Renato Grilli
Canti di Pietre
Serre delle Arti Territori di Pietra
Visite ai Giardini di Pietra Domenica 23 ottobre 2016, Ecade s.r.l.
spagine - testi / 01
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Spagine Testi
Renato Grilli
Canti di Pietre
Serre delle Arti - Territori di Pietra Domenica 23 ottobre 2016 Visite ai Giardini di Pietra Ecade s.r.l. - Zollino
“Che cosa si perde quando il nostro “parlato”diventa “scritto”? Si perde, si potrebbe dire, una certa “innocenza”. Ma questo accade non perché il parlato sia di per sé più naturale, o più espressivo di una nostra interiorità più pura, incontaminata. Accade perché il nostro parlare “pubblico” è invece sempre, “tattico”, sta sempre in relazione fisica con chi ascolta, anche se non lo diamo a vedere. Se ci mettiamo a scrivere quello che abbiamo detto, cominceremmo di certo qui a correggerci, lì a censurarci, lì a ridurre, lì a cancellare addirittura. Riscrivendo insomma ci sorvegliamo, ci censuriamo. Il parlato infatti è sempre pericoloso, perché non si può mai tornare indietro, come si può fare invece scrivendo. Di solito nella conversazione non si può, se siamo pentiti di quello che abbiamo detto, mettersi a scusarsi, a precisare, a correggersi. Perdiamo inoltre del nostro parlare quei frammenti di linguaggio che chiedono a chi ci ascolta “Non mi credi? Pensi che non è vero? Non ti pare sia così?" Tutti questi segni, linguistici ma anche paralinguistici, gesti, smorfie, ammiccamenti, che rivolgiamo ai nostri interlocutori, affinché ci ascoltino, potremmo definirli come i nostri "richiami”, o come le nostre “modulazioni d’anima”, o anche, In un certo senso, i nostri “CANTI”. Da LA GRANA DELLA VOCE di ROLAND BARTHES, 1974
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ALLA MIA PIETRA Poemetto anticato di Renato Grilli TU SEI PIETRA, PIETRA, E SU QUESTA PIETRA, PIETRO, TI SPUNTERÒ LA CRESTA, TI SPACCHERÒ LA TESTA.
Ancora a te io parlo, oh antica Pietra. A te ritorno e immoto sto, in attesa che tu mi veda e alfine mi riveli di che cosa sia fatto il tuo segreto.
Ancora a te mi prostro, o Pietra muta, che dici col tuo solido tacere. L'orecchio accosto alla tua fredda ruga, l'interiore vibrar delle tue grotte ascolto. E nulla sento se non cavo tremore dei viventi e d'ogni cosa.
Sei santa, o Pietra, tu che appari come estremo rifugio all'esistito. Tu mostri morte in vita e vita in morte a quello che al tuo altare spesso e duro abbandona il suo corpo a dormizione.
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E che gli dici tu nel sonno, o Dura Pietra, che dici al suo gridare d'ossa stanche? Gli dici il tuo consòlo giù nel fiato, al respirare suo nel sonno afflitto gli mandi dal profondo del tuo muro il sogno che lo scola e lo fa puro.
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Miracolo di pietra e pietra d'ossa in carne rossa ancora sostenute, ma ognora prossime al Tuo stato, Tu gli ricordi, in calce bianca e muta.
