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Spagine della domenica n°37 - 13 luglio 2014 - anno 2 n.0 Periodico culturale dell’Associazione Fondo Verri

Un omaggio alla scrittura infinita di F.S. Dòdaro e A. L. Verri


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Dopo la processione sacrilega, Mezzogiorno “sospeso a divinis�


della domenica n°37 - 13 luglio 2014 - anno 2 n.0

Parlar da Papa A

di Gigi Montonato

Oppido Mamertina in provincia di Reggio Calabria i fanti, leggi Carabinieri, si sono stancati di scherzare coi santi, leggi Madonna delle Grazie. Quando la processione del 2 luglio si è fermata davanti alla casa di un anziano boss della ‘ndrangheta per il rituale inchino di rispetto, i carabinieri si sono allontanati. E che diamine! I santi – si sa – sono infinitamente misericordiosi, ma i fanti! Sono militari e rappresentano lo Stato, che dispone di misericordia limitata. Posta così, la questione sembra quasi una cosa da don Camillo e Peppone in salsa calabra. Ma così non è. La cosa rischia di aprire o di riaprire vecchi contenziosi tra Stato e Chiesa, rischia di creare questioni nella Chiesa stessa. Che cosa è accaduto, infatti, quest’anno a Oppido Mamertina che già non fosse accaduto negli anni precedenti o che non accada abitualmente in tanti altri paesi del Mezzogiorno d’Italia? Niente. La processione, cui partecipano tra le tante autorità anche i Carabinieri, si è fermata davanti alla casa di un anziano malato, bisognoso di assistenza e di preghiere, che si dà il caso essere anche un vecchio boss, ergastolano, agli arresti domiciliari per motivi di salute. Si è ripetuta un’usanza tra devozione e costume popolari che si perde nella notte dei tempi. Ci si chiede: in questo caso verso il malato o verso il boss? Probabilmente verso entrambi, dato che questa usanza vuole che la processione di un Santo particolarmente generoso di grazie, come è la Madonna eponima, si fermi davanti alla casa del sofferente per intercedere in suo favore presso il Padreterno. Come a dire: «vedi, signor Domineddio, noi qui sulla terra ci inchiniamo a questa persona perché la riteniamo meritevole di rispetto umano e di grazia divina». Ma quest’anno il maresciallo dei carabinieri della locale stazione ha detto “non ci sto” e ha abbandonato la processione

coi suoi sottoposti, riprendendo la scena “crimine”. Un bel gesto, che, nell’anno in cui si celebra il bicentenario della fondazione dell’Arma dei Carabinieri acquista un significato particolare, anche se si presta ad una serie di considerazioni. Domanda: lo Stato ha voluto prendere le distanze dalla Chiesa, con cui non può condividere atti di misericordia infinita, o lo Stato si è assoggettato alla Chiesa che di recente, col Papa e con alcuni vescovi calabro-siciliani, ha assunto nei confronti delle organizzazioni mafiose una posizione di ferma condanna? Non si può non collegare l’episodio, infatti, alle recenti parole di scomunica del Papa nei confronti dei mafiosi. Domanda che ne gemma un’altra: chi comanda in Italia, la Chiesa o lo Stato? Deve essere chiaro che le Forze Armate dello Stato non devono farsi coinvolgere in usanze di devozione popolare della Chiesa che possono sconfinare in reati di oltraggio alle istituzioni. Nelle processioni i Carabinieri non possono essere solo di parata; se hanno anche una funzione di ordine pubblico allora devono entrare nella gestione dell’evento. Nel caso i due aspetti, parata-ordine, non sono conciliabili, i Carabinieri non devono partecipare. Si incominci finalmente a concretizzare la separazione netta tra Stato e Chiesa, anche in simili aspetti marginali, ma non meno importanti e significativi. I cittadini italiani laici non possono che plaudire di fronte al gesto del maresciallo dei Carabinieri se è stato compiuto per protesta nei confronti di una Chiesa che ha esigenze diverse da quelle dello Stato; essi, però, hanno ragione di querelarsi se i Carabinieri, sempre per ordine ricevuto, hanno preso le distanze in linea con le decisioni del Papa, dando l’impressione di dipendere dalla Chiesa. Il problema, infatti, prima non si era mai posto. I cittadini italiani cattolici devono fare un esame di coscienza. Devono decidersi

da che parte stare: dalla parte della legge di Dio e delle usanze religiose, che portano perfino ad omaggiare un boss, o dalla parte della legge dello Stato che colpisce i boss, sani o malati che siano, e li condanna? La chiesa, locale e romana, deve interrogarsi sul fenomeno nella sua dimensione tradizionale e sulle ultime esternazioni del Papa e di alcuni vescovi siciliani e calabresi. E qui il problema si complica. La Chiesa non può sovrapporsi allo Stato, altri sono i suoi compiti; e ciò sia nel bene che nel male. In specifico, l’interruzione temporanea del cerimoniale relativo ai sacramenti del battesimo, della prima comunione, della cresima e del matrimonio, per evitare che con padrini e compari si rafforzino i legami sociali mafiosi, e la sospensione delle processioni potrebbero fare più male che bene alla tenuta sociale, alla Chiesa stessa. Sarebbe, infatti, come cedere alle organizzazioni mafiose tradizioni di grande civiltà, di convivenza, di solidarietà. Cos’altro resterebbe da cedere alla mafia, i cortei funebri? Si strapperebbe il tessuto sociale proprio in quel doppiofondo di robusta tela che maggiormente tiene. Qui non è più lo Stato che rischia – peraltro è già abbondantemente sconfitto se riesce a malapena a compensare l’acqua malavitosa che imbarca attraverso le falle con quella che riesce a buttar fuori col secchiello della magistratura – ma la Chiesa. Essa, infatti, con questo Papa si sta ponendo più come autorità secolare che come guida spirituale. Il Papa, che scomunica i mafiosi, che non perdona i corrotti, che danna i ricchi, finirà per essere un partito politico, che per definizione è parte di un tutto e divide invece di unire, disgrega invece di aggregare. Esattamente il contrario di quel che deve fare la Chiesa. Ci riecheggiano ancora nelle orecchie le parole di Giovanni Paolo II ai mafiosi in Sicilia: pentitevi! Verrà un giorno il giudizio del Signore! Questo è parlar da Papa.


