Spagine arturu lu comunista

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Periodico di informazione culturale del Fondo Verri

Febbraio 2017

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Omaggio al compagno Arturo Politi di Arnesano


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Un uomo della cura Frame tratto dal film

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a storia di Arturo Politi “lu comunista” nel racconto che ne fa Caterina Gerardi ha il sapore di un’altra epoca. Un’epoca in cui la politica emozionava e poteva attraversare tutta una vita. È commovente guardare lo sguardo fiero e orgoglioso di Arturo che parla del suo partito. Perché quel partito era, nella testa anzi direi nel cuore di quelli come Arturo, il partito dei giusti. Ma quella era un’altra storia. La cosa che però mi porto ancora dentro dalla visione del film è il linguaggio di Arturo,

di Luisella Guerrieri un linguaggio universale e comprensibile, quello della cura. Perché Arturo ha cura del mondo, degli olivi, della sua campagna, delle persone amiche. Con quanta cura Arturo raccoglie i fiori per Caterina…. E quanta cura, offerta e ricambiata, nel rapporto di Arturo con Nerina. Lei lo sa e lo capisce. Penso che questo sia il grande insegnamento dellu comunista. La cura del mondo è la vera rivoluzione.


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Arturu lu comunista un film di Caterina Gerardi

Arturo Politi è stato la storia e l’anima del partito comunista di Arnesano. Il film-documentario “Arturu lu comunista” ripercorre l’incontro tra la regista e il compagno Arturo, girato nella sua campagna, nella località Sant’Anna, pochi giorni prima della sua morte. Il filmato, della durata di 37’, si avvale del contributo di persone che lo hanno conosciuto, di materiale iconografico riguardante Arturo e la comunità di Arnesano.


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“Ci siamo lasciati immaginando una grande festa per presentare al paese il racconto di una giornata speciale” 4

Gigli rossi per me

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di Caterina Gerardi ono contenta di stare qui, con tutti voi. Sono un po’ emozionata, ma ancora molto arrabbiata per il fatto che Arturo sia andato via. Il compagno Arturo… una vita! Era il contadino della campagna di famiglia, frequentava assiduamente casa mia. Mi piace anche ricordare e sottolineare che la sezione del Partito Comunista Italiano aveva la sede in una stanza di proprietà della mia famiglia nel centro storico di Arnesano. Arturo apprezzava e condivideva molto le varie iniziative che portavo avanti nel paese: dalla Polisportiva a “Porta Rande”, il primo giornale uscito in Arnesano; lui partecipava sempre e collaborava con slancio. Non perdeva occasione per parlarmi delle sue delusioni, delle cattiverie che riceveva, dei tradimenti e quasi sempre finiva per chiedermi di fare ‘qualcosa’ per lui. Quando poi mi sono trasferita a Lecce, spesso mi mandava a dire che mi aspettava, che mi voleva consegnare il materiale della sezione del partito. Sapevo che mi aspettava, mi aspettava da sempre. Quando finalmente sono riuscita ad incontrarlo, avevo dovuto rimandare questo momento per vari impegni di lavoro, ho trovato Arturo che non articolava bene le parole, anche se seguiva con facilità la conversazione e si faceva capire abbastanza. Era il 27 settembre 2014, una giornata bellissima, luminosa. Abbiamo trascorso una mattinata intera nella sua campagna di ulivi secolari,

melograni, fichi, fiori Mi ha consegnato le sue “carte” gelosamente custodite nel tempo con amore e dedizione. Ancora una volta Arturo cercò con fatica di raccontarmi “a modo suo” delusioni, umiliazioni, preoccupazioni, mostrandomi la sua rabbia, il suo malessere profondo. Prima di lasciare la campagna raccolse per me tre meravigliosi gigli rossi. Gli promisi che avrei raccontato di lui “a modo mio” e non soltanto per un legame affettivo antico, ma prima di tutto perché ho sempre apprezzato e stimato quest’uomo semplice ma coraggioso e battagliero, onesto e generoso, testardamente libero, innamorato di una grande ideologia. Ci siamo lasciati immaginando una grande festa per presentare al paese il racconto di una giornata speciale. Poi l’ho incontrato di nuovo. Il secondo incontro è avvenuto nella sua casa di Arnesano. L’8 ottobre 2014. Arturo non faceva entrare nessuno nella sua casa. Lui, però, di me si fidava. Le condizioni igieniche in cui Arturo viveva erano vergognose, ai limiti della vivibilità. Con lui ho fatto finta di niente, non ho lasciato trasparire nulla, non ho fatto riprese, non ho fotografato, gli ho detto che ero stanca e che sarei tornata in un altro momento. Certo non potevo rimanere indifferente a quello che avevo visto e con l’amico Paolo Pati informammo i Servizi Sociali di Arnesano, il suo medico e il 22 ottobre 2014 presentammo all’Assistente Sociale del paese la richiesta di ve-


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rificare le condizioni in cui versava il cittadino Arturo Politi. Da questa nostra richiesta si arrivò (all’insaputa di tutti) al Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO) e al trasferimento in una casa di riposo a Novoli, dove Arturo è morto il 29 dicembre 2014. Sarei dovuta ritornare da lui per finire le riprese, per prendere il materiale lasciato lì provvisoriamente, ma il lavoro è stato interrotto improvvisamente dalla morte inaspettata di Arturo. Sono convinta che il filmato sulla figura del compagno Arturo Politi sia argomento di grande interesse per i cittadini di Arnesano. Sono anche convinta del fatto che un riconoscimento pubblico alla vita “politicamente appassionata” di quest’uomo sia importante. Per questi motivi ho fatto di tutto per coinvolgere l’Amministrazione Comunale nell’organizzazione dell’incontro di questa sera. Il 26 aprile 2016 sono andata a trovare personalmente il Sindaco nel suo ufficio comunale; era presente alla conversazione anche una giovane donna che mi è stata presentata come vice sindaca. Abbiamo parlato a lungo. Lui conosceva molto bene Arturo. Sembrava felice di poter fare finalmente qualcosa per ricordare l’amico di suo padre. Dissi in quell’occasione che se l’Ente avesse voluto prendersi la paternità di tutta l’iniziativa io sarei stata pronta a donare il mio lavoro, senza ricevere nulla in cambio, perché il mio unico desiderio era di ricordare il compagno Arturo in maniera dignitosa. Arturo è parte della storia di Arnesano e testimone di un tempo in cui la politica era cura e passione disinteressata. Una lezione di vita per le nuove generazioni. Il sindaco, soddisfatto, prese l’impegno di parlarne all’interno della giunta e disse che quanto prima mi avrebbe dato una risposta. Ci siamo, quindi, scambiati i recapiti: indirizzi, mail e numeri telefonici e ci siamo salutati. La risposta non è mai arrivata. Ho inviato al sindaco la prima, la seconda e la terza mail informandolo che il film era finito e

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che avevo bisogno di conoscere le intenzioni dell’Amministrazione, silenzio. L’11 luglio 2016 ho poi spedito la stessa richiesta per posta, una raccomandata con ricevuta di ritorno. La ricevuta di prova è tornata, ma la risposta del sindaco mai. Questo comportamento, devo dirlo, mi ha molto sconcertata e amareggiata. Peccato! Ancora un rifiuto, un’indifferenza immotivata, un’occasione persa. Sono certa che questo piccolo riconoscimento da parte dell’Amministrazione Comunale, anche se tardivo, ad Arturo avrebbe fatto piacere. Realizzare, quindi, questo film e organizzare l’incontro di questa sera non è stato facile. Ci sono stati troppi ostacoli, troppe difficoltà da superare, ma non ho mai pensato di lasciar perdere, di mollare, ho cercato di prendere le distanze da ciò che sembrava ostacolare questo progetto e con determinazione ho portato avanti il lavoro continuando a risolvere i problemi che man mano si presentavano. Dovevo mantenere la promessa fatta al compagno Arturo; il mio disimpegno sarebbe stato per lui un’ulteriore delusione, un’altra cattiveria. Sono quindi stanca ma molto contenta di avercela fatta e di stare qui con voi insieme ad Arturo. Ringrazio le amiche e gli amici che con generosità e sensibilità hanno contribuito alla realizzazione del filmato e alla riuscita di questa serata speciale. Un grazie riconoscente alle associazioni Mille Eventi e Piazza 24 Maggio per la loro spontanea disponibilità.


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“Il ritratto di un militante appassionato, generoso che ha vissuto nel partito e per il partito al quale tanto ha dato e dal quale poco o niente ha ricevuto”.

Un omaggio dovuto

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di Tonio Solazzo

gennaio di due anni fa, ci lasciava Arturo Politi, il compagno Arturo, storica figura di un militante comunista, che ha rappresentato la storia e l’anima del PCI di Arnesano e, per molti aspetti, anche del PCI nazionale. Arturo ha attraversato con la sua militanza gli anni dell’immediato dopoguerra, gli anni delle lotte contadine e dell’occupazione dell’Arneo, a cui partecipò con ardore giovanile, subendo il sequestro della bicicletta con la quale, da Arnesano, aveva raggiunto le terre rivendicate dai contadini. Sono gli anni dell’egemonia e dello strapotere democristianiad Arnesano, come in quasi tutti i paesi del Meridione. Arturo era il più giovane militante di uno sparuto gruppo di compagni comunisti, che con coraggio osavano sfidare i potenti del paese, nell’assordante silenzio dei tanti che, per paura o per convenienza, tacevano e chinavano la testa. Poi gli anni della contestazione e del consenso crescente del ceto medio al PCI, avvicinarono molti giovani arnesanesi al partito e ad Arturo, che il partito allora rappresentava, anche se, in seguito, molti dei sessantottinidi allora fecero

L’insegna della sezione del PCI di Arnesano

scelte diverse, approdando nelle formazioni della sinistra extraparlamentare. Fu,quello, il momento più gratificante per il compagno Arturo, che, ogni domenica con la sua bicicletta, faceva il giro del paese per diffondere “l’Unità” (tenendo per sé, pagandole, le copie invendute del giornale), e che, senza grandi aiuti, riusciva ad organizzare la Festa dell’Unità, spesso rimettendoci di tasca propria. Nel 1985, poi, Arturo per la prima volta nella sua vita di militante comunista, poté gioire, perché, dopo 40 anni di vittorie elettorali della Democrazia Cristiana e di bocconi amari inghiottiti per le sconfitte nelle elezioni sia politiche sia amministrative, una lista civica di sinistra, guidata da un candidato sindaco comunista, si affermò nelle elezioni comunali del maggio di quell’anno. Fu un momento storico per la Sinistra di Arnesano, che, purtroppo, non ebbe seguito, in parte per qualche errore commesso al momento dell’insediamento, in parte perché spesso prevalse la logica degli interessi del partito da tutelare ad ogni costo. E con il partito e con Arturo non mancarono le occasioni di confronto anche duro.


