La disciplina dei fiori di Elisabetta Liguori

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La disciplina Elisabetta Liguori

dei fiori *

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Spagine è un periodico di informazione culturale dell’Associazione Culturale Fondo Verri di Lecce


Elisabetta Liguori

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M


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Da questo si capisce che la Carla l’hanno cresciuta male, quando mai s’era vista una festa come quella l’altr’anno, quindici anni, a carnevale?

a lei tutto il superfluo di affetti e di ricchezza e la scuola serale

che se nasceva maschio, vuoi vedere che la vedova lo faceva ragioniere?

(Elio Pagliarani - La ragazza Carla)

A dirli questi mesi sembra agevole con il margine di rischio necessario a chiamare la vita col suo nome: primavera invocata tempestiva fu tempesta, e in vista della terra il naufragio balordo; giugno vissi per rassegnarmi a perderti; e di luglio la più cupa speranza di riuscire a fare della morte un’abitudine. (Elio Pagliarani - Inventario Privato)

Ma dobbiamo continuare come se se avesse senso pensare che s’appassisca il mare (Elio Pagliarani - La ballata di Rudi)

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DIARIO

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1 agosto

Ma, quello lì, scrive ancora poesie? Sì e infatti l’ho mollato. E tu? Scrivi poesie, tu? Mamma, non sono mica pazza. 10 agosto

Stelle nemiche opache stelle scandite le parole, non conosco le lingue straniere mi disturbano le tende da campeggio ancor più degli insetti notturni per non saper né leggere né scrivere se non parlate chiaro resterò per sempre sotto lo schianto della luna. 12 settembre

Tengo il filo. Tu fai come credi, io intanto tengo il filo teso sotto il diluvio tengo il filo, non ci rinuncio. Piove troppo, non vedo il tuo naso né il mio dove l’anima s’inzuppa puzza d’umido anche il futuro e nel verde già marcio. spagine

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t’abbraccio tutta dentro la tua bolla imprecisata d’aria adulta cerco il filo e il foro tengo il capo con due mani trattengo la fuga d’acqua aspetto il segno brusco della fine. 1 ottobre

La prima volta che ho fatto l’amore erano le foglie d’autunno a far festa. Sembrò stupefacente che con quel gusto di spada e fodero s’aprisse il varco. Sembrò da matti che il mondo si costruisse intero in pochi istanti come per colpa di una bomba senza la sua guerra. 20 novembre

Tieni memoria fanne un dettato nello zaino sui vetri sotto la doccia tra gli avanzi di bagnoschiuma dentro il risvolto dei tuoi jeans. Tieni memoria dell’ultima madre della sua allegrezza a termine. Elisabetta Liguori

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Siamo diventate tristi senza volerlo. Tieni memoria conserva in frigo il cibo, se puoi, e un po’ della fame. Siamo state bellissime la madre e la figlia come negli ovali ad olio ricci i capelli ricci gli occhi ricci i nostri fiori e il cibo nei piatti da portata. La lista della spesa reca scritto ancora l’elenco di quelle nostre bellezze passeggere Se le vedesse, persino il fioraio ne resterebbe sorpreso. Tieni memoria delle margherite nei vasi, ma non della maniera in cui le ho lasciate appassire. 7 dicembre

Mi vedo capovolta il cuore nel fango e le caviglie ancorate al cielo. Ho tradito l’odore del latte l’ho confuso col bitume della strada. Mio padre conosceva quel fango ora il suo cadavere vi annega liquido il tormento e la pietà rovesciata e il tempo inverso. Scrivo dalla prigione del tempo contrario il cui custode ha il mio stesso mento. spagine

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Il più crudele dei fiorai ha la barba incolta. Non se ne cura più. Ha un vecchio gilet di lana pettinata posato sulla spalla sinistra per le sere più fresche di primavera. Mette il dopobarba di pino dietro i lobi delle orecchie e cammina con spalle dritte d’anonimo veneziano. È stato il mio maestro. Tiene ancora le chiavi di tutto in una tasca sola. Ancora oggi non c’è nulla che mi ferisca di più del suo mento peluria carboncino a ricoprire ogni regola. 20 dicembre

