Spagine della domenica 29

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spagine Un omaggio alla scrittura infinita di F.S. Dòdaro e A. L. Verri

Periodico culturale dell’Associazione Fondo Verri

della domenica n°29- 18 maggio 2014 - anno 2 n.0


Diario

Lecce, 18 maggio 2014 - spagine n° 0 - della domenica 29

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Nel nostro Paese, la gravità dei fatti si scioglie come un Alka Selzer

Se Belusconi piange

l’Italia non ride I

l caso è grave ma non eclatante. La gravità dei fatti in Italia si è sciolta come un Alka Selzer. Si digerisce tutto e in pochissimo tempo. In un libro di memorie l’ex Ministro del Tesoro statunitense Thimoty Geithner ha scritto che il governo Berlusconi cadde nel novembre 2011 per un “complotto” ordito in Europa. Gli americani, invitati a prendervi parte, non ne vollero sapere. Si può considerare questa testimonianza una sorta di excusatio non petita, un mettere le mani avanti a future rivelazioni. Tutto è possibile in politica. Questa testimonianza, al di là del suo valore in sé, vale soprattutto nel contesto, già abbondantemente noto di quanto accadde in Italia e in Europa nel fatidico 2011. Le recenti rivelazioni di Alan Friedman col suo libro “Ammazziamo il gattopardo” non sono state smentite. E non si tratta di fesserie, ma di testimonianze, che pesano come macigni; non di pettegolezzi di cameriere e autisti, ma dichiarazioni di personaggi come Carlo De Benedetti, Mario Monti, Romano Prodi. Va da sé che qui non si sta parlando di una vittima innocente. Un re – disse Robespierre chiedendo la testa di Luigi XVI – non è mai innocente. Berlusconi non è un re, ma il capo di un governo che aveva le sue colpe e le sue pesanti responsabilità, che aveva soprattutto una debolezza sua strutturale, dopo la defezione di Fini e del suo seguito. In gioco c’era la salute del Paese, che rischiava un tracollo dalle conseguenze rovinose. Ma un complotto è sempre un complotto, indipendentemente se volto al bene; cosa peraltro sempre discutibile in politica. Se poi è ordito da soggetti stranieri, in concorso con elementi nazionali, è molto più grave. Si è in presenza della violazione della sovranità nazionale per un verso; del tradimento bell’e buono per un altro da parte di chi quella sovranità doveva difendere e tutelare, a prescindere. Berlusconi può aver fatto – e li ha fatti – numerosi e gravi errori; può essersi macchiato di colpe assai brutte per un capo di governo; può aver dato coi suoi comportamenti esempi pessimi a italiani e stranieri; può aver irritato capi di stato e di governo con le sue chiassate e con gesti assolutamente inopportuni e ai li-

di Gigi Montonato

miti dell’offesa; ci sta pure che un personaggio come lui venga combattuto sul piano politico senza esclusione di colpi; ma non v’è dubbio alcuno che è stato massacrato da forze non sempre legittimamente ostili, direi anzi a volte pregiudizialmente ostili, nazionali e internazionali, in cui figurano protagonisti politici, intellettuali, magistrati, giornalisti, personaggi dell’alta finanza; a volte loschi figuri, beneficiati, forse corrotti, poi rivoltatisi contro, perfino con autoaccuse. Cose mai viste in un paese come l’Italia in cui nel corso della sua storia millenaria è accaduto proprio di tutto. La tesi del complotto perciò se non è vera è verosimile. In una recente intervista Tremonti, il Ministro dell’Economia di quel governo, è tornato sull’argomento: «Ci venne chiesto di partecipare al fondo sal-

Silvio Berlusconi

va-banche con il 18 % del totale. E cioè l’equivalente della nostra percentuale di Pil europeo. Sarei stato d’accordo se si fosse trattato del fondo salva-Stati, ma visto che le banche italiane erano esposte al massimo per il 5 %, ci opponemmo. A parti invertite Germania e Francia avrebbero fatto lo stesso. A quel punto Jean-Claude Trichet, presidente della Bce, annunciò che la Banca europea non avrebbe più acquistato i titoli italiani, lo spread cominciò a volare e il governo Berlusconi si dovette dimettere» (“Sette” del 1° maggio 2014). Stando a queste dichiarazioni, l’Italia di Berlusconi era contro la Francia di Sarkozy e la Germania della Merkel per una diversa valutazione su chi salvare: l’Italia voleva salvare gli Stati, la Francia e la Germania avevano interesse a salvare le

Banche perché le loro erano più esposte. E sulle cause di dissidi tra l’Italia e questi due paesi si potrebbe cercare ancora in altri settori. In politica estera, per esempio. L’amicizia di Berlusconi col russo Putin non era ben vista dai partner europei e s’incominciava a temerla; gli screzi, che pure ci furono per l’aggressione disastrosa alla Libia, avevano fatto apparire Berlusconi una voce stonata nel coro europeo diretto dal duo Sarkozy-Merkel. Sarà la storia, in tempi più distanti e sereni, a valutare le vicende del biennio 2010-2011, che portò alla crisi del governo Berlusconi e all’inizio di una stagione di anomalie democratiche. Ora prendiamo atto che se non ci fu proprio un complotto ci fu qualcosa che si somiglia. Parafrasando il reato di concorso esterno in associazione mafiosa si può dire che diversi soggetti italiani ed europei sono colpevoli del reato di concorso esterno in associazione antiberlusconiana. Qualcuno può cambiare “colpevoli” in meritevoli? E’ comprensibile, purché non si neghino i fatti in quanto tali; purché nel valutare il famoso ventennio berlusconiano si tenga conto delle enormi difficoltà in cui Berlusconi ha dovuto governare; difficoltà non solo politiche ed economiche. Ma se Berlusconi piange, i giudici di Milano non ridono. E non ride Napolitano, che rischia di diventare sempre più il Presidente-smentita: non sa mai nulla. No, non ride neppure D’Alema, che, per quanti sforzi abbia fatto in questi ultimi anni per darsi arie di grande politico planetario, è rimasto il comunistello che era. Sprezzantemente gaudioso quando deve registrare la disgrazia di un avversario. Se pure complotto internazionale contro Berlusconi c’è stato – dice – ringraziamo i complottisti che ce l’hanno tolto di torno. Quanta storia italiana c’è nelle sue parole di ultras ribaldo! Quasi quasi incomincia a diventarmi simpatico Renzi, che gli ha inflitto tante di quelle scoppole da farlo gareggiare con la torre di Pisa. E soprattutto non ride l’Italia, che nei suoi tentativi di rimettersi in cammino somiglia sempre più a quel famoso cormorano impantanato nel petrolio del Golfo ai tempi della prima guerra contro Saddam Hussei.o


