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Spagine della domenica n°31- 1 giugno 2014 - anno 2 n.0 Periodico culturale dell’Associazione Fondo Verri
Un omaggio alla scrittura infinita di F.S. Dòdaro e A. L. Verri
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Matteo Renzi, il frutto di plastica di una pianta malat L e Elezioni Europee di domenica scorsa, 25 maggio, hanno dato un risultato incredibile. No, non mi riferisco allo strasuccesso del Pd (40,81 % - 31 seggi), né alla comica frenata del M5S (21,15 % - 17 seggi), né tanto meno al commiserevole contentino di Forza Italia (16,81 % - 13 seggi) né alle briciole del Nuovo centro destra (4,38 % - 3 seggi) né… né…né…ad altri più o meno pietosi, più o meno soddisfacenti risultati. Mi riferisco al fatto che – mi si passi la metafora – sul ramo di una pianta dal tronco rinsecchito e con gran parte dei rami secchi o semisecchi e spogli, è appeso, come in cima al palo di una cuccagna, un frutto bello, grosso, maturo da far venire l’acquolina in bocca. E’ il frutto del Pd, ovvero di Renzi, che ha fatto venire l’acquolina in bocca perfino a Fassina, a Bersani, a Cuperlo e a tutta la compagnia bella, che fino a ieri sperava che un colpo di vento buttasse giù quell’albero. Ma è un frutto di plastica! La propaganda dei media, pronta sempre ad esaltare ogni risultato che faccia comodo all’establishment napolitanesco, tambureggia sullo straordinario senso di maturità della democrazia italiana. Il ragionamento è semplice: si sperava in un successo di Renzi e in una sconfitta di Grillo e tanto è stato. Che più? Ostellino sul “Corriere della Sera” ha avanzato qualche perplessità sul risultato e sul suo eroe, «un ragazzotto che se la cava bene a chiacchiere. Non ha altro da esibire; perciò fa dell’ottimismo della volontà la propria bandiera, spacciandola per programma politico» (28 maggio); ma è rara avis in un cra-cra nello stagno pieno di rane. Alcuni di quell’establishment sono contenti che finalmente Renzi è legittimato dal voto popolare, come se si fosse votato per eleggere il Capo del Governo e non invece 73 rappresentanti italiani al Parlamento Europeo. Renzi, invece, posticcio era e posticcio rimane fino ad ele-
zione di merito contraria. La situazione italiana si scopre grave appena si tenti una prospettiva. Ha votato appena il 57,22 % degli aventi diritto; una percentuale che è febbre alta nella temperatura corporea di un organismo elettorale malato e sofferente. Siamo stati ottimisti nell’indicare al di sotto del 65 % il profilo patologico della nazione (“Spagine” di domenica, 25 maggio). Il risultato elettorale tuttavia è razionale. Se è accaduto vuol dire che così doveva accadere. La campagna elettorale, infatti, è stata deformata e circoscritta a tre protagonisti, dei quali uno, da premier e segretario di partito (Renzi), era su tutti gli schermi televisivi ventiquattr’ore su ventiquattro; l’altro, che doveva essere il suo antagonista naturale (Berlusconi), semplicemente “non c’era”, decaduto, smarrito, depresso, un uccello spelacchiato nella pània giudiziaria. Al suo posto c’era Grillo, un comico impazzito, ormai fuori di testa completamente, ubriaco di se stesso, delle sue manìe totalitarie: «non vinciamo, stravinciamo, prenderemo il cento per cento», «ormai stanno con noi Digos, Dia e Carabinieri». Deliri puri, tali considerati se nessuna mezza tacca di magistrato si è sentito in dovere di mandare appunto i Carabinieri o gli infermieri di un Pronto Soccorso, per prelevarlo e condurlo in un luogo di cura. In siffatte condizioni il risultato non poteva essere che quello che è stato. Certo, ci sono gli errori, commessi e non solo negli ultimi tempi sia da Berlusconi che da Grillo. L’uno è come l’eroe ariostesco, continua a combattere e non si è accorto di essere già morto, in attesa solo di sepoltura. L’altro si è impelagato in un’avventura che non lascia intravvedere nessuna strada percorribile, stante la pervicacia di credere di poter veramente conquistare il potere da solo, e per di più democraticamente. Le sue follie evocatrici di Berlinguer sono solo trovate propagandistiche per accreditarsi
di Gigi Montonato
presso un elettorato di sinistra. Un errore grave se si considera che il fenomeno Grillo si è dilatato grazie ad un elettorato di destra, scontento e deluso, ma pur sempre di destra. A votare il M5S nel 2013 erano stati molti ex missini ed ex aennisti, i quali questa volta hanno pensato bene di regolarsi di conseguenza dopo l’illusione dell’anno scorso. Ora il corpo elettorale italiano deve ritrovare la condizione, prepararsi ad un confronto regolare per le prossime politiche: da una parte il centrosinistra, ormai rinnovato; salvo che a sinistra non s’inventino qualcosa per farsi male da soli. Dall’altra il centrodestra deve rinnovarsi pena la sua rovina. Le riserve egoistiche di Alfano e compagni non hanno davvero nessuna ragione. Quello che doveva essere l’inizio di un nuovo centrodestra rinnovato ed europeo si è rivelato in tutta la sua pochezza se in alleanza con l’Unione di Centro è riuscito a superare appena-appena la soglia di sbarramento. Tutti insieme a destra possono competere con l’avversario di sinistra. Resta l’incognita del M5S, che, a questo punto dovrebbe incominciare ad istituzionalizzarsi, a trasformarsi cioè in partito che cerca con gli altri alleanze ed elaborazione dei programmi; o, al limite, a dividersi nelle sue due anime, di destra e di sinistra, per stare ognuna con lo schieramento più affine. Per questo è necessario che il Movimento “uccida” i padri dai quali è stato messo al mondo: Grillo e Casaleggio. Il processo di avviamento al bipartitismo sarebbe così ricomposto; e l’Italia potrebbe essere o avviarsi ad essere un paese politicamente normale. Fantapolitica? Forse. Ma ne abbiamo viste tante e tali in questi ultimi vent’anni che trovare il discrimine tra la fantasia e la realtà nella politica italiana è assai più difficile che ipotizzare la dissoluzione di un Movimento come quello di Grillo. Fini, Casini, Di Pietro: ou sont les neiges d’antan?