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Infine, il periodo più sofferto della sua militanza: la fine del PCI, la nascita del PDS, poi divenuto DS, la fusione nel PD con una parte della vecchia Democrazia Cristiana, cioè con gli avversari storici, che egli aveva combattuto da sempre con decisione e ardore. E’ la fase più tormentata della vita politica di Arturo, segnata dal suo progressivo distacco (anche per ragioni di salute) da un partito, che, intanto, in un contesto nazionale e mondiale in profonda trasformazione, era divenuto qualcosa di radicalmente diverso da quello nel quale aveva militato e che egli non riconosceva come il “suo” partito. Ad Arturo Politi, per tutti “Arturulu comunista”, Caterina Gerardi ha dedicato il suo ultimo lavoro, un film che ripropone l’incontro intervista avvenuto nella campagna di sant’Anna, pochi giorni prima della morte di Arturo e che, attraverso le testimonianze di amici e avversari, ne ripercorre la storia politica e, soprattutto, quella umana. Lo sguardo di Caterina si posa, senza nulla nascondere, su un uomo che gli anni e la malattia, hanno reso incerto nei movimenti e nel modo di esprimersi, ma che “parla” con i gesti e ma-

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Frame dal film: Arturo con le sue “carte” nella casa di campagna

nifesta i suoi sentimenti nel momento in cui offre a lei un fiore;sulla solitudine in cui Arturo ha vissuto gli ultimi anni della sua vita; sulla sua volontà di rimanere fedele fino all'ultimo a quel patrimonio di idee e di valori, ai quali ha dedicato la sua vita e emblematicamente rappresentati dai numeri di Rinascita, dai ritratti di Berlinguer, dall' "arredo" della storica sezione del Partito Comunista di Arnesano, che lui aveva salvato e custodito, sia pure nel disordine della sua soffitta. Sono immagini forti e delicate al tempo stesso, capaci di suscitare emozione in quanti serbano ancora il ricordo, richiamato dalle belle foto d’epoca, del giovane comunistavitale, energico, polemico e combattivo, rese ancora più efficaci dal ritmo del racconto lento, misurato, che induce alla riflessione, alla valutazione della vicenda umana, prima ancora che politica, di Arturo. Caterina Gerardi, con la consueta attenzione al mondo della gente comune, ci ha regalato il ritratto di un militante appassionato, generoso, che ha vissuto nel partito e per il partito, al quale tanto ha dato e dal quale poco o niente ha ricevuto; che si è battuto per affer-


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mare gli ideali di uguaglianza e di giustizia sociale; che ha scelto di uscire di scena quando il mondo intorno a lui è cambiato, cambiando anche il partito nel quale aveva militato fin da ragazzo. Ad Arturo l’omaggio di Caterina era dovuto (l’intenzione era di renderglielo in vita, ma il destino ha disposto in maniera diversa), soprattutto per l’assoluta coerenza tra i suoi ideali e i comportamenti quotidiani, per la sua onestà, per la sua generosità (di cui qualcuno approfittava), riconosciute da tutti, compagni e avversari, esempio sempre più raro nella politica e nella società. Chiudo con un’ultima riflessione. Spesso, dietro ogni celebrazione postuma, c’è una componente ideologica. Si ricorda, cioè, una persona perché espressione di un pensiero, di un’idea, di un movimento, di un partito. E la

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Arturo con due suoi ritratti

stessa cosa si può dire nel caso opposto: si dimentica qualcuno perché lontano da un certo pensiero, da una certa idea,da un certo movimento o partito. Il lavoro di Caterina, invece, nasce al di fuori di questa logica di parte. E’ il frutto di un rapporto di stima e di vicinanza, che risale ai tempi della giovinezza di Caterina, quando Arturo dava il suo prezioso contributo alla conduzione dei vigneti di famiglia. Un rapporto che nemmeno la relativa lontananza hainterrotto e che, anzi, ha rafforzato il proposito-promessa di Caterina: dedicare ad Arturo un lavoro, per salvare il ricordo di un militante appassionato, che era sempre, a volte anche sbagliando, dalla parte del partito, di un contadino per il quale la campagna era ragione di vita, di una persona onesta e generosa.


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Ernesto de Martino in un articolo denunciava la demonizzazione dei comunisti

Pro Arturo

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n un articolo risalente al 1948, Ernesto de Martino denunciava la demonizzazione dei comunisti operata attraverso l'uso di termini ed espressioni dispregiativi: "Gli organi di formazione della pubblica opinione sono mobilitati per illustrare l'apocalittico pericolo che avanzerebbe dall'oriente, e che minaccerebbe le radici stesse della famiglia, della morale, dell'ordine, della religione, della libertĂ , della dignitĂ dell'uomo; i giornali umoristici avallano

nelle loro vignette l'immagine del comunista come quella di un tipo umano spregevole, anche organicamente distinto della restante umanitĂ (i 'tritariďŹ uti', i 'frontagni', etc.), di un tipo umano inferiore, bestialmente ottuso...". Arturo ne sapeva qualcosa: nel ďŹ lm di Caterina, ripete una parola rimastagli in testa come una ferita: rumatu, sterco di animali. Eugenio Imbriani


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“Per Arturo l’adesione al partito era un atto di logica ed estrema coerenza, era la via per tenere alto l’impegno nella lotta politica, che lo ha visto partecipare all’occupazione delle terre dell’Arneo”.

Fedele alla linea

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di Eugenio Imbriani

ll’indomani della conclusione della seconda guerra mondiale, in un’Italia povera e lacerata, il conflitto politico e sociale si era polarizzato, come è noto, intorno ai due grandi partiti emersi all’avvio della vita democratica, la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista Italiano. Questa contrapposizione era vissuta con toni estremamente aspri nelle piccole comunità, in cui la conoscenza reciproca delle persone rendeva palesi i trasformismi e gli opportunismi che motivavano le scelte e i posizionamenti. Arturo Politi, nato e vissuto nel paese di Arnesano, a un passo da Lecce, contadino, comunista, era tra coloro che, invece, si era schierato con nettezza dalla parte di quanti, malgrado la caduta del regime e la nuova costituzione, continuavano a dover subire l’egemonia della classe padronale che controllava le sorti del paese, con il sostegno dei ministri della fede. Per Arturo l’adesione al partito era un atto di logica ed estrema coerenza, era la via per tenere alto l’impegno nella lotta politica, che lo ha visto partecipare all’occupazione delle terre dell’Arneo, e che continuava nell’aula del consiglio comunale, nell’organizzazione delle feste dell’Unità, nell’attività quotidiana condotta nella sezione, per le

strade, con la distribuzione dell’Unità. Recitava sempre pubblicamente il suo ruolo, a voce alta, per lui la democrazia non poteva nascondersi negli uffici tecnici, nelle stanze riservate degli studi medici, nelle sacrestie. E sopportava con fierezza gli insulti che riceveva, perché comunista e, quindi, poco di buono, anche se era impossibile non notarne l’assoluta onestà, il culto per il lavoro, la generosità di cui non pochi hanno beneficiato. Era un duro, già; anche cocciuto. Ma non abbiamo capito per tempo, o era comodo non voler capire, che quegli strali qualche ferita l’hanno lasciata. Arturo è rimasto fedele a se stesso, al suo ideale (strana parola, ormai), al di là dello smarrimento che gli hanno procurato la crisi e la trasformazione del suo partito, avendo una chiara consapevolezza delle nuove povertà, delle pesanti subalternità che, in anni recenti, si sono prodotte in Europa e nel mondo. Ha curato fino all’ultimo, in modo maniacale, il suo terreno, ne ha venduto e regalato i frutti, in piazza, come d’abitudine, ha guidato la sua Ape, in compagnia dell’immancabile chiassoso cagnolino, ha conservato quanto poteva dei giornali e dei manifesti testimoni della sua lunga militanza. Ha curato poco se stesso.


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Caterina Gerardi, artista, fotografa, film-maker, amica di Arturo dall’infanzia, lo ha cercato e incontrato, a fine estate del 2014, dopo un periodo in cui lo aveva perso di vista - il lavoro, gli impegni, la vita altrove -, poco tempo prima che egli, inopinatamente, morisse. Arturo recava ormai i segni di una salute intaccata, ma insieme di una grande vitalità, inconsueta in una persona che ha superato gli ottant’anni. Il progetto di Caterina si sostanziava nella realizzazione di un filmato che di Arturo raccontasse il carattere e la storia. L’appuntamento si sarebbe dovuto ripetere, ma non è stato più possibile; allora, la narrazione filmata di un incontro (emozionante, a dir poco) e di una vita ha cercato il supporto di testimonianze che Caterina

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Arturo con la madre nel giardino della casa di Arnesano

ha raccolto tra alcune delle persone che gli sono state vicine e meglio lo hanno conosciuto. Il risultato è “Arturu lu comunista”, il documento filmato di un legame affettuoso, che, però, registra anche il sentimento di solitudine che Arturo esprime, pur nella difficoltà dell’eloquio, la sofferenza per il disprezzo di cui è stato bersaglio, purtroppo, e raccoglie il suo duro giudizio su come è andata a finire. Al termine di quell’incontro, Arturo ha consegnato a Caterina la ricca collezione di giornali, manifesti, materiali di propaganda che aveva conservato nel corso degli anni. Ma non poteva bastare, glielo imponeva la sua esemplare galanteria contadina; coglie dei gigli e glieli dona: rossi, naturalmente.


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“Arturo per tutta la vita ha amato la terra, la campagna coltivata, gli alberi secolari, le piante e i fiori a cui riservava tanta cura; tutto questo ci fa capire meglio la natura del suo comunismo”.

