Spagine della domenica n°39 - 27 luglio 2014 - anno 2 n.0 Periodico culturale dell’Associazione Fondo Verri
Un omaggio alla scrittura infinita di F.S. Dòdaro e A. L. Verri
spagine
spagine “Parla, si agita, dà la mano a dritta e a manca, firma autografi, si gira, guarda a destra, a sinistra, di lato, si volta indietro, si mette le mani in tasca, le tira fuori, smircia, sbercia, non sta mai fermo, con cap stato e di governo stranieri si comporta come con compagni di classe durante l’intervallo. E’ ossessionato dall’apparire, dall’attrarre tutte le attenzioni, tradisce una carenza di compostezza, d calma interiore, di dominio di sé”
I
l tema del giorno è il presunto autoritarismo di Matteo Renzi. Le opposizioni strillano, fanno marce verso il Quirinale, minacciano e insultano. Dico subito due cose per sgombrare il campo da equivoci. La prima è che non c’è alcuna minaccia né in essere né in prospettiva di autoritarismo. La seconda è che lo strepito degli oppositori è da preferire al vergognoso servizio berlusconiano di Forza Italia. Veniamo al primo punto. Quello di gridare “al lupo al lupo” e di vedere il pericolo autoritario in ogni nonnulla è vizio antico della sinistra più radicale. Non sono passati molti anni del resto da tutto il rumore fatto contro la presunta dittatura berlusconiana che coinvolse un gran mare anche di bella gente: magistrati, intellettuali, giornalisti, uomini di teatro e di cinema, di arte e di scienza, di economia, con scioperi, girotondi, sit-in, manifestazioni, la Costituzione più bella del mondo e via di seguito, che hanno caratterizzato non pochi anni del cosiddetto ventennio berlusconiano. E si licet, in periodo di beatificazione berlingueriana, ricordo che Berlinguer disse più o meno le stesse cose di Craxi, anche se con più gravitas, ai tempi del decreto contro la scala mobile (1984). Il vizio è lo stesso. Ciò non significa che per certi aspetti quelli che oggi si oppongono a Renzi non abbiano anche un po’ di ragione. Per trovarla, però, occorre fare la tara alle loro zavorrate accuse. Intanto le ragioni che alcuni dello stesso partito di Renzi oppongono alla riforma del Senato, come Renzi la vuole, sono diverse da quelle dei grillini, come sempre confuse e contraddittorie. Per capirci: gli oppositori del Pd hanno un modello di democrazia, in riferimento al quale si motivano le argomentazioni, con un respiro strategico; quelle degli oppositori del M5S si motivano invece con mera tattica politica da hic et nunc. La quaestio: tutti sono d’accordo che il Senato non deve essere la fotocopia della Camera; ma mentre il governo vuole procedere nella riforma a prescindere dalla legge elettorale, gli altri vogliono che essa ricada in un disegno complessivo in modo da evitare che un partito, vincendo le elezioni, diventi, per il disposto combinato di sistema monocamerale, premio di maggioranza, elezione del Presidente della Repubblica con maggioranza assoluta dopo le prime tre votazioni, il dominus incontrastato della situazione, con le opposizioni ridotte al ruolo di oche per lo sbeffeggio divertito di Renzi o di uno di lui più pericoloso. Gli oppositori vogliono inoltre che una così importante modifica della Costituzione si faccia come la Costituzione indica all’art. 138: approvazione con due terzi di ciascuna Camera a distanza di non meno tre mesi l’una dall’altra, eventuale referendum. Al netto, queste sono le proposte degli oppositori. Appaiono come resistenza a cambiare, come dice Renzi? Via, siamo seri, sono proposte ragionevolissime e legittime. Il non volerne tenere conto, con in-
sulti, irrisioni e minacce, rende l’impresa più ardua e più difficile, ma non giustifica l’allarmismo per la minaccia autoritaria. E’ vero tuttavia che Renzi, senza nemmeno avvertire la comicità dei suoi atteggiamenti, continua ad alimentare un pericolo inesistente. Che lo faccia consapevolmente e con calcolo o che risponda ad una spontanea e irrefrenabile sollecitazione caratteriale poco conta. Chi si veste da autoritario in regime di ipergarantita libertà fa la figura del velleitario. Matteo Renzi manifesta sempre più la sindrome di quei ragazzi furbastri più che intelligenti, scaltri più che corretti, tipici della vita da strada. Che un soggetto simile sia assurto a signore incontrastato della politica italiana va a tutto disdoro della politica italiana, senza che per questo lui, Renzi, possa essere considerato ciò che non è. Caratterialmente appare come uno che non sta nei panni. Parla, si agita, dà la mano a dritta e a manca, firma autografi, si gira, guarda a destra, a sinistra, di lato, si volta indietro, si mette le mani in tasca, le tira fuori, smircia, sbercia, non sta mai fermo, con capi di stato e di governo stranieri si comporta come con compagni di classe durante l’intervallo. E’ ossessionato dall’apparire, dall’attrarre tutte le attenzioni, tradisce una carenza di compostezza, di calma interiore, di dominio di sé. La sua forza sta in tutti quei fili, visibili e non, che lo legano ad un momento della politica di incredibile vuotezza. Se venissero recisi quei fili o se si riempisse la politica con contenuti seri e importanti si affloscerebbe come un pupo siciliano. Un tipo simile non può essere autoritario neppure se un plotone di esecuzione glielo ordinasse. Per quel vizio antico – a proposito di vizi! – che affligge ognuno di noi, non esitiamo a dire la nostra in proposito. Ci ritroviamo a condividere le ragioni di chi la riforma del Senato la vuole fare ma con accortezza, senza fretta e in un disegno riformatore complessivo, in modo da non ritrovarci di qui a breve a doverci sorbire una ciofeca, che potrebbe pure essere avvelenata. Renzi oggi non fa paura, è innocuo; ma domani la sua riforma potrebbe essere gestita da un altro come uno strumento assai più pericoloso. L’idea di approntare una serie di riforme in quattro e quattr’otto nella logica di trarre il massimo profitto nell’immediato è tipico della politica italiana. Ma se questo provoca il meno peggio per leggi che si possono facilmente abrogare (esempio: io depenalizzo il falso in bilancio, un altro lo ripristina) sarebbe invece un disastro per la Costituzione, il cui respiro deve essere ampio e profondo, e non si può cambiare al cambio di ogni governo. Nel dettato costituzionale si deve riconoscere l’intera nazione, l’intera società, l’insieme di tutti i soggetti che costituiscono la politica del Paese. E’ nella sua tenuta nel tempo che si può scorgere l’intelligenza e la saggezza di chi ne ha elaborato il testo e di chi alla fine l’ha approvato. Che è giusto che sia, in ultima analisi, il popolo italiano.
Diario - Politica
della domenica n째39 - 27 luglio 2014 - anno 2 n.0
pi di
di
Non proprio un lupo di Gigi Montonato
spagine
Diario - Economia
della domenica n°39 - 27 luglio 2014 - anno 2 n.0
Il rosario delle tasse
di Gianni Ferraris
S
e fosse come ci vogliono far credere dovremmo pensarlo veramente: l’Europa rompe i cabasisi (per dirla con Camilleri). Ogni tassa, ogni balzello, ogni prelievo vengono imposti perché, si dice platealmente o si sottintende, “ce lo chiede l’Europa!”. Il rosario iniziò con Monti, prima eravamo nelle mani del bunga bunga e dello scialo, d’altra parte con ministri dediti a parare le terga del loro capo, impegnato a non rispettare nessuna legge dello Stato, non potevamo certo aspettarci anche democrazia, etica e intelligenza amministrativa. Quello che seguì, da Monti a Letta al giovane Renzi (immediato viene alle mente, parafrasando, “i dolori del giovane Werther”, però al momento i dolori, Renzi, li fa venire ai padri Costituenti che si staranno rivoltando ovunque si trovino), è tutto un mantra continuo. Ad oggi non conosco l’evoluzione la new tassa (voluta dall’Europa naturalmente) che agli inizi del 2014 era sulle prime pagine, quella sui morti. Si decise infatti di diminuire le detrazioni (all’epoca su 1500 euro) e di imporre un’aliquota IVA sulle spese funerarie del 10%, al momento erano esenti. Non è proporzionale, infatti la morte è “ ‘a livella”, uguale per tutti, quindi non poteva che essere una tassa uniforme. Certo che il morto rende allo Stato e agli enti locali, è un’attività che non conosce crisi, si alza lo spread? Si muore uguale. Crolla la Borsa? Nessun problema, un bel funerale passa sotto casa ugualmente. Il reddito per lo Stato è inesauribile. Non è un caso che esistano, sul de cuius, una serie di balzelli che potremmo definire bizzarri. Volete cremare il vostro caro e conservarne le ceneri? Imposta di bollo sulla domanda di “Affido personale ceneri”. Volete disperdere le ceneri in mare o all’aria dei monti? Tassa sull’autorizzazione con relativa imposta di bollo. Qui l’evasione è facilissima, voglio vedere la Guardia di Finanza che viene in casa a controllare se l’urna cineraria è piena o vuota. Vi serve il rilascio di “certificato di constatazione decesso”? Con una versamento di 35 euro (più le spese per il bollettino postale) vi togliete la paura. E ancora mi chiedo il significato di un bizzarro documento che dovetti
L'esattore (Particolare) - Marinus Van Reymerswaele, 1542 Alte Pinakothek, Monaco
una volta produrre: il certificato di esistenza in vita. Bello vero? Ero davanti all’impiegato del Comune di residenza e gli ho detto “mi vedi? Se vuoi puoi toccarmi”. Si fidò sulla parola, ero vivo. Lo certificò con tanto di bollo e timbro. In carta libera però. Allora non esisteva l’autocertificazione che poi arrivò su tutto, anche sul certificato antimafia: “dichiaro di non essere mafioso”, qualcuno sornione pare abbia scritto “dichiaro che la mafia non esiste, per cui non posso farne parte”. *** E di tasse strambe è piena l’Italia. I commercianti che mettono tende parasole sugli ingressi dei negozi pagano “occupazione suolo pubblico” , una sorta di tassa sull’ombra, fate ombra al marciapiede, quindi pagate! “Ci tasseranno anche l’aria” dice qualcuno (sicuramente un antieuropeista convinto). Già fatto! Il gas Metano e il GPL sono addizionati con aria per facilitarne la combustione. L’imposta è sul prodotto finito, aria compresa. Un po’ come l’IVA sulle tasse delle bollette di gas di città in cui l’imposta veniva calcolata anche sulle tasse regionali. Petizioni, intercessioni, domande ricorsi. Tutto ha un costo erariale in Italia. Per proporli devi pagare. I pubblici esercizi poi debbono pagare la tassa sui frigoriferi. Il freddo, bene sappiamo, è un lusso. E attenti ad esporre i tricolore, potrebbe arrivarvi una richiesta di esborso fra capo e collo, la chiamano “tassa per la pubblicità”. E’ successo, può succedere! E se fate un ricorso per una multa sbagliata dovete pagare il bollo. Se vincete significa che avevate ragione, però vi toglieranno solo la multa, nessun risarcimento è previsto! Qualcuno più “intelligente” di altri provò anche con la tassa sui fidanzatini. Al governo regnava Monti, la proposta (poi rientrata perché si sono resi conto non tanto di averla detta grossa, quanto piuttosto di essere stati beccati in flagranza di rapina) era di tassare gli sms. Chissà se a qualcuno è balenata l’ipotesi di poter tassare i rapporti sessuali. Potremmo trovarci un contatore sulla testata del letto. E comprenderemo immediatamente che “E’ l’Europa che lo vuole!”