Diario politico
della domenica n째31 - 1 giugno 2014 - anno 2 n.0
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O spagine
della domenica n°31 - 1 giugno 2014 - anno 2 n.0
Sinistra Uno spazio politico comune? Non sembra facile, nè scontato ra si tratta di saper abitare uno spazio politico comune, quello aperto in Italia con la lista per Tsipras, e la cosa già non sembra facile e scontata. Dopo un risultato che ha passato la ghigliottina del quorum grazie a tutti, nessun escluso: volontari, movimenti, comitati spontanei che hanno garantito livelli organizzativi e apertura unitaria, società civile e intellettuali, partiti o quel che ne resta. Uno spazio politico comune si è aperto con più forza in Europa e questo, al di là dei formalismi, deve essere un processo in corso da incoraggiare e osservare. *** Uno spazio comune non si abita con polemiche sterili, con riproposizioni di ipotesi già naufragate, con dissidi pregressi, con sofismi ideologici, con metafisiche essenzialistiche e identitarie. Uno spazio comune non si abita inficiandolo, nel senso proprio e traslato del termine. Lo si abita con umiltà, con riflessività, con rispettosità. Così come lo spazio sociale comune lo si è riuscito comunque ad abitare assieme nella stagione dei social forum europei e globali. Il delirio di onnipotenza di Grillo e del suo ambiguo movimento populista (che adesso cerca casa tra gli antieuropeisti xenofobi) è stato controproducente, improntato a toni allarmanti e contenuti irrazionalistici. La loro democrazia diretta è tale solo perché “diretta” dall’alto dalla diarchia dei due leader. Il partito berlusconiano è in caduta libera, va tramontando, e non è cosa da niente. Il partito di Renzi, slegato da ogni residuo di sinistra popolare, segnato da vera discontinuità dal partito dalemiano e dai suoi equilibri politicisti, diventa un partito interclassista piglia-tutto, a forte carica leaderistica. Forse è semplificatorio liquidarlo come “la nuova DC” e comunque c’è molto da riflettere su questo. Qui non c’è stato affatto quel “finale di partito” di cui parlava nell’omonimo libro Marco Revelli, almeno non nel senso greco né in quello francese per altro verso. Non è facile né sensato fare previsioni sulla sua durata e stabilità, ma sulle sue politiche sociali e istituzionali c’è da rimanere ben allertati. Agire nello spazio politico comune vorrà dire essere autonomi culturalmente dal M5stelle e anche dal PD. Dire mai o sempre ad alleanze è anche inutile allo stato attuale, da una parte una forza politica che agisca in questo spazio deve rendersi coalizionabile, al massimo saltando un giro o due, e piuttosto lavorare verso i movimenti e il sociale e sul rinnovamento delle culture politiche. Non è un mistero che nessuno dei partiti frammentati della sinistra fuori dal PD abbia veri gruppi dirigenti nazionali e locali e saldi assi programmatiche. Si assiste a oscillazioni ondivaghe, a eccentriche fissazioni identitarie, a riproposizioni di passate teorie sulle “due destre” e sulle “due sinistre”, a sbandamenti sul terreno del pacifismo e dell’idea di democrazia globale. *** Il Salento non ha avuto candidature, non le ha sapute esprimere né gli sono state riconosciute. Il caso scabroso di Taranto è stato lasciato gestire scandalosamente dai fans di quel partitino
Insieme? Forse di Silverio Tomeo
dei Verdi ormai inesistente in sintonia con le pulsioni giustizialiste e spesso filogrilline di MicroMega. Ora c’è lo spazio minimo non per ricostruire i partitini della diaspora della sinistra comunista, ma per evocare un nuovo soggetto politico che nella crisi sappia essere coagulo di iniziativa e intelligenza del conflitto e della sua necessaria mediazione politica. Elucubrazioni eccentriche a questo spazio, e non a caso ipercritiche, in nome dell’antagonismo sociale e della lotta alle “utopie letali” dei movimenti perché poco operaiste e leniniste, hanno come pensiero soggiacente cose come “l’attualità della rivoluzione in Occidente” o “la maturità del comunismo” che risalgono a quarant’anni fa ed ebbero solo un ruolo deformante. Non si vede come rispolverarle possa adesso migliorarne l’esito … Il post-operaismo, o neo-autonomia operaia che sia, nelle sue varie sfaccettature, porta avanti un
Alexis Tsipras, (Photo Laurent Troude - Liberation)
“pensiero politico parallelo” del tutto sterile, così come appare letale pensare ad alleanze sociali con il nichilismo autistico anarchico. In alcuni movimenti reali, spesso ai suoi margini, allignano teorie e pensieri propri del complottismo paranoide e dell’irrazionalismo: ebbene, questi settori sono destinati ad essere risucchiati nel populismo reattivo del M5stelle, più prima che poi, ed è bene saperlo. La crisi della democrazia si combatte sul terreno stesso della democrazia nella sua forma più avanzata della partecipazione e della cittadinanza attiva. La crisi della politica non si combatte con l’antipolitica ma con nuove culture del conflitto, cercando di pensare con un lessico della politica in grado di fuoriuscire dalle teologie politiche ed economiche dominanti, senza fuoriuscite avventurose nel nullismo e nell’inessenzialismo.
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Scritture
della domenica n°31 - 1 giugno 2014 - anno 2 n.0
E venne
maggio
M
aggio è passato, volato via. Mese soave di effluvi nell’aria. La campagna rinvigorita e screziata nel sole. Maggio è trascorso come un lampo. Abbiamo scorto, in piazza, rondini anarchiche e ribelli che disegnavano traiettorie imprevedute nel cielo. Abbiamo sentito, dalla Chiesa, scampanare per la via note liete di saluto a te, Maria, nostra Signora delle grazie beate. Quante volte, da ragazzi, abbiamo aspettato ai bordi del tempo maggio di lucori aurorali e corse sfrenate a perdifiato per i sentieri sterrati. E l’ indimenticabile cinguettio d’uccelli ci entrava nella testa come una vellutata melodia d’un delicato cantar leggero.
economica, delle altre contingenze negative, purtuttavia ancora respiriamo viole di campo e intravediamo, ogni mattina, albe frementi. Oggi patiamo giornonotte la pervicacia della mediocrità di certuni, la violenza del potere dominante di pochi, il perenne strisciare e camuffarsi dei furbi mimetici travestiti da buoni, purtuttavia miriamo con lo sguardo le stelle sperdute nella luce dell’aurora. Ancora oggi, nell’età della maturità, abbiamo maggio nel cuore. E, ancora oggi, con meraviglia, indugiamo nei giardini dell’anima. E desideriamo amori nei campi di spine e giunchiglie. Amori che vanno. Colori rarefatti del mattino, vigoroso sole del meriggio, crepuscoli d’amarena. Ancora oggi, che è inevitabilmente finito l’età della giovinezza, lumeggiamo e vezzeggiamo la fantasia, che s’adQuante volte, da ragazzi, seguivamo un pallone dentra nel caos d’ intorno. nei prati riarsi, quando un Convento di periferia era Andiamo per stradine di ciottoli e fango. il nostro nido di primo e intatto splendore. Di quella Dimentichiamo i singulti, e incrociamo gialli gigli e fanciullezza, avverto un’eco che scorre, uno stor- farfalle dalle ali d’oro, in ondeggianti campi di mire di foglie. Aroma di venti, rapsodia di parole. grano. E noi, attenti passeggeri ai margini d’un Glauche speranze, frastuoni e ghirlande. Ancora sogno, a adulare la vita più di tutto. tocco sulle papille quell’incanto bambino, d’una Ancora oggi che maggio s’è perso, noi rincorriamo drappeggiata infanzia di amaranti trifogli e di man- sempre utopie, chimere, incendi e rappresaglie daranci. d’amore. L’esistenza attuale, per molti di noi, è Nel giardino dei limoni, San Francesco dall’alba precaria, ciononostante rifulgono giorni inattesi, e vegliava i nostri giochi selvaggi. Rabescava l’ infiniti, infiniti papaveri arrossano prati desiderati. anima una donna, infuocata di passione. Già a maggio, cominciavamo a gioire per l’imminente Maggio è andato via, è fuggito, ma verrà l’ estate chiusura della scuola. del sole alto e del cielo basso, delle cicale pazze e La scuola elementare del paese d’un Sud aspro e canterine. Verrà l’ estate e riverberi di te, dolce radolce. I libri si potevano piano piano accantonare gazza, e quanti di fuoco danzeranno sulla pietra e ci si poteva consacrare all’elogio dell’amicizia. antica della piazza. Tu, cara musa eterna, sei la Svegli fanciulli ci dedicavamo ai giochi e a fare i luce che dai piedi della guglia rimbalza, traverchierichetti con allegria, disciplina, sentimento. sando la mia ombra, valicando il sogno, accenChe profumo di rose nell’aria di maggio di anni fa. dendo le ore. Tornerà l’estate e il tuo cuore di Fanciulli innamorati, indocili, venivamo accolti con fanciulla. Torneranno le bianche orchidee, i miei vibrante abbraccio dai frati minori del Convento. giorni giacinto con te. Tornerà l’estate e gli ulivi conNel piccolo estremo lembo di meridione, France- torti e assolati, i pini all’incrocio dell’amore, le gersco, anima folle stremata d’amore, cantava inni bere. all’essenzialità, era un eroe della quotidianità, un Tornerà l’estate e carezzerò il tuo ricordo. Tu che modello virtuoso, il linguaggio sostenibile, la gram- sventolavi bandiere di pace e arcobaleni d’ armomatica dell’esistere. nie. San Francesco guidava i nostri passi di irrequieti Tu che svellevi la mia improvvisa cupezza e in ragazzini. Ancora oggi, Francesco è il più fulgido onde sonore mutavi la vita, rosamaranto elegia. esempio da praticare, da seguire. Maggio è pas- Rammento che, nel cielo capovolto, una pioggia sato, il mese delle rose è andato via. Anche l’in- improvvisa spruzzava i nostri corpi e, quando fanzia e la giovinezza sono solo un vivido ricordo fummo soli, baci e colori accesero i lampioni di di primavera. Ciononostante, anche oggi, nell’età paese. M’estasiai sul tuo gaio sorriso. L’agile piogdi mezzo, la bella stagione non ha minimamente gia ci sfiorava e d’incendio colmava il mio benigno perduto il suo odore. Il suo sapore. Oggi, subiamo tormento d’amore. a fondo l’ incedere con passo spedito della crisi
