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Renato Grilli
Dove passa
la poesia
Autoprofezie del poeta intermittente
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Spagine è un periodico di informazione culturale dell’Associazione Culturale Fondo Verri di Lecce
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Dove passa la poesia Autoprofezie del poeta intermittente
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Dove passa la poesia Poesia canzone
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DOVE PASSA LA POESIA Dove passa la Poesia Meno male fa il dolore Al coraggio viene ardore Questo è tutto quel che fa. Di Ragione error ripara, Al non senso un senso dà. Disgelando gli occhi occlusi, Conoscenza porterà. Dove passa la Poesia Non c’è niente di grandioso Solo goccia del gran mare Che di colpo il Tutto fa. La poesia spesso è una nicchia Di un informe Esser Segreto Che sta fermo come pietra E il suo nome non si sa. Stretto a sé come un abbraccio Che il respiro rende fioco, “Piccoletto, dì il tuo nome!” Cambia sempre, già si sa. Ma se chiami e sei insistente Ecco allora quello là Si riscuote e viene avanti Dalla nicchia apparirà.
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È un gigante, grande in luce, Che soccorso ti darà. È venuto per salvarti Dal gran Mal che vivi qua. Dove passa la Poesia Tutto è piccolo e grandioso, Tu sei goccia del Gran Mare, Ora, ovunque e in aldilà. E per questo che se privi Di Memoria quel che canti, Amputata è ogni Poesia, Priva di sacralità. Dove passa la Poesia Meno male fa il dolore Al coraggio viene ardore Questo è tutto quel che fa. Dove passa la Poesia Meno male fa il dolore Più coraggio per morire Questo è tutto quel che fa.
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TAVOLE PER NUVOLE I – III (Agli attori) Poemetto in tre parti
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I ISCRIZIONE Chissà – io so – perché solo con romore leggero di pianto io conosca negli altri la splendida disperazione degli esseri, solo con la pietà? Per loro? No di certo, che mai conosco e talora evito persino e odio. Per me che finalmente li amo e sono libero. Per loro, se finalmente liberati nella loro disperata, splendida e impura, bellezza.
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II TAVOLE Avete mai visto davvero esultare chi forse non può più farlo davvero, solo per il sollevarsi leggero, o il cadere di polvere di tavole? Col sorriso che nasce impetuoso sull’angolo della bocca e il profumo che mai più l’abbandona, come d’angeli sempre risorti! La nuvola stellata si solleva su cattedrali di luce e lassù, a pochi metri soli da terra, come clown appesi alle corde, tirati dagli argani fragorosi del mondo, stanno loro, tavole per nuvole, a scricchiolare la loro splendida, informe e grave, vita d’assoli, d’infine estasi ed ozi, / e dura e tetra, / e straordinaria.
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III “SOLO I FIGLI, DEL RESTO, SANNO PIANGERE” Basta vederli, così dolcemente assopiti, attendere al loro gravoso destino, sempre dolorosamente vivi, e febbrilmente attenti, persino patetici e grandi. A loro è dovuta ogni opera del mondo, a loro la celebrazione, fantasmi, divoratori accaniti d’ogni macchia ed umore della carta. Eppure odorano altro che di tarli e tarme, di qualcosa d’infantile e di sobrio, che solo la parola può descrivere. Se non fosse che quella sta riposta in umidi sottoscala e rotola e non sta ferma mai. Eppure odorano, ma di un odore che solo altri riconoscono, essi non sanno ormai che il ricordo dell’ebrezza che li prese un giorno. E vivono soltanto, quando talvolta amano, la grandezza della loro dedizione. Renato Grilli
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A se stessi, narcisisti? Come potrebbero? Solo gli idioti non vedono quanto lago affoghi in ogni supermercato del sentire. All’abbandono stesso, all’ebrezza? Sono cosÏ malridotti? Forse. Eppure odorano e non sanno quasi nulla del loro stesso odore. Eppure odorano e non sanno quasi nulla del loro stesso odore.
