Spagine della domenica 0 30 del 25 maggio 2014

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spagine Spagine della domenica n°30 - 25 maggio 2014 - anno 2 n.0 Periodico culturale dell’Associazione Fondo Verri Un omaggio alla scrittura infinita di F.S. Dòdaro e A. L. Verri


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Europa: amore hi legge questo numero di “Spagine”, il periodico on line ideato e diretto da Mauro Marino, cui in assoluta libertà di pensiero un gruppo di pubblicisti e scrittori, di diversa formazione politica e culturale, collaborano, probabilmente si sta preparando a recarsi alle urne per esprimere il suo voto alle elezioni più tormentate e a rischio che ci siano mai state da quando si vota per eleggere il Parlamento Europeo. Voglio prima di tutto pensare che nessuno della famiglia di “Spagine” abbia scelto di non andare a votare, di astenersi o che stia a sfogliare la margherita: voto o non voto. Chi pensa e desidera stabilire un dialogo con la gente, sia pure asimmetrico, come un analista politico o un opinionista, non può permettersi la stravaganza e la contraddizione di tradire il suo pubblico.

Non si può escludere, tuttavia – è nella realtà delle cose per come si vedono e si sentono – che una consistente parte dell’elettorato non andrà a votare. Una parte di astensione è fisiologica. Al di sopra del 30 % incomincia ad essere patologica, perché vorrebbe dire che a votare sarà andato meno del 70 % degli aventi diritto, al di sotto del 65 % sarebbe gravemente patologica. A questi nostri concittadini delusi e impigriti, arrabbiati e stanchi, va rivolto un appello, va fatto un piccolo ragionamento; senza presunzione alcuna.

Prima di tutto va loro riconosciuta la legittimità dell’astensione. In fondo astenersi è un po’ come votare non votando, volendo significare il rifiuto totale, netto di una situazione che si ritiene insostenibile. Dunque, nessuna lezione di etica. Ma un invito a riflettere: ogni situazione può volgere al meglio o al peggio; e al peggio – si sa – non c’è mai un limite. Chi pensa di averlo raggiunto e si comporta secondo la logica perversa del tanto peggio tanto meglio si sbaglia.

La politica ha fatto errori imperdonabili, strumenti e forme di organizzazione politica non ci sono più, le fazioni si sono personalizzate, i protagonisti non sono più credibili e soprattutto non offrono garanzie. Mai visti in Italia leader così forti sul piano personale, così deboli sul piano politico come i tre che hanno tenuto la scena in questa campagna elettorale. Nessuno di essi è in grado di poter esercitare sul proprio seguito un potere decisionale sicuro e duraturo. Sembrano dar ragione al sociologo venezuelano Moisés Naím, il quale sostiene nel suo libro «La fine del potere» che il potere «una volta che lo si è conquistato è più difficile esercitarlo e [che] negli ultimi trent’anni le barriere del potere si sono indebolite molto rapidamente, [che] ora sono più facili da minare, travolgere e aggirare». Come dire: se è facile e rapido conquistare il potere, altrettanto facile e rapido è perderlo; difficile esercitarlo. Berlusconi, Grillo e Renzi, per rapidità di raggiungimento del potere, sembrano dare ragione a questa tesi; l’uno, l’altro e l’altro possono perdere le posizioni così rapidamente conquistate.


della domenica n°30 - 25 maggio 2014 - anno 2 n.0

“Gli scenari prospettati dalla disintegrazione dell’Europa, con l’uscita dall’Euro o addirittura con la rivendicazione delle rispettive sovranità nazionali, ottocentescamente intese, per quanto suggestive e forse anche per certi aspetti legittime, non promettono nulla di buono. Interrompere un processo politico in corso non significa ipso facto il ritorno al punto di partenza. Sarebbe come illudersi di restituire in vita una persona morta spostando all’indietro il calendario”

odio, ma votiamo! Già Berlusconi ha iniziato il declino, potrebbero seguirlo gli altri due. Grillo, tra il comico e il serio, ha parlato di “lupara bianca” per spiegare la “scomparsa” di Enrico Letta, che sembrava l’astro nascente della politica italiana meno di tre mesi fa; e ha preconizzato a Renzi la stessa fine. Ma lui stesso non si salva da questa “coppola storta” che è ormai il potere. Potrebbe essere questo l’ultimo canto del Grillo. Ma non andare a votare, quale che ne sia la motivazione, è rinunciare al minimo di contributo che si può dare per uscire da una situazione che potrebbe diventare drammatica.

Gli scenari prospettati dalla disintegrazione dell’Europa, con l’uscita dall’Euro o addirittura con la rivendicazione delle rispettive sovranità nazionali, ottocentescamente intese, per quanto suggestive e forse anche per certi aspetti legittime, non promettono nulla di buono. Interrompere un processo politico in corso non significa ipso facto il ritorno al punto di partenza. Sarebbe come illudersi di restituire in vita una persona morta spostando all’indietro il calendario. Significa entrare nella zona del disordine generalizzato, nel regno dell’imprevisto. Bisogna allora votare, pur con riserve di scetticismo e di critica; anzi a maggior ragione euroscettici ed eurocritici devono andare a votare per farsi sentire nella sede opportuna, per cercare di migliorare o aggiustare certi percorsi che hanno fatto perdere fiducia nella politica italiana e nelle istituzioni europee, più appiattite su equilibri economici ed egemonie ideologiche che sulle questioni politiche

di Gigi Montonato

e pragmatiche rispettose delle individualità nazionali. E’ vero che noi italiani l’Europa l’abbiamo assunta come una bibita fresca, cui abbiamo dato nomi di propaganda, eurocomunismo alla Berlinguer, eurodestra alla Almirante, euroallegria alla Prodi, quando si poteva invece riflettere di più e incidere meglio, ma pensare di poter fare marcia indietro oggi è assurdo, è un rinnegare tante battaglie fatte. Certo, non è questa l’Europa che i giovani di destra e di sinistra ipotizzavano, forse non è neppure quella pensata dai padri dell’Europa, dai De Gasperi, dagli Adenauer, dagli Schuman; ma bisogna considerare che nessun desiderio in politica si realizza completamente, tanto meno si realizza quando non ha i contorni ben precisi e si presenta come una bella infatuazione. Per anni si è gridato all’Europa, come ad un sogno; forse perché si pensava che non si sarebbe mai avverato e ci si poteva vestire di bello senza pagare un prezzo. Con l’Europa realizzata c’è stato il risveglio, cui è seguita la delusione e l’amarezza di un tradimento. Ma votare oggi è importante. Gli italiani hanno un’ampia possibilità di scelta, tra opzioni che hanno tutte alla base l’imprescindibilità dall’Europa. Si voti per una di esse. Non votare significa voler ricadere nel sonno con la speranza di poter sognare un’altra Europa. L’opzione “non Europa”, oggi, non esiste. Buon voto a tutti!


