Francesca di Biase Mariangela di Biase Santa Scioscio
“...Pasqu a du t(i) truv” Aprile 2020
Piccolo saggio sulle tradizioni delle festività per la Santa Pasqua a Minervino Murge 1
Col vestito buono in piazza nel giorno di Pasqua foto di Santina (Pasqua 2018 )
Francesca di Biase Mariangela di Biase Santa Scioscio
“...Pasqu a du t(i) truv”
Piccolo saggio sulle tradizioni delle festività per la Santa Pasqua a Minervino Murge
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Panorama di Minervino Murge al tramonto con il Tricolore che illumina il Municipio (Aprile 2020)
Ragionando insieme così come già per il Natale 2017 è nata l’idea di scrivere delle tradizioni mi nervinesi perché siamo molto legate al nostro paese e alle nostre radici. In questa Pasqua parti colare, che ci vede tutti forzatamente in casa, con dividiamo con Voi le tradizioni che segnavano, e in parte ancora segnano, l’attesa della Resurrezione, sperando sia d’auspicio per il futuro... Ciò che leggerete è tratto dal libro di Anna Sarci nelli: “Tradizioni popolari a Minervino Murge” edi zioni Biblioteca Comunale “L. Barbera” 1992, Minervino Murge. SERENA PASQUA A TUTTI VOI! Franceschina, Mariangela e Santina Bacioni a tutti 5
La “quarandan”, foto di nonno Cecchino (Febbraio 2020 )
Le Ceneri sancivano, nel passato delle tradi zioni popolori e ancora oggi nella consuetu dine religiosa, la fine del Carnevale. Il mercoledì ci si recava a messa per il rito: il sacerdote, finita la funzione, segnava con la cenere benedetta la fronte dei fedeli, faceva il segno della croce e cancellava i peccati commessi durante il Carnevale. Questa ceri monia segnava l’inizio della Quaresima. 6
La “quarandan�, Piazza Bovio, Minervino Murge foto di nonno Cecchino (Febbraio 2020 ) 7
Durante la Quaresima per le strade si esponeva la “quarandan” (un fantoccio con abiti femminili); raffigurava una donna fatta di stracci e giornali, molto goffa e buffa, te nuta seduta ad una sedia sollevata in aria da corde tese. Ricordava l’astinenza dalla carne e la preparazione spirituale per la S. Pasqua. Praticamente si teneva a mo’ di ammoni mento. Terminata la Quaresima, si cucivano intorno all’orlo del vestito dei fuochi d’artificio che venivano accesi fra il tripudio e la gioia generale. Alla fine, per chiudere in allegria la giornata, alcune famiglie si riunivano insieme e mangiavano e bevevano allegramente. Tra una portata e l’altra, soprattutto se il vino era genuino, cantavano: Quan s(i)ndeit ca u vin yay bun, yngh e bev, yngh e bev Quando sentite che il vino è buono, riempi e bevi, riempi e bevi Quan s(i)ndeit ca u vin yay mal, yngh e dall alla cummar (ritornello) 8
Quando sentite che il vino non vale, riempi e dallo alla commara So s(i)ndeut ca tin n’agnill, stupammill nu quart(i)cill, (rit.) Ho sentito che hai un agnello, conservamelo un quarticello So s(i)ndeut ca tin u caprett, stupammill nu bell p(i)zzett (rit.) Ho sentito che hai un capretto, conservamelo un bel pezzetto So s(i)ndeut ca tin u maial, stupammill do gu(i)lar (rit.) Ho sentito che hai un maiale, conservamelo dal collo in giÚ So s(i)ndeut ca tin u castrat, stupammill la rugn(i)nat� (rit.) Ho sentito che hai un castrato, conservamela la sopracoscia.