Contemporanea

Eccesso

L

di obiezione

a legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza ha più di trentacinque anni. Sostanzialmente, si tratta d’una ottima normativa, che per impianto strutturale è all’avanguardia in tutta Europa. L’europarlamentare uscente Carlo Casini, presidente del Movimento per la Vita, ritiene che i temi relativi alla vita abbiano una pregnanza politica. Indubitabilmente, viviamo in un’era biopolitica: i rappresentanti delle istituzioni dovrebbero accostarsi alle questioni eticamente sensibili con pragmatismo e aperture liberali. Il cattolicissimo Carlo Casini è molto severo nella sua analisi: “Abbiamo assistito, in questi anni, alla progressiva costruzione della inviolabilità di una legge, la 194 appunto, divenuta monumento granitico intoccabile”. Ma si può continuare disinvoltamente a mettere in croce la 194, che ha pressoché sconfitto la piaga tremenda e perniciosa della clandestinità, e che costituisce un modello virtuoso e un esempio di rigore per altri Paesi? Certo, la curva demografica staziona e s’appiattisce verso picchi bassi, la denatalità è un serio e allarmante problema: ma ci si deve appellare soprattutto all’inadeguatezza delle politiche sociali, lavorative, economiche, e non ad altri immaginari e fittizi aspetti. Nonostante il suo inerente valore, nel nostro Paese, risulta talvolta impossibile applicare la legge 194, a causa dell’obiezione di coscienza. Secondo il Comitato europeo per i diritti sociali, l’obiezione di coscienza, che da noi raggiunge più del 70% di media con punte del 90% nei singoli ospedali, mette a repentaglio la vita della donna. E può succedere che violi il diritto alla salute previsto e garantito dalla Costituzione italiana. Gli intellettuali laici trovano “intollerabile” che il principio dell’obiezione di coscienza “sorpassi”, in alcuni casi, quello dei diritti. Troppi ginecologi rifiutano di praticare gli aborti, tanti farmacisti non distribuiscono la pillola del giorno dopo. La bioeticista laica Chiara Lalli scrive che

spagine

Nonostante il suo inerente valore, nel nostro Paese, risulta talvolta impossibile applicare la legge 194, a causa del no dei medici

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Una manifestazione a sostegno della 194

“l’obiezione di coscienza ha avuto negli anni un profondo slittamento semantico: da scelta individuale e libertaria che rifiutava la leva militare, è diventata un’imposizione della propria visione morale prossima all’omissione di servizio pubblico, come nel caso di medici obiettori che rifiutano di praticare l’interruzione di gravidanza”. È vero, in un Paese libero, è fondamentale che ogni cittadino possa mantenere le proprie convinzioni morali. Ad esempio, sulla contraccezione d’emergenza c’è un sentito dibattito fra cattolici e laici, che affonda scaturigini nella diversa lettura dello Statuto ontologico dell’embrione umano. Possiamo dire che un farmacista cattolico che sacralizzi l’embrione da subito, cioè fin dall’atto anfimititco, col cuore aderisce ad una ben precisa antropologia di riferimento. L’obiezione di coscienza è, comunque, una scelta che ha sempre un sapore tragico e umano. Un farmacista, però, non si deve mai dimenticare di attenersi ad un codice deontologico. Una ragazza che, per motivazioni intime di varia natura, deci-

desse di ricorrere alla pillola del giorno dopo, in qualsiasi momento dovrebbe poter acquistare in una struttura aperta al pubblico il contraccettivo d’emergenza. Se un farmaco fa parte del prontuario farmaceutico deve essere comunque prescritto e venduto da qualcuno. Il diritto di obiezione deve avere significato per il singolo professionista, ma non può essere mai esteso a tutta la farmacia, perché in tal caso verrebbero gravemente intaccate la libertà e l’integrità del cittadino. E lo stesso discorso vale per gli ospedali, per medici e infermieri. Alcune notizie recenti sono davvero raccapriccianti: nell’ospedale di Jesi, in provincia di Ancona, ci sono 10 ginecologi, tutti obiettori. La donna, sovente, deve lottare contro l’insensibilità. Già l’aborto è un dramma, un tormento vissuto sulla sua pelle e sul suo corpo lacerato. Ci chiediamo: sono auspicabili strategie politiche e culturali per tentare di combatterlo o, quantomeno, di contenerlo? Di certo, sono ben’accette le campagne di sensibilizzazione, di aiuto concreto, a condizione però che essere non abbiano il volto aspro e tagliente dell’ideo-

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di Marcello Buttazzo

logia. Dovremmo, forse, alfine di camminare su un terreno di solidi principi, uscire fuori dalle nette contrapposizioni, dalle improduttive logiche bipolari, che ci portano a ragionare per categorie. La donna, dinanzi ad una scelta dolorosissima, non è né cattolica, né laica: è una persona che esige rispetto per la sua autodeterminazione e autonomia morale. C’è, ad esempio, chi sostiene che la pillola abortiva Ru 486 banalizzi un dramma, perché l’aborto viene di fatto “ridotto a un atto medico”. Secondo alcuni bioeticisti cattolici, “la Ru 486 serve a mascherare culturalmente l’aborto, nascondendolo dentro ad una scatola di pillole”. Però avvilire il senso di responsabilità femminile, non vuol dire favorire una piena crescita civile e sociale. La donna, che affronta un day hospital o un ricovero ordinario, agisce sempre coscientemente. Le condizioni per arginare le interruzioni di gravidanza le deve laicamente incoraggiare la politica con la buona amministrazione: creando posti di lavoro, possibilità di sviluppo, effettive pari opportunità per le donne, asili e scuole per i bambini. Sui grandi temi della vita dovremmo saper separare le asperità del pensiero dalle questioni scientifiche e giuridiche. È evidente che, in questi ultimi anni, alcuni opinionisti cosiddetti “atei devoti”e numerosi politici hanno condotto contro la legge 194 e contro l’aborto chimico una vera guerra santa. Ancora oggi, rappresentanti del Nuovo Centrodestra ( Roccella, Sacconi, Lupi) e il tenace popolo “prolife” hanno una concezione drammaticamente asfittica. Si criminalizza la Ru 486. In questi anni, il centrodestra ha condotto una battaglia inverosimile, controproducente e inconcepibile, contro una medicina, inserita dalla Organizzazione mondiale della Sanità fra i farmaci essenziali. Evidentemente, per certuni, è più produttivo sposare i valori cosiddetti “non negoziabili”, che prestare attenzione e ascolto alle esigenze della donna e ai riscontri della farmacopea internazionale.