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uigi Manconi, presidente della Commissione diritti umani del Senato, di recente, intervenendo su “L’Unità”, ha esortato il governo ad avviare un’indagine conoscitiva sull’eutanasia. “Il dibattito italiano sul fine vita rischia di non uscire dal piano delle ideologie e delle emozioni e dal terreno delle guerre all’ultimo sangue tra avverse opzioni morali. Per questa ragione è quanto mai necessario e urgente dotarsi di una documentazione per quanto possibile oggettiva e scientifica sulla portata di un fenomeno come quello dell’eutanasia illegale, che resta generalmente sottovalutato o rimosso o censurato”, ha scritto Manconi. Un’indagine conoscitiva sull’eutanasia, sollecitata da tempo dai Radicali dell’Associazione Luca Coscioni, si configurerebbe come un atto indispensabile ai fini della discussione e dell’approvazione d’una legge adeguata. Il governo Renzi, però, momentaneamente ha deciso di congelare le questioni bioetiche, per evidenti motivi di equilibrio e di alchimia. L’attuale esecutivo di larghe e composite intese è costituito, tra l’altro, dall’anima laica e cattolica del Pd, e soprattutto dagli integrali e strenui paladini dei valori cosiddetti “non negoziabili” del Nuovo Centrodestra (Roccella, Sacconi, Quagliarello, Lupi). *** Anni fa, dopo la dipartita di Eluana Englaro, qualcuno in Parlamento pensò di regolare contese morali redigendo disegni di legge sul testamento biologico impraticabili, antiscientifici, anticostituzionali. Il Pdl, con l’appoggio sensibile e sostanziale dell’Udc, cercò di far passare il ddl Calabrò sulle Dichiarazioni anticipate di trattamento. Un testo pasticciato, che rappresentava una grave minaccia per la libertà del soggetto. In questi anni, la politica non è riuscita a dare risposte chiare, non ha saputo semplificare e affrancare il paziente dalle strette dipendenze, concedendogli in un solco di scelte rigorose e legittime la facoltà di poter gestire la propria vita. Qui non stiamo parlando di “dolce morte”; epperò, se l’esistenza dovesse diventare un porto d’insensibilità o di dolore, è normale chiedere rispetto per l’umano sentire. Di fatto, il testo sul testamento biologico, voluto dall’allora governo Berlusconi, non sapeva svincolarsi da affermazioni confuse e improponibili. E non passò. Si partiva dall’enunciazione dell’indisponibilità della vita umana, si passava per definire obbligatorie l’alimentazione e l’idratazione artificiali, sconfinando pericolosamente in campi di autoritarismo. Se attualmente i rappresentanti delle istituzioni non sentono l’esigenza di intervenire sulle Dichiarazioni anticipate di trattamento, alcune associazioni e amministrazioni locali, in vari paesi e città della penisola, stanno diffondendo registri comunali sul testamento biologico. Certo, essi hanno solo valore simbolico, non giuridico, dal momento che le amministrazioni comunali non si possono sostituire al Parlamento nazionale. Effettivamente, esistono difficoltà oggettive, che renderebbero il documento parzialmente inidoneo: le amministrazioni dovrebbero rendere i biotestamenti disponibili 24 ore su 24 e predefinire un sistema informativo efficientissimo, accessibile ad ogni ospedale italiano. Ma se anche i registri comunali sul testamento biologico avessero soltanto una funzione di spinta, di sollecitazione ad una classe politica litigiosa e incapace di legiferare razionalmente e morbidamente sul “fine vita”, converrebbe insistere e impiegare risorse. È vero, la morale laica e l’etica tradizionale collidono. Ma ci chiediamo: sulle grandi tematiche della vita e della morte, è possibile imboccare una strada virtuosa, sospesa tra il comunitarismo e il liberalismo?

Contemporanea

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Questioni

di vita

di Marcello Buttazzo

Il governo Renzi ha congelato il dibattito sui temi bioetici per evidenti motivi di equilibrio tra l’anima laica e cattolica del Pd e soprattutto con i paladini dei valori “non negoziabili” del Nuovo Centrodestra

Michelangelo, Cappella Sisitna, la creazione di Adamo, particolare posterizzato

*** Siamo cittadini responsabili, con biografie definite, correlati da una fitta rete di rapporti umani. Dovremmo oltrepassare la visione sfrenatamente “pro-life” e quella smaccatamente individualistica, abbracciando una superiore etica della cittadinanza. Dovremmo, inoltre, aprirci agli altri universi e scorgere ogni segno d’apprezzabile avanzamento. In Germania, ad esempio, già nel 2010, la Corte di Cassazione con una rivoluzionaria sentenza sancì che, in un trattamento di “fine vita”, si dovesse ascoltare sempre la volontà del paziente: “Staccare un ventilatore o tagliare un tubo dell’alimentazione rientra nella categoria delle forme accettabili per interrompere il trattamento, se c’è il consenso del paziente”. È chiaro che, in uno Stato normale, non paternalistico, debba essere il soggetto con l’aiuto della famiglia e del medico a fissare i confini di questa “zona grigia” e a definire lo spettro d’azione delle

cure. In Gran Bretagna, l’eutanasia è illegale, peròi medici hanno l’obbligo di ascoltare a fondo il malato terminale. Le linee guida del General Medical Council stabiliscono che i medici hanno il dovere di sentire il parere del paziente, che può avanzare la richiesta di non essere più nutrito o curato. Il “fine vita” è una terra delicata: bisogna entrare fra le sue pieghe con delicatezza, con accortezza, in punta di piedi. Si dovrebbe sempre rischiarare questa “zona di confine” con la comprensione e con le amorevoli premure. Nessuna legge ambigua e nessuna legge limitativa o illiberale possono garantire al soggetto la giusta misura, la compassione. Sacralizzare in astratto la vita umana, sovente non vuol dire prendersi cura di tutte le vite umane. Da noi, ci appiattiamo su una concezione estremamente materialistica, poco spirituale, dell’esistenza. Non si può obbligare per normativa (come avrebbero voluto Berlusconi, Binetti, Buttiglione) il soggetto a non interrompere l’alimentazione e l’idratazione forzate, perché costringerlo a sottostare ad una terapia sanitaria significa violare la sua dignità, oltraggiare la sua libertà. E perpetrare ad oltranza stati biologici o funzioni fisiologiche ha davvero poco di divino. Ci interroghiamo: nel nostro Paese, il mondo politico potrà, prima o poi, ammettere una “buona”morte, intesa se non altro come sospensione delle cure mediche? La filosofa Roberta De Monticelli ritiene che una morte sia “buona” soltanto “se non uccide la dignità e la vocazione personale, l’ethos del morente”. Rispettare sempre l’autodeterminazione di ogni cittadino, in un quadro di regole rigorose, è un modo pratico di rendere sacra ogni vita.


