Spagine della domenica 40 0

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spagine Spagine della domenica n°40 - 24 agosto 2014 - anno 2 n.0 Periodico culturale dell’Associazione Fondo Verri Ad illustrare Abito salame di Cinzia Ruggeri

Un omaggio alla scrittura infinita di F.S. Dòdaro e A. L. Verri


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spagine

’agosto si può tutto, è il carnevale estivo, e perciò ogni scherzo vale. Accade così che due grandi protagonisti della politica italiana dell’Italia repubblicana della seconda metà del Novecento, Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti, leader l’uno della Democrazia Cristiana, e l’altro del Partito Comunista Italiano, si ritrovino, solo per una fortuita coincidenza, il sessantennio della morte per l’uno, il cinquantennio per l’altro, accomunati in un unico destino. Sentite sentite: quello delle “larghe intese”. Larghe e strette, in verità, se addirittura Giuseppe Fioroni, postdemocristiano doc, ha proposto di dedicare la Festa de “L’Unità”, il giornale fondato da Gramsci e di recente chiuso per carenza di lettori, proprio a De Gasperi. «Come precursori delle larghe intese non è difficile immaginare queste due figure, anche se con la storia non bisogna giocare troppo e i due stettero al governo insieme soltanto fino al 1947» ha scritto Mario Ajello sul “Messaggero” del 19 agosto. Ajello non nega che i due fossero «non avversari ma nemici» e che avessero «visioni contrapposte», ma quando si trattò di fare le riforme istituzionali collaborarono e la Costituzione ne è la prova. Tanto basta – a suo parere – per considerarli precursori dell’oggi. Più o meno dello stesso parere si sono detti in tanti in questa fase di spaesamento generale. Penso che Cesare e Pompeo avrebbero più diritto di essere loro i precursori delle larghe intese; e magari qualche vanto, in questo senso, lo potrebbero rivendicare Antonio e Ottaviano. Gran brutta tentazione quella di tirar fuori i personaggi dal loro tempo per grazioso servigio a personaggi del presente. De Gasperi e Togliatti non ebbero mai occasione di fare delle intese, né larghe né strette. E’ vero, insieme stettero al governo nell’immediato dopoguerra, l’uno Presidente del Consiglio, l’altro Ministro di Giustizia, ma si trattò di una situazione “non scelta”, in qualche modo “subita”. In campo internazionale i vincitori della guerra (Americani, Inglesi, Francesi e Russi) decisero insieme come spartirsi il mondo. Se la intesero. In Italia fu lo stesso. Si era nello spirito del Cln (Comitato di liberazione nazionale) e l’intesa era nell’ordine delle cose. Non fu una scelta di stare con chi. C’era stata la guerra di liberazione, democristiani e comunisti, insieme con socialisti, liberali e azionisti l’avevano vinta ed era perfettamente normale che ora governassero insieme fino al mutamento della situazione nazionale e internazionale. E, infatti, nel 1947, De Gasperi, dopo un viaggio negli Stati Uniti d’America, dove si incontrò col Presidente Truman, scaricò i comunisti dal governo. Il quadro internazionale era cambiato; ergo doveva cambiare anche il quadro nazionale. Iniziava nel mondo la guerra fredda. Così in Italia, anche se ogni tanto, da noi e non solo da noi, il clima politico si arroventava.

Quali intese? Anche la Costituzione fu elaborata nel quadro ciellenistico e fu un documento frutto di compromessi, in cui – questo bisogna pur dirlo – tutti, De Gasperi e Togliatti in primis, si rivelarono abili politici, disponibili ad incontrarsi più che a scontrarsi; e motivi ce n’erano tanti. Si pensi all’inserimento del Concordato con la Santa Sede nella Costituzione accettato da Togliatti. Seguì il 1948, quando lo scontro tra i due schieramenti, il democristiano e il popolare, raggiunse livelli altissimi. Togliatti, a cui bruciava l’estromissione dal governo, giurò che si sarebbe fatto chiodare le scarpe per cacciare via De Gasperi a calci in culo. Nel decennio intercorso, 19541964, tra la morte dell’uno e quella dell’altro, il dibattito politico fu essenzialmente scontro, a volte anche fisico, coi comunisti che facevano fatica ad accettare l’idea che la resistenza, carburante ideologico di cui si sentivano esclusivi gestori, fosse finita. Ora, nel vuoto politico che si è determinato con la crisi di rappresentanza, postdemocristiani e postcomunisti sono insieme in un unico partito, il Pd, a capo del quale c’è un postdemocristiano, Matteo Renzi, che non ha niente a che fare, né di lontano né di vicino né con quello che fu il partito di De Gasperi, né con quello che fu il partito di Togliatti. E’ un’altra cosa. A dirla tutta, l’ex sindaco di Firenze è più vicino ad Enrico Berlinguer, di cui quest’anno è ricorso il trentesimo della morte. Di intese, infatti, si potrebbe parlare – e a ragione – tra un altro democristiano, Aldo Moro, ed un altro comunista, Enrico Berlinguer, il famoso compromesso storico. Berlinguer si convinse di questa strada dopo la fine tragica di Allende in Cile, il suo strappo da Mosca e la “corte” che Moro faceva al Partito Comunista Italiano. Progetto naufragato, come tutti sappiamo, col rapimento e l’uccisione di Moro e con una sonora sconfitta elettorale dei comunisti nel 1979. Ma intese fra i due uomini politici indiscutibilmente ci furono, tanto da giustificare “L’Unità” in tasca a Moro nel monumento magliese. Parlare oggi di intese tra De Gasperi e Togliatti, oltre a fare una forzatura alla storia, è un mancare di rispetto a due capi che si combatterono nella consapevolezza che la visione della vita e del governo dell’uno era alternativa a quella dell’altro. Sì, è vero, De Gasperi riteneva che la Dc era un partito di centro che guardava a sinistra, ma non per improbabili convergenze, bensì per capire i bisogni sempre crescenti e nuovi della società. Ecco perché si è stupita la figlia di De Gasperi, Maria Romana, alla proposta di dedicare al padre la Festa de L’Unità. «In verità – ha detto in un’intervista – mi sembra una cosa strana. Cosa vuol dire “L’Unità” oggi? Unità di che cosa? E non mi riferisco solo al giornale, alla festa». Una lezione: ricordiamoli tutti questi uomini politici della fase più eroica della nostra democrazia, ma unicuique suum!