Accade nel Salento

A Nardò il Consiglio Comunale decide di non titolare la Sala del Consiglio a Renata Fonte

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Se non c’è

memoria

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concerto! E’ la parola che più di altre si legge in questi giorni, dopo la decisione del consiglio comunale di Nardò di non titolare la Sala del Consiglio a Renata Fonte. Il Sindaco ha chiesto il ritiro della proposta. In sostanza il consiglio comunale non ci ha messo la faccia, non hanno osato arrivare ad un voto negativo, escamotage un po’ tristanzuolo. La polemica monta come panna, già il 31 marzo, anniversario dell’assassinio della Fonte, Don Ciotti ebbe a dire dei neritini che occorreva una “pedata nel di dietro” per smuoverli e ricordare. In realtà, tolte le scuole, i “comuni cittadini” erano veramente pochi. Da lì mille prese di posizione anche piccate nel voler sottolineare che Nardò non è città mafiosa. Ebbi modo di scrivere che, a parer mio, non esistono città mafiose in sé, e lo ribadisco, una città è fatta di individui, ognuno con la sua particolarità e la sua storia, che all’interno di questi individui ce ne siano alcuni che fanno del malaffare la loro attività principale non rende una città mafiosa tout court, ne fa una città con schegge di malavita che agisce. In particolare sull’affaire Renata Fonte molto, e bene, è stato sintetizzato da Danilo Lupo in un articolo su Porta di Mare (www.portadimare.it). La Fonte fu giustiziata perché “colpevole” di voler fermare la speculazione edilizia nella zona di Porto Selvaggio. Per ammazzarla furono inviati dei sicari pagati, e nei processi sono usciti tre livelli di decisione, a parer mio manca un quarto livello, anche se le sentenze dicono che la cosa non abbia avuto riscontri, però forse riaprire il caso non sarebbe poi così male. Questo tipo di organizzazione, anche se non ne esce come “mafioso” tecnicamente detto, ha tutte le caratteristiche della mafiosità: una cupola che, per portare a termine illeciti guadagni, commissiona l’esecuzione di chi vuole ostacolarla. Stiamo parlando di un

di Gianni Ferraris

Qualcuno griderà all'intrusione negli affari dei cittadini di Nardò, il problema è che Renata Fonte è una persona assassinata la cui memoria appartiene a tutti quanti

Nelle immagini tratte da www.glocal.it i funerali di Renata Fonte a Nardò nel 1984

assessore, giovanissima donna, del comune di Nardò. Certo, a qualcuno dà molto fastidio sentir parlare di mafia e di mafie, Nardò non è città mafiosa, però quell’omicidio era mafiogeno. Sarebbe stata decisione meno pelosa l’aver titolato la sala a “Renata Fonte assessore neritino, assassinata perché combatteva la speculazione edilizia”, almeno dava il senso del ricordo e non si tentava maldestramente, come qualcuno pare voler fare, di scardinare sentenze. La decisione del Consiglio Comunale invece rimarca come dia ancora fastidio sentir parlare del loro feudo con termini negativi, ricorda tanto una decaduta nobiltà.

Concludo citando la relazione della Commissione Nazionale Antimafia che dice come in Salento ci sia recrudescenza della criminalità organizzata, in particolare si citano le zone di Nardò e Copertino. Con buona pace di chi vuole nascondere la polvere sotto il tappeto. Come polvere si vuole nascondere quando si tace di immigrati e caporali come fossero problemi d’altri. A quando i nomi e cognomi dei proprietari dei campi che utilizzano mano d’opera procurata da caporali? A quando un cartello all’ingresso della città che dice “Benvenuti a Nardò, città di Renata Fonte”? Questi sarebbero segnali che dicono con chiarezza da quale parte si sta. Certamente qualcuno griderà all'intrusione negli affari dei cittadini di Nardò, il problema è che Renata Fonte non è più solo un assessore neritino, è una persona assassinata la cui memoria appartiene a tutti quanti. E, tutto sommato, non è facile spiegare a chi non è del luogo la scelta dell'amministrazione comunale. Assomiglia maledettamente a qualcosa di sordido, da voler nascondere, celare. Proprio come i ragazzi che vagano nelle campagne in estate, scomodissima presenza.


E’ in atto dal 24 marzo Art-icoliamo senza barriere nuovo percorso di poesia visuale rivolto ai bambini di quattro classi della Scuola Primaria Leonardo Da Vinci di Cavallino e Castromediano a cura di Monica Marzano

spagine

MMSarte

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L’aiuto è nella mano

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er il piccolo Mattia la parola aiuto è il massimo esempio di solidarietà e di disponibilità da parte di chi lo dà. Aiutare non solo chi ha bisogno perché versa in difficoltà, ma aiutare anche a portare la calma

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l piccolo Andrea dedica le prime due lettere della parola mano, a due fondamentali necessità della vita quotidiana di ogni essere umano: mangiare e ricevere carezze...e sì quel meraviglioso contatto fisico di una mano

e la ragionevolezza nelle menti e nei cuori troppo agitati o infuriati, aiutare ad essere equilibrati per acquisire una nuova forza interiore capace a sua volta di poter aiutare. E già! chi aiuta in genere è una persona calma, positiva oltre che propositiva, pronta a gesti di prezioso volonta-

amorevole sulla nostra pelle che ci fa percepire il calore dell'affetto, che incoraggia e fa sperare in un mondo fatto di dolcezza... Le altre due lettere invece fanno diventare la mano simbolo di "belle amicizie" o "onde di felicità", come quando allo stadio durante incontri di match che, si spera, siano sempre

Il testo è di Mattia De Pascalis , il disegno di G. Carola

riato. La piccola Carola è stata catturata dalla frase "ostrica che racchiude la sua perla". Effettivamente quel guscio madreperlato e solido simboleggia l'aiuto e la protezione verso qualcosa per noi di gran valore...

Ecco allora che Carola anima di dolcezza materna quell'ostrica che deve proteggere la sua perla che altro non è che il proprio figlio, che continuerà ad aiutare a crescere con infinita amorevolezza! L'aiuto è un dono spontaneo.

Il testo è di Andrea Corina , il disegno di Mariano Mangiullo

all'insegna della grande sportività, le mani ondeggiano in onde di esultanza che per brevi attimi ci uniscono, un'onda che si vorrebbe andasse sempre verso la comune direzione di benessere e felicità. Mariano col suo luminoso disegno, dai tratti chiari e decisi, ha voluto materializzare questo "nodo di

belle amicizie", con una stretta di mano forte e sincera, due mani che si fondono in un unico e saldo contatto, un nodo che lega per grandi alleanze, sotto un sole spendente testimone oculare di questo gesto prezioso e da sempre patto di onore e signorilità.

La galleria dei lavori della precedente edizione è su www.mmsarte.com


L’arte di costruire la città Lecce, 18 maggio 2014 - spagine n° 0 - della domenica 29

Il concorso per la riqualificazione di Piazza Mazzini a Lecce

La malapianta

S

di Ghino del Tacco

La Natura (quella presente in Piazza Mazzini attraverso gli alberi) sembra essere davvero “Mala” per alcuni dei progettisti che si sono cimentati nel reimmaginare la piazza moderna della città barocca

i è concluso il 3 maggio scorso il concorso dal titolo “Trecentomila idee” (bandito il 19 marzo 2014, promosso da Aps Green Power e Sofran in collaborazione con l’Ordine degli Architetti di Lecce nell’ambito della 5° Edizione di Externa) per la riqualificazione di Piazza Mazzini a Lecce nota anche come Piazza dei Trecentomila in ricordo dell'affollatissimo, appunto, Congresso Eucaristico del 1956 (all'epoca l'attuale piazza non esisteva era solo ancora un pezzo di campagna). Il bando non imponeva vincoli particolari se non quello di prevedere una spesa di circa 2 milioni di euro. Primo classificato il progetto firmato da Davide Negro e Sonia Luparelli, secondo quello di Antonio Longo, Loris Causo, Marco Causo e Marco Mazzotta, al terzo posto, infine, il progetto di Luciano Baldi, Giuliana Baldi e Francesco Danielli. Presieduta da Fabio Novembre, la Giuria del Concorso era composta dagli architetti Claudia Branca, Fulvio Tornese, Flavio De Carlo (segretario senza diritto di voto), dall’ingegnere Gabriele Tecci, e da Marcello De Giorgi per la Camera di Commercio. Il bando del concorso prevedeva anche una votazione on line i cui risultati non erano però vincolanti per la giuria. Il sito dove è possibile visionare tutti i 33 progetti partecipanti in forma anonima e contraddistinti da un codice alfanumerico è http://www.trecentomilaidee.it/.

