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Massimiliano Manieri

Prima vera che non giunse Poesie 2005 - 2014

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Massimiliano Manieri Prima vera che non giunse Poesie 2005 - 2014

Spagine è un periodico di informazione culturale dell’Associazione Culturale Fondo Verri di Lecce


Scrivere è stato un bisogno di pancia, prima ancora che giungesse il senso della forma. Mi accorgevo di versare sul foglio i binari morti di me. Mi colpivano le trascuratezze, mi bloccava il respiro la polvere che posava sugli oggetti. Mi preoccupavo per il giocattolo abbandonato ieri. E la domanda era secca, precisa: SE LUI FOSSE VIVO, COSA STARA' PENSANDO ORA DI ME. Tutto quel che è seguito è stato conseguenza di una graduale presa di coscienza, la sensazione che vi fosse qualcosa oltre la facciata condivisa degli accadimenti, al di là dello sfondo narrativo che noi si intrecci, per un racconto. Io oggi racconto le possibili derive umane. Soprattutto gli aspetti sconvenienti, quelli a me visibili perlomeno. Ed ognuno è libero di ritrovarcisi dentro, oppure no. Massimiliano Manieri


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Prima vera che non giunse Poesie 2005 - 2014

Prima vera che non giunse

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FATTI DI LAMPONI La bulimica parola dimagriva all’interno delle bocche frequentate Nei ripostigli ai bordi delle tangenziali sterilizzate Sui sedili delle auto Accanto le borse Accanto le vittime Ingannate di Febbraio Riconosciute in Maggio Nel mezzo i giochi Nel mezzo i colori di giostra …Luci intermittenti …Danni intermittenti I santi non venivano a trovarci I diavoli ci trovarono sgradevoli E ci sedemmo poggiandoci sul fianco Che la gonna pieghettata ti lasciava intravedere E riflettevi Che tutte le terre desiderate Si vestivano di scuro Come le donne che preferivamo E ti diverti più nel non distinguere Che nello scindere… Fatti carnefice educato Fatti di lamponi Fatti di tristezza se ci sta non è detto che ci stia Trattando le regole trattando la resa controllo del corpo… controllo del corpo… si mercanteggiava del più e del meno e tutto quel portarci in giro odorava di stantio ora che le sbornie ci avevano valicato ora che l’alcool levava le tende la paura ci prendeva dal cavallo dei calzoni fatti di lamponi spagine

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fatti di tristezza se ci sta …e ci stava sempre la troia non l’ho vista mai negarsi presente agli appuntamenti mai dimessa… mai corrosa… completamente diafana ed obliqua come chi conosce a menadito i pretendenti e si rilecca il culo docilmente con la praticità dell’infilare bancomat e niente commissioni a fine mese controllo del corpo… controllo del corpo… pagavamo i derelitti pagavamo debiti inutili pagavamo le paure che vennero a prenderci anche allora dormi bambina dormi accanto al fuoco Nel mezzo i giochi Nel mezzo i colori di giostra Fatti complice smodato Fatti di lamponi Fatti di tristezza se ci sta non è detto che ci stia non è detto che si cada. l’accampamento indiano di provincia opachi monasteri nelle zone industriali volevamo un Fujiama imbiancato ma imbiancavano le teste e poi null’altro erano al ritorno i citofoni premuti singhiozzarono l’effetto dei lamponi che sfumava… La bulimica parola inginocchiata all’interno delle bocche frequentate.

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IL NORD Assaporavo… L’abominevole voglia di strizzarti i seni E tacevo… Vagiti scellerati e furfantesche perdizioni Detronizzando catene rugginose. Dove finivano le dita cominciavano le assenze La pelle mi accompagnava fedele Laddove nocche assaporavano quel fresco Molto a nord di noi… Non rammentavo il sangue Non rammendavo i semi Il piatto maciullato… Il posto all’opera… Il cesso scongiurando… Dove perduta è la goccia Dove tra i velluti scivola Cercando tepore di palmi Temendo prigioni di braccia scansando sepolcri di labbra ed oggi che ti trovo insipido e scaldato tu che golosamente frizzi… come gatto che la coda liscia vuoi ordinami lesto… gira allegro il cucchiaino zucchero sul fondo non risale ceramiche presenze baffute sapere tutto tutto niente niente cantami piuttosto… sigilla a fuoco lento saldando i cardini impediscimi… scudisciami dai bordi rendimi le arsure slogami… …gonfio/tronfio stai morendo di vergogna deperibile in palazzine logore spagine

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affitto scaduto gioia scaduta grattavi lanuggine dai muri ‌e mettevi il capo sotto immaginando neve immaginando il nord

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DILATAZIONE Fermata d’autobus Oblitero riverso A spasso dentro me Gli spasmi… Le combriccole… Le pareti dello stomaco appiattite Sbatto contro i ferri Smetto ad ogni legno E non cercando complici… E non cercando artefici… Ma… Scippando nel mio interno ogni forma di colonia Di bimbi su spiagge primaverili Secchielli e palette Ti stavamo noi aspettando Ti stavamo deglutendo … eppure all’interno della mia dilatazione ricordavo tutto io stavolta e finalmente… pelle, ossa, succhi gastrici, e dubbi intestinali negli uffici, vicino le casse, le nostre croste discinte succhiato dal mio interno e senza marchi martellato ai fianchi mi doleva e soddisfava ma… limavo se colpivo spingevo se soffrivo non completamente bianco e ripulito spagliuzzavo tutti i lividi rimasti e ne aggiungevo …bisogno livido bisogno A spasso dentro me x me Gli spasmi… Portati in processione Supplicando i santi dentro i vetri Che lo scirocco poi faceva opachi …le preghiere …le vedove …e le ombre spagine

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e la dilatazione che incombeva mi facevo gianburrasca mi facevo artigianale mi facevo anche di colla i fuochi artificiali i fuochi naturali di baracchette e pupi di polaroid sgualcite di crociate limacciose portando la morte in ascella scodellami parcella labile puttana lirica dal biglietto ridotto venduti ultimi posti passate gloria e fasti il corpo accolga ora ‌la dilatazione

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STA’ CALMA ORA, VIRGINIA Che la scuola era finita già da tempo E venivo di soppiatto tra i tuoi libri… Tra le tue foglie secche in mezzo ai fogli Come tra le tue gambe e in mezzo i tagli… Portavi il mio segreto zuccheroso Portavi il gioco e il fuoco il graffio e il velo E le calzette basse il pomeriggio E le merende unte tra le dita Gli sguardi carezzevoli e lascivi Ed i giochicchi …e gli scodinzolii Poggiata un poco al fratellino cacacazzi Un poco ai miei ginocchi ed ai sollazzi Ubertosa di languori ed albeggii E con il corpo pronto… Il fiato svelto… Le trecce sulla spalla ciondolanti E poi solleva rattristato alle letture che mi seguivi furba, solitaria Sviottolando il matrio guardo punitivo In fondo al corridoio mi spegnevi Pareva cincischiassi ma eri certa… E gli occhialucci al naso avvaporati E straripavi ignobile ignominia E la boccuccia docile retrattile STA’ CALMA ORA, VIRGINIA… Godi muta… che nel farcirti abbondo trasalendo e l’occhio corre livido ai boccheggi a chi non vuoi che poi ti spenga e sopraggiunga ora che stridula schiacciata al muro le tue giunture fanno piega ma tu taci e canticchiavi la canzone delle fate… e mordicchiavi labbro saputello d’adolescenza intriso agli occhi d’altri… ma qui voglioso di ben altre creme… che il dubitare masculino mi sottace spagine

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se un poco osservo il tuo movimentare di come il fianco tuo incontra ogni spinta mi pare di scoprirti più mordace… che mi divori silenziosa e candida… e calcoli la scusa del momento… e friggi chiacchericcia già di fuga nel togliere ogni segno colaticcio mafalda nello slaccio e nell’avanzo t’assaggi nello specchio improvvisato nell’indecorosa arte di negare …aggiungi rossetto dove goccia impera che le compagne già ti aspettano sornione a rimpallare gli amorazzi del mattino e smemorarsi linda …e i banchi …e i cessi il fumo svelto. ed i bidelli complici le serpentine e i viottoli a ritornare languida ed accudirmi morbida ed ai richiami di un gioioso nascondino preferirsi e abbandonarsi alle tue bocche, il tuo pompino…