Diario - Sport Campionati del Mondo di Calcio “Ha vinto chi ha espresso il miglior calcio, chi è stato più bravo, non solo in questa competizionema da almeno un decennio”
spagine
della domenica n°39 - 27 luglio 2014 - anno 2 n.0
La vittoria del merito
di Antonio Laudisa
L
a coppa del Mondo si è conclusa nella prima serata del 13 Luglio, nel tempio del calcio mondiale, il Maracanà di Rio de Janeiro. Come tutti sappiamo, è stata la Germania a spuntarla sull'Argentina, nella partita più giocata in una finale mondiale (la terza, dopo Messico '86 e Italia '90). Tenendoci lontani dai fasti e dalla prosopopea che accompagnano ogni epica vittoria e ancor più attenti a non farci risucchiare nella spirale del tifo viscerale, proviamo a parlare di idee. La vittoria della nazionale tedesca è la gratificazione del merito. Ha vinto chi ha espresso il miglior calcio, chi è stato più bravo, non solo in questa competizione, ma da almeno un decennio. Impegno, abnegazione, programmazione e multiculturalismo. Non si dispiacciano i romantici, gli amanti del calcio irrazionale e, in ultimo, gli italiani. I primi sognavano Leo Messi pronto ad alzare la Coppa, definitiva affermazione planetaria di superiorità della Pulga: sarebbe stato il sigillo sulla carriera di un campione indiscutibile, simbolo del talento e della magia del calcio. Non è il caso di scivolare su un'altra polemica sterile, come la diatriba Messi-Maradona: bisogna solo ricordare agli scettici e ai detrattori che Messi e C. Ronaldo sono i Maradona, gli Eusebio e i Pelè della nostra generazione e che non ce ne sono altri all'orizzonte e non si paleseranno nei nostri stadi per un po' di anni. Gli irrazionali, invece, inclini alle influenze della Cabala e da sempre con indosso i vessilli di Da-
Mario Goetze, suo il gol all'8' nel secondo tempo supplementare della finale al Maracanà, che regala la vittoria alla squadra tedesca contro l’Argentina
vide, leggevano negli astri la sconfitta di Golia: mai una europea ha vinto un mondiale in Sudamerica, per dirne una. Poi, la goleada al Brasile suonava quasi come un affronto agli dei del Futbol, manifestazione di spietata superiorità, quasi indifferenza davanti alle emozioni di un popolo che fa del calcio una religione. A mente fredda, nella goleade della Germania si legge una considerazione del calcio per quello che è, la stessa considerazione che si percepisce dai loro festeggiamenti dopo la vittoria: il calcio è un gioco, uno sport e in quanto tale educa e tempra; è anche un fenomeno sociale, di intrattenimento e aggregazione, ma rimane un divertimento ed un passatempo, che non deve assumere connotazioni tragiche o declinazioni catastrofiche. La pacatezza dei tedeschi ci ha insegnato anche questo. Per ultimi ci siamo noi, gli italiani. Diciamoci la verità, tutti speravamo nella vittoria dell' Albiceleste. La Germania ci ha raggiunto a quota 4 nel numero di Campionati del Mondo vinti, è arrogante nella sua sicurezza, antipatica; ma soprattutto "li battiamo sempre" e popopopopopo. La verità, quella storica, è che questo è il primo campionato del Mondo vinto dalla Germania unita, non solo tra Ovest ed Est, risorta sulle ceneri della DDR e della FDR, ma unita nella sua multietnicità che ha accolto gli Ozil, i Boateng, i Kedhira. Una sconfitta dei teutonici avrebbe chiuso un primo ciclo dalla rinascita tedesca, dopo il fallimento dell'Europeo del 2000. Un ciclo di buoni piazzamenti, arrivando in fondo ad
ogni competizione, ma senza vittorie. Sarebbe stata una nuova Arancia Meccanica: che l'Olanda degli anni '70, quella di Michels e del calcio totale, non abbia vinto nessun titolo, se non con i propri club, è una di quelle irrazionalità episodiche che un gioco "di situazione" come il calcio ha nella sua essenza, quella stessa irrazionalità che ci permette di guardare ogni partita, ogni match senza la monotonia di un esito già scritto e incontrovertibile. Se la finale del '74, persa dall'Olanda proprio contro la Germania Ovest, ha comunque consegnato alla storia gli Oranje e ha reso mitica una squadra, come solo la bellezza incompiuta può fare, al contrario, la vittoria della Germania è il miglior modo per convincerci che il merito paga. Ieri sera al Maracanà si è manifestata la forza del collettivo e del vivaio: si fa male Khedira nel riscaldamento, entra Kramer, a sua volta infortunato, e lo sostituisce Schürrle. Assist dell'esterno al 113' e gol del giovane Götze, altro subentrato. Infine non c'è stimolo migliore per noi italiani dell'essere raggiunti dai nostri, storicamente, migliori rivali continentali. La Germania, senza l'estro e la fantasia della "stella", del super campione, non ha mai provato ad emulare questa idea di calcio; anzi, ha fatto delle sue qualità più aride la fonte più pura del proprio talento: forza fisica, programmazione e volontà. D'altronde, diceva Einstein: “Ognuno è un genio. Ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi, lui passerà l’intera vita a credersi stupido.”
spagine
P
Corsivo
della domenica n°39 - 27 luglio 2014 - anno 2 n.0
Jean Baptiste Simeon Chardin La bolla di sapone, 1739
L’evoluzione delle bolle di sapone
ensavo, passeggiando fra bancarelle e rumori della sagra dell’anguria, alle bolle di sapone come facevo un tempo. Andavo da Lucia, al Bar Sport, chiedevo un cannuccia, mi voleva bene e me ne dava almeno tre! Non erano di plastica all’epoca, ma di qualche paglia. Poi andavo a casa, mischiavo sapone di Marsiglia in scaglie con acqua in un bicchiere: “non prendere quelli buoni, prendi l’altro, quello un po’ scheggiato” diceva mia madre. Dovevo poi mescolare qualche tempo, andavo sul balcone, con la cannuccia facevo le bolle di sapone. Era bello, non necessariamente facilissimo, dovevi dosare sapone e acqua, dovevi misurare la quantità d’aria, se era tutto ben fatto venivano anche grandi, molto grandi, era un piacere vederle appoggiarsi sull'aria, avevano dentro l’arcobaleno. Se invece non venivano bene occorreva diventare piccoli chimici, ridosare acqua e sapone, in fondo anche le banali bolle di sapone erano educative, insegnavano.