La fontana costruita negli Anni Settanta scomparirà. La foto è di Ronny Leva

1) Piazza Mazzini attualmente è, unitamente ai vicini Giardini Pubblici, l'unico spazio verde ricco di alberi a ridosso della città storica; 2) un disegno architettonico e una planimetria in particolare registra (o dovrebbe farlo) con precisione notarile ciò che è previsto da un progetto: se si disegna un quadrato, un quadrato deve essere e così via. Quest'ultimo principio vale a maggior ragione per il verde. Nel progetto vincitore del primo premio e in particolare nel disegno (Tav. 2) dedicato al verde si contano solo 29 alberi circa. Nel progetto classificatosi al secondo posto il *** A ben vedere esiste una linea spar- numero degli alberi è pari a circa 45 tiacque fra i tre progetti vincitori ed è (Tav. 2). quella che giustifica anche il titolo di Gli alberi presenti attualmente sulquesto articolo “La Malapianta” preso in prestito da un libro di Rina Du- la piazza sono 183: i progetti quindi rante. La Natura (quella presente in prevedono quella che è una vera e Piazza Mazzini attraverso gli alberi) propria strage di alberi. Tutto ciò, risembra essere davvero “Mala” se è petiamolo, è quantomeno indicativo vero che i primi due progetti, entram- del valore, pressoché nullo, che i probi di studi leccesi, fanno strage degli getti premiati al primo e secondo poalberi presenti attualmente nella piaz- sto riconoscono al verde esistente in za. Il terzo progetto vincitore, di uno quella piazza. Quest'ultima inoltre, studio di Terni, è molto più attento in- così come rilevabile dagli stessi disevece alla componente naturalistica gni, diventa una immane spianata del sito. A questo punto andrebbero mattonata. Per comprendere l'importanza che ricordati due dati:

hanno gli alberi attuali di Piazza Mazzini non c'è bisogno di una spiccata coscienza ambientalista basterebbe infatti solo avere la sensibilità di riconoscere che la maggior parte di quegli alberi ha impiegato circa 40 anni se non di più per crescere così come li vediamo oggi. E se la coscienza ambientalista non ci fosse sarebbe bastato ai progettisti vincitori solo appellarsi a uno dei principi cardine, l'ABC, del fare architettura ovvero l'essere umano il quale andando in una piazza, ed in quella leccese in particolare, potrebbe volere passare alcune ore all'ombra di un albero guardandone magari un altro. E' da aggiungere poi che sempre i primi due progetti raggiungono il parossismo in due punti: il primo, quello vincitore, prevede una enorme spianata pavimentata che a un tratto addirittura si inclina scendendo fino a tre metri sotto il livello stradale attuale dove è collocata dai progettisti un'area di ristoro e svago(!). Il secondo progetto vincitore è invece ancora più interessante: anche in questo caso una enorme spianata in cemento caratterizzata da un andamento collinare (finte colline) dove, a un tratto, riconoscendo

la necessità di un luogo in ombra i progettisti “creano” una sorta di boschetto fatto di pali e pensiline a forma di fiore con tre petali: in sostanza si abbattono gli alberi veri e se ne fanno di finti. Andrebbe detto infine che nessuno dei due progetti vincitori (1° e 2°) dimostra una vera comprensione dei luoghi né da un punto di vista storico né da un punto di vista ambientale e architettonico. Di fatto questi progetti stanno a Lecce ma potrebbero stare benissimo altrove. C'è da chiedere quindi dove voglia andare questa architettura leccese: Addu-o-bai? A Dubai forse? Esatto proprio a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti. E che l'esotismo di questi progetti, in particolare il secondo classificato, sia qualcosa più che reale lo attesta il fatto che, proprio il secondo classificato, è simile, molto simile al progetto dell'architetto Kuan Wang che ha avuto una menzione nel concorso internazionale per la progettazione dell” Exhibition Center” di Otog in Cina (progetto pubblicato il 19 luglio 2012 http://www.archilovers.com/kuan-wang/). Lo stesso progetto è poi stato ripubblicato il 20 novembre 2013 in http://www.arch2o.com/exhibitioncenter-of-otog-kuan-wang/. Il fatto che il secondo progetto sia molto simile a quello del concorso cinese pone evidentemente il problema della qualità della commissione giudicatrice il cui compito principale non è solo di assegnare un premio ma valutare la pertinenza al luogo e la validità critica di ogni progetto partecipante. La commissione avrebbe dovuto essere a conoscenza del progetto cinese e comportarsi di conseguenza nei confronti di un progetto simile al cinese ma presentato per la piazza leccese. Chiariamo con un esempio. Se un canditato si presentasse a un concorso d'arte contemporanea con un barattolo con su scritto "merda d'artista" (giusto con qualche differenza sul colore dell'etichetta e della freschezza del contenuto) cosa farebbe la commissione? Darebbe un premio a questo candidato? La commissione potrebbe non conoscere la famosa “merda di manzoniana memoria” e trovare quella del candidato un'dea geniale. É tutta e solo una questione di Cultura.


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Si dice che i cinesi copino tutto da noi, questa volta sembra invece che Lecce abbia copiato la Cina. Se permettete la notizia è epocale.