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CANARINEI OCCHI GOCCIOLANTI ANGURIA Giù dalle piume poggiate… figuri improbabili ingabbiarono il soffio… Sbatacchiando alucce inconfessanti livore Spalancano pigolii alla vista del padrone di turno. “Cosa si aspetta da me… Cosa gli devo…” “…io che gli somiglio più di quanto creda …io non trattengo più niente al mio interno” Giù dalle piume poggiate… Gli uomini bruni chiedono ancora il permesso, All’uscita di antefatti bricconcelli. Presi un’anguria rossastra al suo cuore Corsi le scale… Corsi il dolore… Nei passi impedendo… Nei sassi inciampando… Salire la polvere sentendola intrusa Nei pori le gocce accalcate Abolirono gli ultimi sfrigolii Prima del tetto …e le dita tese Lasciando cadere i miei frutti Distanza crescente, retratto il mio lattico Riprese il colore perdido Canarinei occhi gocciolanti anguria L’impatto frangeva il suo rosso mancando craccheggiando poi al suolo aprendosi flacca e morsiccia rintronando le abluzioni della bocca …e nel mentre risonava il gastrico mi accorsi che parte di me già ti seguiva lacrimacea si affacciò in caduta esprimendo tutto il ritrosìo nell’aria fresca ma non difficoltoso l’abbandono della palpebra che anzi suicida e compagnona la facilitò …sicchè a me parve sul frutto sugoso lei si poggiò serena ed alaticcia a riequilibrìo del natural croccanteggio spagine

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…e da allora ogni volta che t’assaggio distinguo chiaramente il solfatare distinguo lacrime al tuo interno accanto ai nocciolante sputacchìo…

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LA STANZA BAGNATA Entrai in una sottile valanga Che sommerse la mia anima. Quando non sono questo gobbo che tu vedi Io dormo sotto la collina dorata Tu che vuoi conquistare pena Devi imparare bene come cercarmi E non stupirti se entrarono tutti La stanza chiusa conserva gli odori Quindi l’ombra d’ogni carezza Ogni natica tesa nel frastuono di zip veloci e sincere di organi flaccidi incontro a quell’aria ingoiati confusi da bocche e salive Ora che per scherno mi colpisci al fianco Mentre t’immergi per l’oro Lo storpio che qui vesti e nutri Non è morto di fame né di freddo. Lui non chiede la tua compagnia Non al centro, non adesso. inscindibile il fiato accompagna mordendo i rimorsi mordendo le forme all’interno di spigoli schiacciati nell’angolo mentre mi fido di occhi nemici Non fosti tu ad innalzarmi Sul piedistallo in cui io sono Le tue leggi non mi costringono Ad inginocchiarmi grottesco e nudo Io stesso sono il piedistallo Di questa turpe gobba che stai a guardare E tu non puoi toccare Con una mano così grave spagine

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La sua stella al di là del mio ordine La sua nudità estenuata. Nei cerchi della sua seta Nei cardini delle sue cosce. Tu che vuoi conquistare pena Devi imparare cosa mi rende gentile Le briciole d’amore che mi offri Sono le briciole che mi son lasciato dietro La tua pena non ha credenziali qui E’ solo un ombra, un ombra della mia ferita Mentre lego mandibole tese sfilacc pensieri impubiditi Mentre farine risalgono braccia Ridono dall’interno dittature vaginali Plotoni lesti ad asciugare i liquidi Ed il desiderio con la sua malombra Io ho cominciato a desiderarti Io che non ho credo Ho cominciato a cercarti Io che non ho bisogni Dici che te ne sei andata Ma posso sentirti quando respiri Lasciandoti andare sul fianco Nello spazio di sogni introiati Ora ciondola stanza bagnata Proseguio dei fiati ascoltati Rivestendo e coprendo le armi Non ti chiedi mai niente di noi Non vestire gli stracci per me Sentendo che tu non sei povera toccarti vestendo curiosità Quando sai di non essere sicura Aprendo le vesti mi accorgo …È la tua carne che indosso

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TORPORE Abbecedario infame, livido al sogghigno in fondo ai lati delle bocche dal fuoco risparmiate nell’attesa d’albe rosse richiamando i greggi ai colli formi e trasudando le eleganti ruggini e …Dio mio, dovettero scrollarci …che il torpore masticandoci dagli alluci aveva risalito il capo e conquistando vette sconosciute ci dichiarava poi illeggittimi al risveglio. Abbandonati i repubblichini sogni le nazifasciste amanti reggicalzando improbabili ladruncoli ci costituimmo e dichiarammo colpe controvento con i mozzi a ripulire a prua ed i morsi a farci porto ed i denti non mollavano le prese che gli unguenti non guarivano… dovettero strapparmi a unghiate tagliuzzando dovettero reprimermi di marzo e le rondini pigolavano per nome come i ritorni alle africane coste e gli abbandoni poi stucchevoli di margine. fossero gli stati circondati di ciliegi fossero le oneste pagine stracciate e poi riavute. Che pure i fiumi rinsecchiscono con l’afa E pure i sogni si ritirano di sbieco Le dittature estive retrocedono schiarendo 40 gradi costituendo di giustizie infauste e decisioni levate poi all’unisono disdegno bussando ai vetri che limecciano sbiaditi a 40 gradi in fondo niente è garantito…

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RIAMMANICATO INFIDO TRABORDO IN RIMANEGGIO E stallo D’oliva trapuntata inumidendo Ciondolano profumelle Gonzole avvelate E mi sgambettano pompose insapidite E stallo Rifugiando il saputello mafusotto Stendo l’arto Che rigonzo mi somiglia Orribilis, t’avanzi affusolata Stallo Il disotto del loquaceo che s’avanza Fa strada nei calzoni miei ammansiti Intorpidisco i gesti abbrucellando E cartesiano espongo di caviglia E stallo E non ti porgo, anzi scafaldo Di comacchio inpresto polipando Muffeggiando in tratti inzebrinisco Mi faccio e mi rifaccio costumato E stallo E di trabordo in rimaneggio Flacco, mi riassetto E ricucendo, deglutisco E ingoio…

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COME SALE SULLA LUMACA E ci si può ammacerare attraverso… Che nessuno… nessuno potrà confidarlo alle unghie rifiutanti la crescita, spiegargli macerie d’accanto. E raccontargli che sei stata in giro …portami fuori …no…Portami dentro riabilitando i disabitati corpi Con finta sorpresa riconoscerti Nella mela della mente ora reclusa Vestita di corazze in lana merinos All’interno di regni bambini Dove regine temono regine Dame reggono con ghigno sottane slavate E le edere… …Le edere si vergognavano di somigliarle che le braccia rinsecchivano prima degli steli. Sommavo le salive… Sottraevo il fiele… Spunterai serena …? Come sale sulla lumaca In mortem chimica accertata Come di illegittima idolatria appassita Destinata a forzate convivenze Imprestata a contadini dimenticanti raccolti Stropicciata nei segreti prima che nelle carni saprai di bocca piegata Inferta e spiluccando uccisa …che io mi seppi eppure mi negai Come null’altro avrebbe mai saputo offrirsi… … Jazzando dall’interno le colpe Che risuonavano tra costola e costola Uscivano dagli occhi che facevo ora più neri alternando lacrime cementanti il trucco Se solo il batuffolo poggi spingendo Ti accorgi… spagine

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Che i luoghi visitati odorano di uomini grigi Che volentieri appiccicavano il tuo nome voltandosi Cadevano i colori… cadevano gli smalti… Dalla porta della vita si può uscirne divertiti …e dal culo della nave osservavi ammararti …Si può morire lenti …sottocosta E spiaggiare poi d’inverno quieti di mareggiate che ti alternano ai tronchi portando al fondo i delitti e l’orgoglio Col timido languore di chi è stato in gita Senza valigia alcuna…

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AL SOLE D’AUTUNNO Lama di ciniglia Lama di mollica Tagliami di netto Tagliane un pezzetto Un dollaro a chi vince Un dollaro a chi perde Ascia o coltello… Se ti prendo t’affetto Se ti trovo …un morsetto Correva la creatura di petali Correva e le vedevo le spalle Fino alle pianure della luna… E tutti i luoghi attraversati riempivano gli zaini Le dita moncate dagli uomini distratti Sarebbero cresciute stavolta sul mio volto Fino al giorno che non fossero cadute per me… col mio gioco abbandonato all’angolo ascia o coltello …amore lindo, amore unto pistola al fianco scodellando puntami le tempie disilluse puntami la lingua secca in bocca ti porto al fiume e t’uccido di morsi recido i tuoi lembi tardivi all’ingoio e ti lascio galleggiare lenta fino a riva e ti faccio sposa di detriti e salnitro vengo domani e ti raccolgo fanciullo e boia nelle mani e nel vento patibolo sfiorato in cento albe sangue raccolto in cesti e cento piume montata e smontata pari uguale ti spezzo e ricresci ti poto il fusto, poi il gambo… spagine