di Marcello Buttazzo
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Salute&Benessere
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La ricetta della socialpolieutopia
Io sto bene tu stai meglio
C
hi si interessa dell’Altro campa cent’anni. Dopo la partita al comunale di Nardò, Giovanni Paolo II, dello scorso martedì 27 maggio, organizzata dal Dipartimento di Salute Mentale dell’Asl di Lecce, ci sentiamo molto soddisfatti perché la partita: Tutti contro tutti La testa nel pallone trasmessa dalla Rai nella trasmissione La vita in diretta, ha lasciato il segno come festa solidale, esperienza di vita felice. È stata la festa di tutti, nelle tribune e nel campo da gioco, per i grandi e per i piccoli, nei colori del giallo e dell’arancio e del grande pallone, fuori dalla competizione ma vittorioso sulle barriere del pregiudizio della malattia mentale perché percepita spesso con paura e diffidenza. Per tutti è stato un momento bello della propria esperienza di vita, quello di scoprire che: chi ha atteggiamenti, comportamenti, sentimenti di solidarietà fa del bene a sé e con ciò si dispone all’altro che vive meglio e quindi anche più a lungo. Io sto bene se tu stai meglio. Sono rimasto felicemente sorpreso per i complimenti ricevuti in strada da cittadini felici del messaggio e della mia figura di arbitro non vedente con Gianni Ippoliti nella partita della solidarietà felice. Nella città malata di stress, i comportamenti solidali sono di grande vantaggio per chi li riceve e una grande straordinaria risorsa per l’intera collettività. La Socialpolieutopia non è una semplice idea di comunità, al contrario: è un progetto di paesaggio sociale urbano che ha fondamenti scientifici. Infatti, Suzanne Richards, ricercatrice dell’Università di Exter in Inghilterra, dopo un’attenta e scrupolosa valutazione di ben 40 ricerche sperimentali, ha evidenziato l’effetto positivo dei comportamenti solidali: aumento del benessere generale, diminuzione del rischio di ansia e di depressione, incremento della soddisfazione della propria vita nel piacere di essere stato utile per l’Altro. La Socialpolieutopia ci insegna che: contro l’idea di cancellare il welfare sociale della spesa non più sostenibile, è possibile un nuovo modello di welfare sociale costruito sui valori solidali, della partecipazione, degli ambienti accessibili. Della cultura solidale vive bene la mente e gioisce il corpo. La società risparmia perché diminuisce la spesa per i farmaci, per i ricoveri in ospedale per il parcheggio dei vecchi anziani nelle case di riposo. La Socialpolieutopia è dentro di noi ed è la carta di identità delle nostre disponibilità di cittadini del futuro. Basta volerlo, basta sentire il dovere di dichiarare guerra ai pregiudizi e alle barriere delle disabilità e avere la convinzione di costruire una città senza più uffici del dolore e assessorati di lotta alle povertà. Chi si interessa dell’Altro campa cent’anni è una scommessa sociale che vale vivere con impegno per una vita migliore.
di Luigi Mangia
Si è giocata martedì 27 maggio a Nardò la partita La testa nel pallone organizzata dal Dipartimento di Salute Mentale della Asl di Lecce
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P
assare in Piazza Sant’Oronzo in questi giorni è incredibile. Le pagodine candide e plasticose sono ovunque, per Cibarti hanno addirittura pensato di stendere la plastica anche davanti all’anfiteatro forse per impedire ai turisti la visione di quelle vecchie pietre. La città è piena di gruppi di visitatori, uno di milanesi era fermo, mi ha chiesto informazioni, abbiamo chiacchierato e una signora mi dice “Scusi, ma il sindaco è un ambulante? Privilegia i mercatini alla piazza?” Ho allargato le braccia, “Che vuole, signora, forse chi amministra è tremontiano, la cultura, si sa, non si mangia”. Facciamo il punto della situazione, nel mese di maggio la piazza è stata ricoperta di pagodine con il seguente calendario: Festival Dieta Med-italiana - Lecce Capitale della Cultura del Buon Cibo Gusto e salute dal 26 maggio al 4 maggio 2014 Gelato festival: dall’8 all’11 maggio. Panorama d’Italia dal 14 al 17 maggio qui la pagodona era un improbabile igloo sempre in candido moplen. Cibarti Expo 2014 dal 30 maggio al 2 giugno Nei tempi morti la piazza ha ospitato altre manifestazioni - ovviamente - oltre al perenne cantiere che serve ai mezzi (camion, carrelli elevatori ecc.) per montare e smontare l’ iniziativa di turno. Ma, per savare il “decoro”, la Piazza è stata tassativamente vietata ai comizi elettorali perché non si fanno nel salotto buono, viene da ridere: praticamente una città senza cuore, senza pensiero... Senza politica (anche le opposizioni in fondo partecipano al sacco di Piazza Sant’Oronzo con il loro silenzio).
Facendo un giro nel cuore pulsante di Lecce, la zona nel raggio di 100 metri dalla Plastificata piazza Bianca (già Sant’Oronzo) lo spettacolo è ancora più deprimente. Parcheggi, auto, la Chiesa fra le più fotografate al mondo, Santa Croce, coperta da anni da impalcature, forse in una lotta di resistenza con quelle del Teatro Apollo, altra meravigliosa incompiuta che chi scrive non ha mai avuto il piacere di vedere nei sette anni di permanenza a Lecce. Uno spettacolo che fa rabbrividire. Una città candidata a Capitale della Cultura dovrebbe (evidentemente il condizionale si impone) essere altra cosa. Fino a pochi giorni fa ero fra i sostenitori più accaniti alla candidatura, “perché no?” mi
Accade in città
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Sant’ Oronz o, la piazza stretta
di Gianni Ferraris
chiedevo. Ora forse ritengo sia il caso di soprassedere, non è proprio il caso. Se non esiste un disegno complessivo che valorizzi non per un anno solamente la città, se non esiste un piano traffico non raffazzonato, se il concetto di soldi: pochi maledetti e subito prende il sopravvento, è meglio ripensarci. Se il centro storico deve essere un mercato a cielo aperto si scelga di farlo tale. Non condivisibile come opzione, però darebbe il senso di stabilità. La cultura è altra cosa. *** Andiamo a vedere chi si occupa di tutto ciò: l’Assessorato che cura Cultura, Beni Culturali, Spettacolo, Turismo, Sport e Tempo Libero. Assessori al ramo: Luigi Coclite (Turismo, Marketing Territoriale, Spettacoli ed Eventi) e il sindaco Paolo Perrone (Cultura, Sport) Il settore si occupa dell’organizzazione di eventi culturali, mostre, spettacoli, eventi sportivi, di iniziative in campo turistico e di promozione dell’immagine della città, oltre che gestire le strutture espositive di proprietà comunale. Il settore gestisce tutte le attività connesse all’obiettivo primario di crescita culturale, turistica ed economica della città, valorizzando le potenzialità del territorio. Dirigente è Nicola Massimo Elia L’Assessorato alle Attività Economiche e Produttive - Internazionalizzazione delle imprese. Assessore al ramo è Luciano Battista. Il Settore opera nel contesto delle attività imprenditoriali che riguardano il commercio al dettaglio a posto fisso su aree private e quello su aree pubbliche… Interviene, inoltre, nella promozione dei prodotti locali, mediante l'organizzazione di eventi (mostre, fiere, gallerie espositive, ecc.) o la partecipazione a fiere nazionali ed internazionali, in modo da facilitare l’ingresso delle aziende locali anche nei mercati esteri. *** Girovagando nel cuore turistico, monumentale e storico della città mi accorgo che non è proprio possibile quellaCandidatura, che in queste condizioni nessuna commissione potrebbe dare questa possibilità ad una città tanto bella quanto maltrattata. Nella sola area che va da Piazza Sant’Oronzo a Piazza Castromediano a Via Umberto primo cascano le braccia nel vedere i poveri turisti a piedi, rispettosi dell’ambiente, dovere fare slalom fra pagodine, auto in sosta, un traffico degno di altri luoghi.