*** Altra cosa interessante di questo concorso è stata quella della votazione on -line. Quest'ultima è oramai diventata una moda nella misura in cui si vorrebbe rendere un'operazione “pubblica”, in questo caso il concorso di idee, qualcosa di trasparente e soprattutto “partecipato”. Di fatto però, queste votazioni on-line, sembrano essere una sorta di salvagente per il politico di turno che dietro l'insuccesso, anche qualitativo di un progetto, può sempre barricarsi dietro il: “L'ha deciso il popolo di internet”. La cronaca recente (il sondaggio on-line per l'indipendenza del Veneto) ha dimostrato tutti i limiti di queste votazioni on-line. D'altro canto poi compito di una amministrazione politica è quello di assumersi la responsabilità delle proprie scelte e in questo caso di quelle architettoniche. Sia ben chiara una cosa: nulla contro il coinvolgimento dei cittadini nelle scelte di natura architettonica-urbanistica ma il “parere dei cittadini” andrebbe collocato alla giusta altezza del processo progettuale ovvero in quella fase fondamentale ma preliminare di ascolto delle esigenze. Questa che sembra una inutile precisazione di fatto aiuta a capire meglio quanto accaduto proprio nel concorso di cui ci occupiamo. Nel bando di fatto non erano fissati parametri scaturiti da una indagine specifica sulle esigenze dei cittadini leccesi che facessero da sfondo all'attività progettuale dei singoli concorrenti. In ogni caso l'esito della votazione on-line non è stato rispettato. Dal sito che abbiamo indicato si traggono i seguenti dati: la votazione on-line è cominciata il 30/04/2014 alle 09:00:48 ed è terminata il 02/05/2014 alle ore 23:59:59 è durata cioè circa 48 ore. Il Progetto 61097F2I (non si conosce il nome del concorrente) ha ottenuto il 22% delle preferenze (ovvero 18894 voti) ed è stato il più votato dal pubblico senza ricevere però alcun premio; al Progetto 6X6XPM24 (con il 15% 13252 voti) è stato assegnato sempre dalla giuria il primo premio (3000 euro); il Progetto AJEICYJ5 (con lo 0% - 64 voti) ha avuto il secondo premio (2000 euro); il Progetto AP25LS74 (con l'1% - 1139 Voti) ha avuto il terzo premio (1000 euro). Di questo voto on-line colpiscono due cose: 1) il progetto più votato non ha vinto nulla, il vincitore del secondo premio ha avuto solo invece 64 voti; 2) il tempo della valutazione per la votazione. Precisiamo meglio quest'ultimo punto. Nel sito messo a disposizione degli “elettori” erano presenti 33 progetti, ognuno di essi era composto da tre tavole e una relazione di circa una pagina A4. Abbiamo cronometrato solo il tempo (circa 2 minuti) necessario per apertura delle 132 tavole (33x 3 tavole + 33 relazioni) e loro rapidissima analisi. Per visionare, solo visionare sottolineiamo-

lo, i 33 progetti sarebbero stati necessari circa 66 minuti. Per studiare più attentamente e capire i progetti a fondo le circa 33000 persone che hanno espresso un voto (solo dei progetti più votati) avranno impiegato molto più dei 66 minuti detti. Tutto ciò, da una parte, fa comprendere che sarebbe stato necessario evidentemente un rispetto maggiore del voto popolare da parte della stessa

commissione, dall'altro, infine, fa comprendere chiarisce in modo pressoché certo la vera qualità del concorso. Un esempio valga per tutto: un mese circa (19 marzo - 24 aprile, questo il tempo fra presentazione del bando e consegna dei disegni) è un arco temporale non adeguato a compiere una seria ricerca storica sul sito del progetto (e non solo) che radichi que-

st'ultimo al territorio. E in effetti, come detto, alcuni dei progetti vincitori potrebbero stare a Lecce come Dubai o meglio ancora in Cina. *** N.B. Per leggere i commenti all’articolo vi rimandiamo sul sito di Spagine dove pubblichiamo una replica dell’architetto Sonia Luparelli del gruppo vincitore: www.spagine.it


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Appuntazzi Una tavola “amorosa” di Gianluca Costantini Lecce, 18 maggio 2014 - spagine n° 0 - della domenica 29


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L'isola di Rina - Ritorno a Saseno di Caterina Gerardi presentato a Firenze lo scorso 27 marzo negli spazi della Galleria La corte

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spagine

Tournèe

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Finalmente vicina

arlare di Rina Durante mi emoziona sempre. E’ un’emozione che non so descrivere, un richiamo forte, un tum tum nel petto che diventa sempre più forte ogni volta che sono a due passi da lei nelle parole di chi la racconta, nelle immagini di chi la ritrae, nelle letture dei suoi scritti che faccio con dedizione da tempo, da quando, ragazzina, leggevo le sue opere conservate nella biblioteca comunale di Melendugno, così difficili da trovare altrove e ora introvabili anche lì, con desiderio di scoperta di luoghi che non riuscivo ancora ad amare e con l’adorazione frammista a timore reverenziale per una donna che riscattava ai miei occhi un paese che mi ha più tolto che dato. Quel maledetto timore che mi ha fatto restare lontana da lei la volta in cui, ventenne, l’ho ascoltata e son rimasta lontana: allora mi è mancato il coraggio di dirle grazie per la sua letteratura e la sua poesia. Ho umilmente scritto di lei per le piccole testate con cui ho collaborato in passato, ho curato piccoli eventi a lei dedicati e ho continuato a cercare nel territorio le sue tracce, ad amare il suo vivere. Tra le persone a lei care, sempre disposte a raccontarla, a ricordarne la testardaggine e la stramberia, l’impegno socio-politico e la delicatezza delle lettere, l’innovazione e la passione che metteva nelle cose, ho incontrato Caterina, qualche anno fa, in non ricordo più quale manifestazione o interesse comune, sicuramente intessuto di Rina. Caterina che la ritrae nei suoi documentari, Caterina che capisce che su me può contare se c’è da raccontare Rina, Caterina che viene a Melendugno per occasioni diverse in memoria della Durante e che mi invita a Lecce e dintorni quando si parla di Malapianta o Tramontana. Caterina che conosce il sogno di Rina, il desiderio del ritorno all’isola dell’infanzia, l’albanese Saseno, mai esaudito forse perché i tempi non erano buoni o più semplice-

di Dora Elia

Ad illustrare, la prima pagina del libro d’arte dedicato a Rina Durante realizzato da Ilaria Martina, Claudia Rizzo,Elisabetta Taurino, Jacopo Torre e Costanza Winspeare, allievi del Liceo Classico Palmieri di Lecce, per il Concorso Toponomastica al Femminile, Sulle vie della parità edizione 2013 – 2014. Il libro sarà premiato lunedì 26 maggio a Roma in una cerimonia che sarà ospitata nell’Aula Magna dell’Università Roma 3.