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GITA AL VUOTO I – IV racconto in forma di poesia
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“All’inizio era il caos”. Così recita il mito delle origini nella cultura greca. Ma caos non significa, come lo intendiamo oggi, il mescolarsi scomposto delle forze, ma indica il vuoto, la voragine, l'abisso, il "luogo delle forze primigenie”
PRIMA 1 Quanti anni erano - decenni eranoche non mi trovavo così vicino al vuoto, all’abisso. Sul ciglio del mondo uno si trova sempre, ma qualche volta quel luogo si fa vasto, profondo e muto. 2 Ore 3 del mattino, pioggia a rovesci : statale Lecce - Maglie, dalle parti di Cavallino. L’automobile tossisce, si ferma e non parte più. Deserto di notte, intorno. Nerissimo con riflessi d’abisso. E ti trovi, in un attimo, sul ciglio del vuoto. Passa un po’ di tempo prima che il tuo cuore si convinca che hai qualche ora di attesa davanti a te. E sai che non potrai dormire.
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3 Un’impennata dentro ti tende nervi e dita e fronte. Ogni gesto si fa presto misurato, rallenti, risparmi energie, per dopo, per quando serviranno, per reagire - senza reazione per tenere duro - sempre più molle dentro. Ma quale Poesia ! Ma non vedi che non hai più risorse, nemmeno ti chiama l’invettiva, la protesta, lo sfogo. Tutto il vuoto del mondo davanti e dietro (dentro). 4 Da venti minuti non passa un’auto e il silenzio è profondo come un oceano profondo. E’ umido, nero e sono trucchi quelle lontane luci. Il vuoto è il tutto. Non ci sono dormienti, invero, soli vegliano rari cani affannati. Non c’è niente. La farsa è finita. Il vuoto di cui il mondo è fatto, la vana angoscia che dite vita ORA SI RIVELA.
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SECONDA 1 Tocco con le dita l’umido dei piedi e NON ho i brividi. La stanchezza s’è fatta piccola, si nasconde. Proprio allora si presenta, non invitato, un Tipo : magro, tranquillo e burbero, lui bada al sodo. Umile, a suo modo, di certo profondamente consapevole: di sé, pare, del mondo e del suo vuoto, certamente. 2 Quel tipo non ha fretta. Lo senti che cincischia e poi ti dice : rinuncia ! Ma tutto è già accaduto, non puoi che ripetere - in vita che la tua gita al vuoto e ritorno. Se anche non ti iscrivi, poi lei viene, la gita, quando meno te l’aspetti, puntuale a suo modo a dirti qualcosa che già sapevi ma che dimentichi con gusto e supponenza.
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3 Tutto è vuoto, apparenza di realtà. L’unica verità è l’abisso, davanti e dietro. E non c’è isola in mezzo che sia più grande della suola delle tue scarpe ! In questo esausto contemplare la verità, quella nera, stanotte travestita da pantano, si fa strada una nota tenue. Non speranza, certo: che cosa mai ? Ma suona, con un lento cadenzato. 4 Ma non canta davvero, né risuona. Si lamenta forse, con dignità profonda, angelo in un angolo, di luce di vita, che si dà il suo gioco. Il suo solo scopo tenere a distanza la fine, TUTTO QUI.
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TERZA 1 Niente promette bene a questo mondo, niente che prometta, Niente. Quante montagne di parole per calare ombre gelide sul Vero, che stava qui davanti a te, all’angolo aspettava: e dice che non s’è mosso mai, dall’altra volta. Ma sorride maligno intanto, il curatore di trappole. Vano, finalmente, è ciascun pensiero. 2 Ed ecco allora che tocchi l’esperienza, la stessa vita nella sua scabra essenza d’attimo, di pena e abisso, di nero Vuoto. Esperienza vivente, rara e inattesa, immobile. 3 Come un pugnale sottile, come grido di vivente morto, al gran pasto del mondo, immondo, il veleno s’è instillato. Il farmaco d’anima, in pacchetti d’attimi, egregiamente ha fatto il suo lavoro.