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La prima domenica di Quaresima si riu nivano parenti, amici e conoscenti per festeg giare e rompere “la p(i)gnat” (la pentolaccia). La pentola, molto grande, era in terracotta e ve niva riempita con noci, frutta secca, marmel lata, provoloni, granturco, un po’ di farina, pasta e animali vivi (specialmente colombi e conigli); veniva legata al soffitto con una corda scorre vole, manovrata dagli astanti. Una volta desi gnato chi doveva rompere la pentola, costui veniva bendato, fatto girare su se stesso e mu nito di una mazza; gli si diceva che avrebbe po tuto tentare di rompere la pentola per un certo numero di volte; se non ci riusciva lo si sben dava e toccava ad un altro; quando la pentola si rompeva, con il contenuto si preparava la lauta cena, cui prendevano parte tutti i conve nuti. Dalla settimana seguente incominciavano le funzioni liturgiche, alla Cattedrale. Venivano appositamente da fuori paese dei predicatori che tenevano dei sermoni sulla vita di Gesù Cri sto; il popolo accorreva numeroso mostrando grande devozione e fede. 10
La Madonna Addolorata aďŹƒancata dal Cristo Nero nella Cattedrale (Aprile 2020) 11
Quindici giorni prima della S. Pasqua incominciava il Settenario alla Madonna Addolorata. La funzione si teneva nel tardo pomeriggio, in modo da dare la possibilità di parteciparvi alla maggior parte della popo lazione. Il sacerdote, nelle sette sere, parlava dei dolori e delle sofferenze della Vergine. Le prediche terminavano il venerdì prima della Settimana Santa, quando aveva luogo la pro cessione; essa ricordava il mesto pellegri naggio compiuto dalla Vergine alla ricerca del Figlio, il quale era andato a predicare in mezzo agli Apostoli. La Processione iniziava verso le undici e terminava di pomeriggio verso le dicias sette, con il rientro in Cattedrale. Percorreva diverse vie del paese, soprattutto per dare la possibilità ai fedeli che per ragioni di sa lute non erano potuti intervenire, di vene rare la Vergine. Durante il percorso, la statua della Madonna veniva posata su tavolini pre cedentemente preparati con drappi rica mati; davanti al tavolo veniva messo un 12
braciere con del fuoco in cui veniva versato dell’incenso per devozione; nel frattempo, chi chiedeva o aveva ricevuto una grazia, of friva dei doni in moneta o in oro, che veni vano attaccati al vestito o al manto della statua. In questi frangenti, specialmente se in casa c’era un malato, i familiari chiede vano la guarigione alla Madonna recitando, tra le altre preghiere ed invocazioni, le se guenti orazioni: 13
“Madonn Addulurat, Santa matr addu‐ lurat sopr a tuttl(i) mey d(i)leur siano imbress ynd o cor teu e facimm cumbagney ch u chiant d(i) Marej. Marej Addulurat prigat Gescrist ch may in caritaj”. “Madonna Addolorata, Santa madre addo lorata soprattutto i miei dolori siano impressi nel tuo cuore e facciamo compagnia con il pianto di Maria. Maria Addolorata pregate Gesù Cristo per me per carità”. “Madonn Addulurat yapr la port ca stay s(i)rrat, Addulurat Marey yaprm la port e ins(i)gn(i)m la vey”. “Madonna Addolorata apri la porta che sta chiusa, Addolorata Maria aprimi la porta e insegnami la via”. “Verg(i)n Addulurat, palomm amma‐ culat alli pid d(i) la crauc prega Gescrist ch may”. “Vergine Addolorata, colomba immacolata ai piedi della croce prega Gesù Cristo per me”. 14
La Palma in casa di Biase (Aprile 2020)
Il giorno seguente, il sabato, nella chiesa del l’Immacolata veniva esposto il Santissimo Sacramento che veniva adorato per tre giorni consecutivi da una moltitudine di fe deli. Ogni fedele andava a fare la cosiddetta “ora santa”: questa consisteva nel pregare inginocchiati per un’ora. La domenica si festeggiavano le Palme. Que sta festa stava a simboleggiare la solenne en trata di Gesù in Gerusalemme, accolto trionfalmente dal popolo giudaico che gli andò incontro con rami di palme in mano. 15
Tutti gli agricoltori del paese preparavano dei fasci di rami di ulivo e li portavano alla Cattedrale per farli benedire, poi li regala vano a conoscentied amici in segno di ami cizia perenne o rinnovata; infatti si porgeva la palma per dimenticare qualsiasi rancore e dispiacere passato. I rami benedetti si met tevano al capezzale del letto, si attaccavano ai quadri e si portavano sui tetti per fugare dalle case le disgrazie e soprattutto la jet tatura. Inoltre chi possedeva dei terreni por tava la palma nel proprio campo per allontanare le tempeste ed auspicare un buon raccolto. Si toglievano i rami dell’anno precedente e dopo averli bruciati recitando un Pater Noster, un’Ave Maria ed un Gloria, piantando la nuova palma di diceva “palm amboss gregn‐a gross” (palma bagnata rac colto abbondante).
