Spagine della domenica 18

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Un omaggio alla scrittura infinita di F.S. Dòdaro e A.Verri

della domenica 18- 23 febbraio 2014 - anno 2 n. 0

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Periodico culturale dell’Associazione Fondo Verri


Lecce, 23 febbraio 2014 - spagine n° 0 - della domenica 18

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Si è insediato il nuovo governo

Diario politico

Lo Renzino fo rs e È magnifico

nato il governo di Matteo Renzi. Gli resta il passaggio parlamentare, ossia la fiducia, prima all’«inutile» Senato e poi alla Camera. E’ al Senato che corre i rischi maggiori; meglio, che correrebbe i rischi maggiori. In realtà non ne corre, perché il mondo politico italiano è come annichilito. Lo scenario è spettrale. Pare che molti politici di belle speranze e radiose prospettive di pochi anni fa abbiano già cambiato mestiere. Penso a D’Alema, che con quella sua aria di superman gira il mondo a fare il diversamente politico; penso a Veltroni, che si è messo a fare il regista cinematografico; penso a Fini, che …beh, questo non ha ancora deciso cosa farà da grande. Ma torniamo a Renzi. Voci, ovviamente smentite, dicono che abbia avuto un “braccio di ferro” con Napolitano per dissensi su alcuni ministri, come quello per l’economia e per gli esteri. Noi non siamo d’accordo con le smentite. Non possiamo davvero immaginare un Napolitano yesman, prono alle imposizioni del bulletto fiorentino. I due non si saranno inseguiti e minacciati per lo Studio alla Vetrata, ma qualcosa se la saranno detta: Napolitano, dall’alto della sua età e della sua esperienza; Renzi ringalluzzito e spavaldo per la sua ipertrofica autostima. Vedremo. L’Italia ne ha visti tanti di Masanielli; ne ha visti anche con le palle assai più grosse e temprate di quelle del cachiello di Toscana, che non è un vino. I quattro lettori che mi seguono potrebbero legittimamente dire: ohè, ma non te ne va bene uno! In fondo Renzi è giovane, scaltro, determinato! E poi, se va male pure lui, va male al paese. E tu, non dovresti essere preoccupato? Dico la verità. Tante obiezioni me le sono fatte e me le faccio come ogni cittadino italiano preoccupato di quanto è accaduto e sta accadendo. Spererei con tutta l’anima che Renzi riuscisse a tirar fuori il meglio di questo paese per fargli riprendere il suo cammino di dignitosa presenza nel mondo, quale gli compete.

di Gigi Montonato

Matteo Renzi

Quel che mi spaventa non è Renzi. Renzi mi può irritare coi suoi modi e la sua maleducazione. Mi spaventa l’assenza della gente che in un paese come il nostro dovrebbe contare, non dico di più; dico che dovrebbe contare e basta. Invece, vedo una sorta di fuggi-fuggi generale; un nascondersi imbarazzato e imbarazzante, che somiglia tanto a quel sentimento che incombe sugli studenti quando il professore li guarda per interrogarne qualcuno. Dove si è cacciata la classe dirigente di questo paese? Non se ne vede neppure l’ombra. Tra scherzi da Jene e proposte vere in questi giorni alcuni interpellati si sono rifiutati. No pesanti, che hanno subito ridimensionato la credibilità di chi chiedeva. Mi dispiace dirlo, ma se guardo i ministri di Renzi non mi viene proprio di sentirmi rassicura-

to. Sembrano un gruppo di boyscout, di ciellini, di escursionisti. Mario Calabresi, direttore de “La Stampa” parla di leggerezza del governo Renzi. Le cose si possono dire in tanti modi; la sostanza non cambia. Io vedo in filigrana un Renzi che ha voluto circondarsi da persone che non si permetteranno mai di replicare ai suoi ordini. Da studioso di fenomeni politici vedo una straordinaria conquista del potere assolutamente inedita. Uno, che in democrazia giunge a realizzare quello che vuole, senza essere stato mai votato, senza che nessuno lo ostacoli, senza che si confronti con altri; che riesce a creare un governo i cui ministri sono tutti ai suoi ordini, non saprei come definire lui ma neppure la democrazia che gli ha consentito di fare quel che ha fatto. E’ una democrazia che si è dimessa dal suo ruolo, che è quello