La generazione successiva alla mia subì l’evoluzione tecnologica, via il sapone di Marsiglia in scaglie, via bicchieri e cannucce, si acquistavano cilindretti di plastica con dentro un liquido con sapone e un cerchio nel quale si formava la bolla. Anche qui occorreva saper soffiare con giusta cautela, finito il liquido si gettava via tutto, fare acqua e sapone era roba antica. In sostanza, mentre prima si gettava una cannuccia di materiale biodegradabile, dopo si conferiva (neologismo per dire di immondizia) un pezzo di plastica. Si chiama evoluzione. Alla sagra dell’anguria mi sono trovato avvolto da mini bolle di sapone, belle, gioiose. Le stava facendo un bimbo con un marchingegno strambo, una sorta di pistola funzionante a batteria che le sparava a raffica. E camminando mi dicevo che quel bimbo conosce le bolle di sapone, però difficilmente sa come si formano, neppure la gioia di mischiare prodotti diversi per farle, nmè quella di saper soffiare con la giusta forza. Soprattutto uno dei giochi più ecologici è diven-
tato fonte di inquinamento incredibile. Oltre ai 200 grammi circa di plastica che, finito il liquido, probabilmente finiranno in discarica e le batterie che dureranno lo spazio di un paio di fette d’anguria. Poi si cercheranno, forse, nuove ricariche. Forse… Certo, a questo punto il rischio di dire che “quando i mulini erano bianchi…” ci sta tutto. Non lo dico, era solo un pensiero in libertà, incasellato fra l’anguria, la banda che suonava la Norma, i bimbi che forse non sanno che per fare bolle di sapone è sufficiente il sapone e un po’ d’acqua, non servono marchingegni diabolici. O forse solo un po’ di nostalgia di Lucia, di un balcone per vedere dove volano e sognare terre sconosciute. E mi chiedevo quel bimbo, fra cinquant’anni, se e come ricorderà quelle bolle di sapone alla sagra dell’anguria. di Gianni Ferraris
spagine
Contemporanea
della domenica n°39 - 27 luglio 2014 - anno 2 n.0
La malattia vuole pazienza
di Marcello Buttazzo
L
Franco Basaglia (Venezia, 11 marzo 1924 – Venezia, 29 agosto 1980) fu uno psichiatra e neurologo italiano, professore, fondatore della concezione moderna della salute mentale, riformatore della disciplina psichiatrica in Italia e ispiratore della cosiddetta Legge Basaglia (n. 180/1978) che introdusse un'importante evisione ordinamentale degli ospedali psichiatrici in Italia e promosse notevoli trasformazioni nei trattamenti sul territorio.
a vita sofferta vuole amore e un’ancora di salvezza. Giorni chiari e placidità di stelle. Crepuscoli aranciati e bagliori di luna. Aurore bianco latte e notti serene. Foreste di cielo e un alacre e fremente impegno per scompaginare il disagio. Che, talvolta, può diventare malattia. La malattia, sempre e comunque, va traversata, esige abnegazione e calma, attenzione. Certe malattie si ricuciono con ago d’amore. La fragilità vuole papaveri rossi e carezze. Con
sentimento si deve nutrire. Con il coraggio e l’insegnamento di Franco Basaglia s’è capito in questi anni che la persona folle è, per l’innanzi, un essere umano con desideri e progetti, con sacrosanti diritti da rivendicare. Un soggetto da aiutare e guidare lungo i sentieri fruttuosi d’una esistenza completa. Che magari va preso per mano dall’incedere sicuro, stabile d’un celeste cavallino della luna, di nome Marco. Fare comunità, prendersi veramente cura d’un individuo disagiato e problematico, è la filosofia
di base per un approccio medico partecipato: dove ognuno sia disposto a darsi una mano. Basaglia ha sparpagliato semi d’amore, ha gettato i presupposti fecondi per una nova e diversa comprensione della malattia mentale, che non può essere mai confinata e ridotta al solo aspetto organicistico, ma deve oltrepassare con un salto i rigidi steccati dell’inappellabile tassonomia. È necessario più che mai dare uno sguardo d’assieme e scavare archeologicamente e antropologicamente nel fondo del fondo fino a risalire in superficie. Si deve scendere nei cupi meandri fino alle scaturigini del malessere, e poi riemergere con l’animo rinfrancato. Per un soggetto lacerato dagli scontenti e dai tormenti è fondamentale integrare la malattia e trasformarla in qualcosa d’altro. Per tentare di guarire non si può stagnare nella propria sofferenza o in quella degli altri, si deve indagare con occhi tranquilli il proprio passato. Come esploratore si deve scendere negli anfratti più scuri della propria esistenza, senza avere mai paura delle sanguinolente ferite, senza temere di scoperchiare botole segrete. Si deve sentire la sferzata pungente dei venti sulla faccia. E l’asprezza degli accadimenti remoti, la ruvidezza del giorno. Si devono frantumare gli inconcepibili e invalidanti sensi di colpa, ci si deve perdonare, si devono perdonare gli altri. Come meticolosi rabdomanti, dobbiamo cercare le venule più chiare. “Trapeli un po’ di verde, il limone, il sifone, il piccolo portone della pensione. Trapeli il blu, anche tu vestita con il tuo nudo rosa, ogni cosa amorosa. Amore è amore, liscio alla sua foce. Un’alpe zuccherina, l’amore è brina. Che sogno averti vicina, notturna, fresca, sottovoce”: così è per Alfonso Gatto. La malattia è come la poesia: vuole pazienza. Pazienza e alacrità del tempo, per fare a pezzi anche ingiusti e ghettizzanti stigmi e obsoleti paradigmi, che la identificano per forza come un impedimento, come una sciagura, un accidente. Pensiamo, solo per un attimo, ad Alda Merini, che cantava tra l’altro: “Folle, folle, folle di amore per te”. “Alda è una macchina d’amore, che in lei è forza scaturente ininterrotta”, scrive Roberto Vecchioni. Nei versi della grande poetessa dei Navigli la pazzia è un fiume in piena, che trova i suoi argini, che va. Un rigoglio, un balsamo tonificante. La pazzia ha la pelle nuda e fremente che di notte raccoglie i sogni delle anime salve. Conosce l’ubriacatura del genio e la scorrevolezza di vite di Charles, avvezzo a frequentare gli anfratti bui delle osterie dormienti. La dolcezza di Titano e la sacralità degli ultimi della Terra. Bellezza e fascino.
spagine
S
Poesia
della domenica n°39 - 27 luglio 2014 - anno 2 n.0
A Serrano, lo scorso 22 luglio, la consegna del premio L'olio della poesia, a Maurizio Cucchi
La linea lombarda
i prova, immancabilmente, una sensazione di semplice e leggero incanto nel ritrovarsi, al primo saluto della sera, nella piccola autentica bomboniera di piazza Lubelli, cuore della, a sua volta, minuscola, affascinante e un tantino misteriosa località salentina di Serrano. Quest'anno, la manifestazione prende corpo nel giorno di Santa Maria Maddalena, una figura di divinità che, allo scrivente, viene sempre spontaneo d’immaginare come una donna giovane e fascinosa, volto incorniciato da una lunga treccia. Ricorrenza canonica che, in un’altra cittadina del basso Salento, Castiglione d'Otranto, è contraddistinta da una secolare fiera - mercato a mera impronta paesana, una volta definita “fiera delle cipolle” e accompagnata dal semplice e indicativo proverbio “A Santa Maria Maddalena, va alla vigna e se ne vene prena (pregna)”, a voler così riferirsi, non si sa esattamente essendo di analoga intensità la verosimiglianza insita nelle due distinte e distanti opzioni, o ai primi acini d'uva che iniziano a maturare nei vigneti ad alberello classici del territorio (i cippuni), o a un tutt’altro genere di maturazione che arriva a lievitare dentro a un’immaginaria giovane contadina recatasi a lavorare, giustappunto, nella vigna. Sia come sia, in questo 2014, la ricorrenza del 22 luglio, non se ne adonti la Santa, grazie alla concomitanza dell’evento serranese, da parte sua ormai divenuto adulto, sembra ritrarre un’indicativa ascesa di solennità, insieme con un alone d’ideale magia. Per la verità, nell’odierna occasione, il cielo, in alto, è insolitamente accompagnato da nubi sparse, da cui, a certo punto, promanano finanche accenni di pioggia, e però si tratta di gocce sparute, soltanto per un attimo, quasi come un discreto segno di partecipazione, della volta tinta di blu scuro, alla festa. In fondo, senza il minimo disturbo, forse volendo riconoscere che, ad accarezzare il capo e a plasmare il sentimento e la suggestione dei tanti invitati e ospiti, stasera concorrono, bastevoli, altre gocce che profumano, con naturale maggiore intensità, di vita, passione, lavoro, tradizione, tanta fatica, ossia a dire gocce d'olio. E, come già notato da taluni commentatori, non poteva trovarsi un connubio più puntuale di quello tra il frutto o le lacrime degli ulivi da una parte e la poesia dall’altra, giacché la poesia nasce anch’essa da stille dell’animo, sempre, anche quando è espressa sotto forma di versi e parole d’allegria e di gioia. Ancora un rilievo: da lassù, non si affaccia alcun profilo della luna, come se Selene avesse scelto di starsene in disparte, lasciando il posto, nella cornice di piazza Lubelli, a una sua gemella, inanimata e tuttavia non meno fulgida, “La luna dei Borboni”, il titolo di un volume che racchiude le più belle, indicative e conosciute poesia di un grande, ma ancora non adeguatamente apprezzato, poeta salentino, Vittorio Bodini, di cui cade adesso il centenario della nascita. Bodini, cantore del Capo di Leuca, di ulivi, carrettieri, contadini, arti e mestieri umili, volti riarsi, raggi accecanti. Per precisa scelta organizzativa, alla sua figura è dedicato il prologo
di Rocco Boccadamo
Maurizio Cucchi, autore fedele alla “linea lombarda”, corrente letteraria che promuove in poesia “un atteggiamento di attenzione alle "cose" quotidiane in chiave anti-eroica e anti-retorica, rinnovando il rapporto tra poesia e realtà allontanandosi dalla lezione "simbolista" dell'ermetismo”
della diciannovesima edizione dell'Olio della poesia e suscita viva emozione la presenza sul palco della figlia del poeta, Valentina, alla quale è consegnata una targa in ricordo del chiarissimo letterato. Al solito, l'evento - sempre guidato dall’attento Peppino Conte - di Serrano si articola in tre punti e momenti. Il primo, l’attribuzione di un segno di riconoscimento, il Premio millennium, a un esponente salentino distintosi nel campo della promozione culturale e della poesia in particolare, individuato e scelto, nell’occasione, in Maurizio Leo, che riceve in premio una pregevole scultura in pietra leccese, una sorta di simbolo identitario dell'interiorità materiale di questa terra. Quindi, un’assegnazione, il Premio Salento d’amare, in certo qual modo alla carriera, andata, quest’anno, a un famoso personaggio artistico nel campo della composizione musicale e della canzone, Vinicio Capossela, istrionico e originale talento pur in una veste d’estrema semplicità, star di spessore internazionale e, però, dalle origini radicate nel meridione d'Italia, in Irpinia per la precisione. Pecularietà aggiuntiva, l’artista in discorso è una presenza frequente fra i nostri muretti di pietra, i nostri uliveti, avendo egli, da un ventennio, preso dimora, per le sue parentesi di riposo, nel paesino di Patù, giusto verso la punta estrema della nostra penisola, lì a gustarsi il fascino della natura in terra e sul mare di S. Gregorio, insieme con la genuina semplicità dei nuovi compaesani,
essendo divenuto cittadino onorario della località prescelta. Infine, al centro dell’evento, il vero e proprio “olio della poesia”, premio consistente in un quintale d’extra vergine di oliva e in un soggiorno a Otranto. Nella presente tornata della manifestazione, si rende onore al merito di un grande poeta e scrittore milanese, Maurizio Cucchi, il quale, a prescindere dalla sua moderna e accesa personalità, non è completamente azzardato configurarlo alla stregua di un Manzoni dei tempi presenti. Colpisce e incanta, il maestro Cucchi, già col fascino che trasuda dal volto incorniciato da una folta canizie; ma, soprattutto, sono le sue riflessioni, i versi e le parole che giungono direttamente al cuore di chi ascolta o legge. Dà l’idea, Cucchi, di voler tracciare ideali confini della vita, ancorando mirabilmente immagini e volti del passato recente e anche lontano a passi e a azioni della quotidianità corrente. Circa duemila i presenti dinanzi al proscenio serranese, che assistono, coinvolti, alle scansioni dell'evento, in una serata per di più impreziosita, con maestria e spessa vena artistica, grazie alla lettura di brani per opera dell’attore salentino Francesco Piccolo, anima della compagnia teatrale “La Busacca” e all’esecuzione d’avvincenti intermezzi musicali a cura di un giovanissimo talento di casa nostra, Vincenzo Tommasi di Calimera, il quale, con la sua chitarra, conferisce un vero e proprio abbraccio al premio “Olio della poesia”.