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La Madonna Addolorata esce dalla Cattedrale, foto di Mariangela (Settimana Santa 2019)
Il giono dopo, cominciavano i caratteristici riti e cerimoniali religiosi che indicavano l’inizio della Settimana Santa. Il Lunedì Santo, ultimo giorno dell’es posizione del Santissimo Sacramento, nella chiesa dell’Immacolata si svolgeva un singo lare rito religioso chiamato “fest d(i) l(i) v(i)ccir” (festa dei beccai). Tale festa era or ganizzata da tutti i macellai del paese, che raccoglievano i fondi necessari recandosi nei giorni precedenti in giro per il paese; tutti partecipavano secondo le proprie disponi bilità. I soldi raccolti servivano per pagare la banda e comprare i fuochi pirotecnici, men tre la S. Messa era a carico dei macellai. Alle tredici si celebrava la S. Messa con accom pagnamento musicale di organo e di violini; al momento dell’elevazione, fuori della chiesa venivano sparati i colpi di carcassa e batteria. Nel pomeriggio verso le diciotto aveva inizio la processione Eucaristica; essa percorreva le strade della parrocchia, giun 18
gendo verso le venti nella piazza antistante la chiesa dove l’Arcidiacono, che portava il Santissimo, benediceva la folla presente e ri entrava in chiesa. La gente rimaneva ancora un poco per ascoltare la banda ed assistere ai fuochi d’artificio; quindi, fatta un’ultima passeggiata, ritornava a casa. Il Martedì ed il Mercoledì Santo, nella varie parrocchie del paese, si celebravano le S. Messe al mattino, mentre nelle case si ter minavano i preparativi per accogliere solen nemente Gesù risorto il giorno di Pasqua. I più preparavano dolci casalinghi: “taraddi” e “scarc(e)dd” (taralli e scarcelle) fatti con farina, zucchero e uova; “sus(i)midd” (sosamelli) preparati con farina, ammoniaca, vino cotto, mandorle abbrusto lite e tritate, corteccia di arance grattugiata, cannella e vaniglia.