Alcide Amedeo Francesco De Gasperi, in un disegno, nacque a Pieve Tesino,il 3 aprile 1881 (all’epoca il Trentino ancora faceva parte dell'Impero austro-ungarico) muore a Borgo Valsugana, il 19 agosto 1954. Nel 1919 aderì al Partito Popolare Italiano promosso da don Luigi Sturzo; solo nel 1921 venne eletto deputato a Roma, in quanto il Trentino fino a quell'epoca era stato sottoposto a regime commissariale.Nel 1945 fu nominato presidente del Consiglio dei Ministri, l'ultimo del Regno d'Italia. Durante tale governo fu proclamata la Repubblica e perciò fu anche il primo capo di governo dell'Italia repubblicana...

De Gas

anniv


ella domenica n°40 - 24 agosto 2014 - anno 2 n.0

speri-Togliatti,

versari e chiacchiere

di Gigi Montonato

Palmiro Michele Nicola Togliatti gioca a scacchi. Cofondatore con Antonio Gramsci del Partito Comunista Italiano ne fu dal 1927 fino alla morte, segretario e capo indiscusso. Nacque a Genova, da genitori piemontesi, il 26 marzo 1893, morì a Jalta, in Unione Sovietica il 21 agosto 1964. Dal 1944 al 1945 ricoprì la carica di vice Presidente del Consiglio e dal 1945 al 1946 quella di Ministro di Grazia e Giustizia nei governi che ressero l'Italia dopo la caduta del fascismo. Membro dell'Assemblea Costituente, dopo le elezioni politiche del 1948 guidò il partito all'opposizione rispetto ai vari governi che si succedettero sotto la guida della Democrazia Cristiana.


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Contemporanea

ella domenica n°40 - 24 agosto 2014 - anno 2 n.0

Nessuno tocchi Caino

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a moderna società del benessere e dell’ipersviluppo cede talvolta a desolanti logiche di rappresaglia. L’arcaica legge del taglione è operante, più che mai, non solo nei paesi dittatoriali, ma anche in quelli democratici. Paesi, senz’altro, sviluppati, evoluti, emancipati, ma che non concedono scappatoie, non ammettono ragioni al cospetto della cosiddetta ragion di Stato. Stati potentissimi, tecnologici, che però difettano di comprensione e d’umana pietà. Del resto, la misericordia è merce rara, che non si acquista né si vende sulle opulente bancarelle del mercato globale. La miserabile pena di morte continua a sporcare le coscienze: dall’Africa all’Iran teocratica, dalla Cina capitalistica e postcomunista all’America, il boia è sempre in piena attività. Rattrista che il Paese a stelle e strisce continui ferinamente ad avvalersi d’una pratica assurda, che non è un deterrente contro la criminalità e contraddice semplici dettami di buon senso. Come può una terra di antiche tradizioni comportarsi da Caino nei confronti dei suoi cittadini, fossero anche pericolosi assassini? Comprendiamo che l’utilizzo della massima pena giovi pragmaticamente a qualche politico minore per edificare discutibili carriere. Ciò che ci sconforta, però, è l’apatia, l’inerzia del presidente Obama, che tra l’altro è premio Nobel per la pace, e dovrebbe avere lo scrupolo e la premura morale di battersi strenuamente contro l’immonda pena. Ma a cosa serve la vendetta se non a scavare profondissimi e insanabili solchi d’incomprensione? A cosa serve se non a tacitare falsamente il desiderio di sangue di certuni e ad aprire voragini d’odio? A fine luglio, per l’ennesima volta, una notizia terribile è giunta da Oltreoceano. L’esecuzione, in Arizona, di Joseph Rudolph Wood, che ne 1989 aveva ucciso l’ex fidanzata Debra Dietz e il padre di lei. Emblematica testimonianza di quanto la pena di morte sia disumana ed empia. E non tanto per il metodo imperfetto di iniezione letale, che con spasimi strazianti ha prolungato l’agonia dell’uomo. La barbara pena capitale è meschina nella sua essenza. Un Paese liberale, culla di civiltà, come l’America, non può ricorrere ad una pratica sanguinaria, ad un ferro vecchio medievale, che fa scempio dell’umano sentire. Che fa stame dell’individuo. Che è inessenziale e controproducente sul piano “educativo”, perché non redime il condannato, anzi lo annulla. Che è anticosti-