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le foglie tornano verdi, giocose …tue più di sempre giardiniere di un orto visitato che ero ricco mentre ne esco impoverito ed ingrigito con cesti pieni degli autunni che attraversi ed il ghigno recinta l’amore che provo che fai sotto le stelle, chi vuoi dimenticare… cola dalle mani l’asfalto delle strade che scegli ho il rimedio e la condanna insieme mentre tu stai …ed il coltello ti trapassa a scatti fatti vicina mentre premo fatti vicina mentre infilo fammi vedere i denti mentre taglio e coli e tienimi i fianchi mentre strappo prometto di cucire svelto prometto i tasselli nei posti hai lama dentro te al completo che ancora ridi e soffi sul petto ti trascino al patibolo di cioccolata ti poso leggera la testa di fragola ti sciolgo per l’ultima volta i capelli e carezzo il calore che conosco da sempre mentre il boia mi ritorna nelle labbra In una gabbia di ferro posa il tuo cranio imbiancato dal sole e dalle pioggie come ai malandrini era usanza mostrare portare il miglio nelle dita al passaggio così che i passeri vengano a trovarti e mangino nell’alba dalle cave dei tuoi occhi beccando in festa dalla carne morta mentre si sollevano e cinguettano seminandoti nell’aria il mio cavallo ha un moto di sberleffo nitrendo all’aria batte zoccolo infangando Prima vera che non giunse

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infila tutte le possibili pozzanghere e disarciona complice maligno cado al suolo maciullando il mento mentre i passeri passano sul capo lasciando cadere pezzetti di te finalmente libera‌ al sole‌ d’autunno

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DUE Rivolo e vinaccia infilato ai solchi lignei Colorisce d’uve al passaggetto tra commensali ispidi e molliche scodinzola il suo mosto e me l’aspetto in lame di coltella in mezzo ai pasti in lame di ciniglia mi conquisti ed i farri e le verdure parevano ascoltarci rincorrendo il gioco ai fiati persi E ci sedemmo poggiandoci sul fianco Che la gonna pieghettata ti lasciava intravedere E riflettevi che tutte le terre desiderate vestivano di scuro come le donne che preferivamo nel rifugio delle bocche unte negli scantinati di mandibola grido insonoro languido tra gli oli nel luogo dei sorrisi snocciolati il posto che colori di te, inconsueta che ingordo bevo a ogni tuo gesto come ogni luogo che ricorda addii non ama restituire gli armeggii e mi piace voltarmi e vedermi e mi piace ascoltare se dietro lascio suono prima di portare alla bocca il vetro che contiene esatto il vino della mente

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IL GRILLETTO OLIATO Eccoci qua, dolcissimi… Rimpiccioliti appena usciti Rimpiccioliti appena stesi Abbracciati a tutti i possibili amanti sognati Stringi stretto stanotte Stringi stretto prossima mia traditrice Nelle carni da te sognate dormo io E manda a dormire il bimbo lindo Lascerò la veranda libera per la nebbia Per i gesti di cui avrai voglia domani Senza alcun bisogno di addestrarmi Vorrei liberare solo gli ingranaggi oliati Stavolta almeno non vorrei mentire E chiudere i regni che ho abitato abituandomi E guardarmi dalla distanza guadagnata Guardarmi dal confine che mi tiene vivo Imprigionato da questo sottile bisogno nella libertà che prese i polsi logorati Che la libertà non la merito malgrado mentre l’ora d’aria mi raggiunge fin qui Mentre belo ed il pianeta si ammala attorno Mi faccio volentieri trasportare al guinzaglio E caco ad ore morsicando pasticciotti a metà Mentre la vita mi traversa nicchiando obliqua Come l’antartide traversa gli equatori Io aderisco alla pelle con l’inutilità che mi accende E mi lascio spegnere da ogni soffio circostante Attendo che le scuse plausibili rotolino da dosso Le molecole vengono liberate a turni finalmente Proprio mentre la via mi appare silenziosa Ti permetto che il massacro inizi a cinguettare Ed io al centro di te, ed io la tua piccola morte spagine

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La descrizione delle circostanze conquista la scena Ed io ti chiedo di tingere i muri con i colori che ti allontanano Ed è raccogliendo i tuoi spicchi che l’immagine torna Come piccoli fiotti reimmessi nel braccio livido in un mattino qualunque che sceglierò per finire nel rifiuto della corsia che sceglieranno per me dove la scelta del nome del male assegnatomi non coprirà i colori del buio che sceglierò macino brodini con denti da latte imbruniti osservo polvere inseguire finestre murate la carne stretta da emostatici finissimi e la vita mi si svita dai miei fianchi tesi mentre faccio dei soffitti cadenti chiese improvvise mentre stacco chilometri d’intonaco mentale rifarei tutte le mura del mondo se mi dessero il permesso di abbatterle ho quindici anni se sorrido iniquo ne ho cento ogni qualvolta dormo sulla mano tua i crampi partono da caviglie tenute piegate per millenni fino all’ultima stanza dove vengo ritrovato infine il grilletto oliato posato sui cristalli dell’orso il grilletto oliato tolto dalle dita tue che mi fai fuoco rifocilla l’indice delle possibili restituzioni e mi rende onesto il battito di mani di commiato

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TRAMEZZINI E DOSTOEVSKIJ Manca mostarda Manca poco alla fine cado nel sale che raggiunge il panino cado, ma in fondo, di sapidità voltandomi manca un coltello che oltre il tuo taglio vada manca un’anta all’armadio diviso malgrado Dostoevskij e mollica ragamaffin Accompagnano i pasti razionati giudiziosamente Restare in qualunque luogo insieme al menù Seguire gli antipasti con la coda dell’occhio Odiarti mentre snoccioli gli ingredienti del carpaccio Osservarti sollevare la tazzina sprofondandoti Che nessuna abatjour ti nasconde del tutto E spesso pagando credo d’averti lasciata sul tavolo E spesso pagando credi tutto ti si debba E spesso dimentico impermeabili in penombra

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IL FURGONATO TRABALLERO TRABALLÀ Cabala del caballero perdido Full pieno alla quinta mano strappata L’arcata sopraccigliare mi tradì maldestra Svelò il gioco della mandorla scrocchiante Ed inciampai nel rilancio malmesso permesso Colonne di lucide fiches franarono alle dita Le nocche non risposero al disastro atteso Le nocche cavalli del palmo di mano scudiero Le nocche disarcionarono le cartilagini regine In un mattino passato a spellarsi lieto e quieto Pianse dietro al furgonato traballero traballà Smarrendosi all’incrocio semaforico mancato Perdendo in punta gli occhi destinati a perdersi Nell’intercalare del rosso col verde gentile Riunì in un rutto ammansito le paure dismesse Suicide ad ogni passaggio di pneumatici lisci …L’ingorgo parve giusto come l’imbrunire e clacson ci attesero nei luoghi dell’ovunque

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LA CARTA STRACCIA Il cane mordeva chi si affacciava Il cane latrava di notte nella nebbia Il cane grattava tutti i pidocchi possibili Il cane era dentro ogni possibile ronzio Essere padroni Essere legati negli occhi ci schiacciava Abitavamo cucce confortevoli Abitavamo le parole passate Non sfilavamo Non rompevamo bottiglie Ci presero per cucire le etichette Ci rimisero a posto nella stagione degli sconti Osservare i manichini e ritrovarsi Osservare le vetrine cercando le ditate La carta straccia si confonde alla tela La carta straccia mi veniva recapitata il giovedĂŹ

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PLINK Cronaca di Plink, malgrado… Nel giorno che scelse per gocciolare via nell’ultimo mondo scelto per la sua rovina Tradito dall’ultima goccia raccolta, Mentendo sulla mano inumidita, Insalivando pietre per negare il maltolto Parleremmo volentieri di lui, qui… Se solo non si fosse fatto sorprendere dalla coincidenza dell’acqua colata alludendo… Sbrodolava liquido masticando asciuttezze, mentre costui si lascia trafiggere ligneo. Come un corpo segnalibro si abbandona Così il pelo dell’acqua può specchiarlo… E digrigna la sabbia che non sa di contenere Mentre il sole ingialliva il liquido restato, ed il freddo invadeva il ventre pallido trafitto… l’aria stessa poteva tornare a star zitta…