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Appuntazzi
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Invito al mare negli appunti di Gianluca Costantini
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Musica
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Per la cura di Valerio Daniele il coordinamento di autoproduzioni per la socializzazione di musica
L
’autorevolezza e l’epifania del suono sembrano essere la prerogativa delle proposte di Desuonatori, nuova (ed eccellente) label salentina (ma è molto di più…) nata per la cura di Valerio Daniele: un autentico maestro di suono. Lo possiamo affermare senza timore d’essere contraddetti, è storia nota: nella sua sensibilità ha trovato dimora gran parte della qualità musicale proposta nel Salento in questi anni; dietro molti titoli che abbiamo amato c’è il suo mixer, la sua umiltà di musicista (al servizio dei musicisti) e la sua grande capacità di ascolto. *** Da tempo, sono suo fan e sempre mi sono chiesto, perché sentivo questo moto naturale verso la sua persona e il suo lavoro, oggi, percorrendo i sentieri di lettura che i clik aprono sul sito di Desuonatori, l’ho capito bene. Leggiamo insieme ciò che scrive di sé Valerio Daniele nella sezione “Pensieri”: «Io non ho mai saputo vendere. Né me stesso, né gli altri, né persino gli oggetti. Ho 36 anni. Non comincerò ora. Non voglio cominciare. Non voglio imparare a vendere, o a vendermi. Si dice: “ora bisogna essere produttori di sé stessi, bisogna stare tutto il giorno a sbattersi per mandare e-mail, fare telefonate...” se ti rimane tempo, studi. Se rimane tempo, componi. Se rimane tempo, vivi. Mi sarà consentito essere in assoluto disaccordo con i musicisti che ho sentito parlare in questo modo. Mi sarà consentito sentirmi così... lontano da queste logiche. Mi sarà consentito negarle. O s t e g g i a r l e». Potrei fermare qui la citazione, ma è un peccato, un vero peccato tagliarla e poi, continuando a leggere, ancora meglio capisco la qualità della persona e il mio essere appassionato dell’opera di questo giovanotto…
«Il corpo mi tiene a distanza. – scrive Valerio Daniele - Il mio corpo. Preferisce vivere con poco, a distanza dai palchi. Sul livello del suolo. Con due occhi, due orecchie e due mani. Per sentire, guardare e toccare le persone. Ho sempre pensato la musica come un modo per raccontarmi. E per ascoltare i racconti degli altri. La musica è un fatto di umanità, di parole, di occhi, carezze e arrabbiature e sottili deprivazioni e fughe orgogliose e tanto altro. Di tutto questo ho sempre raccontato e sentito raccontare. E' un fatto d'amicizia, per me, la musica. Di profondissime, non spiegate, concordanze. Di sottili, a volte intellettualmente negati ma impetuosi desideri di comunicazione. Passati 36 anni per capire poi cosa? Che alla fine dei conti è solo voglia di parlare ed ascoltare. E' tutto lì. Non farò la musica pop. E attenti: il pop non è solo quello in TV, il pop è molto più vicino a noi, in mille
atteggiamenti quotidiani, in mille ragionamenti e nei dieci compromessi che non abbiamo avuto la forza di negarci. Non cambierò le mie parole per adattarle ad un concetto del tutto mistificato(-rio) del presunto gusto del pubblico. Il pubblico siamo noi. Ha il (cattivo) gusto che noi stessi gli abbiamo infuso. Avrà il gusto che noi saremo capaci di comunicare, diffondere, stimolare. Non venderò il mio corpo. Resto qui, circondato da amici, persone, carne vera, non vendibile, non acquistabile. Unico scopo: avvicinarci alla Bellezza. Col capo chino, e la virtù forte. Fatta di desideri piccoli conquistati, di poche parole consumate come atto d'amore, di poche note senza baldanza, mai belligeranti. Sempre pronto ad imparare e condividere. Molle. Fiero. Pronto».
Straordinario! Queste parole profondamente mi rappresentano. Lascia ancora sperare nella forza della musica (e del fare creativo) Valerio Daniele, nel valore del suono e della ricerca oggi che ci sentiamo assediati dal melenso ritorno di un melodico che stucchevolmente canta di amori finiti, di figli che salvano i padri, di dannati redenti, di rocker decaduti, di nulla in definitiva… Solo del nulla! Basta vendere facendo leva sulla superficialità dei sentimenti. Una musica poveramente consolatoria che ha perso la sua radice, la sua autorevolezza, il motivo stesso del suo essere musica. Suono che sveglia, sollecita, educa, muove è invece quello di Desuonatori, un’esperienza che ricollega la più raffinata sensibilità musicale contemporanea salentina ad un filone e ad un tempo poco conosciuto del lavoro musicale nella nostra terra: quello del suono creativo che negli anni Settanta fu prerogativa di nutrita schiera di giovanissimi musicisti che coronarono la loro ricerca con la fondazione del Collettivo Musicale di Terra d’Otranto, ensemble più nota poi negli anni Ottanta come Bandaid. Un’entità artistica e anche politica quella che bene si accorda con il “coordinamento di autoproduzioni per la socializzazione di musica inedita in nuovi contesti di fruizione” dichiarato da Desuonatori.
Ancora su www.desuonatori.it leggiamo: “E' casa per ciascun progetto, luogo familiare di confronto, generazione e regolazione di strategie comuni o individuali. La musica e l'uomo si sono allontanati. Soprattutto negli ultimi anni, troppi fattori esterni hanno indebolito il legame naturale fra musica e ascolto. Desuonatori auspica una umanizzazione dei contesti di fruizione musicale volta a ricondurre la produzione di suono alla sua originaria, essenziale natura comunicativa e comunitaria. Crediamo che la musica sia una responsabilità; che ogni artista che non rispetti sé stesso nelle sue naturali inclinazioni espressive,
Un’immagine del Bestiario che illustra le edizioni di Desuonatori e il logo realizzati da Valentina Sansò
soggiacendo a strutture eterodirette di mercato o andando incontro ad un fantomatico, presupposto, mistificato gusto del pubblico, non rispetti il pubblico stesso, non rispetti il valore dell'arte e il senso della comunicazione umana” Che ve ne pare!? Non è illuminante? Non è politico? Non è un originale (e necessaria) dichiarazione di poetica?
