Un omaggio alla scrittura infinita di F.S. Dòdaro e A.Verri
della domenica 16 - 9 febbraio 2014 - anno 2 n. 0
spagine Periodico culturale dell’Associazione Fondo Verri
Lecce, 9 febbraio 2014 - spagine n° 0 - della domenica 16
Diario politico
Nel “casaleggianesimo” quello che conta è far notizia puntando sul nichilismo Stralcio di un’ intervista a Stefano Rodotà su L’Unità Sta vincendo nel senso comune la teatralizzazione demagogica, come diceva Gramsci? «C’è un degrado inaccettabile nel costume e nel linguaggio. Ma è il punto d’arrivo di un percorso avviato proprio dal picconatore Cossiga. Siamo abituati a derubricare certe sparate della Lega a folklore. E dopo il razzismo di Calderoli contro la Kyenge, Calderoli è ancora lì. Un fatto “normale”, perché è questo il clima imperante della comunicazione, favorito anche dai nuovi media. Teatro è la parola giusta. Non ci sono più limiti all’happening e tutto diviene legittimo, nelle parole e nei comportamenti. Ma il vero corto circuito è questo: è la classe politica che insulta la politica in nome dell’antipolitica. O aggredisce qualcun altro, come nel caso degli insulti ai giuristi...». Si riferisce agli attacchi rivolti ai costituzionalisti che hanno criticato il nuovo maggioritario in votazione? «Sì: un esempio di intolleranza trasversale, da destra a sinistra. E invece certe obiezioni, sollevate da Violante, Ainis, Carlassare e dal sottoscritto, restano ragionevoli e fondate, e ci vorrebbe rispetto e senso della misura in un momento delicato come questo, specie sul tema elettorale». Non le piace il risultato dell’incontro al Nazareno? «Quale risultato? La materia è ancora lì ed è incandescente. E anche la sentenza n. 1 del 2014 è ancora lì. Che accade se quel “risultato” torna davanti alla Corte Costituzionale che lo boccia in tutto o in parte? Attenzione, siamo in una repubblica parlamentare dove il voto è libero, eguale e segreto. E la regola di non disturbare il manovratore non vale».
I
l casaleggianesimo si butta a corpo morto nel complottismo, non scordando di utilizzare metodi a dir poco discutibili. E’ dell’inizio estate scorsa la frase sibilata da un senatore cinque stelle in una conversazione fra amici: “prepariamoci, a ottobre l’Italia sarà in default”. Non importa su quali basi fosse fondata quell’affermazione (che Grillo stesso andava ripetendo come un mantra), quel che conta è fare scoop, imitare il portavoce di Casaleggio. Ottobre è passato, ora ci sarà un’altra data a prevedere un’altra catastrofe prossima ventura, finchè prima o poi arriverà qualcosa di simile e potranno finalmente dire “lo dicevamo da anni noi...”, consiglierei una notiziona che farà faville: “ad agosto farà caldo!”
Il “carnevale”
della demago di Gianni Ferraris
Che questi signori puntino allo sfascio è nelle cose. La loro giustissima battaglia sul comportamento criminogeno del governo che ha accorpato in unico decreto IMU e Banca d’Italia, senza consentire discussione alcuna, è stato vanificato da quel che ne è seguito: finte occupazioni del Parlamento, botte e insulti dei più biechi a sfondo sessuale da ogni parte. Poi le parole mediaticamente buttate nei social. Personalmente reputo Grillo un individuo indecente, politicamente parlando, però gli rendo atto che studia, si informa ed è di intelligenza vivace. Detto questo non poteva assolutamente non tenere conto che quella frase postata nel suo blog “cosa fareste se ci fosse la Boldrini sulla vostra auto?” avrebbe sollevato commenti triviali, criminogeni, mafiogeni, borgheziani. Soprattutto se non moderati come avviene in ogni blog serio. Quindi l’ha fatto scientemente. Allo stesso modo la frase del numero tre del movimento (del quale mi sfugge il nome). Anche lui non poteva non sapere cosa avrebbe provocato dicendo “non preoccuparti boldrini, sei instuprabile” (a proposito, notate la similiarità con “culona inchiavabile?”, stessa filosofia che ha radici antiche, in politica "noi ce l'abbiamo duro" è ormai un cult). La frase è stata cancellata con richiesta di scuse, però, come fa notare un esperto di social media, cancellare significa rilanciare il concetto che verrà immediatamente ripreso dai giornali tutti. La genialità del movimento di Casaleggio sta proprio in questo utilizzo del web e nel rilancio che i giornali e l’informazione tutta fa di queste uscite. E ancora cito l’altra uscita di Rocco Casalino, deputato proveniente dalla scuola quadri del Grande Fratello, che, attaccando Daria Bignardi, non trova di meglio che accusarla di essere nuora di Adriano Sofri. Personalmente se una persona di buon senso si permetterebbe mai di dire che l'eventuale genero di Casalini è imbecille solo per il
suo grado di parentela con lui. Poi vengono attaccati Fazio e tutti i giornalisti rei di non essere allineati. Anche qui le similitudini con il fuorilegge di Arcore sono inquietanti: giornalisti comunisti ecc. A quando l’attacco alla magistratura? Questi comportamenti, come bene dice Rodotà, sono figli dell’ultimo ventennio, da quando la politica si è strasformata da luogo di dibattito e discussione anche animata, in piazza che cerca voti a qualunque costo e prezzo, in disprezzo dell’altro, interruzioni, discussioni troncate, insulti. E’ ovvio vedere come il movimento di Casaleggio cerchi i voti come già fece la Lega, puntando sul nichilismo di una parte di elettori sfasciacarrozze, che cerchi di mobilitare la voglia di generalizzare piuttosto che quella di ricostruzione. “Roma Ladrona” “Siete tutti cadaveri” “La Kyenge è un orango” “Napolitano è un morto che cammina” ecc. sono le frasi ricorrenti dei movimenti che vogliono fare rumore. In tutto questo dobbiamo tuttavia ammettere che molti parlamentari casaleggiani hanno capacità ed hanno dimostrato competenze inattese, pensavamo di vedere ragazzini allo sbaraglio, invece molti di loro lavorano, studiano, si informano. Poi si vedono vanificare le loro battaglie di giorni interi in un’ora, e proprio dal loro kapò che mette in sencond’ordine per parlare di pancia (e che pancia), per mobilitare le piazze senza riuscirci. Infatti stanno perdendo, secondo i sondaggi, percentuali notevoli. La scelta della Boldrini di utilizzare il bavaglio, è inqualificabile in una democrazia che nega la parola alle opposizioni e si trasforma in qualcosa di diverso dal “governo di tutti”, anche questa è stata messa in secondo piano proprio da queste uscite apparentemente prive di senso. E si è scelto di fare attaccare la Boldrini sul sesso e sul suo essere donna, vanificando ancora una volta la possibilità di forme di critica consone ad uno stato democratico e rispettose delle persone e delle in-
