Ricostruire i ricordi è costruire il futuro Spagine
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a memoria è una funzione fondamentale della mente umana, è la capacità di conservare tracce della nostra esperienza: ci permette di riprodurla, riconoscerla e localizzarla nel tempo e nello spazio e quindi di servircene per relazionarci al mondo e agli eventi futuri. Ricordare è un’attività naturale ma è esperienza comune quella di non riuscire sempre a controllare la propria capacità di memorizzare. Non possiamo ricordare tutto anche se ci piacerebbe poterlo fare. La nostra memoria è selettiva ma, anche quando pensiamo di non esercitarla, continuiamo incessantemente, quasi senza rendercene conto, a immagazzinare dati: immagini, situazioni, visi di persone, emozioni, concetti più o meno complessi. In pratica, siamo un’enorme banca dati latente che ha bisogno, però, di qualcosa o di qualcuno per attivarsi e generare ricordi: la domanda è allora: cosa ricordare, anzi cosa è degno di essere ricordato e chi ha il potere di deciderlo. La storia, così come molti di noi l’hanno studiata a scuola, ci ha trasmesso l’idea che le cose ritenute importanti, quelle da ricordare, quelle che fanno la storia, siano solo quelle legate ai grandi personaggi o ai grandi eventi. Oggi, invece, e l’antropologia in questo è stata grande maestra, sappiamo che è fondamentale conservare, ricostruire, sperimentare oggetti ed esperienze della gente comune, salvare le memorie di coloro che normalmente non lasciano segni, perché è attraverso loro, attraverso i loro mestieri, i loro oggetti e le loro storie che possiamo ripercorrere e ricostruire le tracce della memoria collettiva, della storia locale.
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di Maria Mancarella
Questo sposta il centro dell’attenzione e della nostra riflessione dalla memoria come capacità individuale di ricordare riferita all’esperienza del singolo, alla sua vita e agli eventi che l’hanno caratterizzata, all’uso della memoria nella sua forma “collettiva”, riferita al gruppo sociale di appartenenza, all’intera comunità. Così definita, la memoria diventa fondamento ed espressione dell'identità di un gruppo che, nella rievocazione del passato comune, costruisce il proprio futuro: sopravvive e si trasforma, in un processo di continua attualizzazione / rielaborazione delle tante memorie collettive, di cui differenti gruppi si fanno portatori. Ogni comunità ha l'obbligo morale di custodire la sua memoria storica e affidarla alle future generazioni, per questo cercare e conservare documenti del passato, tutelare i ricordi, recuperare immagini e sguardi è importante; è l’unico modo per non dimenticare chi siamo, per conservare traccia di qualcosa che rischia di scomparire, per recuperare e ricostruire l’identità storica di un paese e del suo territorio. In un continuo processo di rielaborazione e attualizzazione del passato, la comunità sopravvive e nello stesso tempo si trasforma, acquista elementi di significato che contribuiscono a costruire il senso della sua identità. Per fare tutto ciò è necessario che un soggetto o un gruppo si assuma il compito di cercare i ricordi, rintracciare i documenti che altri hanno prodotto, raccoglierli, creare un archivio, trasformare le testimonianze del passato in memoria collettiva e di essa farsi portatore. Caterina Gerardi e il gruppo di persone che con lei hanno condiviso l’esperienza della Polisportiva e del giornale sono gli autori di
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questa ricostruzione, una delle tante possibili, che consente ad una vicenda importante e significativa al tempo in cui si è realizzata non solo di non scomparire ma di provare a essere guida per il presente e progetto per il futuro, superando l’avvicendarsi delle generazioni. Grazie a sforzi come questo è possibile avviare un processo di consolidamento e conferma della memoria collettiva. È la memoria sociale, infatti, quella composta dalle parole, dalle immagini, dai gesti, dalle feste, dai riti condivisi, che rende possibile la ri-attualizzazione del significato di storie dimenticate e a volte rimosse, che consente nei contesti locali di riannodare in forme nuove i legami sociali allentati o spezzati, che permette la definizione di nuove forme di appartenenza e di radicamento, contenendo gli effetti di sradicamento prodotti dalla globalizzazione. Per mantenere il ricordo c'è bisogno di oggetti concreti; per questo è importante compiere
tutti gli sforzi possibili per mantenere in vita il patrimonio culturale, fatto di elementi materiali e immateriali della comunità che vanno perciò tutelati e protetti. Conservare, custodire i luoghi della memoria non significa salvaguardare soltanto i beni culturali, materiali e immateriali: la capacità di coltivare la memoria dipende soprattutto dalla voglia di ogni comunità di conoscere la sua storia, di apprezzarne il passato per scoprire la propria identità e promuoverla tra le giovani generazioni. Un luogo-cardine entro cui la memoria si esercita è rappresentato dai racconti di vita dei testimoni, dalle narrazioni personali che emergono dalle memorie dei luoghi, fermate in un’immagine fotografica o in parola scritta. Sono ritagli di ricordi, come scrive Lucio Cappello, capaci di rendere un nome, uno spazio, un edificio, una strada, la metafora di un intero periodo storico, di un mondo e di una società
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che diventano pezzi di puzzle da ricostruire e risignificare.
Il lavoro di cui parliamo non è, e non vuole essere, una commemorazione, finalizzata a rievocare nostalgicamente il passato, né solo una, se pur lodevole, patrimonializzazione dei ricordi, una semplice conservazione delle tracce del passato ma, come ha scritto Tonio Solazzo, un “racconto autobiografico di un territorio, una forma di auto-rappresentazione”, costruito a partire dalla volontà dei singoli ma rivolto all’intera comunità. In questo racconto il ricordo individuale è sorretto e organizzato dalla “memoria collettiva” di coloro che ne condividono il linguaggio, le strutture narrative, le rappresentazioni sociali di tempo e spazio, i rapporti con la memoria degli altri membri del gruppo sociale cui appartengono. È merito di queste persone, di tutte indistintamente, se questa operazione è nata ed oggi è una realtà.
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Un ringraziamento particolare va, però, a Caterina Gerardi e vorrei farlo con le parole di Eugenio Imbriani, anche perché non saprei dirlo meglio, perché, come lui scrive
“Caterina è stata la più promotrice e insistente di tutti, se così posso dire. Artista e intellettuale impegnata da sempre a percorrere i mille rivoli delle storie, a indagarne le pieghe e i margini, a smuovere quel che sembrerebbe immobile, a cercare la bellezza dove è difficile pensare di trovarla, a costringere i bravi cittadini a riflettere sui loro minuscoli egoismi, sul disimpegno e la comodità del lasciar fare, lasciar passare, è lei che ci convince a ripensare a quell’esperienza che rese vivo il paese, incita al risveglio ancora e ancora, e a essere generosi”.
L’avventura Spagine
della PolisportivArnesano
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’idea di raccontare i dieci anni in cui ad Arnesano ha operato la Polisportiva è strettamente legata aI mio lavoro sulla figura del compagno Arturo Politi. Le difficoltà che ho dovuto affrontare per realizzare il filmato e, contemporaneamente, il grande successo di pubblico in occasione della presentazione del documentario “Arturu lu comunista”, mi hanno fatto rivivere un periodo della storia del paese che avevo dimenticato. Di questo nuovo progetto ho parlato con i miei ‘amici ritrovati’ che, ancora una volta, mi hanno sostenuta con affetto e competenza. Abbiamo così deciso, di comune accordo, di ricostruire il periodo storico in cui, insieme ad un gruppo di persone a me vicine, nel gennaio 1976 fondai e guidai per circa dieci anni la Polisportiva, associazione di volontariatosportiva e culturale. Dopo pochi mesi dalla nascita dell’Associazione, nel luglio 1976, apparve il primo numero “Porta Rande”, un giornale che veniva pubblicato una volta all’anno, in occasione della festa patronale del Crocifisso. Il giornale per la piccola comunità di Arnesano fu inizialmente un elemento di novità destabilizzante, tanto da provocare sentimenti diffusi di vergogna, quasi di paura. Porta Rande ha poi continuato a rispettare, pur con qualche pausa, l’appuntamento annuale fino al 2007. Gli anni della Polisportiva sono stati anni di forte impegno e di lotta, a causa degli ostacoli che le istituzioni civili e religiose ci opponevano, negandoci gli spazi dove poter svolgere le attività sportive promosse dall’Associazione, costringendoci a prove di forza continue. Eppure quella della Polisportiva è stata un’esperienza straordinaria, indimenticabile, estremamente gratificante. Avevamo coinvolto un intero paese, che si aggregava nella partecipazione alle attività sportive, ai
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di Caterina Gerardi
momenti ricreativi, agli incontri culturali. Le nostre attività, (dai corsi di scacchi e di fotografia alle mostre e gare di gessetti sull’asfalto), coinvolgevano non soltanto i ragazzi ma anche le loro famiglie. Tutti contribuivano in vario modo e con differenti ruoli alla riuscita delle iniziative. Per approfondire quella che è stata un’esperienza importante ed inclusiva di una piccola comunità, vi invito a leggere i testi qui pubblicati. Sono testimonianze molto interessanti ed emozionanti che raccontano bene questa storia straordinaria. Un’avventura lunga 10 anni, una bellissima avventura fatta da persone, idee, passione ed entusiasmo! La realizzazione di questo progetto ha richiesto un impegno costante e competenze tecniche specifiche. Abbiamo cominciato a lavorare intorno all’idea iniziale circa un anno fa, a volte faticando perreperire il materiale e poi per assemblarlo con cura, nel modo più corretto possibile. A conclusione del percorso il gruppo di lavoro ha decisodi affidare tutto il materiale prodotto, digitale e cartaceo, alla Biblioteca comunale, al fine di allestire una esposizione permanente dei pannelli con le foto delle attività sportive e culturali organizzate dalla Polisportiva e delle riproduzioni anastatiche delle prime pagine di “Porta Rande”. Spero che questa donazione, insieme ai materiali prodotti per la realizzazione del documentario “Artutru lu comunista” possa costituire un punto di partenza concreto per la costruzione di un percorso di recupero dell’identità della comunità di Arnesano e per avviare il progetto di una costruzione collettiva dell’Archivio della Memoria, un luogo in cui conservare non solo documenti ma anche narrazioni che riguardano alcuni aspetti della storia del paese e del suo territorio.