Valentina Sansò è autrice dell’immagine di questa linea di lavoro. Per illustrarla inventa un bestiario, in un packaging leggero, da biglietto da visita, da promemoria, perché il vero senso di Desuonatori sta nella leggerezza, nella libertà e nella gratuità della musica disponibile e scaricabile - Creative Commons - in rete, scrivono: “Abbiamo deciso di autoprodurci e di rendere gratuite le nostre produzioni. Non per sminuirne il valore ma per rivendicare una netta distanza dalle attuali logiche di fruizione musicale. Gesto propositivo e ab-soluto di indipendenza, aperto a coloro che si sentiranno di condividere, sostenere e rafforzare una nuova idea di rapporto tra musica e comunità”.
Già, “I desuonatori sono animali rari. Come musicisti intendo (confida Valentina Sansò). Ogni progetto è raccontato con la bestia emersa sulla copertina. E'venuta alla luce dal chiuso di un pensiero personale, di una ispirazione, di una identificazione, di una fantasia, di una visione… I desuonatori suonando e immaginando costruiscono mondi, orizzonti, visioni del mondo, immagini. Insieme abbiamo scelto di raccontarli attraverso le bestie. Non cerchiamo di restituire un racconto didascalico ma al contrario di aprire e moltiplicare le possibilità interpretative di quello che a prima vista sembra un tema semplicemente figurativo. Così nasce l'abito che abbiamo deciso di dare alla collana di progetti musicali dei desuonatori. Dall'incontro tra bestie. Il taglio è semplice ed essenziale. Il font elementare, quasi primario. L'inchiostro ha tutti i colori dentro, è nero. Il colore della carta contraddistingue l'annata la prima è stata ocra, quella in atto carta da zucchero…
Nel catalogo di Desuonatori con Valerio Daniele troviamo Redi Hasa, Francesco Massaro, Rocco Nigro, Luca Tarantino, Vito De Lorenzi, Giorgio Distante, Roberta Mazzotta, Paola Petrosillo, Camillo Pace, Giancarlo Pagliara, Maurizio Vierucci, Maurizio De Tommasi Alessandro Dell'Anna Stefano Compagnone, Dario Congedo Luca Alemanno, Francesco Massaro, Stefano Luigi Mangia, Adolfo La Volpe Alessandro Pipino,Stefania Ladisa, Adolfo La Volpe, Gianni Gelao.
Ecco, è tutto (ma c’è molto di più). Buon ascolto!
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L
«Credere alla Storia significa agognare il possibile, postulare la superiorità qualitativa dell’imminente sull’immediato, ritenere che il divenire sia per se stesso abbastanza ricco da rendere superflua l’eternità. Si smetta di crederci, e nessun evento avrà più la minima importanza». Da La caduta del tempo, dell’immenso Emil Cioran.
a potenza di questa frase in pochi possono afferrarla, Carmelo Bene è stato uno di questi; di quelli che passano invano, purtroppo; di quelli che la gente non si avvede neanche che siano esistiti. In questa frase si può dire sia concentrato il pensiero di
Carmelo. E’ inutile che gli scribacchini montino montagne di carta a colpi di mano… senza dire nulla: a volte basta una frase! Ecco, per questo Carmelo Bene si riteneva fuori dalla Storia, che non lo contemplava. E da questo partiva la sua poetica sull’Immediato, che è impossibile. Il futuro/passato: questo anche è il possibile; ma è l’Immediato che egli cercava, sulla scorta dell’Ulisse di Joyce, di Villon, di Arnaut Daniel, di Rabelais, se vogliamo… Sulla scorta anche del grande pensiero filosofico, che però per giungervi ha dovuto impiegare migliaia di anni e pagine scritte, cosa che la grandissima poesia riesce a restituire in un flash, purificata da tutto l’apparato descrittivo sillogistico. Criticava lo Stato che cura molto i musei, templi popolati da miscredenti in cui si pensiona il presente, Immediato perché nell’impossibile. Si smemora anche d’esso il presente. Il possibile è culto dei morti come bluff. E’ un futuro/passato vissuto da avanzi di galera a piede libero che si ritengono, grazie a queste mortalità, viventi; ma tali non sono: non sono viventi perché non sono! Tutto questo nel Poema ‘L mal de’ fiori è spacciato. Il testo intentato è smentito, travolto dall’atto, cioè de-pensato. Poesia è l’Immediato nella sua ruminazione orale d’uno scritto già estraneo a noi dicenti. Scritto in Voce. Voce come rianimazione (“rigor-mortis”) del morto orale che è lo scritto. Se chi legge non sente peggio per lui: non per lui è stato scritto – egli diceva, riportando un celebre passo del suo Poema:
Voce mia tua chissà chiamare questo Mia tua chissà la voce che chiamare ventilato è suonar che ne discorre in che pensar diciamo e siamo detti vani smarriti soffi rauchi versi prescritti da un voler che non si sa disvoluto e alla mano intima incisi segni qui divertiti disattesi sensi descritti testi d’altri che morti fiati dimentichi ‘n mia tua chissà la voce
Noi non ci apparteniamo E’ il mal de’ fiori Tutto sfiorisce in questo andar ch’è star inavvenir Nel sogno che non sai che ti sognare tutto è passato senza incominciare ‘me in quest’andar ch’è stato
Anche Holderlin viene affrontato sotto la minaccia del materialismo storico da cui puntualmente è travolto – aggiungeva CB. Pochi versi sono sublimi: basta e avanza – sentenziava Benedetto Croce. «Solo in ciò che è immediato si può avere la sensazione dell’infinito» esprimeva Nicolàs Gòmez Dàvila ne In margine a un testo implicito. Carmelo Bene si spingeva, dunque, interamente e internamente lungo una linea inerente all’essenza del compito, dell’opera o lavoro da eseguire. Doveva compiere il suo percorso e giungere alla sua mèta, in compagnia dei Santi del Sud del sud e dei mistici. Così, dopo il Poema toccò il traguardo del suo nulla. E Quattro conversazioni su tutto il nulla lo dimostrano, riassumendo a grandi linee tutto l’orizzonte in cui egli si muoveva, liberando totalmente la sua scandalosa vitto-
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Pensamenti
Bene mistico di Antonio Zoretti
ria, e la follia, e ogni eccedenza dell’atto e del pensiero che fosse più viva della vita, più impensabile e inaffidabile dell’arte. E non voleva trattare di filosofia, né voleva accostarsi a questa parola: con un significato etimologico così scolastico e con un metodo e soprattutto un obiettivo così avvilente. Era fortemente stimolato dalla mistica, invece, il grande Carmelo. «L’uomo è al di sopra di tutto. Non c’è nulla di più eccelso dell’uomo» diceva un mistico del XV secolo. Questo pensiero religioso (propriamente detto filosofico) si impernia sulla ricerca dell’uomo che deve uscire da una condizione limitante che è quella della storia, e deve uscirne per ricongiungersi con l’Assoluto. L’antinomia di questo pensiero sta in questo - insieme a molte altre –, che il pensiero ha prodotto un numero di Scuole dominato dalle regole della Scolastica, della discussione fra rappresentanti di indirizzi diversi… E quindi sembrerebbe che ci potessimo aspettare uno sbocco del pensiero, nel senso che alla fine si riesce a risalire a questo Assoluto, dal molteplice all’Uno. In realtà: è così e non è così. Non è così perché fra le varie antinomie di questa tradizione c’è anche quella, una netta dicotomia tra il mondo dello spirito e il mondo fenomenico della storia. Bisogna liberarsi in qualche modo dalla storia, per tornare verso l’Assoluto. E questo ritorno avviene attraverso una esperienza mistica che trascende il pensiero; e quindi il pensiero - in qualche modo - va annullato, va superato. D’altro canto, il pensiero è necessario per avvicinarsi a questa esperienza mistica. Dunque, in questo atteggiamento non c’è tanto una manifestazione di una tradizione filosofica, quanto di una tradizione religiosa, che però si coniuga insieme alla tradizione del pensiero. Questo non si può concepire se non si tiene conto di questa sua dimensione religiosa.