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Una protesta solitaria di Giovanni Lorenzo

l documentario su Arturo Politi di Caterina Gerardi, secondo il mio modesto parere, propone una rappresentazione del soggetto che non ci fa capire la complessità della sua personalità in tutti i vari aspetti. Secondo l‘interpretazione di Gerardi, Arturo, il comunista Arturo, sarebbe solo un eroe sconfitto, un sopravvissuto alla catastrofe del comunismo, un disperato col costante rimpianto di un mondo perduto, continuamente riverso sui documenti di quella per lui epoca gloriosa prematuramente defunta, insomma l’ultimo giapponese di una guerra perduta. Le stesse interviste, sapientemente selezionate, tendono ad avvalorare questa lettura, interventi quasi tutti di persone lontane dal suo mondo ideologico ed esistenziale: Arturo viene inoltre descritto nelle interviste, non solo come un comunista buono, ma anche come un bracciante agricolo onesto, gran lavoratore, che spesso regalava i prodotti della terra alle persone a lui simpatiche, rispettoso dei signori di quel tempo, sempre pronto a soddisfare le loro esigenze; insomma l’eroico contadino tanto caro al Verga.

Arturo in verità non era così, o meglio non era solo questo: occorre aggiungere che alcuni degli intervistati ormai non frequentavano più Arturo da parecchi anni e anche in passato lo avevano sempre osservato da lontano senza dargli mai troppa importanza, forse anche perché contadino e per di più comunista illetterato, e, se attaccati politicamente, difficilmente reagivano e non si offendevano neanche di fronte alle sue feroci invettive a cui spesso si lasciava andare nel furore delle battaglie politiche di allora. Tutti però erano costretti a riconoscergli una fede assoluta, tenace e del tutto disinteressata per il PCI di allora, mai condizionata da compromessi in una piccola comunità qual era in passato Arnesano (e come è sostanzialmente rimasta), in cui molti si erano piegati alla DC locale in cambio di qualche beneficio personale. Arturo invece aveva sempre sfidato e combattuto i potenti del posto a viso aperto quando molti spesso tendevano a nascondere le loro vere convinzioni politiche per paura di rappresaglie che a volte arrivavano per gli avversari politici. Si spiegano così le sue imprecazioni


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continue contro i dirigenti democristiani locali, veri padroni per molti anni del paese e soprattutto contro la famiglia che per lungo tempo tra gli anni ’50 e ’60 ha governato Arnesano, i Petrelli, latifondisti, datori quindi di lavoro dei tanti braccianti del paese tra cui Arturo; due fratelli, uno, Antonio, per anni sindaco democristiano e poi presidente dell’unica locale cantina vinicola del paese e grande produttore di tabacco e l’altro, Carmelo, medico condotto; persone per altri versi distinte e disposte spesso ad aiutare i più bisognosi e per questo stimati da quasi tutta la popolazione di Arnesano, ma naturalmente appartenenti ad una classe privilegiata ed antagonista al mondo di Arturo; insomma questi due fratelli, supportati sempre dal parroco Don Mario Vetrugno, avevano in mano la possibilità di lavoro e la salute di quasi tutto il paese, allora prevalentemente abitato da contadini. Arturo però non era solo un fanatico seguace di una ideologia astratta cui ha sacrificato la propria vita, senza alcun legame col suo vissuto quotidiano; c’è un altro aspetto della sua personalità che il filmato lascia sullo sfondo senza metterlo debitamente a fuoco: Arturo per un lungo periodo ha amato incondizionatamente il suo partito, questo è vero, ma per tutta la vita ha amato la terra, la campagna coltivata, gli alberi secolari, le piante e i fiori a cui riservava tanta cura; tutto questo ci fa capire meglio la natura del suo comunismo che per lui era la lotta di classe dei braccianti e dei coloni del paese per il possesso della terra, che il partito comunista in quegli anni sbandierava continuamente perché possiamo dire che fino agli anni ’80 del secolo scorso ad Arnesano la terra coltivabile era quasi tutta dei latifondisti, dei ricchi signori nobili o borghesi, molti della capitale, che abitavano d’estate nelle loro ville sontuose nelle campagne di Arnesano e che spesso trattavano i contadini loro dipendenti come servi. Arturo come tanti contadini del paese ha avuto un sogno per tutta la vita, diventare proprietario della terra che coltivava. La lotta per l’occupa-

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zione delle terre ebbe, quando era ancora adolescente, il suo battesimo nelle campagne di Arneo. Il piccolo nucleo di comunisti irriducibili che popolavano la sezione locale del PCI di Arnesano, isolati e spesso bistrattati, da tutte le altre componenti della società, avevano la stessa speranza di Arturo: insomma possiamo parlare di lotta di classe tra contadini e proprietari, - alimentata da una rabbia repressa e dalla speranza nel futuro senza fortunatamente sfociare mai in atti di violenza - essendo quasi del tutto inesistenti gli operai. Col tempo poi molte cose sono cambiate e i sopravvissuti a quelli anni terribili sono riusciti, come lo stesso Arturo, ad avere la terra, comprandola a prezzo di enormi sacrifici, a volte dai loro ex padroni. Con il crollo del Comunismo, e con la trasformazione del vecchio PCI in altre formazioni politiche, finisce lentamente anche la militanza politica di Arturo che per tanti anni si era concretizzata soprattutto con la distribuzione casa per casa dell’Unità, quasi un rito domenicale cui non si era mai sottratto. Arturo si è sempre più allontanato dall’agone politico e si è sempre di più dedicato al lavoro nella sua proprietà. E si sentiva realizzato in questa sua attività, libero, come un guerriero che era riuscito finalmente a conquistarsi un suo feudo, sempre pronto ad ospitare chiunque lo andasse a trovare. Tutto ciò serve ad integrare in parte la rappresentazione che ne dà il filmato, quella cioè di un uomo ormai finito, ripiegato sul suo passato di militante politico, inconsolabilmente sconfitto. Arturo aveva ancora l’abitudine di inveire, se incontrava qualcuno disposto ad ascoltarlo negli ultimi tempi, prima dell’aggravarsi delle malattie che lo affliggevano, ma i suoi strali erano contro le ingiustizie della società in generale, e in particolare contro le mollezze e i vizi dei giovani che rifiutavano il lavoro agricolo, contro le comodità e gli stili di vita di una società sempre più tecnologica e sofisticata a cui contrapponeva la sua vita sobria, scandita giornal-


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mente dal duro lavoro dei campi, lontana da ogni forma di consumismo; Arturo si era nel tempo sempre più inselvatichito volontariamente, voleva vivere secondo natura, da “buon selvaggio” nel regno che si era costruito, nella località di Sant’Anna, dove il filmato è in parte ambientato, sulla sua torre che simbolicamente e fisicamente lo isolava da un mondo le cui abitudini e gli sprechi non aveva mai amato e capito, in compagnia degli ulivi secolari, del suo cane, degli uccelli e finanche degli “scursuni” cui si preoccupava di dare da bere d’estate. Quella trasandatezza che molti avevano notato e interpretato come il lasciarsi andare di un uomo ormai alla deriva, che il filmato fa intravedere,

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Fotografia di Paolo Pati

era invece l’estremo atto di protesta solitaria di un uomo che non ha mai accettato la società in cui è vissuto. Le preoccupazioni degli ultimi anni della sua vita erano generate dall’abbandono delle terre intorno a Arnesano, dal fatto che il lavoro dei campi non produceva più un reddito sufficiente e non tanto per la fine del Comunismo che pure aveva segnato per sempre la sua vita rendendolo un uomo coraggioso, incorruttibile, sempre pronto a prendere le difese dei più deboli ed indifesi. Questo mio modesto contributo spero possa servire a integrare la rappresentazione di C. Gerardi che pure contiene tanti pregi che altri hanno individuato e sapientemente analizzato.


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Le luci e le ombre del Novecento non hanno generato, come si vuole fare credere, solo macerie ma hanno contribuito a costruire destini e una maggiore consapevolezza nelle singole capacità, diventate urgenze collettive per cambiare in meglio le condizioni di vita e di lavoro. Era il noi che predominava sull’io, era la solidarietà che spazzava via l’egoismo.

Il seme della speranza di Massimo Melillo

Qualcosa resta”: così si era abituati a dire quando, pur nelle difficoltà dell’agire politico o nelle asperità dell’apprendimento culturale, si affrontavano questioni non sempre di facile lettura. Era, però, la visione di un mondo più giusto e solidale a sfidare ostacoli e impedimenti a prima vista insuperabili. E uomini come Arturo Politi, contadino comunista e militante del movimento operaio che si rifaceva al Pci, furono capaci di raccogliere quella grande e originale lezione umana e politica per certi versi insuperabile e ancora oggi tutta da analizzare con la dovuta capacità critica e di giudizio. Le luci e le ombre del Novecento non hanno generato, come si vuole fare credere, solo macerie ma hanno contribuito a costruire destini e una maggiore consapevolezza nelle singole capacità, diventate urgenze collettive per cambiare in meglio le condizioni di vita e di lavoro. Era il noi che predominava sull’io, era la solidarietà che spazzava via l’egoismo. Con questa coscienza di classe si formarono, soprattutto nel secondo dopoguerra del secolo scorso, militanti come Arturo “lu comunista”, che nel Salento profondo e desolato dei braccianti, nella sua piccola patria di Arnesano in quel Mezzogiorno arretrato e affamato, fu capace insieme con un pugno di uomini di gettare il seme della speranza affinchè la vita dei suoi concittadini, ma anche delle popolazioni salentine e meridionali,

potesse avere il valore di essere vissuta pienamente, libera dai bisogni e dalla sfruttamento. Erano contadini, spesso semianalfabeti, ma leggevano e diffondevano il giornale “l’Unità” e nella sezione del partito affrontavano le pagine, a volte di non facile lettura, di “Rinascita”, prima mensile poi settimanale, convinti com’erano che da quelle letture “qualcosa restava” per poter meglio intraprendere un’azione politica e sociale. Volevano cambiare le proprie e le altrui esistenze e le commoventi immagini, per certi versi struggenti, del documentario che Caterina Gerardi dedica ad Artuto Politi ci restituiscono un pezzo importante di quella storia e di quelle vicende umane e politiche che da più parti si vorrebbero archiviare o, peggio ancora, seppellire definitivamente. Quello con Arturo è stato per Caterina e la sua famiglia un incontro durato nel tempo e che, nel corso dei decenni trascorsi, oggi si rinnova in una testimonianza di affetto con un ricordo corale di un uomo limpido ed esemplare nella vita e negli ideali mai venuti meno sino alla sua solitaria scomparsa. Tra i tanti paradossi di questa nostra Italia ve n’è uno che riguarda il come e perché il più grande partito comunista dell’Occidente sia stato fatto scomparire, tanto che la stessa parola comunista è stata cancellata volutamente dal vocabolario politico di questi nostri tempi. Il comunismo italiano non è stato un incidente della storia ma strumento


