Maurizio Nocera
EDOARDO POSSENTE COME UN VICHINGO, DOLCE COME UN BAMBINO
Spagine
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Questo pamphlet è stato realizzato dal Fondo Verri nell’ambito delle iniziative di “Inseguimento – Sulle strade di Edoardo” attività collaterale della mostra “Edoardo De Candia - Amo.Odio.Oro” (10 luglio - 30 novembre 2017) a cura di Lorenzo Madaro e Brizia Minerva per l’allestimento di Bigsur immagini e visioni nelle Sale del Complesso Museale di San Francesco della Scarpa a Lecce promossa da Regione Puglia Assessorato all’Industria turistica e culturale con il Teatro Pubblico Pugliese, la Provincia di Lecce con l’Istituto di Culture Mediterranee e il Museo S. Castromediano di Lecce
Prima edizione Agosto 2017
ISBN: 978-88-909778-8-6
Spagine è un periodico di informazione culturale dell’Associazione Fondo Verri presidio del Libro di Lecce
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Maurizio Nocera
EDOARDO POSSENTE COME UN VICHINGO, DOLCE COME UN BAMBINO
Cura editoriale di Mauro Marino
Edoardo De Candia, tre autoritratti
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N
ell’agosto 1992, dal letto dell’ospedale “Vito Fazzi” di Lecce, Edoardo De Candia spiccava il suo ultimo volo fatale verso un cielo sereno d’un’estate assolutamente indimenticabile. Io e Antonio L. Verri, fino alla fine dei suoi giorni, rimanemmo attaccati al suo letto di sofferenza, nella speranza di vederlo riprendersi. Qualcuno di noi donò persino il sangue affinché i medici tentassero di ridargli ancora un po’ di vita. Non ci fu nulla da fare. Per Edoardo era arrivata l’ultima ora. Mestamente lo vegliammo nella linda camera mortuaria dell’ospedale, poi, ancora più tristemente, lo accompagnammo al camposanto, lì, alle spalle di San Niccolò e Cataldo, che fu chiesa di Tancredi d’Altavilla. Lungo il percorso, nessuno di noi profferì parola. Non c’era nulla da dire. Per l’occasione, il Verri scrisse uno dei suoi ormai abituali epitaffi dicendo che un altro selvaggio del Salento se n’era andato via da questo mondo dopo aver Per Edoardo De Candia
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fatto una vita di stenti, di fame e di sete (di vino), senza avere avuto nessun riconoscimento sul piano artistico. Sapevamo già che la sua arte, inevitabilmente, sarebbe stata riconsiderata, che dopo ci sarebbe stata una sorta di caso De Candia pittore ma, in quella torrida estate, la percezione che avemmo fu ancora una volta di vedere Edoardo andarsene via come un morto accattone, disperato, come un morto che da vivo non era stato compreso dalla sua città, che lo aveva emarginato e scansato come un lebbroso. Oggi lo possiamo finalmente affermare: ad accompagnare Edoardo alla sua ultima dimora terrena eravamo veramente quattro gatti. Il resto dell’estate fu triste, molto triste. Il Verri entrò in depressione e di lì a qualche mese anche lui avrebbe spiccato il triplo salto della morte; Antonio Massari per un po’ non si dette pace, non capiva quella morte così improvvisa e disperata del suo migliore amico leccese; Francesco Saverio Dòdaro ammutolì e si sa che per diverso tempo non volle vedere nessuno; Fernando Bevilacqua bloccò per un bel po’ la sua macchina fotografica; Antonio Toma (quello dei palazzi di viale Leopardi, anche lui oggi appartenente agli oscuri regni) cominciò a inseguire le farfalle; e tutti gli altri rimasero a pensare quel che era stata, o meglio quel che non era stata la vita di De Candia. 12
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Edoardo era stato così, un «cavaliere senza terra», un donchisciotte barocco ai confini di Finibusterrae, pittore però geniale ed estroso, con la faccia da vichingo e il cuore di bambino. Alcuni l’avevano considerato una sorta di bohemien perditempo e perdispazio, altri né più nemmeno che un maudit come il suo più intimo amico in terra e in cielo, Salvatore Toma, the great poet salentino. Nell’immaginario collettivo, fu pensato come l’uomo che andava a piedi alla marina di San Cataldo, che si metteva nudo disteso sulla spiaggia e che nudo entrava nelle acque dell’Adriatico a dispetto di chi della Natura si faceva beffa. Fu pure pensato come un matto “guarda stelle” in una Lecce barocca e sorda, o come un alieno che non conosceva la dimensione del tempo terrestre, quanto meno che non ne conosceva la scansione. Edoardo fu un artista che si permise di distrarsi con le differenti dimensioni della quotidianità. Fu l’uomo più libero del mondo, e l’artista che su qualsiasi supporto seppe dipingere la Natura col furore di un amante che non sapeva darsi pace. Per lui la Natura fu tutto: l’origine della specie umana, ma anche il sicuro rifugio della quiete dei sensi.