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Il Giovedì Santo era una delle giornate più significative della Settimana Santa, espri meva il lutto della Chiesa Cattolica per la morte del Redentore. Al mattino, in tutte le chiese, dopo la celebrazione della S. Messa, si conservava l’olio santo, si denudavano gli altari, si coprivano le immagini sacre e si le gavano le campane in segno di lutto; il sa cerdote prendeva il corpo di Cristo dal tabernacolo lasciando lo sportello aperto e, accompagnato dai confratelli, lo portava in un’apposita urna in mezzo ai sepolcri. I se polcri erano ornati con fiori variopinti, erbe caratteristiche, vari ceri e piatti apposita mente preparati dai fedeli; questi contene vano cespi di frumento, di lenticchie e di lupini che davano un aspetto particolar mente suggestivo; si ottenevano mettendo in appositi recipienti i cereali su menzionati, sin dall’inizio della Quaresima, in una ca mera oscura dove venivano innaffiati ogni tre o quattro giorni. Verso le undici nella Cat tedrale si teneva un particolare rito che sim 20
boleggiava l’Ultima Cena fatta da Gesù con gli Apostoli. Si preparava una tavola con sopra dodici pagnotte di pane a forma di tarallo con alcentro un’arancia in cui si poneva “u spicanard” (un rametto di ros marino), dodici bicchieri di vino e un tanto in moneta. Le dodici persone che rappresen tavano gli apostoli erano scelte tra i più poveri del paese; ognuno occupava il posto assegnatoli aspettando il passaggio dell’Ar cidiacono con i chierichetti che portavano il catino con l’acqua e una tovaglia bianca per asciugare i piedi; l’Arcidiacono, ricalcando le gesta compiute da Gesù in quella occasione, lavava i piedi ai dodici presenti. La chiesa pullulava di gente, soprattutto fan ciulli e bambini accorsi per assistere alla ce rimonia che si andava ufficiando; al termine di tale cerimonia iniziava la visita al Santo Se polcro. Era in uso visitare sette chiese e recitare durante il percorso il S. Rosario, mentre ad ogni Sepolcro, dopo aver sostato per un poco, si diceva un Padre Nostro, 21
un’Ave Maria e cinque Credo alle cinque pi aghe di Gesù Cristo. Il Padre Nostro e l’Ave Maria venivano detti nel modo seguente: “Padr Nostr, grann grann Crist mors a trenta‐tre yann all trenta foj p(i)gghiat saup a na crauc foj lassat, u sang visc(i)l mend, arr(i)vn tutt l’aggend. Sciat a chiamaj Marey ca yay murt u figgh seu. Teu u s(i) pers e yey u so truat d(i) spadd a na clonn stay fragg(i)llat”. Padre Nostro, grande grande Cristo morì a trentatré anni, ai trenta fu preso, sopra una croce fu lasciato, il sangue scorreva a fiotti. Tutta la gente accorse, dicendo andate a chiamare Maria che è morto il Figlio suo. Tu l’hai preso io l’ho trovato di spalle ad una co lonna era flagellato. “Ave Marey in gran lammend, Gescrist u Sabt Sant alla mia ment, chiangenn e lagr(i)man la crauc ch tutt u cor t(i) l’abbraz‐ 22
zast, d(i) lagr(i)m e d(i) sangh l(i) pid t(i) l’ab‐ bagnast. U Sant Figghy mey cu sant lat quest yay la crauc sant ca fust murt; u Sant Figghy mey cu sant lat quess yay la crauc Sant ca fust inghiuvat. Yay luguer Madra Marey, biat a c(i) t(i) la deic quessAve Marey. C(i) la deic u Giuv(i)dey Sant yay b(i)nidett do Spirit Sant”. “Ave Maria nella mia mente, Gesù Cristo il Sabato Santo nella mia mente, piangente e lacrimante la croce con tutto il cuore l’ab bracciasti, di lacrime e di sangue i piedi ti bagnasti. Oh Santo Figlio mio con il Santo lutto, questa è la Santa Croce della tua morte; oh Santo Figlio mio con il santo lato questa è la croce santa dove fosti inchiodato. È vero Madre Maria, beato chi ti dice questa Ave Maria. Chi la dice il Giovedì Santo è benedetto dallo Spirito Santo”.