spagine
N
in Agenda
della domenica n°39 - 27 luglio 2014 - anno 2 n.0
“Dopo il successo dello scorso anno ci riproviamo...” Una festa anni Settanta in cui suoneranno e ri-suoneranno alcune tra le band più famose della Lecce di quegli anni
on ho conosciuto Toni Robertini, né Emanuele De Rosa, né tanti altri. Né tante cose. Tante altre cose. E, allora, come faccio a parlarne? Come mi permetto di inchiostrare fogli? Ho girato a lungo sulla “rete”. Ho ascoltato tutti i pezzi de “La mela d’oro”, dei “Band Aid” e dei “Forum” che sono su YouTube. Sempre su YouTube ho guardato i filmati del “Teatro Infantile” di Lecce. Ho ascoltato le parole di chi quel periodo ha vissuto e, grazie a dio, ancora c’è. Ho ripensato alla musica live, ascoltata qualche lustro dopo, di alcuni di quei musici che quell’esperienza hanno fatto. Ho amato (e amo) il free jazz. Ho rivisto l’Edoardo passare sotto il mio liceo coi suoi rotoli di carta colorata e l’ho rivisto sputare sangue portoghese sui gradini dell’ignoranza diffusa a Lecce tra cattedrali e “faugnu”. Ma preferisco ricordarlo quando disse alla Paola “ce beddha ucca russa ca tieni…”. Ho ripensato alla vespa blu e alla salita di Rudiae, intanto che nel notturno indaco le stelle sopra noi erano spente. Le ho riviste accendersi tutte nel silenzio dei grilli. E ho rivisto quella meraviglia di Hi-Fi nella casa del centro storico di Antonio in una delle rare “nargiate” con le note che non ricordo più, ma mi piace pensare che fossero quelle di Neil Young. Questo è il bello delle storie. L’incontro. E, pur non potendo dire: “La storia siamo ahinoi”, un po’ l’ho vissuta. Adesso, però, la conosco meglio. Chi di voi, come me, è nato troppo tardi per viverla, o per un motivo qualunque non la conoscesse, può assaggiarla la sera di domenica 27 luglio, dalle 19.00 a Villa Elena (in via Calore n. 6, Lecce). Oppure può comprare il libro “La storia siamo ahinoi” e il CD “Ergo sum” di Anima Lunae, di Beppe Elia con la complicità di Mino Toriano (Città Futura Edizioni). Ho letto il libro e ascoltato “el son salentino”. Le parole di questo mio intervento, (quasi) tutte le parole di questo pezzo vengono da lì. Tutto quel che non ho detto (tanto) leggetelo e ascoltatelo da voi. Ché non sono solo canzonette! Senza prendermi/vi troppo sul serio. Ma la storia (e mo’ non scherzo) è fatta di storie. Conoscere le storie è comprendere la storia. di Vito Antonio Conte
La storia
siamo ahinoi!
Roberto Gagliardi e Mino Toriano in Basilicata negli anni Settanta, in una tournèe del Teatro Infantile - mela d’Oro. la fotografia è di Mauro Marino
spagine
Tournèe
della domenica n°39 27 luglio 2014 - anno 2 n.0
Anna Cinzia Villani e la MacuranOrchestra
«
Anna Cinzia Villani in una foto di Tony Rizzo
sul palco del Womad World of Music, Arts and Dance in Charlton Park a Londra
La sua voce ancestrale è profondamente immersa nel mondo che racconta, - scrive Alessandro Hellmann su Rockerilla - nei suoi ritmi, nei suoi odori, nelle sue consuetudini, sembra uscita da un nastro di Alan Lomax», la voce è quella di Anna Cinzia Villani che dopo le esibizioni delle scorso anno al Womadelaide in Australia e al Womad New Zeland al fianco dei Nidi d'Arac, questa volta è andata in scena, con la MacuranOrchestra, ieri, sabato 26 luglio, al Womad Uk sul palco di Charlton Park a Londra. La cantante e tamburrellista salentina proporrà lo spettacolo tratto dall'album Fimmana, mare e focu!, pubblicato da AnimaMundi nel 2012. Un disco di gran successo che l'ha lanciata nella scena musicale europea. Ian Anderson, direttore di Folk Roots, la più importante rivista inglese di world music, l'ha definita "tra le migliori voci della world music europea". *** Prendendo come fonti le ricerche sul campo svolte dagli studiosi del passato e quella da lei stessa
condotta negli ultimi anni tra i cantori, Anna Cinzia Villani interpreta i canti della sua terra con profondo rispetto e conoscenza della tradizione ma, al contempo, con il gusto della contemporaneità, unico modo per attualizzare questa musica senza edulcorarla né cristallizzarla. Il disco Fimmana, mare e focu! racconta la donna e le sue tante anime. Ma lo fa da una prospettiva insolita rispetto ai versi del repertorio tradizionale, che per la figura femminile adottano quasi sempre il punto di vista dell’uomo che la descrive come dea irraggiungibile, quando è vista attraverso gli occhi dell’innamorato, o invece come vipera, quando l’amore non ricambiato procura profonde sofferenze. Anche la donna canta poco di sé e del suo animo e quando lo fa è per lo più in relazione alla dimensione quotidiana e pratica della vita familiare e del lavoro nei campi, lasciando nell'ombra la sua vita interiore, i suoi desideri più nascosti. Fimmana, mare e focu! nasce invece da una lunga ricerca volta a individuare i testi tradizionali in cui la donna parla in prima persona delle sue emozioni
(“Lu desideriu miu cu bessu cozza”, “Farnaru farnareddhu”), o che raccontano le sue tante vite in una sola di figlia, moglie, madre, nuora, suocera (“Fimmana, mare e focu!”, “Pizzica di Copertino”). L'album segna la maturità artistica della Villani, che qui si fa anche autrice di alcune liriche (“Luntananza”, “Tridici stelle”) e melodie (“Farnaru farnareddhu”) e che, accostando alcuni proverbi salentini, elabora il testo di “Fimmana, mare e focu!”. Accanto a lei la MacuranOrchestra, che mette assieme protagonisti delle scena tradizionale, world e jazz. La particolare combinazione porta ad arrangiamenti curati nei dettagli, che conservano la forza vitale della musica popolare, con le sue sonorità aspre e talvolta graffiate, ma la arricchiscono con i colori, le idee ritmiche e le armonizzazioni del world jazz. L'apertura è un sentito omaggio al compianto Piero Milesi. “Ìjo pucanè”, brano dal sapore molto diverso dal resto del disco, il cui testo è stato scritto da Gianni De Santis, fu arrangiato dal maestro Milesi per la voce della Villani e divenne la sigla di apertura de La Notte della Taranta del 2001.
