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Biagio Lieti
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trasmettono pi첫 le ore
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Biagio Lieti Non trasmettono più le ore
Spagine è un periodico di informazione culturale dell’Associazione Culturale Fondo Verri di Lecce
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Non trasmettono pi첫 le ore
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Non trasmettono pi첫 le ore
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pagina 5
C’è una pericolo abissale aperto al fondo di ogni dire: il dominio. È lo spazio verbale della potenza e dell’esattezza, della serietà dei nomi, del logos che prende in pugno le cose e ne conosce le differenze nominandole. In questo cerchio orbita il dire di chi sa ciò che dice, nella conoscenza di ciò che è svelato o nella prossimità al Segreto. Non trasmettono più le ore è uno dei luoghi in cui la parola non riceve più notizie, non ne reca, indietreggia e abbassa la voce. L’interferenza fa della voce un resto fatuo. Tale resto è solo un certo tono dell’interiorità, inesatto, che, se a tratti sembra intonato a un ritmo piano, presto si rompe, s’increspa in torsioni e stonature sintattiche che fanno perdere il segno. Del segno, della traccia, rimane innanzitutto la perdita. Ed è soltanto così che la lettura può rompersi e interrompersi, iniziandosi alla futilità. Nulla di serio: solo un’interruzione. “Non più” è il ritornello sordo dei luoghi dell’interruzione. Qui la parola viene meno, ha le maglie strappate, non tiene. Qui qualcosa cade e accade inopinatamente, come un’età o un ragno. Qui è il disarmo. Biagio Lieti ha perso il filo. Gli resta un naso da cane e polpastrelli animali per “l’odore delle nafte…” e “Il brecciame spento che al tatto del suolo/ lascia infinita ogni parte…”. Questa poesia dell’interruzione è una parentesi inefficace di resa, dispersa in traiettorie che si piegano nel punto in cui è “Confusa la posizione nei nomi”, in cui, non potendo dire di più, si dice di meno. Disagiatamente. Paolo Potì
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pagina 7
Mi dico che è solo un altro tempo nascosto, un andamento ripreso dal sottosuolo. L'indizio che segue non è più così vivo. L'ora che lampeggia nel display accorcia di un niente il buio, complica alcune prove scontate: come sembrano le linee del letto, il pentagono inarcato di sporcizia tra le gambe della sedia. Mi scopre fermo la pausa incisa nel rapido calore dei led, la presa accanto alla scarpiera ha ripreso a funzionare con un forte vento. È la traccia che sfugge di ciò che può esistere senza movimenti. Confusa la posizione nei nomi.
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pagina 8
Chissà se rimargina da questa strana esattezza tutto il tempo trascorso a scegliere negli autobus i posti vuoti accanto ai finestrini. Ormai da qualche giorno il teleschermo non contiene più la forza, non sbriciola più la fine nel solito spegnimento salino. Viene da un lato il suolo. Se guardo fuori la maniglia fa un gesto consolatorio, tiene segreti il mattino che ci ha trasformati, l’aria strozzata nella presa del corrimano. L'insetto a gara piega l'angolo in cui cade il sonno.
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pagina 9
La paninoteca sorge da un lento barricato celeste, ci sono ancora quei risalti e l’irradiazione nel retro stampato dell’acquario. In un angolo il sottopasso ritrae debolmente la vertebra punteggiata di uno pneumatico, è una visione che non arretra tra queste distanze di esseri doppi. Scarpe, manicotti, auricolari. Qui lascio anch’io che il nome finisca perfettamente i suoi tasti, poi si intasa l’ennesima smorfia, il solito perno di frasi entro cui scorre una trepida orbita di pali e interruzioni.
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pagina 10
Nella tua stanza all'improvviso cominciò a sbiadire sulla carnagione la tempera dei santi, dopo aver riportato a casa gli occhiali di scuola e la vecchia camicia della confraternita. Ho sempre saputo a chi fai somigliare gli oggetti se li muovi: avrò avuto anch'io una vita tra i chiodi di San Biagio o forse un'altra ancora, messa da parte sotto la scapola della Madonna di Loreto. È intatto il filare di querce dall'angolatura che scelgo per guardarti da lontano, quando con le buste della spesa camuffi la strada di casa, passando dal municipio e la sagrestia, atterrita al sisma dei tuoi stessi passi: lo scorno persino dell'ombra. Tutte le volte che gravito accanto al tuo letto capisco quanto siamo riusciti a sparire, nascosti così, com'eravamo nati insieme. Hai sempre voluto che fossi io ad esumare i cormi – usando solo le mani – prima che nascessero contro il tuo volere.