di chiamare a raccolta i cittadini e farli votare. Chi è Renzi, il principe moderno del Machiavelli? Il golpista sudamericano che non t’aspetti in un paese europeo? Un impostore di comodo, perché solleva gli altri dalle loro responsabilità? Speriamo che almeno in questo gli esperti sappiano dare una risposta; senza preoccuparsi, però, di offendere o di non offendere. Qui si sta parlando dell’Italia, non di come organizzare il prossimo festival di Sanremo, dopo il fiasco di quest’anno. C’è nel paese una sfiducia paurosa. Le sue risorse migliori, che non sono solo quelle dei giovani, si sono come volatilizzate. E’ venuto meno l’orgoglio di essere italiani e di poter rappresentare l’Italia con onore nelle assise internazionali. Oggi si è diffuso un sentimento quasi di vergogna a rappresentare l’Italia in Europa, dove altri paesi meglio messi del nostro ti fanno sentire un paese declassato e subordinato. Ecco come si spiega la fuga dalle responsabilità di tante nostre «eccellenze». Qualche anno fa Giovanni Agnelli rappresentava l’Italia in Europa e nel mondo con fierezza e orgoglio; dava del tu a capi di Stato e di governo. I suoi amici personali erano presidenti di industrie e di banche. Si sentiva forte e autorevole perché era italiano. Oggi i suoi eredi se ne sono perfino andati dall’Italia perché proporsi come italiani nel mondo significa vestirsi di debolezza e di inattendibilità. Renzi ha raccolto quanto gli altri hanno lasciato. Non ha fatto una gara ed ha vinto. Si è fatta una passeggiata ed è giunto senza nessun problema al traguardo. I veri problemi per lui inizieranno da domani. E, purtroppo, non solo per lui!


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Appuntazzi Da Gianluca Costantini un ritratto di Principio Attivo Teatro

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memoria

“Vittorio Bodini – Un uomo condannato al coraggio” In mostra al MUST di Lecce 250 immagini che testimoniano la vita, la produzione letteraria e le relazioni culturali del poeta

Tu non conosci il Sud “ di Luigi Mangia

Tu non conosci il sud” è in questo verso lezione di Vittorio Bodini. Lecce 2019 non può dimenticare, e quindi, non può trascurare, studiare e promuovere la figura del poeta Bodini, nato a Bari il 1914 e morto a Roma il 1970. Il 6 Gennaio è stato l’anniversario del centenario della nascita del poeta che con i suoi versi ha dato voce ad una terra a torto considerata provincia culturale. Vittorio Bodini fu un poeta ricco di energia, protagonista della letteratura del ‘900 e convinto sostenitore del futurismo letterario a cui legò nella sua sensibilità la bellezza del paesaggio del Salento, la terra del sole umido. La poesia di Bodini non è stata una voce di lamento di provincia subalterna ai movimenti letterari più innovativi del ’900, ma ruolo innovativo e cerniera di ricerca di attenzione ai grandi poeti: le sue traduzione delle grandi opere di Garcia Lorca e Alberti sono il lavoro migliore che argomentano e testimoniano il suo impegno e la sua grande conoscenza della Letteratura spagnola. Bodini fu poeta del Salento, voce del Mediterraneo. Il Barocco leccese vive e si rafforza della lezione poetica di Bodini. I cortili, le strade come le case bianche di calce diventano materia della sua riflessione poetica. Le campagne ordinate nei muri a secco, le terre disegnate nel verde dei filari delle vigne trovano esaltazione nei suoi versi. La vita lenta e semplice dei borghi rurali, come “Cocumula” diventano forza innovativa di grande interesse anche in poesia e possiamo dire che Bodini fu l’iniziatore di quel modello culturale della poesia dei borghi e quindi del paesaggio rurale. Poeti come Antonio Prete (fiori di pietra) e Antonio Errico (finibus terrae ) sono voci della lezione del poeta Bodini che amò la Spagna e cantò il Salento senza amarlo e senza essere mai pienamente valorizzato almeno durante la sua vita. Lecce 2019 deve incontrare il

Vittorio Bodini e sullo sfondo il busto del nonno Pietro Marti nella Villa Comunale di Lecce

Tu non conosci il Sud, le case di calce da cui uscivamo al sole come numeri dalla faccia d'un dado. Quando tornai al mio paese nel Sud, dove ogni cosa, ogni attimo del passato somiglia a quei terribili polsi dei morti che ogni volta rispuntano dalle zolle e stancano le pale eternamente implacati, compresi allora perché ti dovevo perdere: qui s'era fatto il mio volto, lontano da te, e il tuo, in altri paesi a cui non posso pensare. Quando tornai al mio paese nel Sud Io mi sentivo morire.