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Contro

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Contemporanea

della domenica n°37 - 13 luglio 2014 - anno 2 n.0

il bipolarismo etico

a vita degli incerti destini scorre come fiume nel teatro del mondo. Su questa terra di terra e sassi, noi umani percorriamo sentieri piani e malagevoli con i desideri nel cuore. Quante volte bramammo un’esistenza placida, in grado di confortarci e di rapportarci armonicamente con l’altro? Scrutammo con passione il nostro simile per catturare atomi d’eterno. Sempre corteggiammo la vita, rosso sangue, infiammato sole, ragione intima, irrinunciabile diritto. Il “diritto alla vita” è una mansione primaria, umanissima, perché comprende la gioia, il dolore, l’ebbrezza dell’amore, la dolcezza delle melanconie, la salita vertiginosa, la caduta rovinosa. Il “diritto alla vita” si valuta con la vita e con il sudore, con la pioggia, con l’ansietà delle anime erranti, avvezze a percorrere le strade dell’alterna ventura. Di certo, il “diritto alla vita”, in ogni sua accezione, non dovrebbe mai essere argomento di facile e demagogica propaganda elettorale o scimitarra ideologica da sguainare e da maneggiare impropriamente per abbattere il “nemico” o tematica da mortificare in accessi, superficiali e avvilenti talk show televisivi. In passato, l’improvvido tentativo di qualche più o meno titolato politico di cavalcare l’onda emotiva di alcune delicatissime questioni bioetiche (pensiamo, per un attimo, al caso Welby o a quello di Eluana Englaro) smascherò da subito l’ingannevole mantiglia: è evidente che è ingenuo giocare con la vita, con la morte, sperando di accaparrarsi un certo consenso. Ogni cittadino conosce il perimetro di svolgimento dell’esistenza. Il bipolarismo etico, inventato ad arte per frammentare gli italiani, ha il passo malfermo: ognuno di noi sa distinguere il giusto dall’ingiusto. Non ha alcun senso ontologico appiccicare alla vita le connotazioni rigide della “sacralità” e della “qualità”, come se esse fossero necessariamente due categorie inconciliabili, antitetiche. Siamo uomini di questo mondo e sappiamo che la nostra esistenza è un continuum, una catena di centomila rapporti intimi, irripetibili, unica nei vari accadimenti: essa appartiene a noi, al nostro buon senso, ai nostri familiari, ai nostri amici cari. Il “diritto alla vita”, a varie latitudini, sovente viene negato, fatto a pezzi. Dal Siria a tanti Paesi del Centroafrica, dall’Iraq al Sudan, le guerre fratricide e intestine squarciano le membra di poveri civili, carne da macello. Uomini, donne e bambini sacrificati su poco nobili altari. Eppoi, nelle epocali trasmigrazioni di disperati migranti, pietà è morta. Quotidianamente notizie crudeli narrano degli ultimi della Terra, che traversano il mare nostro, alla ricerca d’un po’ di pace, e che sovente trovano la tomba in un malvagio, insensibile utero d’acqua. Quante volte il “diritto alla vita” viene disatteso, tradito. La popolazione carceraria italiana,

di Marcello Buttazzo

che sopravvive a stento in celle malsane e sovraffollate, non meriterebbe maggiore cura e attenzione? Nelle poco accoglienti prigioni la gente, talvolta, si suicida. Ogni essere umano relegato ai margini della società, che con atto estremo e violento decide di farla finita, è una macchia nera che deve instillare un senso di colpa in ognuno di noi. Perché non prevedere una qualche forma di amnistia per certi reati, visto che i povericristi pagano anche il conto dei ricchi e dei potenti, quelli che viaggiano eternamente in prima classe e godono da sempre d’una amnistia legalizzata strisciante e volgare? Perché non interrogarsi sull’immensa popolazione di stranieri nei nostri fatiscenti penitenziari? Possibile che siano tutti pericolosi “criminali”? Perché non capire, una volta per tutte, che i tossicodipendenti, i disagiati mentali, i sieropositivi, i malati in genere, le donne incinte o con bambini al seguito, devono necessariamente godere di forme alternative di pena? “Diritto alla vita” completamente calpestato, in tanti Pesi del mondo, da quelli dittatoriali a quelli democratici, dall’inumana e ferina pena di morte. Nell’America, culla di diritto e di libertà, accade ancora che addirittura uomini affetti da gravi malattie mentali vengano condannati all’iniezione letale. La pena capitale, nonostante l’approvazione all’Onu della moratoria universale del dicembre 2007, è operante, fa scempio della civiltà. Essa è la massima violazione della Carta dei diritti umani, la più aberrante offesa alla comunità. In Occidente siamo maestri d’eloquenza. Quante volte da paludati palchi politici s’è levato alto il monito: “La vita è sacra e inviolabile”. Ma la vita di tutti i giorni è quella che è. I potenti non la rendono sacra, né inviolabile. Dalle emergenze climatiche che affliggono l’ecosistema Terra alla crisi avanzante dell’economia iperliberista, fino alla lenta agonia del sistema sociale che naviga sulle creste di palesi sperequazioni e ingiustizie, si può definire un unico dominio di malcontento. Da cittadini di questo villaggio globale, vorremmo ribadire che, nonostante le manchevolezze istituzionali, è necessario più che mai sancire il predominio della politica sull’economia. Non si possono trattare la politica e l’etica come ancelle, violentemente espulse dai meccanismi sociali. I potenti, a volte, non sanno tutelare adeguatamente l’umanità, non sanno proteggere il sacrosanto “diritto alla vita”. Non sono come i “visionari” e i poeti, che riescono a tratteggiare la vita con incanto, con delicatezza e leggerezza. Pablo Neruda scrive: “Vita, i poveri poeti ti credettero amara, non ti tolsero dal letto per portarti nel vento del mondo. Vita, tu sei bella come la mia amata e fra i seni hai odor di menta. Vita, sei una macchina piena, felicità, suono di tormenta, tenerezza d’olio delicato. La vita aspetta tutti noi che amiamo il selvaggio odore di mare e di menta che ha fra i seni”.


della domenica n°37 - 13 luglio 2014 - anno 2 n.0 spagine Legalità A Mesagne, la Masseria Canali, confiscata al clan Campana, è diventata Masseria Didattica a cura della Cooperativa Terre di Puglia Libera Terra

Si può fare!