di Marcello Buttazzo

tuzionale, dal momento che l’ottavo emendamento della Costituzione americana vieta che ai condannati siano inferte punizioni crudeli e inumane. Joseph Wood, prima di esalare l’ultimo respiro, è stato in agonia per circa 2 ore. È davvero scandaloso che l’America, paladina dei diritti, delle sante guerre umanitarie, s’incancrenisca utilizzando strumenti di morte efferati, che nulla hanno a che vedere con il rispetto doveroso di ognuno e della dignità. Avviliscono le parole della governatrice repubblicana dell’Arizona Jan Brewer, che ha dichiarato che “il detenuto è morto nel rispetto della legge” e che “è stata fatta giustizia”. La governatrice dovrebbe rammentare che, nel 2007, all’Onu su sollecitazione dell’Italia (soprattutto di Nessuno tocchi Caino, di Amnesty International, della Comunità di Sant’Egidio, e dei politici nostrani) è stata approvata una mo-

Robert Mapplethorpe - Javier, 1985

ratoria non vincolante contro la pena di morte, che non ha solo mero valore simbolico e persuasivo. Ma qualcosa di più. Dal momento che, in nome d’una superiore etica della responsabilità, non si può trattare la vita come se non fosse sacra e inviolabile. L’esistenza di chi conduce relazioni, sia esso un integerrimo cittadino o un assassino, merita tutele, salvaguardie, rispetto. La governatrice dovrebbe ricordare che la criminale pena è la massima e più tribale violazione della Carta dei diritti umani. E, inoltre, non dimenticare mai che l’obsoleta legge del taglione non può essere assimilata alla vera giustizia. Neppure quando si pretende di esportare democrazia, pace e libertà, con la forza dirompente, bruta, virulenta e distruttiva, delle bombe deflagranti e delle armi più o meno intelligenti.


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Filosofi

della domenica n°40 - 24 agosto 2014 - anno 2 n.0

Per Edgar Morin l’incontro con filosofi, musicisti e scrittori è sempre innestato in una esperienza individuale, in una necessità prima di tutto esistenziale....

Mai solo

di Sebastiano Leotta

l quasi centenario Edgar Morin non ha resistito a scattarsi un selfie con i filosofi, ma non solo, frequentati nel corso della sua lunghissima vita di studioso e testimone del Novecento. Si tratta di un elenco ecumenico, da Eraclito a Rousseau, da Pascal a Marx, da Freud a Ivan Illich, inclusi Beethoven e Dostoevskij, ma anche scienziati come Bohr e von Neumann, i surrealisti e Heidegger. Certo si tratta di figure importanti (ci sono anche un paio di fondatori di religioni come Buddha e Gesù), ma quello che potrebbe interessarci è che I miei filosofi (ed. or. Mes philosophes, Paris 2011) traduce una caratteristica del pensatore Morin, e cioè che l’incontro con filosofi, musicisti e scrittori è sempre innestato in una esperienza individuale, in una necessità prima di tutto esistenziale. Nulla di più vicino all’aforisma di Nietzsche, dunque: "Sono i nostri bisogni che interpretano il mondo". Lo stesso Morin racconterà in un altro testo autobiografico – Mes démons del 1994 - che uno dei suoi saggi più noti e innovativi, L’homme et la mort, aveva come genesi pratica quella sorta di Hiroshima interiore che fu la morte della madre quando aveva nove anni e quella, in seguito, di alcuni amici durante la Resistenza in Francia. Morin riesce a passare dall’illuminismo al romanticismo, dal marxismo alla cibernetica a seconda del bisogno personale di comprendere, così come può partire dall’ebreo Proust e finire all’antisemita Céline, e può essere nel medesimo tempo marxista e gollista, iscritto al partito comunista francese negli anni Cinquanta ma anche autore di una delle più profonde critiche mai scritte sul carattere totalitario del comunismo sovietico (L’Autocritique è del 1959). Nella biblioteca del pensatore della complessità ci stanno un po’ tutti e c’è posto per tutti. Alla fine della lettura di ogni capitolo de I miei filosofi Morin sembra di volta in volta completamente assorbito dal suo autore (diciannove capitoli per altrettanti nomi). Leggiamo le pagine su Eraclito e scopriamo un Morin eracliteo, leggiamo quelle su Pascal e troviamo un Morin pascaliano… e così via. Ma, in definitiva, amare scrittori e pensatori a volte contrastanti non è forse il destino di ogni lettore che si abbandona alla vita e al fascino del suo ‘oggetto’? L’antidogmatico Morin vive di inclusività, cerca il bene dove può trovarlo, anche in autori apparentemente distanti ma ripensati attraverso le nozioni cardine della sua filosofia, la complessità e la contraddizione. Senza dimenticare che stiamo scrivendo di un intellettuale la cui caratteristica è l’erranza del pensiero, la curiosità infinita che lo fa assomigliare all’immenso Montaigne per il saggiare territori diversi, prenderne il meglio e tralasciare quello che non serve. La pluralità di ispirazioni del pensiero di Morin si spiega, innanzitutto, biograficamente. L’ebreo sefardita Morin, il post-marrano Morin, nato Edgar Nahoum nella greco-turca Salonicco e poi emigrato in Francia, che non ha ricevuto nessuna verità o tradizione né intellettuale né nazionale, converte la sua mancanza di radici e di eredità culturali univoche in una formazione continua, in una Bildung onnivora che si alimenta proprio