mente perché, come spesso accade col trascorrere delle stagioni, si conosce davvero il luogo in cui ci si vedeva bambini e non lo si assolutizza più come la terra felice a cui siamo stati strappati, ma come una parte di noi che non c’è più e che deve lasciare il posto ai luoghi del passato più recente e del presente ultimo. Lo dico forse più per me, che sognavo di tornare a Milano dove ho passato i primi anni della mia vita, città che mi sembrava da sogno e che ora che sono “grande”, e la conosco per ciò che è davvero, non potrebbe essere mai il mio luogo, non a discapito del mio mare. Ma questa è la mia storia. Il sogno di Rina è altro, la sfida del ritorno in quell’isola militare

il cui ingresso era interdetto ai più l’ha forse accompagnata fino alla fine e Caterina, dopo anni di richieste, ricerche, lavoro caparbio riesce a realizzarlo, è a Saseno, ne visita le strade, le case distrutte, il verde che ricorda quello delle passeggiate di Rina per arrivare dall’entroterra al mare. Ci riporta l’immagine di una terra selvaggia che sembra abbandonata, poco resta di ciò che cullava l’infanzia della nostra amica. Ciò che più mi colpisce è che la pellicola di Caterina, questa volta, la guardo a Firenze, in una galleria piena di gente che non conosce Rina, ma che sembra amarla quanto noi, che ascolta con attenzione la lettura degli stralci dei suoi racconti e degli aneddoti che hanno colo-

rato la sua vita sull’isola. Ciò che mi è entrato dentro è l’abbraccio dello sguardo di Caterina quando sono entrata in sala, il sorriso che mi ha fatto sentire a casa, che mi ha regalato un momento magico, familiare, di quelli che non so spiegare, che fanno fare tum tum al cuore appunto. Da Feltre a Firenze per respirare l’aria che mi riempie i polmoni di una passione sempre fresca quando si parla di Rina, per non sentirmi più straniera in una città non mia se della mia illustre cittadina si parlava come di un’amica, con ammirazione e commosso ricordo. Una serata che non scorderò, in cui Rina era presente con forza tra lo scorrere delle immagini e delle parole sussurrate a ricordarla, a tessere il filo rosso che, grazie a lei, tra me e Caterina resta nel tempo, malgrado l’alternarsi delle assenze alle frequentazioni dettato dagli impegni quotidiani, che diventa più forte ogni volta che ci scriviamo una mail o ci regaliamo una telefonata, ogni volta che entriamo, in punta di piedi, nell’isola sconosciuta ai più che è stata la preziosa vita di Rina, un’esistenza che merita di essere raccontata anche oltre i confini salentini.


Pensamenti

Nella solitudine il solitario divora se stesso, nella moltitudine lo divorano i molti. Ora scegli

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«

F. Nietzsche

Il tempo

Perché dobbiamo portare ad ogni costo sulla scena uomini stupidi o uomini che fanno gli intelligenti; perché dobbiamo ad ogni costo offrire quadri che suscitano riso o pianto; perché non portare invece sulla scena degli uomini semplicemente intelligenti che non suscitano né riso né lacrime, ma semplicemente facciano pensare?» Esordiva così il grande Anton Pavlovič Čechov (1860 – 1904), mostrando nei suoi drammi la noia e la monotonia della vita della classe dei proprietari terrieri nella provincia rurale russa, sottolineando l’abisso che separa le aspirazioni e i sogni di ogni personaggio dalle loro effettive realizzazioni. Salvo il primo fallimento di Cajka (Il gabbiano), l’opera trionfò a Mosca prodotta dal Teatro d’Arte, che in seguito mise in scena altri testi di Čechov : Djadia Vanja (Zio Vania, 1897) nel 1899, Tri Sestry (Le tre sorelle, 1901) e Visnevyi (Il giardino dei ciliegi, 1904); gli ultimi due scritti appositamente per la compagnia di Stanislavskij. Il legame di Čechov con il Teatro d’Arte si fece ancora più stretto quando lo scrittore sposò Olga Knipper, una delle migliori attrici del gruppo. Oggi la fama di Čechov è affidata soprattutto a questi quattro drammi, ci lavorò con cura fin nei dettagli; i drammi, esteriormente semplici, sono densi, fitti ed intensi. I personaggi sono responsabili e stimolati, e nelle controversie delle loro emozioni appare la rivelazione dell’intero dramma. E forse per lui il dramma non era nulla, lo concepiva tra tante altre preoccupazioni domestiche. *** Il bacio dato ad una bella fanciulla di giorno mi faceva presagire una vita densa di piaceri e coinvolgimenti amorosi. Ma poi, invece… «Qui il tempo c’è, ma non accade niente! Perché? C’è solo il tempo che passa; non c’è gloria per nessuno». pensavo. «Tanto… il tempo devi passare» dicevano gli altri. Già! Bisogna ammazzare il tempo, invece il tempo ammazza noi e noi non ammazziamo mai il tempo. Facevano passare il tempo tenen-

e gli altri di Antonio Zoretti

dosi occupati, non occupandolo. Qualsiasi cosa andava bene per tenersi impegnati: così che tutte le idiozie lo riempivano, quel tempo. Credevano di ingannare il tempo, ma il tempo ingannava loro. Un tempo per gli stupidi o per quelli che si credono intelligenti: un tempo vuoto, che abbisogna di essere riempito; non adatto per uomini semplicemente intelligenti che semplicemente pensano e fanno pensare. Ed io vacillavo.

Anton Pavlovič Čechov

Decisi di allontanarmi da queste genti. Quando andavano al mare cambiavano solo aria, ma tali restavano. «Ma come si fa a non avere interessi?», pensavo. Non essere colti da una curiosità, da una voglia. Andavano in città solo per fare una passeggiata, sempre sulla solita via, quella principale che taglia in due il centro. Eppure di tempo c’è n’era.... Ma preferivano che passasse… invano. Da allora non ho sofferto più la solitudine, ma la moltitudine.

Volevo essere me stesso, poiché tutti gli altri erano già occupati – dal nulla s’intende. «Nella solitudine il solitario divora se stesso, nella moltitudine lo divorano i molti. Ora scegli» diceva William Friedrich Nietzsche. Ed io scelsi. Non potevo sopportare questa partecipazione. Le loro realizzazioni era elementari, la loro esistenza era elementare. Lavorare, riposare, famigliare, oziare. Ma questo lo praticano anche gli animali… mangiano, dormono, fecondano, abbaiano. Elementare, troppo elementare. Ed io non volevo essere come loro, io non ero come loro, come i loro padri, i loro nonni. Io volevo mettere in scena un dramma. Si, un dramma che risvegliasse le menti, che colpisse le coscienze, animasse i corpi degli astanti e annullasse l’apatia congenita imperante. Già! Altrimenti, tutto il resto è noia – diceva Giacomo Leopardi (e non Franco Califano, come molti stolti credono). Di questo si tratta, alzare il livello delle genti, farne altre, evolverle dagli schemi eseguiti a dovere per millenni. Invasati da tabù, pregiudizi, afflizioni, le moltitudini tardano, e non poco, ad affacciarsi all’incognito, al mistero, son mancanti; mancano da sempre, queste folle mariane, assenti. Arduo compito, sì; ma io farò questo. Farò loro recitare un dramma, simile alla loro morte. Davanti a me. Ne seguiranno il contegno, li toccherò nel vivo, se appena un fremito li sorprenderà nella coscienza. Così reagiranno, ed io avrò reso loro servigio. Facile, facile, troppo facile. Basterà sculacciarli per sorprenderli? Eccedendo il linguaggio? Vanificando tutta la loro rappresentazione del reale? Ridicolizzando ogni attività del loro e del nostro tempo? Della vita che vuol ancora interdire loro la possibilità di pensare, esasperandoli nella ripetizione ossessiva delle loro manie quotidiane puntualmente rispettate ed eseguite. Un oltraggio irrappresentabile per loro, un attentato alla loro unica vita. Quest’oltraggio costituisce per loro una esistenza degenere, fuori da ogni visione e ordine stabilito. Voglio perseguire quest’idea de-