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Della sua arte, Ennio Bonea scrisse che fu «pittore marino [… che] dalle [sue] figure emblematiche, si perviene alle allusive forme di vocali e di dittonghi che pare uniscano al timbro pittorico quello fonico; non per assurdo accostamento di espressioni inconciliabili ma per la provocazione ad aperture difformi da quelle che ogni quadro propone a chi lo osserva./ Pare, ma non lo è in realtà, che De Candia abbia assorbito intuitivamente la lezione più recente della linguistica jakobsiana sui rapporti tra i toni gravi o acuti, e quelli distesi e aperti, non come fatto enunciativo, ma avvertito in un discorso interiore ed espresso in pittura./ Ad un mondo di illusioni eden ritrovati, di finestre come canali di evasione, fa riscontro una realtà sfingea, resecata in zone di razzismo, che riesce perfino a rinserrare il sole./ Di qui ansie ed aspirazioni che attingono a cieli aperti, a mondi nuovi che pure non si realizzano./ Ecco allora che la realtà agli occhi e nella pittura di De Candia assume dimensioni stravaganti, grottesche, eccedenti comunque le comuni misure del piccolo e del grande. Una scala di rapporti tutta personale che può essere giudicata anormale; ma ciò che pertiene al pittore, cioè all'uomo che ha prodotto i quadri, esclude un simile giudizio./ I quadri testimoniano il fermento costante, la ricerca di nuove soluzioni; mostrano il pittore attento, 14
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stranamente attento, alle vibrazioni interiori quali che siano: questa felicemente esplosiva, quella pronta ad accogliere ogni comunicazione dall'inconscio al conscio; comunque causa di concreta pittura come composizione e colore, con i suoi simboli ed enigmi, ma anche momento liberatorio di una personalità artistica estrosa, irripetibile, autentica». Bonea scrisse questa sua critica nel 1971 su un pieghevole che annunciava una personale di Edoardo, ma va pure detto che il professore gli fu sempre vicino e, indiscutibilmente, a Lecce, fu il primo a credere in lui acquistandogli le prime tele e i primi disegni. Chi a quella presentazione è sopravvissuto, dice che le parole della presentazione di Bonea diedero credibilità all’opera dell’artista. Nel 1984, dal 29 aprile al 6 maggio, chi qui scrive, assieme ad Antonio L. Verri, allestì nella sala di lettura della Biblioteca provinciale "Nicola Bernardini", una collettiva di pittura di sessantaquattro artisti salentini sul tema della pace, contro la guerra e per la solidarietà fra i popoli. A presentarla fu invitato il critico d'arte Raffaele De Grada, il quale definì il segno pittorico di Edoardo come un «segno eroico, dato dalla forza extra-ordinaria che il pittore segnava sulla tela». Per Edoardo De Candia
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Qualche anno dopo, nel 1988, Antonio L. Verri, scrisse per Edoardo uno dei testi più belli che la rivista («Rassegna SudPuglia», poi «Apulia») della banca Sud Puglia (oggi Popolare Pugliese) avrebbe mai pubblicato - Edoardo, cavaliere senza terra - un classico ormai della letteratura verriana ed un testo fondamentale per chi voglia conoscere i percorsi di vita e d’arte di Edoardo De Candia. Di quel lungo e godibile scritto del Verri c’è un passo che mi porto dietro da sempre. Questo: «Il Nostro […] vive le sue giornate come un Cavaliere puro e sprezzante e, a volte […] anche giocoso, malinconicamente divertito. […] Di questo Solitario dal portamento fiero e altezzoso si accorse anche Lucio Fontana, intento in quegli anni, praticando tagli e perforazioni, al superamento di un limite geometrico ed esistenziale. Fontana gli comprò un po' di disegni, glieli comprò a 10.000 lire, in qualche modo cercò di aiutarlo». Credo che non ci sia nulla da aggiungere a commento di questo richiamo del Verri. Lucio Fontana è il massimo dell’espressione artistico-concettuale italiana della seconda metà del Novecento e aveva capito la portata della pittura di Edoardo De Candia. Appena due anni dopo, nel 1990, Antonio L. Verri ricordò l’esistenza artistica di Edoardo, inserendolo 16
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in un libro che tuttora, per me che collaborai alla cura, resta un mistero: Le Carte del Saraceno (edito dal Centro «Pensionante de’ Saraceni»). Nella presentazione, Verri scrive: «Nella più pura non esistenza, Cavaliere visionario, purissimo. Uno di quei tipi che apparentemente non hanno niente a che spartire col Gran Saraceno. Solo apparentemente. In realtà, in comune hanno la nausea per il rumore del mondo, il levarsi in aria, la leggerezza in quel che li circonda, la continua non appartenenza, la voglia di banalizzare, il piacere dell’esclusione. Uno di quei tipi – stiamo parlando di Edoardo De Candia – che troverebbero immediatamente posto in un’odierna Sultifera Navis. La nave dell’esclusione, delle impennate solitarie, delle cantate a tutta gola, della depressione, dello stordimento, della fuga visionaria e oltremondana. Della creatività ironica e divina. Edoardo pittore, disertore, saltimbanco, afflitto da follia, da lebbra, soldato musone, cavaliere, cavallo, pietra, mare, sabbia. Gurdulù. Edoardo e la Nave […] Forse imbarca ancora. Invisibile. Pellegrina».
