantini, arcivescovo di Campobasso-Bojano, ha espresso più volte, anche al papa, il volto del Molise, terra ricca di cultura e umanità, spesso un pò “pigra” nel mostrare le sue infinite potenzialità. Qual è l’incontro, tra quelli in programma, che aveva maggiormente atteso? Tutti e sette gli incontri sono ben collegati; elencati di seguito sembrano una piccola enciclica: lavoro, città, ammalati, poveri della nuova struttura della Caritas, giovani, detenuti, il saluto alla Regione. Ogni tappa è un pezzetto di questa enciclica. Forse quella più attesa era l’incontro con il mondo del lavoro.
In Campania A Caserta invita i 200mila fedeli accorsi alla Reggia ad avere «il coraggio di dire no ad ogni forma di corruzione e di illegalità», e ad «essere servitori della verità. È terribile che una terra
Sicuramente era la più impegnativa. Per quell’occasione avevamo invitato anche Sergio Marchionn, amministratore delegato della Fiat, che tuttavia non ha potuto partecipare a causa di impegni all’estero, ma che ha molto gradito il caloroso messaggio di invito che gli abbiamo inviato. La Fiat ha un impianto di 3000 operai a Termoli, la sua presenza sarebbe stata un incoraggiamento per chi opera in quest’ambito. In ogni caso il mondo del lavoro, in Molise, non è solo la Fiat: ci sono anche diverse industrie che vivono brutti momenti a causa della crisi, altre che zoppicano per motivi di gestione, altre piccole imprese che non riescono a trovare sbocchi di lavoro, che sono delocalizzate o che non reggono la sfida finanziaria. Della visita del giugno scorso ad un’altra realtà di periferia, Cassano all’Jonio, si ricorda soprattutto l’anatema del papa contro la mafia, indubbiamente la ferita più profonda in Calabria. Quale la piaga da guarire in Molise? La disoccupazione, la precarietà giovanile, sono sicuramente un banco di prova. Attualmente è il problema maggiore,
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così bella venga rovinata», aveva detto. Dall’alto dell’elicottero sorvola sulla Terra dei Fuochi, quell’area tra le province di Caserta e Napoli tormentata dai roghi di rifiuti tossici. Una terra tormentata che diventa una tappa importantissima per il Pontefice che sta lavorando ad un’enciclica sul rispetto del Creato: dal mancato rispetto della foresta amazzonica dell’America latina fino al biocidio di territori inquinati. «So che voi soffrite per queste cose - ha detto il papa -, quando sono arrivato uno di voi mi ha detto: “Padre ci dia la speranza”, io non posso darvi la speranza, ma posso dirvi che questa c’è dove c’è Gesù». Il monito che corre lungo tutta l’omelia è contro lo «sfregio dell’ambiente». Questa vostra bella terra richiede di essere tutelata e preservata. Richiede di avere il coraggio di dire no ad ogni forma di corruzione e di illegalità». Le parole di papa Francesco pronunciate in Calabria, Molise e Campania vanno ben oltre il momento contingen-
te. È indubbio che da queste tre periferie d’Italia il papa ha parlato alla chiesa universale. Pur se primariamente i messaggi sono rivolti ai fedeli delle regioni visitate, è altrettanto vero che le parole del Pontefice vanno dritte al cuore dei giovani, dei poveri, degli uomini e delle donne che sperimentano situazioni di disagio e sofferenza. Non tocca a papa Francesco risolvere i mali che attanagliano il nostro tempo, né è
che non investe solo il Molise. La presenza del papa ha accentuato anche momenti positivi, ha dato vigore, ad esempio, al mondo rurale, invitando ad un uso intelligente delle risorse, a prezzi equi, all’amore per la terra. Molto importante è stato l’incontro realizzato in una struttura
sufficiente la visita del papa per “salvare” territori avvitati su se stessi. Calabria, Molise e Campania, e prima ancora Sicilia e Sardegna, cambiano soltanto se i calabresi, i molisani, i campani e gli isolani accolgono e fanno propri gli inviti di papa Francesco. Nell’accoglierli le donne e gli uomini di buona volontà sono chiamati a cambiare il corso della storia. In meglio ovviamente. n