Un’opera di Vincenzo Congedo dedicata a Vittorio Bodini

poeta “della luna dei Borboni” e “foglie di tabacco” per fare il percorso della sua candidatura a capitale della cultura europea. Tra le otto utopie , mentre “Democratopia “promuove il cambiamento della cultura: politica sociale urbana e culturale, e attraverso “Polistopia” che re-inventeremo i nostri valori di cittadini capaci di ascoltare la voce dei poeti. Ho espresso il desiderio di vedere in quel modello nuovo di vivere il tempo e abitare lo spazio prevedere l’istituzione dei cortili del pensiero e i viali della lettura. Abbiamo perso la capacità di ascoltare, di sentire nella voce la narrazione dei corpi. Abbiamo subito la separazione della mente dal corpo ed il pensiero di solitudine, bianco privo di emozioni si è fatto abitudine di relazioni. La città dei luoghi del pensiero, il Salento, terra parco di culture e porta d’oriente, pone e pratica il cambiamento nell’educazione nel terzo Millennio. Le basi e le ragioni sono articolate in “Edutopia”. “Il modello in cui i luoghi dell’istruzione diventano strutture con porte aperte alla città; un modello di valori inclusivi, dove le persone sono insegnanti e studenti allo stesso tempo, protagoniste del loro processo di apprendimento; un modello che riconosce il fatto che non ci sono bambini senza talento e allo stesso tempo riconosce i loro talenti individuali, in modo che essi siano in grado di soddisfare i loro obiettivi i loro sogni attraverso la nostra rivoluzione dell’istruzione secondo Eutopia” L’istruzione vive di poesia e i poeti sono la luce e l’esempio nel cammino della formazione personale ed intellettuale dei giovani nel tempo di crescita. La memoria senza la poesia è ghiaccio che resiste al calore della vita. La poesia è come il sole: luce per la mente, senso di orientamento nella storia. “Tu non conosci il sud” del poeta Vittorio Bodini è l’invito migliore a re-inventarci senza perdere il piacere di scoprire i sapori della nostra terra.


Poesia

La forza dei poeti

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di Marcello Buttazzo

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uante volte respirammo tormento, chiudendoci a riccio d’aculei nella nostra scorza ferita? Quante volte salutammo il mondo sensibile, “incapace di comprendere”, e ci rifugiammo nelle ascose periferie? Quante volte addebitammo all’altro la nostra incapacità di amare? Quante volte onnipotentemente pensammo che il nostro lacerante dolore fosse “la ragione del mondo”, “la dimensione aritmetica di tutte le cose”, l’epicentro d’ogni accadimento? Non giova ad una definizione limpida del nostro sé una visione intransigente, asfittica, come se la quotidianità vissuta fosse un susseguirsi di bianco e di nero, un corollario di estremizzazioni. La vita è un giardino di tonalità intermedie, di corse e rincorse, di cadute, di risalite. La vita è un Eden di possibilità e va accettata sempre, nella gioia e coi ginocchi piagati, nella esaltazione e nella prostrazione più cupa. Va masticata quasi fosse una verde foglia. Va digerita, mai sputata. Metabolizzata coscientemente e lentamente, ascoltata nei suoi echi silenti e fragorosi, nei suoi frastuoni, nelle sue maree di ritorno. Va accolta nel suo luminoso albeggiare, quando i fiochi lucori sono promesse, attese. E, forse, qualcosa verrà. La vita va vissuta con occhi da poeta, con occhi incantati e semplici, da fanciullo. E ogni tramonto è una passione d’ardore, che nel cielo s’arancia. E la notte, che a volte impetuosa e impietosa avvolge le nostre esistenze con nera mantiglia, è solo un episodio nel-

Ad illustrare l’immagine degli spazi del Polo Reale di Torino che ospitano la mostra Doppio Sogno che unisce in un percorso esterno-interno la scultura, la pittura e la scrittura poetica. Sulla parete una poesia del nostro Salvatore Toma, tratta da Il canzoniere della morte (Einaudi) .

l’eterno cammino, una parentesi, una strada comunque da varcare. Perché l’aurora verrà. Quante volte credemmo ingenuamente che l’esistenza dovesse essere solo gioia, festa, godimento smisurato, diletto senza fine? Ma l’esistenza è anche dolore, che è la componente antropologica che dà sostanza e direzionalità. Il dolore va vissuto, attraversato, interpretato, scomposto e ricomposto, per edificare

giorni nuovi. Il bambino ferito va cullato, coccolato, capito, invogliato a perdonarsi e a perdonare, ad aprirsi al rapporto propositivo con l’altro da sé. Nel rapporto sereno con l’alterità possiamo gustare meglio parti di noi, possiamo visitare altri sconfinati universi. E possiamo apprestarci al viaggio. Al viaggio della vita. L’eterno percorso fatto di strade sterrate, tortuose, lineari, dove gli incon-