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Dopo la scomparsa di Edoardo, anche Antonio Massari, pittore e amico d'infanzia di De Candia, volle scrivere un libro, intitolato proprio Edoardo (Edizioni D’Ars, Milano 1998), nel quale riversò tutto l’affetto possibile e immaginabile. D’altronde, non poteva essere altrimenti perché, anche lui, agli inizi degli anni ’50, aveva attraversato quella terra di nessuno che è la discriminazione e l’indifferenza di una città rimasta barocca soltanto sulla pietra, e che allora lo spinse all’unica soluzione possibile: fuggire da Lecce, cercare altri luoghi della mente, altri spazi per la sua arte, Milano e il Centro d’Arte «D’Ars», dove non ci volle molto perché dei buoni critici (tra cui Pierre Restany, che gli dedicò più di una critica) si accorgessero della sua arte. Al contrario Edoardo non ebbe (forse sarebbe più giusto dire non poté) la forza di fuggire, perché già ingabbiato nella rete della psichiatrizzazione. Ecco perché oggi l’Edoardo di Massari è una lettura poetica su di un artista simbolo di libertà, simbolo della spensieratezza illimitata. L’Edoardo di Antonio Massari è scrittura d’affetto puro, purissimo. Da parte sua, l’allora giovane Stefano Donno ricordò l’artista con un altro libro, Edoardo De Candia. Considerazioni inattuali (Lecce 1998) nel quale asserisce che «Edoardo è uno di quei rarissimi araldi, esemplari fug18
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giaschi che, nella solitudine della “follia”, con il volto rigato di lacrime, ci fanno segno da lontano. […] Edoardo, in una società borghese e ipocrita, seppe cosa significa tormento. Lui fu diffamato, suppliziato, masturbato a morte da una città e da un’epoca, che non tollerano la sua cosmologia, il suo stile di vita, che andavano contro il suo tempo, ma anche contro le teodicee di tutte le età e di tutti i luoghi. Fu sempre contro le maschere dell’ipocrisia in contrapposizione alle prospettive, con lo stile di artista, di giocatore, di scommettitore. Visse fuori dai cori, nella solitudine della “follia”» (p. 43). Chi qui scrive, intanto, andava alla ricerca di una ragione per l’arte di Edoardo De Candia, e fu proprio da tale ricerca che venne fuori Edoar Edoar che, ancora manoscritto, fu dato in lettura a Francesco Saverio Dòdaro il quale, il 17 novembre 2005, scrisse che «in quella superba comunione poietica tra Antonio L. Verri e il Cavaliere senza terra, consumata tra le pagine di “SudPuglia” nel 1988, generativa di una mappa decandiana irripetibile, una sola faglia mi sembrò non sufficientemente messa in luce; la quotidianità nell’oikos-krypta di Edoardo, nel suo locus primario, nel suo rifugio-prigione, utero. Utero oceano della verità, dove la calma è tempesta, il silenzio urlo». Per Edoardo De Candia
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Appena qualche anno dopo, ma siamo ormai nel 2007, Elio Scarciglia, con l’Associazione culturale “Terra d’ulivi”, produsse un documentario – Sembra quasi che il sole tramonti. Omaggio a Edoardo De Candia – con musiche originali di Andrea Senatore e un catalogo con lo stesso titolo e con la presentazione Il cielo stellato è il disegno astratto più bello, di Tiziana Faggiano, che scrive: «Edoardo De Candia, il “pittore pazzo” […] attraversa Lecce scalzo, con aria selvaggia da vichingo metropolitano. Attraversava con spavalda libertà la composta indifferenza di noi leccesi “falsi e cortesi”. Attraversò la propria vita con l’incanto e la solitudine di un bambino. […] Né La famiglia, né la scuola si accorsero del suo talento: prese la licenza elementare, ma la strada, la bottega, amici illustri, libri scelti per istinto fecero di lui un autodidatta. Cominciò con la cartapesta e il disegno, poi la pittura lo prese, come l’incanto di una sirena beffarda: lo esaltava facendolo sentire un dio creatore, lo sprofondava nell’abisso dell’incomprensione e dell’opportunismo altrui. […] Lecce era troppo stretta per la sua arte, ma nemmeno Milano, Firenze, Roma, Londra, Parigi furono spazi congeniali ad uno spirito “feroce, ostile, ingenuo, contraddittorio” come quello di Edoardo». 20
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Dal canto suo, Ugo Tapparini, altro amico di gioventù di Edoardo, nel 2008, trovò il modo di scrivere dell’artista sul periodico d'attualità politica e cultura «Informazioni Sud», diretto da Ruggero Vantaggiato, dove afferma che «da un anno a questa parte il popolo [sta per leccesi] applaude, una serie di persone che poco hanno a che vedere con lui, gli prepara vesti e drappi sontuosi ma in realtà Edoardo era e rimane nudo. Raccontare la biografia completa di questo individualista, anarchico, estemporaneo artista sarebbe ora impossibile. […] il Re si mostra nudo, le ultime carte di Edoardo, se fossero state frutto di un impegno che non c’era (il richiamo del mare era troppo forte), sarebbero state finalmente le opere inquadrate nel contemporaneo con una dimensione anche eccezionale e con riferimenti critici e storici giustificativi. Questo Edoardo non è stato. Quelle carte (escludiamo gli alberi di pini e qualche altra amenità), avevano in sé il marchio del genio, ma inespresso, incompleto, superficiale. Io non so se il critico fatto venire da Napoli ha potuto seguire questo percorso. Troppo poco o quasi nulla il materiale a disposizione, stentata la volontà espressiva, nuda sotto il mantello inesistente, quella capacità ottica, dimostrativa, pittorica. Solo temperamento e genialità. So che questo che scrivo Per Edoardo De Candia
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amareggerà qualcuno, ma lo stesso Edoardo, che ripetiamo aveva preferito Rousseau ed il mare, mi direbbe: “Cazzo Ugo, hai ragione”».