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di crescita sociale e culturale e milioni di iscritti, simpatizzanti ed elettori guardavano al Pci di Arturo Politi come baluardo a difesa della democrazia e dei diritti inalienabili dell’uomo, conquistati a caro prezzo durante la Resistenza contro il fascismo e il nazismo e lotte durissime per la libertà e la giustizia. Senza voler mitizzare né affogare nella nostalgia, non si può non guardare con rispetto quella fotografia di Caterina che ritrae un sorridente Arturo con le copie del giornale “l’Unità” da diffondere tra i suoi concittadini poiché in quella immagine c’è tutto un modello di vita e bene ha fatto l’autrice a raccontarla anche nelle pieghe più intime. Senza nessun rimpianto, ci si emoziona a osservare quel bel volto di contadino, che si avvia con la sua bicicletta a compiere il suo dovere di militante e di diffusore del giornale del Partito comunista italiano. Dopo non poche peripezie e avventurose ricerche d’archivio siamo riusciti a individuare che era “l’Unità” di domenica 22 ottobre 1989 e che in prima pagina pubblicava, tra gli altri, articoli ancora attuali di Pietro Ingrao e Giovanni Berlinguer. Dopo pochi giorni, il 9 novembre, crollava il Muro di Berlino e con esso il cosiddetto comunismo realizzato nell’Unione sovietica e nei paesi dell’Europa dell’Est. Ci furono momenti di gioia e di stupore ma Norberto Bobbio, il grande filosofo liberalsocialista

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Frame tratto dal film

e coscienza critica della sinistra, avvertì di non rallegrarsi perché le ragioni dell’uguaglianza e dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, che diedero vita a quel grande moto rivoluzionario del comunismo,non erano venute meno ma restavano tutte intere e, aggiungo, restano ancora irrisolte anzi si sono acuite ancora di più. Per non parlare poi dell’orrore odierno per le centinaia di muri, che nel mondo vengono innalzati e di cui tanto si parla e poco si fa per demolirli. I comunisti come Arturo non erano né migliori né peggiori degli altri, erano semplicemente diversi, erano severi con sé stessi e avevano alto il concetto della dignità e della coscienza di appartenere alla classe dei contadini e degli operai. Vivevano in prima persona il conflitto ancora irrisolto tra ricchi e poveri, tra capitalismo e mondo del lavoro, tra i pochi che hanno tanto e i molti che hanno poco o niente. Per questo furono migliaia e migliaia le donne e gli uomini che, come Arturo Politi, dedicarono con nobile passione, pur nell’asprezza della vita, la propria generosa esistenza agli ideali del comunismo nel più completo disinteresse personale. A quei militanti del Pci, che senza nulla chiedere e niente avere se non la speranza in un mondo migliore, va la riconoscenza e la memoria di tutti noi e di chi ne ha raccolto e ne custodisce la preziosa e concreta eredità.


Privilegio e sacrificio E 18

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“Vorrei che Arturo fosse salvo dalla retorica insopportabile per me - de “l’ultimo comunista”

di Ada Donno

ccomi, Caterina , rispondo alla tua sollecitazione con ritardo , per via di quei malanni di stagione che volentieri eviteremmo, potendo. Alla “prima” di Arnesano del tuo "Arturu lu comunista" ci sono venuta, come ti ho detto, ma la sala del palazzo marchesale era così piena che sono rimasta sulla porta, in fondo. Ero colpita da tanta presenza, ma non sorpresa, tutto sommato. Perché è sempre (meritoriamente) così alle prime presentazioni dei tuoi film. Perché è spesso così nei nostri paesi. Molte presenze sinceramente coinvolte, molte altre incuriosite o stupite che si tributasse post mortem l’onore di una celebrazione pubblica, e perfino di un film d’arte, ad un personaggio come Arturo Politi, di cui tutti nel suo paese sapevano l’esistenza, ma pochi la consideravano. “Arturu lu comunista” l’avevo già visto perché me lo avevi proposto in anteprima a casa tua, come fai con ogni tuo nuovo lavoro, perché ti piace spiare le reazioni e sentire in anticipo il giudizio di persone di cui ti fidi. “È commovente”, è stato il mio. E davvero mi ha commosso la vicenda di Arturo Politi, che non conoscevo. In quell’appellativo antonomastico che hai usato per titolo, con cui era

identificato – additato – nel paese, sta tutta l’unicità e la solitudine del personaggio di cui hai restituito il ricordo ai suoi compaesani e a noi tutti. Ma – te lo dico ora - c’era anche qualche cosa che mi urtava dentro, e ha continuato ad urtami dentro durante la presentazione ad Arnesano e nei commenti che l’hanno accompagnata. Ci ho pensato. Ci hai consegnato, attraverso la rievocazione affettuosa di un personaggio che toccava le corde della tua immaginazione fin da ragazza, la figura negletta di questo vecchio comunista per sempre - caparbio, innocente e umile, fedele e solitario custode di ingenui ricordi e poveri cimeli - la malinconia di una storia finita. Che somiglia ad altre storie individuali finite, come se ne possono sentire nei nostri paesi e altrove, non solo al Sud. Raccontano di altri Arturo, che per la vita si erano occupati di aprire e chiudere la Sezione del partito, di uscire con l’Unità sotto il braccio ogni domenica per la diffusione militante, di affiggere i manifesti nelle campagne elettorali e di allestire le tribune dei comizi nella piazza del paese. Per i quali essere comunista nell'era democristiana era stato privilegio e sacrificio, come portare un marchio netto e duro...


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Frame tratto dal film: le “carte” di Arturo nella sua casa di campagna

Anche io ti ringrazio, per questo. Il tuo affetto per la persona, di cui hai avuto la cura fermare l’immagine in gioventù, salva ora Arturo Politi da un anonimo oblio che non meritava. Vorrei, nello stesso tempo, che Arturo fosse salvo dalla retorica - insopportabile per me - de “l’ultimo comunista”. Insopportabile, quanto sprecata. Se vai alla voce “ultimo comunista” in internet con qualsiasi motore di ricerca, trovi una gran quantità di articoli, filmati e perfino libri intitolati a figure di “ultimo comunista”, ad ogni latitudine. Sembra che nessun giornalista,

scrittore, film-maker si sia saputo sottrarre all’impellenza di questo esercizio retorico. Con risultati in qualche caso esteticamente ragguardevoli, ma il più delle volte patetici, qualche volta volutamente grotteschi, che malamente nascondono la voglia di celebrare il funerale di una narrazione che ha occupato gran parte del pianeta nell’intero Novecento e che, per quanto mi riguarda, non ha affatto finito di raccontarsi. Questa è la ragione di quell'urto di cui ti dicevo. Mi sembrava necessario dirtelo.


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Lui e la Nerina

L

“…la solita tragedia dell’individuo che non si adegua, non si rassegna, che pensa con la propria testa e per questo muore ucciso da tutti”

(dal prologo di “Un uomo” Oriana Fallaci)

di Elisabetta Rossi

a storia che Caterina Gerardi ha deciso di raccontare inizia dalla fine: la fine del suo compaesano Arturo, contadino comunista, nato e vissuto ad Arnesano nell’immediato dopoguerra, e della sua personale solitaria battaglia di tutta una vita per ideali di libertà e democrazia politica e sociale, contro i piccoli e grandi soprusi della classe patronale che, nonostante i passati eventi, continuava a fare il buono ed il cattivo tempo nel suo paesello. Per Arturo il partito comunista con la sua ideologia erano l’unica via per un vero riscatto sociale, e lo testimoniava con la sua condotta quotidiana, con il suo lavoro, con il tempo libero speso nella sezione del partito, con l’organizzazione delle feste dell’Unità talvolta anche a sue spese, quelle stesse tasche pronte ad acquistare quelle ultime copie spesso rimaste invendute del giornale l’Unità, che era suo impegno cercare faticosamente di vendere per le strade del paese. Artuto “lu Comunista”: come era difficile essere quello che tanto semplicemente ed istintivamente sentiva, dal profondo del cuore, essere un giusto vivere! Inevitabilmente cadde vittima del conformismo (il potere) e dell’anticonformismo (l’antipotere) per i quali l’uomo è solo un individuo da schematizzare e indottrinare. Onesto, lavoratore, generoso, ma comunista, quindi… un poco di buono!, spesso insultato,

spesso emarginato, spesso deriso. Fortunamente c’era lei, la Nerina, cara amata bastardina, compagna fedele, che lo ha rispettato cosi’ come era, senza mai pretendere di cambiarlo, seguendolo ovunque seduta alla sua destra in giro nell’Ape e condividendo con lui il silenzio dei campi. Negli ultimi incontri, ripetutamente, Arturo insisteva con Caterina Gerardi perché “almeno lei”, con cui si era sempre sentito in empatica sintonia, facesse qualcosa per lui, raccontasse sulla sua vita e del impegno politico. Caterina adempie a questo compito con l’intento di riscattare l’uomo e, nel contempo, il compagno Arturo, traducendo in questo filmato la storia di un uomo semplice, un piccolo grande eroe nella battaglia dei buoni ideali di libertà e democrazia. Quello di Caterina vuole essere un passaggio di testimone della storia di Arturo in un documento che indigna e spesso ferisce, a tratti commuove e scuote la coscienza con una inaspettata forza coinvolgente. Riprese graffianti ed incisive, in un perfetto equilibrio tra il tono distaccato della cronaca e quello appassionato sulla vita di un contadino comunista, perdutamente innamorato di una ideologia, alla quale rimase sinceramente e fedelmente legato sino all’ultimo giorno della sua esistenza vissuta ai margini, ai margini di una comunità che lo ha ignorato perché diverso, e spesso ferito a morte.