come l’Università di Campobasso dove ha incontrato imprenditori e lavoratori. Questa unione tra mondo del lavoro e mondo della formazione, credo sia veramente un sogno da realizzare. Parlando sempre della scomunica di papa Francesco ai mafiosi, che effetto hanno fatto le parole del Santo Padre a lei che, durante gli anni di episcopato a Locri, ha sempre lottato contro la criminalità organizzata? Sono state parole molto esplicite e coraggiose. Io stesso, da vescovo di Locri, avevo pronunciato una scomunica nel marzo 2006 contro chi aveva avvelenato le piantine del progetto Policoro di Platì, nella Locride. Un conto, però, è la scomunica di un vescovo, un conto quella del papa. Sono contento che il Santo Padre abbia compiuto questo gesto così forte. Non vorrei però che la Calabria sia ricordata solo per questa scomunica. Il discorso del Pontefice è stato di grande intensità e profondità e non si può ridurre solo ad una frase. Salvatore Cernuzio (Zenit)
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L’indomabile
missionario
Un ricordo di p. Ettore Andrich (1942 - 2014)
Alberto Gnemmi OMI alberto.gnemmi@omi.it
N
on è facile riassumere in poche righe la vita poliedrica di p. Ettore Andrich, morto lo scorso 12 settembre dopo alcuni mesi di malattia. Con padre Andrich se ne va uno degli Oblati più significativi della Provincia Mediterranea. Il ministero della missione popolare, l’ansia nella pastorale per i giovani e le famiglie, la sua passione per la musica e il canto liturgico e popolare hanno contrassegnato la vita di quest’uomo di Dio, autentico figlio di sant’Eugenio. Marcato da un’umanità solida che ispirava fiducia, dal carattere tenace, dalla volontà energica, p. Ettore è stato un oblato convinto della sua missione al servizio dell’evangelizzazione.
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parole
semplici e vibranti
Il nostro parroco aveva organizzato per il paese una missione tenuta dai padri oblati di Ripalimosani (Cb). A noi ragazzi, che avevamo vissuto attivamente il ‘68 sembrò retaggio pre conciliare. In effetti sembrava una missione come le altre, che per una settimana tiene desta tutta la collettività, ma dovemmo rettificare il nostro pregiudizio, perché, insieme a al vecchio p. Abramo, notammo un giovane missionario slanciato, dalla barba bionda e dagli occhi verdi, che agli occhi delle ragazze era uomo seducente e a noi maschi ricordava la fisionomia del Cristo. Ci raccontò che proveniva da Belluno, ed insieme ad altri giovani missionari era ispirato dall’Ideale dei cosiddetti “focolarini”. Ci parlava del vangelo e di Gesù come mai avevamo inteso udirlo. Solo qualche anno prima avevamo vissuto il ‘68 con l’irruenza e la rabbia di rivoluzionari, pronti ad abbattere tutto ciò che era vecchio ed anacronistico. Ci sembrò, quindi, sfida ardua allorché quel giovane voleva riproporci il vangelo come rivoluzione per sè stessi e per la società. Con i nostri pregiudizi, ma anche con una leale generosità giovanile
Era nato nel 1942 a Vallada Agordina, tra i monti stupendi delle dolomiti bellunesi, primogenito di una delle tante famiglie della frazione Andrich, detta “dei Gat”, dalle robuste radici religiose. Per fare fronte alla situazione di povertà inasprita dalla guerra, gli Andrich emigrano nel 1945 a Naturno (Bz); poi, nel 1952, ad Oné di Fonte (Tv), dove p. Ettore conosce gli Oblati che hanno la cura della parrocchia e della Scuola apostolica. Nel 1954, Ettore vi entra per frequentare le medie, subendo il fascino di questi religiosi dal “grande crocifisso al collo”, severi, ma capaci di trasmettere una fede profonda. Nel 1958 è nella Scuola apostolica di Firenze per il ginnasio e liceo, dove matura il desiderio di farsi missionario oblato. Vive l’anno di noviziato a Ripalimosani (Cb), emettendo i voti il 15 settembre 1963. Gli anni successivi lo vedono allo Scolasticato di S. Giorgio Canavese (To) per gli studi di teologia che affronta con passione
ascoltammo per giorni p. Ettore. E’ inutile dire che fummo tutti folgorati da quelle parole che ci facevano vivere un clima nuovo in parrocchia: per la prima volta ci sentivamo veramente fratelli e sorelle. Ricordo che p. Ettore, allorché rimase a dormire in casa mia, per la neve che aveva bloccato la strada del ritorno a Ripa, dalle due alle quattro di mattina ebbe a confessarmi. Un’altra volta, sotto un’ enorme quercia della contrada Costa, ebbe a parlarmi, rapito, dell’Ideale dell’Unità.. Non fu difficile in quel contesto veramente rivoluzionario influenzare pure il vecchio parroco che, addirittura, ci permise di incontrarci presso la sua povera e disadorna canonica per parlare e cantare i canti Gen. La missione terminò, ma non finì la vera missione di p. Ettore. La sua presenza in paese fu costante per tutti gli anni ‘70, anche da Napoli dove si era trasferito in seguito. Veniva periodicamente e riusciva a galvanizzarci con parole semplici, ma pronunciate con vibrazioni particolari della voce che pareva provenissero direttamente dal cuore. Era testimone convincente, anche per alcuni rivoluzionari che erano fra noi. Vincenzo Colledanchise