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ra il 1994 e il 2005 venne decimato il Clan Campana, notissimi esponenti di primo piano della Sacra Corona Unita vennero arrestati. Da quelle operazioni si passò alla confisca dei beni. Colpire le mafie negli interessi, nei loro feudi, espropriare i criminali nella palese dimostrazione di potenza fatta di terreni, masserie, ville, beni, è il modo più potente per combattere una battaglia che altrimenti non porterebbe da nessuna parte. E proporre quei beni confiscati ad utilizzi socialmente ed economicamente utili per i territori sottomessi da una criminalità bieca e assassina è uno schiaffo non solo ai mafiosi, ma a tutti coloro che pensano che “mafia è bello”, che dicono che “la mafia dà lavoro” senza tenere conto dei danni sociali, etici, morali ed economici che procura. Purtroppo ancora oggi assistiamo quotidianamente ad episodi inquietanti: auto e case che bruciano, sparatorie in vie cittadine trafficate, negozi che vanno a fuoco, contrabbando di sigarette e spaccio di stupefacenti organizzato e gestito dai mafiosi, sale per gioco d’azzardo “legale” gestite da prestanome dei mafiosi stessi, che servono per riciclare denaro sporco e per praticare l’usura. Assistiamo a collusioni anche con la politica, parlamentari arrestati e condannati, ex ministri che aiutano la latitanza di boss di mafia e via dicendo. Però esistono persone che credono alla possibilità di un riscatto etico, morale, sociale ed economico, esistono ragazzi che lanciano sfide, e rendono i

di Gianni Ferraris

terreni confiscati veri luoghi di legalità, di lavoro. Producono vino, taralli e tutto ciò che questa meravigliosa terra offre. La Cooperativa Terre di Puglia Libera Terra, a Mesagne, è fatta da ragazzi che rischiano, che si vedono i raccolti incendiati dai servi dei boss che poi, magari, si ritrovano al bar sotto casa a vantarsi delle loro gesta. Però non demordono, i ragazzi, e proseguono a fare impresa pulita, trasparente, tutto alla luce del sole. Così i beni confiscati al clan Campana, la masseria Canali, è diventata Masseria Didattica. “Abbiamo speso moltissimo per ristrutturare” oltre un milione di euro, ma ne è valsa la pena, ora in quei locali ci sono sale computer, una cucina attrezzata, c’è un orto con essenze mediterranee e campi dove si coltiva grano, e c’è tutto l’occorrente per accogliere e fare didattica, insegnare ed imparare. Si insegna lavoro pulito e legalità. Lo scorso 10 giugno la Masseria Canali è stata inaugurata. C’erano autorità, forze dell’ordine, c’era Don Luigi Ciotti. “Si può fare” ha detto e ripetuto. Già, si può veramente fare. La mafia può essere combattuta e alla lunga vinta e sconfitta. Oggi che le mafie si sono espanse al nord, che dominano appalti e affari, è più che mai necessario fare dei beni confiscati ovunque regni di legalità. E sarebbe indispensabile che i legislatori uscissero dal loro opportunismo ed estendessero la confisca dei beni anche ai politici corrotti. Sembra fantascienza, anche allora lo sembrava, si può fare!

Ecco il calendario dei Campi Antimafia 2014


spagine Nei corridoi dell’Accademia di Belle Arti di Lecce la mostra di Ania Irimies e di Valentin Ionescu studenti in Italia con il Programma Erasmus L’intervista al curatore Franco Contini

Creative Attitudini

“Generazione Erasmus” queste due parole in questi ultimi tempi sono diventati una sorta di mantra ripetuto ossessivamente da politici nella speranza di entrare nelle teste distratte di ascoltatori televisivi, radiofonici, internauti, etc. “Sì, ok” direbbe l'uomo della strada, di fatto poi non così distratto e smemorato, “ma dove ci vogliono portare queste parole?”. Le parole non seguite dai fatti sono solo slogan e generano aspettative prima e grandi delusioni poi. Questa sensazione diventa ancora più grande e sgradevole allorquando si ha a che fare con i giovani tanto più se artisti. Una risposta fattiva e positiva in questo senso viene invece da una recente iniziativa svoltasi nei corridoi dell'Accademia di Belle Arti di Lecce fra il 1° e il 7 luglio. Parliamo in particolare di una mostra ideata e curata dal professore Franco Contini dal titolo “Creative Attitudini” nella quale sono stati coinvolti due giovani artisti rumeni, Ania Irimies e Valentin Marian Ionescu, venuti in Italia proprio con il Programma Erasmus. In sintesi, l'obiettivo di questa mostra e di un progetto più ampio descrittoci nell'intervista dal professor Contini, è quello di valorizzare le esperienze dei giovani artisti “Erasmus” a cominciare dalla divulgazione della loro ricerca artistica.

Franco Contini è titolare di cattedra di Pittura all'Accademia di Belle Arti di Lecce. Ha insegnato in quelle di Palermo, Reggio Calabria, Sassari e Bari. Ha diretto l'Accademia di Belle Arti di Messina, legalmente riconosciuta. Ha esposto le sue opere in varie città d'Europa, in America e in Asia. Per il centenario dei Ballets russes ha eseguito nel 2012 la scenografia pittorica per Petrouchka, di Igor Stravinsky, allestita al teatro Châtelet di Parigi e, nel 2013 la scenografia per Le sacre du Printemps, sempre di I. Stravinsky, al teatro del Conservatoire National Supérieur de musique et de danse di Parigi.

Professore, ci descriva quali sono le caratteristiche principali di questa mostra, quelle dei due artisti e ci spieghi, infine, perché i due giovani sono stati selezionati per questa iniziativa.

"Creative Attitudini" è il titolo di un progetto in via di definizione volto a dare visibilità, con delle esposizioni periodiche, all'attività dei docenti e degli studenti che si muovono tra le Accademie di Belle Arti europee, nell'ambito degli obiettivi del Programma Erasmus. Nello specifico, è orientato ad avvalorare l'attività di due studenti provenienti dall'Università di Arte e Design di Cluj-Napoca, in Romania: Ania Irimies e Valentin Ionescu. Studenti in mobilità Erasmus. Hanno frequentato il nostro dipartimento di pittura dell'Accademia di Belle Arti di Lecce nel corrente anno accademico e, in quattro mesi circa di permanenza, hanno prodotto una considerevole quantità di lavori, meritevoli per l'impegno profuso e per i risultati raggiunti che, tra l'altro, hanno facilitato la selezione delle opere. Nell'esperienza di Irimies ma, anche di Ionescu, l'interesse per la rappresentazione figurativa cede il passo alla sperimentazione. Prevale una forte volontà di andare verso l'astrazione per sondare altri modi-mondi possibili. Irimies, affronta la materia pittorica facendola fluttuare e scorrere sulla superficie. La lascia poi raggrumare vincolandola, ancora una volta e, per quanto astratta, ad una forma. Ionescu, smonta le convenzioni lessicali precedentemente codificate per assecondare l'autonomia della pittura. Fa scivolare il colore sottoponendolo al gesto liberatorio che lo sgancia definitivamente dal debito formale.