Perché sei pietra d'ossa, e cranio e denti, quel vivido biancore or senza vita, che pure un giorno fu movente all'opra, che pure fu destino d'altri e suo. (In memoria di mia madre 2015)
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Da CONVERSAZIONE CON UNA PIETRA di Witolda Szymborska in “Sale” Busso alla porta della pietra - Sono io, fammi entrare. Voglio venire a stare dentro di te, dare un’occhiata, respirarti come aria. Vattene - dice la pietra -. Sono ermeticamente chiusa. Anche fatte a pezzi saremo chiuse ermeticamente. Anche ridotte in polvere non faremo entrare nessuno. Busso alla porta della pietra. - Sono io, fammi entrare. Vengo per pura curiosità. La vita è l’unica occasione. Vorrei girare per il tuo palazzo, e visitare poi anche la foglia e la goccia d’acqua. Ho poco tempo per farlo. La mia mortalità dovrebbe commuoverti. Sono di pietra - dice la pietra E devo restare seria per forza. Vattene via. Non ho i muscoli per ridere. Busso alla porta della pietra. - Sono io, fammi entrare. Dicono che in te ci sono grandi sale vuote, mai viste, belle invano,sorde, senza l’eco di alcun passo. Ammetti che tu stessa ne sai poco.
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Sale grandi e vuote, dice la pietra Ma in esse non c’è spazio. Belle, può darsi, ma al di là del gusto dei tuoi poveri sensi. Puoi conoscermi, però mai fino in fondo. Con tutta la superficie mi rivolgo a te, ma tutto il mio interno è girato altrove”. Busso alla porta della pietra - Sono io, fammi entrare. Non cerco in te un rifugio per l’eternità. Non sono infelice. Non sono senza casa. Il mio mondo è degno di ritorno.
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Entrerò e uscirò a mani vuote. E come prova d’esserci davvero stata porterò solo parole, a cui nessuno presterà fede. - Non entrerai - dice la pietra. Ti manca il senso del partecipare. Nessun senso ti sostituirà quello del partecipare. Anche una vista affilata fino all’onniveggenza a nulla ti servirà senza il senso del partecipare. Non entrerai, non hai che un senso di quel senso, appena un germe, solo una parvenza. Busso alla porta della pietra. Sono io, fammi entrare. Non posso attendere duemila secoli per entrare sotto il tuo tetto. Se non mi credi - dice la pietra rivolgiti alla foglia, dirà la stessa cosa. Chiedi a una goccia d’acqua, dirà come la foglia. Chiedi infine a un capello della tua testa. Busso alla porta della pietra. Sono io, fammi entrare. Non ho porta - dice la pietra.
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LA PIETRA E L’IDIOTA Racconto in forma di poesia di Renato Grilli (da un vecchio racconto “segreto”)
Da molti anni l’Idiota viveva nel bosco più nascosto. Era il servo dello Spirito Vegetale. Per lui tagliava la legna, portava l’acqua, sbrigava ogni faccenda, cucinava, serviva. Taceva e sorrideva. Ma un giorno d’agosto, al tramonto, non c’era più niente da fare. In quella torrida giornata estiva, persino il Bosco era stanco. Stanco del giorno, del sole caldo, dello stare diritto. Sugli alberi gli uccelli stavano silenziosi nei loro nidi. Ogni cosa taceva, come se, rifugiata in qualche angolo, riposasse profondamente, quasi addormentata, esausta. Fu proprio allora che l’Idiota si alzò, fissò una direzione e si incamminò.
L’Idiota prende a camminare di buon passo, dirigendosi verso un luogo preciso del bosco, che solo lui conosce, celato tra gli alberi più bassi, tra il fogliame più folto. Cammina a lungo finché giunge a un luogo appartato, silenzioso, ma luminoso, in una piccola radura. Spagine testi
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Nascosta in fondo, tra gli alberi, c’è una Grande Pietra liscia, grigia e verde, qua e là coperta di muschio. Appena giunto l’Idiota si ferma davanti alla Pietra, scivola in ginocchio e la tocca. Poi comincia a pulirla, con lenti gesti, a strofinarla nei punti più ruvidi. Alla fine si mette a sedere, spalle alla pietra, col volto verso là, da dove è venuto. E rimane così a lungo, fino a sera, perduto nei suoi pensieri, nei pensieri del Bosco.