Sapeva comunicare il vangelo e far riflettere sui temi dell’esistenza con un linguaggio franco, perché i suoi interlocutori incontrassero Gesù
e profitto nel clima del Concilio Vaticano II, che influenza enormemente la sua evoluzione spirituale e pastorale. I formatori, ammettendolo al sacerdozio, che riceve nel 1968 nella sua amata Vallada, lo descrivono come un giovane serio, riflessivo, dalla grande sensibilità e dalle molteplici aperture. In lui colgono una grande sensibilità, intuito, la ricerca e l’approfondimento dei problemi nel dialogo e nel confronto, desideroso “di un maggior contatto con il mondo, che possa dissipare le apprensioni per una formazione chiusa e omogenea qual è quella vissuta nella continuità della Scuola apostolica, Noviziato, Scolasticato”. Un ritratto non convenzionale, che ben inquadra la sua ricca personalità e che prefigura in modo fedele il suo futuro percorso umano e religioso, soprattutto missionario. A ciò non può non aggiungersi un aspetto che l’ha sensibilmente caratterizzato: la passione per la musica e il
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Alcune istantanee di p. Ettore. Sopra a Marano Vicentino (Vi), a sinistra con la mamma e due sorelle nel 1988
canto. Questa, unita al suo modo estasiato e anche contemplativo di esprimersi, soprattutto nella predicazione, ha contribuito a generare quello che si può definire il “mito di p. Ettore”, correlato da una serie di simpatici aneddoti che ne evidenziavano l’originalità. Nella musica è stato un autodidatta durante gli anni del ginnasio, apprendendo a suonare, con la sua caparbietà, harmonium, violino, mandolino e la fisarmonica. Negli anni dello Scolasticato si è perfezionato in armonia e composizione, frequentando corsi di musica a Venezia e a Lille (Belgio). Per questo percorso, è maestro di canto
allo Scolasticato e fondatore e direttore dell’orchestrina “I Bingo”, che coinvolge alcuni scolastici appassionati di musica con finalità apostoliche e ricreative. Ha svolto il suo ministero apostolico dal Nord al Sud dell’Italia, membro delle comunità di Ripalimosani (1969-1973), Marino (1974- 1979), Napoli-Piazzi (1979 - 1982), Messina (1982- 1987), Passirano (1987-1994), impegnato nell’animazione giovanile e vocazionale e nella missione popolare. Gli ultimi vent’anni li ha vissuti tra Oné di Fonte e, dal 2005, a Firenze, sempre lanciato nella missione popo-
lare e nella predicazione. Il suo agire apostolico si è contraddistinto per l’attivismo e la ricerca di nuove modalità e contenuti per adeguare la missione popolare e la predicazione alle esigenze della “nuova evangelizzazione”. La passione apostolica per i giovani e le famiglie resta uno degli aspetti più significativi della sua missionarietà: sapeva comunicare il vangelo e far riflettere sui grandi temi dell’esistenza con un linguaggio franco e diretto, avendo, da poeta incantato delle cose di Dio, l’ansia interiore, perché i suoi interlocutori incontrassero Gesù e il vangelo. Nel febbraio scorso, p. Ettore scopre di avere un tumore al pancreas. Si sottopone da subito alle cure prescritte, consapevole della gravità della malattia. Ma il male, in pochi mesi, fiacca la sua fibra robusta. Si spegne, dopo una breve agonia, venerdì 12 settembre, nella casa di famiglia ad Oné di Fonte, sulle parole dell’Ave Maria che i presenti gli fanno pervenire con la recita del rosario. È il giorno nel quale la chiesa fa memoria liturgica del Santissimo Nome di Maria. “Se n’è andato il migliore”, si è commentato. Di sicuro, se n’è andato un grande missionario. Un oblato indomabile nel raccontare il Vangelo. n
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lettere dai missionari