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4 Nessuno degli infiniti tormenti che hanno funestato una vita buttata a rincorrere un vivente pensabile, un Vero che parente fosse almeno del Reale, ritorna. Svaniti sono tutti, precipitati nell’abisso; ma chi contempla il nero / vero sa già ogni angolo dell’orrido: scala e ciglio conosce, parete e fondo. Sorride quasi, d’amaro vero.
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QUARTA 1 Dico: da quanto non scrivevo tanto. Ma non è vero. Tanto a lungo non scrivevo di una cosa dentro che viene su a guardare tutto quel vuoto immenso, fuori. E intanto la nota segue e più non canta. 2 Mai state così lontane, le lacrime, com’ora. Mai così lontani gli amori, così dimenticati i figli. Decapitata infine, quell’attitudine rozza di fingersi umani agli uomini. Se guardi bene, è solo vuoto quello che grida e che fa chiasso, ché tu possa non fissare in faccia il traslucido del suo cuore. Ma la nota, in calando, tiene. 3 Produce un sentimento lungo e intento d’attese. Qualcosa ri - accadrà, o prima o poi, a schiarire di finta vita e finta luce la nera verità. Ma tu l’hai vista, stanotte. Renato Grilli
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Attesa da tempo e inaspettata, il polso t’ha toccato, l’ha intinto nell’abisso, portato a verità: come altri disse, separato dall’umana condizione, e inconcludente inutile, un altro dice. In fondo, t’avevan già convinto. 4 Ma quanti , quanti ! chiamo a gran voce dal ciglio al mondo quanti stan vegliando, separati, scrutatori d’abisso, con me ? Separati, dunque, non - vivi, afflitti a Verità, vi saluto, profeti assilenziati, del buio veggenti, eterni e sconosciuti, d’amor grande disamati. A rivederci. Al Vuoto. Ai lettori, ai poeti, ai cani
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TORRE AL GILIN (Davanti all’Adrio Mar) Poemetto in tre movimenti e un epilogo di Altero Nargili
“Due cose non ha il Sud: non ha fiumi né angeli, ma preti e pietre sulle calve speranze” Vittorio Bodini
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1 ° movimento - LO SPECCHIO Rotto lo specchio oscuro I cocci rimirando Chino e pensoso vide Disfarsi il falso sé. Specchio chiamato un giorno Nome di chi non era, Fu quell’istante nascita Ed al tormento fin. Scosso da tanta luce Sul suo passato amore Pianse senza rumore Svanirono i perché.
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«Cara, che m’hai condotto Per mano alla gran vita, Specchio d’amor, finita È la mia grazia a te. Passata è la bellezza Che nei tuoi occhi vidi, Riflesso tuo che ridi Ora non sono più. Da solo alla mia torre Conviene che mi rechi Ed anche se tu imprechi Io non mi volterò. Non per passion d’eterno Né per livore o rabbia Rovisto la mia sabbia Senza pensare a te». Lo specchio che non era Da solo comparì Ed un augurio scese Sui suoi passati dì.
