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magazzino di poesia

Il coraggio Giuseppe L. Fioschi

di cambiare

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Magazzino di poesia


spagine - magazzino di poesia - poesia [scritture] n° 34

Spagine è un periodico di informazione culturale dell’Associazione Culturale Fondo Verri di Lecce


Giuseppe Fioschi

Il coraggio di cambiare Nota introduttiva di Marcello Buttazzo



Il “diario intimo” di un artista della vita “Se avete fatto esperienze di droghe, o ancora meglio non le avete ancora fatte, vi prego di riflettere attentamente su ciò che ho scritto e spero, che la mia esperienza, vi basti a farvi desistere da questo male…”: così Giuseppe L. Fioschi enfatizza in apertura de “Il coraggio di cambiare”. A volte, il passato può essere estremamente turbolento, una lama di travaglio infissa nelle carni. Si può traversare la vita, in certi momenti, con i ginocchi piagati, straziati; ma l’importante (come cantava anche Alda Merini) è avere sempre lo “sguardo aguzzo” per tentare di modificare ciò che in apparenza è immodificabile. Trovare con l’aiuto della gente giusta le motivazioni e la spinta per bere sorsi d’acqua pura alle fonti della libertà, della compartecipazione, della giustizia, del senso del dovere. I trascorsi di Giuseppe Fioschi sono di dolore intenso, di sofferenza interiore. Fin da piccolo Giuseppe, che portava un cognome “noto”, ha dovuto scontare pesantemente lo stigma volgare dell’esclusione e dell’indifferenza, ha dovuto patire una costellazione di avvenimenti, che avrebbero annichilito chiunque. Gli accidenti dell’esistenza sono stati impietosi con lui, che, fin da piccolo, ha assaporato il gusto acre della sconfitta. Da ragazzino, 18 mesi di ospedale per un tumore benigno ai polmoni, poi 6 anni di istituto a Santa Maria di Leuca, presso le suore; e da grande, 11 anni di prigione. Nel 1982, il primo furto, un paio di pantaloni e una cinghia ai danni dei magazzini Standa. Fu preso e portato in questura. A quindici anni cominciò a perdersi. Vivo nella memoria è il maledetto giorno del 1987, quando un ragazzo del suo paese lo iniziò all’uso di eroina, che lo portò nel “Regno Maggiore dei Mali”. Quindi tanti piccoli furti, delinquenze, e il successivo passaggio all’uso di cocaina, l’ingannevole “neve”, che tutto fa falsamente luccicare, che ti “dona” apparentemente uno stato di onnipotenza, per poi gettarti in uno sconfinato oceano di prostrazione. Dopo anni e anni di carcere, di vomito sputato per esorcizzare i rifiuti e gli inganni, è arrivata per Giuseppe la lenta, ma progressiva redenzione.


Chi più di lui ha avuto coraggio di cambiare? Di rivoltare come un calzino la propria vita inconcepibile, farne palpito, trasalimento, respiro, gioia vivida? Chi più di lui ha avuto la forza lucida e piana di risalire, come paziente rabdomante, la china? Questo suo libro, che comprende racconti di vita vissuta, qualche poesia e un compianto dedicato ai famigliari defunti, lo potremmo definire un “diario intimo”. Esso evoca l’inferno di fiamme che ha investito Giuseppe, che ha avuto pertinacia a reinterpretare la sua vita. Questo “diario intimo” tratteggia, oltre ai paesaggi e alle descrizioni disperate e poetiche dei vissuti, anche alcune figure di riguardo, che hanno avuto grande rilevanza per Giuseppe. Don Raffaele Bruno, parroco del carcere di Lecce, e poi il parroco del carcere di Sulmona, che invogliò il Nostro a prendere carta e penna e a cominciare a stendere i suoi pensieri e le sue riflessioni, e Ugo, compagno di cella a Sulmona, molto generoso, attento e partecipativo. La riconoscenza va, altresì, ad alcuni amministratori di San Pietro in Lama, suo paese, a Lino Manca, a Fiammetta Perrone, assistente sociale al SerT di Lecce, all'assistente sociale Ivana Faggiano. E, in particolare, alla psicologa Patrizia Buttazzo del SerT di San Cesario. Giuseppe, che è mio intimo amico, rammenta sempre quelli che sono per lui, oggi, fulgidi fari di luce e d’amore: Mauro Marino e Piero Rapanà del Fondo Verri, e i cari e fraterni Vito Antonio Conte e Tonio Bisconti. In “Coraggio di cambiare”, la droga viene opportunamente descritta come il male dei mali, come la perdizione assoluta. Nel suo “diario intimo” campeggiano e sono un filo conduttore alcune persone di riguardo: la mamma Cesarea, scomparsa prematuramente, un angelo in terra e in Cielo, la moglie Debora, i figli Genny e Ruben, i fratelli Marco e Piera. Giuseppe, circondato dall’affetto di persone eccellenti, ha avuto a un certo punto del suo cammino, la determinazione e la cura di guardarsi dentro. Grazie all’incoraggiamento dei SerT di Lecce e di San Cesario, grazie alla morbida visione di Mauro Marino, di Santa Scioscio e di Piero Rapanà, ha iniziato a seguire un virtuoso e fecondo selciato: quello della scrittura. Ha letto dentro di sé a fondo, ha scandagliato nei propri vissuti, nella propria interiorità, pescando


dolore, ma anche preziose gemme d’azzurro lapislazzulo. La scrittura è, per lui, una medicina salvifica, terapeutica, che giova a comprendere meglio il proprio sé e l’altro da sé. Giuseppe, con la sua abnegazione, non ha stagnato nella sofferenza, negli inconcepibili sensi di colpa, nello sterile vittimismo, ma ha metabolizzato l’inferno, approdando in un porto di barche serene e ammarrate. Giuseppe, già da anni, è un uomo rinato, che sa apprezzare la gioia, la libertà vera. Un uomo che ha saputo trasformare un fardello come la rabbia distruttiva, indirizzandola in meati costruttivi e propositivi. Oggi, Giuseppe sa amare la bellezza seconda ed è un artista della vita. Marcello Buttazzo



“Se avete fatto esperienze di droghe, o ancora meglio non le avete ancora fatte, vi prego di riflettere attentamente su ciò che ho scritto e spero, che la mia esperienza, vi basti a farvi desistere da questo male…” Giuseppe Fioschi



Strade tortuose si aprono a me, in frammenti di terra arida e polverosa… La corrente m’inghiotte nell’amara apertura di un vortice…. Fori penetranti si spalancano, manifestando l’inferno… Da quel buco vorrei risalire la cima ma sostegno mi manca… stordito ogni volta cado in equilibri di forze contrarie…

Mi disfo lentamente in rivoli di fango. Il male mi devasta il corpo… Il male non ha limiti… I piedi strisciano desiderosi di trovare radiazioni luminose… Attratto Solo da una luce di luna senza possibilità di uscita mi arresi nelle braccia del sonno…

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Seduti intorno ad un tavolo del Ser.T di San Cesario di Lecce, ogni settimana ci troviamo a scrivere e raccontare le nostre storie. I giovedì pomeriggio si son fatti ricchi delle nostre esperienze: noi e il nostro passato di dipendenza; noi in un presente pieno di speranza. Le riunioni hanno consentito a tutti, nell’ascolto reciproco, di trovare il senso di ciò che è stato. Esercizio non facile! Abbiamo insieme rammentato percorsi di una vita incosciente, spericolata, conseguenza di scelte spesso dettate da una necessità di vivere la vita sentendosi partecipi – protagonisti - della vita stessa. Ma, la droga, nel suo farti sentire “forte” ti tradisce rendendoti schiavo, un essere dipendente, un essere non libero. La “non stima” di me, l’affetto mancato nell’infanzia, mi hanno fatto vedere un mondo arrabbiato, mi son difeso con arroganza e violenza. Un modo d’essere cresciuto con me, complicazione poi di molte relazioni. Un pregiudizio difficile da smontare nonostante io fossi - con il tempo - cambiato in meglio. Se qualcuno “osava” abbracciarmi o mi dimostrava tenerezza mi ritiravo nel guscio, così ero: burbero, chiuso in difesa… Tutto ciò mi ha portato ad avere poi difficoltà nel far sentire il mio affetto ai figli. Oggi, quella durezza, quella corazza, la mia insignificante mente si sgretolano, nell’abbondanza di un abbraccio. Al termine di questa esperienza di scrittura mi rimane l’amaro in bocca per non aver dato il massimo, per non aver approfondito temi importanti come quello della famiglia, per non aver parlato molto dell’oggi e della mia metamorfosi. Mi scuso per il mio egoismo e, nel raccontarmi, di non aver dato pienamente luce alle emozioni, sperando di aver altro tempo per farlo.

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Al presente

Quando mi fermo a guardare il mare, quando mi fermo a osservare la natura, ricomincio a guardare alla vita con semplicità, provando, a volte, un’intensa gioia. In questi posti, in questi momenti dove osservo filtrando tutto con gli occhi della mia anima - la mente non chiede nessun prezzo, non chiede di apparire, non chiede sogni o aspettative… mi chiede solo di fermarmi a guardare… e io vedo con gioia il mio cane correre contento, vedo un aereo volare, delle ragazze correre e da sottoterra venir su le mura di una città antica, sepolta dal tempo. Qui, le parole servono a poco, solo la meraviglia e lo stupore vengono alla mia bocca infantile… Dopo aver dedicato il mio tempo, nella mia solitudine, a leggere, conoscere e scrivere, ho allenato l’ascolto, il mio stare a volte anche solo in silenzio. Sento in questo arricchimento... trovo risposta al mio vivere, e ogni giorno mi preparo al cambiamento. Le difficoltà, le chiusure e il non conoscere all’inizio di questo mio nuovo viaggio, erano così evidenti da farmi arrabbiare, arrendendomi al primo ostacolo. La cosa che più mi ha aiutato è stato dare ascolto a chi aveva più esperienza. Questo lasciarsi guidare mi ha portato un po’ più lontano da me permettendomi di conoscere il mio io contemplandolo negli altri ritrovandomi a convivere con loro lo stesso “pane”: cultura, musica e poesia”. La sfida è di potercela fare un giorno a trasmettere, alla mia famiglia, ciò che imparo dai libri o dalle mie nuove conoscenze, vivendo l’essenziale per sopravvivere in questa terra in armonia con me stesso e con gli altri. Il coraggio di cambiare


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Ritorno a casa motivato e con il desiderio di far cambiare ai miei cari quelle che considero delle “cattive” abitudini come il riempirsi la testa con programmi televisivi inutili pieni di pettegolezzi, di giudizi di arroganza, di ignoranza. Credo che le cose potranno cambiare solo se ognuno di noi riuscirà ad amarsi e avere rispetto dell’altro, riuscirà a capire che la frenesia nel riempirsi di futilità aumenta solo il capitale del nostro egoismo, separandoci. Pian piano, la tranquillità, l’amore, la pace, trovano spazio nel mio animo e in questa casa dove un tempo le nostre vite inquiete andavano perdute.

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Dialoghi dal passato

Non molto lontano da casa mia, vicino la chiesa di Pozzino, al riparo dalla luce sotto l’ombra di un albero, su una panchina me ne sto a meditare. Pesco dall’oblio, pensieri e immagini di vita per produrre una nuova storia. Una storia da poter raccontare. Il tempo lentamente si muove e tutto cambia, Pozzino è identico al posto che frequentavo trent’anni fa. Siedo sulla stessa panchina ma non sono più un ragazzo. In quel tempo, in un giorno come tanti altri, si aprì a me un’altra realtà, un’altra strada accolse il cammino della mia gioventù. Vagavo inquieto ed ebbi modo di conoscerla, mi illusi che provandola, avrei messo fine alla paura e alla timidezza. Mi avrebbe reso forte… Avevo già sentito parlare di lei e volli provarla.

Lei: Ciao anche tu vuoi provarmi? Io: Si, ma solo una volta. In giro si dice che la voglia di te rimane poi per sempre. “Ci puoi rimanere fregato e legato fino alla morte”, dicono, ma io non ci credo, son forte io, è solo un desiderio… - Bravo, nonostante sai ciò che si dice sul mio conto, tu vuoi “farti” di me. - Voglio superare ogni inibizione, voglio coraggio e sballo, voglio con te, un giorno indimenticabile. - Con me troverai l’enfasi che ti manca, mio caro… Vieni. - Ti voglio, e così! E ti dimostrerò che dopo non mi sarai indispensabile. - Se proprio insisti, devi pagarmi. - E quanto ti devo? - Devi chiedere al magnaccia di turno, a lui che mi vende. Cercami, Il coraggio di cambiare


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comprami, riscaldami, scioglimi e sarò tua. Entrerò nelle tue vene, nel tuo corpo. - Si, dai… - Ecco, ci siamo, fai lentamente, spingi lo stantuffo. - Mmm… che botta, cosa mi succede? Mi vieni in bocca, vomito. Mi nascondo, non sopporto nessuno, continuo a vomitare…

- Questo è l’inizio della nostra relazione, ti ci abituerai. - Ma io in te cercavo la forza, la meraviglia… sei solo amara. - Tranquillo, ti ho solo avvelenato il sangue, così potrai rimuovere tutto di te, la sensazione del disgusto e l’amaro in bocca servono a riprovarmi. Ogni volta che mi userai, sarò come una roulette russa… ne basta un poco in più e mi raccomando il limone che sia buono, serve a sciogliermi dall’impurità della mano dell’uomo, che mi mescola con il lattosio, il detè e la stricnina. Così veleno si aggiunge a veleno.

Dopo aver trascorso le mie giornate con lei, cominciavo a capire che il mio sangue non era più lo stesso, le abitudini cambiarono. Non più una vita di divertimento, mare, discoteche, ragazze, non più una vita familiare, non potevo più permettermelo dal momento che decisi di sfidare la sorte. In poco tempo di me rimase ben poco, la vecchiaia e la malattia anticiparono in me il loro tempo. Se con i pensieri si entra nel mondo dei sogni lì dove è fondamentale alimentarsi per non spegnere la speranza e la luce che è in noi, io entrai in un incubo. Trascurare me e gli altri divenne la normalità. Rubare, far danni, non mi importava più.

Io - Ora capisco la mia febbre, ho la morte in faccia… Lei - Ma dai, sei stato fortunato a non morire, sei stato fortunato a non aver fatto la fine dei tuoi amici. Giuseppe L. Fioschi


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- Si, ho capito! Mi hai portato solo disgrazie e sventure. - Sì, il mio segno l’ho lasciato per sempre…. - Mi dici come mai hai creato un impero intorno a te? - Non è colpa mia, io sono un fiore in natura e l’uomo che mi trasforma in un veleno e poi mi vende. - Allora non posso prendermela con te… - Prenditela con te stesso e con i tuoi simili che per far soldi vendono pietre e polvere, nel fango. Ma, se sei uscito da tutto questo, perché ancora cerchi di dialogare con me? Non sarebbe meglio dimenticare tutto?