tri più fortunati sono balsamo nutriente sulle ancestrali ferite. Gli altri sono fari abbaglianti, che spazzano via le brume e lo scuro della notte. Entrare in amorosa corrispondenza con i propri simili vuol dire marcare a caratteri d’oro il libro del presente e dell’avvenire. Costruire la storia, le storie degli umani destini. Quante volte incautamente pensammo, tra l’altro, che l’esistenza degna di essere vissuta dovesse avere solo una forza prorompente di gaudente vitalità, dovesse essere solo integrità? L’esistenza, invece, ha una sua natura inerente, una sua strutturazione radicata e significativa anche nel dolore e nella malattia. Che, se ben trasformati e indirizzati, possono essere non porto di travaglio e rassegnazione, ma il primordio d’un inedito percorso. Il dolore e la malattia hanno una memoria, un codice, un’etica, un’ontologia, un cosmo di stelle. Sono una centrale atomica, che può dare energia. Alda Merini, ne “La Terra Santa”, canta: “La malattia ha un senso, una dismisura, un passo, anche la malattia è matrice di vita”. E la grande poetessa dei Navigli aveva patito a fondo l’ invasività e gli insulti dell’ospedale psichiatrico con tutte le sue nefandezze. Ciononostante, afferma “anche la malattia è matrice di vita”. Anche nella sofferenza più straziante e amara non viene mai il desiderio del sogno, l’ anelito d’amore. Dei suoi giorni in manicomio, Alda Merini scriveva: “Ecco, sto qui in ginocchio, aspettando che un angelo mi sfiori leggermente con grazia, e intanto accarezzo i miei piedi pallidi con le dita vogliose di amore”.


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Incontri

Ildell’illustratore mestiere

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uando sfogliamo un bel libro illustrato, il nostro sguardo è piacevolmente catturato da immagini che riescono a racchiudere il senso del testo, accompagnando il lettore a contemplare pienamente il racconto, attraverso la rappresentazione di emozioni, di figure e colori che ne interpretano la storia. Spiegare anche ai piccoli lettori il mondo dell’illustrazione è un’occasione per restituire ai libri che leggono, il giusto valore, perché dietro ciascun’opera, c’è il lavoro combinato di più persone e nell’ambito della letteratura per ragazzi, autore e illustratore sono considerati, entrambi, creatori dell’edizione pubblicata. Per comprendere da vicino l’affascinante mondo delle immagini illustrate, incontro Gianluca Garofalo, che ha disegnato per diverse case editrici, italiane e straniere. Su questo sito è possibile conoscere da vicino i suoi lavori:www.gianlucagarofalo.com L’attività dell’illustratore è davvero impegnativa, ma immagino anche gradevole per chi la svolge con passione, così mi sorge spontaneo chiederti quando hai manifestato quest’attitudine? C’è da distinguere. L’attitudine al disegno l’ho manifestata da subito, da bambino, dove il momento più bello era quando c’era da disegnare ciò che accadeva nel dettato, a scuola. Un’attitudine supportata dalla mia famiglia: mio padre è un pittore, prima che un insegnante. Sono, quindi, cresciuto in un ambiente stimolante, in questo senso. Pennelli, matite, acquaragia (soprattutto l’odore…), colori di tutti i tipi. Per cui, ho sempre disegnato, fino a quando decisi di iscrivermi al liceo artistico. Studi vari e via dicendo. Invece, l’intenzione e la consapevolezza di volere e poter essere un illustratore si è manifestata tardi. Avevo trent’anni. Dopo aver pensato di poter essere un veterina-

di Milena Galeoto

Nelle pagine due opere di Gianluca Garofalo euna fotografia che lo ritrae nel corso di un laboratorio

rio e dopo aver provato ad immaginarmi architetto. Oltre ad essere un illustratore, designer e grafico, sei anche impegnato ad incontrare i ragazzi nelle scuole, attraverso laboratori di percezione visiva, disegno e illustrazione per bambini. Ritieni che la scuola offra spazio sufficiente alle discipline artistiche? Quali sono gli approcci didattici che possono inibire la libera espressione? Il design è ciò a cui vorrei dedicarmi maggiormente dopo l’illustrazione. Questa è una domanda difficile. Difficile perché l’incastro di responsabilità, di professionalità, di cultura e di storia consolidata nel nostro paese, ne fa una questione molto delicata. Richiede anche una lunga esposizione. Mi perdonerete. Il primo linguaggio grafico, basato sull’uso di segni tracciati “a significare”, è il disegno, non la scrittura. Se ci si ferma a pensare, ci si accorge che, nella storia il linguaggio basato sul disegno ha

