spagine Periodico culturale dell’Associazione Fondo Verri Un omaggio alla scrittura infinita di F.S: Dòdaro e A. Verri della domenica n°25 - 20 aprile 2014 - anno 2 n.0
Lecce, 20 aprile 2014 - spagine n° 0 - della domenica 25
Diario politico
L’intervista di Ferruccio De Bortoli a Giorgio Napolitano
“Dopo l’anomalia Monti, ci sono state quelle di Letta e soprattutto di Renzi non si può non ammettere che la democrazia italiana è a corto di ossigeno”
Il senso di una combine
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ul Corsera di venerdì, 18 aprile, in prima pagina campeggia una lettera del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano al direttore del quotidiano milanese Ferruccio De Bortoli «un anno dopo la rielezione». Su tutte e sei le colonne un titolo che riprende in sintesi il pensiero di Napolitano: «Ho pagato un prezzo alla faziosità ma il bilancio è positivo». Dunque la risposta precede la domanda, che, invece, è a pag. 2. Ci sta, se la risposta è quella del Presidente della Repubblica. Ci sta di meno se si riconduce il fenomeno alla sua logica, dovendo la risposta seguire e non precedere la domanda. Qui non è solo questione d’impaginazione, ma di un combinato tra la Presidenza della Repubblica e il maggior quotidiano nazionale per dare una risposta non alla domanda del direttore ma a quella di una parte del Paese, che sale in maniera sempre più rumorosa. Il direttore del Corsera si è prestato alla messa in scena. Si consideri che la sera precedente, giovedì, 17 aprile, su La Sette, trasmissione “Otto e Mezzo” di Lilly Gruber, c’era stato un animato confronto tra il prof. Paolo Becchi, considerato l’ideologo non riconosciuto del Movimento 5 Stelle, e il prof. Cacciari, noto filosofo e già sindaco di Venezia, difensore d’ufficio di Napolitano e del nuovo corso politico impersonato da Matteo Renzi. Becchi è peraltro autore di un recentissimo libretto edito da Marsilio, «Colpo di Stato permanente. Cronache degli ultimi tre anni», in cui sostiene che in Italia c’è un vero perdurante colpo di Stato che ha in Napolitano l’ideatore e l’esecutore. Ma veniamo al succo: «Caro Direttore, a distanza di un anno…». Già questo indica che l’iniziativa è partita dal Presidente Napolitano per fare il punto dopo un anno dalla sua rielezione alla Presidenza della Repubblica. Quale il pensiero? Napolitano è convinto di aver operato nel giusto servendosi dei mezzi più leciti e rigorosi, pur considerando l’eccezionalità del momento politico. Non entra nel merito di nessun addebito specifico, ma re-
di Gigi Montonato
spinge in blocco ogni critica, bollandola come «faziosità». Non è la prima volta che Napolitano, più che respingere, stronca le critiche che gli vengono mosse. L’accusa più pesante è di essere stato in questi ultimi tre anni lo stratega unico della politica italiana. A partire dal giugno 2011, come ha dimostrato Friedman col suo libro «Ammazziamo il gattopardo» e come rivendica Becchi, il quale si ritiene il primo ad aver denunciato il “colpo di Stato”, Napolitano ha di fatto surrogato ogni altra istituzione latitante, ed ha operato in assoluta libertà d’iniziativa, attento solo a non urtare la suscettibilità di quel potere senza volto che è ormai il “governo europeo” dell’Euro. Con tutto il rispetto crediamo che Napolitano non possa essere esente da accuse, in parte fondate e in parte esagerate. Probabilmente non è contento della situazione in cui si è suo malgrado ritrovato; ma, da autentico politico consumato, non si è sottratto a responsabilità difficili e pesanti. Ecco, più che respingere o stroncare le accuse, dovrebbe dare spiegazioni. Troppe nubi si sono addensate sulla sua presidenza, parte delle quali ereditate, come la famigerata presunta trattativa Stato-mafia. Gli concediamo perciò le attenuanti generiche, ossia l’aver operato in sostituzione obbligata di una classe politica peggio che inesistente, squalificata e inerme; ma non quelle specifiche delle singole scelte. Se gli va dato atto di essere rimasto solo a far fronte ad una gravissima emergenza, non gli si può riconoscere anche l’esclusività degli atti compiuti quasi fossero gli unici che poteva compiere. Atti che – opinione diffusa, e non solo di giornalisti e polemisti, ma anche di costituzionalisti di vaglia – sono stati per alcuni delle «forzature» e per altri «borderline». Napolitano in questi ultimi tre anni è stato lasciato solo e se l’è cavata egregiamente, ma se tanto è vero – ed è vero! – bisogna anche ammettere che l’Italia è un paese disastrato – politicamente, economicamente, finanziariamente ed eticamente – alla mercé di decisioni straniere, irresponsa-
Il Presidente Giorgio Napolitano
bili, ancorché filtrate e garantite dalla massima carica dello Stato, che invece responsabile è. Insomma se dopo l’anomalia Monti, ci sono state quelle di Letta e soprattutto di Renzi non si può non ammettere che la democrazia italiana è a corto di ossigeno. Come può essere normale che uno diventi capo del governo senza essere passato da una consultazione elettorale? Come può essere normale che uno senza credenziale alcuna, se non quella di un continuo sproloquiare in abbondanza di minacce e ingiurie, possa conquistare la massima carica dell’esecutivo secondo un percorso di normalità? Si può passare al vaglio atto dopo atto di Napolitano e magari constatare che ognuno è ineccepibile sotto il profilo costituzionale, ma l’esito ottenuto è democraticamente incomprensibile. E siccome il risultato di più atti normali non può essere che nor-
male, nel momento in cui si constata che comprensibile quanto meno non è, vuol dire che il percorso ha avuto dei lati oscuri, che ha avuto passaggi viziati, che è maturato in un ambiente torbido e degenerato. Di questa degenerazione politica italiana Napolitano, in quanto Presidente della Repubblica, non ha colpa specifica alcuna; ma non v’è dubbio che la gestione della degenerazione nel tentativo di recuperare la condizione perduta è da attribuirla alle sue scelte. Merito? Demerito? Bisognerebbe prima sapere e capire. E’ su questo che si dovrebbe aprire una discussione seria e profonda, senza accuse sommarie alla Becchi o alla Travaglio, ma neppure senza incensamenti acritici che ricordano Plinio il Giovane e il suo Panegirico di Traiano, ovvero la risposta a calco di De Bortoli alla domanda autoapologetica di Napolitano.