I miei ragionamenti, con l’eroina dirottarono nell’ignoranza, nel buio. Ciò che appariva esteriormente è di poco conto rispetto a ciò che si nascondeva nella mia anima e nella mia casa. Se la vita continuava nel suo ciclo, io me la complicavo. La prima necessità, era trovare dei soldi per acquistare la dose giornaliera, all’inizio ciò bastava per l’intera giornata, la vita sembrava come prima non però la sua routine: la visita quotidiana allo spacciatore per comprare eroina, poi in farmacia a comprare la siringa e poi lo sballo condito di vomiti, niente che mi allarmasse, anche perché ciò prendeva poco tempo… Dopo tre mesi non potevo più fare a meno di iniettarmi quell’amaro disgusto. Se “farmi” mi dava il vomito, non “farmi” era ancora peggio: i piedi distesi scalciavano, la noia, la delusione, gli sbadigli, il malumore, il dolore crescevano in me, solo il “buco” poteva alleviarli. Era solo l’inizio della mia indecenza, era ancora niente: dovevo darmi da fare, per farmi, e fare tanto. La ricerca dei soldi diventava un problema, anche perché la necessità di una nuova dose aumentava di giorno in giorno, le mie vene mostravano i primi segni del vizio, imparavo a vivere nell’ombra nascondendo le braccia al sole. Il disagio cresceva nel raddoppiare delle dosi, dei soldi necessari, del tempo. L’unico pensiero era lei, come averla? Cominciai a preoccuparmi per lei anche per i momenti successivi della giornata fino a quando privato Il coraggio di cambiare


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della mia libertà e della mia lucidità divenni astutamente falso e subumano. Fu facile trovare stratagemmi per fregare gli altri, per farmi dare o prestare soldi, per andare a rubare di tutto, non potevo mancare ai miei appuntamenti se prima non avessi commesso un crimine. Fui talmente assuefatto che pensai di entrare nel cimitero, dove le ossa dei morti riposte nell’ossario, mi potevano dare qualcosa in oro, ma non lo feci anche perché trovai di meglio, appartamenti, negozi di abbigliamento, ferramenta, studi dentistici, magazzini di formaggi, di bevande, gioiellerie e poi macchine, stereo, camion carichi di merce, poste… Nella notte uscivo nell’ombra, alleviavo il mio dolore e le mie pene, depredando il “sudore” degli altri, a volte capitava che qualcuno stufo delle ripetute visite, mi sparava contro. La paura e la morte, l’incoscienza e la malvagità erano in me, tutto ormai sembrava normale, mi abituavo a convivere con la mia bruttezza e la mia crudeltà.

Anche l’alimentazione cambiò, mangiavo sole cose dolci, il resto mi faceva schifo, andavo di corpo ogni 10 15 giorni e il dolore che provavo era insopportabile… Persi l’entusiasmo di vivere, pigrizia e sonno furono di compagnia, persi in breve tempo la forza e la rabbia che avevo accumulato negli anni, diventando un vegetale… Mozziconi a terra, non sopportavo l’acqua per lavarmi, al mare se andavo qualche volta durante l’estate sentivo freddo e dormivo sulla spiaggia, ogni posto era perfetto per dormire… la mia stanza diventava la mia prigione. Penso al dolore di mia madre, che nonostante tutto veniva a sistemare la stanza quando io non ero in casa. Sangue, siringhe, droga, soldi, carcere, tutto ciò che è più detestabile era la mia normalità, mia madre sopportava fino a quando non a retto più. Mi vedeva cambiato con barba lunga, in cucina a mangiare non ero mai presente, vivevamo sotto lo stesso tetto come due estranei, io con il mio vizio, lei con le sue delusioni, le sue paure: da un Giuseppe L. Fioschi


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momento all’altro potevo morire o essere rinchiuso.

Fui il figlio peggiore che una madre potesse avere, e ora penso a quante madri piangono i loro figli per questo. Maledetto sia io e l’uomo che con la sua cattiveria e con il suo egoismo permette che tutto ciò accada. Bruciate ogni fiore che non sia nettare per le api, bruciate i vostri sogni di onnipotenza. Se questo è l’uomo dell’evoluzione, io vorrei essere il mio cane. Potrei andare avanti ancora tanto con questo racconto, e con queste oscenità, ma vorrei parlare anche degli effetti che produce la cocaina. Una cosa è certa che tutto questo non sarebbe successo se non avessi sfidato quel giorno la sorte. E chissà se oggi mia madre, mio padre, mio fratello non sarebbero adesso ancora con me a festeggiare la vita. Credo che la loro morte sia legata anche a questi avvenimenti, potrei scusarmi per questo con loro, ma credo che non basterebbe a colmare ciò che è successo. Fanculo.

Dopo una lunga detenzione usci dal carcere intenzionato di smettere con l’eroina, la roba dei poveri. Dovevo fare il salto di qualità passando alla cocaina. Il malessere non faceva parte di me, ero ritornato a nuova vita con entusiasmo. Non ero più pigro, mi lavavo, andavo al mare e non sentivo freddo, andavo in discoteca e ballavo fino a tardi, uscivo ogni giorno a trovare gli amici al bar, bevevo il meglio che c’era in circolazione, ragazze e sesso, ero instancabile... ero il ragazzo ideale per tanti che come me avevano il vizio: bella macchina, soldi e soprattutto tanta cocaina. Ciò mi rendeva invincibile. Era l’inizio di un bel viaggio cosa mai potevo chiedere di meglio alla vita se non questo? Ma poi: più sniffi e più bevi, più bevi e più sniffi.

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Io - Pensavo di aver trovato la felicità con te… Cocaina - Di la verità chi meglio di me avrebbe potuto darti così tanto? - E chi meglio di te può sapere che quello che mi offrivi, era minore a quello che mi toglievi? - Pensavo che con l’esperienza che avevi avuto con l’eroina capissi un po’ di più. - Cosa avrei dovuto capire? - Che tutto ciò che è trasgressivo, che sballa, ti chiede il conto, e chi meglio di te può sapere questo? - Mi sembri amichevole, ricordami il prezzo che ho pagato per te… - Che sballo che eri, sniffavi e mi fumavi in bottiglia, fino a quando il tuo cervello l’ho mandato in tilt… Ti facevo vedere quello che io volevo, e ti reggevi in piedi solo se io ero dentro te, appena mi allontanavo eri un cadavere. Ti addormentavi in piedi, cadevi senza rendertene conto, poi, quando pensavi di poter dormire, ti sedevi sul letto e le gambe si muovevano da sole. Ti ricordi, ballavi, volevi imparare il tip tap alle tre della notte non curandoti che al piano di sotto abitavano delle persone… ti mettevi a cantare senza ragione durante il sonno. L’eccitazione che ti ho procurato la ricordi? Per fortuna che la tua indole è quella di un timido, altrimenti avresti scopato qualsiasi vecchietta… e non mi spingo oltre, non vorrei far sapere tutto di te… Eri ossessionato tutti di guardavano, certo qualcuno ti seguiva. La tua paranoia mi era insopportabile… ti facevo credere che anche dal cielo ti spiassero, con i radar… ricordi quando dicevi a tuo padre siamo inseguiti da elicotteri? E lui non ci credeva, e tu ti arrabbiavi che lui non capisse. Quante volte ti ho fatto cadere a peso morto a terra, spaccandoti il viso? Quante cose vedevi che non esistevano, elicotteri, cani, inseguimenti, poliziotti, la radio che ti mandava i messaggi, il radar che ti controllava e tu ti sentivi sicuro. Le pisciate che facevi a terra pensando che fosse il bagno… il coraggio che riuscivo a trasmetterti che ti sentivi un dio, ricordi che volevi ammazzare quel ragazzo? Giuseppe L. Fioschi


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- Vorrei cancellare tutto ciò che è stato, vorrei fermarmi nel raccontare la mia schifezza. - Non vuoi raccontare cosa hai fatto passare ai tuoi famigliari? - Stai zitta per favore, e non intervenire più, se non ti chiamo io in causa… - Che hai, ti sento agitato, che fai piangi? - Basta per favore lasciami in pace, non sopporto niente. - Hai detto che serviva per capire e per far capire agli altri… - Ora ne ho le palle piene di te e della mia vita… - Che fai ti ammazzi? - No preferisco cancellarti… - Ora per risollevarti il morale, dovresti provare di nuovo a sniffarmi. - Anche se a volte la tentazione può essere forte, conoscendoti mi sto lontano da te, e da chi ti maneggia… - Hai trovato per caso una nuova droga? Sei ritornato con la tua eroina? - No. - E allora oggi senza di noi come te la cavi? - Molto meglio. Sono nelle facoltà di decidere con lucidità di scegliere posti amici famiglia e ciò che la vita mi può dare… - Ma eri pieno di amici che fine hanno fatto? - Tu che fine gli hai fatto fare, senza i vizi sicuramente molti non si sarebbero cacciati nei guai… - Cosa pensano i tuoi vecchi amici di te oggi? - Non lo so e non è un problema mio, io devo pensare a me e alla mia famiglia…. - Ma ti hanno fatto un lavaggio di cervello? - Molto l’ho capito da solo, ma non bastava ed è per questo che oggi la mia attenzione è rivolta su persone competenti….. - Come mai ti sei rivolto a queste persone? - Anche se avevo smesso di far uso di sostanze, mi mancava il sostentamento morale, in cui qualcuno mi dicesse se i miei comportamenti potevano andare bene o male, avevo una famiglia da portare avanti Il coraggio di cambiare


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e non sapevo come fare.. dovevo alleviare il peso che mi portavo dietro, e dovevo trovare pace. - Ma queste cose con me non te le sei mai chieste, vedi che ho ragione io a dire di ritornare da me…. - Si ma tu a lungo andare mi distruggevi, mi davi la felicità ma poi andava a finire sempre male, invece da quando ho smesso ho sofferto, ma oggi sto bene e a differenza di te, a lungo andare sto meglio….. - Che fai? - Dipende dai giorni ho imparato a convivere con la sofferenza mia e quella degli altri…. Riesco a capirmi, se c’è qualcosa che non va, gestisco meglio la rabbia, l’invidia, la pigrizia ecc… - Che fai quando sei nervoso? - Esco di casa e se sono troppo incazzato mi isolo in campagna facendo una passeggiata di riflessione… - Che fai altro? - Vado a trovare qualche amico che mi capisca. - Volevo dire cosa fai altro nella tua vita… - Soprattutto cerco di non farmela pesare. - Come fai - Trovo interessi diversi, ma già quelli che ho sono sufficienti a riempirmi - Che interessi hai? - Mi piace leggere, a volte scrivo, a volte passeggio a volte esco, a volte sono concentrato sulla famiglia, a volte sposto l’attenzione su di me, a volte sulle persone… mi piace pedalare… A volte lavoro, cerco di trovare in ogni situazione, un equilibrio… - Tu lo hai trovato il tuo equilibrio? - A volte, a volte mi serve fantasticare per non annoiarmi… - Ma fantasticare potrebbe portarti a sbagliare… - Per questo ci sono gli amici per portarmi sulla dritta via. Anche se oggi posso dire di avercela fatta a superare il mio male, le cicatrici, il segno della vergogna e i morti non si possono diGiuseppe L. Fioschi


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menticare… La vita stessa in molte occasioni si presenta con il passato. Se ho superato tanti ostacoli lo devo alla mia coscienza e alle persone che mi hanno invogliato a vivere, e che tutt’ oggi seguo… la lucidità di oggi e tutto il male che mi porto appresso, mi fanno ragionare e vedere la vita in modo differente, cercando nelle utilità delle cose o delle persone la semplicità e l’amor proprio. La soddisfazione più grande è quando qualcuno si accorge di te.

Ero come una casa senza pilastri, trascurata e riempita solo dalla polvere e da finestre chiuse alla luce del mondo. Una casa di morti e di vite sconvolte e travolte dalle macerie. Prigioniero di me delle mie abitudini, per liberami del passato ho combattuto la prima vera battaglia della mia vita.. Cucivo e placavo l’animo necessari alla mia sopravvivenza da ogni ferita, affetto, dolore, delusione sconfitte, errori e pensieri. E ricostruivo dalla distruzione una nuova dignità per me e per la mia famiglia ma purtroppo molte cose erano irreparabili. Le persone del paese della mia casa, non credevano alla mia trasformazione e la maggior parte di loro era schierata su fronti diversi: o fingevo o ero stato miracolato. Questo è il “mistero” della vita, ne sono affascinato e le volte che mi trovo a parlare con le persone di questo mi vengono i brividi. Oggi sono completamente diverso da come ero, vivo la poesia. L’incognito del buio non mi fa paura, la luce mi dà sicurezza.

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Variazione

Seduto sul pavimento di cemento osservo i ragazzi giocare, ascolto un po’ di musica, ma li sento, è una sensazione gradevole. Mi arriva un soffio. Gente che parla si mischia alla musica che ascolto, ho le orecchie aperte, tese, per imparare da qualcuno ciò che non so, ciò che manca. Rumori di porte, gente che arriva, passi di bambini. Come sarà il loro futuro? Saranno fortunati a non conoscere tutto il male che ci circonda. Altri passi, alzo la testa, guardo. Mi piace scrivere, forse son cose da poco, ma non credo e che importa poi… comunque scrivo. Intorno alberi, natura, liberi da mura! Mi arriva un ciao sorridente, non è rivolto a me ma è sempre bello sentirlo, un saluto. Droga, sesso, malessere, miseria, guerre. Tutto questo fa schifo. C’è da cercare cose necessarie per sconfiggere il male.

Madonna di Pozzino 1987. Ero con un amico, una giornata difficile da dimenticare, eravamo nel Regno Minore di quello che sarebbe diventato poi il Regno Maggiore dei Mali. Gambe, braccia, eravamo su un prato a chiacchierare…

Mi chiedono di accendere, il sole è cocente. “Grazie!” Guardo mio figlio, lo vedo è insieme a molti ragazzi che si preparano per l’allenamento. Torno con i pensieri al passato. Era un giorno del 1987… mi prende un senso di schifo. Che cosa orrenda. Ho ribrezzo del passato, sto bene adesso. Ma ricordare, mi aiuta, è fatica che sento necessaria, per meglio capire… Giuseppe L. Fioschi


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Torno sul prato del 1987, riesco a scorgerne l’erba. Un tiro al sigaro. Non so se devo lavorare con la memoria. I ragazzi si preparano per il pallone, due signore mi passano davanti. Nuvole… quanto è bello viaggiare. Sento, osservo, non riesco a concentrare il pensiero. Pausa e riflessione e ancora il mio sigaro. Mi fermo. Chiudo gli occhi e scorgo un’immagine. Sento il fischietto, il mio sguardo cerca Ruben fra i bambini, l’orologio luccica al sole, non lo vedo. Sudo, fa caldo, è una giornata primaverile, è giorno 8, il mio giorno fortunato, eccolo, finalmente riesco a vederlo mio figlio. Spero che con lui ci sia sempre un buon rapporto. Zaini, bottiglie d’acqua, mi fermo, bevo. Ascolto, continuo a sudare, il braccio mi fa male. Il naso mi dà fastidio, non ho fazzolettini. Sento chiacchiere intorno: “Gli hanno dato tutto, anche il borsone...”. Qualcuno nomina “Santa Maria di Leuca”, quanti ricordi…

1987, si avvicina un ragazzo, ci parla, ci conosce e…: “Volete provare un po’ di eroina? Vi fa sentire bene!”. Eravamo ancora nel Regno Minore ad un passo dal Regno Maggiore dei Mali.