dividualità. Non si può essere d’accordo con chi incita con parole oscene contro una donna, tutto il resto passa in secondo piano. Questo lo sanno benissimo Grillo e chi con lui ha concordato la sua frase sulla Boldrini in auto, lo sanno e lo perseguono caparbiamente. Al momento i risultati più importanti ottenuti da questa sciagurata politica sono stati tre: Impedire la formazione di un governo con Bersani ed agevolare Letta. Contribuire a mandare il PD di Renzi fra le braccia di Berlusconi. Favorire una legge elettorale dettata da Belusconi stesso. Il tutto per voler sdegnosamente evitare ogni e qualsiasi contatto. Neppure la lega era arrivata a tanto. Ancora per citare, scrive Curzio Maltese: “Quando si bruciano i libri, come quello di Corrado Augias, quando si stilano liste di proscrizione dei giornalisti, quando s’incita a insulti sessisti nei confronti di una delle poche donne che occupa una carica pubblica importante, Laura Boldrini, non si possono accampare alibi o giustificazioni. Il mezzo in questi casi è per intero il messaggio. E il messaggio, piaccia o non piaccia agli amici Dario Fo e a quelli de Il Fatto è uno solo chiaro, riconoscibile e in una parola: fascista. È questo il primo tradimento, nei confronti di un elettorato che fascista non è per niente”. Questo scenario, in concomitanza con la sparizione di sinistre credibili, essendo il PD scivolato verso il centro, evoca scenari tutti da decifrare nel prossimo futuro, e mette in secondo piano tutte le emergenze reali del paese. Non si parla più della FIAT che se ne va dall’Italia, non di Alitalia, non si dice più delle povertà e dello scempio della corruzione che questo Parlamento non ha voluto penalizzare con la confisca dei beni ai corrotti. Non se ne dice perchè l’emergenza è ora veramente di tenuta della democrazia.
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spagine
Ci sono in cantiere diverse riforme: la legge elettorale, il Senato, il titolo quinto della Costituzione. Forse giungerà in porto solo la legge elettorale. E sarà tanto. L’abolizione del Senato pare cosa troppo enorme per essere fatta così alla chetichella, sotto l’incalzare verboso di un bullo fiorentino. Senza offesa, ormai così è chiamato...
ogia
di Gigi Montonato
R
enzi incalza Letta. Renzi, chi? Il nuovo segretario del Pd, che significa Partito democratico, versione riveduta e corretta della Dc, che significa Democrazia cristiana. E la componente di sinistra? Non prendiamoci per fessi, non esiste più; ci sono alcuni ex/post comunisti, ma come teste singole. Abbiamo abbastanza anni – grazie a Dio! – per ricordarci le diatribe tra i due cavalli di razza, come erano chiamati Amintore Fanfani e Aldo Moro agli inizi degli anni Sessanta, che erano anche gli inizi del centro-sinistra. Anche allora uno era al governo e l’altro faceva il segretario del partito, salvo un periodo in cui Fanfani fu una cosa, l’altra e l’altra. Renzi, dunque, tiene sulle spine Letta: o cambi passo o cambiamo cavallo. Bleffa, perché non conviene a nessuno né cambiare passo né cambiare cavallo. Renzi al governo col Centro-destra di Alfano? Non è pensabile. Andare al voto? E con quale legge? Letta passa al galoppo? Su una strada dissestata finirebbe per rovesciare il carro. Renzi si agita, non fa altro. Purtroppo nemmeno Letta si muove. Non mi va di galleggiare – dice – e intanto galleggia, come un sughero trasportato dalla corrente del fiume ma sempre fermo sulla stessa acqua. Cacciari dice che occorre stare attenti perché Napolitano potrebbe perdere la pazienza e dimettersi da Presidente della Repubblica. Allora sì – paventa il filosofo – sarebbe il disastro. Non siamo d’accordo. I filosofi che pensano e scrivono sono cosa ben diversa dai filosofi che chiacchierano in un talk-show. Probabilmente Cacciari che scrive rimprovera parole fuori
posto al Cacciari che parla. Se Napolitano dovesse dimettersi o per una qualsiasi altra ragione non dovesse esserci più – ai cani dicendo! anzi, oggi neppure ai cani – non succederebbe niente; anzi, potrebbe essere lo strattone provvidenziale per sbrogliare la matassa di lacci e laccioli. Ci sono in cantiere diverse riforme: la legge elettorale, il Senato, il titolo quinto della Costituzione. Forse giungerà in porto solo la legge elettorale. E sarà tanto. L’abolizione del Senato pare cosa troppo enorme per essere fatta così alla chetichella, sotto l’incalzare verboso di un bullo fiorentino. Senza offesa, ormai così è chiamato. Quella che si vuol far passare come riforma del Senato in verità è l’abolizione del Senato. Che fanno presidenti di regione e sindaci di città metropolitane in assemblea senza un soldo di indennità, senza un soldo da spendere? Che funzione hanno se non quella di vedersi per chiacchierare? Probabilmente i nuovi senatori non andrebbero mai a perder tempo. Che – come diceva il Poeta – a chi più sa più spiace. Una riforma sarebbe necessaria, ma solo relativa a certe funzioni che ora sono fotocopia della Camera. Ma come ritagliare uno spazio importante ad un Senato diverso dall’attuale sarebbe un discorso troppo impegnativo e richiederebbe tempo. Quanto al titolo quinto della Costituzione, il percorso da fare è ancora più difficoltoso. Riguarda i rapporti tra lo Stato e le Regioni; riguarda le Provincie e i Comuni. Una materia, insomma, che si sa da dove comincia ma non si riesce a vedere dove finisce. Salvo che non si voglia fare tabula rasa. Dovrebbero essere abolite le Provincie. Dovrebbero essere ridotti i Comu-
ni. Anche qui non si capisce perché stravolgere il mondo, forse per non giungere a nulla. Molto meglio sarebbe un programma più modesto ma più fattibile, o sostenibile, come è di moda dire. Molto meglio tagliare le Regioni, che sono state il fallimento del Paese. Siamo in piena bagarre, per fortuna senza accorgercene, presi come siamo dalla crisi economica, finanziaria, occupazionale. Gli ultimi tre giorni di gennaio sono stati davvero inusuali, se così la vogliamo mettere, per quanto accaduto alla Camera. Un po’ tutti si sono accorti che la jena che era in loro ad un certo punto è emersa e si è fatta vedere nelle forme più stupide e abiette. I grillini avevano ragione a protestare contro un decreto che teneva in sé agganciate due cose assolutamente diverse, l’Imu e Bankitalia; ma il modo come hanno reagito alla ghigliottina parlamentare della Boldrini è stato, sbagliato è dir poco, semplicemente da palio paesano dove tutti si prendono a pomodori o ad arance. Certo è che la Boldrini ha avuto un successone. Per una settimana è stata in tutte le trasmissioni radio-televisive a raccontare le sue pene. Un successo che ha fatto invidia a Grasso, il quale per compenso, ha provocato i senatori per la faccenda di costituire il Senato parte civile contro la compravendita di senatori di Berlusconi. Non gli è andata molto bene. C’è stato un coro di dissenso quasi generalizzato. Ma va bene lo stesso. A giorni inizia il carnevale. E di carnevale ogni minchiata vale, tanto più se viene dalla Camera o dal Senato. Anche in questo l’uno è la copia dell’altra. Bicameralismo perfetto.Amen!