Lei ha fatto riferimento al "Progetto Erasmus" e alla sua idea di organizzare delle mostre che coinvolgano gli studenti italiani e non. Ci potrebbe spiegare meglio questo suo progetto? Il progetto prevede la condivisione e la partecipazione delle Accademie già "partners Erasmus" di quella di Lecce per l'organizzazione di eventi espositivi ma, non solo, che puntino alla divulgazione, alla comprensione delle culture e a contribuire al consolidamento del senso di appartenenza europeo. Pensiamo che l'attitudine a "creare" rende visibile la forma più alta e più autentica dell'espressione del pensiero artistico e della bellezza. Diffondere l'operato degli artisti-docenti e quello degli allievi vuole dire anche favorire e incentivare la cono-

di Fabio A. Grasso

scenza tra i Popoli. Ciò può essere realizzato attraverso l'interscambio tra le Istituzioni già partners e quelle che lo saranno in futuro.

Dove si terranno le mostre e con quale frequenza? E' pensabile il coinvolgimento di altre istituzioni? Le mostre potrebbero avvenire anche in altri paesi stranieri fra quelli coinvolti nei progetti Erasmus? Ogni Accademia o Università ha luoghi deputati ad ospitare mostre o convegni. Una programmazione altalenante potrebbe coinvolgere, a turno, tutte le Nazioni con una frequenza da stabilire. È pensabile ma, è anche auspicabile, il coinvolgimento di altre Istituzioni, sia pubbliche che private. Istituzioni museali, per eventi di più ampio respiro, ma anche, gallerie d'arte private attente, soprattutto, a capire verso quale direzione va l'arte giovane. Per quanto riguarda i Paesi da coinvolgere cominciamo con quelli che sono già partners dell'Accademia di Belle Arti di Lecce. Poi penseremo anche agli altri. A tal proposito aggiungo che esiste a Cluj una grande struttura industriale cosiddetta "Fabrica de pensule", una vecchia fabbrica di pennelli (ironia della sorte, l'arte che salva i suoi strumenti?), dismessa e destinata dal proprietario, in un primo tempo, alla demolizione. Oggi, i riflettori del mondo si sono accesi su questa fabbrica poiché è stata data in affitto agli artisti che ne hanno fatto un luogo di creatività per eccellenza. Studi e sale espositive si alternano per più piani. Molti degli artisti, che qui hanno lo studio, si sono formati all'Accademia di Cluj ed alcuni cominciano ad avere riconoscimenti internazionali come Andrei Ciurdarescu e Serban Savu, solo per citarne alcuni tra i più giovani. Insomma, il fermento artistico ad Est dell'Europa è certo. Lei recentemente ha tenuto un ciclo di lezioni in Romania. Che tipo di differenze ha riscontrato fra la situazione italiana e quella rumena? All'Università di Arte e Design di Cluj-Napoca ho avuto modo di conoscere ottimi artisti-professori che, cosi come accade anche da noi, danno tutto attraverso la didattica. Dal Presidente Prof. Joan Sbârciu, già Magnifico Rettore dell'Università di


Arte

della domenica n°37 - 13 luglio 2014 - anno 2 n.0 Ania Irimies

Ania Irimies, Il mezzo è il messaggio. Smalti su cartoncino

Ania Irimies, Il mezzo è il messaggio, particolare

Ania Irimies, Rosso e nero, interazione. Olio su tela

Ania Irimies è nata a Bistrita-Nasaud in Romania, dopo gli studi di economia ha intrapreso quelli d’Arte presso l’Università di Arte e Design di Cluj-Napoca. Dal 2009 ha iniziato a esporre in mostre collettive e concorsi, ricevendo premi

e riconoscimenti. La sua prima personale è a Cluj-Napoca nel 2011, dal titolo “Fragmentarium”. Nel periodo del progetto Erasmus presso l’Accademia di Belle Arti di Lecce, ha partecipato a due mostre collettive a Bari, presso il Pa-

lazzo della Provincia e a Lequile, nel Palazzo Comunale. A completamento del progetto ha realizzato la mostra personale “Creative Attitudini” negli spazi dell’Accademia di Belle Arti di Lecce, a cura del professor Franco Contini.

Cluj, al Direttore del Dipartimento di Pittura Prof. Nico Man, dalla Prof.ssa Ioana Olahut al Prof. Bercea, dal Prof. Muresan alla Prof.ssa Doina Ienei che riveste, in maniera encomiabile, anche il ruolo di responsabile dell'Ufficio rapporti Internazionali. Gli studenti, da parte loro, come tutti gli studenti che scelgono questo tipo di formazione, si distinguono per essere assidui e costanti frequentatori dei laboratori e sono portati ad essere, naturalmente e per attitudine appunto come recita il titolo del progetto, creativi sensibili. Nei loro confronti, i nostri, sono penalizzati dal recentemente diminuito numero di ore di lezione dedicate alla pratica. A tal proposito, colgo l'occasione per ribadire ad "alta voce" che non è più tollerabile che ad una

Istituzione Accademica Statale si riducano in maniera drastica le ore di lezione destinate alle materie di Corso in favore di un aspetto teorico che è, si, necessario per questa tipo di formazione ma, non oltre una certa soglia e, soprattutto, a scapito della pratica. Se provassimo a cancellare, con un solo colpo di spugna, l'arte dalla storia di un Popolo, i secoli diventerebbero bui. Un Paese come l'Italia ha una storia e una tradizione da salvaguardare se vuole sperare di illuminare il futuro. Ciò vale, in particolare, per la nostra terra salentina, da sempre vocata all'arte. La Grotta dei Cervi è un fatto indiscutibile, tanto quanto quello che uno nostro studio sta evidenziando e cioè che nell'Abbazia di Dan Nicola di Casole, presso Otranto, già nel XII secolo si praticava Accademia di Pittura. Nei fatti,

i monaci erano, secondo Regola, dediti non solo alla preghiera e alla meditazione, non solo a comporre musica liturgica e ad insegnare teologia e filosofia, non solo alla trascrizione di manoscritti, pratica per la quale sono maggiormente conosciuti ma, si dedicavano anche, secondo Regola (è importante ripeterlo), a lavori di "composizione pittorica", come ci rivela un manoscritto finito di copiare dall'Abate Nicola nel settembre del 1173. Una vera e propria scuola, dunque, probabilmente "influenzata stilisticamente" ma che operava autonomamente. Questa è la prima e la più antica attestazione vergata consapevolmente e in maniera deliberata della pratica pittorica salentina. Prenderne atto ci fa ben sperare. Valentin Marian Ionescu