Edgar Morin in una fotografia di Hervè Ternisien

dell’assenza di una verità data o trasmessa. "Non ho ricevuto alcuna verità religiosa dalla mia famiglia, molto laicizzata. La sola religione per mio padre, che aveva cinque fratelli e sorelle, era quella della solidarietà familiare che è sparita con la mia generazione di figli unici. Di fatto, non ho potuto disporre di un sistema immunologico mentale che mi permettesse di rifiutare idee non conformi all’eredità culturale, perché questa non esisteva affatto. Ciò mi ha spinto a ricercare da solo le mie verità nelle fonti più diverse". Dopo I miei demoni, La mia sinistra, La mia Parigi e, infine, I miei filosofi, il sociologo francese si declina al possessivo e il suo passato, intellettuale e personale, diventa, in questi ultimi scritti, quasi un’antologia privata dove l’istanza personale - coltivare le antitesi contro ogni unilateralità diventa sigillo di un pensiero filosofico che si nutre di opposizioni e complessità. Complessità che, più che essere teoria scientifica, è una modalità, un metodo per indagare la realtà nella totalità delle sue relazioni; del resto aveva scritto già Aristotele che il tutto è maggiore delle parti. Gli spiriti del pensiero evocati da Morin sono una legione e questo ci pone il problema filosofico dell’influenza. È come se Morin in questo libretto volesse dirci che chi ha la pretesa di pensare da solo a solo è un impostore; l’unico modo di pensare è dialogico, e consiste nel sapersi rivolgere alla ricchezza della tradizione filosofica come a un presente. Morin riesce a farlo con un passo mimetico e plastico, quasi un’erotica dell’assimilazione in atto. Hegel, uno degli autori del sociologo francese, scriveva che di fronte a quella peculiare tradizione che è il pensiero filosofico noi ereditiamo e allo stesso tempo facciamo fruttare quell’eredità. C’è qualcosa di affascinante in Morin: dopo aver esaltato l’ordine, la ragione, passa ad esaltare il disordine e l’aleatorietà, dopo aver esaltato la razionalità conclude nell’approdo mistico, ma certo un misticismo razionale (alla Hegel, Spinoza, Eckart o Lao Tzu). La complessità, forse una reinterpretazione dell’assoluto hegeliano, nel pensiero di Morin accoglie il movimento e la stasi, il flusso e la quiete; l’anthropos porta con sé il bios, la physis il cosmos. Scienza del cosmo, scienza della vita e società umana si tengono assieme. Ed ecco allora la predilezione per quei pensatori dove gli opposti sono riconosciuti come necessari: Eraclito, Hegel, Pascal, il Tao, le scienze della complessità (la teoria dei sistemi, Prigogine, la cibernetica, la biologia). Mistero, ma un mistero alla luce della ratio, come testimonia anche la splendida citazione finale di San Juan de la Cruz. La conoscenza è progressiva e, quando arriva al limite, è indicibile. Scrive Morin: "Mi sono sentito incessantemente e intensamente partecipe alla vita, parte della vita, al tempo stesso in cui sentivo di far parte del cosmo e di partecipare alla sua avventura inaudita. Tutta questa avventura della conoscenza, ben lungi dal farmelo dissipare, mi ha permesso di riconoscere il profondo mistero che si cela nella condizione umana, nella vita, nell’universo, in tutto ciò che chiamiamo realtà". http://www.unipd.it/ilbo/content/ogni-pensiero-vive-nel-presente-la-mappa-del-pensiero-di-edgar-morin


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Premessa Nella definizione variegata di altra città prevale l’aspetto relativo al tema dell’esclusione sociale e, con enfasi multiculturale e multidisciplinare, si sostituisce a molti termini (periferia, aree interne, paese, Sud) e riguarda tutto quello che potrebbe essere individuato nei nuovi processi di rigenerazione dei tessuti territoriali, economici o sociali dentro e fuori i confini del territorio in metamorfosi, città e altra città come unica utopia. Parliamo, invece del concetto di città di passaggio come transizione storica del concetto di città come infrastruttura complessa, il concetto di città e di altra città si inseguono in maniera dialettica dentro e fuori il confine amministrativo dei luoghi, così Milano e le altre aree metropolitane si prestano ad essere laboratorio di riferimento ma anche di contrapposizione all’altra città di cui hanno bisogno vitale per una nuova soggettività politica. ***

Caro Sindaco, nei miei viaggi di paesologo e post-paesologo ho sempre immaginato un paese città dell’Utopia, dove la radicalità del pensiero concettuale sull’architettura e sul paesaggio potesse fornire un repertorio di idee sulla città possibile. Come mai nel ventennio perduto, l’ultimo per capirci, i sindaci hanno perso la loro città e il loro territorio?