pagine n° 2 e 3
Contemporanea
spagine
Lettera aperta al senatore Dario Stefàno
Dov’è la verità Per l’istituzione di una Commissione di inchiesta parlamentare per fare finalmente chiarezza sulla morte di Aldo Moro
di Luigi Mangia
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o conosciuto l’Onorevole Aldo Moro e con i suoi figli: Agnese e Giovanni ho condiviso l’impegno politico negli anni ’80. Con Giovanni Moro ho fatto la battaglia per il Tribunale del diritto dei malati negli ospedali; in politica l’esperienza di Cittadinanza attiva. Il dolore della barbara morte del padre c’era e si sentiva nei nostri incontri, ma non condizionava la nostra riflessione politica e l’impegno verso il sociale e il disegno politico della partecipazione dei cittadini nel governo della società. La morte di Aldo Moro, dopo trentasei anni, il 9 maggio e il giorno del ritrovamento del corpo, rimane ancora una delle pagine più scure, illeggibili della storia del Paese che devono essere chiarite e ciò lo può fare solo una Commissione di inchiesta parlamentare. Il libro inchiesta del giornalista della Stampa Francesco Grignetti “la sfida” mette in evidenza sia gli interrogativi, sia la pesante responsabilità della politica nel fallimento della liberazione di Aldo Moro: Ministro degli Esteri, Presidente del Consiglio, Presidente della Democrazia Cristiana, quindi protagonista dei processi di cambiamento sociale e politico della storia del nostro Paese. Aldo Moro fu infatti il protagonista di quella pagina di grande sfida della politica capace di portare il Partito Comunista nell’area di Governo senza il passaggio delle elezioni. Questa operazione fu giudicata grave e politicamente irricevibile dall’Unione Sovietica e dai Paesi del Patto di Varsavia. Il comunismo era in grave difficoltà: c’era il fermento della Cecoslovacchia di Dubcek, l’Ungheria la Polonia ed il fermento dei Paesi non allineati dei Balcani. Il PC di Berlinguer nell’area di Governo dell’Italia era come alimentare la speranza di
Aldo Moro
far cambiare il comunismo sovietico che la Russia non poteva tollerare, la sorte di Alessandro Dubcek fu la dimostrazione più evidente. Il disegno di Moro però aveva molti avversari anche in Occidente: gli Stati Uniti principalmente. Il nostro Paese, nel Patto di Alleanza Atlantica, era in una posizione strategica sia verso i Paesi del Patto di Varsavia sia verso i Paesi Balcanici. Gli USA non potevano assecondare la politica coraggiosa di Aldo Moro e quindi si adoperarono per il suo impedimento. Le Br non erano dei giovani intellettuali con nelle vene le teorie dell’economia politica di Carlo Marx imparata con lo studio nelle aule delle università, ma erano un movimento organizzato e strutturato a
livello internazionale. Infatti avevano rapporti consolidati con i gruppi terroristici tedeschi francesi e con l’ETA dei Paesi Bassi. Più forti e più solidi erano i loro rapporti con i palestinesi di Arafat. Il leader palestinese godeva di grandi simpatie politiche in Italia sia nei movimenti extraparlamentari sia nei movimenti rivoluzionari come l’Autonomia operaria i nuclei armati proletari. Per la Palestina si raccoglievano medicine coperte e fondi. Nei campi palestinesi invece le Brigate Rosse tranquillamente si esercitavano alla lotta armata. L’Italia poi era alleata degli arabi e quindi era protetta rispetto agli attentati di quella area politica in fermento. Le raccomandazioni di Aldo Moro, nelle sue
lettere, sono la prova politica dell’influenza degli arabi nella liberazione del Presidente della DC. È nota la divisione politica dei partiti tra i contrari a trattare e quelli invece favorevoli alle trattative per la liberazione del prigioniero nelle mani delle Br. Può bastare questa divisione ad essere considerata la causa che ha impedito ad evitare la morte di Aldo Moro? E se è vero il ruolo del Maresciallo Tito Presidente dei Paesi non allineati perché non è riuscito ad evitare la condanna a morte di Moro e di chi era l’interesse perché Tito fallisse nel suo compito di liberare il prigioniero? E Arafat aveva libertà di azione o era al libro paga dell’Unione Sovietica e quindi impegnato a far fallire l’azione del Maresciallo Tito? Infine perché il Governo italiano e i Servizi segreti non diedero importanza alle informazioni, ben argomentate, del Colonnello Giovannone? La morte di Aldo Moro è legata a numerosi ed inquietanti interrogativi ed anche alla grande responsabilità della politica che non seppe promuovere le iniziative necessarie per evitare la morte del leader democristiano. L’Italia è un Paese che ha molte pagine della sua storia senza verità. Per questo solo una Commissione di inchiesta parlamentare può far emergere la responsabilità e la verità sulla morte di Aldo Moro. Il nostro Paese fin quando non avrà la verità sulla morte di Aldo Moro non potrà mai essere un Paese normale. Mi appello affinchè il Senatore Dario Stefano voglia spendere tutte le sue energie e promuovere tutte le iniziative per avere l’istituzione di una Commissione d’inchiesta per rendere giustizia al sacrificio della vita di Aldo Moro, politico salentino spesa per servire il Paese.
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pagine n° 4
Lo spazio per L’altra Europa Il paesologo Franco Arminio è candidato alle prossime elezioni europee nelle lista di Alexis Tsipras Vi proponiamo una sua riflessione sul Salento...
