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Marco Vetrugno

I versi

del panopticon

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Marco Vetrugno I versi del panopticon

Spagine è un periodico di informazione culturale dell’Associazione Culturale Fondo Verri di Lecce


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I versi del panopticon


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A M. M.

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I Riconoscere la differenza fra un branco e un gregge non cambia la percezione della solitudine. Chiarisce soltanto l’idea di quale nemico valga la pena affrontare.

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II Continui progetti per la realizzazione del tuo patibolo. La mia dipendenza da te è ormai insopportabile. Svegliarsi all’alba e riuscire a riprender sonno solo dopo averti abbracciata. Sentita. Per anni ho giocato con la mia solitudine come si fa con un amico fedele. Ora grazie a te sono diventato debole patetico insicuro come tutti gli altri. Immagino il tuo omicidio con uno di quei coltelli aguzzi che si comprano dalla televisione. Oppure senza farti soffrir troppo potrei annegarti nella mia vasca da bagno. Una spinta dalle scale. La tua macchina I versi del panopticon

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stranamente senza freni. Un proiettile vagante. Veleno per topi nel tuo bicchiere. Tanti psicofarmaci frullati nel dolce. Infiniti tentativi e continui progetti per erigere il tuo patibolo. Perché non so che farmene dell’amore se non potrò più star solo.

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III Con efferato narcisismo con tutto me stesso stretto nelle budella seggo su una giostra orrenda. Ottusamente affollata. Caricata da un istinto primitivo ripete cigolante il suo giro panoramico. Da questa macchina scendere è vietato. Non c’è nausea o vertigine che possano farmi ottenere la concessione di una pausa. Farmi godere un lampo di staticità. L’unica scappatoia è misurarsi con l’adrenalina di un salto arrendevole. Con gli occhi serrati e il fiato trattenuto. Stringendomi alla mia compagna I versi del panopticon

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cerco il sonno ma le luci intermittenti e gli schiamazzi degli altri passeggeri mi inseguono anche in sogno torturando il mio riposo. Creata la giostra venne progettato un minimo di spazio perchÊ si potesse godere. Era pur sempre una giostra e questo non ci era concesso mai dimenticarlo. Per quanto malandata e arrugginita conserva tutt’ora un inspiegabile sublime fascino. Proprio grazie al suo stordimento alla sua insensatezza riesco ancora ad immaginare altre differenti traiettorie mentre il giro mi porta in alto. In cima. Quando tutto sembra lontano insignificante. Quando la nausea spagine

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può aspettare. Quando la frenesia nata dalla ricerca di una consolatoria bellezza riesce a scuotermi facendomi desiderare l’inganno di un ultimo spasmodico giro.

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IV Magari un giorno potrò creare io la corrente. Direzionarla a mio piacimento senza poi correre il rischio di esserne risucchiato. Forse pettinerò il vento dialogando intanto con i suoi sussurri. Accordando i suoi infiniti violini d’aria. La verità è che non c’è limite alla speranza. Proprio per questo motivo ho avuto fretta di perderla mettendola al bando dai miei pensieri. Solo ora ho compreso che la speranza altro non è che veleno. Mi allontana dalla realtà del piacere e del malessere. È l’ultima indecente bugia spagine

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promulgata ad una massa angosciosamente affamata disperata. Ci nasconde la vera forza del nemico facendoci credere che comunque troveremo un modo per metterlo fuori combattimento ed intanto quello ci avrĂ giĂ messo al tappeto al primo round. K.O.

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V Il contatto dei corpi nudi nel calore delle lenzuola. Il nostro letto sprofonda nel buio assoluto della stanza immateriale. Il nostro universo di tre metri ha sfamato e cullato l’anima.

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VI Svogliato dipingo figure funebri su tele di carta argentea. La mia tavolozza contempla un unico colore d’autunno figlio di un oppio liquido che come finto mercurio si consuma ad ogni sospiro. È una perversione la mia. Il desiderio tramutato in volontà. Malattia. Una macabra vanità per consumare i pensieri e scavare gli zigomi. I versi del panopticon

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VII Raccoglieremo cambiamenti correndo su un prato di sfide. Gettando al vento i nostri limiti. Una corsa agli armamenti per mutanti e burattini. Ci hanno insegnato a marciare con lo scopo di farci marcire alle loro regole. Diktat di mercato riti religiosi il caro e ipocrita decoro borghese. Regole inflazionate opprimenti e dannatamente inutili. Senza nessun senso per chi ha dimenticato l’alfabeto. Ha smarrito il disegno di una progettualità. Per chi ha compreso con serenità la fugacità del proprio ruolo e l’inconsistenza generale del nostro essere. spagine

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Brindiamo quindi ai vincitori. Alla miseria del loro potere.

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VIII La percezione carnale della sconfitta. Il suo odore nauseabondo è solo il presagio di un volto privo d’occhi i cui rantoli sono l’unico suono proveniente dalla cucitura delle sue labbra. Paziente aspetta al varco sicura della preda. Il suo abbraccio assimila la tua frustrazione di animale in gabbia rinvigorendo la morsa con la stessa rabbia che ti ha mantenuto vivo. I pensieri partoriscono versi eterni lame forgiate da un istinto ribelle che sordo agli scherni della rivale mi assiste e protegge. spagine

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IX Credo d’iniziare a stare meglio quando l’attrazione per il vitale sorriso di Benigni mi coinvolge piÚ del lungimirante catastrofismo di Cioran.

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X Uscito dal museo ho iniziato ad accorciare il passo fino a fermarmi. Ho inspirato riempiendo d’aria la cassa toracica con lentezza fino a saturarla. Poi ho espirato con violenza svuotando la mia carcassa da ogni attanagliante pensiero. Da tutte le malinconie arretrate. Ho dimenticato per mesi di respirare eppure ho vissuto comunque. In apnea. Paralizzato da una svogliatezza che inconsciamente ho sempre ricondotto a me stesso. Ai miei comportamenti. Tutelando con ostinazione spagine

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le mie relazioni. Per paura di cosa poi. Questo sospiro come una scossa inaspettata ha allontanato la polvere senza però farla scomparire. È solo svolazzata in un altro cono d’ombra sporcando un altro incolpevole embrione. L’ennesimo.

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spagine - magazzino di poesia 13 Febbraio 2014

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Marco Vetrugno è nato a San Pietro Vernotico il 19 gennaio del 1983. Vive a Lecce

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