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Accade in Italia
La sciagurata scuola “disegnata” da Mariastella Gelmini giunge a compimento
F
Arte senza storia
u Giovanni Gentile ad inserire lo studi odell’arte e della sua storia nell’ordinemanto scolastico. Da allora è stato sempre un punto cardine dell’sitruzione. D’altra parte siamo in Italia, solo un pazzo può permettersi di dire che questa materia è inutile in quanto costosa. Nel 2009 il rapporto Pricewaterhouse Coopers diceva fra l’altro: “L’Italia possiede il più ampio patrimonio culturale a livello mondiale con oltre 3.400 musei, circa 2.100 aree e parchi archeologici e 43 siti Unesco. Nonostante questo dato di assoluto primato a livello mondiale, il RAC, un indice che analizza il ritorno economico degli asset culturali sui siti Unesco, mostra come gli Stati Uniti, con la metà dei siti rispetto all’Italia, hanno un ritorno commerciale pari a 16 volte quello italiano. Il ritorno degli asset culturali della Francia e del Regno unito è tra 4 e 7 volte quello italiano”. affari italiani articolo completo Quindi un’opportunità di lavoro altamente elevata. Ma non solo di denaro si tratta, infatti, come diceva Carl William Brown: “E' un'assurdità sottoporre l'educazione alle leggi dell'economia, quando invece dovrebbe essere l'economia ad essere sottoposta alle leggi dell'educazione”. Il problema vero è la crescita etica, culturale, civica e morale che la conoscenza dell’arte e del bello offrono. Si eleva la qualità stessa della vita. Poter vedere con gli occhi della conoscenza è diverso dal vedere con quelli dell’ignoranza e della grettezza. Patrimoni immensi come quelli che esistono in Italia sono la carta d’identità della nostra nazione, oltre che essere le città d’arte meta di turismo da ogni parte del mondo. Considerazioni banali, scontate, addirittura inutili a dirsi. È proprio così? Vediamo cosa succede a Pompei che cade a pezzi, vediamo la Reggia di Ca-
Ad illustrare un omaggio a Giorgio Vasari
serta e altri monumenti e ci accorgiamo che così non è. La storia è sempre la stessa: “mancano i soldi”. L’Italia è, allo stato attuale, il paese che meno di ogni altro merita il patrimonio che detiene, per favore, qualcuno ci commissari. Non è un caso che di tanto in tanto a qualche neoliberista d’accatto venga in mente di consegnare tutto ai privati, dalle spiagge ai musei. Il quadro è davvero avvilente, ed ora sta giungendo a compimento la riforma che la più sciagurata mini-
stra dell’Istruzione della storia repubblicana (e anche del ventennio, pensando a Gentile), la signora Gelmini, ha voluto fare scopiazzando qua e là e peggiorando tutto quello che ha copiato. La sua porcata prevedeva infatti che dagli anni 2009 e 2010, oltre all’abolizione degli Istituti d’arte, anche quella delle discipline artistiche nei «nuovi» Licei artistici, la cancellazione di «Storia dell’arte» dai bienni dei Licei classici e linguistici, dagli indirizzi Turismo e Grafica degli Istituti tecnici e dei professionali; zero ore per i geometri; cancellazionedi «Disegno e Storia dell’arte» dai bienni dei Licei scienze umane e linguistici;cancellazione di «Disegno e Storia dell’arte» dal «nuovo» Liceo sportivo; eliminazione del «Disegno» nei trienni di questi ultimi «ambiti formativi». Insomma, un diplomato con indirizzo turistico potrà sapere tutto su ricevute fiscali e fatture, ma non si permetta di parlare di arte, per carità. I turisti sono vacche da mungere, altro che cultura. *** L’attuale ministra Carrozza e il Ministro Bray hanno tentato in ogni modo di bloccare questa porcata infamante, però la commissione, proprio in questi giorni, ha detto che l’insegnamento dell’arte non è compatibile con le risorse. L’ultimo sciagurato ventennio ha condotto le cose con il principio che non si deve insegnare nulla, le persone potrebbero poi imparare. La Mariastella è evidentemente figlia di questa filosofia (figlia o vittima?). I ragazzi allevati con questa sciagura non sapranno distinguere fra una chiesa gotica ed una barocca, non hanno il diritto di sapere chi furono Giotto e Michelangelo. Saranno informatissimi invece sul bunga bunga e sul grande fratello. I primi sono appena sbarcati in parlamento e giocano a fare gli statisti. E qualcuno va a finire che brucerà libri... di Gianni Ferraris
Contemporanea
La delicata L
’ecosistema Terra viene drammaticamente e quotidianamente alterato dalla nostra prepotente mano antropica. L’equilibrio chimico - fisico dell’atmosfera e della Natura è variabile, perturbabile, delicato, tanto che le azioni intrusive dell’homo tecnologicus generano di continuo scompensi, alluvioni, tifoni. Abbiamo purtroppo sporcato la Natura con una sciagurata condotta, figlia d’un progresso portato allo stremo, all’esasperazione. Abbiamo modificato climi, abbiamo mutato e umiliato stagioni. Abbiamo disseminato per l’aere quantità insostenibili di ossidi. Checché ne pensi qualche “revisionista” delle politiche atmosferiche, la incidente mutazione climatica non è mera invenzione di scienziati catastrofisti. Checché ne pensi Giuliano Ferrara e qualche altro redattore de “Il Foglio”, l’impazzimento meteorologico e il riscaldamento globale non sono una fandonia inventata da scienziati “menagrami” al fine di seminare zizzania e divulgare notizie false. La Terra è fuori dai gangheri e ognuno di noi è responsabile d’un siffatto scempio. Ci chiediamo: posono gli interventi antropici avere una determinante influenza sensibile sulla vita degli ecosistemi? I chimici dell’atmosfera sono concordi nel ritenere, per l’innanzi, che i composti del cloro sono capaci di ridurre lo strato di ozono in tutto il pianeta, con effetti gravi sulla salute dell’uomo, sulla vegetazione, sul clima. Un’influenza nociva viene esercitata dalle crescente emissione di gas a effetto serra, come l’anidride carbonica ed altri composti. L’aumento dell’effetto serra implica un incremento della temperatura media del pianeta e fa salire il livello dei mari. Con il nostro comportamento scriteriato abbiamo spostato e trasformato incisivamente gli equilibri. Per certi versi, viviamo in un mondo “postnaturale”. Lo afferma, tra gli altri, il giornalista Bill Mckibben, in un suo libro scritto una ventina d’anni fa, “La fine della Natura”. L’autore