La lezione più breve sale facile dal petto alla gola galleggia ma è sempre quella sbagliata. Resta solitario in vetta il pesce ballerino senza l’acqua, fermato nel guizzo. Un acquario svuotato non può cantare a lungo. 21 gennaio

A mia madre non sarebbe piaciuta una vita normale una frase comune sussurrata di lato Elisabetta Liguori

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una sera qualunque tra i cuscini ingialliti. Non le sarebbe piaciuto piantare chiodi senza appenderci nulla, senza una belva impagliata da ammirare Ci voleva per lei la parola arrotata. Ci voleva il ventoso bagaglio. Ci voleva lo sguardo a stiletto. per lei era d’obbligo pagare il giusto riscatto al tignoso contabile dei petali prima di liberarsi tutti. 22 gennaio

Rifiuti la mia solitudine non assisti alla gelata, dici: è troppo triste per me. Ma i fiori che porto tra le braccia sono diversi da quelli che immagini. Sarebbero fiori spiccioli da comprarci poca roba se tu li guardassi. Riderebbero come monetine rotolando al fondo del cilindro, inutili farebbero magie scomparendo e ricomparendo tra le dita. Ma tu non li guardi è troppo triste, dici, lo spettacolo. Così faccio poesia solo per me per non dimenticare l’esattezza dei fiori e il chiasso che facevano quando erano ancora bambini. spagine

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23 gennaio

Certe mamme barbose hanno le mani che tremano sotto le coperte. Sonatine immaginarie per lenzuola di cotone. Tu telefoni e tremo anch’io al suono dei tuoi capelli risponde il movimento. È il ballo del fioraio addormentato. Tu suoni e io sogno trilli di grazia vestita d’arancio dentro il braccio della morte. 24 gennaio

Oggi sono piena di lavoro, devo dirti di no. Non so dove mettere le mani, mi dispiace. Facciamo un’altra volta. Abbi pazienza. Mi dispiace, dico. Davvero non è colpa mia, è lavoro, solo lavoro. Ho tante cose da fare prima. Domani, domani sarà più facile. Credimi, domani. Oggi non sono in vena. Ho da pensare a me. Cerca di capire. Sarò più efficiente domani. Quale tra questi No devo regalare per primo? Alla bandiera o al girasole? All’ alba o al tramonto? Elisabetta Liguori

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Alla frusta o alla pietà? In tv passa il segnale orario. È tardi, dici, sbrigati. Non fare storie. E allora mi vesto pesante, fa più freddo. Calze doppie guanti di lana molte sciarpe al collo ché non si intraveda un solo lembo di pelle nuda ché non si presuma il fondo rovistato, oggi a dettare le regole è bene che sia l’uomo del tiggì sul canale 500 25 gennaio

Sta maturando un chilo di mele al centro del tavolo da pranzo. Si rammollano cambiando colore. Avrei voluto darti mele più succose un calcolo esatto tra tara e netto invece da domani come sempre ricomincia la smobilitazione degli avanzi dei cassetti dei ripiani del frigo delle vecchie valigie da vacanza estiva. Là il cuore si sveste la scala si ripiega Credevo bastasse il nome Mela a farla rossa. invece ogni notte misuro la consistenza della sconfitta dell’alfabeto e con le dita affondo nella sua buccia.

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11 febbraio

Per una volta immagina che io sia morta. Morta da poco, intendo. Come in un film un lusso nero, improvviso, irrisolto, coi becchini ancora tutti da chiamare. Immagina di non poter colpire più. Immagina di essere tu quella rimasta a vivere al mio posto.