Io ho la coscienza di essere un sindaco dimezzato, che continua a vivere nella città senza l’utopia dell’altra città.

Oggi siamo ad Aliano paese a suo temo di confino ed oggi di confine economico, ma l’amico Pasquale Persico, citerebbe Calvino e chiamerebbe Despina questo luogo, la città tra deserti culturali, che però ha la caratteristica di voler rompere i confini ed di voler elaborare un nuovo sillabo ed un nuovo lemmario per la città e l’altra città, per una politica europea dell’utopia per una civiltà plurale. Milano, come le altre aree super urbanizzate sono città in profondo e accelerato mutamento, i tempi e i modi del mutamento sociale ed economico di una città non corrispondono a quelli del mutamento dell’anima della città. Accanto al tentativo di disegnare i nuovi spazi urbani e dell’abitare, un’altra città domanda e pratica modelli auto-organizzativi inattesi fino a disegnare ipotesi incomplete di altra città, anche perché la città in programmazione non riesce a soddisfare la domanda di città (abitare) dei ceti sociali a basso o bassissimo reddito. Sarà possibile usare l’arte, l’utopia e la cultura per ricongiungere le diverse città?

Lei ci insegna che “la città è come un corpo disteso a croce sulla terra madre, a pancia all’aria, con gli occhi al cielo ed il capo ben protetto.” Ho visto e letto di lei come paesologo ed ho riconosciuto l’ampiezza e la E che nel caso dei suoi mille paesi e luoghi, dove ci si sveglia di buon matprofondità del concetto di altra città che sarebbe il miglior modo di essere tino e si respira mediterraneo interiore con tutte le sue fragilità,il sogno di una città, che cresce sugli alberi ed insieme agli alberi, è svanito e la città e vivere l’esperienza di sindaco. Noi sindaci non abbiamo capito fin in fondo la profondità della sua provo- non è né cosmica né sostenibile, non abbiamo saputo riconoscere il suo cazione culturale ben prima del ventennio perduto. Non abbiamo saputo pensiero e come non riconosciamo il pensiero sulle città moltiplicate e la “togliere la maschera al ventesimo secolo”. Non abbiamo saputo vedere Città del Parco di altri artisti e filosofi, esse hanno semi e piante che non che l’arte e la poesia sono come un vulcano o una mareggiata, annunciano sappiamo riconoscere, sono l’altra città che non sappiamo governare percon forza il cambiamento, la metamorfosi creativa non è stata interpretata ché come politici non sappiamo più scambiare idee con i cittadini della città liquida. e l’altra città, quella del cambiamento è rimasta senza sindaco.


Incontri

della domenica n°40 - 24 agosto 2014 - anno 2 n.0

Si conclude oggi ad Aliano, l’edizione 2014 del festival organizzato dallo scrittore e paesologo Franco Arminio

Intervista di Franco Arminio al Sindaco dell’altra città

Transizione

e città di passaggio

a cura di Pasquale Persico

Lei ed altri artisti ci avevate annunciato che “Gli alberi crescendo avrebbero elevato la città al cielo e il vento avrebbe cullato i sogni della città di passaggio” .Noi abbiamo avuto paura di salire sugli alberi, anzi abbiamo fatto di più, li abbiamo tagliati molto tempo fa per una dipendenza strutturale e culturale che non ci porterà da nessuna parte.

Le ipotesi esistenti annunciano che le metamorfosi urbane avvengono simultaneamente dall’interno della città e dall’esterno, con reti di dipendenza lunga e di ispirazione lunghissime. Ecco allora che una nuova città desiderata ed indesiderata vive come dualità dinamica dentro e fuori il concetto di area metropolitana, e di altra città ed il progetto in campo di area super urbanizzata dove si produrrà in maniera crescente il nuovo PIL del mondo con diversi gradi di disuguaglianza territoriale e sociale ha un approccio politico estremamente fragile ed ideologico. Le ha un pensiero antifragile?

il nuovo progetto politico. La convergenza tra città e altra città potrà esserci solo temporaneamente, come primo tempo di programmazione, ma i confini mobili della città metropolitana alimentano, con l’allargamento dei mercati , la nascita di nuove altre città, vicine o lontane, come nuovo campo di ricerca sulla città possibile.

Che speranza abbiamo di avere sindaci consapevole dell’altra città, come utopia necessaria e soggettività politica da creare?