Il braccio continua a farmi male, il naso gocciola. “Chiesa…” sento pronunciare e poi, “divisa”. Tutto ciò mi attira. Sbuffo, sento nell’aria qualcosa che sta cambiando. “Santità”, parola frequente. Penso di riaccendere il sigaro, lo faccio, so che mi fa male e impregna gli indumenti… Vorrei fermarmi a leggere, faccio una pausa e la pausa sembra avere il sopravvento, non riesco. Sono, quello che ordina la mente. Stop! Guardo i ragazzi, scorgo il numero 8. “Apriamoci” dice il Mister, urla, dà indicazioni. Testa bassa, una mano sulla fronte, bandierina che Il coraggio di cambiare


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sventola. Guardo ancora in campo, il primo fra tanti è sempre il numero 8. Gianmarco passa la palla, torna su, scende, questo sì che è un gioco di squadra. 1987. Madonna di Pozzino, prato. Amici che parlano, anime non tanto innocenti. Il male ci aveva già presi, ma il peggio doveva ancora venire. Sento i brividi sulla pelle, non so se è il vento oppure i pensieri che tornano a fare i conti con il passato. Ho già avuto questa sensazione: è il ricordo che fa male! Non mi importa è ciò che mi fa bene oggi, sono reattivo, percepisco una forte energia, so che devo dedicarla a me e nel migliore dei modi. Altra boccata di ossigeno nero sfiora le mie labbra. “Spacca tutto”… la voce della signora a fianco irrompe. È sempre il numero 8 che cattura la mia attenzione.

Tutto ebbe inizio con il numero 8. Cielo e terra. Sogni, ricordi e stranezze.

La signora passa alle parolacce, io mi guardo intorno. Quanti ragazzi… saranno fortunati o schiavi di tutto? È un bel problema. Come farli crescere tenendoli lontano dalla strada? Qual è il giusto metodo? Non lo so. Il vento alza la polvere sul campo con il loro forte vociare. Questa signora è veramente vomitevole, le esce di tutto dalla bocca! Mi concentro sul gioco in campo. Ma lei insiste. Guardo i ragazzi, sono quindici, e solo uno ha il numero sulla maglia, il numero 8. Dov’è mio figlio? Insisto a chiamarlo così fino a quando imparerò che lui è mio figlio. C’è un battibecco in campo. Porta chiusa, non è permesso ai genitori entrare. Gente che si lamenta. Mi preoccupo del mio fumo.

Sono lontano, 1987. Andiamo a Monteroni, la macchina velocemente si avvia verso l’inferno. Sul posto scambio di bustine con soldi, poi in farmacia: siringhe, laccetto, ago. Siamo dentro la macchina, il bracGiuseppe L. Fioschi


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cio si stende, un ago che entra. L’eroina mi prende, non capisco perché l’ho fatto, è rivoltante, vomito in continuazione, bevo e vomito. Fermiamo la macchina e vomito. Bevo e vomito. Nella villa comunale di San Pietro in Lama, amici diversi mi si avvicinano, non li sopporto. “È normale” mi dice il compagno che mi ha fatto provare sto schifo. Cambio foglio, mi distraggo. Tengo orecchie per queste persone che sono vicine, parlano: “carabinieri”, “stadio”, “manganelli”. Parlano dello stadio di Lecce seduti sui gradini del campo sportivo di San Cesario. Mi piace, trovo interessante tutto, mio figlio che si allena ed io qui a scrivere. Penso al giudizio della gente che mi guarda mentre scrivo, ma non mi importa: scrivo e parlo, forse sembrerò strano. È ciò che sento di fare. Il sigaro si è di nuovo spento, alzo lo sguardo e…

C’era una volta un gattino oppure un ragazzino che non ha avuto l’infanzia...

Mi guardo dentro, cosa ho sopportato… non sono né il primo né l’ultimo. Ancora una volta riaccendo il sigaro, guardo a destra e noto un signore, mi sembra Pasculli. Ha un grande tatuaggio sul braccio destro e uno piccolo sul braccio sinistro. Mio figlio gioca, spero che si diverta e sia un bell’ometto da grande. Sento il gocciolio del mio sudore, torno indietro con la memoria. Convincimenti, giochi di parole…

1987. Ci voleva solo per lui. Non dovevamo frequentare altra gente all’infuori di lui! Lavaggio del cervello, siamo caduti in una trappola. Ne sono uscito dopo più di vent’anni di dominio sul mio essere. Ne sento ancora i segni, mi guardo e non mi piaccio, sono diventato un “difetto” che dalla testa giunge fino ai piedi. Il coraggio di cambiare


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Mi innervosisco… marco la penna fortemente. Mi chiedo com’è che c’è questo “schifo" in giro? Perché non toglierlo di mezzo? Ammazza le persone, le schiavizza, essere più sporco non c’è. Non ti lavi, vomiti, mal di schiena, mal di tutto, non sopporti niente. Credi di poter trovare qualcosa che porti rimedio a una vita monotona, difficile… Dite ciò che volete… Ma pian piano l’essere ragazzi svanisce. Ricorrere alla droga per sentirsi meglio è la cosa più sbagliata che si possa fare. Ti toglie la vita, ti toglie gli amici, ti toglie tutto e in cambio, che cosa ti resta? Ti sembra di star meglio ma tutto diventa un inferno, cose che non credevi di fare le fai: vai a vendere di tutto, la biancheria, l’oro di casa, il tuo corpo, la tua anima. Oggi preferisco tenermi lontano dai mali che ci circondano. Credo di aver preso le mie decisioni con molto coraggio, non era semplice ma ho scelto di vivere... Ero invischiato con l’illegalità, ne sono uscito e non era facile, vengo da una famiglia con un “nome” noto. Prima ero ciò che gli altri volevano che io fossi, oggi comincio a mettere le basi per essere! Essere ciò che voglio. Una bellissima voce al cellulare mi dice che per oggi non è possibile effettuare la visita fisiatrica. Non fa niente, vado dal mio medico. Cambio pagina. La schiena e il braccio mi fanno male, il naso continua a gocciolare. Bevo ancora dell’acqua.

La droga ti chiude prima nella tua bella cameretta e poi in una “cameretta” di prigione… piccola, stretta! Piangi, non puoi uscire: il ferro, il rumore delle chiavi, le guardie. Sei nelle loro mani, fai solo ciò che ti dicono di fare e poi, umiliazioni, perquisizioni, costretto a convivere in due metri con altri... Ma come si può essere così idioti, la vita è già così difficile e, nonostante ciò, andare a cercare il peggio dei mali, dove l’anima si oscura. I ragazzi hanno finito di giocare penso di starmene ancora qui. Il sole riscalda e dà un senso di piacere. I pensieri volano e con loro la mia penna… Giuseppe L. Fioschi


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Nel buco nero

Sono le quattro del mattino, preparo un buon caffè, come al solito esco sul balcone a fumare il sigaro. Deborah, la mia compagna, Genny e Ruben, i miei figli, dormono. Il vibrare di una bottiglia che fa rumore, il gorgoglio dell’acquario, disturbano il mio silenzio. Non so se continuare a scrivere di quel maledetto giorno del 1987.

La droga è un cancro, se ne salvano pochi. Vorrei riflettere e pensare a quel “primo giorno”, analizzare persone e fatti. Darò dei nomi a quei ragazzi. L’amico che già frequentavo lo chiamerò Argo, così come lui aveva chiamato il suo cane. Il ragazzo che si avvicinò a noi per convincerci a fare uso di eroina lo chiamerò Caino. Forse per me e Argo le possibilità di entrare nel mondo della droga erano già aperte, non eravamo proprio dei modelli da seguire. Vivevamo in strada, e agli occhi degli altri apparivamo come due tipi svelti, con i soldi in tasca, sempre in giro a far furti. Però, chissà se quel giorno non avessimo cominciato come sarebbe andata la nostra vita. Io nel prosieguo degli anni ho fatto di tutto, mi sono trovato con ragazzi che usavano droghe, ho spacciato per lungo tempo ma, non mi sono mai permesso di convincere dei giovani ad usare droghe, anzi, contro i miei interessi cercavo di dissuaderli. Caino non solo ci ha convinti quel giorno ma poi ha cercato con un altro, che abbiamo incontrato l’indomani, di farci il lavaggio del cervello, e devo ammettere che c’è riuscito. Come noi, molti in seguito furono avvicinati e convinti a far uso di eroina, così loro si garantivano l’eroina gratis. Alcuni di quei ragazzi non ci sono più, Argo con loro, vittime della droga. C’è chi è impazzito e c’è chi ancora vive. Il coraggio di cambiare


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Anch’io ho spacciato sì, era l’unico modo per non andare a rubare. Ho sbagliato tanto, ma non merito colpe che non mi appartengono, questo, vorrei ribadirlo. Pensare mi fa tanta rabbia, ma scrivo per trovare indirizzo a ciò che è stato!

Mi chiedo, perché un ragazzo di 11 anni dopo aver passato diciotto mesi in ospedale, sei anni in istituto, torna al suo paese e viene considerato un poco di buono, uno da evitare? Per gli altri, noi eravamo la peste… Mio padre lo avevano arrestato per un omicidio. Mia madre è morta a quarantaquattro anni proprio per le sofferenze e le umiliazioni che ha dovuto subire. Vivevamo nella miseria, ma grazie al continuo faticare di mia madre non morivamo di fame. Era molto inquieta, mio padre era il suo cruccio e con orgoglio, con determinazione ha scelto di andare a lavorare e non seguire le orme del marito. Giovanissima aveva quattro figli. Ma nessuno aiuto è venuto: le porte si chiudevano, le persone ci evitavano, i genitori degli amici non accettavano che i loro figli ci frequentassero. E allora, non fai altro che covare rabbia, rabbia, soltanto rabbia… Ti senti offeso, ti chiedi perché e un giorno ti ritrovi solo, vuoi amici e non è possibile averne. Solo amarezze, quelle sì, e delusioni. Anche a scuola andò male. Il primo anno di medie a San Pietro in Lama: insulti, indifferenza, botte.

Oggi credo che alla mia autodistruzione abbiano collaborato in molti… ricordo un giorno, ormai lontano: avevo all’incirca quattordici anni e andai a casa di un ragazzo che conoscevo. Sentii la madre che lo sgridava dicendogli di non frequentarmi. Quella frase è rimasta impressa a lungo in me peggiorando la mia già pessima condizione. Chissà se esiste un dio della vendetta o un dio giusto, come il santo del mio giorno di nascita, il 24 agosto del 1966, San Giusto, appunto! Giuseppe L. Fioschi


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Il gattino bianco

Che pace osservare questo mare! All’orizzonte spunta una nave. C’è un gattino, mi sta vicino. Sento la salsedine, il fruscio del mare. Persone vicine prendono il sole, qualcuno pesca. Beata tranquillità, dove tutto è silenzioso! Ho accompagnato Genny e la nonna, per una passeggiata in riva al mare, scorgo lontano le loro figure ed io cerco di approfittare di questo momento per scrivere. Ma una piccola illuminazione oggi non viene. Forse è meglio pensare un po’ prima… Moscerini volano intorno, approfitto del mare e soffio il naso con l’acqua salata.

Non so se ciò che scrivo ha valore per gli altri, come potrò mai completare il desiderio di questo libro, se poi mi mancano le emozioni, le conoscenze più semplici? Comunque continuo con le mie “fesserie”, l’importante è sentirle necessarie, se non lo sono per me vuol dire che lo saranno per qualcun altro. Spero.

Vorrei che questo mondo cambiasse e che tutti avessimo la stessa saggezza, per comprendere ed evitare gli errori. Che stanchezza la terra! Vorrei elevarmi su una nuvola per guardarla dall’alto… I moscerini mi stanno mangiando, comincio a non sopportarli. Mia figlia e la nonna sono ormai vicine: “Papà posso ancora giocare?”. La nonna ha raccolto dei fiori, pulisco i piedini di Genny dalla sabbia, dovrò portarla a tagliare i capelli. Mentre tento di tornare a scrivere, osservo la mia piccola. La nonna vuole andar via… Mi trovo a Casarano in un convegno carismatico, ho appena fatto una foto insieme a Stefano, Sara, Simona, Franca, Laura, Chiara e Azzurra. Qui trovo serenità, in questo posto e con queste persone Il coraggio di cambiare


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che non si preoccupano di chi ero. (Ah!, il passato…). Siamo arrivati intorno alle nove del mattino, rimarremo sino a sera. Cosa posso fare per rinforzare la mia memoria? Può bastare dare voce a ciò che ascolto? Un giorno memorabile questo è il “10 10 2010”, ed io esplodo in un pianto liberatorio. Grazie Signore Gesù, che pian piano mi stai facendo sciogliere e capire l’amore. L’amore che abbatte tutti gli ostacoli e ci fa sentire in pace. Beato chi presta orecchie a Dio. Che dire di Stefano? Un ragazzo meraviglioso, una nuova amicizia che nasce.