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TI SQUILLO, QUANDO MUORE (morte di un marito qualunque) Ho sbagliato calze e zucchero nel caffè Me ne accorgo dal dito riverso a fondo scarpa Me ne accorgo ruotando l’alluce impedito Che la giornata amara riversa nella bevanda Ad unirsi sulla punta del metallo rotante Che le mie dita tengon ferme nell’ombra… Cucchiaini e grilletti sono uniti da fermezze Immobili entrambi, supplicano sempre padroni certi Perfetti nella sagoma, come nella scia resa di sbieco Polpastrelli tiranni di breve movimento intatto Rassicuranti e disarcionanti insieme stanno Infilano in gola due sapori appresso differenti Dove opposte tostature s’incontrano nell’aria Farneticando dialetti d’altrove e d’altronde È un normalissimo giorno feriale, che pretesa; liquido nero strappa il tagliando alla mia sveglia, polvere da sparo sul polsino della mia camicia, dopo un singolo, diplomatico, signorile colpo parlerà di come ti dono una conferenza con Dio ed halleluja in ogni mattino ritrovato ritrovandomi… venendoti a trovare e godendoti negli ultimi raggiri nell’intoppo del credere dolce alla mano che strappa e sapere cosa il tuo occhio riverso si chiede stendendo e buttarmi nella prossima sacrestia lesta a redimermi che la brevità dei preti mi conquista ancora e qui… che non temo di spiegargli le ragioni del mestiere è che non riesco a dormire quando sbaglio il colpo… se tu non cadi, e sembri non capire che sei tu e devo darti il secondo, il terzo, più rassicuranti… e rovinarti il faccino da country-club di provincia e lacerarti e bruciacchiarti in più punti in sequenza colpirti i centri vitali con la garbataggine d’un proiettile che nessuna chirurgia possa mai ripararti appieno senza sfiorarti i denti che serviranno ai tuoi parenti a farli entrare sicuri nelle loro squallide assicurazioni dove riscuotono il reale valore che aveva starti vicino tradotto in carta filigranata usata per cene e cornici che quasi restituisce al mio mestiere obliqua nobiltà spagine

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se non sai spiegare alla tua ombra perché non ti fermi se non gli spieghi perché cambi casa così spesso educandola a scrivere ordinatamente sull’acqua così che almeno non rimanga traccia alcuna… come tutti coloro che eviti ed a cui non credi speri questo la tenga lontano quanto basta da te speri questo la faccia abbastanza diversa da te smettendo gli abiti che ti fanno ingranaggio fintanto esiste un acqua che ti lava nel profondo ed una pazienza impiegatizia che accompagna i gesti che mi fanno aspettarti in silenzio che tu arrivi e colpirti preciso in mezzo agli occhi stupiti dall’intromissione rapida del metallo caldo che farà di te un malinconico orologio rotto e t’accascerà al suolo pallido e dinoccolato con l’altera postura che ti distingue da tutti e mi fa desiderare essere al tuo posto anche ora… e mi fa odiare la mia andatura grigia e rozza che si fa perfetta solo con la canna tesa e ferma ma anche con lei pronta a ricevere la spinta non mi distanzia a sufficienza dal puzzo dell’iniquità così succede io faccia viaggi fuori dalla merda che sono, è solo che ho un bisogno tacito di uscire da qui, così esco in silenzio da questa finta faccia cattiva, guardo le mie mani arrossate dal metallo imbrunito, parlo con la mia codardia tenuta bassa a forza, e mi chiedo come ho fatto a ridurmi così… ripongo l’arma osservando i punti in cui s’usura ripensando ai suoni emessi, centellino le differenze temendo le volte in cui la sentirò diversa dal solito e mi sentirò tradito io alle spalle e stavolta… come un superficialotto amante qualunque ripasso gli appunti che fanno di me uno affidabile seguo alla lettera istruzioni e menzogne che verranno e ricordo che a tua moglie ho detto: …ti squillo, quando muore.

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NELL’IMPERO DEL FRIABILE FRUIBILE La commessa del reparto… Agile come un dentista nazista… Conosceva adeguata la legge dell’occhio posato Disponeva oggetti in sequenze ellittiche paventatamente logiche responsabilmente rigide sicchè tutto, nell’astrale ipermercato acquistava un ibrido scosceso fascino e mortadelle accanto i profumi tornavano democratiche e caramelle toccavano cetrioli senza spendere in malizia La commessa del reparto… Come gazzellina tra i banconi linguacciuti Giocherellava intorno la legge delle scadenze Confidando nell’astrusa conoscenza del cliente Supponeva le dita irrozzite e dimentiche Consumava i possibili percorsi visitanti confidava ispida nella stanchezza d’occhio dell’allocco Ad ogni bisogno accostava la sua iperbole allineata e biscottini morbidi marciavano al fianco di insetticidi e stura cessi liberavano un’inconsueta voglia di tirannide tutto coincideva nell’astrale ipermercato i carrelli dettavano cigolanti i nuovi disonesti desideri le nuove etichette avrebbero toccato gli animi più arcigni i nuovi veleni sottopelle le ultime coscienze contadine i dolcetti esattamente disposti accanto le casse dove i bimbetti mafaldi chiederanno alle madri affrettate l’ultima attenzione che la legge di mercato calcolava lo spicciolo imprevisto mirabilmente disposto e risucchiato dal sorriso del fanciullo inebetito e consumante ed ai salumi lui, impettito e mascherato e come novello Benito impassibile restava e annotava accadimenti e nuove abitudini supponeva e per tutto allocava il prodotto vincente lo smalto ineluttabile la ciambella irrinunciabile spagine

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e per ultimo spengeva dietro noi il neon che molto in alto volle ligneo e spensierato il bocconcino al gatto porse‌ nel centro del suo impero, del friabile fruibile‌

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UN LEGO DIPLOMATICO Tutto coincide… in questa magra coincidenza d’angeli… ed ho freddo nel buco del culo E l’umido del gradino ora risale la molesta e invigliacchita natica in mille ragioni raggiunte per rantolo di queste inerziali ghiandole che tacciono soltanto pronte ad un malinconico cancro in questa voglia invernale d’accucciarmi e solo godermi i miei dolori nell’unico tempo rimastomi nell’insapore luogo assegnatomi rimastico, codifico, acidifico tutto ciò che non mi è dato di scandire in un raccogliere coriaceo nello scodinzolo perineo sorridi ora, coglione spaventati agli inutili promontori di questo succedaneo farti sponda raccogli tutti gli inutili sassi che tappino i comodi pori lacrimacei compra ogni lego diplomatico mentre ti succhi l’alluce a cui arrivi e speriamo restituisca il fare a doppio petto prima che tu torni a farci pena assaporato giusto in punto d’elezione prima che chiaramente tu necessiti finzione ancor prima d’ogni appello offri anche un rinfresco capacitandoti e chardonnay di cantina giovane magari… e srotola magie di pasticcini arrotolate alle quaccherar promesse che sul finir di pastafrolla tu vedrai tutto coincide tutto ricorda quanto tu scolori tutto raccolto al pio politichese che abile smanetti al plateooone non prima d’umettar la bustarella servita sottobanco al cravattone spagine

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e battiti di mano al discorsetto scritto e battiti servili ai tuoi giusti tempi comici e batterti i coglioni ogni volta che tu menti in questo tuo maldestro capacitarti sfrontato non mi arriva sapore di te nada coincidenza nada comunica non mi sai di un cazzo suppongo quasi tu non sia qui cercherotti quasi in un dei pegni banco ma te prero de non supplicar resto porchè te purria accorger… che tutto coincide, nello schifo che mi liberi e stai soltanto zitto ora… che la fila è purtroppo lunga, dietro te… ed il mio vomito, troppo corto per descriverti

Prima vera che non giunse

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L’EPIDERMICA ENTROPIA E nella ricerca di segni nascosti Stanno minuscole atrofie appese Tornando a galla dai miei bordi Dove il taciturno essere arancio Tuttora bagnato nelle precedenze Cartina tornasole fece del sognare E lo zampillo di una pallida alba Che rimboccava coperte e guance intercalava un ghiottoneggio virginale castrato in democrazie dal fiato marino incastrate alla pelle raggrinzita da scelte in seconda mano parcheggiate soffici sull’ennesima tangenziale spellata e l’ennesima cortina di fumo di bimbo mostrò lo svincolo per l’aborto che sono nel poco impegno messo nel seppellirmi recandomi in festini esacerbanti regine dove mostrai alla pelle il lato peggiore e perdonai alle mie nature ossigenate l’ossimoro erettile cavità spiralante… E nella ricerca di segni nascosti Vi tornai in un giorno di ottobre infine Ed il taciturno essere arancio finse presenza Alla quinta lezione del profeta supplente All’ennesima crudeltà del cane chirurgo La pelle ribelle slegò le sopracciglia Che conclamarono l’eco di interiora dove vomito e rabbia risalirono puntuali Sul medesimo binario dismesso malgrado Sedettero affiancando la verità uterina dove pelli ribelli patteggiarono alleanze dove marciapiedi detronizzarono gli altari tornando esausto ai gessi di cui son capace sbrindellando il puzzle nemmeno speziato discesi nelle cantine non indicate da cartine E buffa comparve la sua voglia d’inseminare Da mio padre liberata in motel di provincia Con mia madre calda puttana accogliente spagine