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Altarino pasquale in casa di Tonno  di Biase, foto di Marinagela (Aprile 2020)
Nel tardo pomeriggio, per tradizione, dalla chiesa del Purgatorio usciva la statua della Madonna Desolata. Questa manifestazione ricordava la ricerca del figlio da parte della Vergine, quando le fu comunicato che era stato arrestato da Giudei. La statua della Madonna non era vestita a lutto, ma indos sava un abito nero fastosamente ricamato in
Altarino pasquale in casa di Biase, foto di Francesca (Aprile 2020)
oro, sul capo aveva una corona d’oro tem pestata di pietre preziose, tutt’intorno le scendeva un manto in pizzo che le ricopriva il vestito; la pomposità dell’abbigliamento contrastava con la serietà e misticità del volto, che esprimeva l’angoscia per la ricerca infruttuosa; infine, a conferire maggiore sug 25
gestione all’insieme,concorrevano agli an goli della base su cui poggiava la statua quat tro angioletti che portavano tra le mani gli attrezzi serviti per crocifiggere Gesù. La statua della Madonna era portata in proces sione da un gruppo di giovani devoti che precedentemente avevano stabilito tra di loro, secondo l’obolo versato, a chi sarebbe toccato tale onore. La processione faceva un determinato percorso affinché la Madonna potesse sostare presso ogni Sepolcro. Sim bolicamente, appena si arrivava nei pressi di una chiesa, un chierichetto batteva alla porta principale ritmicamente tre colpi per annunciare l’arrivo della madre di Cristo; al lora il portone si spalancava e lasciava en trare la Madonna. La Vergine, dopo aver fatto sei chiese senza aver trovato Gesù, si avviava mestamente verso l’ultima chiesa la Cattedrale, dove il predica tore, interrotta la predica riguardante gli ultimi martirii patiti da Gesù, appena vedeva la 24
L’Ultima Cena in Cattedrale Le foto della Passione Vivente sono dello Studio Ricordi Guerriero
Madonna pronunciava le parole dette da S. Giovanni ai piedi della Croce: “Vieni Maria, ecco tuo Figlio”. Il quaresimale, attendendo l’arrivo di Maria ai piedi dell’altare, mentre la banda fuori nello spazio antistante suonava un’aria fune bre, si avvicinava alla Croce posta nei pressi dell’altare maggiore, schiodava Cristo e lo poneva tra le braccia della Madonna.
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Il Cristo porta la Croce per le strade di Minervino, foto di Santina (Settimana Santa 2017)
Il Venerdì Santo, ricordato come il giorno in cui morì Gesù Cristo per redimere gli uomini dalla schiavitù del peccato, si to glievano i S. Sepolcri. Nelle chiese al mattino si celebrava una funzione chiamata “mess al‐ l’ammers” (messa al rovescio). Il sacerdote, dopo aver recitato il Pater, to glieva dal sepolcro il crocifisso, lo baciava e lo riponeva al posto di sempre; quindi am ministrava l’Eucarestia. Alle tredici nella Cattedrale iniziava la fun zione dell’agonia, che si protraeva per le se guenti tre ore; durante questo tempo il predicatore illustrava la passione e morte di Gesù ai fedeli, tra un intervallo e l’altro, ado ravano la Croce. Nel frattempo le altre chiese preparavano le statue per la Proces sione dei Misteri, che iniziava alle ore dicias sette. Tutte le congreghe, con le statue appartenenti alle proprie parrocchie si reca vano alla Cattedrale da dove partiva la pro cessione. Ad aprire il santo corteo due bambini con in 30
mano delle “trozz(i)l” formate da una tavo letta di legno su cui erano affissi pezzi di legno di forma rettangolare; scuotendoli emettevano dei suoni che servivano ad avvertire la popolazione del passaggio della processione, perché le campane non suon avano, visto che in segno di lutto venivano legate dal Giovedì Santo al Sabato Santo. Poi seguivano tre chierichetti, uno al centro che portava la Croce e due ai lati con “l lamb(i)r” (i lampioni); quindi, a debita distanza, sec ondo una data successione, le statue dei Misteri. La prima statua, che apparteneva alla chiesa del Carmine, era quella di Gesù sotto l’albero dell’ulivo; il ramo per consuetudine era tagliato da una pianta d’ulivo e conser vato con il frutto, appunto per quest’occa sione; raffigurava Gesù assorto nella preghiera nell’orto del Getsemani; poi la statua di Gesù con la corona di spine e legato ad una colonna, che rappresentava la flagellazione, e che era della parrocchia di S. 31