sempre preceduto quello basato sulla scrittura. In alcuni casi, l’importanza di un “linguaggio disegnato”, dell’uso di immagini verosimili e riconoscibili, ha addirittura sostituito la scrittura. Quando si vuole essere “universali” ci si affida ad un pittogramma, ovvero ad un segno che rappresenta la cosa vista e non quella udita. La corrispondenza tra grafema e fonema è una questione molto successiva nell’evoluzione del linguaggio scritto e molto più “complicata”. Scrivere è molto più difficile che disegnare, ad un livello elementare, basico, perché il processo logico è più articolato: grafema – fonema, fonemi – parola, parola – lingua, lingua – significato. Eppure tutti siamo in grado di scrivere. Non dico il capolavoro della letteratura mondiale, nemmeno un buon romanzo, ma la lista della spesa. L’appunto che ci serve per ricordare, il commento sul social network…Tanti, al contrario, dicono di non saper disegnare. Com’è

successo che il nostro primo linguaggio grafico, il più naturale, sia diventato qualcosa di così distante da noi?La mia esperienza mi porta a pensare che, nelle scuole dell’infanzia, nella didattica dei primi anni di istruzione, ci sia un buco. L’insegnamento della scrittura, della lettura, del linguaggio vocale, è supportato da professionalità precise, valide, aggiornate, di buona qualità. Per quel che riguarda il disegno, invece, purtroppo, è necessario affidarsi alla buona sorte di trovare un insegnante che abbia una certa preparazione anche in questo campo. Non perché le insegnanti abbiano qualche demerito, in quest’ottica, ma perché l’evoluzione della nostra società ci ha portato fin qui. Le insegnanti non sono preparate e non possono esserlo. Occorrerebbero insegnanti specifici. Per cui è molto facile che un bambino che inizia ad esprimersi con il disegno, che comincia a raccontare le sue storie così, non trovi terreno fertile. Il più delle volte trova delle convenzioni che è costretto ad accettare. Ad esempio: il cie-


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A colloquio con Gianluca Garofalo

lo è blu, il sole è giallo, l’albero verde e via dicendo.Anche la disposizione sulla superficie del foglio dei disegni è una convenzione tutta adulta. Abbiamo perso l’uso del disegno come immagine sequenziale (il fumetto ne è un residuo…). Per noi l’alto del foglio è il sopra e il basso il sotto. Per un bambino, prima di un certo momento nella sua evoluzione, c’è un prima e un dopo. La sua è una disposizione temporale, non spazia-

le. Lui non ne sa nulla della prospettiva. A lui interessa il racconto. E via con i malintesi…Nei laboratori che ho il piacere di tenere con i bambini, cerco di scardinare proprio queste convenzioni. A volte in contrasto evidente con le maestre che, non per colpa loro, sono sprovviste dei mezzi necessari per leggere ciò che hanno davanti agli occhi.I risultati sono pazzeschi! Fatemelo dire, commoventi.perché il bambino definito dislessico che trova il suo modo di raccontare e lo vede riconosciuto, è una faccenda meravigliosa. Scusate la lungaggine. Volendo osservare da vicino il tuo lavoro, ogni volta che una casa editrice ti consegna una storia da illustrare, segui delle precise strategie,indicazioni o ti lasci guidare dal racconto, sul percorso da seguire? E come nasce un’illustrazione? Non c’è una regola univoca. La produzione di un libro illustrato è

un lavoro di équipe. La redazione, l’editor, il grafico, sono tutte figure che concorrono alla buona riuscita del volume. Per questo motivo è raro che l’illustratore si trovi senza alcuna indicazione da parte dell’editore. Ma succede. La prima cosa di cui mi preoccupo è che ci sia corrispondenza con il testo. Non in senso stretto, ma a livello narrativo, “atmosferico”. L’illustrazione deve essere parte integrante del libro anche da un punto di vista legato alla sensazione, alla coincidenza con i toni e le atmosfere del racconto. Questo non vuol dire che debba essere didascalica. Cerco i punti salienti del racconto, i colpi di scena, i vari fulcri su cui il racconto si appoggia, e li illustro. In genere cerco di evitare il momento preciso. Non mi piace “dichiarare” con l’illustrazione. Preferisco illustrare il subito prima o il subito dopo, l’attimo che fa pensare e immaginare.Prendo la