Sono in macchina, a Lecce, ho accompagnato Deborah al lavoro. Piove, sento un po’ di musica, musica sacra comprata ieri a Casarano. Ho anche acquistato un libro e un portachiavi. Faccio un passo indietro nel tempo, torno a due giorni fa, quando mi trovavo a Torre Lapillo, sulla spiaggia, con nonna e Genny. Mentre scrivevo, mi si avvicinò un gattino bianco, dagli occhi celesti. Era abbastanza malandato, si avvicinava, si metteva sulle mie gambe, non mi dava fastidio. Scrivevo, ma il pensiero era rivolto a lui, un continuo mormorare: che faccio, lo prendo, lo porto a casa? Ma il veterinario oggi sarà chiuso? Lo lasciai al suo destino… Sulla strada del ritorno, arrivati a Magliano, in prossimità di una curva, nonna mi indica un povero gattino, sicuramente era stato investito. Di schiena sull’asfalto si dava slanci per poter raggiungere un riparo, sul marciapiede. Anche qui, pensieri: torno, non torno? Avevo una macchina dietro, poi ho pensato che sicuramente aveva raggiunto il marciapiede e che era in salvo… Il giorno dopo, appena svegli, Deborah mi dice di aver avuto un incubo - dei gattini non le avevo detto niente. Mi racconta che nel sogno, si trovava in casa di sua zia Lina, a Torre Lapillo, mentre puliva dei mobili, notava dei lombrichi. Ma ciò che l’aveva spaventata di più era un gattino bianco con la pancia squarciata. Giuseppe L. Fioschi


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Le ho raccontato del giorno precedente… Ah! Quel gattino bianco… Torna

In macchina con Stefano, Laura, Chiara e Azzurra, per raggiungere Casarano, chiedo loro se vogliono ascoltare ciò che ho scritto nei giorni scorsi, acconsentono e mi metto a leggere, non guardo più la strada preso dalla volontà di comunicare loro la storia di quel giorno del 1987. Ad un certo punto Stefano dice che siamo a Galatina. Alzo lo sguardo e l’unica cosa che vedo è un gatto bianco, morto, sull’asfalto. Ed è così che racconto anche a loro la storia del gattino a Torre Lapillo, del gatto di Magliano, di quello comparso nel sogno di Deborah. E raccontando, mi sento sconfitto dalla mia incapacità di dare seguito ai miei pensieri: “lo prendo questo gattino, lo curo, gli do un nome e un po’ del mio amore, un’occasione per fare del bene” … ma non è andata così e sento dolore per non averlo raccolto quel micetto. Ho rimandato l’andare a cercarlo sperando nelle sua capacità di sfuggire ai pericoli… Tempo fa scrissi una poesia dedicata ad una donna che ha conosciuto la povertà e l’ignoranza. Ora non c’è più, andata a miglior vita. I suoi occhi erano celesti, come quelli del gattino. Giovanna m’era tornata in testa guardandolo sulle mie gambe, mentre scrivevo, mentre Genny giocava con la sabbia e la nonna voleva andar via…

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Cos’è la libertà?

Scrivere mi aiuta a capire, a dare senso alla mia vita. Collegare persone, fatti, segni. Cerco di vivere nel presente, nel migliore dei modi. Il mio cuore, la mia anima, hanno molto patito e cerco conforto nella religione, lì trovo sicurezza e amore. Credere fa di un essere umano un uomo. Puoi avere tutto ciò che vuoi: soldi, macchine e tutto il resto, ma se non hai amore nel cuore, se non trasmetti amore agli altri, nulla ha senso. In questi ultimi anni mi stavo nuovamente perdendo, ma non per le droghe, non capivo, non riuscivo a dar senso alla parola Libertà. Cercavo di comprendere ciò che la vita mi portava di nuovo, ma mi era difficile apprezzarlo sino in fondo. M’inquietava, poi, è venuta l’illuminazione e la fiducia nelle persone… Il Sert di San Cesario, il consultorio familiare ed alcuni amministratori del comune a San Pietro in Lama. Qualcosa è cambiato, ci sarà tempo, qui per ringraziare tutti… Abbiamo lavorato principalmente sulla famiglia e i frutti son venuti. Non è stato facile, di casini ne avevo fatti in passato, volevo cambiare sì, ma non sapevo quanto fosse dura. Cattivi pensieri tornavano in mente, cercavo di staccarmene da solo, leggendo, facendo sport, dedicando molto tempo alla cura della persona anche perché mi capitava di non sopportare il continuo gridare di Deborah, dei bambini in casa. Sentivo che ancora nessuno mi dava fiducia. Ho dovuto faticare molto per conquistarmi un posto, un riconoscimento sociale, anche se anGiuseppe L. Fioschi


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cora non lavoro. Ma non dispero, sono fiducioso perché ho trovato una strada, la mia, l’ho cercata e l’ho trovata, chissà a quali misteri mi condurrà… Sudavo, lavoravo, stressavo il corpo e anche le amicizie, nel buio non riuscivo a dare senso alla conquista, alla ritrovata libertà. Libertà, parola a me estranea. Credevo significasse essere libero da tutto e da tutti, anche dalla propria compagna e dai propri figli. Ma, più mi allontanavo da loro, più cresceva in me un desiderio d’amore. Amare volevo, fare questa esperienza, anche a costo di tradire Deborah per sentire un innamoramento, la sensazione piena dell’amore. Ma questo pensiero mi allontanava sempre di più, da casa, dagli affetti, non capivo e non ero molto disposto ad aiutare Deborah, i miei figli. Ogni quindici giorni un colloquio al Sert, la dottoressa che prende a cuore il mio caso e che cerca di trasformare i miei sogni in realtà. Finalmente qualcuno considera la mia storia! Poi i primi contatti con il Sindaco di San Pietro in Lama e la scoperta della possibilità di nuove relazioni con il paese dove ero nato, cresciuto e… Son venuti consigli ed io, in cerca: cos’è la libertà, cos’è l’amore? L’estate scorsa qualcosa s’è mosso, ha preso forma. Andando al mare con Genny ho cominciato a capire nel prendermi cura di lei e nel dedicarmi alle sue necessità. Essere presente a lei, a loro, “tentare” l’affetto… Ecco cos’è l’amore, darsi, donarsi agli altri. Essere con gli altri.

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Corpo

Viaggerò con la mente per riuscire ad incontrare mia Madre e poterla così immaginare in una vita normale. Mia Madre, lei la stella che inseguo, la méta. Non c’è nulla che non possa trasformarsi in qualcosa di meraviglioso. La realtà non mi impressiona adesso che credo solo nell’ebbrezza, nell’estasi che viene dalla vita. Una vita normale senza ferri ai polsi, senza gabbie, senza “dipendenze”! Fuggo sempre, in un modo o nell’altro di là dai “muri”. E quanti! È difficile cominciare una nuova vita. Lo so, dovrò affrontare molte sfide, cammini tutti in salita. Qualcuno tenterà di portarmi giù? Nascono paure e l’unico modo per fermarle è quello di affrontarle.

L’acqua è calda, m’immergo in una vasca. Le mani accarezzano il corpo nudo, guardo intorno tutto pare magia. I vecchi ricordi, sempre presenti, s’allontanano: aria nuova, pulita. Respiro, colgo ogni alito di vento. Adoro il silenzio. Inseguo immagini: corro nelle strade del paese, sono tutte mie. Fuggire, non si può. La follia e l’amore… m’avvolgo d’acqua, i pensieri pare galleggino come le bollicine, un profumo si leva, la spugna aspetta la mia mano. Quanta grazia! Dico alla vita ti amo, ora che comincio a riconoscermi in frasi fatte mie… M’abbandono, le mani sfiorano, osservo l’orrore, lo scempio fatto su queste braccia, su queste gambe. In ogni “buco” c’è una storia, “buchi” sospesi tra la vita e la morte. Mi lascio all’indietro: la porta è chiusa, mia Madre sa, piange, si diGiuseppe L. Fioschi


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spera, ma non trova il coraggio d’imporre il suo “basta” allo scempio. Sangue schizzato sui muri... Non ci sono gli altri, il veleno brucia la mente, il corpo, le vene… Apro gli occhi, una voce di donna nella mia testa intona la sua melodia. Non smette, m’apre i pensieri e alla coscienza viene poesia. Mi rendo conto di non essere solo! C’è un’anima che fa compagnia alla mia, muove la testa per… É piacevole, nessun ricordo adesso, neanche parole. I dolori, le sopportazioni, le vergogne provate. Ancora oggi sento disagio, per le ferite, subite, date con accanimento al mio corpo. Perché tutto questo è accaduto? Ogni primavera i fiori si coprono di bei colori, le giornate si rigenerano di nuovi umori. La mia testa no, cade nel vortice di quei “buchi”. È il minimo che io possa pagare dopo tutto il male fatto a Lei e agli altri. Un figlio come me è il dolore più grande... Mamma guardami, proteggimi, abbracciami, dimmi che mi vuoi bene. Perdonami! Sii guida nel mio nuovo venire al mondo, tornerà tra noi un amore puro. Sarai partecipe, mi manderai un sorriso? Ti voglio bene sai. Le lacrime mi consumano.

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Tra la vita e la morte

In aria, su un filo, cammino. La corrente mi porta giù, mentre gli anni passano inutilmente nel vortice che inghiotte. Nell’amaro di quel buco. Vorrei risalire la cima, ma non posso, cado ogni volta… ed in ogni caduta il male mi devasta facendomi perdere le forze. Non ha limiti: prende il corpo, l’animo, si fa gioco di me a suo piacimento. Mi domina. Oggi sono un uomo di 44 anni, in me 18 mesi di ospedale per tumore benigno ai polmoni; 6 anni di istituto; 11 anni vissuti in carcere. Gli altri sino al 2009 in regime di libertà vigilata. A 12 anni volevo farla finita disperatamente.

Apro la stanza dei ricordi: letto, gocce, la morte che viene. Ma, neanche lì, mi vogliono, la vita continua.

“Che fai bambino?”. “Tento, tento soltanto l’amore…”. “No, non si può, non ti è dato. Sono il diavolo e gli angeli non sopportano questo, mi nutro di malessere, la gioia non conosce il mio cuore”. Mi rivolgo al Signore. Sembra rispondere.

“Se vuoi essere un mio figliolo dovrai portare la tua croce e quella di tua madre e dei tuoi fratelli, fino in fondo. Se riuscirai a superare ciò che il diavolo ti propone di fare, se supererai le maldicenze, le invidie, i torti e le offese fatte e ricevute, e se riuscirai dopo questo a perdonarti e perdonare gli altri, invocherò il tuo nome fino a farlo giungere a Dio. Ti custodirò nel mio cuore pieno di amore”. Giuseppe L. Fioschi


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Non viene forza: senza possibilità di riuscita mi arrendo al vizio. Dal burrone vedevo solo la luna, ed io mi abbandonavo a lei, con le braccia tese invocavo il sole. Ma l’attrazione della luna mi seduceva con i miei sbalzi di umore frequenti. Dormivo e dormivo, non vedendo sole, l’unico modo per sfuggire dalla realtà. Le gambe piegate, il corpo trascinato senza motore: letto, droga, bagno. Vomito, mi piego in avanti, dalla bocca esce veleno. “Se vuoi venire a trovarmi ti faccio vedere casa mia, la casa degli orrori”.

L’anima esce, va a farsi fottere da qualcuno, tanto che cazzo se ne frega di ciò che accade. Non hanno coraggio, hanno paura di me. Cresco nella paura, nell’indifferenza. Quanti insulti. Affilo armi. Mi armo d’ira, e comincio a fare terra bruciata intorno a me. C’è solo rabbia a muovermi. Poi, la coca. Il motore si accende, cammina, corre, viaggia, la mente si riempie di fantasie erotiche. Corro, corro fino a sentirmi un Dio. Nel viaggio… la macchina si spegne… benzina esaurita, motore fuso. E adesso? Che fare per aiutare questa “carcassa”? Invoco il Diavolo.

“Satana ti offro la mia anima, affinché tu mi dia una vita normale e serena. E che io possa innamorarmi nuovamente”. Lui pare rispondere.

“Prenderò tutta la tua anima cattiva e lascerò quel piccolo frammento di bontà che ti abita. Ti manderò una ragazza bellissima, così tanto che riesce a fregare anche me, se riuscirai a farla innamorare e concepire con lei un figlio e subire da parte della gente, pregiudizi e pettegolezzi, allora sì che io prenderò la tua anima e ne lascerò a te un Il coraggio di cambiare


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piccolo frammento”.

Scegliere, devo scegliere, come fare? Farsi capace della morte? Accoglierla, tentarla? Ma è quella degli altri che viene a far monito: mamma muore a 44 anni, Gianni, mio fratello all’età di 27 anni e gli amici, uno dopo l’altro. Il dolore lacera, provo vergogna, arrivano scosse… C’è solo da scegliere da che parte stare. Il Bene o il Male? Quello il bivio. Solo a pensarci mi sciolgo. Decido. Cos’è il Bene? Lavoro molto su questo… e il “piccolo frammento” prende luce, fantastica un mondo migliore, combatte. Ne esco vincitore. Gli dei mi inviano “Sant’Ugo”. Mi disintossico dalle droghe, da più mali. Faccio mia la parola del Signore. Vivere o morire? Vivere. Nel bene o nel male? Nel bene. Attore o comparsa? Attore Protagonista o spettatore? Protagonista

Il motore si accende, trova linfa, nuovi motivi. Il corpo si muove, si ingolfa, i “resti” del passato sono ancora presenti. Dopo un lungo tragitto di delusioni e amarezze il motore rischia di spegnersi... Subisco o reagisco, basta, è ora!

Giuseppe L. Fioschi


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Nel cambiamento

Le storie si intrecciano l’una con l’altra. Guardo delle vecchie fotografie e ri-costruisco me stesso. Sento! Provo sintonie! La felicità si triplica quando sento di rendere felici gli altri, con un abbraccio o con un sorriso. I miei amici sono stati sempre i deboli. Riparto dal passato: dove c’è odio voglio riportare amore; dove c’è discordia, unione.

Tutto sta cambiando, mi lascio andare oltre i confini di questa irrequietezza che sempre mi abita. Non mi basta, vorrei sentire il corpo vibrare di amore fino ad esplodere. Scelgo per me, con me, persone che danno un senso alla vita. Mi serve sentirlo! Loro non si limitano solo a guardare, spettatori passivi di ciò che li circonda. No, loro sono parte attiva in questa società disgregata, che vive di ferite. “Cantano” loro, lievi, sinceri. Ridono. Sono sensibili le mie “orecchie”, lo sono sempre state, stanco di sentire cose inutili e cattiverie, ascolto solo “musica”, adesso, quella che la vita e gli incontri mi portano! Danzano gli alberi al fruscio del vento Un uccello canta, porta melodie di casa in casa Si accende una macchina, altre attraversano la strada… Verso quale direzione? La strada asfaltata ha buche d’acqua.

Albero, vento, l’acqua che scorre lentamente, il bicchiere è poggiato sul tavolo, le sedie intorno, scottex... c’è un po’ di tutto sul mio tavolo. Il coraggio di cambiare


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Scrivo, penso a cosa? Non so?

Se lascio parlare il mio spirito tutto trova soluzione, è questione di “santità”. Cos'è la santità? Una domanda che torna, guida di questo cercare. Anche nella pausa, nel vorrei. Non so, non so cosa. Frequento un centro, per avere a posto il mio corpo, ma adesso funziona sulla mia mente. Tutto quello che ora mi sta succedendo lo sento, lo voglio… o sono gli altri che lo desiderano? C'è uno scambio! Non so, è tutto così misterioso. Anch’io sono un mistero. Come avrò fatto ad arrivare sin qui? Ciò che conta è voler fare delle cose. Dagli altri vengono gli “strumenti”, le chiavi, per questo nuovo cercare, bisogna solo saperle usare. Spero riuscirci. Strumenti utili, affinano il sentimento, strumenti che non si danno a tutti, a qualsiasi persona: che sia questo un nuovo inizio, un altro battesimo, un'iniziazione? Le scosse, la vergogna, gli esami di coscienza, i pensamenti e tutto il resto hanno contribuito a questo. E la fiducia cresce.