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Accade in città

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Le fotografie di Piero Marsili Libelli al Cineporto di Lecce fino al 20 giugno

Siamo tutti pazzi ono lacerato, preoccupato dal pensiero che siamo tutti spinti verso la nevrastenia presi dalla frustrazione di non sentirci qualcuno, di non riuscire ad accaparrarci un nostro piccolo successo. Oggi (per chi legge, venerdì 23 maggio ndr) si inaugura la mostra fotografica di Piero Marsili Libelli intitolata “Siamo tutti Attori”. Ho un aneddoto da raccontare su questa serata. Io non conosco Piero così bene, tutti mi dicono che è un fotografo importante amico dei più importanti registi del periodo d’oro del cinema italiano. Per conto mio so di lui solo quello che ho potuto leggere in una grande fotografia che ha regalato a mio fratello e sulla quale ho speso tanto tempo per cercare di valutarla, penetrarla, comprenderla, leggerne tutto l’intreccio di storie che raccoglie. Solo da poco tempo posso dire di essermi abituato a questa fotografia. Abituato nel senso che ora riesco ad accettarla nella mia vita nonostante sia così ingombrante (occupa infatti un’intera parete). Allo stesso modo, ho pensato, dovrò abituarmi a questo Piero, con la sua ingombrante persona continuamente sulla bocca di tutti. Decido di partecipare a quest’incontro diciamo mondano (anche se per il vero era aperto a tutti con tanto di giganteschi cartelloni per le strade che ne pubblicizzavano l’evento) così raggiungo mio fratello al Cineporto di Lecce. Passeggio tra le pareti tappezzate di foto. Mi perdo tra le steppe di qualche lontano paese, negli occhi esotici di fanciulli lontani, prediligo le fotografie occasionali, il mondo che corre incontro la macchina da presa e viene immortalato in un istante deciso chissà da chi. Ci sono anche dei veri e propri set che il fotografo ha costruito nell’intento di decodificare i suoi sogni, le sue fantasie, i suoi pensieri (o una rappresentazione di essi); ma gli ho trovati troppo edulcorati, semplificazioni estreme di uno dei tanti paradossi della nostra mente. E poi tante e tante immagini del suo passato. Scatti rubati o regalati da gente importante, divi del rock, del pop, del cinema, del bit. Insomma tanti volti. Sparsi nel tempo e nello spazio. Poi ad un certo punto – immancabilmente data la qualità delle mie ossessioni – rivolgo la mente a questo pensiero: e se quest’uomo, già così importante, uno straordinario artigiano, un navigato fotografo, avesse organizzato questa mostra per dimostrare con i fatti che tutto quello che ha raccontato è vero che tutto quello che dice di aver fatto è vero? E se costui ha riesumato dalla tomba il suo almanacco di volti noti per sorprenderci, per sorprendere – quanto facile è in fondo – la provincia con la quale si è legato della quale fors’anche s’è infatuato? Da questi pensieri mi distoglie la voce di Libelli che mi si rivolge dicendo qualcosa che ora non ricordo, ma che presumo fosse un commento o un’informazione sulla fotografia che avevo da-

vanti in quel momento. A quel punto gli dico: «Ho l’impressione che queste foto abbiano poco in comune una con l’altra». A questa affermazione lui non sembra sorpreso ma sa tuttavia cosa rispondere. «Pensa al titolo della mostra mio caro: Siamo tutti attori». E si, è vero mi dico, non ci avevo pensato. «Come vedi qui ci sono foto di persone importanti a fianco di gente comune. In quella foto lì puoi vedere Antonioni. E nella foto accanto un pastore sulle montagne dell’Albania. Lì un oste ed una anonima principessa quì Federico Fellini e Akira Kurosawa nella hall del Grand Hotel del Lido. Ma sono tutti attori nella vita». «Guarda qui, tra questa selva di volti ignoti: cerca di riconoscere ciascuno, il ruolo che interpreta» aggiunge. Quello che dice non lo condivido, non fa parte del mio carattere. Quantomeno, mi sono detto, ci saranno attori consapevoli – per esempio Fellini e Kurosawa nella hall del Grand Hotel del Lido di Venezia – e attori inconsapevoli – come i fanciulli dietro le sbarre di non so che costruzione, casa o prigione, di un paesino sperduto dell’Afghanistan. Poi l’attenzione mi cade sulla riproduzione di una fotografia contenuta nella brochure (della foto c’è anche l’ingrandimento sulla parete). Sono raffigurati in primo piano sette uomini pelosi e barbuti tra cui si possono riconoscere Gianni de Blasi e Mino de Santis, due volti più o meno noti del nostro panorama di provincia. Tutti insieme assomigliano a dei motociclisti o a dei carrozzieri non saprei dire meglio; alcuni hanno le barbe bianche altri i capelli folti come la criniera di un leone, sullo sfondo pile di auto accatastate in quella che potrebbe essere un’autodemolizione. La foto è intitolata “Mino de Santis e Gianni de Blasi”. Sbalordisco! Ma non si era detto che siamo tutti attori? Anche il netturbino, l’impiegato il pollo il tacchino il pastore il pastore tedesco quelli lì con la mascherina che sotto i camini dell’Ilva protestano inutilmente; sono un attore io? A chi conviene che io sia un attore? Da ciò potrà sembrare a qualcuno che io ne stia facendo una questione morale. A me sembra proprio così. Ma anche estetica perdiana! Perché così come forma e contenuto sono indissolubilmente legati nella visione dello spettatore, allo stesso modo sono legate etica ed estetica nel momento in cui l’artista si dispone a compiere delle scelte. Di conseguenza arrivo a due conclusioni: 1 che il rapporto attore spettatore penda ormai definitivamente dalla parte dell’intrattenimento più inutile, dello sproloquio più conformista; 2 che tale sproloquio faccia chiaramente gli interessi di qualcun altro – un terzo ente – che esprime la sua caratteristica principale nella totale ignoranza di se stesso. Detto questo consiglio - a chi ne abbia la possibilità - di andare a vedere la mostra di Piero Marsili Libelli perché, come mi sembra di aver affermato fin qui, queste fotografie hanno molto da dire a chi abbia voglia di ascoltarle.

di Andrea Cariglia

Ad illustrare Piero Marsili Libelli dietro un ciak Carmelo Bene Michelangelo Antonioni e Tonino Guerra

La mostra è visitabile dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 18


Appuntamenti

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della domenica n°30 - 25 maggio 2014 - anno 2 n.0

Dal 30 maggio al 2 giugno a Borgagne Cibi che fanno comunità

L’immagine di Cucina Meridiana è di Valentina Sansò

chiaro, molti cibi fanno comunità. In maniera complementare: i cibi fanno le comunità e le comunità fanno i cibi. Così due si delineano i percorsi. Due le genealogie immediate da affrontare. Dal cibo alla comunità; dalla comunità al cibo. E la differenza nel cammino, non è intuitiva. Abbiamo scelto di passare dalle comunità per vedere i cibi. E di abitare i cibi per conoscere le comunità. Condivideremo con loro del tempo; abiteremo le loro cucine. Li ospiteremo nelle nostre cucine. E insieme disegneremo una mappa, che cucineremo durante le serate del BIF. Abiteremo insieme i loro sapori. Per condividere una comunità. Una comunità è ritualità; cosmologie; parentele; relazioni; musiche; manualità; visioni del mondo. Quest’anno incontreremo parte della comunità di Borgagne e poi la comunità di Sannicola con il progetto Spazi Popolari, la comunità palestinese e la comunità di Carpino (Fg). Da questi incontri nasceranno quattro cene diverse che apparecchieremo nella cornice di Vico Sant’Antonio per 50 persone.