Benedetto paese 10
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enedetto paese, piccolo per il numero di abitanti, vasto, in proporzione, per l’estensione. Tanti anni fa, quando nelle classi della scuola elementare la maestra (la “signorina”, si diceva, mentre ai maschi spettava il titolo di professore) assegnava l’inevitabile tema su “Il mio paese”, facevamo a gara per vantarne le dotazioni e le qualità: il numero delle chiese doveva risultare impressionante, e poi i bar, i negozi, le osterie, le piazze, l’asilo, l’oratorio, il cinema (sala e arena). Anche il fatto che vi fosse una frazione, o una e mezza (Li Tufi, Li Lardi), costituiva titolo onorifico, sebbene poi i nostri coetanei che vi abitavano li considerassimo con toni neanche velatamente sprezzanti. In un paese governato da un cattolicesimo molto conformista, paternalista e latore di benedizioni in forma di pensioni facili e falsi contributi lavorativi, fu perpetrato un atto dolorosissimo, vale a dire la distruzione della chiesa parrocchiale, con l’abbattimento delle cappelline e dell’altare maggiore e la riduzione all’anonimato di un monumento dal non comune valore artistico. Pare che il Crocifisso, dall’alto della sua postazione, abbia scosso la testa davanti a tale scempio: le autorità religiose avevano capito che fosse quello il modo giusto di applicare le disposizioni del Concilio. Ma chi si oppose allora? I bambini si rincorrevano raccontandosi stupefatti della ossa dei morti che emergevano dal pavimento della chiesa smantellato. Benedetto paese, che invocava il Crocifisso nella insopportabile calca della Discesa della Croce, nel caldo estivo, quando tutta la cerimonia si svolgeva all’interno della chiesa; noi chierichetti eravamo sopraffatti dall’assalto delle signore che volevano toccare la statua, trasportata sotto le navate, urtati da fianchi caldi e gomiti, e sottoposti agli afrori delle ascelle spalancate, sudate, mal lavate. Atti di pietà allora consueti, poi rimossi, svelavano i bisogni e le speranze della povera gente. Io ancora adesso faccio fatica ad avvicinarmi ai buffet affollati.
di Eugenio Imbriani
In un ambiente complessivamente chiuso, alla conclusione del percorso che ci trasformava trionfalmente da fiamme bianche in fiamme verdi e in fiamme rosse, fuoco ardente dell’Azione cattolica, che richiamava, però, un’altra fiamma nostalgica, giungevano tuttavia i rumori delle novità, la protesta, i capelloni, il Vietnam, le tremende esplosioni che avevano squarciato la penisola. Noi più giovani avevamo degli informatori privilegiati, i ragazzi più grandi andati a studiare fuori, nelle città importanti, che si misuravano con un mondo nuovo, denso di esperienze, ci spiegavano qualcosa che non afferravamo bene, ma che ci lasciava a bocca aperta. Sapevamo di dover partecipare al generale moto di protesta, di dover alimentare l’ansia del cambiamento. Nel paese votato alla discussione senza fine, litigiosissimo su ogni questione, lo sport, la politica, i panni privati, la religione, ci mancava il conflitto generazionale, la contrapposizione dura tra genitori – che spesso non capivano cosa andassero a cercare i figli – e figli altrettanto confusi, ma fortemente determinati a sposare analisi poco chiare e ad attribuire, furenti, ogni colpa alla società e alla generazione che li precedeva. Poveri padri nostri. In questo clima, a metà degli anni settanta, per giunta a ridosso della dirompente vittoria nel referendum sul divorzio, l’avvento della Polisportiva fu un momento davvero innovativo e costituì un modo inedito di prendersi cura dei ragazzi e, finalmente, delle ragazze: lo sport, le gare, i giochi, gli incontri, i trasferimenti, gli allenamenti avevano luogo in modo organizzato, gioiosamente, con il coinvolgimento di familiari e amici, e senza il necessario intermezzo di preghiere, confessioni, funzioni religiose. Altre istituzioni benemerite del paese, l’Oratorio Don Orione, l’Asilo Bernardini, continuavano a rappresentare fondamentali rifugi, ma adesso si presentava un’opportunità in più, che garantiva molteplicità di impegni, prospettive più ampie. La quasi coeva Società Rotellistica, di ispirazione istituzionale e
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dotata di molti più mezzi, promossa, a sua volta, da questa ventata più fresca, o forse da emulazione, o da necessità di non lasciare a una parte politica e culturale questo genere di iniziative, concentrava i suoi sforzi su una sola attività sportiva, mentre la Polisportiva realizzava corsi di vario genere (scacchi, fotografia) e manifestazioni artistiche, oltre che agonistiche, agendo in un articolato piano formativo. E insieme a tutto questo venne il giornale, dal 1976, un numero unico di ispirazione culturale e satirica, “Porta Rande”, che usciva il giorno della festa patronale e andava a ruba. Il paese, abituato alle chiacchiere e ai pettegolezzi, si mostrò impreparato alla loro trasformazione in testi scritti, parole che restano, come sappiamo, e allo sputtanamento pubblico e durevole dei vizi privati, più o meno noti, ma di solito raccontati e commentati in assenza dei personaggi ai quali ci si riferiva, secondo un’abitudine sacralizzata. Alla permalosità dei permalosi si aggiunsero i tuoni dall’altare e le insolenze dei difensori dell’ordine: in paese era arrivata la libertà di stampa e non a tutti stava bene. “Porta Rande” fu e rimase un
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giornale d’opposizione, infatti la sua lenta crisi cominciò in coincidenza con la storica vittoria della sinistra alle elezioni comunali del 1985, non abdicò al suo ruolo, ma accentuò l’aspetto informativo, e crebbe lo spazio dedicato a temi di storia municipale (almeno, questa è la mia impressione). La Polisportiva, come è chiaro, ha richiesto l’impegno di molti, ma è altrettanto evidente che senza l’intervento e l’insistenza dei promotori nulla sarebbe accaduto. Il riconoscimento dovuto a queste persone si può riassumere in un ringraziamento a Caterina Gerardi, la più promotrice e insistente di tutti, se così posso dire. Artista e intellettuale impegnata da sempre a percorrere i mille rivoli delle storie, a indagarne le pieghe e i margini, a smuovere quel che sembrerebbe immobile, a cercare la bellezza dove è difficile pensare di trovarla, a costringere i bravi cittadini a riflettere sui loro minuscoli egoismi, sul disimpegno e la comodità del lasciar fare, lasciar passare, è lei che ci convince a ripensare a quell’esperienza che rese vivo il paese, incita al risveglio ancora e ancora, e a essere generosi.
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La Polisportiva, esperienza straordinaria, e forse unica, nella storia sociale di Arnesano
a Polisportiva fu fondata nel gennaio 1976 da Caterina Gerardi, insieme ad un gruppo di suoi amici e di giovani studenti e lavoratori, con l’obiettivo di promuovere lo sport (atletica, calcio, pallavolo), fra gli adolescenti e i giovani del nostro paese. A soli sei mesi dalla nascita, la Polisportiva, affiliata ARCI, poteva contare sul contributo di “50 soci anziani e sulla partecipazione di circa 160 giovani e ragazzi nelle diverse categorie sportive e discipline”. In realtà, le iniziative dell’Associazione andarono ben aldilà dell’attività sportiva e toccarono ambiti di indubbia valenza culturale e fino ad allora inesplorati dai giovani di Arnesano. Furono organizzati corsi di scacchi (alcuni dei frequentanti parteciparono a gare interprovinciali); corsi di fotografia, di disegno ( si allestirono mostre con i lavori dei ragazzi e gare di gessetti sull’asfalto, in occasione della festa patronale). Nel luglio 1976, poi, grazie ad una felice intuizione dei fondatori della Polisportiva, fu pubblicato il primo numero di “Porta Rande”, che, fra consensi (molti) e critiche feroci (poche), ha accompagnato la festa del Crocifisso, pur con qualche pausa, fino al 1994. Gli ultimi numeri risalgono a luglio e ottobre 2007, pubblicati per iniziativa della Pro Loco. L’attività della Polisportiva continuò, sotto altra veste organizzativa (Arci, Arci Donna), e con altri gruppi dirigenti, fin oltre la metà degli anni ’80. La Polisportiva fu uno straordinario esempio di come una piccola comunità possa organizzarsi dal basso, coniugare sport e cultura e svolgere una insostituibile funzione educativa. Tanto più apprezzabile in un periodo in cui il monopolio di queste attività era detenuto dall’ Amministrazione comunale e dai Padri di don Orione, sia per le loro possibilità di spesa sia perché proprietari delle
di Tonio Solazzo
strutture (palestra, campo di calcio, cinema). Altro aspetto da rimarcare in quell’esperienza della Polisportiva è nel fatto che essa favorì la formazione di un gruppo di giovani, politicamente orientati a sinistra, ma senza tessere di partito in tasca, che di lì a qualche anno decideranno di passare dall’impegno culturale a quello politico-amministrativo, ottenendo nelle elezioni comunali del 1985 un risultato storico. Quell’anno segnò, dopo quarant’anni, la fine del potere della Democrazia cristiana (attraversata da profonde lacerazioni e fiaccata da pesanti defezioni), e l’esordio della Sinistra alla guida del paese. Risultato storico che, nel 1990, non ebbe più seguito per una serie di ragioni che, in questa sede, non è opportuno esaminare, malgrado le tante cose buone realizzate in quel quinquennio. L’idea di Caterina (come al solito vulcanica trascinatrice del gruppo di lavoro), aldilà di ogni altra considerazione, ha un merito indiscutibile: recuperare documenti (foto soprattutto), testimonianze, ricordi relativi all’attività della Polisportiva, con i quali allestire una mostra, vuol dire ricostruire e salvare dall’oblio, un’esperienza straordinaria, e forse unica, nella storia sociale di Arnesano; vuol dire, anche, riportare alla memoria persone, che a quell’esperienza hanno dato un contributo decisivo, e relazioni umane, contatti fecondi tra generazioni diverse, che costruivano, nella continuità dell’esperienza di vita, l’identità di una piccola comunità. Per queste ragioni, il gruppo di lavoro discute l’idea di affidare il materiale prodotto alla Biblioteca comunale, al fine di allestire una esposizione permanente dei pannelli con le foto delle attività sportive e culturali organizzate dalla Polisportiva e delle riproduzioni anastatiche delle prime pagine di “Porta Rande”.