Giuseppe L. Fioschi


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Gesù

Ho ritrovato la fede in me: mi invitarono in chiesa, preso per mano, per farmi volare. Ci sono tante persone che nella scena non appaiono. Sento che così vivendo raggiungerò la pace e rafforzerò l’amore per gli altri. Dovrò essere anch’io più partecipe e più coinvolto, a volte, ho paura di esprimere le mie idee, se fossi un viandante a tempo pieno mi sentirei realizzato di più. Ora, le mie visioni oniriche sono rivolte a Gesù e a me stesso. Mi guardo sottomesso a lui. Grazie di avermi salvato l’animo! Sentirlo, Gesù! Sollevarsi fino a toccare il cielo. Stare nella sua “suggestione”. Lo scelgo e in dono mi ha portato accadimenti che sembrano dei misteri, cose affascinanti: visioni, sogni. Cose della bibbia. L'ho sognata prima di cominciare a leggerla. Chissà cosa ha trovato in me Dio? In me che sono un peccatore, uno che alle leggi non ci voleva proprio stare. Avevo le mie di leggi, ero contro tutto!

Se guardo indietro vedo molto buio, e da quel buio lo spirito mi parla, mi consiglia. Diventa guida, stimolo. Non è facile ciò che mi chiede, a volte non ho la capacità o la forza di mettere in pratica ciò che mi “detta” in questa che sento come una “santificazione” una purificazione di ciò che è stato. Una chiarificazione con me stesso che dà luce e comprensione al mio amaro passato. Non è facile il cambiamento, ci vuole molto coraggio, forza, determinazione, fermezza! Se questo sono io oggi, prima chi ero?

Il coraggio di cambiare


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Mi torna in mente un episodio capitato in carcere a Sulmona, più o meno due anni e mezzo fa. Credevo che tutto stesse andando male. Quel giorno mi sentivo un po’ preso in giro. Forse volevano provare a farmi reagire a ciò che stava accadendo o per intero ai miei quarantadue anni di vita e di rabbia. Reagii con tale violenza da scatenare l’inferno in cella: sentivo venire in me, una forza sovrannaturale. Non riuscii a demolirla del tutto, la rabbia, allora chiesi agli agenti di andare in isolamento anche se loro lo sconsigliavano, visto lo stato in cui ero. Ci andai ugualmente e anche lì prese il sopravvento, cercavo la morte. Volevo farmi male, farla finita. Distrussi tutto, anche nella cella di isolamento. Immobile in piedi, branda a destra e sbarre sulla sinistra. Il “motore” esplose e feci rovina di quel poco... esausto senza più forza, invocai la morte, la volevo, la desideravo... fissavo in un punto il buio venire. All’improvviso, una sensazione: sentii entrare / uscire qualcosa di invisibile dal mio corpo. Dalla parte del cuore una luce... Chiesi al parroco del penitenziario e da lui ebbi la benedizione. Incominciai a parlare, a parlar molto, non mi era mai capitato... mi rasserenai. Credo che da grandi un po’ tutti dovrebbero rivedere le propria storia, tornare indietro nel passato, rivedersi nel tempo che fu.

Giuseppe L. Fioschi


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Io, bambino

Toc, toc... entro, non so se mi gioverà, purtroppo è andata così. Crudele con me la vita... Mi chiedo, se un bambino, possa nascere già cattivo o se sono le circostanze che lo portano a diventarlo. Non vado fiero di ciò che mi è accaduto. La gente che mi conosceva tempo fa potrebbe dubitare del mio cambiamento. Non so cosa penserà, non mi importa: io oggi sono questo, ieri ero un altro. Istituto C. M. Luigi Scarciglia, Santa Maria di Leuca

Dei primi due anni d’istituto non ho molti ricordi, ma il terzo anno… è stato un incubo. Fui anche bocciato a scuola. Rammento un refettorio grande dove tutti noi ragazzi mangiavamo, eravamo in molti, la suora era lì presente ma non poteva guardarci tutti. Tra noi c’era un ragazzo più grande che per fortuna andò via dopo aver finito l’anno scolastico, ma non prima di lasciare la sua impronta. Era quello che oggi si chiama un bullo, un rompiscatole, un diavolo: dominava! In mensa io dovevo scegliere per lui il cibo migliore, metterlo in tasca e consegnarglielo in camerata. Un giorno il suo comodino fu invaso dalle formiche. Non so perché questo tale ce l’avesse tanto con me. Rammento che un giorno in bagno mi costrinse a mangiare delle feci. A scuola davanti a tutti mi fece mangiare un insetto. Forse capisco ora tanto accanimento verso di me, malgrado ciò che mi faceva non riusciva a piegarmi, io non piangevo sembrava che stessi al gioco. Non mi rendevo conto di quello che facevo e non avevo la cattiveria per reagire alle sue porcate. Io, in classe, ero diventato insopportabile, facevo piangere le maestre. Quando andò via, finalmente tutto proseguì Il coraggio di cambiare


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per il meglio. In quarta elementare ricordo che causai accidentalmente un gonfiore sul viso di un ragazzo. Urtò vicino la finestra. Ritornò in me l'inquietudine, sentivo il senso di colpa invadermi, ricominciai a non studiare e a stare male. L’ultimo anno, insieme ad un compagno, questo di Cavallino, facevamo i responsabili. Io andavo ogni giorno in chiesa, rammento che durante il mese di maggio si scriveva su bigliettini i nostri fioretti. A raccolta il pomeriggio dicevamo il rosario. Mangiavamo marmellata e burro. Lì non c’erano storie, si doveva mangiare tutto. Una volta dopo tanti tentativi di farmi mangiare la pastina mi portarono della verdura amara. La domenica a mezzogiorno la madre superiora veniva in refettorio a portarci caramelle, noi l’accoglievamo con applausi. Rammento la mattina che ci preparavano per andare al mare, ci davano pane e pomodoro, e poi le recite, la comunione con mamma, Piera, Gianni e la nonna Maddalena. Il primo batticuore per una ragazzina di Corsano. Di lei ricordo anche nome e cognome, ed il suo numero di telefono, chissà se è ancora quello! In classe quando non c’era la maestra, qualche ragazza più sfrontata mi chiedeva di fargli vedere il mio pisello. Ed io senza vergogna facevo il giro della classe. Una volta un ragazzo ebbe l’idea di bagnare tutti i letti facendo pipì. Per me non c’erano problemi, mi capitava spesso. Insieme ad altri due riuscimmo nell’impresa, le suore, per punizione, ci misero le lenzuola bagnate in testa per farci vedere da tutte le ragazzine che come una processione passavano davanti a noi. Anche d’inverno indossavamo pantaloncini, e non ricordo alcun raffreddore. Giocavamo con la palla fatta di carta e buste, perché il pallone non era facile ottenerlo e poi, ogni volta, andava a finire in mare. Una volta vidi dalla finestra della camerata uno squalo in mare. Poi mi dissero che era una mucca, una nave aveva perso il suo carico di bestiame. Giuseppe L. Fioschi


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Racconti leggendari: si diceva che i turchi avessero rubato la campana del Santuario, e che poi fossero affondati con questa. Dove è caduta la campana lì si crede che sia scomparso il fondo del mare. Gli alberi con i “rusciuli” vedo, i fiori, la ringhiera, i pettirossi, le prime masturbazioni, i racconti durante la notte in bagno. Rammento quella volta che, per far ridere tutti, scesi dal letto mi misi in mezzo alla camerata per fare una puzzetta, invece mi feci addosso. Riesco a vedere quella casa distrutta dalla guerra. All’orizzonte le navi, la processione della Festa della Madonna. Ricordo quando dalla finestra osservavo il panorama, le case, le luci, mentre mi chiedevo dove fosse casa mia. I fuochi, le visite al Santuario, le grandi scale, i compiti. I capperi, i porci, la scuola, il sole, la gente che si tuffava dagli scogli. I motoscafi li chiamavamo “surgicchi”. I voli da portiere, gli amici e i loro racconti. Le visite dei nostri genitori. A volte andavamo al campo per giocare o per guardare, arrivati mangiavamo arance. Il Natale e le Befane con i regali. I desideri detti alle suore: io chiesi il completo dell’Inter, invece mi fu dato un camion, un’altra volta Braccio di ferro. A volte venivano ragazzi di altri istituti a trovarci, ed io mi innamoravo sempre di qualcuna. Gli esami di quinta, dove andai bene, i nomi di qualche ragazzo, i giochi: quello col fazzoletto, con il filo, con le mani. I passi di un ballo, le pietre nel mare e la paura dell’acqua. I primi confronti con gli altri, la prima eiaculazione e i sentimenti. Malgrado il mio allontanamento da casa e tutto il resto non provavo nessun sentimento di rabbia.

Ogni tanto mi reco in quel posto, ormai l’istituto non c’è più. E nemmeno le nostre foto, le nostre scritte. Oggi mi chiedo se qualcosa sia rimasta. Mi serve per tenere a me, stretto e acceso, il ricordo di quel bambino.

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Furtarelli

Sono le 6,30 del mattino, son sveglio già da un po’. Ho dato la mia parola che stamattina presto sarei andato ad aiutare mia suocera a tagliare l’erba. Così anche oggi avrò fatto una buona azione. Un caffè, il toscanello, i ricordi...

Credo che intorno ai 15 e 16 anni cominciai a perdermi. Ricostruire tutta la mia vita non è facile dopo aver sempre cercato di dimenticarla. Non vorrei dire cose per discolparmi o dare colpe ad altri per ciò che ho fatto, importerà a pochi questo. Secondo me prima di mettere la “testa fuori” un ragazzo, deve essere attrezzato di tutto, conoscenza e saperi. Si è come “calamite” quando si è piccoli e acerbi, ci si attacca facilmente a chiunque, nel bene e nel male.

Leggo una delle tantissime relazioni che mi riguardano: “Il Foschi deve rispondere del furto di un paio di pantaloni e di una cinghia ai danni dei magazzini Standa, il fatto è avvenuto in Lecce il 20/05/1982. Non ha precedenti a carico”.

Di questo episodio ricordo che mi trovavo a Lecce perché ero fidanzato con una ragazza. Ero con due conoscenti già esperti di furti. Decidemmo così di entrare nel grande magazzino. Fui preso. In Questura mi tennero un sacco di tempo facendomi domande su domande. Io non feci alcun nome, non perché fossi pronto all’omertà. Anche in casa non accusavo mai i miei fratelli dei loro misfatti. Questo è stato il primo furto testimoniato in questura. In realtà rubavo già da tempo per potermi vestire, d’altronde non poGiuseppe L. Fioschi


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tevo chiedere a mia madre dei soldi, la situazione in casa era davvero disastrosa. In quello stesso periodo si sentiva parlare in paese di un ragazzo che rubava negli appartamenti. Lo incontrai in un bar e mi propose di farmi guadagnare i soldi di una settimana in un giorno solo. Non accettai. Ma poi sono stato una preda facile, a volte se non sei preparato può bastare un incontro per distruggerti. Crescevo e non davo importanza al lavoro in quanto mestiere, pensavo solo al guadagno. Dopo averne cambiati molti cominciai a lavorare come muratore a Lequile. Qui feci amicizia con un ragazzo, lui chiacchierone e io grande ascoltatore, lui la mente ed io il braccio. Insieme, un giorno, andammo al mercato di Lecce da lì riuscimmo a portar via una busta piena di vestiti. Era estate, ricordo di aver fatto colpo su una ragazza forse perché indossavo un completo bianco Tacchini, rubato. Non mi rendevo conto di ciò che facevo, dovevo dimostrare di non aver paura. Una volta ho rubato dei soldi in casa di una signora dove stavamo facendo dei lavori. Lui, mi disse dove erano, ed io li presi. Pian piano precipitai in un abisso più profondo. Abissi dove la luce non arriva mai. Risalire non è semplice, ci vuole tempo, tutto il tempo necessario...

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Fotografie

Sfoglio il mio album di fotografie, cercato in un cassetto. Più le osservo e più mi accorgo che il tempo è infame. Guardo attentamente una foto della mia fanciullezza scattata il giorno della mia prima comunione. Provo una sensazione di dolcezza nei confronti di quel ragazzino, ma anche una profonda amarezza per quel bambino che non c’è più. Ammiro la bellezza di un tempo ormai trascorso. Quando i capelli erano a loro posto, il viso asciutto, ben allineato. Non avevo peli sul petto e sulle mani. Ero integro. Il cuore allora palpitava a mille. Ero sempre innamorato di qualche ragazza, nonostante io fossi timido. Purtroppo la maggior parte di queste ragazze mi lasciava, e tante volte mi son chiesto il perché. Ero molto appiccicoso, questo sì, mi piaceva molto attaccarmi alla loro lingua, difficile per me scollarmi.

Un'altra foto, scattata a Lecce circa trent’anni fa nei giardini adiacenti piazza Libertini. Osservo i miei amici di quel tempo. Il primo a sinistra “esperto ladro” proveniente da una famiglia di “nome particolare”, sua sorella si chiamava Efigenia, una mia fidanzata. L’“esperto” riusciva ad entrare nelle case, sfilare il portafoglio mentre le persone dormivano. Partivamo verso il Capo con una moto presa in prestito per andare a rubare stereo. Riuscivamo a riempirne un borsone ed erano tutti di ottima qualità. Il secondo ragazzo nella foto è morto durante un inseguimento con la polizia dopo aver rapinato una banca. Anche lui grande ladro di appartamenti. I nostri familiari si erano conosciuti in Germania quando erano emigranti. La gente in paese mormorava che suo zio fu l’artefice della rovina di mio padre. Ora, non voglio dar colpe a nessuno, in Giuseppe L. Fioschi


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fondo, a pensarci bene, siamo noi gli artefici del nostro destino, con le nostre ansie, paure e debolezze. Il terzo ragazzo, anche lui di Monteroni come l’altro, rubava sì ma non so quanto si sia spinto. Ci siamo persi di vista. Poi ci sono io, ladro alle prime armi.

Vengo da una famiglia disgregata, mio padre condannato a diciotto anni di carcere per omicidio. Nelle foto guardo attentamente i miei vestiti, e da questi riesco ad intrecciare storie. In quel periodo convivevo con una ragazza, Rosaria, siamo stati insieme sei anni. Era molto bella aveva i capelli biondi e occhi azzurri. Per mia colpa ci lasciammo. A quel tempo cominciai ad usare l'eroina. Una bravissima ragazza era, brava anche in casa e, soprattutto, non ha seguito me nell’inferno. Tanto che mia madre cercò invano di farci tornare insieme, per lasciarmi in buone mani, prima di andare a miglior vita. Io ero già perso!

Ancora una fotografia: con gli amici, strafatti di hascisc. Ci eravamo recati a Lecce con un’Alfa sud rossa. Durante il viaggio fumammo del fumo con una mela. Mordevo dagli altri ma poi fuggivo. I pantaloni con la camicia che indossavo li comprai in un noto negozio di abbigliamento in piazza Mazzini, era il periodo di Pasqua, i soldi provenivano da qualche furto. Il tempo lo trascorrevo tra San Pietro in Lama e Monteroni. Avevo tantissimi amici. In quegli anni il mio nome faceva il giro di bocca in bocca, la mia fama si allargava in paese. Incutevo timore, e chi mi guardava male o chi mi guardava fisso negli occhi rischiava botte.