Caro amico artista e poeta non abbiamo occhiali per vedere questa tua città dell’amicizia, delle erbe odorose, degli animali sognatori e dalla politica nuova, per l’altra Europa avresti dovuto avere il voto delle Vacche, degli alberi, delle montagne, e degli insetti, questi sì che saranno i protagonisti del mondo e dell’architettura del comportamento. Questa città verde, piena di Blue Economy, città disegnata dal ciclo delle L’altra città vive come contemporaneità da includere sia essa espressione acque, che cresce insieme ai venti, col tempo e con il sole, che riempie i di una ruralità dimenticata o di un degrado nascosto o non percepito ma in nostri pensieri d’amore, che s’infila nei rami e si nutre di essenze e costruirealtà l’altra città ha iniziato un percorso di ricerca nuovo (vedi alcune con- sce castelli di senso fino a vedere alberi senza età e ci fa crescere perché siderazioni di Pino Aprile e perfino nelle errate riconsiderazioni program- la città cresce è pur sempre presente come città del quarto paesaggio. matiche sulle aree interne). Ad Aliano può nascere un laboratorio Questa città di passaggio non è stata ancora riconosciuta ed il desiderio membrana di ricerca e sviluppo che rompa definitivamente i confini e vada del tempo veloce e dell’edonismo allo specchio ci ha addestrato a danze incontro al viaggio, con la stessa tensione di ricerca di Marco Polo o delle diverse da quelle che ti ho visto fare in compagnia della luna, di quella luna anguille, che a differenza del capitone, rifiutano di restare sedentari perchè crescente per le sue fertilità e di quella calante per le sue sottrazioni addisono alla ricerca dell’altrove (lo spazio dall’altro), non vogliono rivivere il zionanti ed invisibilmente espressive. passato, ma affrontano il viaggio per ritrovare il proprio futuro, anche con Franco, se mi consenti il tu, la tua città grande come un pianeta, intima come un paese, innamorata dei suoi colori desiderati ed indesiderata, che perdita di popolazione di appartenenza, come il caso delle anguille. La città di tutti è stata appena annunciata da Marc Augé nell’auditorium S. non ha paura delle ombre è solo presente nella mente e nei cuori di coloro Fedele di Milano come politica urbana e non urbana da conseguire con la che ti hanno conosciuto, un tesoro gioioso dell’altra città che noi sindaci consapevolezza che dentro il concetto di altra città è incluso il concetto di non abbiamo saputo riconoscere e saremo condannati alla diaspora incomcittà contemporanea da vivere con nuova cognitività della complessità e bente. della transizione. Una nuova comunalità ancora da definire ed ampliare per


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Segni&Disegni

della domenica n째40 - 24 agosto 2014 - anno 2 n.0

Una nuova collezione degli appuntazzi di Gianluca Costantini


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Musica

della domenica n°40 - 24 agosto 2014 - anno 2 n.0

L’esperienza dell’ascolto al “buio” proposta dall’edizione 2014 del Locomotive Jazz Festival

Elogio della musica La musica è pericolosa” (titola Nicola Piovani il suo libro), come la bellezza! Tutti hanno il diritto d’ascoltarla, senza prescrizioni o obblighi, per vivere bene insieme. L’unione è la vera ricchezza, non i soldi che invece dividono. La pochezza di questi tempi non ci deve far perdere l’amore dei nostri luoghi, fatti di semplicità e tenerezza. Non nutro amore/odio per la mia terra, questo strano sentimento avvertito in passato da qualcuno. Non mi importa degli altri, io non sono poeta, né pittore, musico, artista ecc. Io non sono nulla, ed è proprio in questo nulla che s’agita il mio mare, a sud del mondo. “Mondo soltanto adesso io ti guardo, nel tuo silenzio io mi perdo… e sono niente accanto a te” – recitava un vecchio motivo, popolare, di popoli vicini e lontani, poiché la musica unisce ciò che i soldi tendono a dividere. La musica del mondo, per grandi e piccini, come puro ascolto, scevra da immagini, suono che colpisce le anime deste, meraviglioso incanto. Dove il cuore non comanda ma felicita la mente, ruscello d’acqua forte, sinonimo d’Oriente. Ci hanno fatto chiudere gli occhi nella prima breve parte dei concerti del Locomotive Jazz Festival, tenutosi a Lecce nell’Anfiteatro Romano dall’1 al 4 agosto scorso. Una benda nera per coprire gli occhi posta sulle nostre sedie ci invitava a favorire l’udito. La scommessa era proprio quella di fare ascoltare, senza far vedere, percependo diversamente come i non vedenti. Quindi nella prima parte delle serate musicali il teatro era per noi buio, il palcoscenico completamente nero e una luce, ovviamente, illuminava i sensi: un suono forte per la sua struttura e per la sua tenuta costringeva ad essere ascoltato. Il pubblico aveva una soglia d’attenzione molto alta ed era stupito di quanto potesse essere attento a qualcosa che negava ogni tipo di presenza o visibilità; quello che succedeva passava solo attraverso il suo udito e non a quello della vista. Questo, è una cosa che ha colpito tutti, che in qualche modo ha funzionato, perché è un’esperienza di ascolto completamente nuova. Quindi, da questo punto di vista, la scommessa è riuscita in quanto la soglia di attenzione dei partecipanti era totale. Nella seconda e ampia parte degli spettacoli il festival ha offerto voci e musicisti di fama internazionale, tutti a occhi aperti… diciamo così. L’eccezionalità di questo evento, dunque, è dovuta a l’esperienza sopra accennata, oltre indubbiamente al fascino del Jazz e della manifestazione in sé, che migliora sempre. Quest’anno si è tenuta a Lecce per accompagnare la città nello sprint finale per l’aggiudicazione di Capitale della Cultura Europea 2019. Io non ho nessuna autorevolezza che mi sostiene se non quella di volere Lecce vincitrice. Mi sono messo in condizione di aver fede e di non aver niente da perdere, anzi fedele a patto che i lettori considerino degna la nostra città di tale elezione. Resta da vedere se alcuni si scandalizzano, a torto, oppure ci sono ragioni speciali al loro dissenso. Il secondo dossier che sarà presto presentato sarà comunque carico di lodevoli aspettative e potrà migliorare sotto tutti gli aspetti le condizioni del nostro territorio. La musica continuerà a commuoverci, passando attraverso i nostri corpi, che fin dalle albe lontane ci ammanta di forti abbracci. W la Cultura. W Lecce Capitale. di Antonio Zoretti