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o so, è tutto fragile, confuso. La salute morale facilmente si dissesta, il disincanto è più forte dell’incanto, le meraviglie di un giorno non si replicano il giorno dopo. Parlando coi ragazzi che a Miggiano hanno frequentato un breve corso di paesologia, ho sentito con forza che nel sud c’è una grande capacità di manipolazione simbolica, di astrazione, e nello stesso tempo c’è un cuore conviviale, un’economia della generosità. Da qui bisogna partire ogni giorno, dall’idea che non è Milano la cosa che ci manca, ma siamo noi la cosa che manca a Milano. Il Salento deve lavorare sui dettagli. Qui più che altrove l’essenziale c’è già. Te lo dà la taranta su una spalla, il sole in testa, il mare in gola, le case di calce, i palazzi di tufo, la pietra dolce delle chiese, i campanili di sughero, lo zucchero filato dei balconi. Terra scoperta, penisola limata dal vento e dalla luce, terra senza tegole, senza montagne e senza colline, dove la modernità convive con un fiato di magia. Sono arrivato coi nervi aggrovigliati e il cuore scuro, sono tornato a casa coi nervi ben distesi e il cuore più chiaro. Il Salento, almeno per chi viene da fuori, è una grande farmacia: la farmacia del mare, degli orti e degli ulivi, della luce. Il sud irpino, il sud in cui vivo, è un frammento del polo incastonato nell’Appennino. Un sud scontroso, iroso, diffidente. Veniamo dalla stessa civiltà contadina, ma con un altro clima, con un’altra geografia. Non abbiamo intorno a noi la cintura epica del mare, abbiamo una terra mossa, agitata, rigata da un vento spinoso. Per me è difficile capire come fila la vita quotidiana salentina nella sua lunga stagione estiva. Da noi l’estate è una breve apparizione. I paesi sono lontani e devi fare sempre tante curve per trovarli. In certi posti l’unica pianura è il palmo della mano. Il Salento è un’altra storia, non posso pensare di conoscerla passandoci dentro per qualche giorno. Quello che so è che mi fa bene. Al punto che mi fa perdere pure le parole (sono rimasto muto per tre ore su uno scoglio a Novaglie), perché le parole vengono più facilmente nei
Franco Arminio contempla una statua di San Pio
Per la sagra
del futuro di Franco Arminio
luoghi che infiammano i nervi, nei luoghi in cui sento solo avarizia e sfinimento. So che anche qui il sud ha i suoi capannoni, i suoi silos dove raccoglie accidie e rancori. Ho visto coi miei occhi la campagna piena di rifiuti e so che quelli a vista sono ben poca cosa rispetto a quelli che hanno buttato nelle cave. So che la classe politica di questi luoghi pensa ancora ad infilarsi nei caselli dello sviluppismo, in un momento in cui bisognerebbe uscire dalla carreggiata, fare sentieri nuovi, impensati, piuttosto che allungare il collo di bitume al cieco bisonte della modernità. Nel Salento ho incontrato molte persone che si battono contro una strada che dovrebbe trafiggere come una spada il Capo di Leuca. Nel corso di un incontro fatto camminando
lungo quel percorso ad un certo punto abbiamo trovato una grande pietra su cui una volta si batteva il grano. Ci siamo seduti ai bordi di questa pietra e abbiamo fatto silenzio e il silenzio ci ha fatto sentire tante cose di noi stessi e di quello che c’è fuori. Io ho visto le formiche sulla pietra, ho pensato alla malattia di mia madre, ho avvertito il sincero ardore dei miei compagni di passeggiata. Tante persone venute a dire no a una strada inutile, tante persone animate da una militanza mite, capace di contestare ma anche di ammirare, una militanza in cui la voglia di cambiare il mondo non ti fa bendare lo sguardo a quello che c’è intorno, che comunque è sempre tanto e spesso è mirabile. A me pare che oggi siamo chiamati a percepire più che a spacciare opinioni. E mi pare che la Terra ci
chieda di essere guardata, ci chieda di non essere caricata come un asino. Nel Salento più che altrove l’utopia meridiana può essere tagliata con lo scrupolo nordico (come avviene nella bella masseria che mi ha ospitato, gestita da una coppia del nord). Il sud non si salva assolvendosi, ribaltando cioè la sua antica vena vittimistica che ha ricevuto un notevole impulso dalla vicende funeste che portarono all’unità d’Italia. Abbiamo bisogno di guardare come siamo, abbiamo bisogno di congedarci dalla modernità incivile con cui abbiamo rottamato la civiltà contadina. È un bisogno che non deve riportare indietro il nostro sguardo, ma avanti. In fondo c’è una sola sagra che va bene per ogni luogo, la sagra del futuro.