15 febbraio

Dimmi quando basta e io smetterò di versare. Me ne andrò per guardarti da lontano come si fa coi monumenti. Ti farò l’ennesima fotografia e poi via. Magari ti rivedrò dopo mille anni immortale gondola a Venezia la torre che pende, i buchi al Colosseo la poppa a fondo il braccio reciso e il dito amputato. Voglio altro stupore che questo non basta più. La prima prova è stata imparare a chiudere gli occhi per vederti meglio la seconda più terribile addormentarmi prima di te.

Elisabetta Liguori

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17 febbraio

Era perfetto il passato. la terra calda mai esistita maledetta dai padri delusi e perduta fin dal primo respiro. Le sue fotografie senza tecnica sono l’unico tesoro. Bello e malato di brevità il passato è già diviso in cartelle e condannato a morte. Avventata io, che non l’ho neppure segnato sui calendari. 13 marzo

Non tutti i giorni bella. Non tutti i giorni amata. Non tutti i giorni dipinta bene. In camicia da notte lurida macchia bianca fosforescente come la matta sempre in ritardo. A volte sbavata barbona umore non pendant con le unghie spezzate madre decisamente fuori catalogo. Aspetto le tue cartoline di bellezza, allora! Vedremo cosa saprai fare tu coi tuoi messaggini, la piastra elettrica e le buste di Zara tu e i tuoi scoppi frettolosi a riempire a caso le caselle vuote. spagine

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18 marzo

Sbocconcelli i primi barbagli di una primavera tardiva succhi l’acido dei boccioli ed è subito allarme. A breve sarà di nuovo agosto. Serro le porte le finestre i pertugi del tetto. Punto la canna contro il prato. Sono pronta a sparare all’allegria. 20 marzo

Non sono madre se non sono marmo. Nell’equinozio dei nostri vasi sanguigni non c’è spazio per la mollezza. Non è colpa mia, lo giuro, l’equivalenza l’ha fissata Dio per me subito dopo averti partorito. L’hai fatto anche tu di diventare pietra troppo in fretta. Sono la tua invenzione come tu sei la mia e il gioco si ripete ogni mattina. Torna sempre compatta l’alba sui nostri mondi duri.

Elisabetta Liguori

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29 marzo

Quando sei triste non mi guardi negli occhi. Temi di somigliarmi troppo. L’osculum è nostro, umido come i baci di giuda. Ma quando sei triste altro che baci, mi pare che tu mi stia sputando in viso senza neppure usare la saliva. Eppure non posso mica morderti, cosa temi? Dovrei sforzarmi di sorridere di più? Essere più fotogenica? Ma poi non metti mai nulla di noi su Instagram e io ci resto male. 1 aprile

Allontanati da quella porta! Lo sguardo si posa sui cardini, l’orecchio si spacca. Vattene via! Sconfina nella notte il suono dell’inferno. Il legno massello che ci separa ha l’odore oleoso del non amarsi più. 3 aprile

Al tuo odore di borotalco devo la mia pazienza. Davanti al rinnovarsi dei fiori spagine

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si sollevano i miei fantasmi in fila, i ricordi drizzano le spalle. Persino mio padre sorride. Siamo oggetti mobili dentro un afrore statico. Non siamo ciò che desideriamo ma il rimprovero silente dei sogni partoriti male dagli ubriachi. Sin dal mattino ci dirige il cibo digerito male la notte prima oppure l’idea che sia domani, ma è sempre l’ultima pagina quella che ci divora. 4 aprile

Amo il momento in cui annotta e ti lancio sulle spalle una coperta di lana. Quando chiudo ogni serratura e lascio scolare i piatti al buio. Dentro quel nulla, nulla può accaderci. 5 aprile

Mio padre ascoltava la radio al pomeriggio. Non era poesia, era il notiziario. La voce in onda scavava gallerie sante. Io gli accarezzavo i gomiti rugosi sotto le coperte. Riposi ossequiosi nella grigia peluria dei vecchi. Elisabetta Liguori