Maurizio Nocera ritratto da Edoardo De Candia
Antonio L. Verri ritratto da Edoardo De Candia
Salvatore Toma ritratto da Edoardo De Candia
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na pagina a parte è quella riguardante la storia di Edoardo internato nell’Ospedale Psichiatrico di Lecce, l'ormai scomparso "Libertini". Non poche volte, con Verri, sono andato a trovarlo in quel luogo di sofferenza estrema. Di quel luogo mi sono rimasti impressi gli incontri con Edoardo la sera del 22 e la mattina del 23 dicembre 1988. L’artista era ricoverato nel padiglione uomini e quella volta, assieme a Verri, registrammo la sua voce mentre disegnava su dei cartoncini da inserire nella cartella omaggio alla sua arte - Il cielo in testa - Disegni erotici di Edoardo De Candia «Excelsus Magister». Ricordo che non poche furono le difficoltà a farlo firmare: da una parte c’era il personale dell’ospedale che ce lo voleva impedire, dall’altra lo stesso Edoardo, che mostrava qualche perplessità perché qualcuno gli aveva detto che noi volevamo fare commercio delle sue opere. Chi conosce chi qui scrive e chi ha conosciuto Antonio L. Verri sa che
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questa era semplicemente una bestialità ed una mastodontica falsità: disperato era lui disperati eravamo noi due. Il nostro rapporto, quello mio e di Verri, con Edoardo fu sempre improntato alla massima limpidezza, all’estrema correttezza: più che di amicizia si trattò di disperata fratellanza. Sapevamo che per Edoardo il “Libertini” era l’inferno in terra. Per ricordarsi di questo, nella francescana stanzetta, si teneva a portata di mano una vecchia fotocopia di una sua cartella clinica, più altre carte, tra queste, anche un saggio psichiatrico che trattava del suo caso più di due altri pittori internati nello stesso manicomio di Lecce. Ce lo diede con l’impellente richiesta di pubblicarlo immediatamente. Verri non riuscì a farlo perché se ne volò via presto anche lui, io rimasi perplesso sul da farsi. Lo pubblico ora perché Mauro Marino me lo chiede, ma il tormento io me lo porto dentro da più di trent’anni.
Il saggio clinico fu pubblicato su «Folia Psychiatrica» (1963) come Comunicazione al II Colloquio internazionale sull’Espressione Plastica (Bologna 3-4 maggio 1963). In esso uno dei tre pittori esaminati è appunto Edoardo De Candia, in sigla D. C. E., analizzato come “Caso 1” alle pp. 231-236. All’epoca Edoardo aveva 26 28
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anni e a lui i tre psichiatri dedicano lo spazio più ampio. Ecco qui, in forma compattata ed espunta di qualche considerazione marginale, la parte del testo che interessa Edoardo De Candia.