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La preparazione ad un’ordinazione sacerdotale Metti un Minimo di San Francesco di Paola, sei Rogazionisti del Cuore di Gesù, due Missionari Oblati di Maria Immacolata, aggiungi tre suore Figlie del Divino Zelo, poi mescola tutto con tanta fraternità, voglia di condivisione e di allegria. È stata questa la ricetta
che ci ha visti insieme a Sava (Ta) per l’animazione in vista dell’ordinazione sacerdotale di p. Dario Rossetti RCJ. Un’esperienza di unità, di scambio di storie e di vite vissute alla luce del Vangelo. Un momento importante è stato il pellegrinaggio ad Alessano, sulla tomba di don Tonino
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Bello: un intero pomeriggio che ci ha permesso di conoscerci in profondità. Persone qualsiasi che hanno messo Dio al primo posto e vogliono dire al mondo che dietro a Gesù la vita è bella. Nelle scuole, abbiamo affrontato tante tematiche con i ragazzi, che hanno risposto con vivacità e curiosità, chiedendo le motivazioni di una scelta vocazionale. Ci siamo completati a vicenda, perché ogni storia è preziosa e aiuta a far crescere il prodigio che si ha dentro. In una settimana abbiamo conosciuto e condiviso la vita con persone animate da vari carismi, dai quali si può imparare molto. Non sono mancate le risate che hanno dato un tocco di leggerezza. Ogni sera, il
ritrovarsi per condividere ciò che avevamo vissuto ci ricordava che siamo tutti discepoli di un unico maestro: Gesù. Abbiamo camminato per Sava, col sole e con la nebbia, a scuola, in parrocchia, nei bar, alle giostre, siamo stati bambini con i bambini, sofferenti con i malati, abbiamo prestato ascolto ai ragazzi e ovunque siamo stati testimoni della gioia del Vangelo. Eravamo consapevoli che questa esperienza non sarebbe terminata con l’ordinazione sacerdotale, ma che segnava l’inizio di una condivisione e di una fratellanza che ci fa chiesa, oltre che amici. Infine, grande è stata la commozione durante la messa per l’ordinazione di p. Dario. È sempre bello vedere un giovane che decide di scommettere la vita su Dio, soprattutto quando il suo volto dice una scelta consapevole di felicità e la partecipazione ad un progetto d’amore grande. In questa occasione speciale, credo che si possa formulare una preghiera per noi e per i nostri carismi: “pregate il Signore della messe, perché mandi operai nella sua messe e che ci sia tra loro la carità e fuori lo zelo per le anime…”. Danilo Branda OMI Frascati (Roma)
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MISSIONI Una messa interculturale Un unico popolo di lingue e colori diversi si riunisce ogni domenica mattina nella chiesa di Santa Maria dei Miracoli, a Palermo, per partecipare alla messa. Qui nessuno è straniero, il desiderio di raccogliersi in preghiera unisce mani e canti, davanti ad un Dio che non opera distinzioni. Asiatici, sub-sahariani, italiani… la partecipazione alla celebrazione eucaristica mette in risalto la bellezza e la ricchezza di una società multietnica. In questa chiesetta rinascimentale, si annullano antiche dispute e ostilità, come quelle che hanno diviso cingalesi
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e tamil, qui finalmente uniti nella preghiera. L’animatore di questo incontro interculturale di fede è p. Sergio Natoli, assistente ecclesiastico dell’Ufficio Migrantes della diocesi Palermo e rettore della chiesa. «Qui - spiega - facciamo esperienza di unità. Il Vangelo non si identifica con una cultura, occidentale oppure palermitana, ma entra in tutte le culture e le rinnova. La nostra unica radice è Gesù, ma i rami sono diversi». Quando nel 2008 l’arcivescovo di Palermo, Paolo Romeo, gli affidò questa chiesa per svolgervi le attività pastorali a favore dei migranti, p. Natoli non
era nuovo all’incontro con culture diverse. Trasferitosi a Palermo, la sua missione non è cambiata. Prima, assieme ai suoi confratelli, ha inaugurato il servizio pastorale per i migranti nel popoloso quartiere di Ballarò; poi, è arrivata l’esperienza in piazza Marina. “In questo modo - sottolinea - la chiesa si prende cura di una fetta di fedeli, salvaguardando allo stesso tempo le identità etniche e l’identità della chiesa in cui queste persone vivono. Per farlo, occorre adottare una dinamica ascendente, come faceva Gesù: raccogliere la vita di ognuno e illuminarla con la vita di Cristo”.