Valentin Marian ionescu, Senza titolo 1

Valentin Marian Ionescu è nato a Pitesti, Romania il 2 giugno 1982. La sua formazione artistica inizia negli anni del Liceo di Arte "Dinu Lipatti" Pitesti. Per alcuni anni si dedica all'architettura ma poi rendendosi conto che non era la sua strada, decide d'inscriversi all'Accademia di Belle Arti e Design, Cluj-Napoca, al corso di pittura, dove ora frequenta il secondo anno. La sua ricerca

artistica ha come oggetto principale la rappresentazione della materia. L’opera scaturisce da vari strati di colore, allusivi di piani e profondità, che danno vita a zone materiche e motivi astratti.Mostre recenti (2013) The Cutting Edge 2nd edition - International Youth Exchange, Belis, Cluj (Romania) Art camp -The Cutting Edge 2nd Edition, Belis, Romania, 5-14 August 2013. Dobrogea and

Valentin Marian Ionescu, Senza titolo 2

Black Sea Art camp, Constanta (Romania) Art camp -Dobrogea and Black Sea, project organized by Pontul Euxin Association, Constanta Art Museum ClujNapoca, Cluj-Napoca (Romania) Group exhibition - Cutting Edge 2nd Edition organized by Art Act Cultural Association and Museum of Art Cluj-Napoca


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Dal ritratto all’astrazione

L’algoritmo “watershed”, l’alleato

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Arte

della domenica n°37 - 13 luglio 2014 - anno 2 n.0 l ritratto è una delle più potenti e convincenti espressioni di una persona, sorpresa in un momento intimo, emozionante e anche suggestivo. Ogni componente fisica del viso nasconde i dettagli di una storia, un racconto fatto dagli occhi, dalla forma del naso oppure dall’espressività delle labbra. Questo equilibrio esiste e rimane interessante e costruttivo anche quando le forme del viso sono rappresentate in una maniera concisa, lasciando a parte il dettaglio anatomico e evidenziando le loro caratteristiche in una forma semplice e sintetica. Possiamo dire senza equivoco che l'individualità di una persona, sorpresa in un quadro realistico e dettagliato, può essere contenuta in una rappresentazione astratta della stessa figura. Per ottenere risultati di qualità superiore, ho utilizzato un computer per identificare più facilmente i contorni del viso, le forme di interesse date dal colore e la differenza d’intensità della luce . Applicando un algoritmo di elaborazione delle immagini molto popolare chiamato "watershed" ho analizzato alcune foto cercando espressività, contrasto tra colori e diversa esposizione, elementi che analizzati dal computer esprimeranno una storia nascosta e interessante del viso. L’algoritmo "watershed" tratta l'immagine come una mappa topografica in rilievo, dove ogni sfumatura di colore è considerata un’altitudine. Ad esempio, nel caso delle immagini in bianco e nero, le tonalità dal grigio scuro fino al nero rappresentano colline o forme geografiche più alte rispetto alle tonalità di grigio chiaro e bianco. In tale configurazione, una goccia d'acqua sarà posizionata nel più profondo (depressione) posto sulla mappa, praticamente trovando un minimo locale per ogni configurazione. L'algoritmo separa il contenitore dal contenuto, segmentando l'immagine in aree di interesse, aree rappresentate da una miscela di elementi strutturali come il colore, la posizione, l'intensità e non solo dalla geometria. La qualità dell'immagine influenza l'esito, ma l'algoritmo stesso contiene molti passi che a loro volta producono un'immagine più o meno significativa in termini di composizione, in modo che l'artista ha a disposizione una vasta gamma di rappresentazioni dello stesso ritratto. Il metodo di lavoro si sviluppa partendo dall’incontro con un’immagine, spesso casuale. Se di quell’immagine mi ha colpito un particolare, una forma o più spesso una superficie o un insieme di colori, allora mi pongo di fronte al supporto pittorico con il ricordo di quelle sensazioni e, libera dalla rappresentazione oggettiva, estrapolo solamente l’essenza di quell’immagine, quella parte segreta che si è sviluppata nel mio intimo e che solo io posso conoscere a fondo. Questo mio grande segreto è esente da spiegazioni razionali, l’unica possibilità di interazione con gli altri è nell’eventuale trasmissione di sensazioni simili. Tratto da un testo di ANIA IRIMIES ad illustrare una sua opera


Poesia

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Lunedì 4 agosto a Galatina, in Piazza Orsini e giovedì 7 agosto a Nardò, in Piazza Salandra il debutto del recital dedicato ai poeti del Mediterraneo prodotto dal Fondo Verri per Artigiana - La casa degli autori

Fondo Verri Presidio del libro di Lecce

L

a scrittura, la poesia, è “cattura del soffio”, matrice che dà corpo e sostanza all’immaterialità. C’è un pensiero, un’idea e poi un movimento di mani, di corpo, di anima, di voce che mette le parole in vita. C’è una geografia ideale che dal Salento muove verso il Mediterraneo. Il territorio, la sua natura. Il vento, il cicaleccio dell’arsura estiva, le solitudini, i clamori della festa, le paure, le lontananze, i rifugi domestici… materia di una lingua che continuamente si è fortificata di esperienze capaci di valicare il soffoco dell’appartenenza per volgersi al Mondo. Quel soffio, le lingue di quel soffio, saranno la materia di un nuovo omaggio del Fondo Verri a chi ha saputo interpretare la pietra, il vento e il mare, le strade di polvere e i dolori delle malinconie consumate al sole del grande mare che ci fa fratelli: il Mediterraneo Questo il pensiero, il motivo di Lago di luce e di parole. Viaggio nella poesia mediterranea contemporanea, un concerto-recital incentrato su una selezioni di canti della tradizione popolare mediterranea e sui versi scritti da autori provenienti da vari Paesi del bacino del Mediterraneo (con una particolare attenzione alle poetesse) con l’intento di stimolare la conoscenza e il dialogo tra realtà culturali (apparentemente) lontane fra loro per rintracciare radici comuni attraverso la parola detta e cantata. Una poesia che si propone di scavalcare ogni frontiera per scoprire il valore e il senso del viaggio, dell’ospitalità, della generosità, proponendo una visione del Mediterraneo alternativa a quella cui siamo abituati: il Mediterraneo teatro di conflitti, di barriere, di tragedie del mare e di feroce indifferenza. Dalla poesia emerge un Mediterraneo spazio dell’incontro delle diverse realtà culturali al fine di favorire lo scambio creativo fra i popoli e di cercare un’identità attraverso le diversità delle tradizioni letterarie e musicali, favorendo così la convivenza e il rispetto reciproco fra i popoli legati dalla comune appartenenza a questo straordinario spazio geografico e culturale. In scena: Meli Hajderaj voce, Andreina Capone chitarra, Ofelia Elia violino e mandolino, Emanuela Salinaro percussioni. Voci recitanti Simone Giorgino, Piero Rapanà.