«INFLUENZA DELLA TERAPIA DI SHOCKS E PSICOFARMACOLOGICA SULLA PRODUZIONE PITTORICA DI TRE ARTISTI SCHIZOFRENICI RICOVERATI NELL’OSPEDALE PSICHIATRICO DI LECCE (Medici Psichiatri: Eustachio Zara – Umberto Riri – Bianca Rosa Gelli)
D. C. E. [DE CANDIA EDOARDO] è un giovane pittore autodidatta, con valide basi culturali. Viene ricoverato in O. P. in seguito ad atti di violenza e stravaganze comportamentali. Associato con la diagnosi di sindrome schizofrenica, è sottoposto a trattamento faseinico.// Periodo premorboso/ Fino all’età di 14 anni il paziente non ha manifestato alcun disturbo comportamentale, frequentando con buon profitto le scuole medie. A quest'epoca abbandonò gli studi per dedicarsi completamente alla pittura, nel quale campo riuscì ad affermarsi in pochi anni partecipando a delle collettive e tenendo delle personali con favorevole giudizio della critica./ Nel periodo
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di maturità artistica dipinge prevalentemente paesaggi marini in cui il colore, dalle tonalità tenue e sapientemente graduato, viene steso in larghe campiture: il paesaggio, volutamente spoglio di ogni elemento superfluo o descrittivo è ridotto all’essenziale. Le sue tele, pur non avendo nulla in comune con la pittura impressionistica (la sua pennellata è fauve) sono il risultato di impressioni che la natura suscita in lui.// Periodo prodromico/ Il sopraggiungere della psicosi viene evidenziato dalla progressiva accentuazione delle stravaganze comportamentali: fugge la compagnia, cura eccessivamente la pulizia personale, mentre non taglia né barba né capelli, esce vestito di una sola maglietta e di pantaloncini anche con temperature assai rigide, litiga frequentemente con i familiari pretendendo la rimozione delle finestre e delle porte, si aggira per la casa completamente nudo anche in presenza delle sorelle./ Il paziente, durante il ricovero, nella fase di miglioramento, così descrive questo periodo: “Mi sembrava di vivere in un continuo vorticare delle cose, ed avevo l'impressione che tutto ciò che mi circondava avesse per me un significato recondito. Sentivo un bisogno prepotente di dipingere; mi era così facile da penetrare con immediatezza nell'essenza stessa delle cose. Fuggivo gli uomini e la loro civiltà di cemento armato, 30
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poiché presagivo che un giorno avrebbero rovinato la bellezza della natura”.// In questo periodo l'artista esegue una grande quantità di tele; c'è in lui un gusto gioioso della pittura, una facilità ed immediatezza nell'esprimere col solo colore le sue intuizioni liriche; la natura e gli oggetti sono ridotti, alla maniera dei fauves, a macchie di colore. La duna (tav. 1) è una delle opere più significative: il verde dei cespugli, disposti a semicerchio, delimita una duna sabbiosa di un giallo intenso e luminoso. Con una macchia di colore, l'artista, è riuscito ad essenzializzare la natura circostante. La composizione è tesa in modo vivido, ma i valori prospettici sono già alterati: la massa di giallo viene infatti arbitrariamente proiettata in avanti anziché mantenere una posizione di secondo piano. I colori sono brillanti, non graduati, direttamente proiettati sulla tela, quasi che l’artista, spinto dalle sue urgenze ed istanze interiori, non abbia avuto il tempo a soffermarsi a graduarli./ Successivamente, parallelamente all'aggravarsi della psicosi, assistiamo ad una ulteriore modificazione della sua pittura. L’artista non si limita più ad esprimere mediante il colore delle intuizioni liriche, bensì qualcosa di istintivo che urge in lui. Il tema dominante di questa fase è l'istinto amoroso. Ne Gli amanti (tav. 2) le figure sembrano immerse in un'atmoPer Edoardo De Candia
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sfera di sogno; la figura maschile gridata di giallo, esprime il suo ruolo attivo mentre l'azzurro della figura femminile ne sottolinea la passività. Il verde che circonda pare scaturire dalla fusione dei due partner. Nella composizione della figura maschile si notano delle alterazioni che evidenziano l'aggravarsi della distorsione dei processi percettivi./ In seguito, l'aggressività, non più contenuta, porta l'artista a dipingere scene d'amore fra gli animali. Al sentimento sostituisce il puro atto istintivo, la cui violenza viene sottolineata dal colore che perde di luminosità e trasparenza per assumere toni scuri ed intensi. Ne I gatti (tav. 3), il nero delle figure ne rafforza l’espressività. Pur tuttavia in questa fase di aggressività, in cui il delirio va sempre più organizzandosi, l'artista non perde nulla delle sue qualità estetiche e del suo gusto innato per la decorazione; il nero dei gatti, infatti, allorché lo si privi del significato legato alla forma, diviene un elemento astratto, puramente decorativo che commenta elegantemente la superficie di fondo./ Il delirio ormai si è organizzato; l'artista in un momento di violenza, una sera, rompe le vetrine di un negozio e viene ricoverato in O. P. Egli si rende conto dell'autismo incombente, della sua povertà esistenziale e dell’impossibilità di stabilire rapporti col mondo esterno, di vivere nell'amore e nella 32