Già! Per questo Carmelo Bene diceva che la storia non ha esperienza. Se la storia avesse esperienza… Per questo era stimolato dalle letture mistiche… Così una
persona, un divenire di persona, che manchi di religiosità è una cosa incompatibile, così come non vi può essere estetica senza etica – egli pensava. E detestava ogni laidume… o laicume – laico viene da laido, ci ricorda giustamente Niccolò Tommaseo nella sua importante opera lessicografica. Era fastidiato anche dal culto, dal rito in ogni religione; ma era una persona religiosissima. Per lui la religiosità è un’altra cosa dall’assiduità cultuale o rituale… Religione è parola antica – amava dire; e gli piaceva definirla: educazione. La intendeva, appunto, nel senso più profondo che si può ricevere, anche se egli l’apprese da un rituale ecclesiastico, gesuita, salesiano, frequentato da bambino. Ma che gli insegnò soprattutto a sputare su qualsiasi forma di laicismo: socialismo laico, comunismo laico, democrazia cristiana laica, poeti cosiddetti laici, poeti di partito, partiti di poesia laica. Lui parlava solo con l’assenza: al suo non-esserci. Credeva in Dio in quanto non esiste, come assenza. Era devoto e si inginocchiava davanti all’assenza, come pure si inginocchiava davanti alla donna che è assente! Se gli si presentava… addio vita nova. CB riprende, dunque, la concezione proprio tipica del misticismo, cioè la tendenza dell’anima all’unione con l’Assoluto, caratterizzata da un progressivo distacco sia della coscienza sensibile sia da quella razionale, fino alla perdita dell’io nel Tutto. Carmelo Bene, alla fine, non voleva più dare appuntamento con il reale, con l’ovvio, col logico, col razionale. Esigeva l’informe, l’abbandono, l’incomprensibile, il buio musicale, quello che Nietzsche chiamava «lo spirito della musica». Per questo Carmelo concluderà dicendo: «… Il grande teatro è quanto non è comprensibile. Quindi la cosa non è più nel negativo, io sono uscito dall’equivoco del negativo, sono uscito da tutte le impasse, positive, negative, sono uscito dal pensiero». «Una volta capito che si è nulla, il compito di tutti gli sforzi è diventare nulla» diceva Simone Weil. E Nicolàs Gòmez Dàvila concludeva: «Il nulla è l’ombra di Dio».
Racconti salentini
spagine
della domenica n°31 - 25 maggio 2014 - anno 2 n.0
Borgo salentino in una illustrazione tratta da La Cultura Contadina
Delle antiche stagioni G
iulia C. era giunta a Marittima, da un paese vicino, sposando Fortunato e, a distanza di circa un anno, aveva messo al mondo Teresa. Purtroppo, la buona donna, ancora giovane, incominciò a scivolare in condizioni di salute precarie, con problemi di rilievo, e in progressivo aggravamento, all’apparato respiratorio, non mi è dato di sapere se in collegamento ai bronchi o ai polmoni o ad altro. Spesso, sia di giorno sia di notte, in taluni momenti pareva che le mancasse il fiato, a poco o niente valevano le visite del medico condotto e i farmaci che il medesimo le prescriveva. Ricordo che, nelle fasi maggiormente critiche, se ne usciva da casa e si portava in un vicino slargo, dove c'era più aria e soffiava diritta la tramontana, restandosene lì per ore, magari al freddo, seduta sugli scalini di chianche della casa di Siveria, pur di respirare, si consolava. Pian piano, era divenuta, Giulia, una sorta di lumicino vie più vacillante e, difatti, non ci volle molto tempo perché, un certo giorno, la fiammella arrivasse a spegnersi definitivamente. ***
Toti, anzi cumpare Toti, atteso che i miei genitori avevano tenuto a battesimo un suo figliolo, vicinissimo di casa, era un contadino, sposato, con a carico la moglie Cesira, sei figli e la suocera, finché è campata. Un buon uomo, ma non un grande lavoratore, si limitava a eseguire saltuarie incombenze per conto di compaesani, piccole riparazioni, del resto, non aveva terreni da coltivare, salvo il piccolo orto confinante con l’abitazione. Di conseguenza, tra le sue mura domestiche, non regnava benessere, si avvertiva, al contrario, una sensazione di fame, il pane si mangiava quando c’era, sulla tavola, appena una minestra di verdura, se di stagione e coltivata nell'orto. Tuttavia, nonostante le accentuate ristrettezze economiche e i correlati disagi, il nucleo famigliare andò avanti, i figli crebbero e divennero adulti. In parallelo, cumpare Toti giammai intese rinunciare ad allevare un uccellino, ora un canarino ora un cardellino; a tal fine, aveva costruito una gabbietta in legno, una “dimora” decorosa per l’amato minuscolo volatile, a beneficio del quale una fogliolina verde o qualche seme dovevano immancabilmente esserci. In un’annata, anche la famiglia di cumpare Toti, sospinta dal bisogno, decise, al pari di tanti paesani, di lasciare Marittima ed
di Rocco Boccadamo
emigrare, per cinque o sei mesi, nelle pianure della Basilicata, intorno a Metaponto, dove coltivare, in regime di mezzadria, estensioni di tabacco: in tal modo, perlomeno il cibo sarebbe stato garantito. Ora, avvenne che, all'atto di caricare l’autovettura a noleggio che doveva trasportare la famiglia e le suppellettili dal paese natio alla Lucania, cumpare Toti si distinse, particolarmente, per la ferma volontà di issare a bordo anche la gabbia con l’uccellino. Obiettivamente, era un problema trovare per l’aggeggio uno spazio nell'abitacolo, gli stessi famigliari e l’autista protestavano e, però l’uomo alla fine s’impose con una frase rimasta famosa: “Sentite, a me può mancare il pane o un pasto, ma non consento di privarmi della gabbia con l’uccellino”. Adesso, al posto della povera casa e dell'orto di cumpare Toti, sorge una grande e confortevole abitazione costruita dal suo ultimogenito D., ormai da decenni emigrato in Svizzera e avente una propria famiglia: i figli, sono titolari di un’attività di riparazione e vendita di autoveicoli, come si evince dalle scritte pubblicitarie impresse sulle fiancate delle vetture personali, con cui, d'estate, arrivano, per le vacanze, da Zurigo, nel Basso Salento delle origini.
MMSarte spagine
della domenica n°31 - 25 maggio 2014 - anno 2 n.0
Il 6 giugno, dalle 17.30, l’Istituto Comprensivo “Leonardo Da Vinci” di via Togliatti a Cavallino accoglierà la mostra delle opere Mmsarte Scuola del progetto Art-icoliamo senza barriere condotto da Monica Marzano ed eseguite dagli alunni delle classi III A e III B di Cavallino (in Via Don Minzoni) e della III A e III B di Castromediano
Tutto l’amore in una mano
P
er la piccola Carola la parola "speciale" aiuto. Un gesto dettato dal s e n t i m e n t o d'amore verso il prossimo, vero e profondo. Dare aiuto assicura sorrisi sinceri che
P
er Andrea la mano è un mezzo veloce, istintivo e universale per comunicare affetto ( mandando baci), osservare con pazienza e a lungo, mentre il suo palmo
appaiono come orizzonti di arcobaleni e uragani di felicità! Eppure Carola ha anche intuito che un aiuto dato o ricevuto insegna a crescere meglio perché è un'azione carica di altruismo. Aiuto è la stella polare che guida dritta verso la Solidarietà.
sulla fronte ci pretegge da luci accecanti e fastidiose, ma soprattutto è un forte sostegno e sincera presa d'aiuto che non permetterà mai ad un amico di precipitare in in baratri di disperazione e sofferenza... Cristiano ha voluto simboleg-
Il testo è di Carola Lombardi il disegno di Davide Sciurti
Il piccolo Davide, che come riferisce l'esperta del progetto la dott.ssa Monica Marzano, asseriva di non aver proprio "talento" per questo progetto, si è comunque lasciato guidare ed "aiutare" a far sì che il suo nascosto talento uscisse fuori, e da come ha
disegnato l'orizzonte di fulgidi e sorridenti arcobaleni, il suo talento appare essere esploso e in questo caso l'aiuto per il piccolo Davide, a tirar fuori la sua creatività, è stato davvero prezioso. Sicuramente uno di quegli arcobaleni è il suo sorriso di felicità!