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In quelle foto ritroviamo i volti di ragazze e ragazzi di Arnesano, allora adolescenti oggi madri e padri di famiglia, stimati lavoratori, impiegati, professionisti, che possono raccontare ai loro figli una storia di cui sono stati protagonisti, un’esperienza che li ha formati e, in qualche caso, guidati nelle scelte di vita.
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In quelle foto rivediamo i volti di coloro che, con generositĂ , sono stati, di volta in volta, allenatori, accompagnatori, autisti, organizzatori e che oggi non sono piĂš tra noi. A loro, soprattutto, il nostro pensiero e la dedica della manifestazione.
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La mia voglia di provare il punto di partenza della mia scelta di studio e professionale
uando la Polisportiva iniziava a prendere corpo, io ero una ragazzina timida, magra, insicura che restava affascinata dalla presenza e dalle parole di Caterina Gerardi. Questa insegnante di lettere molto attiva e, a quei tempi, davvero all’avanguardia, che aveva saputo coinvolgere i suoi allievi con attività che non si limitavano allo studio sui libri di testo, avendo a cuore (ben prima che venissero teorizzate) le competenze, veniva a fare la spesa nella macelleria di papà, e io lì la sentivo parlare dei suoi progetti di dare avvio a qualcosa che fosse insieme occasione di fare sport, ma anche laboratorio di fotografia, disegno, gioco degli scacchi, incontro, scoperta, amore per il territorio… La sua idea, insomma, era, secondo me, quella di far nascere un luogo vivo di cultura a 360° nella realtà del paese. E ci riuscì! Il grandissimo entusiasmo di Caterina Gerardi riuscì a vincere sulla scarsità di mezzi allora a disposizione e a far partire l’iniziativa, ma riuscì anche a mettere in moto in me la voglia di provare nonostante la mia gracilità e timidezza e, in papà, la convinzione che, perché no?, io ce l’avrei potuta fare. E così iniziò la mia partecipazione alla Polisportiva. Ricordo come fosse coinvolgente per me e gli altri ragazzi ritrovarsi fedelmente e allenarci in spazi quasi improvvisati: sull’asfalto,negli spazi della scuola media, per esempio. E poi partecipare a gare anche importanti, noi che non avevamo mai provato niente di davvero ufficiale. E poi vincere! Sì, perché noi piccoli e senza mezzi eravamo diventati forti, eravamo diventati LA squadra da vincere. E l’entusiasmo animava il nostro impegno, la nostra voglia di fare superando timidezze e ritrosie,
di Amalia Albina Manca
maturando in noi fiducia in noi stessi e nell’altro. Questo era ciò che, inconsapevolmente, passava nelle teste, nei cuori e nel corpo in movimento di noi ragazzini. Ma anche riempiva di entusiasmo la mia famiglia e papà che mi accompagnava alle gare, facendomi sentire quanto ci credesse a questo modo di fare non solo sport e, soprattutto, quanto credesse in me. In quel periodo davvero a me e a tanti altri adolescenti non è mancato niente in termini di stimoli; oltre allo sport, tutti facevamo di tutto: imparavamo a giocare a scacchi, scoprivamo la fotografia, ci coinvolgevamo nella festa patronale partecipando alla realizzazione di disegni per terra che ricordo come vere opere d’arte collettive… Insomma ci impegnavamo e ci sentivamo un gruppo che viveva e dava vita a esperienze interessantissime. Le gare, poi, segnavano spesso la nostra vittoria e nella sede della Polisportiva si andava formando una ricca collezione di coppe che faceva bella mostra di sé. Oggi, purtroppo, non resta quasi più niente di tanti trofei: prima riposti in qualche ripostiglio e poi spazzati via durante i lavori di manutenzione o smantellamento e finiti chissà dove. Ma ciò che mi resta è sicuramente molto di più. È il ricordo vivo, ma è anche ciò che grazie a quell’esperienza ho potuto fare, diventare ed essere. Sicuramente qui, infatti, è nato il progetto, una volta concluso il liceo, di iscrivermi all’ISEF. Ma credo di poter ritrovare qui anche l’origine del mio modo di approcciarmi come insegnante ai ragazzi, soprattutto quelli che di più hanno bisogno di trovare il modo, la forza e la possibilità di esprimersi nelle diverse risorse di ognuno di noi.
Ad Arnesano il “68” è arrivato dieci anno dopo, grazie alla Polisportiva Spagine
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uando, circa un anno fa, Caterina (la presidentessa) mi contattò per riferirmi dell'iniziativa che aveva in mente di prendere riguardo la Polisportiva, fui molto sorpreso, ma nello stesso tempo entusiasta. In effetti è stato, da quel giorno, come riaprire un cassetto pieno di ricordi, mai aperto da un sacco di tempo, non perchè non ne valesse la pena, ma semplicemente perchè qualcuno non mi ricordava che lo avessi. Che bello, intenso e formidabile periodo (quasi due anni) è stato quello vissuto, da me, con e per la Polisportiva. Le attività svolte, dalla ginnastica in palestra con i più piccoli, agli allenamenti con gli atleti della campestre, ai corsi di fotografia e di scacchi, agli allenamenti con le ragazze della pallavolo, al torneo di calcio, ecc mi hanno coinvolto pienamente e permesso di fare qualcosa per i ragazzi di Arnesano.
Avevo finito da poco la naia (la mia tessera, la n° 4, è dei primi giorni di gennaio 1977) e gli studi universitari erano ancora freschi e quindi c'era tanto entusiasmo nel fare qualcosa di utile e di necessario per i ragazzi del paese, visto che l'Oratorio cominciava a perdere il suo ruolo. Ma la Polisportiva non ha coinvolto solo i ragazzi. Molti genitori accompagnavano in pullman o con mezzi propri gli atleti nelle trasferte per le gare sportive e davano una mano per l'organizzazione di manifestazioni come sfilate di carnevale, gare di gessetti ecc. Si era creato un clima di collaborazione incredibile. Insomma la Polisportiva, grazie anche alla pubblicazione di un foglio satirico “Porta Rande” smuoveva un po le acque paludose del paese, portava aria nuova e nuovo entusiasmo.
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di Eugenio Manca
Riguardando le foto di quegli anni delle diverse manifestazioni ho notato che la maggioranza erano ragazze e non è un caso. Per i ragazzi uscire e andare all'oratorio era una cosa normale. Per le ragazze non era così. La Polisportiva ha offerto una (la) possibilità di uscire per fare attività fisiche e sportive invece della solita “mescia” o delle adunanze di catechismo.
Quest'anno ricorre il cinquantenario del mitico “68” e riflettendo su questa data e su quello che ha significato per la mia formazione (le lotte studentesche, le occupazioni, la musica, l'aria di nuovo e più fresco che si respirava ecc.) credo che la Polisportiva sia stata la “palestra” attraverso la quale i ragazzi che la frequentavano, soprattutto, abbiano assaporato un clima di novità, di libertà, di protagonismo che prima non c'era ad Arnesano. Frequentavano le nostre iniziative ragazze che abitavano ancora in campagna e per le quali era l'unica, o quasi, possibilità di uscire. Hanno frequentato la Polisportiva ragazzi che in paese non si vedevano quasi mai e non frequentavano i loro coetanei. E molti ragazzi/e hanno, sono convinto, maturato determinate scelte politiche e culturali grazie alla frequentazione della Polisportiva. Ecco, ad Arnesano il “68” è arrivato dieci anno dopo, grazie alla Polisportiva Forse potrà sembrare azzardato e, a qualcuno anche blasfemo questo accostamento, ma io ne sono fermamente convinto. Un ultimo pensiero corre ai compagni di viaggio che ora non sono più tra noi, purtroppo, come il vulcanico Enzo Martina, instancabile e indaffaratissimo factotum, Piero Verrascina, vicepresidente felpato, a tanti genitori di ragazzi che ci davano una mano e a semplici collaboratori.
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Aggregazione e socializzazione quando l'unico mezzo di comunicazione erano i rapporti umani
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a mia passione sportiva nasce già da piccolino perché all'età di 5 anni ero già appassionato di atletica leggera e in particolare della corsa. Come tutti i bambini dell'epoca giocavo per strada,correvo, saltavo....ero un bambino molto vivace, anche un po' biricchino, molto legato alla famiglia. Erano anni spensierati. All'età di 14 anni papà, un giorno mi dice che doveva andare in Germania per lavoro, ma in realtà si stava separando dalla mamma. Mi crollò il mondo addosso non sapevo dove rifuggire. Prendo la “Graziella”, una bici molto nota all'epoca, e con mia sorella ci presentiamo alle Scuole Medie di Arnesano dove si allenava il gruppo di atletica leggera della Polisportiva. Conosco persone fantastiche che accolgono calorosamente me e mia sorella, come Enzo (Martina) e Sigismondo (Mortella) e tanti ragazzi miei coetanei con i quali all'epoca abbiamo condiviso fatiche e gioie come Sergio Manca, Mario Manca, Claudio Manca, Fernanda Mortella e tanti altri atleti iscritti alla Polisportiva. Grazie a questi compagni e all'accoglienza ricevuta dalla Polisportiva io e mia sorella siamo riusciti,almeno in parte, a superare il trauma della separazione dei miei genitori.
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di Doriano Caricato
sportiva era composta da Mario Manca, primo staffettista, secondo Claudio Manca, terzo Mario Manca e ultimo Doriano Caricato. Le squadre rivali erano il Carlo Pranzo Lecce, il Cus Lecce, la Polisportiva Sternatia ed altre squadre di cui adesso non ricordo il nome. La Polisportiva Arnesano non era tra le favorite ma comunque era la più agguerrita. Il percorso si svolgeva all’interno di tutta la pineta del Coni. Al pronti, via! Sergio parte forte ma non mantiene il passo e passa il testimone in seconda posizione a Claudio che parte fortissimo e passa il testimone a Mario in prima posizione. Anche Mario parte fortissimo e completa la sua frazione con circa 100 metri di vantaggio sul secondo, Mario mi passa il testimone lo afferrò e volo velocissimo. Corro più forte che potevo sui 200 metri finali mi volto dietro e non vedo nessuno e così concludo la gara in prima posizione. La Polisportiva Arnesano conquista il titolo di Campione Provinciale di Staffetta 4×800. Esperienza bellissima e i compagni fantastici che, dopo 40 anni, rivivo ancora nei miei pensieri.