Appuntazzi Gianluca Costantini corrispondenze da Luzzara
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Accade in città
La triste storia del portale SETC
La città delle anomalie N
di Cecilia Leucci
ei mesi scorsi ho più volte fatto notare alcune anomalie nella direzione culturale della città di Lecce che, a mio parere, rischiano di avere importanti ripercussioni sulla candidatura a capitale europea della cultura. Tra queste anomalie compaiono anche azioni che – da operatore culturale – non riesco a comprendere e delle quali mi piacerebbe avere spiegazioni. Nella fattispecie, qualche anno fa, con Determinazione dirigenziale nr. 785 del 13 ottobre 2010, la Giunta Comunale approvava il progetto “SETC – Valorizzazione delle risorse culturali per lo sviluppo economicoturistico del territorio” che, a seguito di un’attività durata più di un anno ed in collaborazione con il CETMA di Brindisi, nel 2012 ha inaugurato il Portale SETC (www.arteartigianatolecce.it). Il portale racchiude non solo importanti informazioni storico-artistiche redatte da professionisti del settore culturale (tra i quali la sottoscritta) e docenti dell’Accademia di Belle Arti di Lecce, ma rappresenta un’apprezzabile piattaforma per l’artigianato e la cultura leccesi, sviluppando dei percorsi turistici in grado di far conoscere la città da ogni angolazione: architettonica, storica, tradizionale e culturale. Il portale SETC (realizzato anche per la specifica visualizzazione su smartphone e tablet) racchiude al suo interno anche diversi esperimenti di simulazione digitale, come virtual tour all’interno delle botteghe artigiane o ricostruzioni 3D di oggetti d’artigianato storico; inoltre, nella sezione “Infomobilità”, sono raccolte tutte le informazioni relative a trasporti pubblici, bikesharing, parcheggi d’interscambio ed infopoint turistici. Tutte informazioni pressoché irrintracciabili senza precise indicazioni. Un portale (all’epoca della realizzazione) completo, utile, costato un bel po’ di soldi (questa volta giunti dal Ministero dell’Economia e delle Finanze), tuttavia al cambio di giunta, del portale SETC con tutte le sue informazioni e gli utili dati turistici non se n’è saputo più nulla, tanto da non comparire nemmeno sul sito istituzionale del Comune. Il portale è stato abbandonato, molte delle informazioni contenute sono diventate vetuste, alcune botteghe artigiane hanno persino chiuso i battenti, alcuni siti collegati hanno cambiato indirizzi, alcuni servizi so-
Lo stemma di Lecce in Piazza Duomo
no scomparsi ed il portale non è mai stato tradotto in inglese. Nonostante ciò, con Deliberazione di Giunta nr 646 del 26 luglio 2013, il Comune ha stanziato un cofinanziamento di €10.000,00 a favore della Cooperativa Oasimed per la realizzazione di totem e materiali turistico-informativi da diffondere in città. Inutile sottolineare che si tratta del materiale oggetto delle numerose polemiche degli ultimi giorni, a cau-
sa dei tanti gravi refusi presenti sulle city map. Viene da chiedersi, dunque, se gli amministratori comunali siano al corrente di ciò che i loro predecessori hanno realizzato e se, alternativamente, non sarebbe il caso di informarsi, prima di spendere denari pubblici che potrebbero essere destinati ad integrare ed aggiornare servizi già presenti e soprattutto già pagati. Una vera capitale della cultura è anche
una città in grado di ottenere grandi risultati con il minimo sfruttamento di risorse (soprattutto economiche), una città attenta al turista così come al cittadino, capace di offrire servizi innovativi, affidandosi a consulenti ed operatori attenti e competenti. Sulla base della gestione odierna, Lecce sembra, purtroppo, ben lontana dall’essere una “città di cultura”... figuriamoci se “europea”.
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Poesia - La città e il cambiamento - Per Lecce 2019
Spazi senza barriere, mare aperto, spruzzo d’infinito la città. Respirabile d’ossigeno. Il violetto, il rosso, il giallo, l’indaco un’iride d’incanto per i viali per le strade virenti d’intorno. Triciclo di bambini, palloni in volo il volo dei ragazzini. Le carrozzine dei pargoli i venditori di giocattoli, le coppie mano nella mano. L’eburnea fontana. Scialli gitani e lieve colore di cielo. L’artista di strada intona nenie e melodie alla malasorte. Un canto popolare s’alza, una luce d’aurora a oscurare ogni notte. La città che cambia è come l’uomo che guarda. Guarda oltre. Il vecchio che scorge il futuro al di là di strette feritoie. Il bimbo che piange ma lacrime di gioia. Pensieri senza recinzioni la città che cambia. Vola, vola oltre fra arcobaleni d’amore e ipotenuse di sole. La città che cambia squarcia veli e ci fa gustare il sapore dolceamaro del tempo. Marcello Buttazzo I precedenti interventi su “La città e il cambiamento” sono pubblicati su: http://issuu.com/mmmotus pagina 4, Spagine della domenica del 30 marzo 2014, La città e il cambiamento,di Ilaria Seclì pagine 2 e 3, Spagine della domenica del 6 aprile 2014, Quando Lecce era periferia di Rudiae di Vito Antonio Conte pagina 7, Spagine della domenica del 13 aprile 2014, Poesia - Giuseppe Semeraro
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Arte Marina Abramović, la grande madre della performance
“Dopo quarant’anni il mio lavoro è stato finalmente stimato Prima mi credevano pazza” di Antonio Zoretti
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(dall’etimo: arina donna venuta dal mare), tutta la sua vita è stata una performance. «Bisogna vivere il presente, l’immediato, hic et nunc» ella dice. «La cosa più difficile per un artista è avvicinarsi al nulla. Tre cose le persone non sopportano: il non fare, la non azione e il digiuno. Fermarsi, insomma». *** Ha ragione Marina Abramović, se la gente si fermasse un solo istante a riflettere si renderebbe conto della dolorosa e quanto inutile esistenza senza scopo, vuota, a cui è pervenuta. E rileverebbe la vanità e vacuità delle azioni quotidiane e proverebbe uno sconcerto che prima non sentiva. Il lavoro di Marina vuole esplorare le relazioni tra artista e pubblico, i limiti del corpo e le possibilità della mente. E il pubblico, compiutamente, partecipa; una delle sue più grandi performance fu visitata da migliaia di persone, che sedevano davanti a lei, uno alla volta, avendo a disposizione tutto il tempo che volevano fissandola negli occhi, smaniosi emettevano emozioni che se fossero stati in sé non