spagine carta, la scelgo con cura. La attacco su una tavoletta di legno in modo che non si incurvi con l’acqua e resti tesa. Comincio a figurarmi, mentalmente, il tipo di immagine che vorrei realizzare, a come costruirla tecnicamente e percettivamente. A volte faccio uno schizzo a volte no. Spesso l’editore chiede delle matite prima di procedere con le illustrazioni definitive. Quindi comincio a disegnare. Se ci sono personaggi nella tavola inizio dai loro sguardi. Se mi convincono vado avanti, altrimenti ricomincio. Personalmente, posso garantire di quanto sia emozionante collaborare con te e vedere in anteprima i tuoi lavori su un progetto comune. E considero che un disegno, un’immagine tocca profondamente l’altro quando è lo stesso autore a emozionarsi nel realizzarla. É questa la vera alchimia che rende preziosa un’opera? Può darsi. Questo, però, non so dirlo. Io, da autore, cerco di realizzare immagini che mi comunichino più emozioni possibili, da quelle legate alla ricerca tecnica fino a quelle puramente emotive. Cosa vada, poi, a toccare l’osservatore, sinceramente, non saprei , posso solo intuire. Mi pare che spesso sia la verosimiglianza con il soggetto rappresentato a colpire. La maestria, diciamo così. Altre volte la poesia dell’immagine. Ma vai a sapere… (sorriso!) Concludo questa conversazione chiedendoti da madre, qualora un ragazzo manifestasse questo interesse per il mondo dell’illustrazione, quali percorsi di studio gli indicheresti? Partiamo, quindi, dal presupposto che la sua inclinazione sia stata assecondata e supportata. Bene! Il liceo artistico è una buona scuola. Non ha la struttura del classico o dello scientifico, ma non lascia a piedi. Si tratta, comunque, di un liceo e non di un istituto professionale. C’è un’attenzione al generale, quindi, oltre che allo specifico.Dopo le strade sono tante. Accademia di belle arti? Si, se i docenti sono validi. Scuole di illustrazione e design? Si, ma attenzione all’omologazione, alla standardizzazione. Scuole di illustrazione e fumetto? Stesso discorso. Alla fine, quello che conta, è il docente. Per questo motivo, nel momento in cui non serve una certificazione, un diploma o una laurea per essere un ottimo illustratore, io consiglierei di scegliere un buon maestro, che sia disponibile e che garantisca una buona bottega all’allievo. Che lo indirizzi sia da un punto di vista tecnico che professionale. Senza nulla togliere alle scuole, s’intende!


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Arte

Oggi si chiude il ciclo di febbraio dedicato alla fotografia contemporanea Ospite del settimo appuntamento alla Lavanderia Jefferson è Daniele Guadalupi; dalle 19.00 è al civico 21 di via Reale a Lecce

Washing by watch

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ell’ecologia dele l’immagine dell’arte relazionale: potrebbe essere un sottotitolo calzante per introdurre il settimo ciclo di Washing by watch, la rassegna di videoarte e photo screening co-curata da Valeria Raho e Francesca De Filippi in cui si discutere di progetti intermediali indipendenti in ambito nazionale ed internazionale in una location d’eccezione, la Lavanderia Jefferson di Lecce. La rassegna, promossa dall’associazione DamageGood in collaborazione con Collaboratori Particolari, prevede screening mirati a fare il punto sulle nuove

tendenze dell’arte contemporanea, nel video e nella fotografia. Lo strumento cardine degli incontri è soprattutto il talk informale con l’autore, protagonista dell’evento, in grado di fornire supporto critico e informativo non solo agli appassionati dei due media, ma anche ai neofiti e ai semplici curiosi della materia. *** Dopo gli incontri con Domingo Milella e Michele Cera chiude il ciclo di febbraio, oggi, domenica 23, alle 19.00, Daniele Guadalupi. Nato a Brindisi, ha coordinato nel 2009 Foresta Nascosta, innovativo progetto d’arte pubblica patrocinato dalla Provincia di Milano.