della domenica n°37 - 13 luglio 2014 - anno 2 n.0

Lago di luce e di parole

Programma delle attività culturali della Regione Puglia

Artigiana-La Casa degli Autori

Viaggio nella poesia mediterranea contemporanea concerto recital

Meli Hajderaj voce Andreina Capone chitarra Ofelia Elia violino e mandolino Emanuela Salinaro percussioni Simone Giorgino Piero Rapanà voci recitanti


L’arte di costruire la città

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della domenica n°37 - 13 luglio 2014 - anno 2 n.0

A Salve lo scultore alessanese Boffelli e una statua di sant'Antonio di Padova

Le cose di Placido

di Fabio A. Grasso

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Foto 1 La statua di Sant’Antonio di Padova a Salve

ella chiesa parrocchiale di Salve (Lecce) è custodita una statua lapidea raffigurante sant'Antonio di Padova (foto 1). Tale opera è stilisticamente attribuibile (questa è l'ipotesi qui presentata) con buona probabilità allo scultore alessanese Placido Boffelli (1635 – 1692). La statua, attualmente conservata nella sagrestia, finora è stata attribuita dalla storiografia in modo poco convincente allo scultore gallipolino Vespasiano Genuino (1552 1637). Un confronto fra la statua del Santo di Padova (Salve) e quelle dello scultore di Gallipoli sembrerebbe, infatti, non confermare tale ipotesi Al contrario un confronto (foto 2) fra il volto del sant'Antonio di cui ci occupiamo e altre opere di P. Boffelli (in particolare qui si è scelto il volto della statua laterale sinistra raffigurante san Tommaso d'Aquino- che è nell'altare del Crocifisso collocato nella stessa Matrice di Salve e attribuito a ragione dalla storiografia allo scultore alessanese) lascerebbe propendere per l'ipotesi che in questo articolo si avanza. Oltre al già ricordato altare del Crocifisso - datato 1683 – nella stessa Matrice di Salve andrebbe ricordata la presenza di due angeli inginocchiati, pure attribuibili a Placido Boffelli, oggi collocati ai lati di un altare tardo settecentesco del lato sinistro della chiesa entrando dalla porta maggiore. A quanto detto sembra plausibile aggiungere, compatibilmente con la leggibilità consentita dallo stato conservativo delle opere prese in esame, due altri angeli pure inginocchiati (molto simili a quelli presenti a Salve) i quali sono stati reimpiegati in tempi più recenti in un Calvario collocato a Poggiardo (Lecce) in Via XXIV Maggio n. 2 (foto 3, nell'immagine a destra e sinistra i due angeli di Salve, al centro uno dei due di Poggiardo). Sempre a Poggiardo, infine, sul lato destro della chiesa madre è la chiesa dell'Immacolata, sull'architrave della cui porta maggiore, al centro, è scolpito il volto di un cherubino (foto 4) che, sempre stilisticamente, ricorderebbe quanto di analogo è nelle opere dello scultore alessanese. Un particolare ringraziamento, per la sua disponibilità nel favorire questa ricerca, è da rivolgere al parroco della chiesa madre di Salve Don Lorenzo Profico.

Foto 2 Confronto fra i volti

Foto 3 Confronto fra angeli

Foto 4 Il volto del cherubino


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Accade nel Salento

della domenica n°37 - 13 luglio 2014 - anno 2 n.0

A Castro l’Istituto De Viti si veste di giallo Un colore di dubbio impatto con il paesaggio e la tradizione coloristica della Perla del Salento

Pugnonell’occhio di Rocco Boccadamo

C

ome è noto, a Castro, la Perla del Salento, si staglia sulla via Vittorio Veneto - sboccante nella rinomata e testé ricostruita “Piazzetta” ossia a dire il fulcro pulsante della marina - un imponente edificio risalente agli inizi del 1900 e sorto grazie alle disposizioni testamentarie di un facoltoso e generoso cittadino della vicina località di Ortelle, Francesco De Viti. La struttura in discorso, denominata, giustappunto, Istituto De Viti, è stata adibita, per circa mezzo secolo a vari servizi di utilità sociale collettiva, in particolare a beneficio dei ragazzi meno abbienti. Esempio prevalente, l’utilizzo come colonia estiva, dove sono stati accolti, agli inizi, giovanissimi orfani di combattenti della prima guerra mondiale, poi gli ospiti dell'orfanotrofio maschile di Ortelle, quindi gli alunni delle scuole dell'obbligo del medesimo paese, sempre con priorità per le famiglie in condizioni povere Servizi, affidati alle cure di un gruppo di suore e di un sorvegliante di sesso maschile. E però, a un certo punto, vuoi per il cambia-

