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Irene Ester Leo

Senza

Ombre *

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spagine - magazzino di poesia 16

Spagine è un periodico di informazione culturale dell’Associazione Culturale Fondo Verri di Lecce


Irene Ester Leo

Senza Ombre


Spagine › Magazzino di poesia


pagina 5

da Cielo*

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pagina 6

Odori Scrivendo si dimentica il tempo, si dilegua nella carne, si stempera il suono, il colore, persino la luce che ha un suo odore nella freccia della monarchia delle rose dei nostri giardini segreti. Alle spalle bastioni e colossi crollano sfiorando le pagine dispari, il filo di continuità di ogni atomo chiede di chiudere gli occhi, è appannaggio di Altrove e Vicino, personaggi vestiti di dolcissime sferzate di tramontana. Il presente distillato nel bicchiere appoggiato al lampione della strada, è l’invito agli occhi scuri, nel cadere tra i confini di un’oscillazione illuminata. E noi verremo all’ora sacra della notte, restando.

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pagina 7

Caduta Ci sono cose che tornano al loro posto, perfette, invidiabili. Hanno la tesa del cappello larga, riparano. Avrò cura delle tue parole, disse il vento, portò le sue spire all’altezza del gomito, la pelle si fece contraria, trattenne i pensieri. Gli occhi persero la mollezza dell’acqua. L’Inatteso, personaggio astruso e freccia di pietra, commissionò alla linea delle rotaie nuove corse. Le parole scelsero di cadere.

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pagina 8

Armonie # 1 Il valzer di un giorno, la pioggia avrà lavato le ombre, antiche sottane scivolate alle parole nude ricameranno le santità. Esattezza di carbone, dopo il fuoco e il suo egregio canto d’oro. Accanto, la linea nera delle dita, articolazione dell’avvicinarsi, tirerà suoni nell’altro. Mai più bella poesia d’amore, ingoiata dalla corteccia oblunga degli occhi, mentre radicano, cacciatori sprovveduti, nella fessura ordita delle ossessioni. La lentezza raccomando ai tuoi anni, la fulgida crescita delle ciglia ripara la luce dal buio. In un giorno solo, poi ballando coi piedi caldi di sereno, lasceremo nei cunicoli dei dubbi mura nuove. Basamenti, porcellane e voci a riprendere con premeditata fame, la grandezza che sussurri all’aria, respirando le cose e l’oblio della luna. Poi andremo, con il senno di sempre. * Poesie tratte da ''Cielo''- Prefazione di Davide Rondoni. La vita Felice 2012. XXVI Premio Laurentum per la Poesia. Roma. Sezione raccolta o libro di Poesia. 2° classificato.

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pagina 9

da Omnibus*

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pagina 10

Ombra Quando l'ombra sospinge il cuore nel lieto vigore del sonno, fioriscono selvagge le cose che amiamo. Ci passano accanto pur non viste. Antiche, dense. Hanno pienezza di sogno l'odore delle arance amare quando l'alleluia delle mani si apre con timore, nel contatto tra le cose sperate. Racchiudono giunchi accesi, bruciano di paura e languore, temute stelle sui cancelli rugginosi calano sopra le pieghe dell'acqua che abita la mente. Increspatura di sinapsi l'allegoria dello scorrere. Poi vanno, resta l'orma e il livido del distacco che affianca la vuotezza del mancato calore. Nell'istante dell'alba resta la voce rauca di pietra, eco ciclico, ombra sulle cuspidi del lino d'ogni stagione che ammalia, ed un segno d'ala sulla fronte, l'intimo passo verso l'altezza.

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pagina 11

Sombra Cuando la sombra impulsa desde abajo el corazón hasta el feliz efecto de sueño florecen silvestres las cosas que amamos. Pasan cerca nuestros imperceptibles. Antiguas, densas. Tienen la plenitud del sueño el olor de la naranja amarga, cuando el Aleluya de las manos se abre con miedo, en el contacto entre las cosas que se esperan. Contienen hierbas encendidas, arden de miedo y de languidez, temidas estrellas sobre las puertas oxidadas caen sobre los pliegues del agua que habita en la mente. Ondulación de la sinapsis la alegoría del pasar. Luego se van, queda la huella y la contusión de la separación que soporta el vacío del faltado calor. En el instante de la madrugada está la voz ronca de piedra, eco cíclico, en la cúspide del lino de cada estación que encanta, y un signo del ala en la frente, el íntimo paso hacia la altura. *Estratto di poesie tradotte in spagnolo su Omnibus N° 42 : Rivista letteraria internazionale diffusa in America Latina e Spagna.