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Frame tratto dal ďŹ lm


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“So per certo di avere incontrato un uomo che si sforzava di costruire comunità in un mondo sempre più complesso e che costringeva ai margini la cultura contadina”

Disagi e sorrisi

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di Gabriele Arnesano

i è una fase della vita in cui, se un uomo (o una donna) non è ancora sposato e non ha relazioni che potrebbero portarlo al matrimonio, la cerchia più stretta dei suoi amici si preoccupa talvolta di aiutarlo. Ad Arturo è successo intorno ai quarant'anni. Un così bel giovane, magro e solido, carattere forte e modi gentili. Alcuni compagni di partito, di altri comuni della provincia, avendo figliole da maritare, avevano pensato a lui come marito ideale. Una sorta di mutuo soccorso, insomma. Lo avevano perciò invitato a casa, così, per un “rinfresco” pomeridiano, naturalmente preparato e servito dalle figliole. Arturo mi aveva chiesto di accompagnarlo, con la cinquecento di mio padre. Avrebbe potuto andarci con la sua Ape, ma credo preferisse andarci in compagnia. Ricordo di averlo accompagnato almeno tre volte, in posti diversi. Situazioni che si ripetevano uguali; molto piacevoli e interessanti per me, giovane studente di sociologia che aveva l'occasione di osservare queste dinamiche relazionali di un ambiente contadino. Perché erano tutti contadini i compagni di partito di cui Arturo aveva accolto l'invito. Avevano con lui un rapporto affettuoso, quasi paterno. Uomini orgogliosi delle loro scelte politiche, della militanza e delle lotte per migliorare le loro e le altrui condizioni. E che sa-

rebbero stati contenti se, questo compagno di cui avevano tanta stima, avesse deciso di continuare a frequentare la loro casa. Per conoscere meglio le loro figliole e magari costruire una relazione stabile. Le figliole partecipavano poco alle chiacchierate intorno ad un tavolo in veranda. Impegnate in cucina a preparare il rinfresco, sistemarlo in tavola, sparecchiare, riporre tazze, bicchieri e posate nel lavabo. E poi si trattava di argomenti da maschi, politica e questioni agricole soprattutto. Anche Arturo parlava poco, spesso si limitava a gesti di assenso. Aveva come stampato sulla bocca un sorriso di cortesia, imbarazzato forse dalla presenza delle signore e dai motivi che lo avevano portato in quei posti. Durante il viaggio di ritorno parlava d'altro, evitando riferimenti ai piacevoli incontri conviviali dai quali eravamo reduci. Si vedeva però che era contento, che la situazione non gli era affatto dispiaciuta ma che, non essendo riuscito a gestirla, preferiva evitare qualsiasi commento. Le signore erano gentili e sorridenti (quindi belle), sguardi vivaci ed espressioni intelligenti. E non sembravano neppure partecipare tanto passivamente al rituale, da cui erano state escluse (forse) solo dalla fase organizzativa. L'altra presenza femminile, quella delle mamme, appariva piuttosto attiva in tutte le fasi dell'evento, comprese naturalmente quelle progettuali. Una mano in cu-


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cina alle figliole ma, rispetto a loro, una presenza più costante al convivio maschile. Anche per coprire i silenzi impacciati ma sorridenti di Arturo. Perché allora Arturo si ritraeva? Forse era solo il suo modo di prendere parte e di affermare che il solo gesto fondante è la rinuncia. Difficile fornire risposte, e credo non sia neppure giusto provare a farlo. Di sicuro non reggono le facili - e purtroppo abusate - spiegazioni che attribuiscono le sue difficoltà con le donne all'intensità del suo rapporto con il partito e i suoi ideali. Non so se abbia più incontrato quelle signore (le figlie e le madri) e se si sia mai rammaricato per il mancato buon fine di quegli incontri. Né so se abbia vissuto altre situazioni del genere. So per certo di avere incontrato, in quelle occasioni, una umanità che si sforzava di costruire comunità in un mondo sempre più complesso e che costringeva ai margini la cultura contadina. Quella cultura in cui i genitori si preoccupavano di organizzare il futuro dei loro figli e, in particolare, i destini e

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le funzioni delle figlie femmine in ambito familiare. Spesso per queste ultime - soprattutto le ultime nate - si prospettava, infatti, un futuro di nubilato utile al sostegno della vecchiaia dei genitori. E, anche quando le accompagnavano al matrimonio, i genitori esercitavano uno stretto controllo sulla scelta del promesso sposo e sui compiti del conseguente ruolo di madre. Un mondo in affanno e in profonda crisi - di orientamento e di valori - che provocava forti disagi nei contadini come Arturo che, pur avvertendo limiti e ritardi della loro cultura di riferimento, faticavano ad adattarsi al nuovo che avanzava seguendo percorsi difficili da decifrare. Lo sgretolarsi dei grandi quadri ideologici minava, inoltre, le ultime certezze di coloro che erano abituati a muoversi in ambiti in cui le stratificazioni sociali e le relazioni di potere apparivano chiaramente definite. Probabile, perciò, che tali difficoltà possano aver avuto un peso anche nei loro rapporti quotidiani e nelle relazioni affettive.


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“Continuava a vivere la determinazione della sua partecipazione alle proteste contadine per l’occupazione dell’Arneo”

Le parole elettive

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di Vittorio Caione

li incontri con Arturo potevano essere frequenti, come con chi abita in un piccolo centro e raggiunge gli stessi luoghi di aggregazione. Non mancava mai il reciproco saluto e talvolta la battuta di spirito veniva facile con una persona aperta e, nello specifico, simpatica per l’abituale semplicità. A toccarlo però im ciò che lo coinvolgeva direttamente come militante politico faceva scattare subito il senso del suo esserci. La lunga militanza nel partito di appartenenza lo richiamava immediatamente all’essenzialità del suo credo e allora s’impuntava sulle parole e le sillabava appiccicose, alzando il tono della voce che, stridula, richiamava l’attenzione anche di chi non gli era vicino. In tale circostanza recuperava parole elettive – un po’ alla Frassica – che non erano del suo dialetto primitivo e disarticolato; e raggiungeva il massimo dell’emotività quando riteneva di dover finalmente usare le parole proletariato e rivoluzione. Continuava a vivere, in rigurgito, la determinazione della sua partecipazione alle proteste contadine per l’occupazione dell’Arneo. Ricordo quando, veramente esasperato, invitò anche altri che erano con lui, a ribaltare l’auto con la quale con altri percorrevo alcune strade cittadine, strombazzando per la vittoria in una difficile consultazione elettorale per il rinnovo del Consiglio Comunale. Si era già al di qua della contrapposizione delle

liste “te lu Signore” e” te la Matonna” e al tramonto traumatico di una signoria. Il solito partito aspirava alla conferma, ma accusava già per suo conto il travaglio per una urgenza di cambiamento di uomini e di azioni. Per un nuovo corso si contendevano la vittoria elettorale due amici da sempre. Ma, come avviene in tale circostanza, non si risparmiavano pungenti battute per galvanizzare l’elettorato; tuttavia con un certo stile, perché ambedue capilista erano di buona indole e con reciproca stima. La contrapposizione invece era molto aspra tra le truppe. Personalmente ero parte attiva per la lista diversa da quella di Arturo; e, avendone chiesto il più radicale rinnovamento, c’era il rischio che mi siimputasse la colpa di una eventuale sconfitta: sarebbe stata storicamente la prima. Mi spesi per intero in campagna elettorale e dagli avversari venivo segnalato a futura memoria. La tensione divenne sempre più acuta fino all’ultimo voto dello spoglio; e quando finalmente ci fu la certezza della vittoria io ed altri ci mettemmo in macchina a girare per le strade gridando e strombazzando. Quando passammo da presso la sede del partito di Arturo, la sua esasperazione esplose a tal punto che, inseguendo la macchina invitava quanti erano con lui a ribaltarci. Non accadde nulla. Poi, come sempre, il tempo riportò tutti agli abituali modi di convivenza.


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Il film come analizzatore Spagine

“Cosa significherà per Arnesano oggi un documento come questo? Suggerirà qualcosa all’individualismo obnubilante e universale che ci divora?” 26

Ciao Caterina. Insisti, vuoi, come solo tu sai volere, una mia opinione, osservazioni ed eventuali suggerimenti sul video al compagno Arturo. Vuoi che io scriva qualcosa e così dovrebbero fare gli amici arnesanesi con cui visionammo a casa tua il documentario. Come direbbe una vecchia saggia: già va bene!! Certo il lavoro è perfettibile, forse sulle interviste farei scorrere più immagini, ma, ripeto, già va bene. Credo che siano fortunate quelle comunità che sanno auto-organizzarsi attivamente, anche per lasciare tracce di se, dei loro membri più significativi. Tuttavia sono le ragioni del cuore, dell’affetto per Arturo che, son sicuro ti hanno mosso. Così è stato per me e penso anche per quanti hanno risposto al tuo appello per ricordarlo. Il documentario non è un oggetto inerte, la sua vita sociale inizia quando si conclude la sua produzione. Come qualsiasi produzione artistica esso

cerca un pubblico, crea dinamiche istituzionali, accende una dialettica del riconoscimento. Ecco, suggerisco di guardarlo come un analizzatore come direbbero gli analisti istituzionali. Siamo fermi, per esempio e per quanto ho capito, ad una raccomandata con ricevuta di ritorno, già ritornata, per convincere il sindaco o qualcuno della giunta a vederlo. Tutto ciò è sorprendente e mi chiedo perché accade e come finirà. Mi assicuri di non aver chiesto niente, d’essere disposta a donarlo alla comunità. Direi che questi fraintendimenti sono già un bell’esercizio d’analisi. Bisogna chiedersi inoltre come sarà colto in paese, cosa significherà per l’Arnesano di oggi un documento come questo? Suggerirà qualcosa all’individualismo obnubilante e universale che ci divora? Ciao Caterina, vado in vacanza, aspetto il vento buono e torno in Albania e nelle isole greche. Buon vento anche a te e dal compagno Arturo. Piero Fumarola


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FotograďŹ a di Aniello Lezzi


I

L’uomo e il contadino

di Gigi Russo

l bel filmato di Caterina Gerardi “ARTURU lu comunista”, mi ha riportato ad alcuni momenti vissuti con quello che fu (in particolare negli ultimi tre decenni) un caro e difficile amico. Amico caro in quanto epidermica ne fu la correttezza, la simpatia e la bontà e amico difficile in quanto così ne risultò a volte il rapporto specie sugli argomenti della politica, dal livello locale (non di rado riguardante discussioni sulla realtà di Arnesano) a quello più ampio relativo all’intera Nazione. Il tutto con un Arturo ancora limpido nell’analizzare una politica (ormai non solo per lui) priva di riferimenti e con essa le vicende (anch’esse ormai sfocate) dei suoi trascorsi di militanza partitica. Momenti che con riguardo alla sfera relazionale si rivelarono ricchi di varia umanità sia nei confronti del mondo socio-politico che di quello contadino, di cui, nel bene e nel male, il nostro, più che conoscitore fu parte integrante. Sfera, peraltro, ben descritta e in parte raccontata dal filmato che ha avuto il pregio di rappresentare - nella malinconia di un uomo non più in grado di commentare - il territorio de “Li Munti” (e ancora più nello specifico di località “Sant’Anna”) la bellezza di un paesaggio1. Paesaggio di cui anche Arturo (insieme a innuArea quella Munti sin dalla prima età moderna fra le più celebrate dalle fonti specie quando riferite alla presenza di olivi (cfr archivio di Stato di Lecce, notai Giuseppe Garrapa, atto 16 maggio1620 e Giovanni Francesco Gustapane, atto 14 settembre 1635 che già all’epoca ne attestarono la presenza), per i quali,in tantissimi casi certa ne fu peraltro l’età superiore ai 500 anni. Una circostanza provata fra l’altro da altre e quasi coeve fonti relative alle proprietà della chiesa leccese che nello stesso comprensorio anche tenne oliveti. Così come è da considerare che lo stesso agionimo “Sant’Anna” è da ritenersi prova di oliveti appartenuti tra ‘600 e ‘700 a una delle più importanti istituzioni del vicino capoluogo, quale appunto fu l’omonimo Conservatorio Leccese di San’Anna. 1