imputerebbero alla propria usuale comunicazione. Quasi invasati e ammaliati da una sorta di contagio consapevole investigavano a fondo la particolarità ed eccezionalità di quella esperienza. Questi momenti potevano durare un attimo come delle ore, un via col vento e basta o estenuanti attese come nelle cliniche per partorienti. Il corpo di Marina affaticato da quella condizione si lamentava, ma ella lo spingeva oltre… nella passione abbracciava quel momento ed era il corpo, solo il corpo a denunciare lo stress di quella visitazione morbosa. Il corpo ambiva ad una sospensione momentanea, non era una struttura estranea, era in potere del sistema nervoso che lo asserviva esortandolo a sua misura e fastidio. Il corpo pareva declinare, ritrarsi… senza evitare il viso a viso, tollerabile, che non placava la confessione dei partecipanti. Ed è così che si spiegava una gremita richiesta di aspiranti a partecipare all’evento. Tutti si piegavano alla lusinga in atto. Facevano di tutto per essere visti (nel vero senso della parola). Marina col suo sguardo faceva succedere qualcosa… a costo della sofferenza a cui si era costretti. Ormai giunti a debita distanza gli astanti guardavano Marina, standosene zitti. Votati all’esperire estremo piuttosto che servi del parlato quotidiano divenivano essi stessi la performance. Nella sua più grande esibizione, Marina fu associata a una figura stoica e fu vista con sospetto. E senza muoversi se ne stava, annichilita come morta… il rapporto era instaurato, la rela-
zione era ottenuta e, il contatto, sollecitato da vitalismo, voglia, entusiasmo. In quella strana condizione i corpi se ne stavano come realtà esterne, donati alla mente come diversi. Generalmente ‘altro’ dalla simulazione quotidiana cui son condannati, vivendo il marcio della procreazione cui son destinati, essi non erano mai presenti a se stessi, nel loro Io. Marina richiamava episodi che non sono mai stati, questi sì, indimenticabili. Insomma, ella, sganciata dal corpo, si dava, si offriva con nobiltà e grandezza d’animo, magnificenza, al massimo della sua valenza. Una donna che mentre concedeva il suo sguardo, apriva il suo cuore bisognoso d’affetto, creando nei presenti, a seconda dei casi, diverse sensazioni, liberandoli del tutto nel nulla. Comunque colpiva. Questa era Marina in quella performance, la sua forza derivava dalla sua assenza (anche se c’era!), presenza/as-
senza. Col silenzio ultimo degli abissi, con i chiarimenti dell’esistere come performance, fino alla fine, nella parte ultima di sé data all’esibizione. *** Ricordare il performer Ulay (UlweLaysiepen), divenuto suo partner nel lavoro (e nella vita) per un decennio, può sembrare scontato; rivederlo nella grande sala del MoMA, la sua presenza fu, per Marina, amore ulteriore. Ella era amore della performance, un amore tanto passionale da essere impetuosamente invasivo e istintivo, soverchio. Il suo sguardo era diretto alla verità, senza argomenti, senza sentenze o massime, né simboli. Grandezza pura della scena Marina Abramović, eccellente nell’influire con impeto e furore, con un ultimo sguardo fuggente negli occhi. *** Di lei si sa tutto ormai, tutto quelloche era in scena, sempre: Rhythm 10
del 1973; Rhythm 0, 1974; Rhythm 5, 1974; Art Must Be Beautiful, 1975; Lips of Thomas, 1975; Freeing The Body, 1975; Freeing The Memory, 1976; Freeing The Voice, 1976; Imponderabilia, 1977; Dragon Heads, i990; The Abramovic Method, 2012. E la filmografia: Marina Abramovic – The Artist is Present (USA, 2012) di Matthew Akers, documentario di 99 minuti, una vera chicca, tributo all’opera d’arte Marina Abramovic. Marina tesa a ottenere «il vuoto di sé», vale a dire creare lo «spazio» per accogliere la sensazione di ciò che avverrà - da sola - allorché dopo lunghi momenti lo spirito si sarà dilatato e sarà giunto a uno stato di coscienza più profondo di quello ordinario. Ella aiuta a scoprire l’inadeguatezza di ogni sforzo razionale a penetrare la realtà e delega i sensi alla conoscenza di se stessi e degli altri. Mezzi, questi,
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Fermarsi Marina Abramović, Rhythm 0 (1974) Performance, 6 hr., Studio Morra, Napoli
Marina Abramović. Portrait with white lamb. 2010. Courtesy Marco Anelli e Lisson Gallery
più validi per raggiungere uno stato di trasparenza che permette di scoprirsi, aprirsi e realizzarsi. Non si tratta, tuttavia, di una ricerca di sé, o di una forma di isolamento, bensì di una compenetrazione della realtà e dei rapporti umani in modo che nulla e nessuno si opponga ad altro. E’ una conoscenza del mondo e dell’identità o unità dell’essere, che traspare nella quotidianità in cui viviamo. Ogni elemento sensibile quindi (poiché una sensazione incorpora tutti i sensi) viene ad acquistare enorme importanza. Come se Marina ci dicesse: «restate anche un solo attimo davanti a me e in voi si manifesterà il mondo nella sua integrità». *** Marina Abramović ha dovuto aspettare decenni per essere apprezzata, com’ella stessa dirà durante un intervista: «…dopo quarant’anni il mio lavoro è
stato finalmente stimato. Prima mi credevano pazza». Nelle persone che hanno frequentato e visitato l’opera di Marina resterà senz’altro un ricordo indelebile, e sconvolgenti esperienze intellettuali e culturali, per il suo essere diretta, perchè chiamava ad essere sé stessi, fuori dagli schemi, dalle strutture e sovra-strutture culturali imposte. Proponeva il nudo per sconfiggere l’imbarazzo; spingeva la voce ai limiti per farla divenire puro oggetto sonoro; espellendo le parole a raffica tentava di liberarsi da esse, come convenzione comunicativa; far reagire lo spettatore facendolo diventare l’oggetto dell’esecuzione, nei suoi riti di purificazione e autopunizione: affronta le sue pene mettendo a repentaglio il proprio corpo. Insomma, spinge il suo corpo e la sua mente a fare cose che non si potrebbero fare normalmente. *** Marina oggi ha sessantotto anni, si