Dal 2011 è membro del collettivo di QD, diario visivo di 20 fotografi da 20 città italiane. Da sempre interessato agli sviluppi di una possibile sperimentazione tra arte pubblica e fotografia, da lui comunemente intesa quest’ultima come “familiare”, Guadalupi esplora i territori di indagine attraverso le immagini, ridefinendo una nuova mappatura dei luoghi attraverso il mezzo fotografico e video, che si presta ad una funzione sociale e collettiva non solo come strumento documentario, ma anche e soprattutto come segno del continuo mutamento determinato dall’interazione del passaggio umano, nelle piccole storie comuni e nella quoti-

dianità del vissuto. Per Washing by watch, l’autore si confronterà sul tema dell’archivio, dell’arretramento autoriale e dei sistemi - convenzionali e non di realizzazione produzione e fruizione della fotografia presentando, attraverso le esperienze maturate da Guadalupi nell’ambito di Foresta Nascosta, QD e Banca Cittadina della Memoria, differenti modalità progettuali ed esecutive. A marzo, in programmazione video screening con Nico Angiuli e Sandro Mele. In lavorazione anche un evento speciale per la chiusura della rassegna.


Racconti salentini

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Nell’antichita nel Capo di Leuca il Casale di Cellino

Poi, vennero i Turchi

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di Rocco Boccadamo

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el sud della penisola bagnata da due mari, dove hanno inizio le terre del Capo di Leuca, esisteva, nell'antichità, un villaggio avente la denominazione di casale di Cellino, in dialetto Ciddrino o Ciddrini, uno fra i tanti in cui si concentravano e riunivano piccole comunità di nativi. In occasione dei frequenti sbarchi, sul corrispondente tratto costiero, di navigli e orde di pirati, detti insediamenti furono ripetutamente attaccati e assediati, così che, con riferimento particolare, il casale di Cellino, nel quinto secolo dopo Cristo, finì completamente annientato. Si sostiene che, giustappunto dalle ceneri del minuscolo agglomerato urbano, sorse l'attuale località di Andrano, posta, da subito, sotto le ali protettrici dell’apostolo Andrea, successivamente arricchita, nei secoli successivi, con un possente e tuttora ben conservato castello e, dal punto di vista paesaggistico, impreziosita da un’incantevole marina. Nel confronto con la storia e i correlati eventi, accade talora che segni ideali e spirituali sembrino sopravvivere alle distruzioni materiali e definitive dei luoghi e dei siti. Difatti, durante il percorso, facendo sosta nella mappa del feudo andranese riconducibile esattamente

al casale di Cellino, si avverte la sensazione di respirare intorno un'atmosfera circondata da un alone lontano e in certo qual modo misterioso, eppure viva e palpitante anche ai nostri giorni. Quasi che, per singolare privilegio, una sorta di grazia leggera si librasse lungo il cammino e permeasse fin dentro il viandante o visitatore. Può, ancora, capitare di fare impatto e confrontarsi con elementi architettonici solidi che, pur non riconducibili puntualmente e precisamente alle stagioni del distrutto villaggio di Cellino, sono, davvero, autentiche piccole meraviglie, al punto da lasciarti senza fiato. Vedi, ad esempio, la grande casa agricola, fatta di pietre affiancate e sovrapposte, una a una sopra e accanto alle altre, rigorosamente e religiosamente a secco, per opera di mani maestre. Simbolo di queste plaghe e comunemente detta pajara, questa, fantastica caseddra , l’ho abbracciata e immortalata in un pomeriggio di febbraio. Dopo giornate di pioggia, una parentesi soleggiata, sotto un cielo d’intenso azzurro, con clima mite e piacevole: sullo sfondo della caseddra, adagiate, le vicine località di Marittima e di Castro, altre piccole perle del Salento.

Una pajara e il Castello Saraceno di Andrano


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Copertina A San Cesario di Lecce dal 28 febbraio al 16 marzo la “Stanza di Ezechiele” mostra sentimentale a cura di Lorenzo Madaro con il contributo di Luigi Negro

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Caro Ezechiele, C

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aro Ezechiele, oggi ho spiato nel tuo giardino. Muri alti, troppo alti per me, per scavalcare e guardarlo da lassù ed io avevo la gonna e sai, non ero sola. Un segreto poi non si guarda mai dall'alto. Se ne perde il mistero. Si aumentano le distanze. Rimane tesoro non toccato. Forse tu non lo sai, o forse sì, ma c'è un portone di ferro che vieta l'accesso a ciò dal di fuori non si vede... Ci sono cose che non si possono vedere dal di fuori, bisogna entrarci in quei piccoli mondi, con il cuore, per sentire battiti che cantano. C'era una fessura su quella lastra di ferro. Di là il giardino. Di qua io. Mi sono avvicinata come ci si avvicina a qualcosa di preziosamente fragile e segreto, con lo stupore e la curiosità dei fanciulli. E, con rispetto e discrezione, ho preso a sbirciare e ho intravisto, solo intravisto, indefinite immagini (di statue mi dicono). Erano senza contorno, frammenti creati dalle tue mani, le tue mani stesse erano. Ti chiedo scusa per la mia presunzione, per aver pensato, anche se solo per un instante che così come le vedevo io, nella loro non-definizione, nel loro non essere chiuse, finite, impacchettate, quelle figure erano nate nella tua mente, come idea, come visioni in successione ordinata nel caos del sentimento, come pensiero che viaggia e segna terre.