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L'Eroina

Oggi è il primo venerdì di dicembre, sono le 2 e 30 di notte, e non riesco a prendere sonno. Eppure questo pomeriggio non ho dormito, sono stato a Nardò, ho incontrato Padre William nella sua preghiera. Provo stima e simpatia per quest’uomo, mi dona energia. Mi son messo a letto, ma poi il mio spirito ha incominciato a parlarmi, e non ho potuto fare altro che alzarmi e scrivere. Avevo timore di perdere ciò che mi suggeriva. Il mio corpo è sempre martoriato da qualcosa che non va, mi sfinisce un dolore e appena mi abbandona viene rimpiazzato da un altro altrettanto doloroso. Sono due giorni che sento un forte fischio nell’orecchio. La vita una volta mi sembrava facile, più intrigante. Mi alzavo quando mi pareva, e poi subito a Monteroni, per nuove avventure. Se mi andava rincasavo, tanto mia madre non aveva più il controllo su di me. Parlava ma non la ascoltavo e questo fu il mio più grave errore.

L’inizio come d’incanto sembrò meraviglioso: mi rispettavano, avevo soldi facili, ragazze. Tantissimi amici. Non sapevo che esistessero dei doveri, i consigli degli altri erano un suono sgradevole. Il male e l’incoscienza erano padroni della mente e del corpo. S’apriva a me la “selva oscura”: strade tortuose e il fiume dell’eroina e i suoi sporchi affluenti. L’uomo progrediva ed io tornavo indietro, ai tempi della scimmia. E poi, la montagna di neve, la “regina”, che illusoria mi sollevò dai primi mali. Giuseppe L. Fioschi


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Guadagnavo soldi con facilità, non avevo problemi a spendere, ma col passare del tempo tornavo alla cruda realtà, e la regina dei mali si prese la mia anima, più volte la morte venne: amici, familiari, ma io, la facevo franca, non ero ancora pronto a lasciare questa terra. Svanito l’incanto rividi l’inferno. Il male si allargava, medicinali su medicinali, ma la testa sudava freddo anche d’estate. Ero solo, amica mi era solo la paura. Amarezze, rabbia, vergogna, dolori. Ero in gabbia: in casa e in carcere. In gabbia!

E in quel tempo che conobbi la mia attuale compagna, anche lei col “male” addosso. Nacque nostra figlia, Genny. Quel giorno mi sentii fortunato, e vinsi a tutti i giochi. Anche mia figlia passò dall’inferno, nacque già sofferente, in astinenza. Fu affidata al consultorio di San Pietro insieme a mia suocera. Dopo un po’ mi fu tolta, (non che io lo volessi) non era il caso che stesse con noi, io ero pericoloso in stato di cattività, un animale senza ragione. Rimasi davvero solo quando la piccola insieme a Deborah e Ruben si trasferirono in una casa famiglia. E di nuovo solo lei con me: la regina delle nevi. Io credevo di usarla, in realtà era lei ad usarmi ed abusare di me a suo piacimento. La mia casa si era trasformata, vedevo tutto bianco, dal bicarbonato alla neve. Trascorrevo le notti in cucina, e sul balcone eccitatissimo. I miei pensieri diventavano ossessioni sessuali fumavo e fumavo e poi mi masturbavo. Una volta mi alzai da letto e caddi sul pavimento, di colpo, a peso morto, ho la cicatrice sul volto; altre volte cadevo violentemente sulle ginocchia. Mi capitò di sfondare una finestra e una grossa “lama” di vetro mi si infilzò in un braccio, dovettero ricucirmi un nervo!

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A distanza di tanti anni passati nell’inferno, oggi costi quel che costi voglio dare un forte senso alla mia vita, contribuendo ad aiutare chi ne ha bisogno e salvare la mia anima. Non vorrei trascorrere ciò che mi rimane guardando gente che soffre. Ed è per questo che mi impegno nel raccontare la mia storia. Ho sempre cercato di dimenticarla la mia vita, ma da quando ho dovuto fare i conti con la mia coscienza il passato mi ha aiutato a prendere delle decisioni e divenire quello di oggi. Fare un monumento a mia madre è stato sempre un mio sogno. La mia storia potrà sembrarvi triste, ma quella di mia madre è peggio. Solo entrare col pensiero nella nostra casa mi commuove, mi fa star male. In tenera età, mio padre, mi portò a Milano, voleva che vivessi con il nonno, ma non ci fu verso di restare, volevo tornare a casa. All’età di due anni, in Germania fui ricoverato urgentemente in clinica per un problema ai bronchi, ci rimasi diciotto mesi. Della mia infanzia ricordo i litigi tra mamma e papà. Ricordo un solo episodio in cui giocavo insieme a mia madre.

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I miei genitori

Mia madre fu Cesarea Spedicato, nata a Carmiano il 21 febbraio 1950, la sua era una famiglia numerosa e lei era la più piccola. A nove anni rimase orfana di madre e padre, due contadini. C’è chi, pur sollevandomi moralmente, è riuscito a farmi capire che il male che facevo era dovuto a tutta una situazione familiare non adeguata a un bambino. Oggi cerco di convincermene, ma purtroppo ho sbagliato, e tanto. Chissà se ero posseduto da spiriti maligni. Da piccolo, nella mia vecchia casa, vedevo la morte, adesso mi vengono i brividi, mi ha segnato per molti anni, facevo la pipì a letto per la paura. Credo che fino a 11 anni il male fosse dentro di me. Non potevo dormire con la luce o televisore spenti che subito ero assalito da brividi di terrore. Capita ancora adesso!

Gli episodi che mi hanno segnato sono per la maggior parte negativi. Non ho ricordi del primo giorno di istituto, fui rinchiuso all’età di sei anni, e ci rimasi fino ai dodici. Non ricordare un giorno così triste per un bambino quando viene allontanato dai genitori forse è normale, ma chissà in quale situazione drammatica vivevo. Mi hanno raccontato che da bimbo scappai di casa, mi ritrovarono la sera. Io ho sempre provato la sensazione - più che il ricordo certo - di qualcuno, qualcuno di non comune, che mi portò in una tenda.

Mio padre venne al mondo da un matrimonio finito prima che nascesse. Per tanti anni ha vissuto dai nonni materni. Sua madre andò a lavorare Il coraggio di cambiare


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in Germania. Non saprei come si sono conosciuti mamma con papà. Mia madre dopo l’arresto di mio padre non faceva altro che parlare male di lui, e aveva ragione. In casa non ho mai visto una foto del loro matrimonio, suppongo che siano stati sposati.

Andiamo con ordine, mio padre nacque il 30 maggio 1947 a San Pietro in Lama. Nel 1966 nacqui io: Luigi Fioschi all’anagrafe, ma per tutti sono Giuseppe, e per pochi intimi Giuseppe Pazzo. Probabilmente ero fuori, fuori da tutto, schemi e doveri. Vivevo già allora pensando molto, ero diventato pian piano il classico fuorilegge che per necessità aveva combattuto molto coraggiosamente le maldicenze della gente. E questo mi ha portato ad essere per la gente il male. Lo sono diventato nella loro testa molto prima che lo diventassi veramente: un poco di buono da tenere lontano, soprattutto dai loro figli. Per molti anni credo che la mia identità sia stata marchiata da questo. Oggi, a distanza di tanti anni combattuti tra bene e male e dando ascolto alla mia coscienza ho preferito stare dalla parte del bene.

Nel 1967 dopo solo un anno dalla mia nascita nacque mio fratello Gianni, deceduto all’età di 27 anni, dopo aver visto morire la mamma e dopo la fidanzata. Mia madre dopo aver sofferto per l’intera sua esistenza, morì passando le pene dell’inferno.

Mi trovavo a Turi di Bari quando andai a trovarla all’ospedale di Copertino dove era ricoverata. Durante il tragitto ero contento di andare a trovarla, purtroppo non avevo fatto i conti con la realtà. In ospedale si avvicinò mia sorella Piera che mi chiese di non piangere. Entrai in camera e vidi mia madre, non era più la stessa, il cancro l’aveva divorata, la pelle si staccava dal labbro. Non riuscii a non piangere, il dolore era tremendo. Era già da un pezzo che non mangiava più. Al ritorno, 170 chilometri senza smettere di piangere. Dopo qualche Giuseppe L. Fioschi


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mese ritornai in ospedale e le condizioni erano pessime. Le ultime parole che mi rivolse furono: “ti raccomando i tuoi fratelli, Giuseppe sei il migliore”. Aveva 44 anni.

Eppure allora non ero ancora uscito dal carcere e dal giro della droga. Chissà mia madre, in punto di morte, cosa ha visto in me. Molte volte avevo la sensazione che stesse con me, nella nostra casa, a seguirmi. Oggi, che sono guarito del tutto, la sua presenza, non la sento più. Prima che lei morisse ero assalito da brutti pensieri, come se percepissi la sua morte. Oggi credo che sia andata via per ridarmi la vita.

Nel 2001 dopo sei anni dalla sua morte sono nuovamente stato arrestato, insieme a Marco, mio fratello. In quel periodo mi successe di tutto, credevo che la mia vita fosse condannata ormai soltanto al carcere, nero su nero. Dopo che il PM aveva chiesto dieci anni di condanna, il giorno prima dell’udienza per la sentenza sognai mia madre. Mi dava delle magliette da indossare. Chiesi subito una cabala per tradurre il sogno: mia madre mi proteggeva. Il giorno dopo uscii incredulo dal carcere. Ho avuto anche l’impressione che dietro a questo ci fosse la preghiera di don Raffaele Bruno, parroco del carcere di Lecce. Gianni morì o si lasciò morire dopo qualche mese per un’infezione di tetano non curata. Mia sorella Piera nacque nel 1969. E nel 1974 fu la volta di Marco.

Mia madre a soli diciannove anni aveva tre figli, e a ventiquattro quattro. Per motivi economici siamo stati rinchiusi tutti e quattro. Comincio a ricordare i momenti in cui mia madre veniva a trovarci in istituto. Per lei era molto difficile, ci separavano ben settantasette chilometri. Ci trovavamo a Santa Maria di Leuca, nell’istituto colonia marina L. Scarciglia, presso le suore, e ogni volta che veniva pagava un signore, anche Il coraggio di cambiare


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perché non aveva né macchina né patente. La prese la patente dopo molti anni. Il primo mezzo che acquistò a cambiali fu un piccolo motorino col quale si spostava per andare a Lecce, a lavorare, per mantenerci. Il ricordo che ho di mamma e papà che insieme vengono a trovarci è nel giorno del battesimo di mio fratello Marco, fu battezzato nel Santuario del posto, e ricevette il nome di Maria, era il giorno della Madonna. Un’estate non riuscì a venire e la rabbia mi assalì. Non avevamo un ottimo rapporto, ma dopo la sua morte, in carcere, ho avuto molto tempo per riflettere su ciò che aveva passato anche lei. Ha scelto per sé l’uomo sbagliato e questo ha condizionato la sua vita facendola soffrire fino alla morte. Quando uscii dall’istituto mio padre ci lasciò al nostro destino. Per mamma non era possibile seguire noi e andare al lavoro contemporaneamente. Eravamo lasciati soli in casa, nell’indecenza e nella vergogna. Non ricordo una sola parola spesa bene per papà. Rammento che molte volte o quasi sempre era irritata. E in ogni diverbio fra noi malediceva quel giorno che l’aveva conosciuto. Ha cercato fino alla sua morte di farci stare lontano dai guai. Ma, non c’è riuscita e questo l’ha molto prostrata. Credo di averla fatta soffrire molto, le ho combinato di tutto… Per questo, mamma, sento di chiederti, umilmente, di perdonare i miei peccati! Piangevi di nascosto per un nostro arresto! Mi feriscono, adesso, tutti i problemi che ti ho causato in casa, spacciando e drogandomi. Che pena quelle volte che entravi nel bagno e trovavi siringhe e schizzi di sangue sui muri; quella volta che per una ragazza ti tirai uno schiaffo; quando ho venduto la tua collana, il tuo corredo. Quelle volte che mi hai visto come uno zombie, perennemente a letto, con la barba lunga, non riuscivo neanche a sedermi a tavola per mangiare. E tutte le perquisizioni e umiliazioni che hai dovuto provare. Quella volta che svelai a papà che stavi fumando e lui ti picchiò. Tu, non eri come noi! Eri un angelo e noi non siamo stati capaci di custodirti. Giuseppe L. Fioschi


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Non eri come noi. Non eri affatto d’accordo con il tipo di vita che avevo intrapreso. Dicevi che avresti potuto farlo anche tu, bastava seguire tuo marito, e farlo a quei tempi era semplice, ma eri contraria. Dopo settimane di mutismo eri quasi sempre tu ad avvicinarmi. Ricordo di quella volta che ero così preoccupato di far venire una ragazza in casa, perché eravamo arrabbiati, ma tu sei stata così dolce.

I ricordi di mio padre sono pessimi. Un giorno, ci incrociammo in una via, lui veniva avanti sul lato destro, io dalla sinistra. Chiusi l’occhio destro, man mano che ci avvicinavamo, pensando che non potesse vedermi.

Ricordo, papà, quella volta che tirasti una scarpa alla mamma e rompesti lo specchio dell’armadio. Ricordo quando volevi approfittare, di 500 lire che avevo guadagnato durante l’estate, al mio ritorno dall’istituto e la mamma si arrabbiò. Quella volta che mi facesti picchiare con Gianni e che mi umiliavi perché per te non ero abbastanza sveglio. Quando ci rubavi dal piatto il cibo. Quando ti vestivi e tutto profumato uscivi, pensandoti chissà chi, mentre noi a casa facevamo la fame, vivevamo senza acqua, in quello schifo di casa. Quando la mamma mi diceva che con gli amici eri molto disponibile e che con noi e soprattutto con lei eri cattivo. Questo eri in passato! Un egoista fottendotene di tutti hai fatto del male anche ai tuoi figli. Rammento quella prima volta che io partecipai ad una rapina senza successo. Tu eri venuto dopo tanti anni, per una licenza, mi lasciasti bambino e mi trovasti grandicello. I miei amici ti raccontarono con entusiasmo che io avevo il canne mozze in mano. Io ero terrorizzato da quella esperienza. Tu approvasti quel gesto, e comunque non mi dicesti niente. E quella volta, che venimmo a trovarti nel carcere di Lecce, con la mamma sul Minischic, nel cestino la biancheria e le cose da mangiare e tu ci facesti tornare indietro…

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Fuggiasco

È da un po’ che penso alla mia vita da fuggiasco. Credo che sia stato un passaggio avventuroso. Lo vedrò con chiarezza tornando a rivivere quelle situazioni. Le mie latitanze non sono durate a lungo e non erano macchiate di gravi delitti, per questo non mi allontanavo molto. Comunque stavo male, perché sapevo ciò che mi aspettava: la prigione. Quanto è difficile fare chiarezza sulla propria vita, vorrei andare con ordine… Ma tutto si confonde, diventa poesia... Vorrei spaziare fra cielo e mare. elevarmi come nuvola e sciogliermi, nella pioggia In principio il malessere mi fu donato lo strazio insegna che il bene va guadagnato

Vorrei rifugiarmi, a volte, in una caverna nascosto da tutti. Essere selvaggio, come animale senza ragione Avere un vuoto, nella mente per percepire l’essenza della pura libertà.