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“Da grande sarò un artista” l’installazione di Maurizio Muscettola negli spazi di Palazzo Vernazza a Lecce nell’ambito della Biennale del Salento 2014

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Arte

della domenica n°40 - 24 agosto 2014 - anno 2 n.0

L’unicità del fare...

ella torre si rifugia e si ritira il futuro artista, per deliberare (dall’etimo: togliere una cosa dalla bilancia dopo averla pesata); liberare quindi. Lontano dai reiterati profili che lo racchiudono sin dalla tenera età nella società delle immagini, avvicendato in un piccolo quadro. E pur da lì vorrà uscirà, infine, per realizzare il suo sogno: diventare artista; fuori dai condizionamenti della rappresentazione che la nostra epoca ingloba. Il merito di Maurizio è di sottrarsi a questa possibilità di comunicazione ed espressione, uscendo da questa sudditanza culturale, da questa ragnatela visiva in cui tutto appare e nulla esiste. Egli, in definitiva, prova a compiere puramente un atto creativo, distico dal circolo mediatico e fantastico del pluralismo d’accatto debordante. Con ciò e in ciò egli non lo si potrà racchiudere in un momento storico, né in una tendenza artistica; ma inserirlo nel suo contesto. O riferendosi alla sua essenza. E’ un presagio il suo, un divenire artista, sotto forma di sottrazione, che richiama la sintesi, che mira alla semplicità, all’essenzialità. Un movimento interiore che cancella il riconoscimento del bambino ritratto per commutarlo in artista. Fuori dal caleidoscopico vortice insensato della frottola quotidiana, dove tutto è detto, rappresentato, osato. Un’arte libera e senza più obblighi di fare reportage, pronta a tradurre le sensazioni nel modo più persuasivo possibile. Cosciente che, alla fine, una operazione se non passa attraverso i sentimenti non è altro che una finzione. Fuori dall’esser quadro, fuori dall’esser tendenza, emblema o simbolo egli mira alla sostanza, come fondamento e nutrizione a sostegno dell’azione… in un altrove che ancor non sa, non conosce… e la sua intima mano incide segni attesi, sensi ritrovati, scopi dell’arte, mai dimenticati. Così l’artista tende a “spogliarsi”, sottrarsi, col pretesto di fare, delle sue inutili parvenze. E ritrovare così il modo di restare in vena per l’opera che verrà… Caduta ai suoi ginocchi, svenuta ai suoi piedi, l’essenza nella sua veste e modella come sua sposa infine innanzi gli apparirà. “Da grande sarò un artista” Muscettola titola la sua opera, facendo trasparire la funzione critica che lotta contro la riproduzione, a vantaggio di una impronta pungente che vanifica l’enunciato. Egli s’apre al mondo, dunque, s’apre alla vita, al vero in cui è giunto. L’atto che vorrà realizzare da grande già lo sfiora nella sua effigie da bambino. Percepirà quindi la curiosità dall’alto della sua torre, e scenderà a compiere l’esperienza. Toccherà la vita invece del senso, oppure il senso invece del segno. Fuori dal mercatino mediatico di massa, fuori dalla clonazione dell’esercizio estetico, attingerà e si nutrirà solo di linfa vitale da cui il fenomeno artistico nascerà. Maurizio Muscettola vuole operare una sintesi austera e decorosa, e non decorativa, dove giungerà un evento: la sensazione; operando per sottrazioni, appunto. Svuotato da imbellettamenti di materiali eterogenei, infiocchettati dall’odierna impresa artistoide, fuori dal teatrino virtuale di cui il nostro tempo è incauta vittima ritrovata… egli si separa dall’ordinarietà, evacua la riproduzione; il suo destino è nell’opera d’arte: arte all’opera! L’interpretazione artistica è più importante del complesso

di Antonio Zoretti

L’installazione di Maurizio Muscettola a Palazzo Vernazza, visione d’insieme e particolari

lavoro. Maurizio lascia delle tracce, quindi, e il valore artistico si troverà nel passaggio, nel percorso da egli frequentato più che nella risultanza. Il bambino che da grande vuol fare l’artista potrà così operare, nel senso chirurgico del termine, e in questa apprensione affrancarsi dalla faticosa distinzione che indica la sorta specifica d’un artista. Ne farà, di conseguenza, una operazione unica, non riproducibile, rifacibile, diciamo così. Apparterrà solo a lui. L’unicità di Muscettola.