Il testo è di Andrea Quarta il disegno di Cristiano Caputo
giare il baratro dentro al quale ognuno di noi può correre il rischio di cadere, con un enorme burrone. Quel colore marrone scuro che sembra simulare onde vorticose pronte a risucchiare il malcapitato, contrasta con il sorriso incoraggiante di
chi con sicurezza porge la propria, mano affinché niente di male possa accadere all'amico che sta per precipitare...Mano simbolo d'aiuto, sicurezza, salvezza.
La galleria dei lavori della precedente edizione è su www.mmsarte.com
spagine
Mondo Reggae
della domenica n°31 - 1 giugno 2014 - anno 2 n.0
In Slovenia la terza edizione dell’Overjam Festival
Natura&Musica
di Alessandra Margiotta
L
’Overjam International Reggae Festival è arrivato alla terza edizione. Si svolge ogni anno in Slovenia, a Tolmin, in alcuni posti dove a dominare è la natura insieme alla musica. Quest’anno si svolgerà dal 13 al 16 agosto, facilmente da raggiungere anche con la macchina e con il treno e, anche quest’anno, gli ospiti sono tanti. Per citarne alcuni: Chronixx, giovane promessa reggae, il veterano Luciano, i londinesi Zion Train ma, come artista ‘principale’ c’è Shaggy. Fulvio Impellizzeri, tra i fondatori del festival, ha risposto all’intervista per il periodico Spagine. Terza edizione dell’Overjam Festival, quali sono le novità? Ciao Alessandra, grazie per lo spazio a disposizione! Le novità sono tante e belle. Siamo usciti molto carichi dalla risposta del pubblico che è rimasto sbalordito dalla bellezza della location, già nota a chi bazzicava i reggae festival fino al 2010 …. Abbiamo visto che l’anno scorso avevamo ancora tante cose da migliorare e quest’anno ce la stiamo facendo. In primis siamo riusciti a portare anche l’acqua potabile in campeggio così non ci sarà bisogno di comprare bottigliette né sprecare plastica, metteremo più bagni e più docce e avremo anche nuovi bagni confortevoli uniti assieme alle docce calde! E tante altre novità che non possiamo anticipare ora.
Dopo il successo della passata edizione cosa vi aspettate questo nuovo anno?
Molta più gente, soprattutto da Austria e Germania! Siamo un festival internazionale con base in Slovenia, ossia un paese “neutrale”. La Slovenia
ha meno abitanti di tutta Milano, per intenderci, e la cosa che ci gasa più di tutte è che la produzione è italo-slovena, proprio in un luogo che ha visto morte e sangue durante la prima guerra mondiale, proprio tra italiani, austriaci e sloveni! E che ora si uniscono sotto la bandiera red gold & green! E’ un festival che deve e vuole unire i gusti e le usanze di tre culture completamente diverse tra loro, quella italiana, quella tedesco-austriaca e quella balkanica, per ora possiamo dire che ce la stiamo facendo!!!
Come artista di punta si legge il nome di Shaggy, perché proprio lui? Perché Shaggy ci teneva tanto e perché ci è capitata questa ghiotta occasione e perché è un artista che nel mondo dei balcani rappresenta anche tanto gli anni ’90, gli anni in cui i paesi slavi si sono dichiarati autonomi e indipendenti , e ciò ha coinciso anche con l’esplosione della musica black in tutto il mondo … non avendo mai suonato in Slovenia, Shaggy si è dimostrato super disponibile e ha sposato il nostro progetto con grande entusiasmo! E inoltre è un’artista reggaepop che mette d’accordo sempre e comunque tutti quanti.
Quali sono gli altri artisti che animeranno l’evento?
Beh, ce ne sono una miriade, spiccano Luciano, Chronixx – Dub Inc, Zion Train, Macka B, The Skints, Meta & The Cornerstones, Train To Roots, oltre ai sound system di spicco come Super Sonic, Herbalize, Dj Rakka, Vibronics... e tanti altri ancora da annunciare! Perché la scelta di portare l’Overjam a Tol-
min, in Slovenia? Perché quella location è favolosa, è uno dei posti più belli dove poter fare un reggae festival. Le dimensioni sono giuste ed è logisticamente perfetta, a 30’ dall’Italia, a un’ora dall’Austria, a 2 ore dalla Germania e a un’ora dalla Croazia e a 3 ore dai paesi dell’est (Ungheria, Slovacchia…). E soprattutto perché fare le cose in Italia sono sempre troppo complicate e difficili. Troppi troppi e troppi limiti sugli orari, troppe restrizioni sui permessi, e troppi compromessi da stringere con le forze di pubblica sicurezza, che si fasciano troppo la testa per un problema che in realtà non esiste ma è solo di facciata. Crediamo che il Rototom abbia dato fin troppo all’Italia e alla zona, e hanno fatto bene ad andarsene. Così quantomeno si è accesso un dibattito ampio sul Proibizionismo che pare stia muovendo finalmente qualche leva!
Chi si trova in Italia come fa a raggiungere il festival? In macchina è facilissimo, basta arrivare fino a Villesse (direzione Trieste dopo Venezia) e da là uscire al confine di Gorizia / Solkan e seguire la valle del fiume, finché si arriva a Tolmin.. Con l’Aereo si arriva fino a Trieste e da là bisogna raggiungere Nova Gorica dove esistono i treni per Most Na Soci ! Chi arriva in treno all’Overjam ha il 2x1 sul biglietto del treno sloveno ! Ecco i contatti per chi vuole maggiori informazioni o per chi intende comprare il biglietto. www.overjamfestival.com info@overjamfestival.com
copertina spagine
Teatro
della domenica n°31 - 1 giugno 2014 - anno 2 n.0
Abbiamo visto al Teatro Paisiello lo spettacolo “H.H. confessioni di un vedovo di razza bianca”, in scena la compagnia Teatro di Ateneo diretta da Aldo Augieri. A margine registriamo lo “sfratto” forzoso di Asfalto Teatro dalla sua sede storica nel salesiano Cnos, luogo dove la Compagnia ha prodotto i suoi spettacoli in totale autonomia e senza alcun aiuto delle Istituzioni. Si tappa la bocca ad una delle realtà teatrali più importanti indipendenti e alternative che la nostra città abbia mai avuto...