Terra
di Marcello Buttazzo
americano sostiene che una nuova “natura” sintetica e minacciosa abbia sostituito la natura che credevamo eterna. Mckibben propone una soluzione “umile”, “biocentrica”, che non pone al centro dell’universo l’individuo e il suo tornaconto, ma si impone di salvare il salvabile. La sua filosofia è “Natura contro cultura”: contro la cultura dello spreco, contro le complicanze consumistiche, contro gli artigli dell’artificiale. Senza voler sposare tout court le istanze del manifesto dell’altra ecologia, possiamo però dire che, allo stato attuale, sia necessario un attento esame
di coscienza. Non si tratta, insomma, di vagheggiare una Terra vergine, incontaminata. Sarebbe anacronistico. Ma si tratta di tratteggiare quantomeno una vita più a misura d’uomo. Lo sconvolgente tifone che ha colpito, qualche mese fa, le Filippine, causando immensi lutti, morti e devastazioni, è da addebitare in specie all’anima poco immacolata dei potenti. Soprattutto, all’anima di chi da sempre si rifiuta di ratificare stringenti accordi internazionali. Nel 2009, a Copenaghen, l’America in testa non aveva voluto siglarne uno vincolante per tutti i Paesi. E già
spagine
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in precedenza, a Tokyo e a Rio de Janeiro, s’era data latitante. Eppure la responsabilità morale d’un tale fallimento pesa preminentemente sugli Usa. Ben disposti alle infinite guerre umanitarie, ad esportare la “democrazia” con armi distruttive, con bombe “intelligenti”, sempre pronti a impoverire di materie prime i Paesi a sud del mondo, assicurandosi mano d’opera a buon mercato. L’uso delle risorse va disciplinato, regolamentato, non per manie francescane, ma per la salute mentale del pianeta. Madre Terra è ferita, scossa, violata, deturpata, fatta a pezzi. A Varsavia, di recente, a metà novembre scorso, s’è tenuta la conferenza preparatoria del vertice 2015 sul clima a Parigi, che verosimilmente si concluderà, ancora una volta, se non si cambia registro, con un nulla di fatto. Intorno al tavolo delle trattative da sempre naufraga la nostra attesa, la speranza. La grande poetessa polacca Wislawa Szymborska, anni fa, scriveva: “Siamo figli dell’epoca, l’epoca è politica. Tutte le tue, nostre, vostre faccende diurne, notturne, sono faccende politiche. Che ti piaccia o no, i tuoi geni hanno un passato politico, la tua pelle una sfumatura politica, i tuoi occhi un aspetto politico. Ciò di cui parli ha una risonanza, ciò di cui taci ha una valenza in un modo o nell’altro politica. Perfino per campi, per boschi fai passi politici su uno sfondo politico. Anche le poesie apolitiche sono politiche, e in alto brilla la luna, cosa non più lunare. Essere o non essere, questo è il problema. Quale problema, rispondi sul tema. Problema politico. Non devi essere neppure una creatura umana per acquistare un significato politico. Basta che tu sia petrolio, mangime arricchito o materiale riciclabile. O anche il tavolo delle trattative, sulla cui forma si è disputato per mesi: se negoziare sulla vita e la morte intorno a uno rotondo o quadrato. Intanto la gente moriva, gli animali crepavano, le case bruciavano e i campi inselvatichivano come nelle epocheremote e meno politiche”.
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Letture
É
tutto nel volo di quel pettirosso che compare sulla copertina del libro, il senso di questa storia semplice eppure intensa, delicata ma sofferta, che ci regala la raffinata penna di Claudia Petracca. È ambientata fra gli anni Trenta e Quaranta del Novecento, la storia che ci racconta questo breve romanzo, preceduto da una bellissima poesia opera della stessa autrice. Nello specifico, è la Seconda Guerra Mondiale con gli eventi ad essa connessi, a fare da sfondo a questa storia di sentimenti, forgiati al fuoco della sofferenza, levigati dall’assenza e dalle difficoltà del vivere. Ho conosciuto Claudia Petracca con “Pietre”, il suo libro precedente che mi aveva favorevolmente impressionato. Ora la riscopro, narratrice attenta e scrupolosa, cimentarsi con una storia d’amore tormentata e ingarbugliata come la trama complessa che si dipana lungo le pagine della fabula. Il sacrificio dei protagonisti, Sofia e Giacomo, immolati sull’altare della violenza e del fanatismo, è il sacrificio dei tanti che hanno lasciato la vita a causa della repressione dittatoriale. *** Quella dei lager nazisti, enorme piaga aperta nel cuore dell’Europa del XX Secolo, è una pagina dolorosissima della nostra storia contemporanea, scritta col sangue di migliaia e migliaia di poveri testimoni innocenti che hanno dato, con il loro amaro tributo, un insegnamento a tutti noi, uomini del Duemila. L’esperienza dei campi di orrore di Aushwitz, Dachau, Ravensbruck, Flossenburg, Mauthausen, impressa nei muti volti dei deportati di ogni nazionalità, i quali, con il loro sguardo di sconfitta e rassegnazione, ci colpiscono a fondo dalle fotografie in bianco e nero nei libri e nei documentari televisivi, vuole essere un monito, perenne e universale, affinché ciò che è accaduto non debba più ripetersi. Claudia Petracca parla direttamente al cuore del lettore, con questo libro che rientra perfettamente nel milieu della letteratura femminile salentina che, in questi ultimi tempi, sta dando prove certo notevoli. Dalla sua narrazione, come avevo già notato con il precedente romanzo, emerge