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pagina 11
Sorridiamo cosĂŹ sembrerĂ logico legare da parte a parte lo stendipanni con un capello per trattenere nei righi nebulosa e citofoni. Quelli ti telefoneranno lo stesso, e scambieranno segnali dalle scale coi televisori per rispedirti a Taranto, ad allungare il bracciolo nel modello categorico, a correre sui cocomeri asinini senza pietĂ come poco prima dell'ultima venuta al mondo. Gli strallogi vanno tolti entro stasera dal pozzo di luce, quel cane i miei vicini lo faranno morire.
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pagina 12
Arriveranno a parlarci dal tetto removibile dei piani. Li abbiamo sentiti appena. Come l’inquadratura capitata sui vetri o il corridoio disteso sotto la clinica. Solo pochi istanti fa erano corsi dentro coi gelati prima che piovesse, spariti dopo la curva che in alto separa le case popolari dagli alberi. Avrei incastellato io quel giorno i Napisan sul termosifone del bagno, non sono mai sufficientemente chiare queste sovrapposizioni, chi ci chiede come si sopportano gli androni solcati dagli allarmi, le sere ghiacciate dei cancelli, il trillo venire via tra cerchione e palo.
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pagina 13
Fa scivolare il riflesso la pozza colma nell'orecchio del suolo. Qui, di giorno, l'odore delle nafte restringe il carico dei cancelli, l'inverno sta buono solo nelle tasche. Forse, finiremo i giorni nell'intento di applicare sui tronchi il pavimento rotto di piastrelle. Con un ordine di mondo che non ci è richiesto. Le ore interrotte solo negli altari sporcati dall'urto dei tv color. Papà mio. Tu ricordi la strada. Il brecciame spento che al tatto del suolo lascia infinita ogni parte, mentre il rammarico di chi è nato affolla di continuo la visione nel cuore recente del cassetto. Brilla in un velo di smorfia la pupilla ferma al portafoto. Nella distanza schiacciata tra il vetro e l'emulsione si conserva ancora l'ovale della tua voce, il gas e quel silenzio annerito di confessionale che contagiano gli spilli agli incroci del legno.
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Via Ostiense dopo le diciannove smette di tenerci sopra; dai gesti tracima il primo alone sulle traiettorie dei pulsanti, il rimbalzo che acceca i nericci del coperchio. Ăˆ ininterrotto lo snodo dei ferri, sfiora la sequenza prima che qualcuno possa scegliere per noi di disporre un’altra casa tra le stesse pareti, e nella stessa luce. Serpeggia lungo la costa ammassata dei nomi la fibra che draga l’ailanto. Per qualche minuto gli allarmi si alternano senza nessuna l ogica, sembrano non avere pareri sul mondo.
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pagina 15
Non ritrae la frana l'imbocco svenato. E alza un velo doppio di breccia il viale. La pozzanghera abbevera il fresco dentro il guscio scollato del terrazzo. Fuori dai terreni tutto sembra lĂŹ per caso: i cigli di tv color ottantottini sfondati d'erba ci trapassano le retine, sarchiano le pareti nel tronco, non trasmettono piĂš le ore.
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pagina 16
Precipiteranno nel torace spiovente dei pali, scivoleranno fin sotto l’impasto grigio del collasso, all’appoggio dei segni. Dopo, ancora una volta, dovrò uscire con una scusa: per una forma di ritorno, dal fondale di voci divise inflitto al battiscopa. Se è impossibile connettersi ci accorgeremo di loro, del clic che non combacia con il buio dalla nostra parte.
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I titoli del magazzino di poesia Mauro Marino 01 Non c’è Elena Chigas 02 Scritti poetici e svergognati Gianluca Conte 03 28 strade Francesco Aprile 04 Grandine Gioia Perrone 05.1 Lettere lontanissime 05.2 Prepararsi a tutto 05.3 La razza della luce Paolo Vincenti 06 L’una e due Vito Antonio Conte 07 Naturalmente Maira Marzioni 08 Parto a novembre Lea Barletti 09 Racconto del cadere Massimiliano Manieri 10 Prima vera che non giunse Ilaria Seclì 11 Nel tempo dei comandi Eliana Forcignanò 12 D’abissi e rinascite Marco Vetrugno 13 I versi del panopticon Saggi Antonio Errico 01 Solo per amore Frammenti su Vittorio Bodini Rossano Astremo 02 Maledetti salentini 03 Francesco Aprile Inadempiendo Traduzioni Silverio Tomeo 01 Il cimitero marino di P. Valéry 02 Sonetti dell’amore oscuro di F. G. Lorca
spagine - magazzino di poesia 14 Aprile 2014
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Biagio Lieti è nato nel 1978, è di Carosino (Taranto). Vive a Bari.
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