La volontà racchiusa nell'idea è quella di abitare le comunità attraverso lo sguardo dei loro sapori. È la volontà di conoscere le visioni del mondo, gli stili di vita che le scelte alimentari (e quindi agricole, pastorali, economiche, culturali) manifestano. È innanzitutto la volontà di condividere queste visioni di mondo, questi stili di vita. La volontà di renderle abitabili. La volontà di essere umani.

Lanciare fili che colleghino le comunità con gentilezza e con dolcezza. Collegare fili che possano essere percorsi al ritmo delle stagioni. Non è questione di promozione di prodotti. È in questione l’abitare e condividere tradizioni. Non è un saccheggiare luoghi, storie, visioni della vita: è un abitare rispettoso e generativo perché avvicinare una tradizione non vuol dire passare «dalla banca della vita solo per ritirare e mai depositare», perché «se non si deposita qualcosa, non si può ritirare nulla, a meno che non si rubi agli altri». Con il sogno e la certezza che poi, dopo l’abitare condiviso, ogni tradizione rimane e non può non rimanere se stessa, ma, se viene spinta a compiere un viaggio, può ritornare a casa con molti insegnamenti e rileggere la propria storia in modo nuovo, valorizzare qualche cosa che essa ha conosciuto e ha lasciato cadere. Le differenze rimangono in piedi, ma adesso sono più capaci di ospitare. Per approfondimenti e i menu delle serate: www.borgoinfesta.it/cene

Borgo in festa

Venerdì 30 maggio LA TRANSGARGANICA Spiriti transumanti in viaggio verso il Salento con la comunità di Carpino, Gargano (Fg)

Massari, cantori, cuochi, suonatori, agricoltori racconteranno, condivideranno, suoneranno e cucineranno i sapori della terra da dove a sera si saluta il sole. Sabato 31 maggio FESTA DEI CONTADINI, FESTA DI TUTTI con la comunità Spazi Popolari, i colori della terra di Sannicola (Le)

Agricoltori della crisi; impollinatori di nuove pratiche economiche, sociali e ambientali; seminatori di vecchie pratiche per nuovi modi di abitare comunità; mani che sarchiano futuro prepareranno una cena che racconta di ottimismo, di resistenza, di fiducia nella terra e di comunità umane e sostenibili. Domenica 1 giugno MI CHIAMO OMAR con la comunità palestinese

Il cuoco-attore Omar Suleiman e il cantante Faisal Taher racconteranno, disegneranno, cucineranno e canteranno la storia di una comunità e le storie delle persone che questa comunità mantengono viva, anche da lontano. Cucineranno una mappa di molte e lontane comunità che fanno un popolo. I sentieri di chi attraversa due mondi e non ha più modo di fermarsi. Lunedì 2 giugno BORGOINFESTA con le comunità che fanno Borgagne.

La gioia delle comunità che abitano il Borgoinfesta: storie, sapori e umanità di una convivenza tra chi ci è nato e chi ci si è trovato. Perché la convivialità della tavola renda cibo l’essere comunità. Le cene sono per 50 persone a serata Uteriori informazioni e prenotazioni al +39.340.2804989


Lecce 2019

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L’appuntamento martedì 3 giugno, dalle 21.00, nel chiostro dei Domenicani, Palazzo della cultura di Galatina Con Raffaele Casarano, Santino Beccarisi per Vittorio Bodini

a cultura e il pane sono le parole chiave che declinano la “resilienza” dell’identità salentina, che resiste ancora al mal di stomaco della cultura informatica del nuovo modello sociale del vivere il tempo libero e propone le tradizioni rimaste vive nelle radici delle culture popolari. Il comitato Lecce 2019 in un turno di giugno invita a scoprire nella musica di Raffaele Casarano, nella poesia di Vittorio Bodini, nella bellezza del pane di Santino Beccarisi i valori forti della terra conservati nella memoria ed utili ancora a raccontare il nostro tempo creativo. I crepuscolari prima e i futuristi dopo, nella musica, nella poesia, nella campagna e nella cucina trovarono l’ispirazione per raccontare i sogni del ‘900 letterario e tecnologico fin dal suo inizio. Lecce 2019 racconta la città come in una antologia dei sogni e in quel passato che non vogliamo perdere progetta il futuro che vogliamo vedere realizzato. In un turno salentino, nel chiostro del palazzo della cultura, con la lettura al buio di “Gigi Utopia” delle poesie di Vittorio Bodini, accompagnato dalla musica di Raffaele Casarano dedicata al poeta, si propone di vivere nell’intimità, nell’armonia del corpo con la mente tutta la bellezza che solo la musica e la poesia riescono a suscitare.

Il pane, la poesia, la musica

di Luigi Mangia

Reinventare Utopia: vuol dire scoprirsi, sentire di essere appartenenza, conoscere ancora profumi e suoni della terra e avere i poeti come amici di vita. Nelle note, la musica, nel ritmo del verso, le immagini dei luoghi e dei volti della terra, sono il sale del racconto del notturno di pane e cultura nello spirito del poeta bodini:

Una pietà insensata arida come semi di girasole gira in folle ai crocicchi, mentre nella tua terra i contadini invisibili parlano turchino dai campi di tabacco, e fra un istante la notte avrà sapore di uliva verdastra.

La musica di Raffaele Casarano e la poesia di Vittorio Bodini ci aiutano a scoprire nell’ascolto il sogno di Polis Eutopia che è quello di avere negli occhi aperti le linee dell’orizzonte di una società senza solitudine. La serata continuerà con la scoperta della

Ad illustrare una carta di pane dell’architetto Marcello Sèstito

http://www.domusweb.it/it/notizie/2013/11/21/un_uomo_storico_.html

bellezza del pane. Santino Beccarisi, nel chiostro del palazzo della cultura, farà gustare tutta la fragranza ed il gusto del suo pane cotto esclusivamente con legna d’ulivo e nel forno in pietra leccese. Il pane dei poveri”luscuajatu” con le olive salentine, il panetto e il pane d’orzo nobilitato con olio d’oliva e accompagnato da Negroamaro sarà l’esperienza del viaggio del gusto ancora forte della tradizione della produzione del pane casereccio salentino. Il pane l’olio e il vino sono nella storia dei mari del Mediterraneo e raccontano ancora i gusti delle civiltà lungo le sue sponde. La mente scopre, la bocca conosce, la storia racconta. Salentopia terra di luce bianca di sole umido vive di musica di poesia e di pane: è con questi occhi che guardiamo le otto utopie di Lecce 2019. All’incontro parteciperanno Mauro Marino del Fondo Verri, Airan Berg direttore artistico Lecce 2019, Cosimo Montagna sindaco della città di Galatina, Raffaele Casarano musicista, Santino Beccarisi panettiere e chi qui scrive.