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2° movimento - IL SEGRETO Non fui mai capo e raramente guida Né dell’altrui né di me stesso vita. Ora la giungla dentro cui mi persi M’ha svelato il segreto dei miei versi. 3° movimento - COMMIATO ALLA TORRE E’ già la terza volta che qui arrivo Come in preda allo spirto cui convivo Al roco mar qui sulla spiaggia dura Mi sembra rifiatar da vita impura. Poetando a ritmo la crosciante onda Chiede alla musica del cuore che risponda, Ch’esca parola e frase che consola L’aspra prosa affannata che mai vola. «Tanto t’ho amata e ancora un poco forse Ancora t’ho rimpianto dentro l’ossa; Tanto t’ho amata e niente adesso forse Sogno venir da te ridente in corsa. Qui davanti al gran mare che respira Ho sentito la mia vita alla deriva. Senza più gioia, senza più piaceri, Cosa vuoi che balbetti amor di ieri?». «Certo lo so che un po’ si piange ad arte La colpa per placare di chi parte. Dispero di lasciarti al mondo sola Ma insieme era un prendersi alla gola. Renato Grilli
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Tristo l’amor che non sa darsi pace Del naufragio d’abisso, sempre audace, Il viver solitario e mai contento Dell’approdo che attende il breve tempo». «Dolce signora, tu divenisti fiera Ruggire ti sentii, mi vidi preda. E dire che mai io m’ero accorto Del segreto dolor che avevi addosso. Adesso è tardi per rimpianti fessi. Se queste mie parole anche ti dessi Non c’è più musica che salvi Il terrore impietrito che in me spandi». Questo idiota poeta s’era illuso Galleggiar si potesse dentro il chiuso Dei bisogni d’amore corrisposto. Così affonda barca, motore, infino il porto. Ci si ritrova finalmente soli Tutti noi vivi in fondo ai moli. E piangere e gridare e bestemmiare Si può fare, se vuoi lasciarti andare. Leggeri, sereni, eterni come l’onda Che arriva, abbraccia, sbatte e poi ritorna Al corpo grande del mar, che tutto fonda, La tua fine, il principio, la tua fronda.
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4° movimento - EPILOGO E se tutto di me non può tornare Che qualcosa di buono almeno venga Di dolcezza sfinita e amor di vita Qualche nota di canzone tra le dita. Torre Al Gilin, 14-15 Agosto 2003
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Tra due alfabeti Racconto con poesie di Renato grilli
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Qui, a sud di Bari, dove sono oggi, forse la frontiera non giunge; o è da un pezzo superata, non si vede bene. Intorno passaggi e frontiere e valichi controllati appaiono dovunque, ad ogni angolo di strada, ad ogni piazza di paese. Persino ti tocca vedere prigioni galleggianti per quelli in mezzo a due frontiere, prigioni di senso e di sensi, sbattute in faccia a tutti, persino a te che ancora vedi, se sai guardare, sotto tutta questa luce che acceca. Oggi per la prima volta, chiara e lucente, ho visto questa frontiera invisibile e concreta che corre qui davanti a me, sul Canale di Otranto: un braccio di storia a cavallo tra due alfabeti, tra due “scrittureâ€?, e di passaggio anche altre, in un fervore millenario di traduzioni e scambi. Oggi sono assenti, rare e fuorvianti le traduzioni, circospetti e vigili i contatti. Di quelli antichi e floridi, di quella conoscenza di uomini e di beni e di sapienze, Renato Grilli
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che cosa resta in ciascuno? Nemmeno l’alfa, figuriamoci l’omega, nemmeno il sentore. Quanti tra noi sanno ancora leggere il greco e quanti tra noi, pur letterati, percepiscono quella frontiera? La frontiera dell’alfabeto, quello scritto, latino di qua, greco di là, ma anche di qua, che parla ancora, segnata su Muti Muri Antichi.