Tutto all’interno di questa chiesetta rimanda alla missionarietà. Chi varca per la prima volta il portone del tempio viene subito colpito dalla ricchezza dei simboli, fortemente connotati nel senso dell’accoglienza e dell’abbraccio di tutti i popoli, sotto il manto di Maria e sulla barca della chiesa. «Gesù - dice p. Natoli - è venuto come missionario del Padre, allo stesso modo il cristiano non può restare fermo. Il simbolismo è un veicolo per indurre l’uomo alla riflessione». L’altare è una barca, simbolo della chiesa che naviga tra i flutti della storia, ma anche veicolo di salvezza per quanti arrivano dall’Africa, in fuga da guerre e persecuzioni. «È l’Africa la terra più crocifissa» rimarca il rettore della chiesa. Ecco perché il crocifisso che sormonta l’altare rappresenta un Cristo africano. Nessuno, tra i fedeli che partecipa alla messa si sente escluso. Per consentire loro di comprendere e partecipare alla celebrazione, il rito è officiato in quattro lingue (italiano, inglese, francese e spagnolo), trascritte su un libretto stampato dalla rettoria. Luca Insalaco Palermo
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qui Thailandia qui Nigeria
Qui Thailandia di Paolo Miceli OMI paolo.miceli@gmail.com
Un giorno di Natale Il giorno di Natale spiritualmente più significativo della mia vita di missionario è stato quando alcuni anni fa, il mattino del 25 dicembre sono stato svegliato da Phra Maha Thongrat per dirmi che aveva capito finalmente il significato della croce e del crocifisso.
MISSIONI Phra Maha Thongrat è un monaco buddista che allora stava conoscendo più a fondo il cristianesimo. Io avevo il compito di fargli da interprete. Più volte aveva espresso la sua difficoltà a capire la croce. L’ideale del buddismo è estinguere la sofferenza e raggiungere la serenità, la pace l’armonia interiore. La croce è l’opposto: Ai suoi occhi sembrava incomprensibile guardare a quello che appare come il simbolo della sofferenza, del dolore, della morte ed accettarlo. Ancor più incomprensibile era per lui il fatto che la croce possa essere stato lo strumento della redenzione dal male. Ma in quella notte di Natale aveva ricevuto la risposta illuminante e voleva comunicarmela. «Ho capito! - mi disse. I cristiani quando guardano Gesù sulla croce, non vedono il dolore ma l’Amore!» Sono rimasto folgorato: lo sapevo, ma non l’avevo ancora capito così bene!