Michele; dopo la statua che simboleggiava Gesù spogliato dei suoi abiti e rivestito da una tunica rossa mentre portava la Croce (appartenente alla parrocchia dell’Incoro nata); quindi la statua di Gesù crocifisso, con ai piedi inginocchiati e a mani giunte la Mad dalena e S. Giovanni, che indicava il Calvario; era seguita dalla statua di Cristo morto, mist icamente adagiato in una bara di vetro: ambedue le statue che riproducevano il dramma del martirio di Cristo, veniva dietro la statua dell’Addolorata, il che voleva indi care il profondo dolore e l’immane disper azione della Vergine che, trovandosi nell’impossibilità di poter aiutare il Figlio ma terialmente, l’aveva seguito per tutto il mar tirio, partecipando alle sue sofferenze. Per ultimo veniva l’Arcidiacono con il S. Legno, che equivaleva alla raffigurazione del monte Calvario con le tre Croci: in quella centrale si custodiva una scheggia della Croce di Cristo. Infine c’era la banda cittadina che suonava marce funebri e una moltitudine di fedeli. La 32
Processione dei Misteri, la PietĂ , per le vie di Minervino Murge foto di Santina (Settimana Santa 2019)
processione, dopo aver percorso le principali vie del paese, ritornava alla Cattedrale; qui l’Arcidiacono, impartita la benedizione a tutti i presenti, entrava in chiesa e le altre confra ternite si recavano alle proprie parrocchie. 33
Processione dei Misteri per le vie di Minervino Murge, la foto è di nonno Cecchino (Settimana Santa 2019)
Il Sabato Santo, che era il giorno più atteso di tutta la settimana Santa, si festeg giava la Risurrezione di Gesù Cristo. Alle dieci nella Chiesa Madre incominciavano le fun zioni religiose; dopo la benedizione dell’ac qua santa al fonte battesimale, il sacerdote tornava all’altare e iniziava la celebrazione della S. Messa. La chiesa era gremita, vi erano soprattutto giovani e fanciulli che at tendevano con ansia la Resurrezione di Gesù. I fedeli, accorsi per assistere alla Re surrezione di Cristo, entravano dalle due porte laterali, perché la porta centrale era chiusa; infatti tra la porta centrale e l’entrata in chiesa c’era una rientranza “tamburr” (tamburro), superata la quale si accedeva a un’altra porta nella chiesa. In questo “tam burr” era messa la statua della Madonna Im macolata tutta vestita di celeste; al momento dell’Elevazione, mentre veniva tolto il telone che copriva la statua di Gesù Risorto, la porta interna si apriva e compa riva la Madonna che veniva portata verso il 35
corridoio centrale ai piedi dell’altare mag giore, in modo da incontrare il Figlio Risorto. Appena la Madonna incontrava Gesù, la banda cittadina che l’accompagnava suo nava inni sacri di gloria e contemporanea mente si slegavano le campane che suonavano a festa. I fedeli, esultanti di gioia, si scambiavano gli auguri, augurandosi Buona Pasqua. Terminata la cerimonia se ne ritornavano a casa. Per le strade, mentre le campane di tutte le chiese suonavano la glo ria di Cristo, i caprari facevano sfilare alcune capre adorante con bandierine e nastri va riopinti, nonché una moltitudine di campa nelli; contemporaneamente i macellai spalancavano le porte delle macellerie, chiuse dal Giovedì Santo, e mostravano la merce ornata con cartine colorate e bandie rine multicolori. Nelle case, appena si udi vano le campane, le donne con le scope rovistavano in tutti gli angoli per cacciare il demonio ed accogliere il Signore; le madri, battendo affettuosamente sul capo i loro fi 36
gliuoli dicevano “Yss d(i)av(i)l e tras Gescrist” (Esci demonio ed entri Gesù) e le massaie preparavano sul letto delle uova in numero dispari; prendevano una gallina e la poggia vano sopra, pronunciando queste parole “San Salvador tott p(i)ddastr e nu candador” (San Salvatore fa che nascano tutte galline ed un gallo solo). Dopo la funzione religiosa i preti andavano benedicendo le case dei loro parrocchiani, ricevendo in compenso soldi e uova. La notte fra il Sabato Santo e la Domenica era in uso portare le serenate dietro le case di parenti e amici, suonando organetti, chitarre e mandolini e cantando canti riguardanti la Resurrezione e composti per la circostanza.