Avrei tanto altro da dire, ma concludo dicendo che quello che mi ha lasciato la Polisportiva è la testimonianza di aggregazione e socializzazione nei nostri paesi, in quei fantastici anni 70/80, quando l'unico mezzo di comunicazione Il più bel ricordo è stato la staffetta 4×800 al erano i rapporti umani. campo Coni di Lecce. La Squadra della Poli-
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Enzo, le relazioni radicate nell’amicizia vera e nella sincerità dei sentimenti
nzo Martina. O meglio, Enzo “Zu monicu”, come lo ricordano tutti. Solo al pronunciarne il nome si scatenano i ricordi e la nostalgia di un uomo rimasto giovane e genuino fino all’ultimo respiro. Lo spirito d’iniziativa e la freschezza delle relazioni radicate nell’amicizia vera e nella sincerità dei sentimenti inducono a non farne perdere traccia, non tanto per indicarlo come modello di vita ma soprattutto per rivivere e non chiudere a chiave nel dimenticatoio i tempi delle iniziative, delle feste, della vivacità e dell’amore per lo sport che questo ragazzo - è giusto continuare a chiamarlo così - portava a spasso con il suo “mitico” Ciao blu. Dietro a quel motorino, che tutti identificavano con la sua stessa persona, ai tempi della Polisportiva Arnesano, si sono inseguite e costruite le speranze di tanti ragazzini che, attratti dall’atletica, gli andavano dietro correndo mentre “li tirava” spingendo fino al massimo sull’acceleratore. Quante corse, quante sudate, quanto sano divertimento in tempi nei quali tutto era affidato al “fai da te” e alla buona volontà di qualcuno che, come Enzo, guardava avanti senza pensare al proprio tornaconto, immaginando trame di futuro per i nostri giovani. Sport e non solo. Anche la sua attività di imprenditore edile e di maestro costruttore ha lasciato il segno in tanti di noi che, d’estate, partecipavano alle lezioni della sua scuola - in cantiere - per cercare di racimolare qualche spicciolo da utilizzare per gli studi e per qualche giorno di vacanza. Sempre pronto all’incoraggiamento e alla pacca sulla spalla a chi restava indietro o si fermava davanti ad ostacoli e imprevisti. Con tanta passione e con grande
di Aniello Lezzi
generosità. Non a caso tanti di suoi piccoli “apprendisti” oggi sono professionisti stimati e apprezzati. E poi le serate in piazza. Trascorse semplicemente al ritmo di battute e di brillante goliardia. Si rideva e si scherzava con lui provando a mettere da parte ogni tanto gli affanni della vita. I suoi e quelli dei suoi amici. Era tutto più leggero, più sereno, più facile… Il ricordo degli amici è ancora vivo, ma soprattutto grato per averlo avuto per un bel pezzo come compagno di strada e come “fratello” di avventure. Quello spirito esuberante offriva a tutti la capacità di proiettarsi verso il domani con maggiore fiducia con la certezza di avere sempre le sue spalle pronte ad accogliere sconfitte, fallimenti, disfatte. A sedici anni circa di distanza, consegnare la sua memoria a chi non lo ha conosciuto o perché troppo giovane o, pur non essendo nell’età più bella, non ha avuto la fortuna di incontrarlo lungo la via - avendo lui preso una pausa da Arnesano per qualche tempo - non è esercizio noioso della retorica (che spesso si adotta per chi è passato a miglior vita). Si tratta piuttosto di una spontanea espressione della gratitudine verso un uomo che ha dato tanto ad Arnesano. Enzo, con te saremo sempre in debito di riconoscenza per tutte le volte che ti abbiamo giudicato e non abbiamo compreso fino in fondo il senso vero del tuo stare tra noi. Apprezza oggi il nostro desiderio di non lasciarti dimenticare. La più bella soddisfazione per un uomo che senza grandi pretese ha voluto lasciare traccia del suo passaggio sulla terra. Un abbraccio forte.
Il riscatto 22
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erto che la vita (la storia pure) è strana, a volte riserva delle sorprese che mai ti saresti aspettato, capovolge situazioni consolidate, sradica convincimenti assolutamente certi. Chi avrebbe mai detto che “lu cumpagnu Arturu” sarebbe stato oggetto (e soggetto) addirittura di una pubblicazione e di un film. Sarebbe stato più logico e ovvio immaginare attenzioni e lavori postumi ad altre figure istituzionali, come i “Don”, (Carmelo, Antonio, Mario e alcuni sindaci), personalità certamente più meritevoli, (nel bene e nel male) per il loro operato nella comunità arnesanese, o intellettuali come il Prof. De Luca, piuttosto che a un contadino semianalfabeta e comunista.
di Eugenio Manca
Invece questo “onore”, grazie all’intuizione di Caterina Gerardi, è toccato ad Arturo, anima instancabile e appassionata dell’ideale comunista in Arnesano. Questa idea, nata, maturata e poi concretizzatasi nella pubblicazione e nel film, per me rappresenta il “riscatto”, purtroppo postumo, di una persona che nella sua vita ha subito quasi solo sconfitte e delusioni, ma è sempre andata per la sua strada coerentemente. Il suo impegno nelle elezioni amministrative, profuso così generosamente, ha visto un esito positivo solo poche volte. La sua fede comunista è stata tradita dagli sviluppi che il partito, per il quale ha dato tutto se stesso, ha preso trasformandosi in qualcosa in cui non credeva molto
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La sua militanza sincera e disinteressata, la sua foga nel difendere i suoi ideali, lo rendevano agli occhi di molti più una figura folkloristica, quasi una macchietta, che una persona “normale”per non dire di espressioni più volgari e pesanti. Arturo era una persona da evitare, raccomandavano molti, perché comunista, per altri era solo degno di commiserazione per la sua “particolarità”. Credo che fosse molto deluso anche, come ha sottolineato nella pubblicazione qualcuno, dalla fine di una cultura, quella contadina, di cui era intimamente pervaso e dall’avanzare di ideali e modi di pensare e vedere il mondo e la storia assolutamente estranei alla sua formazione. Io non ho conosciuto molto bene Arturo. Lo incontravo spesso presso dei parenti che abitavano vicino casa mia e ricordo il suo saluto
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caloroso la sua stretta di mano ferrea, il suo sorriso schietto e la sua generosità (se aveva qualcosa nella sua famosa “Ape”mi faceva partecipe) e nella sezione storica del PCI dove, soprattutto durante gli anni dell’università (che hanno coinciso con l’inizio dell’impegno politico) ci si ritrovava per discutere. Da quanto letto nei contributi della pubblicazione ha passato gli ultimi anni della sua vita, da solo e in precarie condizioni economiche. La condizione di emarginazione (o di autoemarginazione) in cui è vissuto negli ultimi tempi ci deve far riflettere su come, presi da tante occupazioni spesso inutili, ci si dimentichi di persone umili che, come Arturo hanno messo la loro fatica, la loro esperienza e il loro coraggio al servizio degli altri (questo vale per me, per primo, e la distanza geografica non può essere un alibi).
Viva la PolisportivArnesano e grazie a tutte le persone che decisero di costituirla Spagine
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di Marcello Attanasio
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a Polisportiva Arnesano, in quel periodo della nostra vita era l’“associazione” che teneva impegnato il nostro tempo libero, organizzando manifestazioni sportive, culturali, ricreative e di tradizione coinvolgendo gran parte dei cittadini di Arnesano. Sono venuto a conoscenza con il gruppo di amici con cui frequentavo la Piazza e quindi siamo stati "costretti" a iscriverci e a farne parte integrante, mettendoci a disposizione dell'associazione stessa.
Mi piaceva andare e ho partecipato quasi a tutte le attività sportive, in particolare per giocare a calcio. Sicuramente la frequentazione della Polisportiva mi ha aiutato a crescere e a stare in mezzo a persone più grandi di me. I ricordi sono tanti, in particolar modo mi emoziono ancora nel ricordare le persone che ne facevano parte e che adesso non sono più fra noi. Viva la POLISPORTIVA ARNESANO e grazie a tutte le persone che decisero di costituirla.
“Ritagli di Ricordi” Spagine
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di Lucio Cappello
Esperienza entusiasmante e coinvolgente quella vissuta a cavallo degli anni ‘80 del secolo scorso dalla maggior parte dei giovani adolescenti di Arnesano, con la nascita della Polisportiva, grazie all’opera di un gruppetto di instancabili animatori, guidati da Caterina Gerardi, nel ruolo di presidente. Tutti i soci ed in particolare l’instancabile Eugenio Manca hanno avuto il merito di coordinare le tante iniziative territoriali e di sviluppare progetti ed attività legate all’atletica, al calcio, alla pallavolo, che hanno movimentato e allietato le lunghe giornate di un piccolo paese della nostra provincia salentina. Tornando indietro nel tempo e confrontandolo con quello attuale,devo concludere che la mia generazione ha vissuto un momento a dir poco invidiabile. E si, perché il nostro tempo è stato scandito e segnato dalla presenza di due importanti “istituzioni locali” che tanto hanno contribuito al miglioramento religioso, culturale, sociale, ricreativo e sportivo della nostra comunità: l’Oratorio dei Padri di Don Orione e la Polisportiva Arnesano. Gli anni del nostro impegno nella Polisportiva sono stati quelli che vanno dal 1976 al 1985; essi sono ricchi e densi di tante esperienze formative, dalle gare organizzate all’insegna del vivere uno sport non agonistico, alle escursioni sul territorio, ma anche all’onere profuso nella collaborazione per la stesura del giornale locale “Porta Rande” ed alla promozione di eventi, che, se pur minori sul piano culturale,erano sicuramente altamente edificanti, per i giovani e meno giovani. Tutti gli iscritti contribuivano, ognuno ritagliandosi un proprio ruolo, all’interno di una compagine sociale profondamente variegata, alla realizzazione delle varie iniziative. Mi piace qui ricordare un nostro concittadino prematuramente scomparso, l’indi-
menticabile Enzo Martina, sempre pronto alla battuta scherzosa, che rimane per noi figura emblematica, sia per il suo modo di essere generoso e collaborativo, sia per il suo sorriso sornione ed anche perché si cimentava nel ruolo di allenatore per le corse campestri, cosa che gli riusciva molto bene visti i successi di qualche suo allievo nelle gare presso il CONI di Lecce. Il periodo storico in questione,corrispondente agli anni dell’attività della Polisportiva è un po’ complesso da analizzare, basti ricordare che nel 1977 ci furono gli ultimi rigurgiti del movimento studentesco, nel 1978 le Brigate Rosse rapirono l’onorevole A. Moro instaurando un clima di terrore. Insomma, un periodo che ha messo a dura prova i nervi della nostra democrazia. Il voler documentare quegli anni della nostra comunità, attraverso la raccolta di testimonianze sia cartacee che fotografiche,è anche un modo per prendere atto della reazione popolare non solo rispetto a quelle problematiche, ma anche rispetto aivuoti amministrativi di quegli anni riguardo eventi sportivi, ricreativi o culturali. Inoltre, lo sforzo profuso dai promotori nel ricostruire questi “ritagli di ricordi”, che per noi hanno rappresentato anni felicissimi della nostra vita adolescenziale, contiene,a mio avviso, un duplice messaggio: da un lato quello di chiudere quella esperienza cosi pregnante al fine della nostra formazione; dall’altro, quello di far conoscere alle odierne generazioni di giovani un Arnesano di 40 anni fa. È un invito, non espressamente palesato, rivolto ai nostri giovani al fare, al proporsi, all’accettare nuove sfide e a farsi promotori di eventi e attività culturali e sociali, di cui oggi, se ne sente veramente la mancanza.