pagine n° 10 e 11

votamente, per coglierli di sorpresa, così che finalmente reagiranno. E’ tardi? Troppo tardi? No! Mi farò loro innanzi, offrendo il dramma della loro vita, manovrerò il timone come un marinaio nato. Li guarderò attentamente, farò un calcolo matematico. E’ inutile? Troppo inutile? Si sentiranno incapaci di tollerare altre passioni che fervono in loro? O, con loro sorpresa, finalmente penseranno invece di annegare. Rientra nell’ordine della natura – io pensavo; si scuoteranno, in fin dei conti non sono di pietra. Risvegliandosi, in silenzio, in memoria a Giacomo. Perché loro sapevano che Giacomo desiderava altro; e sapevano che egli nella sua soddisfazione non avrebbe degnato d’uno sguardo né loro, né i loro padri, né altri. Loro devono credere ch’egli non fu solo un caso. Forse i loro occhi presbiti po-

tranno discernerne chiaramente i contorni della vita, diminuendo le distanze. Che vedranno? E che penseranno? E che cosa mediteranno con quella fissità, con quell’attenzione, in quel silenzio? Osserveranno i loro padri, i quali, a capo scoperto, con il volto scuro sulle ginocchia, stavano assorti a contemplare la tenue forma di vita, simile ormai a fumo di cosa bruciata. E non chiedevano nulla. Stavano a guardare avanti, e forse pensavano: «Noi periamo derelitti», oppure: «Siamo arrivati. Siamo scoperti». Però non dicevano nulla. Si misero solo il cappello. Poi s’alzarono e rimasero ritti con le loro alte e impettite persone (proprio come in atto di dichiarare: «La vita non esiste» pensai io; «come se volessero slanciarsi nello

spazio» pensò un altro.) E i loro figli s’alzerebbero anch’essi per seguirli quando loro, agili come dei giovanotti, balzeranno in cielo con il volto in mano. Dormire, dormire e mai pensare. Devo coglierli in un momento di debolezza, di abbandono e portarli a teatro per recitare un dramma, così profondamente scossi dall’artificio scenico possano rivelare la loro defezione. E si sentiranno a un tratto spossati, dissolti; e si sforzeranno di guardare oltre e d’immaginare di sbarcare altrove, stanchi nel corpo e nello spirito. Però alleviati d’un peso. Sentiranno d’aver dato alla platea tutto quanto loro avevano desiderato di dare, l’alba di un altro giorno, quando loro erano partiti. Dovranno raggiungere l’approdo. Non si sentiranno ingannati. Non avranno bisogno di spiegarsi. Avranno pen-

spagine

Isaac Levitan, 1892 - Paesaggio russo

sato le stesse cose; e, senza che loro formulino domande, i fatti avranno dato loro già risposta. E rimarranno l’un l’altro a fianco, stendendo le mani su tutte le debolezze e le miserie dell’umanità; e potranno finalmente considerare il loro finale destino. «Ecco, ho coronato l’opera», pensai. Eccolo là il mio ‘dramma’. Eccolo là con tutti quanti, e la loro ambizione d’esser qualcosa. «Finirà in soffitta», penserà qualcuno, «sarà distrutto». E poi, ripresi io: «Che importa?». Guardai il teatro: era deserto. Guardai il testo: era confuso. Con intensità repente, quasi che mi fosse dato di veder chiaro per un attimo solo, tirai una linea là, nel mezzo. Il dramma era finito, compiuto. «Sì» pensai, posando la penna, «ho avuto anch’io una visione».


Lecce 2019 - Mese delle utopie Lecce, 18 maggio 2014 - spagine n° 0 - della domenica 29

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Alla Biblioteca dell’Istituto Antonacci l’esperienza pittorica di Marcello Congedo da mercoledì 21 maggio, alle 18.30

N

La pittura

el mese di Maggio dedicato alla riflessione delle 8 utopie, il comitato Lecce 2019, con la biblioteca dell’Istituto Antonacci, riflettono sull’esperienza pittorica dell’artista Marcello Congedo il quale alle sue opere associa la scrittura braille. È, questa, una soluzione, una sollecitazione estetica, che rinvia alla filosofia di Polistopia. Polistopia, è la città aperta a tutti, in tutte le occasioni, con la responsabilità culturale di trasformare le persone con speciali bisogni in persone con abilità speciali, e nella quale la cultura dell’avidità diventa cultura della generosità e solidarietà. La mostra personale di Marcello Congedo sarà allestita nella biblioteca braille dell’istituto per ciechi “Anna Antonacci” di Lecce. La chiave della sensibilità al braille dell’artista è nel quadro “scribo ergo sum”. Già nel lontano Platone la scrittura era legata all’Essere e generava le identità distinguendole. Nei libri la scrittura racconta la vita e promuove il desiderio della bellezza. Sulle sue tele Marcello Congedo, dopo averle realizzate, sovrappone dei fogli scritti in braille e dopo averli tagliati segna con punti rossi il richiamo della presenza del codice braille. La pittura materica

del Braille di Luigi Mangia

associata al braille rinvia verso la percezione aptica cioè del tatto e quindi favorisce una certa accessibilità alla lettura dell’opera vissuta nella sua sollecitazione estetica quindi come emozione di bellezza. Gli occhi vedono, le mani conoscono. Vedere e toccare vale come approfondire l’opera d’arte che è

G

narrazione di emozioni, rappresentazione di sogni, forza di sentire il desiderio come bellezza che meraviglia l’anima. L’arte è la meraviglia che racconta il nostro tempo creativo ed è bello quando la bellezza è profumo della vita. L’arte apre l’armadio prezioso della nostra memoria e l’anima, come in un lago, si

specchia, si fa corpo, diventa rappresentazione di immagini di bellezza. Il braille e la pittura ci raccontano : danno voce al nostro intimo più profondo ed anche il buio si fa narrazione di immagini personali. La biblioteca braille dell’Antonacci è speciale perché è un vero museo del libro braille. I volumi negli scaffali dicono infatti che la cultura vince la cecità e promuove l’uomo: lo libera. L’appuntamento, il 21 maggio alle 18:30 all’Antonacci per discuteredi arte, di educazione alla lettura delle opere d’arte. Per confrontarsi sui linguaggi, sui metodi e sulle metodiche dell’accessibilità alle opere d’arte e quindi ai musei. Un contributo di stimolo e di ricchezza sarà portato dal Professore di storia dell’ arte contemporanea dell’Università del Salento Massimo Guastella il quale oltre ad avere competenze e sensibilità per le culture dell’accessibilità dedica momenti di ricerca sul rapporto dei disabili verso le arti. Un contributo significativo poi verrà dal mondo delle Associazioni interessate alla accessibilità perché tutti siamo impegnati a costruire una città capitale della cultura europea accessibile per tutti gli eventi culturali e soprattutto con la grande scommessa di cancellare dal vocabolario sociale della vita urbana le parole “emarginazione” ed “esclusione”.