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Lui poneva le sue dita al buio su di me, senza una torcia tra una cronaca e l’altra. Lasciava bave sottili. Delicate. La stessa paura, lo stesso coraggio, di oggi. 8 aprile

A continuare così, ci sarà una sola sedia nella camera ardente. Solo quella. Quella sedia è giusta per te. Non potrai neppure giocare a scala quaranta con un amico. 10 aprile

Il fioraio ha un fiore in bocca quando sprimaccia il cuscino della follia notturna. Imprime la forma tesa dei cazzotti sulla federa. S’alza presto. L’utero in disgrazia fa l’elemosina ai bordi del tuo letto chiede denaro al figlio monetine sbaciucchio monetine preghiera monetine di latte. L’utero insonne si è riempito delle briciole di Pollicino partorirà pane già secco. L’utero squattrinato spagine

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a cui nessuno dà fiducia il vigliacco buco floscio che non versa sangue s’ostina a cantare il vizio dell’amore la notte attribuito alle sirene senza nessun incanto. 24 aprile

La disciplina dei fiori è roba vecchia. Ne parlano ancora certe prefiche giù in paese. Se fai ricerche da wikipedia, qualcuno dice di saperne qualcosa, ma son voci confuse. Nessuno può ascoltare il vento se l’erba è già stata tagliata. Sei fiore senza foglie bravissima a tacere corolla sordo muta sulla quale la lama svirgola. 29 aprile

La differenza tra ieri e oggi è che aprile sta finendo nuovamente, ma io non mi stupisco più. Conosco il trucco, come conosco l’amore. So tutto ormai delle menzogne dei fiori. Hai detto: la rabbia mia non è colpa tua. Mentivi anche quella volta.

Elisabetta Liguori

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30 aprile

Avevamo un fidanzato io e te. Otto mesi d’idee imprecise e belle forme. Ora non lo abbiamo più, un fidanzato. Nè io, né te. Abbiamo un nome un numero di telefono una felpa molto larga e un braccialetto. Un ciondolo rotondo che ricorda la forma di una foglia di marijuana con cui giocare a tennis da una parte all’altra del nostro campo. 13 maggio

Il mio telefono è enorme. Nei cavi c’è il vagito dei cuccioli allungato dagli sbadigli prima della nanna. Ci stanno larghi. Resta comodo, nella lunghezza dell’antico corridoio, lo spazio tra la vita prima e quella dopo. Non puoi perderne le tracce neppure a volerlo. Il tuo telefono invece è piccolo. Ci entrano solo i topi della notte festeggiano i compleanni dei fantasmi con squittii appena percepibili masticano patatine fanno briciole nei letti sussurrano incubi. Lo sento ma non lo trovo. spagine

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Dov’è? Dove diavolo lo hai nascosto? Perché non metti mai in ordine le tue cose? 15 maggio

Ti riconosco pietra. So chi sei, ti tengo d’occhio. So che scendi ogni scalino due piedi per volta. Per questo il giorno del tuo compleanno ho riempito la scala di messaggi d’amore, auguri sorriso auguri per sempre auguri ciccia e torte auguri per non inciampare auguri e auguri. Sapevo che avresti avuto bisogno del giusto tempo per leggerli tutti. Sono rimasti a contar gli scalini. Mesi e giorni di polvere così, poi son scomparsi tutti all’improvviso. Pensavo li avessi strappati uno per uno per farmi dispetto come un romanzo a puntate. No, mi hai spiegato senza alcuna rabbia, non sono stata mica io, è stata Silvana, la donna delle pulizie era stufa di scoparci intorno.