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Mi sono rivisto correre e sudare
he foto! Quanti ricordi. Appena l'ho vista mi è venuto un tonfo al cuore. Per un attimo ho rivissuto un film già visto, uno di quelli che però riguardi volentieri senza mai stancarti, magari seduto sulle sedie di legno " Allu cinema te li monici te Don Orione". La mia mente è ritornata subito a quelle domeniche quando lu Mondu Mortella e l'Augusta Mortella la mattina ci aspettavano fuori della Polisportiva. Mi è sembrato di rivederli lì davanti a me, sorridenti: lui con la sua Fiat 124 e lei con la sua Ford blu. Ah certo!… poi c'era Caterina con la sua 112 e Gabriele con la sua bicicletta e la macchina fotografica al collo. Li ho rivisti nitidi davanti a me, come ora vedo questa foto. Sono Ri-salito in macchina pronto a partire verso la prossima gara. Ho risentito i profumi e gli odori del " Bar del soldato" alle casermette tappa obbligatoria te lu Mondu... ricordate? Profumo di vita, d'infanzia e ricordi lontani che questa foto ha fatto tornare tangibile. Gruppo, passione e... pazienza, già perchè
di Claudio Manca
per tenere assieme quella banda - una volta svegli e carichi - era impossibile. Tutto molto bello si...ma poi, le litigate te lu Mondu con il Prof. Raimondi del CUS Lecce? Ci difendeva... noi in pochi, ma agguerriti, loro in tanti ma spesso messi alle strette da noi rischiando di arrivare secondi nelle gare a squadre. Che momenti... per un attimo ho rimesso i pantaloncini e la maglietta verde della Polisportiva e mi sono rivisto correre e sudare solo per batterli, ho rivisto Lu Mondu, l'Augusta , la Caterina correre a fianco a noi fino al traguardo e tutti i miei compagni gridare e incitarmi e tutto per questa foto! Concludo e non mi dilungo oltre...posso solo dire che la Polisportiva era (ed è tutt'ora per noi che la teniamo viva nei nostri cuori) una famiglia allargata. Un ultimo pensiero va a chi faceva parte di questo gruppo e ora non c'è più, ma che vive nei cuori di chi come noi non dimentica quegli anni felici. Scusatemi ancora, ma era un atto dovuto!
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Il diritto-dovere di essere Cittadino, ritrovando il piacere di un essere collettivo fatto di corpi che si incontrano fisicamente e operativamente
l 16 maggio vedo su “PolisportivArnesano” su Facebook la breve presentazione, postata dal professore Eugenio Imbriani, della prima copia della raccolta completa di Porta Rande, il giornale ‘numero unico’ che, promosso e realizzato con entusiasmo da un gruppo di giovani, fece la sua prima uscita nel 1976, in occasione della festa patronale del Crocifisso, ad Arnesano. Quel ‘numero unico’ sarebbe uscito puntualmente fino al 2007, atteso ogni anno e sfogliato con molta curiosità sia dai residenti che dagli emigrati ritornati nel proprio paese per i tradizionali festeggiamenti del santo patrono. Nel guardare la foto della copertina e della prima pagina del giornale, provo una certa emozione, un intimo piacere e, soprattutto, soddisfazione di vedere realizzato un progetto ideato, e strenuamente perseguito, da Caterina Gerardi.
In queste reazioni c’è anche qualcosa di personale, che ha segnato il mio rapporto con Arnesano. Pur non avendovi mai vissuto stabilmente, l’ho frequentato per lunghi anni e ne ho potuto conoscere aspetti, persone e storie attraverso l’osservatorio, la penna e i racconti, amorevolmente critici, dell’indimenticabile professore Luigi de Luca, mio amato suocero, nonché Maestro, anche per me, di esemplare dirittura morale e dal nobilissimo animo. Gra-
di Rita Scrimieri
zie a lui, ero venuta a conoscenza anche di Porta Rande, giornale al quale egli aveva dedicato vari suoi contributi, alcuni memorabili. Ecco che molti ricordi relativi ad Arnesano sono riaffiorati in me a seguito dell’incontro e dell’amicizia più recente con Caterina, cara amica di mio suocero. Generosa narratrice del proprio vivace e fecondo vissuto arnesanese, nonché instancabile tessitrice di relazioni umane e appassionata promotrice di progetti intorno a memorie documentarie, fotografiche e scritte, di particolare rilevanza civica e sociale, Caterina, pure da transfuga ‘fuori porta’ nella vicinissima Lecce, è rimasta sempre legata al suo paese natale e al tempo trascorso con compagni e amici d’ininterrotta affettuosa frequentazione, nè ha smesso di seguirne vicende, fatti sociali e politici. Tra i suoi progetti realizzati sul territorio di Arnesano, rientra, dopo lo straordinario documentario e la pubblicazione dedicati alla figura del “compagno” Arturo Politi (2016), anche questo su Polisportiva e Porta Rande, entrambe fondate nel 1976 dalla stessa Gerardi. Si tratta di due esperienze distinte, si rivelarono ugualmente espressione e strumento della formazione, pure nella sana pratica sportiva, di una comunità attiva e partecipativa, in anni che vedevano la realtà di Arnesano socialmente dormiente, alienata nella routine quotidiana
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di una ciclica sopravvivenza individuale. Due esperienze che hanno visto partecipare alcuni come protagonisti e i più come cittadini incuriositi e soprattutto sorpresi di ritrovarsi “soggetto” e “oggetto” di una pubblicazione, Porta Rande, che entrava nel loro vissuto individuale e sociale. Ancora una volta, oggi, Caterina è riuscita a coinvolgere i tanti compagni di piacevoli e comuni avventure giovanili, solleticando le corde della memoria e della nostalgia di irripetibili, magici momenti condivisi… Dai ’me ricordu…’ e ’comu eramu…’, con opportuni solleciti a pescare tra ricordi appannati e album di fotografie, per lo più in bianco e nero, dimenticate nei cassetti della gioventù, ha preso avvio un percorso di spostamento mnemonico dal personale al comune, per una ricomposizione dell’essere collettivo che si dà nella compartecipazione al lavoro. Ed eccolo qui lo straordinario risultato: la raccolta completa di Porta Rande, riproposta in un pregevole volume, curato dalla stessa Gerardi; un ricco apparato fotografico in 3 pannelli sulla Polisportiva; la rivista Polisportiva… una storia da raccontare: il volume e la rivista saranno consultabili anche on line. Si tratta di materiali che rivalutano significati e valori appartenenti a coloro che a quelle esperienze diedero corpo e anima e che, al contempo, offrono una testimonianza suggestiva di come sia possibile
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anche in una piccola realtà urbana attivarsi individualmente per costruirsi come soggetto plurale capace di controllare, condizionare, modificare l’esistente. Semplicemente esercitare il diritto-dovere di essere Cittadino, ritrovando il piacere di pratiche associative e di un essere collettivo fatto di corpi che si incontrano fisicamente e operativamente, oltre i limiti dei pure utili ‘social network’. È soprattutto questo, a mio parere, il valore prezioso del lavoro svolto: un esempio ammirevole di come l’esercizio della memoria collettiva possa dar luogo ad un’operazione ove l’emozione della nostalgia si trasforma in pungolo e strumento di progettualità nel presente che sogna e prepara il futuro. Un grazie di cuore a Caterina Gerardi, curatrice dell’intero lavoro e a tutti quanti hanno collaborato e contribuito, ciascuno con il proprio segno, alla realizzazione di un segmento della storia sociale di Arnesano. Si può riconoscere in esso l’avvio alla costruzione di un archivio della memoria, come bene comune da arricchire e tutelare. È pertanto auspicabile che tutto il materiale raccolto e pubblicato sia messo a disposizione dei cittadini, in particolare di docenti e studenti, e di quanti potranno essere interessati.
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Ricordo del Prof. Luigi De Luca collaboratore assiduo ed entusiasta di Porta Rande
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di Tonio Solazzo
Uomo di nobili sentimenti, di profonda umanità, di straordinaria coerenza ideale e morale, il prof. De Luca rimarrà nel ricordo di noi di Porta Rande e dei cittadini tutti di Arnesano.