G
iovedì 29 maggio, a sera sul palcoscenico del Teatro Paisiello la compagnia Teatro di Ateneo - diretta da Aldo Augieri già direttore di Teatro Asfalto – ha portato in scena in seconda replica lo spettacolo dal titolo H.H. confessioni di un vedovo di razza bianca. Donde H.H. sta per Humbert Humbert patrigno e amante della giovane Dolores – nota ai più per il suo soprannome: Lolita - nel romanzo “antierotico” dello scrittore russo Vladimir Nobokov ambientato nel paese degli yankee, l’America nordorientale, della prima metà del Novecento. Premessa: se non avessimo saputo di assistere ad uno spettacolo di Teatro di Ateneo saremmo stati certi di aver assistito ad uno spettacolo di Teatro Asfalto. In ciò tuttavia non c’è nulla di scandaloso; ci si stupisce invece (e neanche tanto poi), di come intorno al Teatro, dentro il Teatro, fuori dal Teatro si moltiplichino e addensino sempre dei paradossi e dei conflitti. Quasi che non possa esistere Teatro senza questi. O che senza questi non si possa pienamente comprenderlo. Esattamente come Humbert Humbert, colto e raffinato astuto e manipolatore, Aldo Augieri riscrive la sua versione teatrale di Lolita – che nella finzione del romanzo porta appunto il titolo di H.H. ovvero le confessioni di un vedovo di razza bianca – tentando in tutti i modi di sedurre i suoi ascoltatori attraverso un turbine di invenzioni poetiche, di creazioni letterarie, di girandole musicali e macchine scenografiche sofisticate e talvolta strampalate. Il tentativo del professor Humbert di giustificare le sue azioni – le sue puerili e lussuriose fantasie erotiche – attraverso le pagine di un memoriale compilato durante la prigionia alla quale queste azioni lo hanno appunto condotto; il tentativo di apparire in queste pagine come un malinconico e sincero – o quanto meno disadattato – signore di mezza età; quest’ossessiva ricerca di sdoppiarsi o moltiplicarsi nel tentativo di trovare una riappacificazione in extremis con i suoi aguzzini, questo gioco dei doppi, insomma, si rivela essere il copione ideale per un attore come Aldo Augieri sempre alla ricerca di “vie di uscita”, di “fughe” di rinnovamenti. Canali necessari all’attore per andare altre il personaggio, per creare una sovrapposizione irrisolvibile di piani interpretativi; e per poter soprattutto esprimere quell’istrionismo negato e soppresso dallo “S/stato delle pari opportunità”. Lo spettacolo comincia con il più classico dei classici prologhi di Teatro Asfalto: in passerella a sipario chiuso, dalle quinte di proscenio, escono uno psicanalista (?) (Vito Lettere) e la sua infermiera (Federica Epifani) - che in se riuniranno e riassumeranno tutte le figure e i personaggi che popolano il romanzo di Nobokov - nonché quelli che popolano lo stesso personaggio di H.H. – nonche quelli che popolano le fantasie di Aldo Augieri - presentandoci l’interesse della scienza e della società per il caso di pedofilia del professore H.H. attraverso la febbrile schizofrenia che caratterizza la volontà appunto della scienza e della società di ridurre sintetizzare omologare spiegare dunque difendere il razionale e il ragionevole da ciò che si rifiuta di esserlo o che per natura lo contraddice. Si apre il sipario, seguono le giustificazioni di H.H. – interpretato da Augieri – e la danza macabra del suo amore per Lolita (Anastasia Coppola bravissima nel ruolo della ragazzina arrogante e sboccata), candida tra le farfalle e rossa fiammante come un colibrì (quasi volesse eccedere il suo dimorfismo sessuale nei confronti del patrigno/amante), ma tutto sembra procedere lentamente come nel teatro di prosa più accademico. Poi ad un certo momento, quasi inaspettatamente (ma sapevamo che sarebbe accaduto) quasi con un boato la follia di H.H. Augieri esplode in una nebulosa spessa e densa di riferimenti, allucinazioni, urla disperate. E tutto ciò nonostante gli estenuanti prologhi che rallentano la nostra immaginazione in corsa. Strepitose tutte le scene costruite per le videoproiezioni. Al punto che neanche per un attimo si è paventato il rischio che potessero apparire retoriche o semplicisticamente sperimentali. Ma tutte queste non sono che
di Andrea Cariglia
trovate in fondo. Molto ben riuscite. La differenza vera l’ha fatta la prova attoriale di Aldo Augieri. Mi è sembrata questa una dichiarazione di follia; una presa di posizione contro tutto e contro chiunque lo accusasse ipocritamente di intellettualismo; contro chiunque lo boicottasse. Io ho veduto letteralmente questa dichiarazione di follia librarmisi di fronte agli occhi ogni qual volta Augieri ha scelto di scegliere la soluzione scenica più astrusa, più rivoltante, più grottesca inqualificabile al solo fine di sottolineare che in scena non esiste vincolo alcuno, che lui avrebbe fatto qualsiasi pazzia se solo gliela si fosse negata una volta di più. Mettendosi in bocca le parole di Humbert ha detto veramente cose irripetibili piroettando sulla logica della trama, sui diktat dell’accademia zompettando sui cadaveri dei suoi detrattori che lo hanno perseguitato nel corso degli ultimi anni. A questo punto è giusto fare delle osservazioni in proposito, accantonando la lettura dello spettacolo che pure mi sembra di aver ampiamente consigliato a coloro che se lo fossero perso.
Oggi chiudono, perché di fatto accade proprio questo, sloggiano Teatro Asfalto dalla sede del Cnos. E lo fanno per sostituirlo con un cinema. Questa sembrerebbe una scelta giustificata dalla necessità di potenziare le risorse del Cineporto; per migliorarne ed ampliarne i servizi. Cosa si può dunque contestare ad una scelta del genere? Apparentemente nulla. Ma a guardar bene accade invece che si vorrebbe tappare la bocca ad una delle realtà teatrali più importanti indipendenti e alternative che la nostra città abbia mai avuto. Si ripete dunque la stessa storia. Si disintegra, si occulta, si depotenzia la proposta alternativa di pochi per legittimare, allargare dirigere il pensiero di tutti verso un unico centro. Il famoso centro moderato. Che non dice no che non dice si ma dice sempre ni. Dunque si assassinano le idee. E lo si fa consapevolmente. Teatro Asfalto, per anni, nella sede di Cnos (quello originario della scuola salesiana) - gentilmente concessagli dalla Provincia di Lecce; che altrettanto gentilmente ha poi ignorato, da sempre, la ricerca e il lavoro di Asfalto Teatro – ha prodotto i suoi spettacoli in totale autonomia e lo ha fatto si può a ben ragione dirlo in pura perdita e senza alcun aiuto delle Istituzioni; i cui rappresentanti farebbero meglio a smetterla di vantarsi per quello sciapo lavoro che fanno quasi che fossero – ed io credo che tali si immaginino – artisti essi stessi. Dulcis in fundo arriviamo li dove senza equivoco ci porta l’evidenza: l’astuzia dei protagonisti di questo spettacolo sanguinolento sta nella loro spregevole ostinazione a dire il falso. Dicono il falso meccanicamente questi burocrati. Ci sono personaggi – e sono sempre gli stessi personaggi, che voi tutti conoscete; gli stessi di cui si sente dire frequentemente in giro: mi ha promesso questo mi ha promesso quello mi dice di aspettare di stare tranquillo eccetera – che non si potrebbero definire se non gentucola, o “mezze calzette” come diceva Dostojieski; continuamente immersi in torbidi affari sembrano non avere – e certamente non hanno – neanche l’ombra di un’ idea. Tuttavia costoro radono al suolo la forza creatrice dell’artista, depauperano la fantasia di chiunque gli si accosti. Oggi Teatro Asfalto sloggia da Knos e non sappiamo dove troverà alloggio. E non confidiamo che nessuna Istituzione corra - perché correre dovrebbero – si slanci in una proposta o iniziativa alcuna. Ma non importa! Perché da ciò che abbiamo potuto vedere sul palcoscenico del Teatro Paisiello, Teatro Asfalto mantiene intatto il suo orgoglio e fila dritto per la sua strada. Che ci auguriamo – e anzi siamo convinti – porti verso riconoscimenti più importanti di questo mio breve encomio. Salvo che poi di tali riconoscimenti non se ne vogliano vantare in futuro altri, i soliti, le “mezze calzette”.