spagine
Musica
della domenica n°39 - 27 luglio 2014 - anno 2 n.0
Da Dodicilune, il progetto discografico di Rachele Andrioli e Rocco Nigro
Malìe L
o scorso mercoledì 23 luglio al Rerum Apuliae di Marina di San Gregorio la cantante Rachele Andrioli e il fisarmonicista Rocco Nigro hanno presentato Malìe, nuovo progetto discografico prodotto artisticamente da Gabriele Rampino ed Eraldo Martucci per Fonosfere, collana editoriale dell'etichetta salentina Dodicilune e distribuito da IRD. Il duo sarà in concerto giovedì 31 a Grottaglie (nell'ambito di Vino e Musica) e venerdì 1 agosto al Mercatino del Gusto di Maglie. I due giovani autori e interpreti propongono un lavoro con tratti innovativi, tra una ben radicata tradizione salentina e una dimensione nuova, tra “world music” e nuove “sensibilità musicali” contemporanee. Nove brani compongono il Cd (quattro tradizionali e cinque inediti) nei quali i due sono affiancati da Enza Pagliara voce, Valerio Daniele chitarra, Redi Hasa violoncello, Francesco Massaro sax baritono, Vito de Lorenzi percussioni, le sorelle Gaballo voce e mani e Mauro Semeraro mandolino. Nel concerto dal vivo il duo traccia un percorso ben preciso, una successione di arie popolari, di omaggi a voci femminili e di brani inediti. Si sale,
Rachele Andrioli e Rocco Nigro
un salto dopo l’altro, dalla musica tradizionale del Sud Italia alla canzone popolare italiana (Gabriella Ferri, Domenico Modugno) e del mondo (Edith Piaf, Amalia Rodriguez, Chavela Vargas). Una proposta con tratti innovativi, tra un ben radicato tratto salentino e una dimensione decisamente nuova, tra “world music” e nuove “sensibilità musicali” contemporanee. Su Youtube è disponibile il videoclip del primo singolo estratto dall'album. Nel brano Malìa, composto dai due musicisti, la stessa cellula musicale si sviluppa in armonia con la voce, quasi per immaginare una sorta d’incantesimo. Il videoclip è firmato dal regista Gianni De Blasi. *** "Il disco è un percorso sui luoghi ancestrali e mitici della cultura vocale, sui tòpoi del Salento e della Puglia primitivi, sulla tradizione vocale che muove in transizione verso suggestioni nuove e che si collega idealmente al Fado portoghese, ma anche allo stornello romano", sottolinea Eraldo Martucci nell'introduzione a Malìe. "La fascinazione del primo elemento strumentale, la voce, e della sua capacità di trasmettere oralmente tradizioni, dinamiche, favole, sogni. La centralità dell’elemento vocale impone di spogliarsi da ogni orpello, alla ricerca di una essenzialità primigenia: in tal senso la voce lega con i mantici di una fisarmonica, in pochi contrappunti
con altri strumenti, dove la dimensione del duo prevale su scelte forse più ricche ma meno vere. Rachele Andrioli, con la sua eccezionale ricchezza timbrica e con un’espressività mai ostentata ed affidata sempre al canto, percorre i luoghi rurali della sua terra non nascondendo le sue influenze bizantine, richiamando il senso della musica come espressione di socialità", continua il critico. "Musica cioè nella quale l’uso della voce come nenia funebre, come accompagnamento di cerimonie, nascite, matrimoni, preghiere torna ad esprimere la propria centralità, affiancata in questo caso dalla fisarmonica straordinaria di Rocco Nigro. Una musica che dunque va oltre l’intrattenimento per diventare piuttosto potere visionario e vibrante, e con immaginazioni interiori più potenti, come testimonianza appunto di quella dimensione ancestrale che vive ancora oggi. Una musica dalla natura comunicativa più profonda, nascosta e che rivela il suo ruolo essenziale come archetipo di tutti i nostri comportamenti. Il duo, formula mutuata dalla musica colta ma perfettamente attinente anche a quella popolare, muove da esperienza radicata in più di un triennio sul territorio, fino ad arrivare ad un franco successo di pubblico anche oltre il territorio. Forti di tali esperienze sul campo, i due musicisti riescono a creare unisono tra il respiro della voce e quello del mantice della fisarmonica che la sostiene, in un gioco fascinoso di … malìe”. *** Dodicilune è attiva dal 1996 e riconosciuta dal Jazzit Award tra le prime tre etichette discografiche italiane (dati 2010/2013). Dispone di un catalogo di oltre 150 produzioni di artisti italiani e stranieri, ed è distribuita in Italia e all'estero da IRD presso 400 punti vendita tra negozi di dischi, Feltrinelli, Fnac, Ricordi, Messaggerie, Melbookstore. I dischi Dodicilune possono essere acquistati anche online (Amazon, Ibs, LaFeltrinelli, Jazzos) o scaricati in formato liquido su 56 tra le maggiori piattaforme del mondo (iTunes, Napster, Fnacmusic, Virginmega, Deezer, eMusic, RossoAlice, LastFm, Amazon, etc). www.dodiciluneshop.it
La copertina di Malìe
in Agenda
spagine
LoIonio racconta Una rassegna a cura della Cooperativa Thalassia per il Parco naturale di Ugento e le Riserve del Litorale tarantino
della domenica n°39 - 27 luglio 2014 - anno 2 n.0
L
’estate salentina segna una bella novità in tema di natura e teatro e, come già successo per altre riserve naturali pugliesi, come Torre Guaceto, il paesaggio naturale dello Ionio, diventa scenario di spettacoli che attraversano la biodiversità e la memoria del territorio per raccontarne l’essenza e l’anima con le comunità che lo abitano e con i turisti che non si accontentano di un passaggio superficiale dalla Puglia. Nasce da questa idea la rassegna Lo Ionio racconta, un viaggio tra storie, teatro e natura in programma dal 25 luglio al 29 agosto nelle Riserve del Litorale Tarantino e nel Parco regionale di Ugento. Lo Ionio racconta ha preso il via lo scorso venerdì 25 luglio, a Torre Colimena, con lo spettacolo La biciletta rossa (Principio Attivo Teatro) preceduto da una visita guidata alla Salina dei Monaci, dove risiedono i fenicotteri rosa. *** Lo Ionio racconta attraversa centri storici, spiagge, angoli nascosti dell’entroterra, boschi secolari. Ogni appuntamento è un invito alla scoperta della memoria vegetale e minerale del luogo che lo accoglie. Prima e dopo ogni evento è possibile partecipare alle escursioni, assaggiare e conoscere i luoghi delle due riserve salentine. Il programma degli spettacoli raccoglie alcune tra le migliori compagnie che hanno condotto una ricerca di qualità sul tema stesso della memoria del Salento, del teatro per l’infanzia e dei temi della cittadinanza attiva e della salvaguardia dell’ambiente. C’è la favola sognante eppure così poeticamente normale de La bicicletta rossa di Principio Attivo Teatro che ha aperto la rassegna a Torre Colimena, le narrazioni sul Salento dei racconti sanguigni e antichi di Fabrizio Saccomanno, Fabrizio Pugliese e la Factory di Tonio de Nitto, durante La notte dei racconti (il 5 agosto a Ugento); c’è spazio per la storia tutta in fondo al mare del Mistero dell'isola dei gabbiani dei Burambò (il 12 agosto a Torre San Giovanni); c'è la storia del Salento quando era terra di lupi e foreste nella La grande foresta (il 20 agosto nel Bosco Cuturi) e la rivoluzione silenziosa di Storia d'amore e alberi (il 24
Un’immagina da La bicicletta rossa di principio attivo teatro e sotto la locandina della rassegna
agosto alla Masseria Cocola) raccontati da Luigi D'Elia di Thalassia; c'è anche il circo felliniano e sognante della compagnia Nando e Maila e del loro Sconcerto d'amore (il 29 agosto a San Pietro in Bevagna). La rassegna Lo Ionio racconta è organizzata dal Parco naturale di Ugento insieme alle Riserve del Litorale tarantino, due riserve regionali che, fatta eccezione per un tratto di costa intermedio, aprono e chiudono quella lunga linea di costa ionica che tra stagni, dune, lunghissime spiagge, boschi e lame all’interno, costituisce uno dei tratti di costa più belli e visitati d’Italia. La rassegna è organizzata grazie al Programma Regionale di tutela e valorizzazione della biodiversità del Sistema della conservazione della natura della Regione Puglia e la direzione artistica è a cura della Cooperativa Thalassia che in Puglia firma gli eventi estivi della Riserva di Torre Guaceto e, negli ultimi anni, è stata promotrice di numerosi eventi site-specific nel parco delle Dune Costiere tra Ostuni e Fasano, nell’Area Marina Protetta delle Isole Tremiti e di Porto Cesareo. La cooperativa Thalassia cura anche gli eventi Naturalia, l’itinerario notturno lungo il mare di musica e teatro, il concerto all’alba di metà agosto che si svolge ogni anno a Torre Guaceto, oltre alle produzioni di spettacoli di teatro ambientale che ogni anno attraversano l’Europa.
Il teatro e le storie, quindi, che cantano e salvano i luoghi come nelle lontane culture dei nativi e come, forse, c’è bisogno di ricominciare a fare qui da noi a cominciare dalla Puglia, magari.
Per la visita guidata è obbligatoria la prenotazione al 347/8772955 Ingresso libero a tutti gli spettacoli della rassegna.