Vorrei incominciare a dire che oggi mi trovo qui per una serie di circostanze. Tutto ebbe inizio nel 2008 in carcere. Mi trovavo a Sulmona. Dopo aver cominciato a colloquiare con psicologi ho avuto il desiderio di approfondire questo stato di grazia che avevo nel raccontarmi. In precedenza avevo il timore di aprire bocca, sudavo. La mia storia m'innervosiva, ma più passava il tempo e più mi accorgevo che riuGiuseppe L. Fioschi


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scivo così, raccontando, a sfogare le mie ansie, le mie paure. Trovavo sollievo in queste figure esterne a me. Accoglienti. Così, la paura di confrontarmi con gli altri, pian piano, è svanita.

Con la scrittura ero messo male, mi veniva l’ansia di accordare pensieri e parole da comunicare. Anche in questo caso ho avuto degli apprezzamenti. Così, uscito dal carcere ho chiesto di mia spontanea volontà di essere seguito dal SerT della mia città. Avevo una misura di sicurezza da scontare! Grazie alla mia forza di volontà nel voler dire “basta” ad una vita pessima, disastrosa e catastrofica, mi sono liberato anche di quella restrizione e in questi due anni ho conseguito nuovamente la patente di guida. Una conquista di autonomia!

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Ho preferito la fame ed essere quello che sono oggi

Mi trovo a Monteroni in una officina meccanica. L’attesa per riparare la macchina non mi innervosisce. Sono seduto fuori, la giornata è un po’ fredda, ma c’è il sole che riscalda il cuore. Osservo la gente che è dentro le macchine, nel via vai, c’è chi si volta a guardare. Sono poche le persone che camminano a piedi, una sola donna passa in bici. Di fronte a me una cartoleria, dove ho acquistato un dizionario tascabile di italiano, visto che quando leggo mi capita di non comprendere dei vocaboli. Faccio un respiro profondo. In ogni angolo si può nascondere l’insidia del male. Ora non mi appartiene. È molto importante frequentare persone che non hanno pregiudizi verso il prossimo. Cerco di cogliere tutto ciò che fino ad ora non ho avuto. Grazie a qualcuno riesco ad assaporare la vera libertà. Grazie all’amico Ugo che è riuscito a farmi sciogliere dal mio mutismo e farmi comprendere molte altre verità. È stato un tesoro per me, mi auguro che anche lui si trovi nella perfetta sintonia che è la vita, libero da ogni sofferenza e male. Grazie al parroco di Sulmona, che mi accoglieva con stupore spesso nel suo ufficio. Insisteva affinché io prendessi la penna e scrivessi per essere più chiaro. Gli raccontavo tutto dei miei problemi. Mi suggerì dei libri da leggere. In quel periodo, tra la fine della primavera e l’inizio dell’estate ebbi un’esplosione interna, tutto mi girava intorno male. Pensai che forse qualcuno mi stesse mettendo alla prova: in ogni azione una reazione. Come ho già scritto, distrussi due celle. Dopo questa liberazione, fissavo un punto ed ho sentito uscire o entrare dal mio corpo, vicino al cuore, qualcosa di invisibile. Pregammo io e il parroco dopo.

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Come un gabbiano Tra le nuvole Sparire e poi riapparire Morire per fiorire Volo Senza pudore e condizione. Intorno ad un tavolo, seduto con penna e quaderno rifletto, non troppo, perché questo scritto ha già il suo progetto. Un quaderno aperto, con un cuore disegnato con impresso il nome Genny. Nella pagina affianco disegni fatti da mia figlia hanno colori vivaci. Scottex, quaderni, giochi, carte, occhiali, bottiglie, telecomando, telefonino, accendini, altra bottiglia, bicchieri, il mio tavolo sembra un mercato. Ed in tutto questo io seduto a scrivere a un centimetro da me Deborah, al computer. Cosa mi sta succedendo? È un sogno, o una favola… parlare con gli altri oggi è un sollievo. Se ne ho voglia, vengo ricompensato dall’altro. Sono un fiume in piena, ciò mi piace, mi fa sentire vivo

Sono le undici del 27 dicembre. Come al solito sono qui a scrivere, sul mio tavolo. I bambini giocano, la temperatura è scesa, fa freddo. Sento le loro urla, la loro vivacità. Sono felici, e questo è sufficiente. Rifletto, ah! sforzarmi adesso di essere come loro. Che bella la loro frontalità, non hanno difficoltà a comunicare, giocano. Il giorno di Natale è stato un giorno fantastico, all’insegna del perdono e dell’amore. Una grande forza mi ha spinto da mio padre. Sono andato a trovarlo, non sapevo come potesse accogliermi. Mi ha commosso molto e molto ho pianto. Di tanto in tanto prego che il signore illumini la sua vita, e quella di tutti coloro che per un motivo o per un altro si sono “persi”. Il coraggio di cambiare


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A loro dico, cambiate, la vita è questa, una sola meglio riempirla di amore e di solidarietà. I piaceri, i denari non servono se il male viene a distruggere le relazioni, i legami più intimi, gli affetti. Ti illudi di stare bene, in realtà ti sei chiuso, sei come morto. A volte, si diventa ciò che non si è, solo per dimostrare agli altri quanto si vale. Il rispetto va a chi dona amore, amore al prossimo. Solo così gli occhi saranno pieni di lacrime di gioia. A volte ci nascondiamo dietro falsi principi, come aiutare la propria famiglia o il proprio essere. Io ho preferito la fame ed essere quello che sono oggi. I soldi con la volontà e il coraggio si possono fare diversamente. Il lusso di cui godevo prima non mi interessa, ne sono certo. Credetemi, ci vuole più coraggio a sceglier di essere una persona qualunque che si ispira all’amore. Perché ridursi ad essere rinchiusi in quattro mura? Non sapere cosa fa la propria famiglia, attendere notizie durante il colloquio settimanale di una ora o due? Questo non è amore per i propri figli. I figli pagano per queste scelte, si ripercuoteranno anno dopo anno su di loro. La cosa più bella che ci sia è vedere il proprio figlio crescere, poterlo abbracciare nei momenti bui, quando piange è ha bisogno proprio di te e del tuo coraggio. Accompagnarli nella vita è una magia. Oggi ho scelto questo mio cammino per amore della famiglia, e soprattutto per Genny. Lei ha acceso l’interruttore spento ormai da tempo. E cosa c’è di più bello che vedere con occhi diversi e come questi si possono riflettere in altri e poi in altri? È una melodia, un ballo, una magia che puoi portare in ricordo nei momenti di sconforto. Amare e capire che tutto potrebbe finire. QueGiuseppe L. Fioschi


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sta mia favola la scrivo per me e per chi la vuole ascoltare. A me serve per rafforzare ogni giorno che trascorro la mia positività e riprovare ancora e ancora delle belle emozioni. In verità vi dico che anch’io ero uno di voi con il male dei vizi dei soldi e di tutto quello che esso porta. Per fermare questa lunga scia di malessere bisogna guardarsi dentro e capire se questo è vivere. Nel silenzio della notte pensate ai vostri cari, ai vostri figli. Scioglietevi in un pianto, le vere persone piangono. Decidete cazzo! Ci vuole tanto a dire basta, questa è un’avventura che richiede di essere forti e decisi. Essere legati a chi? E per cosa, per essere pecora e schiavo dei vizi? Per essere comandato dagli altri? No, non vuol dire essere uomini liberi, anche se si afferma di esserlo di essere franchi e affermativi; è solo una gran fregatura in realtà, è solo una ricerca di qualcosa che ci faccia sentire forti. Liberi da cosa? Riflettete, riflettete, e datevi la risposta. Franchi e affermativi? Riflettete, riflettete e datevi la risposta. Il valore della libertà è nell’amore, che richiede cuore e carità e perdono. Il valore della libertà è rispettare e amare tutti senza discriminazione alcuna., aiutare i più bisognosi, che son tanti. Libertà per me è adempiere ai doveri. Il dovere di essere un buon padre, un buon amico, un buon marito. Libertà è nella giustizia terrena e Divina. Tutto ciò richiede grande sforzo e sacrificio. Se riuscirete in questo vuol dire che siete veramente liberi e forti. Io non posso dimorare nell’oscurità. Un Diavolo la mia anima, il mio corpo ho combattuto con esso. fui io, il più forte. Oggi nudo di tutto mi avventuro in luoghi di luce...

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Sulla scrittura

Sono un uomo che più di chiunque altro ha difficoltà a scrivere. Lascio che i pensieri si succedano sotto la penna nello stesso ordine in cui i temi si sono presentati alla mia riflessione: così potranno rappresentare meglio i moti e il cammino della mia mente. E cose di cui la vita mi ha reso partecipe. Senza certi volti, certi eventi grandi e minori, certi personaggi, certe luci, certe ombre, certi momenti di felicità e disperazione, tante pagine non sarebbero nate. In generale, per quanto mi riguarda la mia visione di una persona vicino alla quale sono passato, sono stato, è un atteggiamento un gesto nel quale credo di individuare la sintesi di quello che ho detto, cioè di quelle cose che sono le mie esigenze, la mia voglia di intervento e allora quel gesto, quella sintesi comincio a descriverli. Questo libro diventa l’elemento di verità intorno al quale costruire la mia vita. Il racconto è la sintesi della verità che ho attraversato negli anni. Questa è una testimonianza di vita, il mio modo di vedere oggi quella realtà. Non sono uno scrittore, anche se scrivo la mia storia. Così la correzione diviene più chiara: mi scavo dentro, per ricorreggermi e rimettermi a nuovo. Sono un uomo dai molti passaggi, sogno l’armonia per essere in pace. Sono cosa cui bisogna stare attenti. Senza la scrittura ogni cosa diventa insipida, non avrebbe più senso, scrivo con uno scopo. Scrivo con una costante sensazione che mi insidia, come se avessi accanto l’ombra di un io sdoppiato che mi scandisce gli istanti. E mi incita mi sfida mi intima di far presto, mi ricorda di stare attento. Perché potrebbe rompersi l’incantesimo, il privilegio della parola, e della poesia. Giuseppe L. Fioschi


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Ad un certo punto potrei ammutolirmi, così scrivo in modo frenetico per avere ancora un dono di parole, per consegnarmi senza condizioni in sacrificio della poesia, per poterne sentire il dolceamaro sapore. Alla vita non chiedo altro. Fare un diario senza finzioni, intimo. Un duello all’arma bianca con me stesso, con l’essere, l’essere stato con i sogni, con gli errori, le passioni e le delusioni, le sconfitte e le vittorie. La scrittura non imita la vita, ma mi plasma ai suoi fini. Cominciò tutto lì, tra infanzia e adolescenza, quando iniziano le delusioni, le rabbie, le passioni, le illusioni, le paure. A quel punto i sogni finiscono. Imparo a indurirmi, ogni graffio lascia le sue cicatrici, che poi saranno coperte da ferite più profonde molto più dolorose. Così incomincia la mia storia, cumuli di esperienza di memorie, autoritratti e ritratti di volti che il tempo ha sottratto alla vita e che la scrittura ricrea, trovando i miei pensieri. Scopro la mia scrittura in carcere, un luogo in cui cercarmi. È un’urgenza di dire, a volte perfino confessare, per ristabilire l’equilibrio nel rapporto con gli altri; la mia confessione può essere mascherata da ironia, oppure dolente, nuda, senza finzioni. Nell’attimo in cui scrivo mi vendico del passato e mi impossesso di tutto ciò che la vita mi ha negato o mi ha rubato. Questo è un modo di parlare senza essere interrotto. Posso ritornare negli anni cercando ragioni di quanto è accaduto, riprovando il dolore. Oppure posso tentare di staccarmi dal passato guardandolo da fuori, come se appartenesse ad un altro, sciogliendomi dai suoi stretti nodi. La parola, la lettura e la scrittura mi rendono un essere di uomo completo. Voglio riprendermi il tempo che mi spetta. Per questo oggi mi stupisco di ogni cosa, e mi sembra che tutto accade come per magia, così come una forza misteriosa e imprevedibile che sembra regolare le vicende umane. Scrivo per dare maggior forza a ciò che penso. Narrando riesco a perforare il visibile andando oltre, a raggiungere l’origine del mio essere generato da fenomeni, ombre e voci. Il coraggio di cambiare


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Nella lontananza interiore tra tempo e immagine, memoria e mito, silenzio e parola, esperienza ed emozione, sogno e realtà respiro, prendo coscienza del tempo perduto, capisco che non si può tornare indietro, rispetto il mio corso. Dunque bisogna tenere aperto lo spazio della nostalgia per accogliere il ritmo frenetico della vita moderna accogliendo voci personaggi pensieri sensazioni desideri. Mi spoglio dell'orrore, mi rivesto di nuovo amore La mia storia è questa e con questa cerco di stendere il braccio per tirarti su dal fondo.