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amicizia, di completare la sua personalità con la personalità “dell'altro”. La malattia gli sta erigendo una barriera che lo separa da tutte le altre creature. L'ultimo dipinto di questo periodo traduce simbolicamente l'angoscia del suo essere. Le Due figure umane (tav. 4) le cui mani, pur vicine, non giungono a toccarsi, sono come avvolte in due atmosfere differenti che non danno la possibilità di comunicare./ All'artista ormai non è data più la possibilità di declinarsi nel “noi” plurale che dà significato all'esistenza.// Periodo psicotico/ In ospedale non dipinge più; è agitato, delirante, cupo, appartato. Solamente dopo un intenso trattamento faseinico ed allorché il suo stato di agitazione si è esaurito, riprende i pennelli. Le opere di questo periodo testimoniano la psicosi in atto (tav. 5). Enormi grattacieli, veri mostri di cemento, addossati gli uni agli altri, con le facciate interamente ricoperte di un’allucinante infinità di finestre, rese con segno stereotipico, riempiono interamente il quadro, soffocando in basso un’umanità amorfa ed irreale. Il tutto è costruito in maniera geometrica; lo spazio manca di dimensioni reali: lo scenario appare al di fuori del tempo quasi non fosse dato all’artista di declinarsi in una esistenza provvista dei suoi fondamentali attributi: la spazialità e la temporalità. Lo stile è cambiato; l'infantilismo Per Edoardo De Candia
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dell'impianto della scena, la de-realizzazione, la cristallizzazione, la geometrizzazione, la perseverazione gestuale testimoniano la disgregazione operata dalla malattia.// Periodo di guarigione/ Il paziente è tranquillo, appare socievole e non presenta più idee deliranti./ Le opere di questo periodo risaltano per una certa infantilità di linguaggio al quale però non ci sembrano estranei del tutto fattori puramente culturali. Sorge infatti il dubbio sulla natura di questo infantilismo e viene spontaneo chiedersi se questa maniera di esprimersi sia rapportabile ad una regressione della personalità operata dalla malattia, quasi che questi livelli arcaici ed infantili siano l’espressione della incapacità a funzionare ad un livello più alto, o non piuttosto ad un rifarsi cosciente da parte dell'artista all'arte cosiddetta primitiva onde raggiungere una maggiore espressività di linguaggio pittorico./ I suoi quadri riproducono l'ambiente ospedaliero (tav. 6). Una massa enorme di piccoli uomini, privi di individualità e di dimensione, è dominata dalla gigantesca figura dei tre guardiani; tre cancellate impediscono l’accesso al mondo libero che però non si intravede affatto. Verso queste cancellate si riversa una folla amorfa di malati. Tra una cancellata e l’altra non esistono muri e attraverso questi larghi passaggi la sortita non dovrebbe essere difficile: 34
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ma la barriera vera è quella determinata dalla malattia./ Nel quadro successivo (tav. 7) pur cambiando il fondale, l’ambiente rimane identico: c’è in questo dipinto una certa compiacenza scenografica. La scena viene divisa orizzontalmente in due parti; in basso l'ambiente ospedaliero, in alto il mondo “di fuori” sotto forma di paesaggio campestre. La zona inferiore viene divisa in due ambienti: quello di sinistra reso in maniera esasperatamente geometrica, in cui degli ammalati intorno ad un tavolo, giacciono immobili in una cupa rassegnazione, termina in fondo con una cancellata, quasi a sottolineare l'ineluttabile fatalità; quello di destra, più ampio e luminoso, popolato da forme umane di dimensioni più reali, e che si dirigono verso il fondo senza cancellate; il tutto è pieno di contenuto comunicativo: esiste per alcuni ammalati la possibilità di emergere dagli abissi in cui la malattia li ha sprofondati. In basso la molteplicità delle linee e la duplicità prospettica, unitamente alla notevole varietà dei colori e delle tonalità, suggeriscono la complessità ed il caos dei sentimenti, in alto, per contro, la linearità del paesaggio (due zone orizzontali di colore commentate gioiosamente da “salire” svelto, degli alberi) suggerisce calma ed equilibrio./ Nei dipinti successivi il tema varia poco: le figure umane vanno però acquiPer Edoardo De Candia
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stando una dimensione ma i volti appaiono ancora privi di lineamenti e vuoti di sentimento. Solo in seguito, allorché si avvia sempre più verso la guarigione, l’artista si interessa di chi lo circonda (tav. 8), ma nel ritrarne i lineamenti, egli volutamente li deforma nell'intento di meglio esprimere i sentimenti, l’angoscia, la disperazione, lo stupore doloroso, il dubbio, la paura, vengono rivelati senza pudore; i volti degli ammalati divengono simili a maschere tragiche realizzate con il fango e con la terra; i colori adoperati sono privi di luminosità, la superficie è sporca ed i particolari trascurati. L'artista sembra aver percepito nel giusto valore tutto l'orrore della situazione cui è sfuggito: ciò giustifica la forza espressivo-emotiva di questi dipinti (tav. 9). Ma l'importanza di questi dipinti, oltre che su un piano puramente estetico, sta nella comparsa dell’emotività per i simboli comuni, quale quello della malattia, nella capacità cioè di trasportarsi in un mondo di valori al di fuori di quelli strettamente personali./ Nel periodo psicotico l'artista non aveva perduto l’emotività; come l'artista normale rimaneva altamente emotivo; solamente la sua emotività era focalizzata su simboli strettamente personali, per cui essa sembrava bizzarra ed inadeguata. Ora egli, come l'artista normale, pur servendosi di meccanismi arcaici ed individuali è ca36