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el numero di luglio del 1991, Porta Rande pubblicava due inediti del prof. Luigi De Luca (Gino, come spesso amava firmarsi), scelti da me, tra una mole sterminata di scritti, messi generosamente a disposizione del nostro giornale, dal figlio il carissimo Enzo. Pochi giorni prima, il 16 di giugno, il prof. De Luca ci aveva lasciato. Con la pubblicazione degli inediti, Porta Rande intendeva ricordare, come si legge in prima pagina, “la figura del prof. Luigi De Luca, che, fin dal 1976, è stato collaboratore assiduo ed entusiasta del nostro foglio. Uomo di nobili sentimenti, di profonda umanità, di straordinaria coerenza ideale e morale, il prof. De Luca rimarrà nel ricordo di noi di Porta Rande e dei cittadini tutti di Arnesano”. Rileggendo, a distanza di tanti anni, gli scritti apparsi su Porta Rande, si delinea, chiara e possente, la sua visione del mondo, l’intuizione, per dirla con H. Schimdt, “della connessione delle cose e del senso dell’esserci, così come la volontà – orientata da questa intuizione – di comportarsi e di agire conformemente al senso dell’esserci”. Egli l’affida ad uno scritto in versi dal titolo provocatorio nel suo evidente ossimoro, ”Credo di un miscredente”, pubblicato su Porta Rande del luglio 1982 e riportato nella pagellina di ricordo del prof. De Luca, nell’originale scrittura ad inchiostro come testamento spirituale. L’uomo, il mondo, l’universo sono solo materia in perenne evoluzione e trasformazione: “Sì da sempre, per sempre;/ché increata, indistruttibile, eterna/ è l’immensa materia/ ed inesauribile
l’energia,/ lo spirito multiforme che sprigiona”. L’uomo, materia come tutto ciò che lo circonda, è l’ultimo ingranaggio di questo processo di trasformazione perenne, illuso di esserne “attore”, mentre è solo un “burattino”, che la Natura utilizza per il suo scopo:
“Natura immensa, di cui tu sei parte / (atomo cerebral sei di natura), ai fini suoi d’evoluzione eterna / ti fece, e illuso di poter volere, / a che tu oprassi con più lena evoglia”.
In questa visione coraggiosa e sconsolata dell’esistenza, non c’è posto per alcuna illusione : un Dio creatore, un’anima immortale, un’oltretomba con premi e castighi. Al tempo stesso non vi è posto alcuno per lo smarrimento di fronte all’infinità dell’universo o per lo sconforto che nasce dalla consapevolezza di percorrere un brevissimo tratto di strada che conduce al nulla eterno.
Non è difficile scorgere nel “Credo di un miscredente” i richiami al titanismo dell’Alfieri, al Foscolo dell’”Ortis” (la lettera datata 20 marzo 1799), al Leopardi del “Dialogo della Natura e di un Islandese”, (autori ai quali, non certo per caso, il prof De Luca dedicò un saggio); richiami che egli innestò su un forte senso civico, sul richiamo alla giustizia sociale, sulla lotta ai pregiudizi e ai tabù (vedi: “L’educazione sessuale nella scuola italiana dell’obbligo”, Porta Rande 1980), sulla critica sferzante al potere che persegue e difende gli interessi particolari e non quelli della
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collettività, spesso utilizzandone il genuino sen- trova piena realizzazione nell’amore. timento religioso. Ricordiamo due composizioni in versi, pubblicate su Piazza Paisiello del 1979 (quell’anno si L’anno prima del “Credo di un miscredente”, dovette cambiare l’intestazione del giornale, per Porta Rande pubblicò due componimenti poe- ovviare alle limitazioni imposte dalla normativa tici: il primo da “Giorno verrà…” di Angela a Gino allora vigente alle pubblicazioni periodiche non De Luca (in quartine di endecasillabi a rima in- registrate), tratte dalla raccolta “Malinconie”. crociata); il secondo, in risposta, “Tristezza” (ad Angela), in quartine di tre endecasillabi e di un Nella prima, dal titolo “Catulliana”, traduce e quinario, anch’essi a rima incrociata. combina liberamente alcuni dei più noti carmi del poeta latino cantore dell’amore per antonoSono due componimenti di altissimo valore masia; esempi della solida cultura classica del poetico e ideale, in cui alle ragioni di chi crede e prof. De Luca e della sua vocazione di poeta rafal ricordo di una madre che, all’ombra della sera, finato ed elegante. giungendo le mani al suo piccolo, insieme a lui pregava, si risponde con un commosso silenzio La seconda, “Oltre l’amore”, è un inno alla bel“ché farebbe oltraggio/ il mio raziocinare a tua lezza di una donna, all’ “universale desio certezza”. d’amore” che ella suscita e alla “gioia che tu, sol tu, meravigliosa/ afrodite puoi dare”. Ma, oltre Tuttavia, l’uomo reagisce al suo destino con or- l’amore, va la stima del poeta per la donna e la goglio, negandosi ogni fuga consolatoria nel di- condanna della “sociale ipocrisia / che ‘vizio’ vino ed esaltando la forza vitale che anima la chiama /l’insopprimibil brama d’effusione / d’un natura tutta e l’uomo stesso. Forza vitale che si assetato cor, ‘depravazione’ / l’anelito d’amore manifesta nell’esplosione gioiosa dei sensi e che esuberante / al naturale appagamento degno”.
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L’altro scritto in tema, “Dar torto a Salomone: che pretesa!”, fu pubblicato nel numero di luglio del 1991, a pochi giorni dalla scomparsa del prof. De Luca. Il motivo di fondo della breve prosa è la rivalutazione, durante il servizio militare, di una frase attribuita a Salomone (…‘botte a gl’idioti…’), che egli, studente sedicenne, aveva appreso dall’insegnante di filosofia. In realtà il tema vero è il ricordo struggente di un’età lontana, di un caldo pomeriggio d’aprile a scuola, con ” il sole che inonda la stanza e penetra nella carne con vita nuova”, sollecitando i desideri e le fantasie della prima giovinezza.
“Lembi d’azzurro per le finestre e rondòni che sfrecciano stridenti; sogni d’azzurro e d’infinito; luce; profumo di giovinezza; labbruzze voluttuose e procaci, lievemente sbiancate come da troppo ardore; spasmodica brama di stringere al petto fra le braccia possenti; languore intenso e rodìo; primavera e sedici anni: amore”. Un’ultima citazione, in “Arnesano, anni trenta” dall’inedito “Storielle di un paese senza storia”, con l a descrizione della “sposina agli otto, cioè all’ottavo giorno delle nozze “paga e felice: il suo essere è tutto un cantico all’amore, la sola cosa
per cui valga la pena vivere… e di morire, se necessario”.
In quello stesso numero, in prima pagina, pubblicammo “Uardandu li stemmi de casa”, un omaggio a chi, marchese senza marca, ha lavorato fin da ragazzo e la “fatìa” (il lavoro allora era fatica), ha prodotto decoro, amore, stima; gli stemmi della vera nobiltà, appesi alle pareti delle case della gente comune. La scelta di quella composizione in dialetto (un autentico pezzo di bravura di tre quartine in endecasillabi a rima alternata), non fu casuale. Il dialetto era la sua lingua. E lo era a tal punto da ammettere: “…io congenitamente penso in dialetto, nell’adorato mio dialetto di Arnesano”, di cui esaltava la nobiltà e la dignità letteraria al pari della lingua nazionale; la ricchezza di termini dalla forte valenza polisemica e, spesso, intraducibili in italiano; l’elaborazione collettiva di nuovi significati, carichi di polemica sociale e di irresistibile comicità. E’ il caso del termine “marchese”, che, nella poesia prima richiamata, sta per “titolo nobiliare”, ma anche, nel dialetto, “mo’ (cu crianzaparlandu) ete ‘lu mese’ de la Ninetta, de la Maria Rosa”.
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Se il dialetto era adorato, la stessa cosa non possiamo dire per Arnesano e gli arnesanesi. Del “ridente paesello” (come negli anni Trenta, la Guida d’Italia del Touring definiva Arnesano), guarda con occhio benevolo solo il paesaggio: le serre, le cave di pietra tufacea, le estese piantagioni di ulivi, i ricchi vigneti a ceppo con prevalenza di negroamaro e malvasia.E gli arnesanesi? Molti, allora, i compaesani ubriachi, rissosi, chiassoni e tutti propensi per indole più a denigrare che ad esaltare il prossimo, assidui frequentatori delle messe domenicali, con la terza, cantata, autentica “fiera della gente che vuol fare mostra di sé” (da “Arnesano, anni trenta”).
Ho motivo di credere che il giudizio del prof. De Luca sui suoi concittadini, non sia cambiato di molto nel corso degli annni. In due sole occasioni egli ne parla con entusiasmo e gratitudine. La prima nel luglio1981, scritto per celebrare la vittoria dei “no” nel referendum sull’aborto anche ad Arnesano, notoriamente allineato alle indicazioni di voto della D.C. e della Chiesa.
Con onestà intellettuale, scrive: “Chiedo perdono ai miei sempre carissimi compaesani, per averli ingiustamente sottovalutati e li ringrazio dal pro-
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fondo del cuore per la smentita datami, la quale (voglio lo sappiano) mi fa esultare di gioia e bene sperare” (da “Chiedo venia ed esulto”).
La seconda nel luglio 1985, quando, dopo un quarantennio di potere democristiano, la lista civica di sinistra vinse nelle elezioni amministrative di quell’anno. Finalmente Arnesano s’è desta -egli scrive – e “le ormai tranquille ossa di ‘Papa Tore Rizzu’ e ‘Mesci’Antonizumonicu’ trasalirebbero di gioia nelle lor fosse”. Una gioia che, purtroppo, è durata solo cinque anni!
La produzione in versi e in prosa del prof. De Luca è vastissima e comprende un romanzo e una raccolta poetica, ancora inediti e articoli di costume scritti per la "Tribuna del Salento". Inoltre, ha pubblicato un corso di lettura per le scuole elementari " Le vie del bene" (Maggi editore, Caserta, 1948), frutto della sua lunga esperienza di educatore nelle scuole elementari di Muro Leccese, Arnesano e Lecce. Ricordiamo, infine, il saggio “Alfieri, Foscolo, Leopardi” (Gallucci, Lecce, 1950), autori che egli sentiva vicini alla sua visione del mondo e della vita.