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16 maggio

Io non uscirò di mercoledì. Io no, mi chiudo dentro. non mi conviene star fuori ci sono i lupi in strada la sera tre lupi sdentati a settimana a cui s’aggiungono quelli del giovedì e del venerdì, anche se piove. Due fratelli due diversi temporali. Il tempo si svela così come fosse un test a risposte multiple. 19 maggio

Io sono te ma tu sei l’altra. La testa scoperta sotto il sole lo stesso sole che è anche il mio. Tu sei l’altra che il sole lo rubi, lo spegni, lo trucchi. Sei quella che rovescia il vento d’estate e le nuvole le accortoccia. Quella che quando piove forte, si bagna di più. Tu sei quel pezzo e anche l’altro. 20 maggio

Le unghie dei gatti fratelli si affilano sulla stoffa dei divani la sera tengono il ritmo alle rotaie spagine

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distanziano lentamente le stazioni dei cuori l’una dalla’altra salutano il paesaggio nel sangue mentre leggo il quotidiano del giorno prima. 22 maggio

S’apprende sempre con stupore la rovina. Si resiste alla catastrofe. Nessuno s’arrende d’estate né cede al silenzio delle cicale. Ciascuno se può prova a conservare anche solo un ramo verde a sua difesa e alcune delle voci più lievi tra i cespugli più fitti. Se la rovina non scendesse così infallibile fin dentro la radice se non ne succhiasse la linfa a inaridire il seme e tutto ciò che dopo è cresciuto, si proverebbe a reagire stagione dopo stagione. Chi ha il cuore, chi ha il peso, farebbe il tentativo. Proverebbe ancora sono certa a spruzzi a schizzi come i rubinetti nelle case cedute allo scirocco di novembre.

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24 maggio

La terra del ventiquattro io non la so raccontare tu la abiti come fosse normale come se non ci fosse alternativa Sapevi tutto nascendo? Che ti avrei odiato che avresti amato i superalcolici preferito le maglie nere a quelle gialle le scarpe basse le ciprie oleose le piadine con il prosciutto? 27 maggio

Te ne andrai a settembre. Non conta il giorno e l’anno, conta il saluto. Te ne andrai nell’ultima estate del giogo tra museruola e canto. Svuoterai l’armadio e brucerai le tende. Ho il sospetto che non tornerai neppure a salutare il cane. 28 maggio

Il cane è tuo l’ho regalato a te anche se lui non lo sa. Nei giorni da cucciolo respingeva il guinzaglio ti feriva le mani e tu sbuffavi ridendo. spagine

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Tu e lui, in una chiesa di carezze luci basse polvere di peli unghiate e bava, ora non sai più che muso ha non condividete la stessa tana so che era solo un anticipo per durarci pochi mesi dacché il 28 è un numero orribile per dirsi addio. 29 maggio

Quando resto con la fronte contro la tua porta chiusa t’immagino aldilà del muro nella luce che ti forgia: un blocco di granito incandescente la massa coagulata dei tuoi pensieri la pelle che muta colore, e mi spavento della potenza delle favole. 2 giugno

Non è più festa a sud, scoprimmo insieme il suono della banda la cassa armonica montata sotto casa gli spillini sul risvolto della giacca e i palloncini in mano tuo fratello che piangeva e mangiava gelato, poi il lunapark dietro casa d’improvviso è diventato infernale intruglio alcoolico Elisabetta Liguori

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di cellulari fallati. Non è più festa. Io son scesa di notte a far slalom sulla tangenziale per rubare il senso al tuo diario. 19 giugno

Mi spiace non vengo al mio compleanno. Mi spiace davvero io non festeggio non partecipo non avanzo. Io son quella che manca son tutta ultime lacrime come un fiume che secca quella che si lascia chiamare tre volte che s’ingessa in attesa e poi sposta indietro le lancette per rubare un’ ultima ora d’assenza. Io son quella che giudica ma forse ci ripensa io son quella che ero che son sempre stata riempio il mio letto di meraviglia. 22 giugno

Avrei avuto bisogno di una lingua nuova da usare nel fine settimana. Una lavagna, un segnalibro. delle lettere un nuovo sfarfallio. Se l’avessi avuto ieri in bocca spagine