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La Domenica di Pasqua ovunque regnava al legria e gioia. Tutti erano contenti e felici, si riunivano in famiglia per festeggiare la S. Pa squa e trascorrere in armonia il giorno dedi cato alla vittoria del bene sul male. I piatti di rito Minestre: pasta al forno preparata con salame, lattici nio e uova battute con il formaggio, condita con molto sugo fatto di solito con carne; op pure “sp(i)zzatein” (spezzatino), fatto con “l(i) cardungidd” (piccoli cardi selvatici), uova, carne d’agnello o di capretto, formag gio grattugiato, prezzemolo e pomodori. Pietanze: agnello o capretto macellato, pulito, steso su carta da beccaio, insaporito con sale e pepe e infarinato; il grasso veniva assorbito dalla carta, dando un sapore particolare al tutto; “lambasceun” (muscari), lessati e poi passati 38
nella farina e nelle uova battute, e quindi fritti; “rucch(i)licidd o maricidd” (involtini), preparati con budella di agnello pulita e la vata, che, fatti a forma di involtini ripieni con formaggio, prezzemolo, aglio tritato e fega tini, venivano arrostiti sulla brace o cotti al forno con patate e muscari. Contorni: formaggio locale, pecorino, “inzalat m(i)schyat” (insalata mista) fatta con “s(i)veun” (cicerbita), “p(i)rchiazz” (percel lina), “cacatr(i)scin” (lappola), rughetta e pa paverina, il tutto condito con olio, sale ed aceto. Frutta: fichi seccati con dentro mandorle abbrusto lite e poi passati al forno; mandorle, noci in vecchiate. Dolci: “amen(i)l nsuccarat” (mandorle zuccherate); 39
Scarcelle e Taralli
così ottenute: mandorle si abbrustolivano, si asciugavano in un panno strofinandole forte e poi si passavano nel “sc(i)lepp” (giulebbe), quest’ultimo composto con zucchero, un po’ d’acqua e albume montato a neve; “taradd e scarc(i)dd” (taralli e scarcelle). 40
Il tarallo e Francesca, foto di Santina (2019)
Il lunedì, detto Lunedì in Albis, sulla zona del Faro, nel primo pomeriggio, era consuetu dine “sparay l’ain” (sparare l’agnello). Dopo aver legato alcuni agnelli a dei pali, i caccia tori, o chi voleva partecipare, pagato uno scotto, gareggiavano a colpire l’agnello. La popolazione accorreva numerosa e, sia pure a debita distanza, assisteva con fragore allo svolgimento della gara, al termine della quale tutti ritornavano a casa, mentre i vin citori, organizzato un banchetto, mangia vano con gli amici l’agnello. In questo giorno, inoltre, alcuni, formate delle comitive, usavano recarsi in campagna per fare una gita. Si gustavano cibi preparati in casa, fatti di cose semplici e genuine. Era una giornata diversa, piena di allegria e gio condità, che si trascorreva in comitiva.
Nella pagina a fronte Calzoncelli e pizza di ricotta della tradizione di casa Di Palma (Aprile 2020) 42
In cerca di asparagi e fiorellini sulle Murge
Colophon
Questo piccolo libro è stato composto nell’Aprile 2020 tra Minervino Murge e Lecce da Francesca di Biase, Mariangela di Biase Santa Scioscio e Mauro Marino. Il testo è tratto dal libro di Anna Sarcinelli “Tradizioni popolari a Minervino Murge” edito a cura della Biblioteca Comunale “L. Barbera” di Minervino Murge nel 1992.
Auguri, auguri, auguri!
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Lecce  Minervino Murge Natale 2017 Capodanno 2017/2018 46