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Nell’infimo succo scolacchiato e cosciente Restai, seguendo goccia di cui non mi capacito Che su guancia sgualdrina potei chiamar lacrima‌

Prima vera che non giunse

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IL MIO COBALTO Al mio sottocutaneo mordilemma Mal strappi e sottotaci a invisa grigna E di cosa sei capace malgravigno che in punta mi mastrucchi a questo lembo se invigni la boccuccia scolotrattile se di pervinca vigna azzanni rizzollando ritraggo lo scudarti columaceo che deterge lo smelmare dal lustrucchio e contadinarmi parve costumanza alla dignitade che non porta fio che d’assassinio anlemmi il mio cobalto che l’assassino mitraglieggia all’onda che d’assassinio muoio un po’ pur io…

spagine

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SEPOLTURA BAMBINA Ed il buio sgravò la mia femmina E la mise in attesa d’un legno Ed il giorno si impresta più nudo Non consuma che il chiaro di sé Rinsavito all’onesto grimaldo Ritoccato in lancetta intascata Si riprende nel mucchio cedendo Si salmodia da un flipper già spento E formica mangiava le stelle E formica saltava il legume Sepoltura bambina e bivacco Se potessi spezzarmi fin lì Ti farei accecata al mio nero Avvertendo l’allocco guardiano Che scolpisco la foglia e l’incendio Che trasporto ogni casa con me

Prima vera che non giunse

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IN TUA CALURA …ERIGO GIUSTA TROIA L’infero langue solo sulla porta di colui che angelo ammanta Schiodate i demoncelli orsù dai grigi barocchetti candelabri Ed un laido freddo pasto al tavolo marmoreo concedetegli Nell’asticella il cordolo cui uso appendermi se perdo i sensi Nell’entusiasmo integro dettato da un suicidio democratico Nell’angolo di un succedaneo mondo da cui sputacchierotti E lindo mi ritorna decontrattualizzarmi il corpo finemente Odiarlo amarlo perderlo senza lusso alcuno di lamento cedere E zitto rimanere intanto che la mente ladra e giusta scappi Mentre consiglio e osservo al cazzo eretto sorridente ignavia Di prossima nemica a cui sacrifico sfilacciarmi l’espiazione E sopporto sull’onesto glande il mesto peso brumo e la sua nebbia Vale la pena il sacrificio del mio putrido corpo ammanettato a te Che ad ogni goccia di bianchiccia giurgola che ti riverso dentro Il gagliardo cagliostrava torre da cui osserva in indisturbo agire E riguadagna metri e valli e s’allontana nel mentre io ti grido troia E tu immagini e divori in tua calura ch’io di te dileggi e apprezzi infine Ma Troia fu il letto solo ed il mio corpo insieme, squisita ingenua ninfa Mentre il pensiero svelto salta oltre armadi bianchi e già è per strada Ed il disgusto del mio prezzo un giusto prezzo spagine

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al corpo martoriato Perché la mente si riprenda un cielo pagante mille di siffatti conti Amalgamando assuefazione e rabbia osservo le cotture della carne e gli organi che cedo e sino in fondo mentendo sul mio resto, mio malgrado prendetevi voi bocche, uccello e cuore, fintanto che respiro minaccioso ho liberato mente nel patteggio, vi lascio mollichine a sgranocchiare sicchè da lì svolazzi alto… fuorilegge…. Schiavo del corpo, non certo della mente…

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SPINGI Setacciando la tua voce ai risolini Ed un angelo da poco che si presti In questo fiume secco che noi siamo Ansimo l’ultimo notturno esondarmi E nullo sacco a riva che protegga mai Gioco con dita di grano il pelo d’acqua abbandonato in acqua più nera di sempre riprendere i giochi un minuto vorrei spingi l’altalena, padre spingi, mentre chiudo gli occhi

spagine

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IMMARTORIATO Scodinzola in sordina il servilismo All’obiettivo stacca il dolce afflitto Alla mancanza intratta ogni mattanza Macellami, ti prego, in fondo al parco Che mandi ogni bambino in girotondo Che slacci ogni deserto accanto al fango E manco risvegliarmi poi a Durango Mi restituisca in pelle il tamarindo. Infame onesto illecito al contratto Ed imprestato a lune nel solstizio Accetto vilipendio e il tuo rilascio In rapimento indegno di macigno Nemmanco sottomesso mio patrigno Saprei scontare pene restituendo Saprei trovare gogna in ogni stagno Negandomi al nemico sottovento. Nel tuo perfetto corpo immartoriato Nel tuo migliore Cristo poi imprestato potevo immaginare il grezzo fugio E crostacea diamantilla appesa illesa Se flipperavo il tuo capezzolare flesso redenta d’orefizio in sindone sia grata e lapidami d’impresto al commensale in croce delinquenze al banco pegni

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CILIEGIE E NEBBIA E l’ospite infilò disumanando il piede che porta non seppe d’infilare E dalla medesima porta socchiusa dischiusa boccuccia scolotrattile s’appese a richiesta che nacque maldestra malnata castrata eppure viva e nebbia io gli vidi intorno, ma l’ospite di sbieco chiamato fu in disparte e nebbia tra i capelli e ciliegie nel suo cesto lesto io vi scorsi e chiesi chiesi, si, chiesi di tutto, chiesi vilipesa, chiesi incompresa… Ma chiesi, maledettamente chiesi Ciliegie e nebbia Ed io golosa e fertile al contempo seppi poi farcirmene E le chiese in cui giovinetta m’inginocchiai mi si richiusero in un fiato e tutte dietro E catechesi alle gonnelle non poteron la puttana che innanzi ora facea saputa gogna E scranni di secolari inginocchiate sgranellarono sotto ginocchia sbucciate da colpe fin troppo sospese appese ed il peso della vagina bussò restituendomi l’asprigno ed il peso restante ad ogni venditore di ciliegie infimo ed io di nuovo libera e ciliegie e nebbia in fondo al parco nello sviottolo di cui tu non sapesti, dove lasciavo dondolare il mio morbido culo nei cotoni di cui amavo fasciarmi nell’Aprile che fu tuo e fu mio e scesi il praticello fino in fondo, fino a dove mi trovasti tu… ed io liquida e presa ed io infima e degna ed infine cotta dall’aria che distante tenni eppure indenne… spagine

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ciliegie e nebbia, quaresima e banchetto‌ in astinenza che racconti comarifera rinunzia inflitta e flessa si, compressa al guanto in pandemico mio virus e guarigione che catarro in fondo al bronco ricompensi desiderio e negazione

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NELLA TERRA DEI CIECHI ABITARE LA CASA DEL CIECO TI ABITUA NON FARE NIENTE DI DEGNO MANGIARE NEL PIATTO DEL CIECO CHIUDE LE NOCCHE PRIMA DI PORTARLE ALLA BOCCA PENSARE NELLA CASA DEL CIECO ELIMINA L’ASCIUTTA POLVERE DA SPARO DAI PENSIERI APPASSIONANTE QUANTO FUGGEVOLE SI FA L'ACCOMPAGNARE IL SOGNO ALTRUI... LODEVOLE É L'ARMA, LUCIDA LAMA D'ARMIGERO IN LOTTA SOSTIENMMI ORA, COMPAGNO... A BREVE TORNERÒ ALLA LOTTA SOLITARIA... E SARANNO SOGNI MIEI SOLTANTO... NELLA SACCA... A SCAVALCARE L'INFERO CHE DENTRO LANGUE, E MORDE, E TACE... E FINO A LÌ, NESSUNO POTRÀ ACCOMPAGNARE DON QUIXOTE... ABITARE LA CASA DEL CIECO CI COSTRINSE A CERCARCI OLTRE LA RABBIA D’IMPOTENZA DELLA PUPILLA MANGIARE NEL PIATTO DEL CIECO APRÌ BOCCHE CHE AVEVANO TACIUTO L’OPULENZA LÌ SERVITACI PENSARE NELLA CASA DEL CIECO CI MISE SULLA SOGLIA DI UNA PORTA NON SEGNATA DAL GESSO BORGHESE E VENGONO ALLA MIA PORTA A CHIEspagine