autodefinisce “grandmother of performance art”, con il suo lavoro di esplorazione relazionale, con la sua sfida al corpo e al pensiero - come ogni grande artista sa fare - ha toccato il vertice. Il suo sguardo, il suo viso, il suo corpo, la sua mente, ormai è come se ci appartenessero. La sua persona ha saputo trasmettere, in pochi attimi, più di di quanto hanno potuto fare migliaia di contrabbandati avventurieri che frequentano e vivacchiano con ciò che è detto Arte, mestieranti se ne servono per espedire al solo scopo d’uno sfacciato profitto: coltivando la preoccupazione d’esprimersi per manifestare le loro caleidoscopiche insulsaggini. Marina Abramović ci ha fatto uscire da tutto ciò, evitando vani imbrogli. Quanto tutti gli altri ‘artisti’ rappresentano e vendono, puntualmente tollerato dai presenti, viene con un colpo di mano annullato da Marina, la quale fa piazza pulita di forme, significati, concetti, azioni, obbligazioni e quant’altro. Per questo è importante continuare a parlare di questa grande figura e la capacità che ella ha di condurre le sue performance e di possedere sempre una enorme presenza. Originale, a volte splendida, è una persona libera e rara. Nonostante l’età il cuore le batte ancora forte e lo fa battere agli altri. *** Fremo dalla voglia di vederla… vorrei incontrarla un giorno, ammirarla e ascoltare qualche suo aneddoto o prodezza, anche se questi ultimi si possono dimenticare… Ma ciò che non si dimentica è la prontezza con cui si metteva a strepitare contro i dormienti, con lo sguardo puntato addosso, provocando sussulti nei loro corpi e ravvivando e risvegliando la loro carne e i loro sensi, una scossa intensa ed improvvisa. Quelle esibizioni di voce, silenzio e soffio vitale sono state per molti o per tutti grandi occasioni di scoprire se stessi e gli altri. Marina, nelle sue provocazioni, nei suoi grandi slanci che potevano apparire follia in un primo momento, sintetizzava per intero la sua personalità di essere sulla scena e di non esserci: la sua presenza/assenza. Questo l’orizzonte della montenegrina Abramović. E l’emozione si sentiva sempre più forte, poiché in quella assenza portava via tutto, tutta l’inutilità e restava l’essenza, il costrutto. Una donna, a suo modo, geniale, capace di trascinare il pubblico in galoppate interminabili fino a sfinirsi, esaurirsi; come l’esecuzione durata otto ore, in cui ella, con la testa ricoperta d’una sciarpa
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nera, balla a ritmo d’un tamburo africano fino a crollare e cadere per terra. O l’altra durata tre mesi, per sei giorni della settimana seduta su una sedia per ricevere gli ‘ospiti’. Ella si esibiva per manifestare il mondo nella sua integrità. Il suo coraggio non era mancanza di paura, ma la capacità di vincerla. E la misura per affrontare le cose era quella di affrontarle senza misura. Nonostante l’abbiano seguita per quarant’anni non l’hanno mai capita, ma soltanto lodata o biasimata; ma, arrivati a questo punto siamo costretti a inchinarci al suo cospetto. Ne dicano che vogliono gli altri… ella ha superato se stessa, è un capolavoro vivente. Ha torturato il suo corpo, si è sottratta agli innumerevoli ruoli del quotidiano ripetuto; si è levata ogni finzione, questa spaventosa malattia infettiva che, crudele e totale, devasta le ridondanti apparenze artistiche e l’emissione d’aria che concerne il modo di ragionare delle copie artificiali, del tutto identiche, degli esseri umani, condannati per giudizio all’esito positivo nei luoghi deputati, esposti al pubblico dai codici statali e sociali alla triste massa della confusa, mascherata e spacciata gente. Ella si mostrava, venerata dai suoi martiri (testimoni) che premevano per avvicinarsi al palco… e piangevano, ridevano, s’impressionavano, restavano attoniti, meravigliati, contenti, ammirati, o puliti e luminosi, direi purificati… tanto che si direbbe che son felici, queste folle. Applaudivano tanto a lungo perché durasse l’esperienza, quella realtà, quell’ essenza, la vita di vero scopo a cui erano pervenuti. E poi, tornando a casa, sentivano una rivelazione che prima dell’esecuzione sembrava non sentissero… Perché noi non siamo altro che fuochi fatui: rappresentanza e rappresentazione, e proprio di questo bisogna liberarsi. Ci illudiamo di esserci, per sopravvivere, mentendo. Quest’Io, quest’io che diventa l’equivoco per eccellenza, il più fraudolento, laborioso degli inganni. Quindi nessuno sa niente di sé, della propria vita. Marina è una possibilità di conoscenza, Marina ti trasmette la vita, che è il fine più interessante rispetto alla responsabilità del sé. Una forma di conoscenza concreta, reale, esaltante, che incita a prenderne parte e che resta davvero unica come esperienza conoscitiva. *** Marina diventa la divina, potenza di arcana memoria: sempre cara ci è questa donna meravigliosa, e questa mole, che da tanta passione l’ultimo orizzonte il suo sguardo illumina. E sedendo e osservando interminabili spazi di là da ella, e soprannaturali silenzi, e vastissima pace… noi ci fingevamo nel pensiero; per non spaventare il nostro cuore. E come un soffio d’aria udivamo in quella sala… noi l’immenso silenzio confrontavamo: e ci veniva in mente l’eterno, e le stagioni, e la presente/assente e viva, e l’amore di lei. Così tra questa immensità soffocava il nostro pensiero: e lo sprofondare ci era grato in questo vuoto.E così ella varcava la dimora del nulla… nella nostra patria antica nel gran nulla. Cara, cara, la nostra brava donna! La bella e affascinante Marina Abramović. Lunga vita alla Signora!
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Racconti salentini
di Rocco Boccadamo
Q
ueste note, anche se, come spesso succede, abbracciano uno spaccato di gente, vita, vicende, relazioni e ricordi della fanciullezza e giovinezza al paesello, sono dedicate, in modo particolare, a Totò, un amico e coetaneo, o meglio dire alla sua memoria, atteso che egli, da lungo tempo, non sfoglia più, materialmente, i giornali, ma legge e segue gli scritti del comune osservatore di strada, standosene seduto a una scrivania, lassù. *** Totò nasce in seno a una famiglia benestante di Marittima, ha un fratello e una sorella un po’ più grandi. Il padre, proprietario terriero, e però egli stesso dedito personalmente all'agricoltura, porta un nome di battesimo importante, anche se, ordinariamente, è conosciuto e chiamato con il diminutivo di ‘Ntinu, più completamente patrunu ‘Ntinu; la madre, Donata, è una dolce signora originaria della vicina Andrano. Il nucleo abita in una spaziosa abitazione a piano terraneo, ricavata in parte dalla massiccia mole di un'antica torre nobiliare (tuttora esistente al centro del paese e detta “Torre di Alfonso”) e, per il resto, costruita su un giardino, conosciuto come “giardino dei baroni”, con riferimento a persone benestanti, capostipiti della medesima famiglia di cui qui si racconta.