Da Lupo editore, Un volo sulla cenere, di Claudia Petracca
Lager
di Paolo Vincenti
Ad illustrare una fotografia di Massimilano Spedicato da Auschwitz e la copertina del libro
una interiorità devota ai particolari, attenta a cogliere i minimi dettagli, insieme ai momenti rivelatori della coscienza. La sua scrittura si presenta piana e regolare, niente effetti speciali della lingua, non c’è manierismo e nemmeno sperimentalismo. Genus tenue, dicevano i latini, ossia uno stile umile che non ricerca le vuote frasi ampollose o che non fa solo uno sterile esercizio di stile. I personaggi del libro sono ben studiati, le loro psicologie adeguatamente delineate ed è notevole lo sforzo di Claudia di creare un racconto storico che sia il più possibile coinvolgente. Uno sforzo, certamente premiato dal risultato finale di un intreccio ben ordito, di un libro del tutto godibile nelle brevi pagine della sua trattazione. Letteratura salentina, dicevo prima, ma non si tratta di un “romanzo salentino”, ambientato com’è in una città e in un tempo lontani. É una storia che parla di dolori, di inquietudini, di fughe e ritorni, con un linguaggio semplice e leggero. Sofia e Giacomo vedono i loro destini intrecciarsi con
quello della guerra e della segregazione razziale e la fuga di Giacomo dall’abominio di un regime spietato, per salvare non solo la propria vita ma anche quella della sua amata, lo porta a compiere un lungo giro per poi ritornare nello stesso posto da cui è partito: quel ghetto ebraico di una città senza nome che, dopo averlo accolto e protetto come un abbraccio caldo di madre, gli sarà fatale. Più che mai attuale questa storia di Claudia Petracca, se si pensa agli accadimenti politici degli ultimi anni e a quelle ondate di revisionismo storico con cui alcuni ideologi e “pseudo scienziati” europei hanno cercato di negare l’evidenza dell’Olocausto e dei campi di sterminio. Non so se per qualche motivo personale o famigliare, per rabbia, o per il bisogno di reagire ai negazionisti, ma Claudia Petracca con questo racconto ci ricorda quanto sia importante conservare il dovere della memoria. Al tema principale del narrato, che è la storia d’amore fra i due personaggi cardine, vi sono altre tematiche di carattere sociale,
politico, antropologico, affrontate dal libro. Vi è il tema del destino, che avvolge i protagonisti del racconto, e che è allegorizzato da quella foglia che si stacca dal ramo e vola, trepidando, prima di toccar terra perché non vuole cadere nell’oblio; poi, quello della ricerca, dell’assenza, che diventa presenza alla fine, anche se l’amore dei due fuggitivi ricongiuntisi non avrà happy end. E l’altro tema del libro, che è poi il suo messaggio di fondo, è quello della convivenza pacifica, del rispetto delle diversità, del valore unificante dell’amore che vuole superare qualsiasi segregazione, rompere qualsiasi barriera, linguistica, etnica, religiosa, che l’egoismo umano abbia potuto erigere. E’abbastanza chiaro per me che Claudia sia convinta propugnatrice della funzione pedagogica della letteratura, nel senso che un’opera debba docere et delectare, secondo l’insegnamento dato da Quintiliano, ossia smuovere i sentimenti del lettore, farlo anche riflettere attraverso la piacevolezza di una invenzione letteraria. Ma in ogni caso, se come afferma Antonio Prete “leggere non è valutare ma fare esperienza di una relazione, cogliere la sorgente di un pensiero che nasce dalla pagina e va a collocarsi al suo margine, o nel cuore di altri pensieri”, allora questi miei appunti di lettura non hanno nessuna pretesa di dotta prefazione o esegesi critica ma solo di “considerazioni a margine” da parte di un lettore come tanti, che in questa sede hanno ospitalità solo per il vincolo di amicizia che mi lega all’autrice. Le riflessioni di Claudia che compaiono fra le pagine trovano contesto e pretesto negli accadimenti che occorrono ai vari personaggi. Gli stati d’animo descritti si dinamizzano nel contatto con le situazioni e i fatti narrati. La scrittura per l’autrice sembra che sia finzione nella quale specchiarsi, e da questo specchio, i riverberi di ansie, gioie, sorprese e palpiti di altre vite nella quali ella ami o abbia amato immaginarsi. E così, nel cielo plumbeo di un pomeriggio smagato di ansie, di abbandono, di riluttanza, si stacca il pettirosso tremante e infreddolito e quel volo sulla cenere, da metafora di morte, diventa messaggio di speranza.
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Musica
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spagine
L’artista romano, un ‘prodotto’ targato Red Gold Green
ed Gold Green è una realtà romana che si occupa di musica. Composta da produttori, autori, bands, sound system e soprattutto amici che condividono la stessa passione: la musica reggae e quella black. L’intento del gruppo è la diffusione dei ritmi in levare e della black music su tutto il territorio italiano organizzando eventi culturali e producendo diversi artisti. Le due ultime produzioni riguardano due singoli accompagnati dal video. Si tratta di “Don’t Stop” e di “Quello che dirai”dell’artista romano WsW Wufer, componente attivo e fondatore della RedGoldGreen. La promozione di entrambe le uscite discografiche è a cura di Music In Black www.musicinblack.org. WsW Wufer ha un percorso musicale che parte da molto lontano, iniziato con lo studio del pianoforte. Dopo alcuni anni si è avvicinato alla musica black della quale se ne è subito innamorato. Attualmente è ospite fisso di Tommaso “Piotta” Zanella nel suo programma di Radio Città Futura a Roma.