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pagina 12

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pagina 13

da Io innalzo fiammiferi*

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pagina 14

Primo sguardo L’ho compreso lentamente. Ti fa bello la mia vicinanza, il guardarti che guardi me, e specchi, e rialzi il tiro, e chiedi, e poi taci, e mi tocchi non toccandomi. E’ l’assoluzione mistica delle retrovie e le sue evocazioni sbavate, la luce corrotta da mano e dei passi. L’ho visto, t’ho visto, si diventa ciò che si ha accanto, si finisce col reincarnare ciò che si ha accanto. Ma non sempre la volontà decide la strada, non sempre accade e suona male la mano, l’abbraccio, l’altezza. Ma io ho capito d’amarti, quando il mio dare ti faceva bello, senza misura, e la mia assenza ti faceva uguale al mondo. Ho compreso e ti ho tenuto stretto tra i denti, gustando con la lingua il volto senza strade di una nera resurrezione.

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pagina 15

Attesa In attesa di rotolanti ami che mi incidano la direzione nella sottoveste acuminata degli occhi noir zinco, che ti abitano le carni e dove c'è scritto: è questa la tua casa, scosta soltanto il cartello e l'avrai il tuo pane. Nei piedi c'è forse il nord e la bussola è una questione di baffi di gatto. Poi la notte con nelle calze pori di uva matura che si gonfiano di plurali. Noi voi essi....dicotomia tricotomia di buchi con l'intorno leccato di pepe ed intenti. Lo vedi? Ho smesso anche io di salvarmi la polpa, ora sono la buccia trasparente che si redime tra i pampini sgraziati dello stomaco. Annodata al numero civico di una costellazione quasi geografica.

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pagina 16

Radici Strettoia di pelle, mani forti di cent'anni intrecciano le radici cui il succo del tempo bevve l'angoscia. Ci litigheremo le scarpe, poggiate sui muri ad asciugare, con il sole dell'estate di San Martino, quando l'età sarà volata indietro. Saremo soldati semplici con una moneta di pane vecchio nel taschino, e succhieremo il tuorlo del sole, deposto nel nido asciutto di una piccola misericordia.

*Poesie tratte da “Io innalzo fiammiferi” - Prefazione di Antonella Anedda. LietoColle 2010. I Premio Letterario Nazionale di Calabria e Basilicata. Trebisacce. Sezione libro edito di Poesie 1° classificato e 1° classificato assoluto per tutte le sezioni del premio.

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pagina 17

*da Una terra che nessuno ha mai detto

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pagina 18

Viswanath Ti sei sollevato, corona dei sette colori. Ora lo vediamo, tutto nasce dal bianco. Non c'è spina che danneggi la rondine, la soglia del piumaggio è complessa combustione del vento, si specchia guardandoci. La tua ombra si flette sulla pallida sciagura dell'asfalto, riempie gli spazi tra mano e mano si sfila le ossa, abbraccia la cedevolezza, arcaico gesto del mare. Ho mangiato la mia maledizione, portata dalle unghie, in me i dettagli si fanno corpo, forti di sale custodi di scogliere a picco sulle buste della spesa che hai allacciato. Odorano di sabbia, hanno la piega di un lenzuolo chiaro. Mi ricorderai ancora? Mentre la mano salirà a nutrire il segno, ti dirai che la curva dei piedi non ha passi legati, affrescherai di parole buie la mia colpa, saggerai la bellezza della cosa corrotta, ne farai un nuovo inno, la poserai sul piatto condendola di artifici nuovi e salutari. Il veleno sarà seta tra i capelli,

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pagina 19

li cingerà colante secondo la gravità oscena dei non viventi. Barcollerai Amore, ed anche la parola Amore, si slegherà dai suffissi del linguaggio, scivolerà nei pori della terra, disseminando grani ciechi, come l’erba del vento.