Giuseppe L. Fioschi


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Genny Genny riesci a vedere la tristezza di noi uomini? Un giorno forse, quando sarai grande, proverai anche te la sofferenza di questo mondo, non voglio che questo ti trovi impreparata o che la noia, la rabbia prenda il sopravvento. Studia e conosci la vita, impara a conoscere te stessa e riuscirai a comprendere e apprezzare la bellezza di questa vita, dandone il giusto valore. Conosci cos’è il male, cos’è la morte e comprenderai che la vita sarebbe noiosa e insipida se non ci fosse; studialo, amalo se ti è possibile ma stanne lontana. Impara le leggi della bibbia, che ti insegnano vizi e virtù. Non essere invidiosa se il tuo compagno e più bravo di te o se indossa abiti firmati che noi non possiamo permetterci. Cara Genny, lascio che i miei pensieri scivolino lentamente attraverso le immagini, cerco di riportali a te, potrei dirti tante cose, ma forse sarebbe più interessante cercare dentro di me l’amore. Prima di incominciare con questo mio viaggio dell’anima, metto in sintonia la mia stanza con del profumo di mirra, in sottofondo una musica che possa farmi sciogliere tra le tue braccia. Credo di aver fatto tutto bene, ho convinto Debora dandoli dei soldi di farti un giro al mare o a Lecce a comprarti un gelato. Io ora qui solo resto fermo, chiudo la finestra al mondo esterno, per riscoprire nel buio del mio profondo le nuove sensazioni o emozioni di questo vivere. Ciò che mi preme oggi di più figlia mia e non cacciarti nei guai, quando vuoi sapere qualcosa legata al male, vieni e discutiamone. Qualsiasi cosa nel bene e nel male tu possa fare, sappi che io sto qui solo per aiutarti, non mi perderò dietro falsi idealismi se ciò che fai sia corretto o no… vivi profondamente delle piccole cose o nell’animo delle persone, aiuta questo mondo con i tuoi sorrisi con una tua parola di conforto… sii brava fatti ben volere da tutti, non discriminare il povero il diverso lo straniero siamo tutti figli di questa terra, di questo mare e Il coraggio di cambiare


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di questa natura così affascinante e basta poco che ne senti anche tu le vibrazioni o i brividi, affidati al vento al sole alla campagna ti daranno forza e risposte certe. Impara ad ascoltare tutti ma la sera prima di dormire rifletti a ciò che ti dicono e ciò che fai, così potrai migliorarti nel tuo agire. Questo mio modo di pensare o la mia sensibilità di vedere oggi le cose sono cambiate non sono le stesse di ieri per questo voglio che tu sappia la verità su ciò che sono stato, ma soprattutto perdonami per i primi anni della tua vita, che non sono stati facili anzi sono stati dolorosi. Ma senza il mio amore per te nulla sarebbe cambiato, perciò non ti mettere in tristezza o in vergogna per me ma gioisci e se puoi amami Anche grazie alla mamma a Ruben alla nonna, che mi hanno adottato e trasmesso nuovi comportamenti. Oggi mi dispiace anche quando esco solo e ti lascio a casa a giocare con i tuoi amici, anche se spero che a breve devo trovare il modo di fare delle cose insieme, cosi potremmo conoscerci meglio e non do per scontato che essendo mia figlia, ti conosca.. non so proprio da dove incominciare per parlarti di me. Ancora un altro respiro e le mie immagini mi portano a Oria nel Istituto che ti ha portato via da me, ma che e stata la nostra salvezza se ciò non fosse successo non avrebbe potuto avere inizio il mio cambiamento, tribolazioni pianti sensi di colpa per il vostro vivere. Mi ricordo quando venivo a trovarti avevo paura anche di toccarti di prenderti in braccio, le mie chiusure erano tante che non mi sentivo di essere un padre. Quanto ormai e lontano quel mondo che non mi sembra più vero. Nella stanza dei colloqui ti facevi trovare con la mamma e Ruben, ti portavo qualsiasi cosa che mi chiedeva la mamma per non farti mancare nulla, per come ero insicuro aspettavo che la mamma mi dicesse prendi Genny in braccio. In precedenza nel libro storiarsi credo di aver dato molte colpe agli altri e mi scuso per questo, credo che tutto ciò che sono stato lo devo a me, forse e stata la mia stessa vita che trovavo triste dall’assenza di mio padre e per qualche cretino che giudicava offendendomi, che mi a iniziato alla rabbia triplicandomi le forze, a non Giuseppe L. Fioschi


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fidarmi più di nessuno E attratto solo dalla mia immagine di essere il solo protagonista del mio destino, mi lasciai catturare dal male. Ora non è ciò che conta tutto questo cercare di capire se ero bravo o cattivo, le mie immagine sono confuse e lontane. Si ciò per molto tempo me lo sono chiesto, se si nasce cattivi o lo si diventa. Ma non mi importa più questo, non voglio stare qui a giudicarmi. 25 giugno 2005 in questo giorno speciale ricevo una telefonata dalla nonna, eri nata tu… mi sono affrettato a venire a trovarti nell’ospedale di Lecce per vederti, sai avevo paura che tu nascessi con qualche difetto. Dopo aver atteso un poco, il medico mi dice che ti trovavi in un’altra stanza in incubazione. Dovevi essere curata con metadone a scalare fino a che non saresti guarita dall’intossicazione che ti avevamo trasmesso. La prima volta che ti vidi ricordo che fui contento, malgrado tutto eri la più bella e avevi un buon peso… ti dico che eri la più bella non perché tu sei mia figlia, e che gli altri bambini erano nati la maggior parte di loro prematuri cosi piccoli che facevano tenerezza ma non erano formati come te. L’infermiera che vi accudiva amorevolmente, mi disse che strillavi quando volevi mangiare, e quando mi vide negli occhi disse che avevi lo stesso mio sguardo, io lo interpretato (occhi arrabbiati). Tutte le sere venivo a trovarti e insieme alla mamma ti prendevamo in braccio. Nelle attese mi chiedevo se fosse vero che anch’io avevo una figlia, non volevo crederci. Pensavo anch’io verrò chiamato papà. Ma non avevo mai pensato a come farti crescere. Una cosa è certa il giorno che ti sei affacciata per la prima volta nella nostra vita, mi senti l’uomo più felice e fortunato del mondo: avevo vinto una bella sommetta nei gratta e vinci e in altri giochi.

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Compianto

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Cesarea

Io sono Cesarea, nata in uno spazio tetro sotto una luna ottenebrata da nuvole di tempesta. Il cielo annunciava tristi presagi e profetizzava sventure. Avvolta dalla maledizione del mio tempo e perseguita da un amaro destino, mi dissolvo in un nulla di polvere. I miei genitori svaniscono nel ricordo della dimenticanza quando ancora bambina mi lasciarono orfana del loro respiro.

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Gianni

Sono Gianni, deluso da questa terra e figlio di questo male. Trascinato dalla polvere, fino a morirne. Tranquilli, non mi mostrerò più nei giorni del vostro tempo. Perciò, scusatemi di sbagliate necessità in azioni delittuose e se ho contribuito a riempire di lacrime il mio piccolo mondo. Marchiato a disonore figlio dì… allontanato da… Disprezzato e insultato M’impregnai dei vostri rifiuti Arrabbiato crescevo Né speranza né comprensione Un povero io tossicodipendente. Ladro della vostra merce… divenni vostro prodotto. Svanirono sogni e giochi amico mi fu il vomito e il dolore. Privato e trascurato da Dio Le vostre fantasie furono realizzate. Sarei stato migliore Se nel puntare quel dito avreste mirato una frase d’amore sparata al cuore. Nessuno mi affrontò e così vivendo morivo. Aldilà di qua, in un’altra vita,

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Madre ti ascolterò. Basta con questo buio. sono Gianni maledetto da questa sorte Figlio di questi morti… Cesarea e Antonio… Ai miei fratelli Giuseppe Piera e Marco: un amore ci unisce e ci abbraccia da un profondo sentimento di pena… a ricordo di chi ancora mi vive

Il cielo… salgo in alto nel cielo, fluttuo, mi libro nell’aria e ridiscendo. Nel ricordo apprendo ciò che era mia madre, mio fratello e la famiglia tutta. Ora che son qui scruto l’orizzonte, e da lontano s’apre un altro mondo di spazi si riempie.

Io non vago più vagabondo, ma vivere voglio nella mia terra natia, e non più naufragare in un mare in tempesta. Tutto in me si va discoprendo, si svela solo un’anima e un corpo trasparente. Solo il cielo io vedo alzando gli occhi, e l’azzurro che preannuncia già la gran parte del vero.

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Il vero a cui io son giunto, oltre il quale non si diparte.

E a noi tutti cuori in pena ci consola nei nostri viaggi. E a pensar ad altro non ci conviene, son solo frutto dell’inganno. Superiamo la pena e I nostri affanni, e del dolore Sia quel che sia‌ e il domani sia lietezza.

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Antonio

In vita e morte nel passato di questo mio andare ricordi di alcune tappe nei nostri croce-via. Sono figlio del fango trascino gli eventi a disfatta famiglia. Su lastra di marmo il nome mio” Antonio”. Lascio che tutto accada a puttane e amici di poco senso. Seduco e trascuro. Nascondo(chiudo) i miei figli da ogni mia responsabilità. Stravolgo i miei alla mia ombra. Li osservo libero nel loro peccato li riconosco sono miei alleati siamo vincolati e servi dello stesso male. 18 anni di stanze strette di prigione non bastarono a disciplinarmi e rendermi migliore. Se mi affaccio dal mio ritratto vedo chiuso nel buio un luogo di sepoltura. Qui giace ciò che rimane del mio corpo e non lontano da me una luce riflette nei volti di Gianni mio figlio (27 anni) e mia moglie Cesarea (45 anni). In questo luogo ha fine il nostro dramma. Il coraggio di cambiare


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Gli occhi ormai spenti per sempre guardano la mia coscienza e mi scuso per non aver avuto il coraggio di cambiare.

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Poesie

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Rifugiato in una caverna nascosto da tutti... L’uomo progrediva e io selvaggio fermo al tempo di una scimmia…. Dentro uno sguardo… il lamento di un bambino…

E, bambini camminano nelle porte della terra, felici giocano. Tra desideri, fretta e paure. Crescono nella noia e in vuoti di bottiglie lasciati a terra. Bruciano e fumano campi di erba. soffiano e tirano i venti le polveri accecano gli occhi. C’è da cercare cose necessarie per sconfiggere questo male… Mi drogo alla vita per stare meglio… La mia anima svendo a gioghi di parole… Domina e segna il mio difetto. Schifo, sporco trascurato da strati di polvere. Nulla in cambio…

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Tutto toglie: amici famiglia e libertà. Bevo ancora amara acqua… Chiuso nella mia stanza apro la porta alla prigione. Ferro, chiavi, guardie perquisito umiliato…

Soffia il ribrezzo nei ricordi. Brividi sulla pelle. Fatica che sento necessaria per meglio capire…

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Madonna di Pozzino, 1987

Quello, un giorno da dimenticare. Corpi uniti da un amaro destino. Scorgo l’erba del prato… Io e te a parlare. Un giovane si avvicina: “Volete provate eroina? Starete meglio!”, dice. Così ci avviammo all’inferno… In scambi di mani, soldi e bustine. La macchina si ferma, un braccio si stende un ago che entra, il veleno che sale fino a farmi male. Non sopporto nessuno, m’invade Rivolto, sconvolto vomito alla vita. Miseri e pesti noi Umiliati, discriminati figli di un padre non accettato di un’inquieta madre sempre a lavoro per noi… Offeso, covai rabbia violenza e indifferenza. Illegale e noto fu il mio nome… con coraggio scatenai i mostri sopravvivendo. Non più partecipe al mondo esterno, ascoltai la mia coscienza…

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Desideri

Mi destai dai miei incubi che avevo già 40 anni. Furente perforai l’anima mia precipitando nelle lacrime dei miei danni. Aprì il cuore avvinghiato ai miei nuovi desideri mi lasciai vivere. In me un eroe. Guardavo affamato le montagne, Il cielo e quanto c’era da vedere con occhi di stupore, desideroso di capire che niente era più scontato…. Anime divine e infernali voci misteriose rivelatevi manifestate la vostra potenza oscura e di luce. Ti ho cercato corpo fragile e innocente. Mi mostravo al tuo letto tra brividi e morte orinando paura. Bambino ti ho cercato ti sono entrato dentro ti ho cresciuto tra demoni e potere. Insieme avremmo cambiato il mondo. Con droghe e alcol avremmo illuso e confuso tutti. Avremmo messo l’idea che le pietre l’oro e i diamanti sono preziosi

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e valgono più del pane. Avremmo diviso la terra tra stati e religioni tra ideologie giuste e sbagliate dando la libertà di uccidersi. Avremmo volato insieme e dall’alto rideremo del loro inutile cercare. Noi porci ingozzati avidi e malati vomitiamo i nostri veleni. Dimmi figlio mio ciò non ti piace? Perché mi hai abbandonato? Ti ho cercato nei sogni, nelle visioni e tu non mi rispondi. Chi vive oggi in te?

Amico mio, non mi convinci più mi hai ingannato e deluso mi hai imprigionato nelle porte dell’inferno ho provato la vergona, la paura, facendomi vendere anima e droga. Lasciami in pace vivo in pensieri tranquilli e semplici. Ho faticato tanto per cancellarti non desidero tanto mi basta respirare mi basta vedere un sorriso un tramonto una passeggiata il vento. Oggi vivo tra gente nuova che accarezza e non soffoca. Io non posso dimorare nell’oscurità. Un diavolo la mia anima, il mio corpo, Il coraggio di cambiare


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ho combattuto con esso, fui io il più forte. Oggi nudo di tutto mi avventuro in luoghi di luce. Dolce il vento che mi accarezza la pelle in sospiri e brividi d’incanto nell’immaginazione dello stupore che è la vita. E qui tra sentieri stradine vado cercando e nell’erba rifiuti sul mio cammino. Alberi maestosi toccano il cielo. Rovi, foglie, pietre, in questo spazio tutto posso. Mi fermo, due aiuole curate sofferenza. Edere alberi di limoni palme, ulivi contornano l’ambiente di un portone. Un gregge di pecore attira la mia attenzione, saluto il pastore. Profondamente respiro per sentirne l’odore. Arcobaleno. Entro e mi siedo ettari di terra e mani sporche lavorano curando il proprio destino. Da lontano una piccola struttura, recintata dai ragazzi con cavalli. Incuriosito da un segnale Giuseppe L. Fioschi


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mi avvio in colonne romane e lampioni di luce. Cemento tufo e finestre di sbarre Indicano il centro di studio. Preso in pieno da gocce d’acqua, rivolgo i miei occhi al nero cielo e rientro. Corro tra siringhe feci e nuvole piangenti preso in pieno dal maltempo trovo una cappella e carezzato da Madonne e Santi raccolgo la mia anima.

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Giuseppe Fioschi, è nato a Lecce il 24 agosto del 1966, vive e lavora a San Pietro in Lama. La sua scrittura nasce da una profonda passione per la lettura: un profondo attaccamento ai libri unito a quello per la bicicletta e all’attività fisica. Suoi testi sono stati pubblicati nelle raccolte “Storiarsi. Racconti dal Ser.T di Lecce” e “La voce e il racconto di sé. Scritture dalla Casa Circondariale di Borgo San Nicola e dai Ser.T di Lecce e San Cesario di Lecce”, pubblicati a cura del Fondo Verri: scritti densi di vissuto, di vita spinta al limite, di travagli esistenziali, di mancanze, di conquiste e di riscatti. Scritti maturati nella lunga esperienza di detenzione vissuta dall’autore. La parola, per Giuseppe Fioschi, s’è fatta strumento di chiarimento e di speranza. Una “parola destino” nel suo trovare futuro dove pare futuro non possa esserci. Parola che s’è fatta scrittura, pagina, libro. Oggi Giuseppe Fioschi ha completamente “pagato” i suoi conti con la giustizia, è un uomo libero. La sua vicenda dimostra come un riscatto è possibile, la costruzione di un'altra vita è possibile. Una conquista per chgi ha volontà nel desiderio del cambiamento. Le parole scritte servono a questo. Fanno sedimento, humus al prossimo seme. Donano chiarezza dove prima regnava la confusione e il non detto ruggiva nel confronto con il sé e con la paura.

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spagine 2016

€7 Giuseppe L. Fioschi


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