Info e prenotazioni per gli spettacoli Parco Naturale di Ugento, spettacoli del 5, 12, 24 agosto): 349.9112272 Riserve del Litorale Tarantino, spettacoli del 25 luglio, 20 e 29 agosto: 393.0198960
spagine
A Gioia del Colle, la mostra di Emilio Greco nei luoghi del castello normanno svevo
I
in Agenda
della domenica n°39 - 27 luglio 2014 - anno 2 n.0
L’istante della tua bellezza l “Luglio di cultura” nei luoghi statali della cultura pugliese vede in programma l’apertura della mostra dedicata ad Emilio Greco presso il Museo Nazionale Archeologico – Castello di Gioia del Colle, dal titolo: L’istante della tua bellezza. L’inaugurazione avrà luogo giovedì 31 luglio 2014 alle ore 18,30. L’evento espositivo, promosso dal MIBACT, Direzione Regionale per i beni culturali e paesaggistici della Puglia e dalla Soprintendenza per i beni archeologici della Puglia è stato organizzato da Il Cigno GG Edizioni di Roma, in collaborazione con Nova Apulia.
La mostra nel Museo di Gioia del Colle, a cura di Gabriele Simongini, tratta il tema del nudo femminile e della bellezza, da sempre caro all’Artista, nelle diverse espressioni del bello e dell’erotico. L’esposizione si articola in due sezioni: la prima dedicata alla scultura con l’esposizione di alcuni capolavori di medie e piccole dimensioni (sculture e bassorilievi) provenienti da musei, enti e collezioni private; la seconda dedicata alle opere grafiche. Le sale del castello normanno-svevo, custodi di reperti archeologici provenienti dagli scavi nelle aree di Monte Sannace e Santo Mola, ospiteranno oltre quaranta opere del Maestro catanese, dopo il successo nel 2013 delle grandi esposizioni dedicategli dall’Estorick Collection di Londra e dal Museo di Roma - Palazzo Braschi, per celebrarne il centenario della nascita. La visione del mondo di Greco, come notava Leonardo Sciascia, è essenzialmente erotica, di armonia erotica. Sorgente di quest’armonia è, naturalmente, il corpo della donna; e da lei si irradia in tutte le cose: forma ritmo, misura del mondo. Il corpo della donna è per Greco anche il collegamento vitale con l’antico, così come emerge dalle opere di grafica esposte in mostra come Ritmo muliebre, Commiato e Bagnante e dalla bellezza eterea delle bronzee Sirena, Clizia, e Mediterranea. Le sue rappresentazioni del corpo femminile comunicano intatto il senso dell’Ars amatoria, una saggezza erotica in cui le componenti fisiche e psichiche dell’amore perfettamente si equilibrano.
Donna con fiori, bassorilievo in bronzo, 1984
Informazioni utili: La mostra: dall’1 agosto al 30 novembre 2014 Museo Nazionale Archeologico di Gioia del Colle Piazza Martiri di Cefalonia, Gioia del Colle, Bari Aperto tutti i giorni dalle 08,30 alle 19.30 Tel e Fax: (+39) 080.3481305 Dress the nude, Frammento delle porte della Cattedrale di Orvieto, bronzo, 1962
La pagina è a cura di Marisa Milella* e Fabio A. Grasso. *Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Puglia
L
spagine
'altare così detto maggiore (foto: 1, generale; 2, particolare) della vecchia parrocchiale di Arnesano (Lecce); i peducci con volti umani (foto 3) nella sagrestia della chiesa madre di Campi Salentina (Lecce); a Carpignano (Lecce) alcuni elementi scultorei (foto 4, particolare) della chiesa della Madonna della Grazia come ad esempio il portale che inquadra l'accesso alla cripta nel transetto destro e, per finire, i volti umani scolpiti sui peducci (foto 5, 6 volto centrale) di due ambienti (atrio di accesso e soprattutto quelli nella stanza attualmente del “Giudice di Pace”) del noto palazzo Adorno a Lecce, sono tutti accomunati dall'essere quattro casi interessanti nella storia dell'architettura/scultura della seconda metà del Cinquecento leccese. Quest'ultimo periodo dalla storiografia è stato spesso sacrificato nello studio a tutto vantaggio del più recente e appariscente barocco. I casi elencati nello specifico sono legati anche dal fatto che, come deducibile da una analisi stilistica e confronto fra gli elementi scultorei principali, apparterrebbero con buona probabilità allo stesso artista. *** La cinquecentesca struttura compositiva dell'altare di Arnesano è costituita da un ordine architettonico che inquadra un arco poggiante su due piedritti con cornici. A destra e sinistra dell'arco centrale, una per parte, vi sono due semicolonne scanalate e rudentate poggianti su piedistalli. Il fusto di ogni semicolonna è interrotto a circa 1/3 della sua altezza da festoni appesi e una sorta di cintura modanata decorata con motivi vegetali scolpiti che stringe foglie piegate ora in basso ora in alto; la rudentatura interessa sia il tratto inferiore che quello superiore dell'intero fusto. Il capitello ionico, a volute rivestite di foglie, ha un enorme “flos abaci” (un fiore posto in corrispondenza della parte centrale del capitello stesso) il cui stelo arriva sino a circa metà altezza di quel particolare tratto sommitale della colonna (collocato fra parte scanalata del fusto e il capitello) caratterizzato da una superficie di fondo liscia; nella parte inferiore di quest'ultimo tratto, a contatto diretto con il fusto, si vede un nastro orizzontale modanato decorato al suo centro con motivi vegetali. Ai lati (verso l'interno dell'altare) di ogni semicolonna, sulla superficie del piedritto, sono scolpiti motivi decorativi a candelabre e foglie (un decoro di tipo vegetale lo si trova nelle parti verso l'esterno dei piedritti e continua pure al di sopra degli stessi fino alla trabeazione). La ghiera dell'arco modanata è decorata con motivi vegetali nella sua parte centrale. L'arco ha un intradosso decorato con fiori scolpiti a rilievo e tali sono pure i motivi vegetali che decorano il fregio. Da segnalare nella fascia mediana dell'architrave, sopra l'arco, la seguente iscrizione tratta dalle Epistole di san Paolo ai Corinzi (I, 11, 23 – 29): “QUI ENIM MANDUCAT ET BIBIT INDIGNE IUDICIUM SIBI MANDUCAT ET BIBIT”. La nicchia centrale ha una cornice che nei due tratti rettilinei e in quello centinato è decorata a rilievo con una corolla costituita dall'alternarsi di fiori e teste d'angelo queste ultime simili a quella disposta in diagonale ad ali spiegate presente in ciascuno dei pennacchi ai lati dell'estradosso dell'arco. In alto al centro sulla parte curva della cornice della nicchia con la statua di sant'Antonio di Padova è un medaglione con la raffigurazione scolpita dell' Agnus Dei” che significa "Agnello di Dio" e si riferisce a Gesù Cristo nel suo ruolo di vittima sacrificale per la redenzione dei peccati dell'umanità. La mensa e i suoi due gradini, il tabernacolo, la statua collocata nella nicchia centrale sono tutti di fattura recente. Gli anni di realizzazione delle sculture elencate all'inizio di questo scritto sono all'incirca gli stessi: per il citato altare di Arnesano la data probabile di esecuzione è scritta a caratteri romani sull'ultimo elemento di cornice del piedritto di sinistra su cui si imposta l'arco modanato e decorato sotto il quale è la nicchia centrale. A sinistra della semicolonna sinistra si legge una “M”; a destra sempre della stessa semicolonna, in parte compromesso dalla rottura della modanatura, è, pure inciso, “DLI” (la “L” non è perfettamente leggibile nella sua parte inferiore orizzontale). In ogni caso le singole cifre leggibili formerebbero “MDLI” ovvero “1551”. Altre date certe, “ufficiali”, sono quelle incise in cifre arabe su due muri interni di palazzo Adorno (atrio di accesso e scala nobile) ovvero il 1568 e il 1567 rispettivamente. Per l'inizio della costruzione della chiesa di Carpignano è plausibile pensare all'incirca agli stessi anni, forse quelli finali, del cantiere di palazzo Adorno (la realizzazione dell'edificio è legata infatti a un miracolo avvenuto, dicono le cronache, nel 1568; si rilevano in particolare due date incise su altrettanti portali: il “1579” è sul secondario verso la città, il “1585” lo si trova su quello della facciata principale). *** A giudicare dall'analisi stilistica (foto 3 e 5) sembrerebbe plausibile ipotizzare, come già accennato, che uno stesso artefice abbia lavorato sia in palazzo Adorno che nella chiesa di Carpignano. I due edifici condividono approssimativamente gli stessi anni di costruzione, lo si è detto, forse lo stesso artista e, in un certo senso, un altro dettaglio di non secondaria importanza: la committenza (anche se non sappiamo esattamente quanto essa abbia potuto influenzare la presumibile presenza dello stesso artista nei due cantieri detti). Vale la pena in ogni caso segnalare e precisare meglio questo aspetto. In palazzo Adorno
Palazzo Adorno, Santa Croce e frammenti
Tre casi di
in apertura di pagina, foto 2, particolare dell’altare della vecchia parrocchiale di Arnesano, ritratto al centro nella foto 1