a venerdì 28 febbraio a domenica 16 marzo le sale del Museo d’arte contemporanea del Palazzo Ducale di San Cesario di Lecce ospitano La stanza di Ezechiele, una mostra sentimentale su Ezechiele Leandro a cura di Lorenzo Madaro e il contributo di Luigi Negro. L’appuntamento è organizzato dall’Assessorato alla cultura del Comune di San Cesario di Lecce con il patrocinio di ministero per i Beni e le attività culturali, Regione Puglia, Provincia di Lecce, Accademia di Belle Arti di Lecce, Osservatorio di Outsider art dell’Università di Palermo e Ammirato Culture House di Lecce. In contemporanea sarà possibile proseguire il percorso del progetto espositivo presso l’Accademia di Belle Arti di Lecce, nel cui chiostro è esposta in permanenza un’importante scultura dell’artista. I visitatori della mostra (aperta tutti i giorni dalle 17 alle 19.30) saranno accompagnati dagli studenti delle Un libro, può bastare un libro ultime classi del Liceo Artistico “Ciardo-Pellegrino” di Lec- per dire "io lo conosco?". Ho passeggiato e sostato tra le tue ce.

pagine senza punti, in una lingua non mia, in frasi non mie, in un tempo non mio. Con attenzione mia sono stata senza punti, ho ascoltato una lingua sconosciuta, ho ingoiato frasi di cui ignoravo il sapore e mi sono portata in ore senza tempo. In questa nuova dimensione ti ho incontrato. Lo so, questo non basta per scoprire l'uomo Leandro, l'artista Leandro, lo scrittore Leandro. Leandro a passeggio per le strade, che beve caffè, che saluta nell'incontro, e che forse qualche volta ha pianto. Nuova scusa! Nuovo perdono! Ti ho rubato la parola! Come te - con pietra informe nella sua forma, dal creato, rigenerandola, ridandole vita così io, - nutrita dai racconti che hanno abitano nei tuoi pensieri scritti - ho preso in prestito, modificato, distrutto e restituito con una nuova diversa parola. Un apostrofo, una sillaba, un accento, un rigo staccato come un ramo dal suo albero, l'ho piantato nella terra, affianco ai tuoi piedi, e lì, innaffiato da ciò che è in me, da ciò che mi appartiene, da ciò che mi nasce nell'incontro con voci come la tua, è cresciuto. Separato da me ora vive su carta appesa in uno spazio allestito in tuo onore. Ti immagino e ti vedo ridere. Uno spazio per te! Uno spazio nella memoria! Che la si può far essere presente quando si vuole, ti potranno far rivivere quante volte vorranno, ma la tua vita nel mondo a te presente, com'è stata? Come sogno che abbraccia realtà e la descrive attraverso il segno. La parola a volte non

basta! L'idea è cosa ben diversa da ciò che si realizza. Cosa hai pensato quando le tue mani si sono fatte strumento del pensiero. Quando il corpo ha dato voce alla mente abitata dal popolo delle tue statue. Leggere, senza peso, in movimento? Cosa hai pensato, quando l'idea non era più idea, ma parte di te che si può toccare da fuori, su cui posare una mano, a cui avvicinarsi, con cui confrontarsi= Quanto delle parole pensate vive in quelle statue? Quanto vicine sono alla tua idea? E il sangue che danzava nelle tue vene lo sentivi simile a quello che scorreva in loro, finalmente fuori. Quanto è fedele la mano alla tua mente? Presuntuosa, presuntosa che non sono altro! Chi sono io, che so di te? Sei un nome del passato che si incontra con il mio presente. Ci ho inciampato per caso, nome che qualcuno pronuncia per riempirsi la bocca. Sconosciuto nome, mi lega al tuo vissuto, alla tua leggenda del qual ancora ignoro per intero il suono. Cosa conosco io di te? Alcune foto. Tanti detti, voci di paese. Costruzioni per tracciare una figura sfuggente, libera da ogni schema. Scomoda a volte. Conosco le tue parole? Che tu questa sera ti riconosca o no perdona l'intrusione. Ti lascio, anzi ti porto con me. Ci incontreremo nel tuo mondo di statue! Ci sono giorni in cui sono statua. Quel giorno ti farò visita. Tiziana


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