È ancora lì, adesso. È seduto, è solo. La quiete della sera è sul suo capo. Un sorriso gli attraversa il viso, si ferma sulle labbra. È un sorriso chiaro, pulito, trasparente, come può esserlo solo quello che sgorga dal profondo. Sorride senza pudore, sorride a se stesso. Pare felice, parecchio felice. E quella specie di smorfia, quella folle piega della bocca, dura a lungo. Ma poi le ombre della sera si allungano, ricoprono rapidamente tutto il bosco, fino a rendere oscuri il sentiero, la radura, la grande pietra. Di colpo allora l’Idiota si alza in piedi, si tira su, senza più sorriso. Si mette davanti alla pietra, fermo, a lungo, e infine le parla…. «Ancora una volta, vecchia pietra, seduto qui, per tutto il giorno io ho creduto in te. Come ogni altra volta ho creduto che anche oggi, al culmine del tramonto, tu, Pietra, ti saresti aperta, spaccata in due, e dal tuo centro esatto un nuovo sole sarebbe uscito a rimpiazzare il vecchio, un altro giorno sarebbe sorto, a sgominare la notte. Oggi di più ancora l’ho sperato, quando una forza ho sentito,
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un vibrare mi sembrava, che s’agitava nel tuo interno, dicendo la sua voglia di aprirti e poi di uscire. Allora ho sentito che in silenzio ridevo, tra me e me, ridevo e ridevo, dentro di me. Ma adesso devo tornare, Pietra. Tornare al mio servizio, Pietra, al lavoro del Bosco, al mio solito intenso fare,alle mie lunghe vuote attese. Addio, Pietra. L’Idiota se ne va».
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Finisce di parlare e subito si avvia, camminando in fretta fino a scomparire rapidamente tra il buio delle ombre della notte, che arriva veloce.
Una sera l’Idiota era rimasto da solo accanto al fuoco, nel cuore del Bosco. Stava lì silenzioso, seduto, immobile, come faceva sempre. Immerso nei suoi pensieri, immerso nel verde, nell’erba e nelle pietre, nel sole che scende e nella luce che brilla, tra gli alberi e la terra.
Si alza per attizzare il fuoco, e mentre lo fa, – non capisce perché – scoppia a ridere. Ride come ridono gli idioti, però, tra se e sé. Ride in silenzio, con un misto di stupore e di gioia sul volto, come fa spesso. Ride un’ultima volta mentre attizza di nuovo il fuoco. Si alza allora tra le ceneri e la brace un filo lungo di fumo, che giunge rapido fino alla cima degli alberi
L’Idiota si arrotola su stesso, e in quella posizione, seduto, le braccia intorno alle gambe, il capo abbandonato sul petto, si addormenta.
In alto, sulla cima dell’albero più alto e rigoglioso, quando il fumo arriva, qualcosa di impercettibile si muove e brilla. Un essere, una creatura del Bosco, un piccolo spirito dal volto di ragazza, guarda in basso, verso l’Idiota che dorme, verso il fuoco che brucia. Spagine testi
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Lentamente, dondolandosi tra i rami e le foglie, volando tra il fumo e l’ombra, scende fino ad un ramo più basso, a pochi passi dall’Idiota che dorme. Si leva allora dalla sua bocca un sospiro strano, senza corpo e senza respiro. Dal quel soffio emerge una voce lieve, come incolore. Dice: «Svegliati, Idiota! Perché dormi ancora? Perché?»
L’Idiota dorme ancora, non si muove. E lo spirito attende, a lungo, paziente, immobile. Poi chiama ancora: «Svegliati, Idiota! Svegliati, Servo! La Pietra non è più sola! La pietra si é aperta. Si è spaccata!» Ma l’Idiota non sente.«Svegliati, Servo Idiota! Non devi più dormire! Non devi più servire, è il tuo ultimo giorno questo! Vai alla pietra, ti sta aspettando! Sbrigati!» Ma l’Idiota non si sveglia. Allora lo spirito leggero corre in su, prende da un ramo una grossa pigna, dura e secca,mira alla testa dell’uomo e la lascia cadere dall’alto.