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oggi saremmo in quattro a parlare di noi con quattro denti bianchissimi, succhieremmo storie davanti al tavolo con quattro cannucce e gli occhi stretti a fessura per il troppo sole quattro posti a sedere e altri a metterne d’estate, all’aperto nel fresco delle ombre. Sotto il porticato che ancora non c’era con la stessa lingua per quattro sarebbe stata un’altra estate non questa carta carbone di appuntamenti mancati e fughe. Di un amore setoso sarebbe composta la nostra lingua a scivolare verso la foce senza danno invece che agganciata ruvida velenosa ai ciottoli ad annegare buone intenzioni e pesci. Sarebbe stato più facile sopravvivere con la lingua dei neonati fare segni chiari senza fatica senza urti e il borotalco in cima a sdrucciolare. Fuori le belve feroci e noi dentro la caverna, dalle parole antiche quattro lingue uguali in cerchio tutti a parlarle per salvarci in coro. 28 giugno

L’amore per te è un numero si presta all’errore tecnico. Trattandosi di grosse cifre è facile farsene Elisabetta Liguori

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un’idea incongrua così che poi io ci metto un attimo a tratteggiare di rosso il foglio e il tuo amore diventa illogico. L’amore per te è un calcolo unisce date e abiti in teoremi etereogenei. L’esercizio è solo apparentemente agevole, se la ripetizione è un rischio. così io ci metto un attimo a immaginarti in trappola. L’amore per te è un asso una partita a carte con ampio mazzo. Le regole le fa il tempo non altre frottole, così io ci metto un attimo a sentirmi il cuore in vendita. L’amore per te è un pezzo di teatro l’interpretazione lo rende unico. Trattandosi di dura pratica è facile sbagliare il cast, così io ci metto un attimo a desiderar monologhi dietro un sipario immobile. 7 luglio

Tranquilla a pensarci non è stato tuo lo sbaglio ma del somaro che ti raglia in testa da quando avevi tredici anni il somaro bruno e loquace che ti avrebbe voluto figlia alla macina per sempre. spagine

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8 luglio

Non c’è abitudine che tenga il ritmo dei giorni, dalla porta alla finestra il passo è troppo svelto non percepisco il suono che fai fuggendo. Mi arriva solo l’eco di un rimprovero di vento rimasto dopo uno schiaffo dato storto a una donna adulta e grassa. 25 luglio

Non si scrive in tempesta. Di noi posso svelare al massimo il letto sfatto la bellezza spettinata le ciocche che intasano gli scarichi. Non posso raccontare ai lettori il resto del travaglio che riempie le buche la vergogna della notte che ho generato. Non scrivo romanzi del terrore. Se piovesse per sempre, se fosse più solidale l’estate forse mi calmerei un po’ metterei in fila i numeri in ordine inverso ti direi sono madre per scommessa: lasciami puntare lasciami giocare a modo mio, invece riordino a fatica, sbaglio i cassetti Elisabetta Liguori

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tolgo il senso alle insegne unendo le mutande ai vecchi reggiseni spaiando i calzini neri di tuo padre. Scrivere mi è impossibile se c’è troppo vento, volano via le parole ed è sempre autunno, anche quando non dovrebbe, così che mi manca l’equilibrio delle foglie appese il cuore s’imburrasca e scoppia. 31 luglio

La chiudo la porta. Spengo le luci. Stiamo tornando indietro, verso l’alba, ciascuno la sua. Siamo ancora in due e il resto del piccolo mondo che non ci somiglia. L’estate agevola e strappa. Ti libera la strada. La strada che lasci resterà la tua. Nessun viatico reggerebbe un altro agosto ma io sto dove devo stare come un cartello stradale col ferro nel cemento. È mia abitudine indicare un percorso qualunque.

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Giugno 2014

Il Fondo Verri è in via Santa Maria del Paradiso 8.a a Lecce (cap 73100) telefono 0832-304522 fondoverri@tiscali.it Spagine è su issuu.com/mmmotus https://www.facebook.com/perspagine


Elisabetta Liguori è nata il 19 giugno 1968 a Lecce città dove vive e lavora.

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