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Qui Nigeria di Alison Nnameka OMI mekaalison@yahoo.com
In pace sui territori contesi La missione oblata in Nigeria è sempre stata vicino ai poveri, ma dopo i recenti scontri etnici abbiamo incontrato altri poveri e affrontato nuove sfide. Il problema si è presentato nello stato di Benue, dove abbiamo aperto una nuova missione. C’era una lotta tra pastori Fulani e pastori Tiv. I due gruppi hanno convissuto pacificamente per anni, ma recentemente si è creata un’ostilità
che ha privato molti agricoltori Tiv della loro casa. Il problema deriva dai territori riservati all’agricoltura e quelli riservati al pascolo. La gente è sfollata, a causa delle violenze, verso la città di Makurdi, dove è stata emarginata, e non sapendo dove andare, ha occupato scuole ed edifici pubblici. Coloro che hanno trovato rifugio nel nostro territorio, al nord di Makurdi, sono stati praticamente abbandonati a se stessi. Abbiamo fornito l’essenziale per soddisfare le necessità di base costruendo bagni procurando cibo e medicine. Incoraggiati dal sostegno dei confratelli Oblati e da uomini e donne di buona volontà, lavoriamo senza risparmiarci per consentire a tutti di apprezzare la dignità della vita umana e utilizzare i terreni come bene comune.
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missioni
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Missione è… Vivere e operare come corpo apostolico
di Adriano Titone OMI titonomi@gmail.com
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l primo fine settimana del mese di ottobre ha visto riuniti alla Casa provinciale OMI di Frascati una quarantina di laici provenienti da varie parti d’Italia e dalla Spagna. Erano i rappresentanti di comunità e gruppi di ‘Amici delle missioni’. Da anni, questo Convegno missionario della Procura offre l’opportunità di sincronizzare in unità le energie senza, per altro, ridurre la preziosa varietà di percorsi e modalità che ciascuno inventa con creatività. Ecco la parola chiave di questa mia diciottesima ed ultima paginetta finale: “corpo apostolico”. Missione è partecipare alla vocazione apostolica di quei primi dodici discepoli che Gesù costituisce apostoli cioè inviati. In gre-
co apóstoloi significa inviati. Ed è essenziale nel vangelo il fatto che Gesù li costituisce apostoli insieme: sono il gruppo dei dodici. Il testo li chiama “i dodici” anche quando sono rimasti temporaneamente undici. In tutta la Bibbia il numero dodici è segno di una completezza, una pienezza che non va scomposta. Per questo non tardano a scegliere e chiamare con loro Mattia, dopo un opportuno discernimento. Questo abbiamo sperimentato durante il convegno a conferma di uno stile che cerchiamo di conservare e alimentare: non possiamo vivere la missione ciascuno per conto suo! Non è nella natura delle cose, così come Dio le ha volute. Ed è stata una gioia ascoltare, il vissuto di tutto un anno, quelli del nord, quelli del sud o del centro… Mi richiamava alla mente la scena dei discepoli che ritornano dalla missione felici di quanto avevano potuto sperimentare. Anche gli assenti hanno potuto avvalersi dell’aggiornamento in tempo reale sui social network nei quali hanno anche espresso la loro unità al corpo intero. I missionari ad gentes sono stati ben rappresentati da p. Antonio Messeri, da undici anni in Uruguay. Uniti a tutti loro, perché parte di un unico
corpo apostolico, quello ‘oblato’ che a sua volta è cellula viva all’interno della chiesa, corpo di Cristo, che ci rende partecipi della sua missione e ci invia ai confini dell’esistenza di uomini e donne del nostro tempo. ■
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PALMIRO DELALIO, PREGARE CON LOURDES, 2013
Ogni giorno TV2000 trasmette alle ore 18 la preghiera del Rosario in diretta dalla grotta di Lourdes. A guidare la preghiera i Missionari Oblati di Maria Immacolata che risiedono nella cittadella mariana. P. Palmiro Delalio OMI è uno di loro, volto conosciuto e apprezzato da tanti telespettatori. La comunità oblata di Passirano (Bs) ha dato alle stampe un volumetto che racchiude le preghiere Per richiedere il libro che concludono la recita del Ci si può rivolgere alla comunità oblata di Rosario. Passirano (via Guarneri 6, 25050 Passirano (BS), tel. 030 653629)
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NON RINUNCIARE
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Missioni al popolo. Annunciare Cristo in Italia
Le biblioteche popolari a dorso d’asino
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attualità Missionari nell’emergenza ILVA a Taranto
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Laici oblati Tra
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Al via l’anno della Vita consacrata
La famiglia oblata a Messina tra passato e presente
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presente e futuro
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attualità Tre intellett “leggono” uali la mission e in Italia
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