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pagina 20

Sinestesia Ho imparato a sognare alberi. Sogna alberi mi diceva la vita, lega le fronde a ciò che richiama il volo. I nidi sono annodati alle nocche di mia madre, al caffè delle otto. La voce dei risvegli aveva lo stesso chiarore, pietra irrorata dal niente, eppure serena. Non capivo quanto tutto fosse raggruppato, destinato sotto le fila dell'uva e della sua ombra. Sporcarsi il tallone di meraviglia, era canzone dell'antico Creatore, sostanza ferrosa che genera virgulti e processioni. Alzai gli occhi, si piegò a me la sacralità di un ulivo di ferro, immobile oltre la collina dei miei vent’anni. Mi prese la mano e la portò a sinistra del petto, sollevando due maree, una montagna, una pioggia di cavallette.

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pagina 21

Alzai gli occhi, mi venne incontro. Fiere d'argento ne ingannavano il passo, il crine sottile e convulso da azzurrati tramonti, le labbra profilate dal turgore cupo della notte. Ed il nastro rosso della sua lingua. Un’affiliazione senza chilometri, dipanava tutta una strada fino all'innesto nel plesso solare del mio ombelico. Le mani aprirono piano i pugni, divergendo dalla materia. Ogni pulviscolo cantò di fierezza e primavere, con voce propria. E poi lo specchio degli occhi raccolse il senso, donando agli alberi costruiti radici verso l'alto. Là presi dimora.

*Poesie tratte da “Una terra che nessuno ha mai detto” Prefazione di Andrea Leone. Edizioni della sera 2010.

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pagina 22

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pagina 23

da Rensheng*

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pagina 24

Pura Ho smarrito la forza del leone, l'urlo di ghiaccio che fora il tempo, la gravità di quella mano aperta. Un'indicibile tregua che tanto ho bevuto e sentito. Vigorosa e di taglio la ferita asciutta è nell'ultima ora. Mi svegliavo con l'ala dei fonemi, una battaglia tra le parole e gli istinti alla conservazione delle cose. La pelle si slacciava e crollava sulle rive dei passi, e ingoiava l'estasi. Il vigore, la rabbia, la sostanza si sono mescolate all'aria. Non c'è diga adesso che separi. Ho perso la forza del poeta, ho spezzato la palpebra del cuore. La prospettiva è sempre spalancata, non esiste il momento, l'ispirato, l'attimo del perfetto esilio del soldato. L'universo nel sasso che trema, la bellezza di una spiga, lo schiaffo della sete alle stelle, l'ebbrezza dei vivi e la lucidità dei morti, la fortezza dell'amore, il filo tirato e congiunto alla terra: la mia spina dorsale. Tutto è dentro. Mi abitano i paesi che

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pagina 25

andavo raccontando. Nella veste semplice ho vinto il privilegio dell'umanitĂ , piĂš d'ogni medaglia mi sfida nella carne il senso, Pura.

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pagina 26

Rosario Ci apre lo stomaco con le dita, questa primavera. Là le radici hanno voce viva, salgono le gemme sono due pagine, le due finestre d'ebano dello sguardo, i due concetti della rivoluzione, atti ingiustificati di gentilezza le margherite gialle delle colline, i filamenti verdi delle cose si legano alle dita dei piedi. Ci sembra così di risorgere nei minuti in cui il mondo rallenta, frena i magnetismi, ci guarda. La mia gravità segue la tua, la mia lingua ha l'idioma della cristallina musica che tu agiti e scuoti nel volo dei tuoi slanci. Mi tieni la mano e il sole soffia nella gola il rosario della bellezza. *Poesie tratte da “Rensheng” - inediti 2014.

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spagine - magazzino di poesia 16 Maggio 2014

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Irene Ester Leo è nata nel 1980 a Collepasso città dove vive. Laureata in Storia dell’arte moderna, è maestro d’arte, critico d’arte e illustratrice.

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