Il giallo dell’Istituto De Viti

mento dei tempi, vuoi a causa di altre più moderne e preferite iniziative similari sorte nella zona, il pur prezioso ruolo dell’Istituto si è andato inaridendo, cosicché il complesso ha finito col chiudere i battenti, rimanendo per diversi lustri abbandonato, con grave rischio di degrado e pregiudizio della sua stessa stabilità e agibilità. Per fortuna, qualche anno addietro, grazie a un progetto cofinanziato con il Fondo europeo di sviluppo regionale, sono stati avviati consistenti lavori di ristrutturazione radicale dell'edificio, con l'obiettivo di adibirlo, di qui in avanti, all'accoglienza di persone fisiche impedite e versanti in condizioni d’abbandono sociale. Il relativo cantiere è ormai in stato avanzato, anzi quasi completato. Nella nuova veste del fabbricato, si pone in risaltò un particolare di carattere estetico ma nello stesso tempo rilevante, cioè il colore utilizzato per tinteggiare le facciate esterne: un giallo “sparato” che, a parere di chi scrive, nulla, proprio nulla, sembra avere a che vedere, né con la tonalità originaria dell'edificio, né tantomeno con il contesto urbano e abitativo in cui

la costruzione si trova inserita. Un non addetto ai lavori potrebbe addirittura avere l’impressione che si tratti di un clamoroso pugno nell'occhio, mentre, verosimilmente, secondo qualche architetto o tecnico o specialista o amministratore, l’accesissimo colore giallo calza a pennello, sia a livello del fabbricato a sé stante, sia in rapporto al panorama e all’habitat circostanti. In casi del genere, ovviamente, si è di fronte a mere opinioni, rispettabili ma discutibili. Ad ogni modo, queste note, ispirandosi e ponendosi in ossequio e omaggio al puro e oggettivo senso dell'armonia, si prefiggono essenzialmente di richiamare, sulla realtà di che trattasi, anche con l'ausilio delle immagini, l’attenzione delle istituzioni cui competono la “sorveglianza” e le valutazioni sui luoghi sotto l’aspetto ambientale e paesaggistico. Si pongono, inoltre, l’obiettivo di conoscere cosa pensano gli altri in generale circa quest’utile insediamento tinteggiato di giallo, in sostanza se l’apprezzano o meno così come si presenta.


Approdi al Castello di Acaya

spagine

È

stata inaugurata lo scorso 6 luglio “Aprrodi”, doppia personale di Eva Caridi e Bogumil Ksiazek a cura di Lorenzo Madaro. La mostra, negli spazi del Castello di Acaya sarà visitabile fino al 30 settembre. Radici che si incontrano, linguaggi e approcci dissimili che cercano di ritrovarsi in un terreno comune, quello delle sale di un maniero antico arroccato saldamente nella terra rossa del Salento, all’interno di un borgo fascinoso come Acaya. Spazi carichi di memorie ataviche, architetture connotate, sinergie già avviate e in progress. E poi uno scontro tra titani, quelli scolpiti e dipinti, naturalmente, nel segno di un confronto fecondo di sollecitazioni, nel nome di Eva Caridi e Bogumil Ksiazek, i due artisti protagonisti di un percorso espositivo corale, frutto di lunghi dialoghi tra il Salento e Atene, Corfù e

Arte contemporanea

della domenica n°37 - 13 luglio 2014 - anno 2 n.0

Bogumil Ksiazek, DIogene, olio su tela

Eva Caridi, Installazione site specific. La fotografia è di Samuele Mele

Cracovia, in una dimensione dialogica che certamente proseguirà nei progetti futuri già in cantiere. Approdi è questo e tanto altro ancora. Una parola che si presta a letture multiple, così come sfaccettate sono le visioni che s’intervallano in questo continuo rincorrersi di generi, temi, concept e dialoghi tra gli artisti. Un termine ormai integrato al mondo della cronaca giornalistica e quindi nel lessico adottato nella quotidianità di tutti noi, ma anche una parola foriera di immaginari che si moltiplicano senza soluzione di continuità nel maniero tra terra e cielo e con uno sguardo verso il mare. Eva e Bogumil, rispettivamente con i linguaggi della scultura e della pittura, intervallati da installazioni sonore concepite ad hoc per questo progetto, rifletteranno sulle connotazioni contemporanee di alcuni simboli provenienti anche

dal mondo della mitologia e della filosofia della Grecia antica. La mostra - promossa dall’Istituto di Culture Mediterranee della Provincia di Lecce in collaborazione con l’associazione culturale no profit A100Gallery, l’associazione Neos Kiklos Kostantinoupoliton e il museo Museo Kastritio di Atene – è accompagnata da un catalogo, curato da Lorenzo Madaro che propone testi critici, apparati biografici e fotografie delle opere in mostra e dell’allestimento. Orari di apertura Luglio e Agosto: Mart - Mer - Giov - Ven - Sab - Dom Ore 10,00 - 12,30 // 18,00 - 21,00 Settembre: Mart - Mer - Giov - Ven - Sab – Dom Ore 10,00 - 12,30 // 17,00 - 20,00

Chiuso il Lunedì


Mundi a Campi Salentina

in Agenda

spagine

Mundi” è un Forum, un luogo di incontro e di scambio di esperienze ed emozioni fra persone che vivono una casa comune, sono cioè cittadini “del mondo”, e perciò con pari dignità ed a cui spetta il rispetto dovuto ad ogni essere umano in quanto tale. Dopo l’edizione scorsa dedi-

della domenica n°37 - 13 luglio 2014 - anno 2 n.0

cata all’Africa sub - sahariana, quest’anno la FondazioneSalvatoreCalabrese onlus apre una finestra sul Maghreb. Obiettivo è fare conoscere il territorio del Maghreb ed il suo popolo, in modo imparziale, con curiosità e cercando di superare gli stereotipi, ospitando le principali manifestazioni espressive che compon-

gono la sua affascinante cultura. Cercando di dare spazio alle varie voci in campo, affronteremo anche questioni ancora aperte e dall’esito non scontato, dando al visitatore spunti di riflessione. Il progetto si sviluppa sul piano strettamente culturale con la presenza di iniziative che riguardano l’arte, la musica, il

cinema, la letteratura, la storia, la danza del Maghreb. Mentre un’analisi delle situazioni di criticità è affidata ad iniziative di approfondimento da parte di studiosi, associazioni o enti che direttamente si occupano di questi territori. Il Forum avrà luogo dal 15 al 20 luglio a Campi Salentina. Mundi aderisce alle finalità

di Esperentopia e Artopia abbracciando la candidatura di Lecce a Capitale della Cultura per il 2019: i legami sono evidenti, nelle tematiche legate alla solidarietà e alla valorizzazione dell’arte come strumento di integrazione e cambiamento sociale.