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Appuntazzi

della domenica n째30 - 25 maggio 2014 - anno 2 n.0

La corrispondenza di Gianluca Costantini da Luzzara


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Maestri d’arte nella moda

Un convegno per rendere omaggio al sarto - accademico Salvatore Fantastico di Kastron giovedì 29 maggio, dalle 9.30 alle 19.00 al MuSt di Lecce

'Accademia di Moda Calcagnile - accogliendo il desiderio della professoressa Rosalba Fantastico di Kastron di rendere omaggio alla memoria del fratello, il sarto Salvatore Fantastico di Kastron, in collaborazione con apsninfa.org e l'Associazione Culturale RC, organizza il 29 maggio al Must di Lecce, il 1°convegno “Maestri d'Arte nella Moda”, un confronto tra due generazioni. Nello stesso progetto una mostra itinerante di elaborati progettuali curata dai giovani designer dell’Accademia di Moda Calcagnile. L'iniziativa nasce da una riflessione sul passato sartoriale - profondamente legato ai valori del lavoro, della ricerca e del fare artigiano - per immaginare un progetto di sviluppo del settore ispirato a quella sincera filosofia. I suggerimenti degli esperti del settore e l' esperienza vissuta dei Maestri-protagonisti depositari di una tradizione e di una cultura profondamente legata al territorio, assumono particolare importanza nel processo formativo delle nuove generazioni. Il nostro mondo - assediato dallo sconforto, dallo scettiscismo, distratto dai processi della globalizzazione - è sempre più mosso dal bisogno di riscoprire l’autenticità delle radici e dell’identità. Un' identità capace di confrontarsi con l'innovazione, con la ricerca qualitativa e il confronto tra culture diverse.

Il premio In questo contesto riflessivo, in risposta alle difficoltà legate all’attuale crisi economica e per premiare il talento di chi crede nel suo futuro professionale, nell’ambito del convegno “Maestri d'Arte nella Moda”, è stato istituito un premio una borsa di studio, spendibile in un corso specialistico in “Couturier design” - che sarà conferito ogni anno, per merito e capacità stilistiche, ad uno studente, che abbia dimostrato interesse e attitudine a crescere nel settore della ricerca, del design e della tecnica d'alta moda, che abbia già frequentato un corso di studi biennale in uno dei settori formativi dell'Accademia Calcagnile. Lo stilista premiato, avvalendosi di un team creativo messo a disposizione dell'Accademia Calcagnile e della collaborazione di aziende del tessile disposte a sostenere il progetto, darà vita ad una collezione di moda di impronta artistico / culturale che sarà presentata ad operatori del settore (buyers internazionali, fiere,giornalisti, editori di moda) attraverso un progetto di promozione (realizzazione di un look- book, video clips, sito web) allo scopo di incrementare l'interesse turistico culturale e di fare del territorio salentino un parametro di know-how professionale, luogo di riferimento dove poter attingere risorse e idee. Il premio sarà conferito il 29 maggio, durante la cerimonia - che sarà accolta negli spazi del Museo Storico di Lecce, verranno conferiti i diplomi agli studenti che hanno ultimato il corso di studi biennale degli anni accademici 2011/2012 e 2012/ 2013. La mostra degli elaborati progettuali a tema, curata dai giovani designers, avrà luogo il 31 maggio presso il convento delle suore Benedettine in Lecce in occasione della festa della legalità e il 12-14 giugno presso il Must, a sostegno dell'evento Pe(n)sa differente.


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tamani, il pensiero è improvvisamente stato preso dal paesello natio, per la precisione si sono parati nella mente e dinanzi agli occhi i contorni del minuscolo, caratteristico, antico e popolare rione in cui sono venuto al mondo e ho vissuto i miei primi diciannove anni: l'Ariacorte, una specie di piccola isola, delimitata e racchiusa da tre o quattro brevi e strette vie, nell’ambito della già minuscola località di Marittima. L’immagine, o immaginazione se si preferisce, era riferita non allo stato d’oggi del quartiere in questione, bensì alla conformazione, ai dettagli urbanistici e, in speciale modo, all’universo e alle singole figure dei residenti, quali lo animavano intorno alla metà dello scorso secolo. Nell'Ariacorte, un tempo, era concentrata una quantità cospicua di nuclei famigliari, per di più, in linea con le abitudini e i costumi di allora, ciascuno comprendente, in genere, sette – otto componenti. Sin dall’età giovanissima, tutti i soggetti erano chiamati a svolgere un lavoro, un’attività, sicché, in pratica, restava poco tempo da dedicare a giochi, a svaghi e/o a conversazioni distensive. Qualche riferimento agli abitanti dell’Ariacorte, che conservo particolarmente vivo. *** La famiglia Mariano, Trifone a capo, la moglie Elisa e quattro figli, si distingueva per la bella abitudine della preparazione annuale, nella ricorrenza del 19 marzo festa di S. Giuseppe, di un pentolone di “massa”, tagliolini fatti in casa, piatto tipico di quel giorno, a beneficio delle famiglie meno abbienti del paese; allestiva, in altri termini, una tavolata, detta giustappunto, di San Giuseppe. Di fronte a loro, viveva, invece, una signora anziana e vedova, Pippina ‘a Raula (per dire Peppina nata da Laura), con una figlia, non a caso di nome Lauretta, poi sposatasi nella vicina Andrano. A pochissimi metri di distanza, le abitazioni, attaccate, di Vitale Coluccia, soprannominato “quendici”, vedovo di Donata, quattro figli e del fratello Ciseppe, detto pizza d'oro, ammogliato con Nicolina, andranese, soprannominata ‘a sciarpa, cinque figli, di cui la primogenita Valeria, sarebbe mancata, purtroppo, giovanissima, qualche tempo dopo. Giovanni ‘u Pativitu, che divideva il tetto con la consorte ‘Ndolurata, era contadino e, a tempo perso, fabbricante di panieri e cesti in giunchi e vimini. Suo unico discendente maschio, compare Chiaro, marito di comare Donata, due figli, il quale soleva, saltuariamente, allestire, in un giardino di proprietà, una rudimentale trappola, con cui riusciva a catturare esemplari di volpe, resisi artefici e responsabili di stragi di galline. ” Legittima difesa”, diceva l‘uomo. Marta, moglie di Vitale, tre figli, prima del matrimonio, era stata la zita di mio nonno Cosimo. ‘Ndolurata ‘a pisatura, abitava da sola in una casetta con cortiletto; il suo nomignolo misterioso era forse collegato all’azione della pisatura (battitura) del grano e dei cereali in genere, successivamente alla mietitura, mediante un maglio in legno, oppure a un’attività di pisatura ( pesa pubblica) con bilance o bascule, espletata a beneficio dei compaesani. Giorgio ‘u cacasiu, la moglie Peppi giunta da Andrano e quattro figli, seduto fuori dall’uscio nelle serate estive, durante i giochi di noi ragazzi, aveva l’abitudine di chiamarmi, dicendomi “senti, vieni qui, colomba tutta pura”, così, forse, copiando il passaggio di un canto religioso, evidentemente imparato a memoria, che, in una strofa, recitava:

Ti salutiamo o vergine, colomba tutta pura, nessuna creatura è bella come te. Prega per noi, Maria,

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Il popolo dell’Ariacorte

di Rocco Boccadamo

prega per i figli tuoi, madre che tutto puoi abbi di noi pietà.

Borgo salentino in una illustrazione tratta da La Cultura Contadina

Peppe ‘u tappa, o Peppe ‘u cardillu, era un anziano di bassa statura, sposato con Consiglia, tre figli. Buono e scherzoso, ogni tanto preso di mira da noi bambini, che gli cantavamo: Zzumpa cardillu, mmemzu sti fiuri, zzumpa cardillu, lalleru lallà.

Cosimo maccarrune, vedovo di Elvira e risposato con Nena originaria di Castiglione, tre figlie, al contrario, si offendeva sentendosi appellare col nomignolo di maccarrune e, quindi, bisognava contenersi. Tore ‘u torci o ‘u casinu, era ammogliato con ‘Ntogna (Antonia), nativa di Andrano, tre figli di cui il più piccolo, Vitale, mio compagno di scuola, nato a molta distanza dal fratello e dalla sorella più grandi, forse perciò eccessivamente mmammatu, cioè legato alla madre, addirittura pretendendo, sino all'età di cinque - sei anni, di attaccarsi al di lei seno. Zia Amalia, vedova di Luigi ‘u Minicone, fratello a sua volta della mia nonna paterna Consiglia ‘u Minicone (quel soprannome, derivava da Domenico, loro genitore, un uomo molto alto), aveva nel cortiletto di casa uno stompu, grande parallelepipedo di pietra, scavato all’interno, dentro il quale, con una grossa mazza di legno, si frantumava il grano, per poi poterlo cuocere in minestre. Per la festa del Corpus Domini, alcune padrone di

casa realizzavano, per devozione, l'altarino dell’Ariacorte, una specie di grande tenda o capanna di forma cubica, fatta di coperte ricamate e colorate e lenzuola, al cui interno, durante la processione per le vie del paese, il parroco si fermava ed esponeva il Santissimo Sacramento. Rosaria ‘u fusu, era rimasta vedova con la responsabilità di una folta prole. Ricordo il matrimonio del primogenito Andrea, in un giorno d’inverno in cui a Marittima capitò una nevicata eccezionale e l’episodio in cui un altro giovane figlio, Vitale, rimase vittima di un incidente sul lavoro, procurandosi un taglio, forse mal curato, che generò un’infezione di tetano: urla, strilla e pianti, in accompagnamento alla corsa verso l'ospedale più vicino, da cui per fortuna l’interessato ritornò guarito. *** Così, verso il 1950. Adesso, di quella Ariacorte, residuano pochissime tracce in senso demografico, le famiglie e le persone si contano sulla punta delle dita, per fortuna sono rimaste aperte tutte le case, in parte ristrutturate, però gli occupanti sono in larghissima maggioranza turisti forestieri che le aprono per brevi periodi, durante le vacanze estive o in occasione di altre fugaci puntate. Ciononostante, per il ragazzo di ieri che vi è nato ed è autore delle presenti note, l'anima dell’Ariacorte non è cambiata, mantiene una sua intensità profonda e un po’ magica, fra le sue viuzze circola un venticello particolare, mentre in alto quasi sempre campeggia un cielo dal fondo d’intenso azzurro, esclusivo o appena inframmezzato da bianche nuvole: è questo miscuglio di connotazioni che, stamani, mi si è riaffacciato dinanzi alla mente e agli occhi.


della domenica n°30 - 25 maggio 2014 - anno 2 n.0 spagine Arte Sino al 31 maggio, Palazzo Vernazza a Lecce ospita la mostra

Alice non sa... Peter sì a cura di Katia Olivieri L’Associazione “Le Ali di Pandora” di Lecce in collaborazione con “Art and Ars Gallery” di Galatina e “Piscina Comunale. spaziodarteincopisteria” di Milano propongono la mostra Alice non sa… Peter sì, progetto a cura di Katia Olivieri. La mostra gode del Patrocinio della Regione Puglia: del Presidente della Giunta Regionale, della Provincia di Lecce; della Città di Lecce; di Lecce Capitale della Cultura 2019; si articola liberamente fra generi e media in un insieme organico che trova la sua più degna realizzazione negli spazi di Palazzo Vernazza Castromediano a Lecce, fino a sabato 31 maggio 2014.

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L’opera di Renè Pascal

tiano pure tranquilli i sognatori nel proferire le sensazioni incorporate nella visitazione di Alice non lo sa… Peter sì, mostra che si tiene a Palazzo Vernazza in

Lecce. Una mostra di grandi slanci, anche formali. Una poesia visiva, unita da alchimie che proiettano le opere fuori dallo spazio aderente, anche graficamente. Come un appello ad uscire dalla gabbia per indagare i “ragazzini” del mondo. Una lode alla fanciullezza, alla sua forza e avvenenza, per aspirare a veri e reali cambiamenti. Una autentica introspezione. Rivolta a chi vuol mantenere viva la curiosità e il senso della giovinezza. Essa concettualizza e compendia grandi temi: il ripensamento dell’idea di Dio, il rapporto tra le ragioni umane e quelle misteriose della realtà, e ancora la realtà come disintegrazione, mancanza o altro. La raccolta si compone nel tempo, dalla nascita alla vita adulta, prendendo inizio anche da spunti intimi e personali: facendo riferimento ad esperienze compiute in una certa fase della propria vita. Comincia ad emergere ne In un fazzoletto l’idea di una lettura sapienziale, come anche il gusto per gli enigmi, in una sorta di gara tra gli autori e il pubblico. In queste piccole e personali stoffe appese, presenti le lettere iniziali vergate con colori

Lode della fanciullezza

di Antonio Zoretti

diversi, troviamo un gusto spiccato per i messaggi “cifrati”. Su per le stanze di Alice non lo sa… Peter sì il corpus dei lavori è composto da undici rappresentazioni: varie nelle forme e nelle espressioni grafiche riflettono la costituzione di un unico tessuto che si va componendo nel tempo e che rispecchia stati emotivi diversi degli autori.