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DERMI A CHI IO SIA FEDELE… VENGONO E PORTANO LE LORO TESSERE, I LORO SIMBOLI… ANDREBBERO DA UN METEREOLOGO A CHIEDERE SE É GIUSTO UN GIORNO PIENO DI NUBI PER UNA RIVOLUZIONE… ED ODIEREBBERO UN CIELO NON DISPOSTO AD ANNUNCIARLI DEGNAMENTE… UN GOVERNO ERETTO DA UN LURIDO PORCO NON CONOSCE IN GENERE L’ORA DEL THÉ, SI DISSE… ABITARE LA CASA DEL CIECO CI SALVAVA TANTO QUANTO UN CONDANNATO APPESO ALL’ULTIMA SIGARETTA MANGIARE NEL PIATTO DEL CIECO CI CONDUSSE AI FIANCHI DEI MALI SCANSATI MANCANDONE IL CENTRO PENSARE NELLA CASA DEL CIECO CI PORTÓ NEI MALI OSSERVATI E MAI DEL TUTTO ACCETTATI PER NOI E LA CERIMONIA DELL’INNOCENZA NON PARE PIU’ RIEMPIRE LE PANCE AMORALI DI COSTORO OCCORRE TORNARE A METTERE LE MITRAGLIATRICI NELLE CULLE, ALLORA; OCCORRE ASPETTARE UN ULTIMO RICATTO, L’ULTIMA CONDIZIONE COSTRETTA E DETTATA; MA NON BASTERÀ IL FUNZIONARIO OGGI AL VOSTRO SOLDO, E DOMANI AL SOLDO D’ALTRI, A FARMI CREDERE CHE UN COLORE SIA SALVIFICO, O L’ALTRO Prima vera che non giunse

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PESTIFERO ALL’OMBRA DEI VOSTRI FACILI FUCILI ABITARE LA CASA DEL CIECO SENZA UN BLANDO BISOGNO D’IMPRUDENZA CI FECE CHINAR LE TESTE SENZA NEMMENO AVVISAR LE COLPE D’UN INVITO MANCATO MANGIARE NEL PIATTO DEL CIECO FU L’ULTIMA SCELTA, D’UN ULTIMO GIORNO, D’UN ULTIMO APPOSITO PERDONO ELEMOSINATO PENSARE NELLA CASA DEL CIECO FU DA ALLORA COME SPOSTARE SOPRAMMOBILI ABBELLENTI SENZA RIFUGIARSI NELLA COMODITA’ D’UNO STILE INSEGUITO SUPERFICIALMENTE ACCOMPAGNO OSPITI E COMMENSALI AI FACILI BUFFET FREDDI SERVITI NEI CATERING ACCOMUNANTI SAGACIA ACCOMPAGNATA A CARPACCI… E FILETTI SEGUIRONO TEORIE D’APPROCCIO AD ARTI SUPERBAMENTE COLATE DI STRISCIO, MA ELEGANTEMENTE FINTAMENTE DESCRITTE… HO PENSIERI PERICOLOSI CHE SUGGERISCONO CERNIERE BEN OLIATE A SUGGELLARE AGGETTIVO ED UNGHIA IN AFFILATO ESTENDERSI LIMANDOSI… ABITARE LA CASA DEL CIECO MI RICOMPENSI DA CRUDELI EDITTI ABITANTI spagine

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LANDE MAI COMPRESE OLTRE LA SIEPE MANGIARE NEL PIATTO DEL CIECO MI MACIULLI DENTI SPAVENTATI DAL SAPORE INCAPACE UNA CESURA DESCRIVENTE PENSARE NELLA CASA DEL CIECO, AD OSPITI USCITI, MI DIA LA FORZA DI PREMERE IL GRILLETTO …E CENTRARMI

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PELOSA E CORNUTA PELOSA E CORNUTA L’INFANTA INATTESA DISARCIONATA DA OVATTATA E MONARCHICA CULLA MI CHIAMO’ ALL’ULTIMA FORMA DI SOCIALISMO ACCETTABILE CHE PREVEDE UN MICROFONO E LO SPARARVI “FLATULENZE” INSENSATE DENTRO APPOLLAIATI ALL'ONESTA IRREQUIETUDINE CHE SEGUI' LA BEATIFICAZIONE DELL'ENNESIMO LUCCICHIO ALLOR QUANDO, MI ACCORSI, CALPESTAI CARTA STAGNOLA… SEPPI, CHE CI ERAVAMO ARRUOLATI ALL’ENNESIMA INUTILE GUERRA SENZA NEMMENO IL DIRITTO D’UNA MARCETTA ED UN FUCILE OLEATO E COME MAIONESE VARCA LIMITE IN CUI MONTA IMBARAZZANDOSI E COME UN PAGLIACCIO CLONATO AL TRAPEZISTA MESSO IN SFITTO NOI CI PROVEREMO DAVVERO A DELUDERVI, ANCHE SE CREDIAMO NON CI RIUSCIRÀ MAI NEL PROFONDO NEL PROFONDO IN CUI MI DICONO, PER ASSAGGIARLO, SI DEBBA AFFONDARE E COME IN UNA CANZONE PER GLI ASTANTI SOPRAGGIUNTI NOI VI SUPPLICHEREMMO DI DISSOCIARVI AMABILMENTE PUR CONSERVANDO UN PENSIERO DON CHISCIOTTESCO DI NOI VI CHIEDIAMO DI RIMANERE TRANQUILLI ED IRRISOLTI SOTTO I MULINI E NOI COME MONELLI IRRISI IN FACCIA ALLE BIANCHE PALE NELL’ULTIMO NASCONDINO CONCESSO spagine

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ALL’ALBA DI UNA RUGA NELL’ULTIMA BIGLIA TIRATA DA DITA INFANCIULLITE IN SEGRETO CI ARRAMPICHEREMO PROMETTENDO NON GUARDARCI INDIETRO CADENDO RUMOROSAMENTE SULLA SDRUCCIOLOSITA’ D’UN PENSIERO CARICATO A SALVE MENTRE… PELOSA E CORNUTA L’INFANTA INATTESA SI CHIEDEVA DA CHE LATO NOI AVREMMO POTUTA OSSERVARLA E NOI, SE DOVESSIMO CHIEDERLO A VOI, DA CHE LEMBO ASCOLTARCI… TRA OCCHI, ORECCHIE, NASO… AVRETE NASO, IMMAGINO NOI VI CHIEDEREMMO LA NUCA… CHE SE VOGLIAMO, É UNA SPECIE DI SESTO SENSO IN CUI DEPOSITIAMO RIPOSTIGLIANDOCI… CAROVANE DI PAURE, SINTASSI DI SPAVENTI… E NOI, CI FAREMO PAVENTANDO, INSIEME A VOI, PAZIENTI D’ASCOLTO DI NUCA IPNOTICA. PERCHE’, LADDOVE LE DITA NON POSSONO, LA BOCCA TACE, GLI OCCHI INUMIDITI PRECEDONO… LA NUCA DICE TUTTO QUELLO CHE LA LINGUA NON CHIESE IN PRESTITO ALLA SALIVA. E COME UN PADRE FELICE CHE IL FIGLIO RECITI LA POESIOLA CHE IRTA NASCOSTA SOTTO IL PIATTO RIVELERÀ QUANTO IL FIGLIO RIVOLUZIONE PREPARA INVECE… NOI SUGGESTIONE MUOVEREMO… E, CERTE VOLTE, SAPPIATE, CHIEDEREMO DI CAZZARE GLI OCCHI,.. PERCHE’ LA VISTA UMANA CHIAMA INGANNI, PER SEMPLICITA’, TUTTO CIO’ CHE E’ MANIFESTO… Prima vera che non giunse