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pace di integrarli nel sistema dei simboli sociali, rendendo così comprensibile il suo linguaggio emotivo./ Allorché la guarigione è completa l'artista esegue una seconda serie di ritratti nei quali il volto degli ammalati e degli infermieri è reso con fedeltà (tav. 10). Non gli si può negare una discreta abilità anche in questo campo che per altro non gli era consueto. Ad uno ad uno i volti di chi gli sta intorno prendono forma nei suoi dipinti ed i lineamenti e la caratteristica espressione di questo o di quello sono resi senza difficoltà e somigliantissimi. Si ha però l’impressione che egli, più che cercare di intuire i sentimenti, si limiti a copiare i tratti esteriori dei volti, sicché la sua pittura, adesso va solo “guardata” e non ha più bisogno di essere “letta”. La sua arte la si può giustamente dire “imitativa” permeata dalla preoccupazione di adattare sempre più l’esperienza originale creativa ed individualistica al complesso dei simboli della società. L’artista si è reinserito nell'ambiente: ma quanto ha acquistato in socializzazione ha perso in libertà, intesa sia come libertà d’azione che di espressione. [...]. Considerazioni/ Nel primo caso, nel periodo prodromico, quando la malattia lentamente e subdolamente incomincia a manifestarsi senza apportare una vera disintegrazione della personalità dell’Io e dell’artista, ma solo un mutamento Per Edoardo De Candia
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che potremmo definire “gioioso”, le opere sono caratterizzate da una maggiore immediatezza espressiva e da una creatività euforica, dove lo spontaneo si sostituisce al ripensato, l’esperienza interna a quella culturale, pur restando il contenuto aderente a quello del periodo precedente. Esteticamente nulla è stato tolto dalla malattia: sembra anzi che questa abbia fornito una maggiore “vitalità” intuita ed espressa nel colore, a riprova di un dinamismo di forze psichiche e di sentimenti che potrebbero essere il substrato di un’attività pittorica a più alto livello. Anche le opere immediatamente successive sono permeate di “vitalità” il cui contenuto viene ad essere modificato dall’emergere di una istintività, resa in un primo momento liricamente ne I due amanti ed aggressività ne I due gatti, quasi a sottolineare l’erompere irrefrenabile di forze istintive che non possono essere più informate di sentimento poetico. Quando l’aggravarsi della psicosi rende il paziente dissociato e delirante egli non dipinge più, quasi che il giovane artista, immerso nel suo mondo patologico non abbia più nulla da dire agli altri./ Allorché ritorna a riprendere i pennelli, le sue opere sono nient’altro che la pura estrinsecazione del suo stato patologico, sia nel contenuto in cui ravvisa il contenuto stesso dei suoi deliri, sia nello stile in cui si 38
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evidenziano quegli elementi che ben possono dirsi appartenere all’arte psicopatologica […]. Per tanto [...] si può affermare che il processo dissociativo ha apportato delle modificazioni nel contenuto e nello stile. Ciò è da attribuirsi, a parer nostro, alla rottura, operata dalla malattia, di quell’equilibrio dinamico che risulta da una specie di corrente alternata fra pulsazioni di forze coscienti ed incoscienti. A causa di tale “scissione” gli elementi delle due forze vengono a liberarsi, individualizzarsi ed acquistare una specie di autonomia si dà apparire estranei l'uno all'altro. Se le alterazioni delle correnti nervose, nel passaggio tra le strutture sottocorticali e neoencefalo, indotte dalla turba biologica schizofrenica, non sono così gravi da apportare una vera disgregazione di queste forze, come avviene in genere nei primi stadi della malattia, può accadere che il primitivo squilibrio si risolva in un nuovo equilibrio il quale, stabilendosi ad un nuovo livello e con una diversa tensione emotiva, può generare in campo figurativo creazioni fortemente espressive. La malattia può inoltre rendere più facile e spontanea l'emersione della realtà interna, la quale, per altro in un primo stadio, non si impone arbitrariamente ma secondo una legge di ordine e di armonia. Aggravandosi invece la turba biologica che sottintende la malattia stessa, la riPer Edoardo De Candia
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composizione di questo nuovo equilibrio diventa sempre più imperfetta, imprecisa ed ambigua fino alla completa individualizzazione delle forze inconsce e alla loro emersione in modo improvviso, irriflettuto, incontrollato e che in campo figurativo portano all'affermazione di un mondo onirico, assurdo, incomprensibile e non più guidato da un principio ordinatore./ Nel primo caso, man mano che la terapia porta alla ricostruzione della personalità dell’artista, si assiste ad una progressiva modificazione dell'attività figurativa. In un primo momento questa è caratterizzata dalla scomparsa di quasi tutti quegli elementi considerati peculiari dell'arte psicopatologica: resta solamente una certa infantilità del linguaggio espressivo, alla quale per altro non ci sembrano estranei fattori culturali, quasi che l'artista avesse voluto coscientemente rifarsi all’arte cosiddetta infantile onde raggiungere una maggiore espressività pittorica. Resta tuttavia seducente pensare che questa maniera di esprimersi sia da rapportare ad una regressione della personalità operata dalla malattia [...]. Si ha quindi l’impressione che la terapia, pur riuscendo a dare una sedazione psichica, ad eliminare il contenuto delirante, apportando inoltre una iniziale presa di coscienza, non sia ancora giunta, in questa fase, alla completa ricostruzione della personalità e 40