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Dedica autografa del Professore Luigi De Luca a Caterina Gerardi
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Porta Rande dal 1976, per “ridere” delle malefatte del potere
orta Rande, fondato e diretto inizialmente da Caterina Gerardi, nacque nel 1976 sulla scia dei tradizionali giornali pubblicati in vari paesi in occasione della festa patronale; ad Arnesano quindi usciva la prima domenica di luglio per la festa del Crocifisso. Come gli altri fogli del genere era essenzialmente un giornale goliardico e di satira, anche se non mancavano notizie utili sul paese, senza una precisa connotazione politica, irriverente ed ironico verso i personaggi più in vista del paese dei quali era pronto a cogliere qualche aspetto curioso o deplorevole del loro comportamento, le bramosie nascoste e nominandoli a volte col soprannome, ciò che mandava in bestia più di uno. Nel corso degli anni però il giornale, ad opera di alcuni giovani di allora tra cui il sottoscritto, che ne ereditarono la direzione, assunse una marcata colorazione politica di Sinistra, una sinistra assai eterogenea, esterna ai partiti tradizionali del tempo come il PCI o il PSI, divenne cioè un organo di opposizione, pur conservando la parte ludica e divertente originaria. Si arricchì, come si può constatare, sfogliando i numeri ripubblicati, anche di articoli su avvenimenti di storia locale e sui monumenti più significativi del paese. Denunciare le malefatte del potere significava allora attaccare i dirigenti ad Arnesano della DC, che dal dopoguerra amministravano il Comune, affiancati nell’opera dalla parrocchia e dall’oratorio Don Orione; insomma si cominciava a frequentare da ragazzi l’AC e l’oratorio e ci si ritrovava col passare degli anni, quasi senza ac-
di Giovanni Lorenzo
corgersene, nella sezione della DC del paese che era più un circolo ricreativo che una sezione di partito, guidato da persone educate, riservate, ma abilissime nel nascondere le scelte politiche dell’amministrazione più compromettenti ai semplici iscritti al partito. In tale situazione l’opposizione si esercitava allora nelle piazze, nei bar, e nel circolo ARCI con discussioni politiche appassionate ed aspre che d’estate duravano fino a notte fonda, a volte anche sull’impostazione del giornale. L’uscita di quel foglio era diventato col tempo un avvenimento temuto o aspettato con impazienza a seconda della propria posizione politica e veniva comprato da molti cittadini, primo per verificare se erano stati nominati in qualche articolo o barzelletta e poi, dopo un sospiro di sollievo se la ricerca era stata negativa, per leggere qualche contributo di loro interesse. La reazione dei soggetti presi di mira, però, citando una canzone famosa, “si limitava all’invettiva”, a qualche minaccia a denti stretti di querela che per fortuna non arrivò mai. Quel giornale quindi può essere considerato ora storicamente come una lettura, naturalmente di parte, di tanti avvenimenti politici e sociali locali del secolo scorso e costituisce quindi anche un documento importante sulle modalità della lotta politica di quel tempo, così diverso da quello attuale: dove sono più le piazze e i bar traboccanti di gente litigiosa ma appassionata soprattutto in periodo elettorale e in occasione dei comizi?
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Purtroppo, come ho già detto prima, non è mai esistito un giornale in quegli anni come risposta ai nostri attacchi e non è possibile quindi mettere a confronto due diverse e contrapposte visioni e interpretazioni degli avvenimenti politici per avere un quadro complessivo più articolato del periodo considerato . Col tempo poi le cose cambiarono: il potere della DC, che sembrava allora inossidabile, franò, anche per merito di una parte dei dirigenti di allora che passarono dalla parte dell’opposizione e una lista civica di sinistra con la presenza di alcuni redattori del giornale riuscì per una legislatura nel 1985 a vincere le elezioni amministrative e a guidare il Comune. Altri si presero l’impegno di continuarne la pubblicazione per un certo periodo come la Pro Loco , ma poi il giornale, dopo qualche altra saltuaria uscita, si spense definitivamente. L’iniziativa di ripubblicare i numeri di quel foglio in occasione dell’allestimento della mostra fotografica sulla Polisportiva di Arnesano (guidata in quel periodo con piglio decisionista sempre da Caterina Gerardi) le cui vicende si intrecciano con quelle del giornale, è un’opera meritoria perché
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consente a tanti di ricordare un periodo storico ormai del tutto tramontato e di pensare ai tanti personaggi, alcuni di loro ormai scomparsi, che avevano animato la vita sociale del paese, a volte con comportamenti originali e stravaganti, ma che risultavano sempre presenti in molte attività della Polisportiva. Per concludere mi piace tra i tanti, che si sono prodigati dentro e attorno alla polisportiva e si sono dati da fare alla diffusione del giornale, ricordare due amici, purtroppo prematuramente scomparsi: Enzo Martina, grande affabulatore della nostra piazza, simpatico a noi tutti per le sue trovate spesso esilaranti e le frequenti e innocue incazzature, pronto ad imbarcarsi in ogni avventura, ma molto generoso e sempre disponibile e per un periodo appassionato allenatore della Polisportiva e Ennio Gerardi, che pure ha contribuito alla composizione del giornale con le sue poesie dialettali pungenti ed ironiche spesso contro i notabili del paese. Custode della piccola biblioteca comunale, è stato per molti anni prezioso conservatore di ogni documento sulla storia del nostro paese.
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In quegli anni le strade e soprattutto le piazze erano veri spazi pubblici. Come le sezioni di partito o le sedi dei circoli culturali. Gli stessi bar o le osterie, pur essendo luoghi quasi esclusivamente maschili, erano spazi di relazioni vere che favorivano il formarsi di una pubblica opinione
Da Porta Rande al mondo
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el quindicennio che comprende tutti gli anni '70 e la metà degli anni '80 ho fatto la mia esperienza di migrante. Un po' per scelta, un po' per necessità, ma senza viaggi in gommone né valigie legate con lo spago. A Urbino per motivi di studio e a Bologna e Venezia per lavoro. Nell'anno (il 1976) tra la laurea e la decisione di andarmi a cercare un lavoro qualsiasi in un'altra città, ho partecipato alla bella avventura della nascita di un giornale locale, seppur con un numero unico annuale. “Porta Rande”, appunto, nato su iniziativa di un gruppo di persone impegnate anche nelle attività della neonata Polisportiva Arnesano. Tra le quali Caterina Gerardi, che della Polisportiva era, al tempo stesso, ideatrice e attivissima operatrice.
La prima redazione era in prevalenza femminile, e anche questo si può considerare un elemento di novità in una piccola comunità che limitava allo spazio del focolare la primazìa del ruolo femminile. Il primo numero – come quelli successivi – metteva insieme riflessioni sulla politica locale, brevi saggi di storia del territorio, aneddoti e motti di spirito che prendevano talvolta bonariamente in giro cittadini arnesanesi. Qualcuno non aveva gradito, però. Anzi, un signore, sostenuto dalla consorte, aveva deciso di vendicarsi aggredendo – per
di Gabriele Arnesano
fortuna solo a parole – alcuni di noi della redazione. Esclusa la vera autrice, pare, del motto incriminato, forse perché di nobile casato.
Si è trattato comunque di una bella esperienza, che ha coinvolto molti ma, soprattutto, ha stimolato interesse e dibattito nella cittadinanza. I gruppi redazionali e i collaboratori, che negli anni non hanno subito grosse modifiche, più che impegnati a definire linee, hanno lavorato alla raccolta di materiali interessanti e alla loro impaginazione. Nei giorni della festa del Patrono, in cui usciva il giornale, la piazza riacquistava appieno il suo ruolo tradizionale di luogo di incontro, di dialogo e confronto. Si discuteva di questioni di politica locale, si sorrideva degli sfottò mai cattivi, si commentavano notizie e informazioni contenute negli articoli. In quegli anni le strade e soprattutto le piazze erano veri spazi pubblici. Come le sezioni di partito o le sedi dei circoli culturali. Gli stessi bar o le osterie, pur essendo luoghi quasi esclusivamente maschili, erano spazi di relazioni vere che favorivano il formarsi di una pubblica opinione.
Il giornale era uno strumento semplice, frutto dell'incontro di un gruppo di persone che condividevano esperienze e conoscenze. Capace di sollevare problemi, suggerire que-
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stioni, stimolare riflessioni. Che, nel confronto aperto e non mediato, diventavano facilmente materia condivisa. Certo, non mancavano neppure all'epoca gli atteggiamenti faziosi e le prese di posizione aprioristiche, ma il faccia a faccia degli spazi pubblici reali favoriva tentativi di negoziazione e dialoghi produttivi. Sono stati tempi, quelli, in cui lo spirito di comunità, con tutte le sue difficoltà e i suoi retaggi culturali, si costruiva anche attraverso le
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iniziative che nascevano dal basso e ad opera di persone – come si dice – di buona volontà. La Polisportiva, il giornale, i circoli Arci nati successivamente, la Pro-Loco hanno avuto un ruolo determinante anche nella costruzione di un tessuto di cittadinanza attiva. Il confronto con la situazione di questi anni sembra piuttosto impietoso. E rende necessaria e urgente una riflessione sui motivi dei preoccupanti fenomeni di clausura astiosa.
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Porta Rande è stato non solo ironia, sfottò, spirito laico, rivalutazione del dialetto e della sua dignità letteraria, ma, soprattutto, impegno ideale, passione politica nel senso più alto e nobile del termine, interesse per il nostro passato. In una parola, atto d’amore per Arnesano.
Non solo satira politico-amministrativa e di costume
È
capitato in passato di parlare di Porta Rande, con gli amici protagonisti di quell’esperienza o con i lettori del giornalee, inevitabilmente,si finiva con il ricordarne l’aspettopiù evidente: lo sfottò (che gli autori degli articoli, è bene sottolinearlo, esercitavano reciprocamente su di loro prima che sugli altri), lo spirito laico (spesso irriverente), il gusto per i calembours, l’ironia tagliente che prendeva di mira gli avversari politici in quanto personaggi pubblici. E ho potuto registrare la stessa dimensione del ricordo quando, nei mesi scorsi, cominciava a prendere corpo l’idea di Caterina di raccontare l’avventura della Polisportiva e di recuperare i numeri di Porta Rande, che, di quell’esperienza è stato il frutto più originale e duraturo. Del resto, come non ricordare le rubriche fisse del giornale (“Cose che brillano”, “Film in programmazione”, “Libri di prossima pubblicazione”, “Colte al volo”), le più attese dai lettori per gli sfottò mai sopra le righe; gli interventi del professore Luigi De Luca, per-
di Tonio Solazzo
corsi da uno spirito laico tagliente e dissacrante; l’ironia sempre elegante e raffinata di Serafino Terzi; il “vocabolario” del dialetto arnesanese di Ennio Gerardi, che nasceva da una bravura mostruosa nel cogliere e combinare l’“ambiguità” semantica dei termini dialettali, capace di dar vita a definizioni originalissime e irresistibilmente comiche.