«Kum !», dice allora nella sua lingua. «Alzati!» E l’Idiota si alza. Ma ecco che in un attimo accorre il Demone Padrone, vede lo Spirito e grida: «Ehi, tu, lassù, chi sei?» «Che importa?» risponde col suo soffio lo Spiritello. «Che cosa vuoi da lui, dal mio Servo?» «Portarlo via. Accompagnarlo alla Pietra, che lo aspetta». «Ma è il mio Idiota, il mio servitore!»
E si volta a guardarlo. Si avvicina di due passi e lo guarda in viso, quella sua solita faccia, umile e vergognosa, come sempre rivolta in basso, con quel mezzo sorriso. Si avvicina ancora, lo guarda con fare minaccioso e allora vede che, con un singulto di imbarazzo, quello leva in su la testa e gli occhi. E parla. Parla con voce calma.«Ora vado» dice.
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Sembrò che il Demone volesse replicare, alzare la voce, trattenerlo. Ma non lo fece. Rimase zitto. E pensieroso. L’idiota intanto ha raccolto i suoi bagagli e li tiene vicini a sè. Si rivolge all’albero, che è stata la sua casa per tanto tempo, e lo guarda a lungo. Rivolge il suo sguardo alla radura, poi agli alberi intorno, uno ad uno, come volesse salutarli.Infine, in silenzio, prende i bagagli e si avvicina al Demone. China il capo un’ultima volta, poi alza gli occhi e gli dice: «L’Idiota ti ringrazia». «Mi ringrazia? E di che cosa?» «Dei lunghi anni, del mio essere di ora, di tutto quello che è stato». E senza aspettare risposta, gira le spalle al Demone, all’Albero, alla Radura e comincia a camminare, eretto e deciso, come verso una meta. Si dirige ora verso il folto del bosco, verso il sentiero della Pietra, che si è aperta. E che lo aspetta, adesso.
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Renato Grilli
è nato a Nereto (TE) il 31 dicembre 19**. A Pescara, mentre frequenta il liceo, incontra il teatro e debutta con Alienus, regia di Gianfranco Varetto e Ida Bassignano. Al DAMS di Bologna studia storia e critica dello spettacolo, regia e drammaturgia, con Squarzina, Gozzi, Scabia, Celati e altri. Si laurea con lode con la tesi Ricerche di idolatria moderna – Flipper the beautiful, relatore Paolo Fabbri, presidente Umberto Eco. Attore e aiuto – regista, lavora con varie compagnie tra cui il Teatro Stabile dell’Aquila, il Regionale Toscano, l’ATER-ERT, il Teatro Poesia di Bologna, il Doppio Teatro di Roma. Al cinema è il sosia di Kafka in “Ginger e Fred” di Federico Fellini. Ha scritto testi originali e adattamenti, ha portato in scena spettacoli e recital. Ha partecipato a incontri di poeti e “slam poetry” con testi originali; ha “messo in musica” versi e poesie di Leopardi, Petrarca, Carducci, Marin, S. Toma. Insegna tecnica teatrale e lettura poetica in incontri, corsi, laboratori e stage. Ha diretto corsi e laboratori teatrali in Scuole primarie e secondarie, in Biblioteche e Musei, seminari e stage con giovani attori e adulti. Collabora con quotidiani e riviste. Progetti recenti “Canzoniere Italiano”, poesia italiana in musica, e “Viva la poesia viva!”, laboratori didattici di poesia “giocosa”. Nel 2014 ha pubblicato in rete 3 brevi racconti – monologo sulla rivista online SAMGHA e due raccolte di versi con il Magazzino di Poesia di Spagine (Fondo Verri Edizioni). Cura la pagina Facebook “poesia_è_azione” Vive nel Salento, nei pressi di Otranto, dal 2003. https://www.linkedin.com/pub/renato-grilli/65/142/154
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