Storiad
L’andamento tranquillo nella casa in questione s'interruppe improvvisamente e tragicamente intorno al 1950, quando, in una notte, venne a mancare prematuramente la sposa e mamma; una tragedia, accresciuta dal particolare che il vedovo ‘Ntinu non era assolutamente in grado di badare alla gestione domestica e, soprattutto, alla cura e alla crescita dei figli. Difatti, i tre ragazzini furono temporaneamente affidati alle sorelle della defunta, dimoranti in Andrano. Per questo, io ripresi a vedere Totò, ogni pomeriggio, a Marittima, solamente in quinta elementare, quando fu mandato a prepararsi agli esami di ammissione alle medie presso il mio maestro Alfredo. In un’occasione, notai che egli aveva in mano una bellissima penna stilografica d'argento, mentre noi coetanei usavamo ancora aste con pennino e inchiostro, alcuni, eccezionalmente, le prime penne a biro. Di fronte al nostro stupore, Totò confidò di aver ricevuto il prezioso oggetto in regalo da uno zio materno, prelato o monsignore in servizio diplomatico nel Perù, nella capitale Lima, e fu la
prima volta che, personalmente, sentii nominare quel paese e quella città. Passati gli esami d’ammissione, Totò fu inviato dal padre a Galatina, in un convitto con annesse scuole medie e superiori, dove già si trovavano il fratello e la sorella. Tuttavia, durante la frequenza del ginnasio, essendo in certo senso mutata la situazione nella casa paterna grazie a un secondo matrimonio contratto da patrunu ‘Ntinu, Totò fece ritorno a Marittima e andò a seguire i corsi al “Capece” di Maglie: ci trovammo, così, insieme, nel viaggio
comune con la corriera delle Sud Est, oltre che, ovviamente, amici e compagni negli svaghi, principalmente nelle partite di pallone, sul fronte delle prime sigarette fumate alla chetichella dai genitori e, intorno ai sedici - diciassette anni, in occasione delle partite a carte, soprattutto a tressette, nel bar della piazza, la sera, una volta terminati i compiti. Quotidiane sfide contro coppie di compaesani, noi due, ovviamente, sempre compagni. A un certo momento, sprazzo d’ingegno, escogitammo uno stratagemma, ovviamente tenuto segretissimo, che, a onor del vero, si rivelava
efficace. Concordammo comunemente quattro nomi di amiche, reali o inventate, di viaggio o della scuola Maria Annunziata, Silvia, Donatella e Carla – le cui iniziali corrispondevano ai quattro semi delle carte da tressette; in pratica, a ogni nostro turno di giocare, chiamavamo il “palo“ della carta da calare sul tavolo, pronunciando disinvoltamente una breve frase banale, contenente il nome della ragazza che meglio faceva al caso. In tal modo, il gioco era fatto, di solito con successo. Memorabile, un particolare che ri-
Persone e storie marittimesi: il “cumpare signurinu”
diTotò
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steggiare l’importante traguardo. Eccoci, quindi, in gruppo, in via Veneto, la famosa strada dei vip, degli attori e dei paparazzi, dove restammo a bighellonare per alcune ore, con intermezzi di un paio di consumazioni nei bar, locali di lusso mai visti in precedenza. Intorno, tanta gente in quella serata, per i turisti originari di un paesello del Basso Salento, era la realizzazione di un sogno. Verso mezzanotte, congedatici da Totò, risalimmo sulla “ Topolino” e all’ora di pranzo della domenica rimettemmo piede a Marittima. Di lì a qualche anno, pure Totò si formò una famiglia, con una ragazza conosciuta a Roma ma originaria della Calabria e nacquero due figli, un maschio e una femmina. In casuale analogia e coincidenza rispetto alla mia vita di impiegato residente in quel periodo in Sicilia, compiendo in “500” il viaggio da Messina a Taranto e Lecce - a quell’epoca non c’era ancora l’autostrada - più o meno a metà percorso, transitavo da Cutro, nei pressi di Crotone, località che, guarda caso, era il paese natio della moglie di Totò. *** Scorrendo le stagioni successive, la nota saliente e più triste é che, Totò, non fu fortunato, improvvisamente gli precipitò addosso una tegola irrimediabile e, da poco compiuti i quaranta, se ne andò. A distanza di circa sei lustri dalla sua scomparsa, io avverto ancora il bisogno di rivedere le sembianze del caro amico, e perciò, oltre ad andare a trovare i miei genitori, scendo, saltuariamente, anche le poche scale che conducono al luogo del suo riposo, per un saluto a quel volto ancora giovane.
correva ogni volta che la collaboratrice domestica di patrunu ‘Ntinu, soprannominata Mariamarì, grande lavoratrice e moglie di un pastore di ovini, era mandata a chiamare il figlio Totò, occupato con gli amici a giocare al pallone o al bar, oppure a riferirgli qualcosa. Immancabilmente, la donna si rivolgeva ad alta voce al ragazzo, già da lontano, con l’appellativo “cumpare signurinu”, aggiungendo, quindi, quanto doveva dirgli. E tutti noi della compagnia, ci abbandonavamo a fragorose risate e a
sfottere il buon Totò. Sta comunque che il titolo di “cumpare signurinu” rimase a lungo una costante nel riferimento, a qualunque scopo, al nostro amico. *** Arrivati, rispettivamente, al diploma e alla maturità classica, entrambi - sia io, che fui assunto pressoché subito in banca, sia Totò, che partì per Roma dove risiedeva e lavorava il fratello maggiore - lasciammo quasi insieme Marittima, mantenendo tuttavia contatti epistolari e rivedendoci di tanto in tanto nella comune locali-
tà natia o per le vacanze estive o per le principali festività. In aggiunta, Totò, una volta propose agli amici più stretti di andare a trovarlo a Roma, al che, prendendo subito la palla al balzo, in un sabato di settembre, di buon mattino, salimmo in quattro sulla “Topolino” di Romano e, nel tardo pomeriggio, fummo già nella capitale; facile l’appuntamento e l'incontro con l’invitante, il quale poco tempo prima aveva anche lui assunto un impiego presso la società dei telefoni e, quindi, doveva offrirci un “complimento” per fe-
Nella realtà residua della vita che prosegue, invece, d'estate, m’incontro, talvolta, con i figli dell'amico: la ragazza, che continua ad appoggiarsi nell'abitazione, già del nonno ‘Ntinu, nell’antica Torre di Alfonso, il ragazzo, che, invece, ha voluto costruirsi una nuova villetta, occupata insieme con la moglie, nativa di un paese vicino, dentro il “giardino dei baroni”, sulla via vecchia per Andrano, dirimpetto al fondo de l’Arciana con il suo fantastico Palummaru (in italiano, torre colombaia). Ciao, Totò.