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CRONACA Sono stato a San Mauro di Sannicola, la chiesetta basiliana verniciata di rosa shocking da vandali misteriosi. In compagnia di molta e bella gente, che c’è e che si interroga, si ritrova e rilancia: un abbozzo forse di “rito democratico per un nuovo inizio“, come suggerisce Marc Augè da Bari (sulla Gazzetta del Mezzogiorno di oggi), le prove generali di un’azione collettiva che restituisca senso ai luoghi. In cima alla collina, in mezzo a poveri ruderi, ci siamo messi a cercare di capire chi potesse avere avuto l’idea del “vile gesto”, chi l’avesse preso così a cuore da organizzare, preparare, spendere tempo e soldi, per qualcosa che poi non rivendica, non spiega. Il Vandalo (è) Muto. Lui non dice, fa e lascia il segno, meglio se indelebile. Vandali sono anche quelli che hanno costruito quei palazzoni a 6 piani a pochi metri dalla costa di fronte. Tutti “legalmente condonati”, mentre le belle villette e le casette popolari, una accanto all’altra, modeste e dignitose, quelle sono illegali e da abbattere, come mi spiega il battagliero sindaco Pippi Nocera. Una frontiera anche questa, quelli di qua e quelli di là, tutt’altro che pacifica, un altro alfabeto da conoscere, da decifrare, da incontrare e da capire. E quando nemmeno ci si parla, è proprio difficile farlo. Perché solo la Parola Renato Grilli
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salva. Resta il Gesto, quello Muto, che quello invece trionfa, vince con l’intimidazione sulla Pubblica Pervicacia Civile, lo conosco quello sberleffo alla Pubblica Opinione Corrente. Entrando nella chiesetta, sull’arco della navata centrale leggo alcune confuse lettere greche. Riconosco un delta, poco altro. E penso tra me che solo una piccola parte di quelli che sono qui le sanno leggere quelle lettere superstiti, sanno dare loro un suono. I pochi che hanno fatto il liceo ed hanno memoria, gli insegnanti di lettere forse, il manipolo degli specialisti. Tutti gli altri devono accontentarsi, rimanere al di qua della frontiera di quell’alfabeto confinante, anche se ti sta accanto da sempre. E oggi basta che prendi il traghetto e la mattina dopo lo puoi leggere nelle insegne dei negozi, nei titoli dei giornali, dappertutto. Se non conosci l’alfabeto greco, non traduci i segni in suoni, tutto qui. Eppure è abbastanza semplice, è quasi facile. Ed è facilissimo impararlo: ancora più facile “averlo imparato” all’età giusta, quando la “finestra d’attenzione” dell’apprendimento è pronta, spalancata. Tra i sei e i sette anni, spagine
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mi pare dicano gli specialisti. E allora mi chiedo: perché con tutto l’interesse, tutta l’attenzione e le risorse e i proclami, a nessuno, nemmeno ai poeti d’alfabeto, è venuto in mente di spendere qualche energia per lavorare a cavallo di questa frontiera, di provare a “bi-alfabetizzare” i bambini scolari pugliesi, e così avvicinarli d’un colpo, in pratica, a quella antica memoria in forma di alfabeto scritto? Tutti sempre a ripetere in tv e ai comizi “questo bisognerebbe insegnarlo ai bambini a scuola!” per ogni cosa presupposta “civile” e “sana”, e quando c’è una cosa che potrebbe davvero servire, quella no? A scuola a quell’età, col giusto metodo, l’apprendimento sarebbe facile e persino gioioso, come ogni vera conoscenza. Propagabile facilmente ai genitori, aggiungono i linguisti. Potrebbe essere un’azione radicalmente fondata e realmente proiettata verso il futuro che verrà, anzi che già viene proprio da Est. Tra cento altri gadget educativi e deliranti crediti formativi, ai ragazzi mettiamogli in valigia Renato Grilli
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pel futuro un alfabeto in più! Ecco che cosa si dovrebbe dire, e poi fare! Dovesse mai servire, in tempi di frontiere da attraversare. Una volta chiesero a un noto autore quale fosse stato il libro che lo aveva convinto a diventare scrittore. Lui ci pensò un po’ e poi rispose che … non era stato un libro! Era stato l’alfabeto. In quel giorno preciso e memorabile in cui per la prima volta aveva “capito” l’alfabeto, quando si era accorto del miracolo che a quelle lettere corrispondeva un suono, e che quei suoni insieme diventavano parole e poi “cose”. L’incanto fu così forte e profondo, raccontava, che l’evento gli fu fatale. E decise di diventare scrittore, per rinnovare all’infinito quell’incanto originario. Non fu un libro, la prima volta. Fu un alfabeto.
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Renato Grilli
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spagine - magazzino di poesia 15 Aprile 2014
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Renato Grilli è nato a Nereto, tra Abruzzo e Marche, il 31 dicembre **** Vive in Salento dal 2003.
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