sulla porta di accesso alla scala nobile si vede uno stemma partito scolpito nella cui parte sinistra è il vessillo araldico dei Loffredo, a destra quello dei De Capua. Questo stemma in particolare fa riferimento al matrimonio di Francesco, primogenito di Ferrante Loffredo (a giudicare dagli altri stemmi del palazzo uno dei proprietari/committenti dell'edificio), con Lucrezia de Capua figlia di Vincenzo, Duca di Termoli, e di Maria de Capua, figlia di Ferrante de Capua e Antonicca del Balzo. La chiesa di Carpignano si trova ancora oggi nell'arcidiocesi di Otranto di cui in quegli anni era titolare Mons. Pietro Antonio de Capua (sulla volta di copertura dell'edificio e non solo compare il suo stemma infatti). Questi era lo zio di Lucrezia de Capua, sorella a sua volta, dell'Arcivescovo di Napoli, Annibale de Capua che fece costruire il datato (1579) portale laterale della stessa chiesa di Carpignano. *** La storiografia quale autore (in un senso tutto da precisare) di palazzo Adorno ha indicato uno dei maggiori artisti del così detto Rinascimento pugliese ovvero il leccese Gabriele Riccardo (notizie dal 1524 al 1572), scultore e architetto. Lungi dal lanciarsi in una sorta di psicanalisi dell'attribuzione a G. Riccardo, il nome di quest'ultimo per il caso della residenza degli Adorno, potrebbe essere scaturito dal fatto che tale arti-
sta, indicato per tradizione letteraria già come il progettista della chiesa celestina di Santa Croce (la costruzione di tale tempio avvenne in un arco temporale durante il quale fu innalzato lo stesso palazzo distante dal cantiere dell'edificio religioso solo poche decine di metri) sarebbe stato ritenuto anche l'esecutore materiale delle sculture sulla facciata principale del tempio dove però, in particolare, compare la data 1582, quando cioè G. Riccardo era già morto (un atto notarile lo segnala come “quondam”, ovvero defunto, già nel 1577). Oltre a quest'ultimo determinante dato cronologico bisognerebbe ricordare due altri aspetti tanto singolari quanto importanti: 1) ammesso che G. Riccardo sia il progettista di Santa Croce, come ricordato da G. C. Infantino nel 1634 nella sua opera dal titolo “Lecce Sacra”, non è detto a priori che egli ne abbia eseguito anche l'apparato scultoreo (probabilmente del noto maestro leccese potrebbero essere solo alcuni dei semicapitelli sulle semicolonne addossate alle pareti perimetrali delle navate destra e sinistra) che, invece, cosa non rara, potrebbe essere stato realizzato da altri e in tempi diversi; 2) il confronto stilistico fra le opere certe di G. Riccardo (“autografe” come le quattro colonne nella cattedrale di Otranto e documentate nel senso di “ricordate” dalle fonti letterarie più o meno coeve come “eseguite dal maestro leccese”) esclude che questi possa essere stato l'autore materiale, nel primo ordine di Santa Croce, sia del fregio con decorazioni scolpite recante l'anno in cifre romane “1582” sia dei mensoloni a figure; estranei a G. Riccardo sembrerebbero pure i due capitelli delle colonne immediatamente a destra e sinistra del rosone nonchè quest'ultimo ovvero le uniche parti cinquecentesche reimpiegate da Cesare Penna quando nel 1646 riprogettò la parte superiore della facciata principale della chiesa celestina. Per le stesse ragioni appena dette, non possiamo parlare della mano di G. Riccardo neppure nel caso degli elementi scultorei presenti nei quattro edifici elencati inizialmente per i quali non esistono elementi tali da far supporre neanche un rapporto di derivazione diretta - un disegno di partenza ad esempio - dal celebre maestro leccese. A proposito della chiesa di Santa Croce andrebbe inoltre ricordato che, presumibilmente già a partire dal 1539, oltre al tempio si costruirono in prima battuta forse solo due lati del chiostro ovvero quello addossato per tutta la sua lunghezza al muro perimetrale sinistro della chiesa (su di esso si apre pure la porta laterale del transetto sinistro dell'edifico religioso) e l'altro, ortogonale al primo detto, che affiancava le mura urbiche a ridosso delle quali sorgeva il complesso monastico; l'ingresso principale al monastero, sulla base di quanto rilevabile ancora oggi, potrebbe essere stato collocato, nella sua versione cinquecentesca, immediatamente attaccato alla facciata principale della chiesa, ovvero sul lato destro guardando il prospetto pure principale del convento; l'attuale accesso centrale è
L’arte di costruire la città della domenica n°39 - 27 luglio 2014 - anno 2 n.0
di architettura del Rinascimento leccese
studio di Fabio A. Grasso
frutto, invece, come noto, della riprogettazione seicentesca. *** Altro intervento edilizio assegnato senza prove o indizi validi a G. Riccardo dalla storiografia è l'abside della Matrice di Minervino (Lecce) le cui sculture potrebbero essere riferibili (per via stilistica) invece ad altro artefice vicino alla famiglia dei Pugliese. Estraneo al maestro leccese pure l'antico fonte battesimale della cattedrale idruntina oggi custodito nel museo diocesano. Andrebbe, per completezza aggiunto a quanto detto, che la vicinanza stilistica fra gli elementi scultorei dei quattro casi elencati inizialmente è maggiore che non quella rilevabile fra gli stessi e quanto di analogo è nel fregio del primo ordine di Santa Croce (foto 2, 3, 4, 5, 6 qui, in particolare, al centro è raffigurato uno dei peducci della sala in palazzo Adorno e a destra e sinistra due volti presenti nel fregio del primo ordine della chiesa celestina). Questa situazione potrebbe anche spiegarsi con il fatto che i primi sono sostanzialmente per la maggior parte coevi e precedono, in quanto alla realizzazione, i secondi di almeno quattordici anni. D'altro canto, però, fra il 1551 (altare di Arnesano) e palazzo Adorno (1567-68) passano al più diciassette anni. Per chiarire quest'ultimo aspetto attributivo e cioè se si tratta, per il caso delle sculture del fregio del primo ordine di Santa Croce (1582), dello stesso artista che quattordici anni prima circa aveva scolpito quanto segnalato nei casi di studio (palazzo Adorno, Carpignano, etc.) sarebbero evidentemente necessarie ulteriori prove. Chi potrebbe, allora, essere l'autore delle sculture collocate nei quattro edifici ricordati all'inizio di questa analisi? Un aiuto in tale senso verrebbe dalla citata chiesa di Carpignano dove, nella parte inferiore sinistra della facciata principale è leggibile (seppure con difficoltà) una incisione che possiamo trascrivere in questo modo: M (FR)AN(G oppure Z...) I (...) DE LAUREN (…). Quello che appare più certo sembra essere il cognome “DE LAUREN...”, probabile variante o forma originaria del cognome “RENZO”. Si segnala a questo proposito che in un noto atto notarile, redatto dal notaio B. Bove l'8 febbraio 1569 e relativo alla costruzione della chiesa maggiore di Copertino, fra gli artefici viene indicato “mastro Giovan Francesco Renzo” figlio del defunto Marco Antonio Renzo. A questa famiglia apparterrebbero molti fra gli “artefici” più attivi della seconda metà del Cinquecento locale. Essi li troviamo infatti ampiamente segnalati anche nella ricostruzione del castello di Lecce. Andrebbe in ogni caso sottolineato ulteriormente che qualora il nome “De Lauren...” si riferisca al costruttore della fase iniziale della chiesa di Carpignano, non è detto che lo stesso ne sia stato anche il progettista oppure l'esecutore di alcune sue decorazioni. Più certo, invece, è che le sculture rilevate nei quattro casi di cui ci occupiamo, a cominciare da quelle di palazzo Adorno, oltre a non rilevare assonanza alcuna con le sculture di G. Riccardo non sembrano neanche avere somiglianza specifica con quelle presenti nei cantieri dove i meglio noti (quelli cioè il cui nome è associato ad una esecuzione scultorea specifica oggi ancora individuabile) dei Renzo operarono ovvero il già citato castello di Lecce e la chiesa madre di Copertino (la loro presenza è attestata dai pagamenti per la manodopera prestata come già accennato). Queste ultime maestranze (o qualcuno di loro in particolare) sarebbero state impiegate, inoltre, nella realizzazione dell'apparato scultoreo della monumentale Porta Napoli (datata 1548) a Lecce disegnata, come vuole tradizione letteraria pressoché coeva, dall'architetto, forse anch'egli nativo di Lecce e cittadino napoletano, G. G. dell'Achaya (1485 circa, 1569); basterebbe, a quest'ultimo proposito, confrontare il modo in cui è disegnata e scolpita la grande aquila bicipite imperiale che domina il frontone triangolare della porta urbica con gli analoghi motivi nel castello di Lecce oppure con quelli nella porta laterale destra della facciata principale della Matrice di Copertino. Abbiamo, pertanto, opere diverse progettate da architetti diversi (G. Riccardo e G. G dell'Achaya) ma realizzate dalle stesse maestranze e ciò o per una scelta specifica della committenza oppure in virtù, così come accade ancora oggi, di un appalto pubblico vinto di cui non ci sono giunti né documenti né notizie. Questo breve percorso analitico, lungi dall'essere concluso, solleva, inevitabilmente, molte domande. Ad una questione però sembrerebbe dare una maggiore chiarezza: sulla base di quanto oggi noto, nella costruzione del volto rinascimentale di Terra d'Otranto, sembra si possa dire che la famiglia dei Renzo ebbe con G. Riccardo (e non solo) un ruolo che non può definirsi né ancillare né privilegiato.