MMSarte
E’ in atto dal 24 marzo Art-icoliamo senza barriere nuovo percorso di poesia visuale rivolto ai bambini di quattro classi della Scuola Primaria Leonardo Da Vinci di Cavallino e Castromediano a cura di Monica Marzano
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Pensare il meglio per il Mondo
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L’amicizia nella scrittura di Gabriele e nel disegno di Alessandro
er Gabriele il concetto di amicizia é strettamente legato a valori di onestà e lealtà! Fare entrare nel proprio cuore nuovi
er Mihai, la parola rispetto, non ha confini. Bisogna essere in grado, per una tollerante e pacifica convivenza, di rispettare tutti, ma proprio tutti, perfi-
amici, non deve mai indurci a tradire le vecchie alleanze. sono incontri improvvisi e casuali che vanno poi coltivati senza mai dimenticare che l'amicizia perfetta è un naturale e reciproco scambio d'avere e dare.
Alessandro col suo solare disegno mette in evidenza come grazie al gioco e al divertimento comune si iniziano a stringere potenziali amicizie. Fra una linguaccia e un paio di risate, fra battute o slanci di genero-
sità, compaiono i primi segnali di quelle che poi saranno le amicizie più vere e duratura, quelle appunto nate fra i banchi di scuola o i parco giochi.
Il rispetto nella scrittura di Mihai e nel disegno di Manuela
no le "persone fastidiose", facendo finta di niente, quand'anche queste "ti parlano brutto". Cercare sempre di pensare il meglio per il mondo e l'intera umanità, vietandoci d'essere arroganti e imparando a riconoscere bulli e "persone cattive" che ingan-
nano, tenendoli sempre d'occhio, solo così si possono ottenere "bei risultati". La piccola Manuela è rimasta affascinata dalla frase "tenere d'occhio persone cattive". Ecco allora che il protagonista del suo perfetto dise-
gno è uno Sherloch holmes delle cattive azioni, un intraprendente investigatore pronto a sorprendere chi non ha rispetto dell'ambiente e di conseguenza del suo prossimo.
La galleria dei lavori della precedente edizione è su www.mmsarte.com
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Il Mese dell'Eutopia Per Lecce2019 dire maggio è dire Mese dell'Eutopia, una festa diffusa lunga 31 giorni, da nord a sud del Salento. Un'occasione per rendere ancora più visibile la fitta rete di relazioni intessute nei mesi tra lo staff di candidatura e le realtà attive sul territorio, ma anche un momento di riflessione sul percorso compiuto e sul da farsi. Una celebrazione delle otto utopie. Un gioco di squadra: la rete fa la forza, crea nuove relazioni, rende visibile l'invisibile e traccia i contorni di un disegno sempre più nitido su ciò che Lecce2019 è. Partecipare è la chiave per far forte la responsabilità di un cambiamento: “dividiamo le forze, riconosciamo punti deboli e di forza”. Per vivere le Eutopie. Insieme! http://www.lecce2019.it/2019/ilmesedelleutopia.php
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NOTTE bIANCA
Il 24 aprile tre appuntamenti dedicati al poeta. A Casa Eutopia,al Fondo Verri,da Prosarte e... al MuSt
Omaggio
a Vittorio Bodini C
ento anni fa, il 6 gennai o 1914 nasceva a Bari, da genitori salentini, Vittorio Bodini. La notte Bianca di Lecce il 24 aprile, gli rende omaggio con tre appuntamenti dedicati ai suoi versi. La voce del poeta ha attraversato il tempo giungendo fino a noi e rinnovando sempre l'interrogazione sulla natura enigmatica e "misterica" della nostra terra. Vittorio Bodini fu poeta del Salento, voce dell’Europa e del Mediterraneo. Il Barocco leccese vive e si rafforza nella lezione poetica di Bodini. I cortili, le strade della città come le case bianche di calce della provincia sono diventa-
te materia viva, eterna, nella sua riflessione poetica. Le campagne ordinate nei muri a secco, le terre disegnate nel verde dei filari delle vigne trovano esaltazione nei suoi versi. La vita lenta e semplice dei borghi rurali, come “Cocumula”, diventano oggi ispirazione, forza innovativa di grande interesse e possiamo affermare che Bodini fu iniziatore di un modello culturale attento al paesaggio rurale, ai suoi tempi, alle sue consuetudini: quello oggi sperato nelle proposizioni del Bid Book di Lecce 2019. Amò la Spagna, Vittorio Bodini e lì trovò il suo Salento, la forza per interpretarlo… Lecce, candidata a divenire nel 2019 Capitale Europea della Cultura, deve trovare nell’incontro con la poesia e con i poeti le
leve necessarie per muovere il cambiamento per trasformare la città in un luogo del pensiero e del fare di una comunità coesa e convinta della sua peculiarità. Il “Tu non conosci il sud…” del poeta Vittorio Bodini è l’invito migliore a re-inventarci senza perdere il piacere di scoprire i sapori della nostra terra della sua millenaria tradizione… Tre appuntamenti: Alle 19.00, Casa Eutopia, in via Federico d'Aragona, 1; “Letture al buio”, la poesia di Vittorio Bodini trascritta in braille letta da Luigi Mangia Dalle 20.00, al Fondo Verri, in via Santa Maria del Paradiso, 8; “Il Sud ci fu padre e nostra madre l'Europa” Sulle rotte di Vittorio Bodini. Prologo a cura di Antonio
Lucio Giannone. Letture a cura di Simone Giorgino, Piero Rapanà e Mauro Marino Dalle 22.00, Prosarte, in via Scarambone, 36 “Controcanto Allucinazioni poetiche per Vittorio Bodini”. A cura di
Mino Castrignanò. Negli spazi del MuSt - Museo Storico di Lecce La mostra: “Vittorio Bodini – Un uomo condannato al coraggio”, a cura del Centro Studi Vittorio Bodini e di Antonio Minelli.