Fondo Verri Giovedì 22 maggio incontro con Antonio Lucio Giannone

Dal Sud all’Europa

iovedì 22 maggio dalle 19.00, sarà ospite del Fondo Verri, Antonio Lucio Giannone - professore ordinario di Letteratura italiana contemporanea presso il dipartimento di Studi Umanistici dell’Università del Salento - per la presentazione del suo saggio “Fra Sud ed Europa. Studi sul Novecento Letterario Italiano”, edito nel 2013 da Milella. *** Il libro comprende una serie

di studi su alcuni tra i maggiori scrittori meridionali del Novecento inseriti in una dimensione nazionale ed europea. Tra questi figurano: Vittorio Bodini, Girolamo Comi, Salvatore Quasimodo, Leonardo Sinisgalli, Rocco Scotellaro, Michele Saponaro e Cesare Giulio Viola. Tutti autori che con la loro pratica letteraria e umana riuscirono a stabilire, in misura diversa l’uno dall’altro, tra la loro terra, che in alcuni di essi diventa motivo di canto e d’ispirazione, e la più avanzata cultura letteraria nazionale ed euro-

pea. “Il Sud ci fu padre/ e nostra madre l’Europa”, scriveva Bodini in due memorabili versi di una poesia intitolata “Troppo rapidamente”, compresa nella raccolta “Dopo la luna” del 1956, mentre Quasimodo, in una lettera inviata il 9 maggio 1955 proprio al poeta leccese, che lo aveva definito “l’iniziatore della poesia meridionale”, sosteneva di credere in un “Sud che diventa europeo”. Con l’autore interverranno Mauro Marino e Simone Giorgino.


Teatro e Poesia Omaggio a Eugenio Barba e all’Odin Teatret nel Cinquantenario della fondazione del gruppo Lecce, 18 maggio 2014 - spagine n° 0 - della domenica 29

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spagine

La Vita Cronica Visioni oniriche inseguono il nostro perderci nel’anfratto del nulla cosmico con onde oceaniche percuotenti la battigia sullo sfondo di orizzonti senza senso con noi poveri cristi che tuttavia percorriamo difficili sentieri.

di Maurizio Nocera

La danza della Madonna nera è come il tremolio del titimaglio: ti scuote la mente divora l’anima brucia i sensi.

Il regista della zattera è lì seduto per terra alla ricerca della radice diversale con i suoi attori che gli danzano attorno con i fiori in mano. Cerca ancora il seme della vita dentro il pozzo del pineto disperando della speranza di un salvataggio su un’isola di muti sotto un manto d’azzurro che vortica nelle dorate trombe.

Sì è certo che il Sì sta dentro il No come il no sta nel nulla e la Fine è nel Principio di una speranza cronica di un dolore che sta in noi annegante l’Universalità.

Poi viene la luce del domani o meglio viene il domani della luce nell’insperata comprensibilità.

Eugenio Barba

Lecce, 9 novembre 2011, h. 24 [dopo aver visto a Lecce, ai Cantieri Teatrali Koreja, lo spettacolo La vita cronica, dell’Odin Teatret, regista Eugenio Barba]

Anteprima della prossima uscita de La Contrada del Poeta


Copertina

INCONTRI

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spagine

Oggi, dalle 15.00 alle 24.00, in Piazza Sant’Oronzo, a Lecce una raccolta firme il registro unioni civili, per gli sportelli LGBTQ e per la casa dei diritti

O

ggi, domenica 18 maggio in piazza sant'Oronz o a Lecce dalle 15.00 fino alle 24 si svolgerà il Rainbow Day, un'iniziativa volta a sensibilizzare ed informare le persone riguardo le tematiche LGBTQ (Lesbiche, Gay, Bisex, Trans, Queer). L'evento, organizzato dall’associazione LeA- Liberamente e Apertamente grazie a Lecce 2019 Pagina Ufficiale e con il supporto di Agedo Lecce e Arcigay Salento La Terra di Oz, è stato pensato come una grande festa: giochi da fiera, estemporanea d'arte, biblioteca vivente, "microfono aperto", esibizioni musicali, di ballerini e di artisti di strada e molto altro animeranno la piazza principale della città, che in quella giornata si trasformerà in un luogo inclusivo ed accessibile, così come previsto da una

delle otto Utopie cardine di Lecce2019, POLIStopia. Il Rainbow Day sarà anche l'occasione per presentare una raccolta firme per alcune petizioni, quali: registro unioni civili, sportelli LGBTQ , casa dei diritti. L'evento terminerà con un momento di riflessione durante il quale le associazioni proponenti delineeranno il motivo e lo scopo della giornata. Le associazioni LeA- Liberamente e Apertamente, Agedo Lecce e Arcigay Salento La Terra di Oz si occupano di difendere e promuovere i diritti delle persone lgbtq e combattere ogni forma di discriminazione delle persone omosessuali e transessuali, mediante iniziative di vario tipo, quali interventi nelle scuole con professori e alunni, dibattiti, cineforum, mostre, workshop e tanto altro. *** É sempre più importante creare delle collaborazioni tra le associazioni del territorio, in un'ottica di condivisione

di idee, di progetti e di iniziative, ed è da questo che nasce il Rainbow Day: costruire visioni comuni partendo dal proprio punto di vista per arricchirlo con quello degli altri, con la possibilità di avere una visione della comunità più articolata, con le sue risorse e i suoi problemi, ricordando che siamo tutti cittadini della POLIS e che a tutti va riconosciuta la stessa dignità e rispetto. Sono tante le realtà – locali e non – che hanno accolto con entusiasmo l'iniziativa, sottoscrivendo e sostenendo le petizioni. *** Hanno aderito fino ad ora: Amnesty Lecce, Anyway Accessalento, ASSAY, Big Sur lab, Casa Delle Donne Lecce, CulturAmbiente Onlus Federvita Puglia, Differente Mente, DNAdonna, Eleonora Magnifico, ELSA Lecce, Emanuela Gabrieli, EMS Ente Modelli Sostenibili, Fallin' Bomb!, Frame Bologna, Greenpeace - Gruppo

locale di Lecce, Halo Reverse, ImprovvisArt Cooperativa, ISTITUTO CORDELLA FASHION SCHOOL , Laboratorio Di Danza, La Scimmia - artistic project, La SvoltaShaker Lab, LaGirandola AssociazioneVolontariato, Le cose cambiano, Le'nticchie - catering etico, Lei disse sì, Lila Lecce, Manifatture Knos, Mauro Marino-Fondo Verri, Metoxè, Micheal and the Theet, No a tutti i razzismi, Officine Culturali Ergot, SALOMÈ- pe(n)sa differente , SEYF - South Europe Youth Forum, Terra Del Fuoco Mediterranea, Tobia Lamare, WWF - Lecce, Zei Spazio Sociale

Media Partner del Rainbow Day: I MOVE PUGLIA.TV

La manifestazione rientra nel Mese dell’EUtopia di Lecce2019.


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