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merevoli altri contadini che fin dal periodo medievale ivi lasciarono cadere il loro sudore) fu artefice anche se recente, in quanto si preoccupò di migliorarne il contesto col trasporto di ingenti volumi di terra per il ripascimento delle superfici piene di “cuti” (di pietre calcaree cioè) affioranti, con la dotazione di pozzo artesiano e di impianto irriguo, col potenziamento del manto olivicolo esistente insieme a quello di nuove essenze caratteristiche del giardino mediterraneo2 e con la realizzazione di un’enorme ed ecologica recinzione fatta di fichi d’India3. Una località quella di Sant’Anna, inoltre, che il compagno Arturo fece sua nell’anima ancor prima che nel possesso giuridico anche perché ne fu talmente innamorato da confonderla biblicamente con la religiosa immagine del prossimo4. Sant’Anna pur nell’assoluta prevalenza del manto olivicolo,con Arturo divenne un vero e proprio campionario di essenze ortofrutticole che andarono dagli ortaggi (cicorie, rape, finocchi, cavoli, verze, zucche, legumi vari verdi e secchi, peperoni, melanzane e altri ortaggi) alla frutta (diversi tipi di fichi, agrumi, mele, pere, pesche, albicocche, nespole, ciliegie, prugne, asseruoli, uva da tavola, melloni, angurie, fragole, fichi d’India, giuggiole, noci e mandorle) tutti coltivati per sua soddisfazione come per il mercato ma è da pensare anche per le esigenze di creature selvatiche di terra (volpi, tassi, donnole, serpi, lucertole…) e dell’aria (colombi, tortore, gazze, tordi, gruccioni, rigogoli e tanti altri…) verso cui,con spontaneità egli nutrì sempre grande rispetto. 3 L’area occupa infatti superfici apicali della zona Munti ed è stata sempre (come tuttora è) soggetta all’azione di dilavamento delle piogge che ebbero e tuttora hanno come effetto l’impoverimento del suo già esiguo strato di terra. Una circostanza, questa, non di poco conto specie con riferimento alle aree di confine poste più a valle del fondo, che della chiudenda si servirono come struttura di contenimento della terra ivi trasportata dalle alluvioni, consentendo con opportuni spostamenti di questa,ripetuti interventi di ripascimento. 4 Ad onor del vero allo stesso modo Arturo fece sue anche altre due campagne olivate (La Fortunata e La Marangia) site sempre in zona Munti e in luogo non lontano da Sant’Anna, verso le quali intervenne con una profonda bonifica consistente nello spietramento e nel ripascimento della prima e per entrambe,con l’attivazione di due moderni impianti irrigui. 2


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Un concetto, questo, che non solo rende giustizia del rapporto da lui avuto con la campagna ma che al contempo ne giustifica l’approccio quasi maniacale, teso a rendere la stessa sempre più bella e a proteggerla dall’azione degli elementi che in quel luogo (vedi nota 3) ebbero a manifestarsi con modalità assai violente5. Una campagna, ancora, in cui più di trent’anni or sono Arturo volle costruire (e orgogliosamente come suo vicino tenne subito a farmi vedere) una casina a tre piani da ritenersi una vera e propria torretta. Opera nelle sue intenzioni realizzata per unire l’utile al dilettevole dal momento che ebbe le funzioni di struttura piezometrica, magazzino (e non solo di derrate e attrezzi ma anche di grandi ricordi)6, luogo per le api, belvedere (stupenda la vista dalla sua sommità) nonché di angolo per il “buen retiro”. Insomma un fondo quello di Sant’Anna che al netto di un mancato e disagevole esercizio dell’attività pastorale (Arturo per meglio fertilizzare i suoi terreni con grande sacrificio dovette intervenire con lo spargimento periodico di letame acquisito da allevamenti esterni) molto si avvicinò all’idea di agricoltura “integrata” o se si vuole, a quella latina e più romantica di “hortus conclusus”7. Una convinzione, fra l’altro, questa, avvalorata dal fatto che nel fondo (e precisamente sul terrazzo della torretta) il nostro ebbe a praticare per più anni l’apicoltura col mantenimento in loco di un certo numero di apiari e ciò fino a

Cosa che come in parte già anticipato, fece con lavori di contenimento dei fenomeni alluvionali tramite il posizionamento di muri e filari di fichi d’India (tuttora visibili) aventi anche finalità di recinzione per non dire della presenza nei viali più importanti del fondo di varie essenze floreali come rose e gigli di vario tipo e colore oltre ad altre loro essenze che diedero allo stesso un ulteriore tocco di delicata bellezza. 6 Da aggiungere è inoltre che per lo stoccaggio delle derrate e il rifugio delle persone Sant’Anna ebbe a fregiarsi pure della presenza di due vecchie “pagliare” che ancora di più arricchiscono il suo già stupendo paesaggio. Anche se un’attenzione particolare (in quanto luogo chiuso all’accesso) egli tenne sempre per la sua torretta in cui pensò bene di portare tutto il materiale di propaganda politica che fu parte della sua militanza nel P.C.I. 5

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quando l’azione vandalica di sconosciuti (o forse di qualche temporale) non lo convinsero suo malgrado a dismetterli8. Attività apicola che nella sua impossibilità il buon Arturo rese comunque possibile ad altri di paesi vicini, accordandogli il permesso di tenere sul fondo (con la indispensabile e continua fornitura di acqua pulita e fresca) un numero di cassette-alveari superiore alle 100 unità9.

Fotografia di Paolo Pati

Consistente in pratica all’idea di un esercizio dell’attività agricola capace di esprimere al più alto livello le potenzialità del fondo nell’autofornirsi di strumenti, attrezzi e materiali utili al miglioramento della produzione. 8 Tali circostanze accaddero più volte anche con l’accesso furtivo nella torretta di ignoti, in tutta evidenza intenzionati a delinquere (con lo scasso, il furto e gli atti vandalici) oltre che per distruggere gli alveari, per impossessarsi dei più o meno importanti materiali ed attrezzi che ivi Arturo fu solito tenere. 9 Attività che nell’area è da ritenersi di grande resa qualitativa e quantitativa a motivo di importanti presenze naturali come quelle del mirto, del cisto e di tante altre essenze della macchia così rigogliose lungo muri e siepi di recinzione oltre che nella mia vicina campagna. 7


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Inutile dire che quanto appena detto trova parziale ispirazione nel filmato, nella conoscenza dei luoghi come e soprattutto nel collaudato rapporto di amicizia con lui coltivato. Rapporto che ha permesso al sottoscritto di scoprire nel suo insieme l’uomo e il contadino nei suoi aspetti più sinceri anche e ben al di là delle sue convinzioni socio-politiche. Aspetti aventi peraltro base in una umanità di fondo della nostra tradizione che fu e tuttora è profondamente cristiana. Sebbene non praticante, infatti, col riconoscere e sostenere le ragioni dei più deboli è indubbio che il nostro riuscì a esprimere comunque una sua fede in linea con i dettati evangelici oltre che piena di rispetto per la divinità. Non è una favola, d’altronde, quella che più volte vide Arturo fornire alla matrice di Arnesano quantità importanti dei gigli bianchi di Sant’Anna all’inizio di ogni mese mariano. Una circostanza, questa, fra l’altro, che in tutta la sua delicatezza fu proprio lui a confidarmi raccontando di aver più volte fatto questo per l’arredo della chiesa in modo furtivo (confermando peraltro un portamento pieno di rispetto umano) nelle primissime ore di apertura mattutina. Altro aspetto importante della sua figura fu poi quello di una profonda conoscenza del mondo contadino, testimoniato fra l’altro da un linguaggio che, sebbene dialettale, non fu privo di concetti e sapienza. A tal uopo memorabili furono le ore con lui trascorse ai “Munti” e nelle sere d’estate in Arnesano per discutere del più e del meno su vari temi anche se particolare interesse fu quasi sempre riservato a quelli riguardanti la campagna e le coltivazioni in genere. Ore trascorse nell’ascolto del suo dialetto ricco di contenuti antichi, dei quali, più volte ho avuto riscontro nella tradizione come pure nelle fonti archivistiche di età moderna. Incontri in cui reciproco fu l’interesse all’ascolto: per parte sua nel raccontare con orgoglio la sua competenza di coltivatore e per la mia nello stimolarlo alla trattazione e all’approfondimento dei temi.