Ricordare, però, Porta Rande solo come un “giornale” di satira politico-amministrativa e di costume (sull’esempio del più noto “Festa Noscia” leccese, per intenderci), è, a nostro avviso, riduttivo. Fin dai primi numeri, l’attenzione si concentra non solo sui problemi del paese (e dei giovani, soprattutto), ignorati o non risolti dalle amministrazioni democristiane, ma investe la storia stessa di Arnesano, i riti, le tradizioni, i monumenti, i personaggi in parte già esplorati o raccontati da nostri appassionati studiosi, ma pochissimo conosciuta dai comuni cittadini.
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Ricordiamo gli inediti del prof. De Luca (1976 e 1977), tratti dal suo “Storielle di un paese senza storia” (a nessuno può sfuggire il fatto che definire Arnesano senza storia, significava già farne la storia!); “Nostalgia di Arnesano” (1976), di Serafino Terzi; “Appunti per una interpretazione di ordine antropologico della festa di Gesù Crocifisso”, di Eugenio Imbriani (1980); “La presenza del Crocifisso: estensione e limiti di un culto”, di Mario Cazzato (1980); “Trasformazioni economico-sociali in Arnesano agli inizi dell’Ottocento. Osservazioni sulla relazione ’Pel Marchese di Arnesano’, di Paolo Serfilippo”, a cura di chi scrive e di Ennio Gerardi (1981); “Le tele della Cappella dell’Asilo Bernardini di Arnesano” (1982), di Giovanni Lorenzo; “Per il restauro della chiesa di S. Antonio” (1982), di Lucio Cappello; “Ragguagli sul Passaby pittore arnesanese del Settecento” (1982), di Mario Cazzato; “Nicola Indennitate ci c…. ete quistu? (1982), di chi scrive; “1799-1821: il primo Risorgimento in Arnesano” (1982), di Gino Giovanni Chirizzi; “Fasti settecenteschi: la famiglia Imbriani” e “Il
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1948 e la statua della Madonna” (1983), di Mario Cazzato; “Arnesano: note sulle origini” (1986), di Lucio Cappello; “Tra i ricordi della fontana” (1988), di Vittorio Caione; “Apocatastasi” (1988), di Paolo Pati; “Note sull’ex Parrocchiale” (1988), di Lucio Cappello; “Arnesano 1742. Dal Catasto Onciario uno scorcio su società, economia e paesaggio agrario” (1992), di Luigi Russo; “Riesci neolitica” (1992), di Paolo Pati; “Frammenti di vita arnesanese alla fine dell’800” (1992), di Mario Cazzato; “Via Vecchia Carmiano in contrada Boci” (1993), di Luigi Russo; “Le strade della discordia” (1993), di chi scrive; “Quel Corpus Domini di cinquant’anni fa” (1994), di Raffaele Martina; “Per non dimenticare. L’eroico gesto di mons. Raffaele Perrone” (1994), di Raffaele e Sandro Perrone; “Il villino Belvedere di Cosimo De Giorgi” (1994), di Mario Cazzato; “Edicole votive” (luglio 2007), di Lucio Cappello; “Arnesano nell’Ottocento dei dizionari corografici” (luglio 2007) e “Le acque della discordia. Arnesano contro Monteroni” (ottobre 2007), di Michele Mainardi.
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Un tema dalla forte valenza simbolica ha attraversato Porta Rande fin dal 1978: il recupero del centro storico, allora in uno stato penoso di incuria e abbandono. Il lunghissimo elenco (utile guida per chi volesse riprendere la lettura del giornale), serve a dare l’idea di quanti aspetti, sconosciuti della storia di Arnesano, siano stati portati all’attenzione dei lettori di Porta Rande e di quanta passione animasse gli autori degli articoli, al punto che nel 1980 e nel 1981 le pagine del giornale passano da quattro a sei, per diventare otto negli anni 1982 e 1983.
É come se, di anno in anno, crescesse la consapevolezza che per affrontare i problemi dell’oggi non si potesse prescindere dalla conoscenza della storia di ieri, non si potesse non sapere ciò che siamo stati, per definire una identità collettiva e per capire ciò che volevamo essere.
In questo contesto, un tema dalla forte valenza simbolica ha attraversato Porta Rande fin dal 1978: il recupero del centro storico, allora in uno stato penoso di incuria e abbandono. Nel luglio 1983, Gabriele Manca nel suo articolo “Recupero: la coscienza del passato”, scriveva: “La parte antica della città, da considerare unico ‘monumento’ da conservare per intero, è da difendere con amore, cura e rispetto perché le sue strade, i suoi edifici, le sue pietre costituiscono, in gran parte, la memoria fisica e la profonda identità culturale e materiale delle genti che vi hanno vissuto, che vi vivono oggi e che vivranno in futuro. In fin dei conti quale identità urbana potrebbe avere Arnesano senza il suo centro
storico, senza ‘Porta Rande’, senza la Chiesa ‘Piccinna’ o il palazzo Marchesale?”. Da questa consapevolezza sarebbero nate le scelte dell’amministrazione di sinistra nel quinquennio 1985-1990, finalizzate al recupero del centro storico: la redazione del progetto esecutivo di recupero del palazzo Marchesale (essenziale per chiedere i finanziamenti); il consolidamento statico del vecchio ufficio dei Vigili urbani, fino ad allora puntellato; la sostituzione dell’asfalto con il basolato; la redazione del progetto di recupero della Chiesa ‘Piccinna’; la collocazione del monumento alla Madonna in piazza Paisiello; il recupero dell’orologio pubblico, il “Monumento del Tempo”, mutoda anni, di cui scriveva Serafino Terzi in un suo memorabile articolo del 1976.
Questi interventi mutarono radicalmente l’immagine del centro storico, che costituì un punto di riferimento per molti centri vicini. L’azione di recupero, avviata in quegli anni, è proseguita negli anni successivi, ad operadelle amministrazioni comunali che seguirono, sia democristiane sia civiche di destra e di sinistra.
Porta Rande è stato anche questo: non solo ironia, sfottò, spirito laico, rivalutazione del dialetto e della sua dignità letteraria, ma, soprattutto, impegno ideale, passione politica nel senso più alto e nobile del termine, interesse per il nostro passato. In una parola, atto d’amore per Arnesano.
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Nostalgia per un tempo che per molti versi, era migliore del nostro...
occò a me, quel lontano 1982, assumere il ruolo di “direttore responsabile” di quel numero unico che uscì il 4 luglio di quell’anno. La redazione era composta da G. Lorenzo, Tonio Solazzo, Gabriele Manca, Sandro Stella e Pinuccio Fioretti, vale a dire un drappello di giovani chiaramente di sinistra, anche più a sinistra – devo fare i nomi? – del P.C.I. Allora si stampava a Copertino mentre i piombi si facevano a Galatina. Com’era normale le spese di stampa, che a volte anticipavamo, erano a carico degli inserzionisti. A leggerli sembra un altro mondo, infatti non è rimasto quasi nessuno, scomparsa la banca, le macellerie, i concessionari, la famosa “Nautica Roberto”. La struttura, era quella di sempre, vignette, l’articolo principale di carattere politico, interventi di carattere culturale, e varie poesiole, tra cui quelle del compagno Arturo;
un ricordo di Mario Cazzato
barzellette varie. Soprattutto si metteva alla berlina, senza violenza verbale, qualche personaggio democristiano – la D.C. imperava incontrastata dal 1948 – o l’arciprete o i dipendenti comunali, ritenuti sempre, e quasi sempre a ragione al seguito dei “padroni democristiani”. A leggerlo tutto mi sembra un punto di osservazione privilegiato per uno sguardo apparentemente di superficie, sulla nostra comunità com’era quel 1982. C’erano frizioni, antagonismo anche spinto, contrapposizioni culturali e politiche ma, in fondo, eravamo tutti amici, membri della stessa comunità. Poi, quando leggo la rubrica dei “Films che non vogliamo vedere”, mi accorgo che molti di quei personaggi che assumemmo a ruolo di regista o attore non ci sono più e ci prende la nostalgia per un tempo che per molti versi, era migliore di quello di oggi.
POLISPORTIV A RNESANO ...una storia da raccontare dieci anni 1976 - 1985
a cura di Caterina Gerardi
Spagine Ideazione e cura Caterina Gerardi
Redazione e impaginazione Mauro Marino Caterina Gerardi Archivio video-fotografico Caterina Gerardi
La Polisportiva fu fondata nel gennaio 1976 da Caterina Gerardi, insieme ad un gruppo di suoi amici e di giovani studenti e lavoratori…]
[…Nel luglio 1976, grazie ad una felice intuizione dei fondatori della Polisportiva, fu pubblicato il primo numero di “Porta Rande”, che, fra consensi (molti) e critiche feroci (poche), ha accompagnato la festa del Crocifisso, pur con qualche pausa, fino al 2007…]
[...La Polisportiva fu uno straordinario esemUn grazie affettuoso per la generosa disponibilità alle amiche e amici che pio di come una piccola comunità possa orcon i loro scritti e le loro fotografie ganizzarsi dal basso, coniugare sport e hanno contribuito alla realizzazione cultura e svolgere una insostituibile funzione di questo numero speciale di Spagine educativa. Tanto più apprezzabile in un periodo in cui il monopolio di queste attività Spagine è un periodico di informazione culturale dell’Associazione Fondo Verri. Realizzato a cura di Mauro era detenuto dall’ Amministrazione comuMarino nella sede di Via Santa Maria del Paradiso 8/a, nale e dai Padri di don Orione, sia per le loro Lecce. Supplemento a “L’Osservatore in cammino” possibilità di spesa sia perché proprietari iscritto al registro della stampa del Tribunale di Lecce delle strutture (palestra, campo di calcio, n°4 del 28 gennaio 2014. cinema)...] Spagine è su: issuu.com/mmmotus https://www.facebook.com/perspagine Esce on line e in tiratura limitata stampato in digitale.
Tonio Solazzo