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alla socializzazione dell'artista, sicché 1’autismo non può dirsi completamente eliminato./ Allorché l'artista incomincia a interessarsi del viso umano e ritrarne i sentimenti che animano i tratti, si può dire che egli veramente prenda coscienza dell'orrore della situazione nella quale la malattia aveva sprofondato lui e gli altri ammalati e alla quale è riuscito a sfuggire./ Nell'ultima serie di ritratti l'accostamento alla realtà comune è molto più spinto; viene a mancare però quella tensione emotiva che anima i ritratti precedenti come se la terapia, ricostruendo la personalità dell'artista, l'abbia privata di quella vitalità che gli era propria. [...]. Sul piano clinico il trattamento terapeutico ha apportato un progressivo miglioramento della sindrome psicopatologica evidenziabile in campo figurativo dalla variazione del contenuto emotivo ed effettivo. Lo studio delle opere [...] ha permesso di scoprire la persistenza di alcuni attributi patologici che clinicamente parevano completamente scomparsi./ Sul piano estetico si ha un momento in cui la terapia, nella ricostruzione del dinamismo psichico, sembra ridare maggiori possibilità espressive quasi che questo periodo venisse a coincidere con quello indotto dalle prime turbe schizofreniche che, rompendo l’attuale equilibrio psichico, ne permettono però la ricostruzione Per Edoardo De Candia
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ad un nuovo livello e con una nuova tensione emotiva. Senza voler entrare in discussione sul meccanismo di azione della faseina e dell’insulinoterapia, che esula dallo scopo del presente lavoro, ci sembra poter affermare che tali farmaci, nei [...] soggetti curati, sono riusciti ad eliminare non solo i sintomi “cosiddetti positivi” ma anche quelli “negativi”. Nel primo caso però la ricostruzione della personalità si è attuata con un deficit della vitalità che era invece un attributo proprio del soggetto; [...]. Naturalmente in questa ricostruzione della personalità indotta dalla farmacoterapia gioca un ruolo molto importante la forza patoplastica della predisposizione caratteriale individuale e la labilità del terreno costituzionale».
Come si vede dalla lettura di questo testo clinico, molte delle straordinarie peculiarità pittoriche di Edoardo De Candia si trasformano in noi da negative (quelle viste dagli psichiatri) in positive, col risultato di offrirci dei dipinti e dei disegni le cui immagini e visioni extraordinarie dell’artista a noi caro ci affascinano sempre più. Come rimaniamo pure affascinati leggendo questi versi inediti di Edoardo: «Ecco la mia finestra.../ Mi son destato or ora./ Dolcemente./ E mi pareva di poter dire:/
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fin dove giunge/ la vita mia,/ e dove mai .../ la notte sconfinata?Âť.
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BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Eustachio Zara - Umberto Rini - Bianca Rosa Gelli, Influenza della terapia di shocks e psicofarmacologica sulla produzione pittorica di tre artisti schizofrenici ricoverati nell’Ospedale Psichiatrico di Lecce, in «Folia Psichiatrica», anno VI, fasc. II-III, Editrice Salentina, Galatina 1963, pp. 225-270. Ennio Bonea, Catalogo Personale di Edoardo De Candia, c/o Galleria "Belle Arti Caiulo”, Lecce: dall'1 al 10 dicembre 1971. Antonio L. Verri, Edoardo, cavaliere senza terra, in «SudPuglia», n. 3, settembre 1988, pp. 137-148. Antonio L. Verri, Le carte del Saraceno. Progetti e visualità dalla Regione Salento, Edizioni Centro Culturale “Pensionante de’ Saraceni”, Caprarica di Lecce, 1990. Antonio Massari, Edoardo, Edizioni D'Ars, Milano 1998. Antonio Massari, Io sono straniero sulla Terra, Edizioni D’Ars n. 1, Milano 1998. Maria Grazia Doria, Edoardo anarchico sognatore, in «Modem», 1 febbraio 1999, anno I, n. 2, p. 3. Stefano Donno, Edoardo De Candia. Considerazioni inattuali, Edizioni del Grifo, Lecce 1998. Maurizio Nocera, Edoar Edoar, Il Raggio Verde Edizioni, Lecce 2006. Elio Scarciglia, Sembra quasi che il sole tramonti. Omaggio ad Edoardo De Candia, Catalogo + Dvd, Associazione Culturale “Terra d’Ulivi”, Editrice Salentina, Galatina 2007. Ugo Tapparini, Edoardo re nudo, in «Informazioni Sud», anno XXX, marzo-aprile 2008, pp. 10-11. 45
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Colophon
Agosto 2017 - Questo libro, composto da Mauro Marino con la collaborazione di Valentina Sansò e Efrem Barrotta per conto dell’autore nella sede del Fondo Verri in Via Santa Maria del Paradiso 8 a Lecce, è stato impresso in tiratura limitatata presso la Universal Book di Rende (Cs) in 149 esemplari firmati. Maurizio Nocera
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ÂŤEcco la mia finestra... Mi son destato or ora. Dolcemente. E mi pareva di poter dire: fin dove giunge la vita mia, e dove mai... la notte sconfinata?Âť.
Edoardo De Candia
ISBN: 978-88-909778-8-6
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