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E fu appunto in incontri di questo tipo che Arturo svelò parte di quel sapere contadino (tendente ora a scomparire) di cui vi è qui testimonianza. Proprio come quando in risposta a una mia domanda su quali fossero le erbe selvatiche buone da mangiare, a cui, (probabilmente convinto della loro possibile tossicità o forse solo perché in linea con la sua tradizione) con naturalezza ebbe a rispondermi che “le erve su tutte bone basta cu le cuegghi e cu le cucini mische” e cioè che le erbe sono tutte buone se raccolte e cotte nel loro insieme. Come dire una maniera empirica per minimizzare gli effetti della tossicità di alcune di esse, elaborata dalle consuetudini contadine sul consumo delle “fogghe mische” derivanti dalla raccolta spontanea. Come analogamente bene riuscì a districarsi in risposta a un mio quesito teso a conoscere la percentuale di resa in olio delle olive dell’annata, quando, con mio grande stupore affermò in dialetto “ca te nanti a retust’annu le ulie ma nu tatu lu si tici”. Ciò che volle dire in lingua che quell’anno le sue olive avevano reso il 16 % e cosa ancora più importante una maniera per affermare la storicità del suo linguaggio anche perché un’espressione simile fu da me trovata in un atto notarile di età moderna redatto proprio nelle nostre contrade10. Per non dire del linguaggio specifico riguardante le api e la loro cura, per le quali, sempre secondo tradizione, il nostro ebbe a usare termini quali “’ssamu” (in italiano assamo) per indicare un insieme di api appartenenti a un’unica famiglia e “mammareddha” per indicare la loro ape regina11. Sempre a prova della sua attenzione sulla presenza di animali selvatici nella zona, ebbi a notare la felicità e la tenerezza con cui egli mi deIn tal senso basti menzionare un rogito di inizio ‘700 (cfr Archivio Stato Lecce, notaio Biagio Faraco, atto 21 marzo 1707) in cui si dice della resa delle prime, delle seconde e delle ultime mustature (moliture di olive s’intende)di Specchia Rosa (che è località sita nella zona nord-est di Lecce verso San Cataldo), le quali olive diedero da «…sotto a sopra» il 12 %. 11 È appena il caso di ricordare che Arturo fu spesso chiamato per ripulire ambienti urbani dalla presenza di interi (e per i più anche pericolosi) assami liberi. 10


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scrisse (e sempre meticolosamente in vernacolo) la scena in cui protagonisti furono una donnola con al seguito i suoi cinque cuccioli mentre attraversavano uno dei viali della sua campagna. Parlando ancora della sua sapienza, come non ricordare la modalità di reimpianto di nuovi olivi con la messa a dimora dei polloni coperti di terra per un paio d’anni e poi staccati dalla pianta madre con tutto l’apparato radicale? Una modalità, quest’ultima, nota scientificamente come moltiplicazione a margotta, da Arturo conosciuta e utilizzata in diversi casi e con risultati importanti specie con riferimento a una capacità delle piante a raggiungere prima la produzione12. Né fra le tante posso infine dimenticare la vicenda che lo stesso visse come giovane mungitore di una masseria quando con estrema naturalezza ebbe a dirmi che per fare colazione con un altro compagno di fatica ebbero a consumare formaggio ottenuto col latte appena munto. Una circostanza, questa, per me quanto meno strana dal momento che nonostante l’ignoranza in materia, sapevo bene che per fare il formaggio (seppure del tipo fresco) sarebbero state comunque necessarie alcune ore. Alla mia richiesta di spiegazioni su come fosse riuscito a ciò in pochi minuti, lui mi rispose che vi era riuscito utilizzando nient’altro che il liquido lattiginoso dei frutti del profico (“lu ‘nbruficu”). Vale a dire che ciò era stato possibile col prodotto della pianta maschio del fico, peraltro, tanto presente nel nostro paesaggio rurale sia del passato che del presente. Un’affermazione, questa, inoltre, svelatrice di una modalità antica di fare il formaggio con l’uso di caglio vegetale e non animale o artificiale come invece avviene oggi. Ma soprattutto un’ulteriore giustificazione di una presenza vegetale (quella del profico ap-

Un metodo molto antico con cui in tutta evidenza si intervenne sin da età medievale e dalla prima età moderna a piantare olivi in molte nostre contrade: olivi che tuttora arricchiscono il paesaggio salentino. 12

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punto) così pressante nel contesto paesaggistico della nostra campagna e delle nostre masserie. Presenza che io pensavo fosse legata solo alla protezione e all’addolcimento dei frutti dei vari tipi di fico femmina e non per quella svelata da Arturo, che dava a tali piante la funzione di fornire il caglio13. Un fatto, oltre tutto quest’ultimo, che dà concreta spiegazione sul valore di una pianta e sui motivi per cui negli atti dei notai riguardanti i beni di masserie e di altre unità rurali di età moderna coi vari beni stabili ebbe a comparire anche il profico14. L’inesorabile trascorrere del tempo (negli ultimi anni per Arturo divenne sempre più difficile ottemperare a tutte le incombenze richieste da una buona conduzione delle terre) e la realtà di un’attività agricola, divenuta ormai di medie dimensioni, gli pose il problema di una maggiore collaborazione specie con riguardo alle braccia necessarie per la sua gestione15.

Cosa che avvenne come ancora avviene, in alcuni contesti salentini con l’appendere alcuni frutti di profico infilzati con lo spago sulle piante femmina del fico. 14 Il richiamo e la precisa indicazione negli atti notarili della presenza del profico unitamente a qualche altra pianta e ai corpi di fabbrica della masseria da prova di una sua stima in tutto paragonabile agli altri beni del fondo. Atti notarili, inoltre, che sono tali e tanti che riferirsi a qualcuno soltanto di essi è da ritenersi cosa del tutto inutile. 15 Per dare l’idea delle loro dimensioni le campagne di Arturo (La Marangia, La Fortunata e Sant’Anna) totalizzano nel complesso quasi 1.000 olivi di cui almeno 700 plurisecolari. 13


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Una difficoltà, ad onor del vero, superata da Arturo in modo egregio sia col coinvolgimento di giovani suoi amici che lo aiutarono (e specie durante il periodo della raccolta del frutto)16 e sia col potenziamento delle strutture a ciò necessarie17. Decisioni, queste ultime, preordinate, volute e prese nonostante uno stato delle campagne e del settore agricolo di cui ebbe più volte a lamentarsi richiamando il brutto colpo

Giovani impegnatisi durante le loro ore libere probabilmente compensati coi prodotti della stessa campagna. Ma anche ragazzi verso cui il nostro cercò di trasmettere l’amore per la terra. 17 Avvenuto con l’acquisto di motocoltivatori di diversa potenza adattabili a macchine raccoglitrici delle olive, recipienti adeguati alla potenzialità produttiva e mezzo a quattro ruote per il trasporto dei motocoltivatori e delle olive al frantoio. 16

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Frame tratto dal film

d’occhio dato dagli interi comparti rurali ormai privi di colture. Un’immagine di abbandono, fra l’altro, temuta e più volte ipotizzata che a suo dire, stava portando tutte le campagne a diventare “nu desertu”. Anche se in cuor suo tutto ciò (in una visione ottimistica e intimamente fisiocratica) avrebbe comunque portato i più (o costretto) a un ritorno alla terra e alle sue potenzialità.


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Io e Arturo nel giardino della mia casa


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Cari, care, vi chiedo una piccola cortesia. Mi piacerebbe avere un vostro testo (breve o lungo... fate in libertà) di commento al filmato sulla figura del compagno Arturo. Aspetto con grande interesse di conoscere le vostre riflessioni, considerazioni, emozioni, opinioni, pensieri, suggerimenti. Grazie ancora per la vostra disponibilità. Vi abbraccio! Caterina

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Hanno scritto

ara Caterina, ho pensato a due parole vedendo le immagini che riprendono Arturo. La prima è durezza, perchè il ritratto che ne risulta è fedele, strenuamente fedele se riferito agli ultimi mesi di vita: nessuna agiografia, nessuna beatificazione; hai colto le parole che feriscono le persone e che gli erano rimaste nella memoria e in bocca. L'altra parola è misura: né pietà né condiscendenza, nessun affetto ostentato nessuna nostalgia. Ti ha dato quel mazzo di fiori come se fossero carciofi, ma

ha usato i modi più gentili che conoscesse. Bello, bravissima. Mi è piaciuto molto quando hai colto per qualche secondo il suo smarrimento, anche quello è un frammento duro e misurato. Brava Caterina, e grazie davvero per avermi coinvolto, è un dono gratuito, non ci fosse stata la mia testimonianza non sarebbe cambiato niente nell'economia del film, ma sono felice di esserci. Eugenio Imbriani


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iao Caterina, come ho avuto modo di dirti per telefono, il tuo lavoro su Arturo non ha bisogno di ritocchi o integrazioni ulteriori. Ho apprezzato soprattutto il ritmo della narrazione e l'equilibrio tra le testimonianze e le sequenze con Arturo. Il tempo del racconto lento, grave, induce alla riflessione, allavalutazione della vicenda umana, prima ancora che politica, di Arturo; della solitudine in cui ha vissuto gli ultimi anni della sua vita in una condizione al limite della dignità di un essere umano; della sua volontà di rimanere fedele fino all'ultimo a quel patrimonio di idee e di valori ai quali ha dedicato la sua vita e emblematicamente rappresentati dai numeri di Rinascita, dai ritratti di Berlinguer, dall' "arredo" della storica sezione del PCI, che lui ha salvato e custo-

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iao Caterina, mi ha veramente commosso quest'uomo piccolo e il suo grande ideale tradito, l'immane fatica che ha retto con quelle ossicine fragili, l'attaccamento alla terra proprio da amante e un coraggio così puro da sembrare ridicolo come Don Chisciotte, cavaliera dalla triste figura. L'ideale e il tradimento sono temi epici, accidentaccio! Però per commentare devo rivederlo senza farmi emozionare. Di primo acchitto ti dico che a me

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dito sia pure nel disordine della sua soffitta, mai rassegnato alla metamorfosi del " suo" partito e all'abbraccio con i nemici storici. In questo contesto, si rivelano particolarmente efficaci le inquadrature insistite di Arturo, la sua difficoltà di esprimersi, che non possono non richiamare, per contrasto, il ricordo dell'Arturo vitale, energico, polemico e combattivo. E non possono non suscitare emozione. Quello che manca, forse, è proprio qualche immagine di quell'Arturo, ma è un limite oggettivo, credo insuperabile. A questo punto, occorre riprendere il discorso dell'organizzazione della serata di presentazione del tuo lavoro, dal momento che tutti, ormai, siamo rientrati dalle ferie. Un caro saluto Tonio Solazzo

piacerebbe sapere qualcosa di te con lui, i tuoi di ricordi e le tue ragioni per ricordarlo. Forse ci sono troppi andirivieni con quelli che parlano di lui e lo scritto all'inizio non so ma c'è qualcosa che non mi convince. Bello il finale con Gaber, le foto in bianco e nero e il dialetto che è bellissimo, peccato la traduzione in italiano ne appassisce la ricchezza. Per ora baci Rosella Simone


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scambiamoci pensieri, aneddoti, apprezzamenti...