WsW Wufer
di Alessandra Margiotta
L’artista ha rilasciato un’intervista per Spagine. Ciao WsW Wufer, da diversi anni ti occupi di musica black, come è nata questa tua passione? "La mia passione nasce da un mix di cose, per quanto riguarda l'hiphop lo stile di vita le sonorità che nascono dal funk dal soul già miei generi preferiti come bassista, il ritmo poi che non permette di stare fermi si sposò da subito con la passione per il ballo e la break dance è la disciplina che ho praticato per tanti anni. Nel reggae invece ho ritrovato la stessa spinta ideale del primo rap voglia di sognare un’uscita dal ghetto, di migliorare la situazione sociale per tutti, di combattere contro babilonia, e poi ci sento del misticismo che attraverso le vibez viene fuori per vie naturali nel momento in cui si ascolta l'up time, l’ hiphop è una cultura, il reggae uno stile di vita". Sei fondatore ed attivista della RedGoldGreen, parlaci meglio di questa realtà. " Il modo migliore è trascrivervi il nostro manifesto: REGGAE // RAGGA // BLACK // SOUL // RAP // WORLD MUSIC... AND ALL THE MUSIC THAT COMES FROM THE HEART AND FROM THE DESIRE FOR FREEDOM OF EXPRESSION! RedGoldGreen è un collettivo movimento artistico composto da autori, produttori, interpreti, musicisti, bands, DJs, sound systems e non per ultimo amici, sostenitori e diffusori attivi della reggae & black music. Condividendo l'amore e la pas-
sione per la musica, il movimento si propone come produttore e promotore di eventi culturali e produzioni musicali indipendenti, frutto dell'incontro e della sinergia che si crea tra le qualità personali di ogni suo componente e partecipante; ed è proprio sulla base della collaborazione, sulla libera espressione, sull'amicizia e sulla voglia di creare valori, che RedGoldGreen fonda la sua forza." Quello che dirai è il tuo nuovo singolo preceduto da “Don’t stop”, entrambi accompagnati dai video. Come sono nati questi tuoi lavori discografici? "Questi singoli come tutta la mia musica viene estrapolata da momenti pensieri situazioni della mia vita stessa e dall'osservazione e la critica di ciò che mi capita intorno, vicino o lontano, spesso uso come specchio anche in via generale parlando per voce di tutti perché gioie e dolori come le necessità, per ogni essere umano si assomigliano e quando grido l'odio o quando esalto l'amore non cambia il mio approccio, il desiderio è quello di poter dare a me stesso e al mondo un piccolo sogno di vita migliore senza ambizioni ma con tenacia, oppure descrivere per via diretta o metaforica dei pensieri concetti. Per quanto riguarda il percorso discografico i brani fanno
tradizionale per l'Italia perché credo che manchi questo aspetto ghettizzando così la nostra musica certo oggi giorno trovare canali di diffusione classici con i nuovi mezzi è ancora più difficile e non sempre hanno il risultato sperato spero solo non siano troppo underground per il mainstream e troppo main per l'underground ma questo era l'intento poter comunicare dalla base reggae rap a tutti oggi per fortuna inizia ad esserci un interesse forte per ciò che viene dal nostro Paese anche all'estero e ciò che non mi aspettavo ma speravo anche quando le liriche sono in Italiano, musica in libera diffusione perché il cammino è solo all'inizio". Quali sono i tuoi artisti di riferimento? " Tutti! Cosa ascolto per fare reggae? Mozart! E per fare HipHop? Jacob Miller; unici artisti che non seguo sono chi ha una posizione data più dal contesto storico o di moda o che vende anche se né tecnicamente né qualitativamente hanno molto da dare...sopratutto perché per me il filo conduttore che c'è tra i più grandi è la loro unicità. Oggi invece ci sono molte copie, anche se a volte perfette, rimangono sempre copie e poi chiaramente non seguo chi lancia messaggi troppo distanti dai miei ideali e/o la mia personale morale. Ma per darvi dei nomi forse in assoluto nel mio genere sono Bob Marley, 2Pac, James Brown". Cosa pensi della musica black italiana? "Ma come in tutta la musica c'è tanto di buono e tanto di tremendo c'è musica che va giudicata bene come musica stessa ma che ha poco da dire e musica che ha molto da dire ma che non riesce ad avere una buona qualità tecnica per essere diretto direi che c'è molto di buono ma le cose migliori hanno difficoltà ad uscire perché in Italia c'è ancora poca cultura di genere e la massa non è molto educata all'ascolto tecnico storico, perché nel nostro bel Paese c'è ancora il pensiero che l'arte sia sempre un Hobby e non un lavoro e questa "ignoranza" porta a non poter determinare un giudizio vero da parte dei più. Cosi arrivano cose al mainstream che sarebbero spazzatura in altri paesi ma la verità è che c'è e va sostenuta, artisti come Brusco i Sud, Kaos one, Bassi Maestro, Piotta, storici e moltissimi altri della new school non sono meno di nessuno a livello mondiale e se solo ci fosse più considerazione e spesa, l'arte italiana come nell'800 saprebbe ancora oggi imporsi nel mondo. Speriamo".
parte di un mio progetto disco che vedrà la luce in questo 2014 con una storia unica che collega ogni brano metaforicamente rappresentata dal "giusto pirata" ovvero un personaggio inventato che attraverserà tutte le fasi della vita di un uomo giusto che crede ancora oggi nella speranza di un mondo migliore, nei veri sentimenti, nella lotta per la libertà e come promozione di tutto il lavoro e di tutti i lavori redgoldgreen siamo partiti dall'uscita di due brani inseriti in un disco storico Hit Mania Dance che da quest'anno con la nostra cura insieme a quella di Tommaso Piotta ha inserito un 4 cd vicino a tutti gli altri, dal nome Street Urban, cd che ha l'aspirazione di far conoscere realtà nuove dalla penisola in chiave rap e reggae e su questi singoli ho avuto il piacere di poter realizzare i due video con la collaborazione e regia di Matteo Montagna e la sua Alternative prod". Sei soddisfatto della riuscita di questi lavori o ti aspettavi un riscontro maggiore? "Ma il riscontro per un artista Grazie per la tua disponibilinon basta mai e finge chi dice il tà. “Grazie a voi di Spagine per lo contrario perché la musica stessa spazio che mi dedicate”. ha una funzione di messaggio soprattutto il reggae di certo in questi due brani ho avuto la voglia di trovare una comunicazione un po’ più
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Laboratori Al Fondo Verri a cura di Milena Galeoto “Storie in scena” Il primo appuntamento, sabato 15 febbraio dalle 17 alle 19, in scena: La fuga di Pulcinella e altre storie con un simpatico laboratorio per costruire insieme la marionetta della nota maschera napoletana e conoscere le sue origini. Sabato 22 febbraio dalle 17 alle 19, in scena: Tante storie per giocare con il laboratorio “T’illustro una storia” per conoscere da vicino l’arte di illustrare storie e i maggiori illustratori che hanno raffigurato i racconti del narratore più amato dai ragazzi, come Raul Verdini, Bruno Munari, Emanuele Luzzati e Altan. di Milena Galeoto