Gli artisti sembra che abbiano concepito le opere in momenti di massima trasformazione, sia personale che sociale, quando lo scontro era grave. Vedi il polacco Mirek Antoniewicz in Bambini, che fatica a collocarsi in società e preferisce restare a sognare. Come pure Maurizio L’Altrella in Here I Am, inquieto nel manifestare le angosce visionarie, che nascondono allo sguardo i misteri della vita. O le buche di Paula Sunday in Trespass, dove si invocano le aspirazioni dei bambini, riprese da grandi. O ancora il simbolo fetale di Paola Zampa in 15.7.51, che unisce tutte le culture del mondo, così che ogni piacere contiene anche dolore. E l’ambiguo suono di Carillon di Giuseppe Stellato, che rimanda a stanze buie occupate solo dalla paura di restar soli. Fino a Adriano Pasquali con Cara cognata, che si abbandona a un passato che non torna, che torna presente solo perché rimemorato nelle immagini. E a Renè Pascal nei Segni/Sogni, che ridesta momenti intimi dell’infanzia, solo sopiti e mai dimenticati. Laboratorio Saccardi in Prenatal ritorna al religioso, come fenomeno della modernità scientifica, una rivolta allo sradicamento provocato dalla globalizzazione; senza dubbio controcorrente. Gli ingranaggi di Michele Giangrande in Gears invitano a mantenere il meccanismo vitale e creativo in ognuno di noi. I vasi circolari di Emilio D’Elia in Unica sponda evocano ritorni, dai quali escono ricordi, echi di mondi vissuti e mai abbandonati. Infine, in Matilde de Feo i fiori le escono dappertutto, come a

dimostrare l’affetto e la poesia per il mondo circostante. Insomma, da questa breve nota introduttiva è chiaro il progetto della rassegna. Questi artisti hanno assunto un compito arduo, ma in sostanza riuscito. Ancor più significativo in quest’epoca grave. E possiamo di conseguenza considerare Alice non lo sa… Peter sì un’alta testimonianza, in tutti i suoi contorni: di radicale profondità e in una luce assai intensa. Poiché gli artisti in rassegna sanno vedere oltre senza rinunciare ad una identica lettura, a tolleranti allusioni, senza mai dimenticare la necessità di rivolgersi a tutti. Una Mostra zelante con la grazia della favola, con umorismo e gioia. Di ambientazione moderna, è un coro di bambini/adulti ossessionati dall’infanzia, da un eco che richiama qualcosa, che precede i sogni. Nostalgia di cose che non ebbero mai un cominciamento, un ricordo del prenatale… nostalgia di qualcosa che non fu, non di qualcosa che fu. Luoghi dove, collettivamente ed individualmente, delirano le ragioni e le irragioni della condizione umana. Adolescenti che accompagnano e custodiscono il percorso; presenze creaturali tanto ingenue quanto vitali. Con questi ingredienti gli artisti mettono in moto e a nudo i ribollenti temi del dolore, della colpa, del mistero della vita e della morte. Tutto velato da una sana poesia: un controcanto scandito per recuperare la sostanza tragica e difficile dell’infanzia, della nascita, del mito originario… nella notte dei tempi. Alice non lo sa… Peter sì ci rivela, dunque, il volo spiccato dalla fantasia di ognuno. Non lasciatevi ingannare dal tono fiabesco dell’opera; dietro a quelle semplici, strane immagini è celata la loro profonda visione. Un invito, dunque, a percorrerla e a frequentarla, come un mirabile momento atto per il pensamento e la riflessione. Buona visione.


MMSarte spagine

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Art-icoliamo senza barriere percorso di poesia visiva rivolto ai bambini di quattro classi della Scuola Primaria Leonardo Da Vinci di Cavallino e Castromediano a cura di Monica Marzano avviato lo scorso 24 marzo sarà in mostra da venerdì 6 giugno negli spazi dell’Isituto in via Togliatti a Cavallino

La solidarietà, parola regina

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er il piccolo Marco l'arduo compito di "acrosticare" la parola regina perché, solidarietà, é darsi una "mano", dare "aiuto" ,

I

l piccolo Matteo ha intravisto nella parola coraggio un insieme di azioni e sensazioni. Coraggio è cercare di andare sempre avanti, nonostante le logiche paure delle ombre oscure del-

stare "insieme", momenti di sincera "amicizia" segno di grande "bontà", un gesto di grande "coraggio" e, come osa aggiungere Marco " Tempesta di arcobaleni". È un'immagine molto poetica e tanto suggestiva che colora di

l'ignoto futuro, e soprattutto puntare con grande forza d'animo al raggiungimento di importanti traguardi. Ma per Marco il coraggio è anche saper ascoltare un amico senza barricarsi dietro la presunzione di saper e poter sempre fare da soli, e ancora, il coraggio è riuscire a

Il testo è di Marco Torino, il disegno di Serena D’Elia

bellezza ulteriore la parola solidarietà. La piccola Serena ha preso spunto dalle frasi "stare uniti per aiutare", "isola felice dell'amore", "emozioni d'amicizie" e in ultimo "tempesta di arcobaleni", ide-

ando in tal modo un quadretto in cui tutti insieme, in un'isola che si vuol rendere felice e pulita, si lavora per il bene comune sotto il colorato auspicio di un arcobaleno della pace!

Il testo è di Tiziano Berlanda, il disegno di Matteo Luparelli

guardare con occhi attenti e consapevoli un mondo che spesso scorre davanti a noi guardandolo con indifferenza invece di affrontare con coraggio le ingiustizie che ci circondano... Mattia è stato attratto dalla frase "raggiungere un traguardo". Ciò che sorprende è la colorata

insegna del traguardo, una meta che viene raggiunta non da un solo vincitore, ma insieme ad altri che sorridenti si preparano a tagliarlo, uniti, e questo non può essere che motivo di grande orgoglio e maggiore soddisfazione per tutti!