Arturo rappresentava con la sua stessa figura e i suoi comportamenti un modo di leggere la storia in un piccolo comune del sud più profondo, incarnava la polarità della relazione tra quelli che avevano e gli altri che non avevano, tra contadini e padroni; smascherava risolutamente ipocrisie e connivenze. Ha praticato un'idea di cittadinanza. Eugenio Imbriani

L’ulivo che vedete nella foto si trova accanto all’ingresso di casa mia; è nato da un seme caduto casualmente nella terra ed io l’ho piantato nel quadratino del marciapiede riservato al verde ornamentale. Arturo passò con la bicicletta, mi vide e mi interrogò: «Ci è statu quai?» Io, Arturo. E lui: «Siti professori e nu capiti nienti». Of course, Arturo. «Ce a tittu?» Niente, Arturo. «Nu bitica ole nistatu?», letteralmente (lo dico per i patrioti più lontani): l’ulivo vuole essere innestato. Noi usiamo, fortunatamente, un dialetto che racconta un rapporto con le cose che, realmente, abbiamo perduto: è il mondo che ci circonda a richiederci di agire, di

intervenire, le cose stesse dichiarano la necessità di essere accudite, accarezzate, lavorate; e quindi l’insalata “vuole” essere condita (ole cunzata), il pavimento “vuole” essere spazzato (ole scupatu), la pasta “vuole” essere cotta, il vino “vuole” essere travasato, e così via. A me piacciono molto questi segni residui, presenti nel nostro linguaggio quotidiano, di una relazione con l’ambiente basato sull’ascolto, sul rispetto anche degli esseri inanimati, sebbene


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poi, come la maggior parte di noi, non agisca di conseguenza. Naturalmente, ci pensò Arturo. Qualche giorno dopo tornò, tagliò il fusto, inserì due innesti, coprì la superficie del tronco con uno strato di cera vergine. Prima di andarsene mi ammonì di non toccare niente, e io non chiedevo di meglio; lui veniva, di tanto in tanto, faceva il necessario, se una volta prendevo io l’iniziativa se ne accorgeva e ripartivano gli improperi contro i professori, ti inchiodava sempre con voce stentorea, senza lasciarti alcuna via di fuga. Ora l’ulivo è rimasto alle mie cure, con i risultati che si possono osservare. Bisognerà che impari a capire meglio le sue esigenze. Intanto sta lì, non vuole muoversi (nu bolespustatu). Eugenio Imbriani Serata emozionante; mi sono commossa a vedere il documentario "Arturu lu comunista"regia di Caterina Gerardi. Caterina mi (ci) ha fatto conoscere un uomo profondamente legato alla propria terra, infaticabile,onesto lavoratore e fiero comunista convinto; grazie Caterina Cristina Comperini Grazie Caterina Gerardi per avermi mostrato un pezzetto di vita di Arturu lu Comunista. La sua forza, generosità, passione e la sua solitudine commovente sono un atto di accusa senza replica. Qualcuno era comunista anche in questa terra del rimorso. Marta Vignola

Sei stata meravigliosa! Un lavoro bellissimo ed emozionante. Hai restituito il ritratto di un personaggio molto interessante, una personalità semplice e straordinaria e ormai rara: un esempio di vita votata alla cura della collettività di cui si avverte ormai una grande nostalgia e necessità. Grazie Caterina! Un abbraccio forte. Carlo Elmiro Bevilacqua Sono felice di essere riuscita a venire alla presentazione. Ci tenevo tantissimo perché avevo

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La copertina del DVD

intuito da quel racconto a casa tua che si trattava di una storia speciale, contemporaneamente particolare ma anche universale. La biografia di Arturo, che hai scelto di raccontare senza fronzoli ed in tutta la sua umanità, è una narrazione poetica individuale che fa onore al tuo/nostro compagno Arturo, ma anche una ricostruzione storica di grande valore per comprendere profondamente i cambiamenti sociali e politici nell'Italia di provincia di quegli anni, attraverso la storia minuziosa dell'evoluzione del partito comunista di un piccolo paese del Sud. Arturo è il compagno che tutti vorremmo avere. Idealista e fedele alla sua idea di un mondo migliore, commovente per la sua scelta estrema di spendere la vita intera a cercare di incarnare il suo messaggio di giustizia ed equità sociale. Interessanti le testimonianze dei suoi compaesani. Molto belle alcune scene. Lui che sale sulla terrazza sugli uliveti, lui che raccoglie i gigli rossi per te, devono essere stati due momenti molto intensi da vivere e raccontare. Solo un dubbio rimane dopo aver vissuto questa narrazione. Che fine hafatto Nerina? Grazie Caterina. Daniela Maggiulli


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Bellissimo il filmato, bello il racconto della ricostruzione di una parte di politica che nel corso degli anni si è sgretolata e molto ideali che per i quali le generazioni passate hanno lottato e sofferto sono venuti a mancare. La storia dello zio spero che sia stata un momento di riflessione per tutti, soprattutto per alcuni. Comunque intendo ribadire che lo zio non ha avuto un ictus, per quanto riguarda Nerina purtroppo un giorno è scappata di casa, approfittando di un momento che abbiamo dovuto aprire il cancello perché c ' erano degli operai e non siamo più riusciti a farla entrare. Nerina è sempre vicino a casa dello zio le vicine la curano , quando apriamo la porta si avvicina abbaia ma si rifiuta di entrare. Maria Antonietta Manca

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nose come lame. Grazie agli sguardi attenti che ce lo ricordano. Grazie Caterina. Giovanna Sasso

Bellissima serata. Una scena del film, quando Arturo chiama ad alta voce la cagnetta dal marciapiede di fronte a casa mia, mi sono ricordato che lo faceva spesso alle prime luci dell'alba, anche prima delle 5. Simpatici risvegli. Gabriele Arnesano

Ancora complimenti. Bel lavoro pensato e realizzato con il cuore. Un abbraccio Maria Mancarella Sono queste le persone degne... Roberto Vantaggiato

Un uomo che non ho conosciuto personalmente ma che mi sta conquistando il cuore. E niente... quest'orario pomeridiano non era Maria Grazia Matteo proprio praticabile, per me. Peccato! Fido in Ho lavorato con Arturo era un grande uomo prossimi appuntamenti. Spesso, nei piccoli come carattere e come lavoratore per me ripaesi, ci son certe strade lucide... Certe vite mane un grande amico, un ricordo per sempre. senza polvere addosso, ingenue forse, ma lumiEugen Nicoara


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L’annuncio della proiezione sul Quotidiano

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Una storia collettiva di Claudia Presicce

rturo Politi era un contadino, come tanti del profondo Sud del Novecento, con il Sole acceso dentro l’anima e con un cuore sveglio. Ma lui era anche un vero comunista e si occupava della sezione del Pci nel centro storico di Arnesano e, anche quando il comunismo si è rarefatto, lui ha continuato con tenacia a perseguire quei valori etici con l’ostinazione di chi crede ad un ideale con coerenza e senso civico sino alla fine, a costo di apparire anacronistico. Alla sua storia che ha il sapore di una leggenda di fierezza, ma che racconta anche un’epoca di lotte e ideali che non esistono più, è dedicato il film documentario “Arturu lu comunista” di Caterina Gerardi che verrà presentato oggi alle 18 presso il Palazzo Marchesale di Arnesano. In 37 minuti la regista fotografa, concittadina del compagno Arturo, raccontando questa storia del ‘900 ricostruisce l’atmosfera che ha segnato il dibattito politico e culturale italiano dal secondo dopoguerra al nuovo millennio. E nel contempo mostra il disfacimento di una certa Sinistra italiana integra fino in fondo, che non si è saputo (o voluto) ben custodire. “Ho conosciuto Arturo da bambina perché era il contadino della campagna della mia famiglia e la sezione del Pci era in un nostro locale – spiega Caterina Gerardi – eravamo in sintonia perché ero una ragazzina attiva culturalmente nel paese. Lui pur essendo un gran lavoratore, rispettoso, onesto e capace, veniva un po’ ridicolizzato ad Arnesano per il suo essere comunista e mi raccontava dispiaciuto di tradimenti che subiva, chiedendomi spesso di fare qualcosa per lui. Tempo fa

mi chiamò per donarmi quello che aveva conservato nella sezione del partito, giornali, manifesti, locali e nazionali”. E fu quella visita dell’amica fotografa nelle campagne di Arturo che diventò l’inizio del documentario. “Ho fatto le riprese nella sua “casa santuario” – spiega Caterina – lui articolava male le parole per un leggero ictus, ma si faceva capire benissimo. Purtroppo, poco dopo questo primo incontro, morì e così ho continuato il lavoro con altre persone che potevano raccontare di lui, dal suo “avversario” democristiano all’ultimo comunista di Arnesano, compaesani e giovani vicini alla sinistra e allo stesso Arturo”. L’omaggio al “contadino comunista”, nato nel 1933 e morto nel 2014, diventa in questa ricostruzione una pagina di storia collettiva. “È uno spaccato del nostro Paese – continua l’autrice – degli anni in cui imperversava la Democrazia Cristiana e lui con uno sparuto gruppo di compagni conduceva una strenua lotta politica, come altrove altri facevano. Poi, dopo gli anni Ottanta, arrivarono i cambiamenti: la Sinistra si divise sotto nuove sigle, cambiò nome e lui non aveva più “compagni”. Chiuse la sezione con la delusione di non aver lasciato ai giovani il testimone di una lunga e grande storia. Ma l’Italia è piena di uomini come Arturo, figure che fino a poco tempo fa hanno creduto in quell’ideologia, e la fine di quest’uomo, emarginato, racconta molto del degrado di una certa Sinistra”. È anche la storia quindi di una politica perduta e lontana da facili trasformismi, nutrita di speranze fino all’utopia che è sempre la base del progresso dell’uomo.


La locandina

Iniziativa in omaggio al compagno Arturo Politi (1933 - 2014) Il 4 novembre 2016 la Cooperativa Millee20 e il Circolo Piazza XXIV maggio hanno presentato presso il Palazzo Marchesale di Arnesano (Le) il film-documentario "ARTURU lu comunista" di Caterina Gerardi

Spagine Spagine è un periodico di informazione culturale dell’Associazione Fondo Verri. Realizzato a cura di Mauro Marino nella sede di Via Santa Maria del Paradiso 8/a, Lecce. Supplemento a “L’Osservatore in cammino” iscritto al registro della stampa del Tribunale di Lecce n°4 del 28 gennaio 2014. Spagine è su: issuu.com/mmmotus https://www.facebook.com/perspagine Esce on line e in tiratura limitata stampato in digitale.

Ideazione e cura Caterina Gerardi

Redazione e impaginazione Mauro Marino Caterina Gerardi Immagini Archivio video-fotografico Caterina Gerardi

Un grazie affettuoso per la generosa disponibilità alle amiche e amici che con i loro scritti hanno contribuito alla realizzazione di questo numero speciale di Spagine


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