Foto 3, I peducci nella sagrestia della chiesa madre di Campi Salentina
Foto 4, particolare di un altare della chiesa della Madonna della Grazia a Carpignano
Foto 5, Peducci presenti in due ambienti (atrio di accesso e la stanza attualmente del “Giudice di pace”) di palazzo Adorno a Lecce
È spagine
Mietiamo le nuvole
L’evento
della domenica n°39 - 27 luglio 2014 - anno 2 n.0
copertina
Arte, cultura, musica all’Orto dei Tu’rat dal 31 luglio al 10 agosto
il workshop sull’abitare sostenibile, “Fine Vita Mai” ad aprire l’edizione 2014 di Mietiamo nuvole arte, cultura, musica all’Orto dei Tu’rat rassegna che avrà luogo dal 31 luglio al 10 agosto nelle campagne delle mezzelune fertili a Ugento, sulla strada provinciale 290 Felline Torre San Giovanni. Il workshop “Fine vita mai” - che avrà luogo da giovedì 31 luglio a domenica 3 agosto - si approccia al concetto che qualsiasi materiale, giunto in un determinato periodo della propria esistenza possa avere una seconda vita. Il laboratorio fornirà strumenti utili a comprendere nuovi materiali per la realizzazione di una cassaforte termica; sviluppare un'idea anche dalla sola contemplazione della realtà circostante; decodificare le innumerevoli possibilità che la natura offre; avviare e gestire nuovi progetti. L’appuntamento per i giorni di giovedì, venerdì è sabato è dalle 9.00 alle 12.00 per proseguire, dopo la pausa pranzo, dalle 15.00 alle 18.00. Domenica 3 agosto giornata conclusiva del workshop dalle 9.00 alle 12.00. Venerdì 1 agosto, dalle 20.30, la prima serata delle tre dedicate alla lettura e alla buona cucina. Si potrà cenare con gli autori, ascoltare la lettura di alcuni brani del libro proposto e, a fine serata, avere in dono una copia del libro presentato per continuarne la lettura. Ad aprire il ciclo di incontri Morso d’amore di Luigi Chiriatti, edito da Kurumuny, un viaggio nel tarantismo salentino. Un percorso al confine tra ricerca antropologica e narrazione autobiografica che raccoglie ricordi e interviste su luoghi ed episodi della Taranta, talvolta vissuti in prima persona. Per la cena verranno proposti ai commensali piatti della tradizione mediterranea.* Sabato 2 agosto, dalle 20.30, nuova cena con l’autore. Protagonista Alberto Colangiulo, con il Il tesoro di Sant'Ippazio, Lupo Editore. Un esordio singolare per Colangiulo che racconta tra finzione e verità una storia intricata e misteriosa attorno ad un delitto che nasconde un mondo sommerso di riti e tradizioni. Scritto con uno stile rigoroso il noir pagina dopo pagina tiene il lettore senza fiato sino alla conclusione della storia che non è per nulla scontata, ma anzi ricca di colpi di scena ai quali gli stessi protagonisti - come il maresciallo Gerardi - assistono attoniti. Anche in questa serata verranno proposti ai commensali piatti della tradizione mediterranea.* Domenica 3 agosto, dalle 22.00, una serata di musica con una dancehall con Kooloometoo sound bwoy, reggae music e hip hop con Lusandru kooloometooDj, Fabio kooloometoo e Lu Rudy. Lunedì 4 agosto, alle 21.00, la proiezione del documentario Terra Nera di Simone Ciani e Danilo Licciardello. Canada, ottobre 2012: i membri dell'Athabasca Chipewyan First Nation cercano di contrastare l'avanzata dello sfruttamento delle sabbie bituminose nei loro territori tradizionali. Repubblica del Congo, maggio 2013: gli abitanti della regione del Kouilou si trovano a subire il progetto di sfruttamento delle sabbie bituminose sul bacino del fiume Congo da parte della multinazionale italiana Eni. La multinazionale italiana ha infatti avviato un programma per la ricerca e l‘estrazione di sabbie bituminose dalla cui lavorazione ricaverà petrolio. "Terra Nera" è viaggio tra Canada e Congo tra i custodi delle ultime grandi foreste, gli Indiani d’America e i nativi Congolesi, due popoli lontani migliaia di chilometri ma uniti da una lotta per la sopravvivenza che è anche la nostra. Dalle 22.00, Desilenziazioni, “I don't know what will happen " cioè "non so cosa succederà ": di Don Loopis (chitarra elettrica) pseudonimo di Donatello Pisanello che presenta un repertorio di improvvisazioni eseguite dal vivo con l'ausilio della tecnica del Live Looping, risultato di uno studio sulle allucinazioni auditive. Martedì 5 agosto, alle 20.30, la cena con autore è con Flavia Giordano che presenta La Puglia che mangia differente edito da Union Camere Puglia, un ricettario polifonico, il risultato del lavoro corale di 48 chef e
foodblogger pugliesi che, coordinati da cucinaMancina, hanno proposto ricette creative ricombinando i prodotti tipici pugliesi e rivisitato i piatti della tradizione pugliese per il gusto di chi mangia differente. Nella serata saranno proposti alcuni piatti “raccontati” nel libro.* Giovedì 6 agosto, dalle 21.30, la quarta edizione di Parole Sante curata per il Fondo Verri da Piero Rapanà e Maurizio Nocera, interverrà il poeta friulano Raffaele Lazzara. Quest’anno avrà il seguente sottotitolo: “Curare un'ossessione - L'Estasi della lingua: Federico Tavan-Antonio Verri”. Ossessione Estasi Lingua: tre verbi fondamentali e impossibili, che non si possono disgiungere nelle concatenazioni lievitanti di Federico Tavan e Antonio Verri. L'ossessione di incuneare la parola nelle vene della roccia per Tavan e l'estasi dei versi di Verri. Due poeti in estasi (exstatis) ma anche est-atici visto le loro provenienze linguistiche: Caprarica di Lecce ed Andreis. Parole Sante vuole ricordare con forza Federico Tavan e tracciare un nuova via che partendo da Antonio Verri ristabilisca un imprevedibile tracciato tra il Friuli ed il Salento. Venerdì 7 agosto, il primo dei tre appuntamenti di S.o.s.teniamo. Realtà virtuali a confronto, dedicati al vivere sostenibile con incontri e confronti tra varie realtà che operano sul territorio e che proporranno, attraverso una sorta di Fiera del solidale, i loro prodotti e le loro iniziative: nel corso delle tre serate, prenotandosi, tutti potranno trovare uno spazio per esporre e mettere in vendita i propri prodotti, per creare insieme un vero e proprio mercato alternativo favorendo la condivisione di informazioni sulle realtà “virtuali”. Dalle 20.00, “S.o.s.teniamo” si confronterà sul tema: Mobilità sostenibile e turismo interverranno: Salento bici tour, RuotAndo, Abitare i Padul” un progetto di Lua (Laboratorio Urbano Aperto), le associazioni Laboratorio Mobilità, Terrikate, Millepiedi, Leb, Labterritoriale. in serata il concerto di Ciccio Zabini (chitarra e voce) Sabato 8 agosto, dalle 20.00, il tema della seconda serata di “S.o.s. teniamo” è Produzione e consumo con gli interventi di Agricola Piccapane, Cooperativa sociale Terra rossa, Urupia, Spazi Popolari, GAS Lecce, Piazza Baratto, in serata concerto di Luca Colella voce, Ambrogio De Nicola chitarra, Giuseppe Ferilli chitarra. Domenica 9 agosto, dalle 20.00 ultima serata di “S.o.s.teniamo” sul tema Economia e comunicazione intervengono Roberto Polo, Contrada Lusci, Piazza Baratto, Salento Km0, Meditfilm, Progetto Naturaldurante in serata “Alla Luna” concerto di Mauro Tre piano solo. Dalle 22.00 la dancehall di Blackstar Line, reggae, roots and dub music. Un sound system che promuove “vibrazione positiva” in cui la linea di basso fa da padrona portando idee, valori, sentimenti, sogni e speranze di Liberazione che oltre ad intrattenere, coltivano l’anima, muovendo le coscienze e l’intelletto.
*Le cene con l’autore Il costo complessivo di ogni singola cena è di €25 (cena+libro) E’ indispensabile prenotarsi: 328.2260629 (Mino) 328.7311354 (Piero), avvisare di eventuali allergie o intolleranze alimentari. Come arrivare ai Tu’rat
Per chi arriva dalla Superstrada Lecce - Gallipoli - Leuca: uscita Melissano/Felline, seguire per Felline, alla rotonda seguire per Felline, dopo circa 1 Km, in fondo svoltare a sinistra, superato il rifornimento di benzina, alla terza stradina, svoltare a destra costeggiate la strada tenendo la destra. Per chi arriva dalla Litoranea Gallipoli - Torre san Giovanni: in località Posto Rosso, svoltare in Via Grazia Deledda, seguire a sinistra per Via Ignazio Silone, svoltare a destra sulla Strada Provinciale 266 per circa 4,1 Km, incontrando un incrocio seguire dritto per Felline, subito dopo una chiesetta diroccata, svoltare la prima a destra, costeggiate la stradina tenendo sempre la sinistra. Per chi arriva dalla Litoranea Leuca - Torre San Giovanni (SP 91): giunti alla rotonda seguire per Felline, prima di giungere a Felline percorsi circa 3,8 Km svoltare a sinistra. Per chi arriva da Racale - Ugento: giunti alla rotonda, svoltare in direzione Felline, dopo circa 1 Km, in fondo svoltare a sinistra, superato il rifornimento di benzina, alla terza stradina, svoltare a destra costeggiate la strada tenendo la destra.