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BUONGIORNO, AMORE Ed oggi quanto impiegherò a trasformarmi in ciò che gli altri pallidamente riconoscono. Mi alzo spesso dal letto e prima di aver posato il piede in terra io ancora non ho deciso. Chi impersono oggi, per quanto, e quali cose deciderò a me vicine, lontane, soltanto succede che decida lavandomi i denti, da uno spazzolino malmesso e bianchiccio succede che anche lui mi appaia ben più severo e convinto in un ruolo assegnatogli e passano minuti mentre indosso abiti che immagino coprano il corpo-reato recitante mentre sfilano le regine detronizzate, le schiave degne, la padrona del polline mattutino e rimbalzano nel costato le promesse non mantenute, i patteggii, le condanne sospese castello dorato incipriato d’una corte finta e puntuale al cospetto d’un sospetto cerimonioso chiudo gli occhi un minuto soltanto, fingendo un crollo e sfracellarci degnamente sotto ma il tutto intatto sovrasta inossidabile allo scricchiolio della menzogna docile servitagli ingialliscono i ritratti, sdruciscono le sete, mentre appisolo un momento ancora irriverente prima di consegnarmi al prossimo copione perfettamente scritto, perfettamente inutile in una dolcissima soap con attore unico e comparse da amara nouvelle vague intinta appena scelgo battute, fisarmonico la trama, spilucco il finale, macino scenografie e cartongessi carezzo il gatto supplicando un diplomatico scambio di parti che puntualmente so rifiuterà piegato poi al computer speziato anelo che in facebook comincino ad annunciare veri suicidi appeso ad ogni nuovo desiderio transumante, apparecchio la nuova mazzata sulle parti molli ben sapendo che il tuo seno sotto la stoffa tornerà a stupirmi, capezzolandone presenza inarco la schiena, accendo un cellulare porco e fedele, indosso un pio sorriso qualunque e mi affaccio al mondo indossando sdrucite ali d’angelo e dettami del kamikaze convinto gocciolando a metà tra la danza che coglie la brezza che sfiora ed il ribrezzo da cui lecco mi lascio intingere dai colori che si affacciano al viso ma spagine

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scherando la carogna che specchio e mai, mai sulla porta, vedendoti e baciandoti, dimentico di dirti: BUONGIORNO AMORE

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L’ULTIMO UOMO L’illusoria macchina copulante attaccata all’idiota viziato… Rincuorato dai comodi ammenicoli costui è dimentico del suo ruolo minuto nella sragionata Babilonia eretta intorno… Più che godere della magniloquente e ferrea caducità dei massimi sistemi, si rifugia costui dietro labirinti giuridici, dietro morali insostenibili, ed ancor più, dietro pone l’ultima più rigida ed illusoria stampella reggente: la fede negli dei. Abbandonandosi a surreali surrogati d’eterno in cui “ama” ritrovarsi per giustificare la propria esistenza nelle fredde serate invernali, accanto al fuoco scoppiettante come le sue teorie di paradisi sublimi… Potrebbe battersi il petto dispiegandosi al terrore della solitudine, invece che sonnambulare piegato agli zuccherini dei detentori del potere, che lo desiderano succube ed impiegatizio. Invece di fargli chiedere cosa sta per reimpadronirsi di lui… Cosa raccoglie il senso di un rimando di istante di morte che pretendo mi incontri più che vivo, ma dignitosamente chiedo mi faccia capace di ascoltarne il suono finale ineluttabile… La rincorsa dell’ordine conserva al suo interno molta più follia dell’abbandono al caos… Pascolo la mia inutile vita ruminando, tirando i miei aratri mentali, muggendo (se richiesto), figliando (quando il mio egoismo viene a cercare l’infima ulteriore staffetta d’eternità). E tutto il senso e l’ordine cercato altro non è che inutile inseguimento di passibile libertà che non giungerà attraverso la conclamazione di un corpo immolato al dolce perfetto patibolo del tempo… ed il mio seme non raccoglie la storia di me, nella frettolosità che l’esistere comprime… ed il mio seme forse l’unica briciola d’eterno incomprensibile a me, all’interno d’un corpo contenitore compresso di pochezze, ma per questo esatta, per spagine

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questo defaticata alla vergogna che ho per i compromessi esistenziali che il giorno sottacendo mi infila… il gomitolo di me non srotola che la mia incapacità di cogliere il senso anarchico che l’universo domina… il mio seme unico tramite possibile con l’origine degli elementi; prigione e salvezza insieme, ancorate al corpo, schiacciato al suolo, spaventato dalla mia ombra posso rinunziare alla vista di me, ma pretendo d’essere catenato all’unica certificata ragione di vita: il mio seme, a cui cateno, gradisco mi accompagni sino al pertugio finale, senza applauso, verso il quale silenziosamente avvio… allietato dall’idea che coloro che si impegnarono a dimostrarmi l’iniqua felicità della vita, come me, incontreranno signora morte, come me dovranno sedere al suo tavolo, ed in quel luogo nessun potere temporale varrà a stopparne il passo, che siano schiavi, o re… soltanto sua maestà semenza colò fuori dalla stanza, ben dopo gli agghindati manichini, lasciando il corpo nel buio che segue, ben più solenne e sincero di noi …e delle inique parole di rito

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PIRRO E chiava chiavistello ch’io ti preghi Ancor prima della figa mia Ledi il contorno delle porte serre Perché non sia sposa di scirocchi finti Fammi sgualdrina di solerti madri Svelte di mattino Soporifere al meriggio Che non s’accorgano io fuggo via Che pianga dietro dune io piuttosto Che non sopporto vittime al solfeggio E racconta di quelle volte in cui mi feci beffa Piuttosto che di quando beffa fui E Pirro dietro mura sopportavo Ed i feriti barellavo croce rossa Ed occhi compiangevano malgrado E dietro ogni taglietto c’ero io Inutile martirio mio compianto Magari sfracellarsi lieve lieve…? Invecchia questa pelle a cui io canto Di filastrocca arcigna e sibillina se la sconfitta che mi porto in grembo Domani torna arma sopraffina Ehi, ora ho tempo per ferita che non sai… Ehi, vien mi a prendere invecchiata fresca Ho messo in scatola tutti gli errori, vuoi...??? Sono il rinnovo di moquette che attendevi, sono ciò che non sono mai stato, quindi puff…!!! smalto nuovo, sopracciglia lacche e smetto argomentare zavorretta zoccola per voluttà una volta almeno abbandonati gli esistenzialismi in saldo possa perizomarmi in questa stanza e non chiederti perché mi abbracci stretta ho Pirro che m’insegue in cocciutaggini ho Pirro che martella a dirmi debolezza ho amato finché amare è stato degno ed ora conto goccia a fuoriuscire dal corpo testimone sorprendente dimentico medaglia e vigliaccata spagine

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sposato alla mia erbaccia ed al sospiro nell’angolo che scelgo ora silente Pirro infine giunse fiero‌ a sfinirmi dunque, infine Mio, accogliente‌

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GIALUSILLA Croccante tu sia posta in infima sequenza sequestrata Posta al sigillo ultimo ed impudico clonando claudicante avviso zoppo Maldestra mia carezza giunse fobica Malnato il mio calciarti dolce ed intimo Non c’eri mentre carezzavo l’ultima ghiandola in minigonnata esposizione Non c’eri mentre posavo le labbra sulle polveri d’assenza pria indisposte, poi riposte Ciclica d’un atto pelvico che non ti immola granulosa e semplice Non c’eri infine in coda a tangenziali con self service di pensiero sciatto Non c’eri inanche nella coda sgomitolata all’uncinetto che ricotonata poi ti liberi Allora io ti chiedo dove cazzo eri…!!! Mentre a me giungeva crolla e attesa In privilegio non attesi Gialusilla Non in dispetto com’è comodo pensare Non in castrante incastro mio verbale eretto Non la pelle, lo scirocco, il piscio, il sud qualunque mio malnato Me la suggevi infima nascosta innanzi a coste cementifere Me la suggevi indisposta in sfitti appartamenti in equo canone adornato Continuerai a suggere maleodorando il mondo tutto e il canarino Ma non me, all’interno dell’uovo, succhiato o spaccato che poi sia non l’essere portato, il folle gesto, il vicolo incompreso tom-tom-mando E chiedermi dov’ero e poi per cosa, bocciando la pianura, il colle, il fosso Gialusilla volle chiedermi un perché Ma come puoi supporti stramalnata Ma come ti detergi al cloro inflitto Brontosauriando un tacco dodici costretto...? Gialusilla inviperita messa al bando spagine

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d’un contrabbando mai chiarito Sottacendo un taciturno tuo immolarti imago mortis Settanta volte puttana in fondo al chiavico esentato Settanta volte santa alla corte di signorie immarchettite Stomachevole coniglio scuoiato con l’arte di conciarti tu cloaca Supponimi l’onanismo perfetto nella terra dei miei padri Ed io raccoglierò per te le ruffianerie del luogo che ora abito Che si stringerebbero i coglioni di un criceto piuttosto che figliare oltre In questa lurida terra imputtanita al soldo dei tuoi principi desueti In una Andalusia mai esistita io saprei pittarti liberata Alza l’occhio di bue pria che sia stracotto scostumata O dovrò raccontare esattamente come sbattevi ad omelettes Mordendoti fino a dove ti poteva l’oculare L’abbrutimento estatico compiuto smascherava la tua mancanza d’espressione Il tuo bisogno fallico mal nascosto tra le righe imbugiardite a nenia Rivelata a strati tra l’ohhhh-ohhhh e il gemitar robotica che ti straluni Nemmeno un mesozoico compiacerti pote in vilipendio sotterrarti Che pisciarti nel culo sarebbe un gesto ingentilito a questa corte Non discosto il velo che usi a damigella vergine di imeni che non reggi Non discosto il sacripante somaro che trascini immaginandolo puledro Potrei maledirti attirando ira di solstizi e congiunzioni astrali agli occhi ciechi … Ma mi svegliai, ti avevo di fronte, continuai a baciarti, come nulla fosse…