La galleria dei lavori della precedente edizione è su www.mmsarte.com


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in Agenda

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“Fimmine Fimmine” a Leverano e a Lecce il primo libro di Spagine Edizioni Fondo Verri

Il teatro della vita Sabato 7 giugno, alle 19.00, del secolo scorso. Le loro tea Leverano, nella Sala As- stimonianze e i loro canti. sembleare della Banca di Donne che hanno ascoltato Credito Cooperativo e dome- altre donne e ne hanno fisnica 8 giugno, alle 11.00, al sato la memoria restituendola Fondo Verri di Lecce in via alla comunità attraverso il Santa Maria del Paradiso 8, teatro, il canto, la scrittura, la sarà presentato “Fimmine fotografia. *** Fimmine – il teatro della vita” libro a cura di Maira Nel cerchio dei volti abita il Marzioni, Caterina Pontran- teatro, il filo dell'attenzione, il dolfo e Assunta Zecca per legame per cucire le relaSpagine Fondo Verri Edizioni. zioni, per fare le storie "cosa comune" da portare in dono l libro rac- all'altro, alla sua coscienza, conta il pro- alla sua consapevolezza... getto di Sempre la speranza a far da teatro e co- trama al divenire di noi al munità “Fim- Mondo. m i n e Sono trascorsi quarant'anni Fimmine - Canti Memorie e dal baratto odiniano di CarpiStorie delle donne dell’Arneo” gnano, tanti altri dalle istanze che le autrici hanno realiz- d'inchiesta del teatro politico zato, dal mese di marzo a novecentesco: il collettivo di settembre 2013, con un scrittura teatrale di Erwin Pigruppo di anziane e di artiste scator nato con l'intenzione di tra i Comuni di Leverano, Co- risvegliare la coscienza polipertino, Nardò, San Pancra- tica dello spettatore; Bertolt zio, Veglie, Salice Salentino. Brecht che impastava il canto Si è trattato di un progetto al recitare per dire la disillucomplesso pensato per resti- sione verso un Mondo che tuire valore alla memoria percepiva perso e senza spedelle donne nel racconto ranza; poi la protesta del della storia di un territorio. Ri- corpo di Julian Beck e Judith cerca antropologica, labora- Malina e quanto ancora daltorio, comunità, teatro, l'origine della scena? paesaggio. Madri, contadine, Sempre la comunità è stata il tabacchine, tessitrici, filatrici nervo del fare teatro. Quello

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La locandina dell’incontro di Leverano con la copertina di Fimmine Fimmine

lo sguardo dove trovare ispirazione e parole e quale incanto si genera quando è la stessa comunità ad osare e la parola si fa racconto, esercizio dichiarativo, sfida poetica. Dare valore, è esercizio, degli illuminati e il teatro è luogo di "illuminazione", nella piega trovi sempre la possibilità di scrutare nel profondo, nell'abbandono ed è lì, sulla scena, che sorge la verità, l'incanto della persona, il suo segreto, il dono della memoria... Di questo saporito pane è fatta l'esperienza che in questo libro si narra. Un pane tutto di donne... e leggendo le vedi, quelle mani, prese alla farina mentre generosamente ri-aprono gli occhi sul loro passato e lo vedi il Salento, quello remoto della nostalgia tutta volto alla campagna, coi ritmi che andavano "te sule a sule", le giornate lunghe del lavoro e la meraviglia della festa, dei canti, degli amori... Quanta sapienza, quanto frontale sentire, quanto osare. Venite, leggete entrate anche voi nel cerchio dei volti. Fate con noi questo teatro... Mauro Marino


Fotografia

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copertina

Le immagini trovate e la scrittura di Maira Marzioni Anna Untitla Giorgio Barrera Ilaria Seclì Biagio Lieti in un progetto dell’Associazione Positivo Diretto a Salice Salentino in via Cairoli, 87 mercoledì 28 maggio alle 19.30 con FotoFucina

C

arte d’imbarco! 5 immagini per 5 scrittori, questo il nome del primo progetto editoriale dell'Associazione Positivo Diretto, ovvero il team di giovani creativi pugliesi ideatore di Bitume Photofest, festival urbano dedicato alla fotografia contemporanea da tempo nella pentola dell'Associazione e che vedrà la sua prima edizione nella città di Lecce, il prossimo settembre Il Festival contagerà il tessuto urbano con una proposta di fruizione culturale piuttosto insolita, ospitando inoltre a Lecce professionisti della fotografia noti a livello internazionale e preziosi e gratuiti momenti di formazione. L'invito

www.bitumephotofest.org

anche per il legame - non sempre facile o scontato - che essa ha da sempre avuto con la scrittura; la passione per l'autoproduzione editoriale e il visual design completano il cerchio. Da qui la prima tappa del progetto, la prima pubblicazione di questa collana editoriale: invitare i primi cinque scrittori a farsi trascinare all'interno dell’oggetto fotografico a loro affidato. Fotografie di sconosciuti, fotografie "di nessuno", espropriate e ritornate ad essere magma visuale fuori dalla raccolta, fuori da quel cassetto, da quell’album, fotografie di chi non c'è più o di chi le ha perdute, fotografie che viaggiano di mano in mano, rafforzandosi della loro natura di portali, di fessura verso l'immaginazione, verso il viaggio. Carte d’imbarco".

Si raccoglie attorno a "Carte" la partecipazione di autori provenienti dalla poesia e dalla narrativa, ma anche autori di fotografia, artisti visuali che praticano il “viaggio della scrittura” e che hanno accettato di buon grado questa avventura, la cui unica indicazione è stata di viaggiare attraverso l’immagine, cercare (o perdere ulteriormente) il punto d’approdo, la destinazione prescelta. I primi 5 autori coinvolti: Maira Marzioni, Anna Untitla, Giorgio Barrera , Ilaria Seclì ,Biagio Lieti

Mercoledì 28 maggio, dalle 19.30, FotoFucina associazione fotografica, molto attiva sul territorio pugliese, accoglierà gli amici di Positivo Diretto nell'ambito degli incontri dedicati alla cultura fotografica a Salice Salentino. Durante la serata Positivo Diretto presenterà un percorso tematico legato alla Fotografia Contemporanea. Attraverso una breve digressione storica si prenderanno in analisi esperienze arti*** stiche e progetti di autori italiani e stranieri che si sono approcciati alla disciplina fotografica in maniera personale, producendo case histories Pictures of strangers, pictures of ‘nobodies’, embodied in a visual magma which goes beyond esclusive. the personal memorabilia. Pictures of gone or Durante la serata si condivideranno i preparativi missing people, pictures passing from hand to per Bitume Photofest e si presenterà ufficial- hand, becoming portals towards imaginary mente il progetto Carte d'imbarco; il titolo ri- worlds. Boarding cards. manda vagamente ad antiche tipologie di oggetti This project gathers different authors from poetry fotografici, come le "cartes de visite", e natural- to literature, from photography to visual arts, mente all’idea di accesso ad altri mondi, tempo- practicing a writing journey through a single rali ed immaginifici. È un piccolo ed emozionante image which conveys direction to find (or lose progetto editoriale dedicato all’immagine fotogra- again) the chosen destination. fica e alla scrittura, complici alcune fotografie recuperate da botteghe e mercati antiquari dei Per info: positivodiretto@gmail.com primi del 1900. www.bitumephotofest.org Così si descrive il progetto: "Per questioni radicate nella storia di ciascuno di noi, c'è grande interesse non solo per l'immagine fotografica, ma


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