i chiama “Siamo tutti su una strada” - sia in senso metaforico che letterale - lo spettacolo di teatro canzone che presenterà Andrea Rivera, il 19 luglio a Melpignano. Un concerto che ripercorrerà le tappe fondamentali della storia di Rivera che ha iniziato dalle strade di Trastevere con gioia e dolore degli abitanti dello storico quartiere romano, per poi passare ai citofoni di Serena Dandini di “Parla con me” fino al suo album di debutto edito da Fiori Rari, “Verranno tempi migliori” prodotto con la supervisione artistica di Roberto Angelini e Daniele Mr Coffee Rossi. Il suo spettacolo segue, sulla scia di Gaber, l’idea di legare la musica al teatro con toni critici e costruttivi sulle onde e i costumi della società di oggi. “Siamo tutti su una strada” è il se-

condo appuntamento di “SummerKult” rassegna ideata e prodotta dall’associazione culturale Echoes77. Si avvale della direzione artistica di Alessio Bonomo, cantautore di culto e autore del cd “Ai confini di un’era” che, negli anni, ha avuto collaborazioni preziose, da Alessandro Haber ad Andrea Bocelli, passando per gli Avion Travel. Una miscela attraverso cui Echoes 77 intende proporre al pubblico un viaggio attraverso personaggi di calibro e trasversali come appunto, Alessandro Haber (già ospite di Melpignano lo scorso 2 luglio) . Un percorso unico, composto da spettacoli ideati e prodotti ad hoc, il cui cuore pulsante non sono gli artisti protagonisti ma, il concetto di divulgazione della cultura in ogni sua forma e rappresentazione secondo quella che è la matrice di Echoes 77.

Questo significa fare scaturire echi, voci, scuotere le menti attraverso un’interazione reale tra pubblico, comunità locale ed artisti affinché lo spettacolo non risulti solo puro intrattenimento, perché come dice il motto di Echoes 77: .“La cultura si mangia, si vive, si sfrutta ,si crea, si distrugge....siricrea e a volte ti sorprende”. Ed ecco che torniamo al concetto della strada e della piazza: incontrarsi, scambiarsi emozioni e ascoltare storie. Dunque, il 19 luglio,tutti in piazza a Melpignano ,luogo con una lunga tradizione non solo popolare, ma anche rock, sempre aperta ai nuovi cambiamenti: ricordiamo negli anni i concerti storici di Iggy Pop, CCCP, Liftiba, per citarne alcuni. Questa è “SummerKult”, questa è Echoes 77.

S

Andrea Rivera a Melpignano

Il programma è su: http://www.salvatorecalabreseonlus.it


spagine copertina

Teatro

della domenica n°37 - 13 luglio 2014 - anno 2 n.0

Al debutto per “Il teatro dei luoghi” martedì 22 luglio, ” da Nikolaj V. Gogol per la regia di Salvatore Tramacere

Il matrimonio

E

rano le cose della realtà ad ispirare l’opera di Nikolaj Vasil'evič Gogol; sulle vicende del quotidiano - pubblico e privato - lo scrittore e drammaturgo russo (era nato in un villaggio della provincia ucraina nel 1809) inanellava paradossi, iperboli capaci di esaltarle, di renderle grottesche, ilari… Un approccio necessario ancora oggi, quello gogoliano, immersi come siamo in una realtà mutata, dalle consuetudini televisive, in reality. Se è vero com’è vero che lo show “non è musica ma la traduzione in musica di un’indole” capiamo come esso muova le nostre giornate sul bilico tra realtà e fiction. La “finzione”, nella contingenza di una società dello spettacolo giunta al top del suo potere pervasivo, è la norma: il topos a cui anelare. Al teatro il compito di decantarla, la realtà, di raffreddarla nelle sue fregole spettacolari, con un’overdose di ironia, di sana leggerezza agendo un punto di vista capace di spegnere il “rumore dei soldi”, sollecitando il “coraggio di tuffarsi”, di andare frontalmente all’incontro con il pubblico auspicando d’esser gatti - e non cani che quelli son sempre bisognosi d’un padrone - regali nell’autonomia, nella capacità di star soli, lontani dal chiasso e dai rumors della cronachetta. Se viene il silenzio, ti chiedi del tempo. T’accorgi di com’è la giornata: a volte viene il sereno, altre volte piove… Guardi insomma, ci sei, sei al mondo e non nella scatola che ti fa bisognoso, succube. Rapito… Il teatro è racconto, piacere del racconto, piacere di fare storie, di farle incontrando storie, frammenti, piccole tracce. Cucire le parole con la musica, con le canzoni (e qui, nella maniera korejana, di canzoni ce n’è tante dentro sospensioni che traslano dal digitale alla voce vera…), tingere con le luci le dinamiche, con

di Mauro Marino

i fermo immagine ispirare riflessioni, il tempo di un battito e via, di corsa, a fare il processo all’oscenita dell’oggi... Nel 1842, a trentatre anni, Gogol' scrisse “Il matrimonio”, una satira incentrata su una giovane donna che viene corteggiata da quattro scapoli, ognuno con le sue eccentricità. Una storia – questa Uomini e donne di metà Ottocento - considerata minore nel vasto repertorio dello “svegliatevi anime” gogoliano. Salvatore Tramacere la ripropone con una compagine di straordinati attori, versatili e capaci che confermano lo Stabile salentino (se mai ce ne fosse bisogno) come vivaio e palestra di talenti attoriali. In scena: Francesco Cortese, Giovanni De Monte, Carlo Durante, Erika Grillo, Anna Chiara Ingrosso, Emanuela Pisicchio, Fabio Zullino. E’ il bianco che viene agli occhi nell’allestimento pensato e illuminato da Lucio Diana. Due tondi, uno bianco al pavimento, un altro sospeso sul fondo. Un divano, poltroncine, una specchiera anche questa tonda al lato, sul davanti una postazione microfonata e fornita di telecamerafa il verso ad un più noto “confessionale”. Al lato opposto un pianoforte, sarà per tutta la durata luogo abitato da un pianista vestito da cuoco, Ivan Banderblog, un autentico russo, un virtuoso, funanbolo dello strumento che fa da contrappunto allo spettacolo. Una foto di gruppo apre l’atto. L’aria è elegante… uno viene avanti, ha un libretto in mano legge, anzi balbetta: “Ne li occhi porta la mia donna Amore, per che si fa gentil ciò ch’ ella mira; ov’ ella passa, ogni uom vêr lei si gira, e cui saluta fa tremar lo core…”. Poi una donna prende a confabulare, a far promesse, lei combina “amori”… e via. Poi, il fatidico stacchetto e signori e signorine si trovan presi “a star dentro”, nella commedia ma... non solo in quella.

Il programma è su: http://www.teatrokoreja.it

Erika Grillo e Fabio Zullino in una scena de il matrimonio


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