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TERRINA CAPOVOLTA e fu in agosto che il cielo incontrò la carta E sempre in agosto che il cielo la ripudio’ Gli ospiti previsti sedettero senza accenno di parola Nei volti l’espressione di un invito giunto tardi Sedettero i rumorini di velluti agghindati e decolté Insieme all’odore del mio nuovo amante l’odore del cielo tornò a trovarmi attraverso il giardino fradicio d’acqua dove mischiai un dolore dolce al mio muschio così che intanto un piacere amarissimo emerse. E soltanto al cielo io lasciai le chiavi E soltanto il cielo seppe E soltanto il cielo rifiutò punirmi ed io bevvi dai capezzoli imbruniti del cielo e nella terrina capovolta del mio ventre pallido vi posai un nuovo cielo colmo di fertili nubi io ed il cielo non avremmo a lungo parlato ma le domande che avevo in serbo per lui crebbero mentre una giovinezza incurata mi tese il collo premevo sul cielo le dita rimaste scoperte e le volte che credevo di non valere un tuo gesto sotto un misero splendido cielo mi parvero degne di noi e preferì tornare ai miei pigri pomeriggi di meraviglia e tornai a cantare piuttosto che piangere sotto quel blu e quante volte delusa da inutili gare ad ostacoli di vita ripresi lettere d’amore scritte e abbandonate alla tua pioggia e capì che potevo smettere di chiedermi chi fossi stata e con chi… ed ora non ho più fretta di riverniciare i miei gesti onesti… e fu così che, come in un piccolo, inspiegabile incastro… sotto quel cielo, tutto stavolta, parve bastarmi e forse la cosa peggiore che poteva accadermi era proprio quella di smettere anche di immaginarlo, per me…

spagine

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CUCI & SCUCI SALAMINO FLESSO Smetto la voglia che solo desidero E spelacchio mio d’un gatto che sbagliava tetto D’un oggi mio colare che appartiene a ieri E ieri di chi fui la mera canzoncina quieta D’una bislacca pelle mia senza memoria Soltanto piega al mio difetto con destrezza I clowns della città sono per strada ormai Possono essere dimentichi di me per oggi tanto sai che smetto quando voglio dismetto cera tra le dita immaginate tronche dismetto camminarti timoro & distante Posso rotolarti dentro, se voglio, non visto Cambiarmi d’abito dietro l’angolo inaspettato Tornar ridicolo appena stracci al buio gli occhi tuoi Tanto sai che smetto quando voglio Sdrucito, pentito, calato, levato, rimesso Appeso cuci & scuci ai salamini flessi nelle cantine ove stagionano i dolori fiacchi ottima budella per me hai scelto anche speziata nel carnevale di coscienze mai desuete temo soltanto chi disse: IO NON FINGO MAI che la commedia ora più ardua sia la sua..? che mai dismette l’abito agghindato in black l’hai vista tu portarsi in giro i dolci amori..? zitto, non lo fece mai e con buon ragione che cianuri distillati nei viottoli risalgono e tornano al padrone come cuccioli affettuosi e qualunque segno, foglia, smozzico che lasci affama i cani della rogna che hai azzannato tanto sai che smetto quando voglio allora non lo dissi al cane con le bave in bocca finta la ragione, vero il suo guinzaglio comoda la ciotola, infimo il padrone ultimo morso fino in fondo a giugulari dell’inchiostro tieni il cane fermo ora & vada, la sgualdrina lieve

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Massimiliano Manieri


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IL PICCHIO ED IL GRANITO Disconobbi la malnata analisi corporea mi portasti distante dall’ausculto simultaneo Di tutte le frequenze qui riunite al peccatuccio Sonata in adagio discinta al quiete dondolio Scanzonettando sillabarti inflitta ultima canzone giungesti entropica invulvata d’una pudicizia beige al disappunto d’un servigio scelto in tutta fretta all’inetta separazione dei cordoli a cui impicchi rasa al suolo dal sibilo d’un picchio beccante granito in un pomeriggio scelto per deporre asce & prigionie sbagliasti stanza e ti accucciasti al prossimo padrone

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BELLEZZA SI PRESENTA Bellezza infine ci abiti, si, se proprio deve, malaugurandoci un affitto detenuto, che detenerla equivalse a scassinarla, e che povertà brandiva i tristi accordi, d’un requiem postumo impalcato infimo. La bellezza non conosce stanze in subappalto, occupa l’universo in forma libera, distribuendosi tra idrogeni e carbonio, in centro di galassie, nebulose periferiche, esatta ed imprevista come un tuono, bellezza si presenta, assente quanto eletta in quanto alta, incontra l’uomo come nocciolame conseguente, ma costui, essendo uno facile ad ergastolanee concludenze, svelto si protrae nell’esacerbarla stretta al cappio. Bellezza che zoccolo non sopporta recintato, tagliola mai costretta in boccioli di bosco, respingimi tu degna, trasalimi, prefliggimi, ed appartami… Bellezza infine mi abiti, si, se proprio deve, senza canoni di luce e gas, come prudentemente io le chiederei… bellezza cali da un alto a me impossibile. Perché nel giorno in cui io scelsi a dirmi poi padrone. Quel giorno io detersi il senso ultimo. Di una bellezza che dall’alto cala e sceglie lei cosa o chi… Farmi padrone di costei fu l’ultima indecenza. Nel giorno scelto per la mia rovina.

Prima vera che non giunse

Massimiliano Manieri


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CHI PRIMA TREMA HA LA PIÚ BASSA PAGA Schifoso tremolar di terra che uccide individui costretti a rientrare in fabbriche malmesse. Se mai esistette un cataclisma indegno tu lo sei. Bastardo come le travi ignominiosmante posate senza perno. Bastardo più dei tristi negri che sotterri senza carta che li segni al loro piego impiego. infimo nella sorpresa non attesa uccidi con soavità il debole soltanto. Che il ricco è già in tuo altrove e suo rifugio. Giustizie divine spiegheranno molto in tardo. Cosa significasti a quelle lorde mani. Una rivoluzione umana è sempre piega al tuo volere, in una ingiusta e fiera terra presta ai suoi sudori, chi prima crepa ha la più bassa paga... Facciamo un nuovo gioco, Facciamo il conto pingue, facciamo il mesto tango, diciassette morti a basso reddito soltanto. Non abbastanza rumoroso da scrollare i salotti della gente bene. Non abbastanza infame da smuovere le strisciette bianche nelle toilettes adornate e chic... costoro quasi non ti noteranno, nei loro tacchi dodici. Altri purtroppo, si.

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CONTO ALLA CASSA necessito di stati di rapimento, necessito di perdita di sensi, necessito di mancamenti improvvidi, necessito di vertigine insensata, necessito di perdita di memoria, necessito di singhiozzo tremulo, necessito di spavento da caduta, necessito di ascesa & meraviglia, necessito di mondi liquidi. e vivo alla periferia d'un deserto

Prima vera che non giunse

Massimiliano Manieri


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IL PASTO si ficcherĂ nella tua testa prima o poi, l'idea precisa di come doveva andare la commedia, e sarĂ pericoloso anche pensarlo vero, poichĂŠ il bisogno di secernere veritĂ alla fine predomina, mangia il resto come in un gustoso dessert, immutabile infine, il pasto, si presenta, predeterminato come il masticarlo, un abitante di una societĂ in decadenza, si deve fare consapevole di quel mesto peso, tutto torna infine nella scatola, anche il lurido corpo accumulato, e nella consapevolezza ultima, mentre ti vien da ridere, tu mi guarderai fino in fondo... finalmente

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Prima vera che non giunse

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spagine - magazzino di poesia 10 Febbraio 2014

Il Fondo Verri è in via Santa Maria del Paradiso 8.a a Lecce (cap 73100) telefono 0832-304522 fondoverri@tiscali.it Spagine è su issuu.com/mmmotus https://www.facebook.com/perspagine


Massimiliano Manieri nato nel 1968 a Copertino, Lecce. Vive dove gli capita di vivere. Lavora dove c'ĂŠ ascolto

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