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uando parliamo di Gianni Rodari, ci giunge immediata l’originalità e la melodia racchiuse nelle sue parole, così dirette e illuminanti, che lasciano piacevolmente sorpresi sia grandi che bambini. E’ Gianni Rodari che con leggerezza ed ironia riesce a scuoterci profondamente dal torpore quotidiano, per lasciarci gustare anche i più minuscoli dettagli della vita. Sono le sue filastrocche e le sue appassionanti fiabe ad essere così attuali ed universali perché universali sono i valori di pace, uguaglianza, amore per la natura e i sacrosanti diritti dei bambini e dei sognatori, che ci giungono nitidi attraverso le curiose vicissitudini dei suoi personaggi. Qual è il valore della fiaba? “Nei bambini c’è il bisogno della fiaba, e questo può essere in contraddizione con la necessità da parte della società di educare uomini e donne efficienti, produttivi. Però anche limitati in uniche direzioni. Noi dobbiamo educare uomini completi, educare la loro immaginazione, la loro fantasia. E la fiaba è anche un modo per avviare loro a questa formazione”, sosteneva lo scrittore e pedagogista di Omegna. Gianni Rodari è il maestro che tutti noi avremmo voluto avere, in grado di formulare una vera e propria Grammatica della Fantasia per inventare storie nuove, perché si sa che è nell’arte di inventare nuove realtà che si radica il cambiamento, che si attua lo slancio del divenire . “… Un sasso gettato in uno stagno suscita onde concentriche che si allargano sulla superficie, coinvolgendo nel loro moto, a distanze diverse, con diversi effetti, la ninfea e la canna, la barchetta di carta e il galleggiante del pescatore. Altri movimenti invisibili si propagano in profondità... Non diversamente una parola, gettata nella mente a caso, produce onde di superficie e di profondità, provoca una serie infinita di reazioni a catena, coinvolgendo nella sua caduta, suoni, immagini, analogie, ricordi, significati e sogni. In un movimento che interessa l’esperienza e la memoria, la fantasia e l’inconscio”. E’ scritto nella sua Grammatica della Fantasia. Come nasce il concetto di questa logica fantastica? “Era il 1938”, raccontava Rodari in una sua intervista alla fine degli anni ‘70, “che nei frammenti di Novalis trovai questa riflessione: - se avessimo anche una Fantastica come una Logica, sarebbe scoperta l’arte di inventare storie. - Pochi mesi dopo, avendo incontrato i surrealisti francesi, credetti di aver trovato nel loro modo di lavorare, la Fantastica di cui andava in cerca Nova-
lis. La Grammatica della Fantasia, non rappresenta né il tentativo di fondare una Fantastica in tutta regola, pronta per essere insegnata e studiata nelle scuole come una geometria, né una teoria completa dell’immaginazione, dell’invenzione per la quale ci vorrebbero ben altri muscoli e qualcuno meno ignorante di me. Non è nemmeno un saggio, non so bene cosa sia, in effetti, vi si parla di alcuni modi d’inventare storie per bambini, di aiutare i bambini a inventarsi da soli le loro storie. Io spero che possa essere utile a chi crede nella necessità che l’immaginazione abbia il suo posto nell’educazione, a chi ha fiducia nella creatività infantile, a chissà quale valore di liberazione possa avere la parola. Tutti gli usi della parola a tutti mi sembra un bel motto dal suono democratico, non perché tutti siano artisti, ma perché nessuno sia schiavo.” E’ Gianni Rodari, uno dei più grandi poe-
ti e visionari del Novecento, lo scrittore impegnato nella Liberazione, la stessa che senti immediata quando leggi le sue storie, cogliendo il lato piacevole della vita, che la rivoluzione nasce dentro di te, quando impari a riportare i sogni alla luce con tutta la loro bellezza. Egli ha saputo dare tanto al mondo dell’infanzia e della letteratura, liberandola dall’obbligo di quel moralismo imposto dagli adulti, così distanti dal mondo dei bambini, per restituire loro, invece, la possibilità di essere lettori attivi, partecipi, protagonisti delle storie che leggono o che inventano. Il suo umorismo dell'assurdo, il gioco della dissacrazione dei luoghi comuni, gli stravolgimenti del linguaggio altro non sono, infatti, che l'invito a liberarci dagli schemi, dai pregiudizi, dal conformismo per guardare più lontano.
Appuntazzi Gianluca Costantini con le note di stagione...
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Lecce, 9 febbraio 2014 - spagine n° 0 - della domenica 16
Arte
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ggi, domenica 9 febbraio, tra una centrifuga e un’altra, si discute di fotografia contemporanea e di paesaggio alla Lavanderia Jefferson per il quinto appuntamento di Washing by watch, rassegna di videoarte e photo screening promossa dall’associazione DamageGood. Ospite dell’evento, Domingo Milella. L’appuntamento è a Lecce in via Egidio Reale alle 19.00. *** Domingo Milella, apre il calendario di appuntamenti previsti per febbraio. Artista classe 1981, Milella vive e lavora tra Italia e New York. Nel 2005 consegue il BFA presso la School of Visual Arts di New York, mentre due anni più tardi conclude una residenza presso il Centro Atlantico per le arti in Florida. Tra i suoi mentori si citano Stephen Shore, Thomas Struth e Massimo Vitali. Ha esposto sia in mostre personali e collettive negli Stati Uniti e a livello internazionale. L’opera di Milella, spesso realizzata su grandi formati fotografici, definisce nell’estetica un nuovo concetto di “pittoresco”, riferito a quei luoghi della civilizzazione urbana che entrano in contrasto con la natura del paesaggio circostante e permettono una riflessione più efficace sulla relazione tra l’elemento umano e l’ambiente in cui agisce. Per Washing by watch l’artista si focalizzerà su alcuni dei suoi lavori, frutto di lunghi viaggi che lo hanno portato nel Sud dell’Italia sino l’America e sulle tracce di ntiche civiltà del passato. I soggetti di Milella sono la città, i suoi confini, i segni della presenza dell’uomo sulla terra. Il suo interesse risiede nella sovrapposizione tra civiltà e natura, nell’architettura investigata come memoria individuale e collettiva. *** Prossimi appuntamenti in calendario domenica 16 e 23 febbraio, rispettivamente con Michele Cera e Daniele Guadalupi. A marzo, in programmazione video screening con Nico Angiuli e Sandro Mele. In lavorazione, anche un evento speciale per la chiusura della rassegna.
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Washing by watch
Un ciclo di videoart e photo screening a cura di DamageGood alla LAVANDERIA JEFFERSON di Filippo e Andrea Cariglia
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L'arte di costruire la città Architettura e scultura del Settecento Mauro Manieri e i Domenicani di Ceglie Messapica
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“Alla moderna” di Fabio A. Grasso
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auro Manieri (Lecce, 1687 – 1744), fu scultore e architetto fra i più significativi della prima metà del Settecento in Terra d'Otranto e Ceglie Messapica. Cosa unisce il primo con la seconda? L'architettura, si potrebbe dire, o meglio cinque altari collocati all'interno di quella che un tempo fu la chiesa locale dei Domenicani. L'attribuzione a Mauro Manieri avviene per via stilistica facendo cioè un confronto con altre opere notoriamente assegnate a questo importante artista salentino. Chi volesse farsi una idea su Manieri basterebbe considerasse, studiasse, vedesse il palazzo del Seminario in Brindisi, la statua di Santa Irene sulla porta principale della omonima chiesa leccese oppure la facciata principale, con relative statue, della cattedrale di Taranto. Più ancora aiuterebbe vedere il palazzo Marrese a Lecce e i primi due altari (l'uno a destra, l'altro a sinistra) che si trovano entrando nella leccese chiesa del Carmine dove allo stesso autore è stato, come noto, attribuito anche l'altare maggiore. Mauro Manieri, detto in sintesi, fu uno dei maggiori interpreti di quel modo di costruire che alla sua epoca fu definito “alla moderna”. La chiesa domenicana di Ceglie Messapica è a navata unica con tre profonde cappelle per lato. Una di esse, quella centrale sinistra, è senza altare in quanto nella sua parete di fondo si apre l'accesso secondario all'edificio dalla strada pubblica. Le cinque cappelle rimanenti ospitano invece sulle
rispettive pareti di fondo proprio i cinque altari attribuibili, come qui detto, a Mauro Manieri. Fra tutti, solo in uno al momento, il terzo a sinistra entrando nell'edificio e dedicato al Rosario, è rilevabile una data (nel paliotto è inciso MDCCXXXV ovvero 1735) che potrebbe essere relativa però anche alla realizzazione degli altri altari nelle cappelle rimanenti. Di fronte all'altare del Rosario è quello dedicato alla Circoncisione di Nostro Signore. Il secondo a destra è dedicato a San Domenico, il primo entrando a destra attualmente è detto del Crocifisso (il titolo di ogni altare è dettato dalle opere d'arte principali in essi oggi esposte oppure sulla base delle indicazioni forniteci in sede di sopralluogo); di fronte a quest'ultimo infine è quello dedicato a san Tommaso d'Aquino. Gli altari sono riccamente decorati con statue pure colorate raffiguranti i principali santi e sante dell'Ordine Domenicano (e non solo visto che nel primo altare a destra si scorgono in alto due statue l'una di san Francesco di Paola, l'altra sant'Antonio di Padova) e quelli che si fronteggiano sono tra loro pressoché uguali nel rispetto della simmetria generale dello spazio sacro che li ospita. *** La chiesa è stata visitata grazie alla cortese collaborazione di: P. Maggiore, G. Scatigna Minghetti, Giuseppe Rollo (Associazione Leoni di Messapia).
Chiesa domenicana di Ceglie Messapica Gruppo scultorero ai piedi del primo altare a sinistra
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Azione di art mob a Villa Baldassarre ad opera dei gruppi Viva Villa e A.No.Vi. (Arte No Violenza)
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Be Peluche
“L’arte contro la devastazione del territorio, per salvaguardarlo da ogni forma di violenza”
di Gianluca Conte
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n un freddissimo giorno di fine gennaio, a Villa Baldassarri, una piccola località del Salento nelle vicinanze di Guagnano, ha fatto la sua comparsa una tenerissima installazione – trattasi di tanti, tantissimi peluches appesi alle pareti della scuola elementare (l’edificio è ormai abbandonato) – che ha suscitato le più disparate emozioni negli osservatori. Di cosa si tratta? È “Be Peluche”, azione di art mob ad opera dei gruppi Viva Villa e A.No.Vi. (Arte No Violenza). L’art mob, utilizza la tecnica del flash mob attraverso l’arte. In passato, i gruppi in questione hanno organizzato altri eventi a Cerano, contro l’inquinamento dell’arcinota centrale; sulla Statale Maglie-Otranto, contro lo sventramento degli ulivi secolari; a Mesagne, in Contrada Vasapulli, contro il fotovoltaico selvaggio. Dice Mina D’Elia, artista che opera all’interno del movimento Arte No Violenza: «È l’arte contro la devastazione del territorio, per salvaguardarlo da ogni forma di violenza».
C’è, nelle intenzioni degli artisti, l’idea di annullare le distanze tra il centro e la periferia, donando a quest’ultima un’attenzione che la riporti alla vita. Sarebbe, dunque, un primo vero intervento in cui l’arte viene usata come uno stimolatore del dialogo, per coinvolgere tutta la comunità, per “fare” comunità. In prima istanza, l’arte come bene comune. Purtroppo, come spesso accade, le istituzioni rispondono in modo edulcorato, quando non sono del tutto assenti. In questo caso, gli artisti lamentano lontananza e silenzio. Ma non c’è da scoraggiarsi: l’arte può e deve essere uno strumento di socializzazione, di condivisione e di lettura critica della realtà, perfino di abbattimento dei conflitti. Aggiunge la D’Elia: «Usare la dolcezza e l’arte per rendere possibile la speranza, per combattere il brutto che scaturisce dalla mancata salvaguardia della terra; pensiamo, ad esempio, alla cementificazione, alla cancellazione del paesaggio, all’inquinamento. Del-
le volte tutto appare tetro e difficile, come difficile appare il futuro dei nostri ragazzi, che non hanno più guide umane, e soffrono la cancellazione dei saperi, dei valori di condivisione». Ma non tutto è perduto, anzi. È in atto una rivalutazione delle zone di periferia, contro quella che viene definita la “filosofia del margine”. Il fine ultimo è creare un laboratorio urbano che veda coinvolto tutto il paese. D’altronde, i primi segni positivi si sono già riscontrati: la cittadinanza ha risposto a caldo con una passiva curiosità, per poi passare a porre attivamente delle domande. A tal proposito la D’Elia: «Si è capito che dietro tutto il nostro lavoro c’è un messaggio, non un gioco di ragazzini. Questa non è un’azione nostalgica ma un “fare comunità”, rendere cioè possibili le relazioni tra persone, relazioni che oggi sembrano distrutte». L’artista ha poi aggiunto che l’azione artistica in questione non rimarrà un episodio isolato, ma sono già in preparazione altri eventi, sempre all’insegna della
partecipazione e della condivisione. Questa “chiamata all’arte” – come la D’Elia ama chiamarla – ha già avuto come risultato immediato la creazione del gruppo Viva Villa, che non esisteva e si è creato come diretta conseguenza dell’evento, dice ancora la D’Elia: «Quasi un primo frutto di un modo “diverso” di fare arte, di sollecitare la capacità creativa e il desiderio di condivisione che altrimenti resterebbero inespressi. Il gruppo è formato da ragazzi e ragazze che credono di dovere cercare nuovi modi per modificare la realtà attraverso la cultura e, da oggi in poi, continueranno a farlo». E allora, con l’augurio che altre persone, altre associazioni, altre comunità accolgano lo spirito d’iniziativa di questi artisti e ovunque – dunque anche nel nostro assonnato Salento – ci sia un’idea dell’arte e della cultura condivisa e onnipresente, non rimane che dire: “VivaVilla! Be Peluche!”. L’installazione sarà visionabile fino al 25 Marzo 2014.
*glucaconte.blogspot.com