R spagine

Street art a Lecce per la III edizione della Biennale del Salento

ecentemente, nei corridoi leccesi, si è fatto un gran parlare di Arte pubblica e Street Art, generi attualmente di gran moda ma dalla storia complessa e ricca di sfumature. Da qui una breve riflessione su contenuti e risultati di un fenomeno artistico che a Lecce giunge con ritardo e risultati particolari. *** A partire dagli anni '60 del Novecento, per conseguenza della crisi urbanistica post bellica incapace di creare una specifica identità culturale cittadina, iniziò a svilupparsi una nuova modalità di fruizione artistica, legata alla democratizzazione del prodotto creativo e alla sua de-localizzazione dal museo alla città. La nozione di Arte pubblica si concretizza in opere d'arte realizzate in perfetta commistione e sintonia con l'assetto urbano. Si tratta di effettive opere d'arte, create da Artisti, progettate per la libera fruizione all'interno dello spazio cittadino e fortemente legate al luogo per il quale sono concepite. Poco dopo le sperimentazioni pubbliche in campo artistico, inizia a definirsi una nuova pratica, sebbene con peculiarità e motivazioni assai differenti: la Street Art. Nata come forma di sovversione nei confronti della creatività sistematicamente accreditata ed in risposta alle élite museali, l’Arte di strada aveva lo scopo di emancipare l'arte rendendola accessibile costantemente a chiunque ma anche di valorizzare spazi ed elementi architettonici in abbandono e degrado. La differenza tra Arte pubblica ed Arte di strada – entrambe fortemente legate al contesto urbano, ribadiamolo – sta nel fatto che l'Arte pubblica è bisognevole di un progetto ed inserita in un contesto predefinito; la Street Art, al contrario, è improvvisa, estemporanea, realizzata con materiali poveri, dallo stencil alla bomboletta spray ed utilizza supporti preesistenti (muri, arredo urbano, marciapiedi, etc.) senza immetterne di nuovi nell'ambiente urbano. Scopo della Street Art non è la miglioria estetica, ma piuttosto la riflessione sociale, la riappropriazione spaziale: una necessità fondata sull'identità comune di un quartiere, di una strada, di un luogo e su riqualificazione e riconversione non solo urbanistica ma anche e soprattutto culturale. Sin dagli anni '80, numerosi sono stati gli esempi di rilievo legati all'Arte di strada, dal graffitismo di Haring e Basquiat, alle ormai ben note opere “social” dell'inglese Banksy o ai casi tutti italiani dei writers Blu, Ericailcane, Stan&Lex, senza dimenticare realtà come il MAU, Museo d'Arte Urbana di Torino ed il M.U.Ro, Museo di Urban Art di Roma e non mancano esempi nemmeno sul territorio pugliese, il cui “prodotto” più eccellente è certamente rappresentato dal FAME Festival di Grottaglie che dopo cinque edizioni ha smesso di essere perché ormai istituzionalmente riconosciuto e quindi in collisione con quelle regole non scritte (ma universalmente riconosciute) che afferiscono alla Street Art. Nello stesso Salento esistono crew come gli Street Art South Italy, estremamente attivi nelle periferie e nella provincia e realtà sot-

Arte

della domenica n°40 - 24 agosto 2014 - anno 2 n.0

Apprendere prima di osare terranee come la rassegna VIAVAI (www.viavaiproject.com), tutt'ora in corso e praticamente sconosciuta sebbene ricca di presenze di rilievo come Tellas ed Ozmo. *** È inevitabile, a questo punto, chiedersi cosa stia accadendo a Lecce durante la terza edizione della Biennale del Salento che, per il 2014, ha puntato proprio sulla Street Art (sebbene con una quindicina d'anni di ritardo rispetto alle realtà italiane più note). Di apprezzabile – bisogna dirlo – c'è che oggetto di uno degli interventi sia stato Viale Oronzo Quarta, del quale già in altre circostanze, ed a più riprese, si è sottolineato l'interesse urbanistico e architettonico, soprattutto in quanto collegamento strategico tra la stazione ferroviaria e il complesso culturale dell'ex convento di San Francesco della Scarpa. Il tratto di strada, in degrado, rappresenta la porta d'ingresso alla città e andrebbe destinato a un intenso processo di riqualificazione, magari proprio attraverso la Street Art e ciò in funzione della definizione che di essa, all'inizio di questo scritto, si è ricordata. Nonostante l'idea encomiabile, i risultati ottenuti lascerebbero pensare che organizzatori e promotori della rassegna non siano decisamente al corrente delle esperienze pregresse in campo di Arte di strada, non solo europee, ma nemmeno pugliesi, e per l'ennesima volta il capoluogo salentino ha perso una un grande occasione: collaborare

di Cecilia Leucci e Fabio A.Grasso

con realtà consolidate e coinvolgere personalità internazionali per farsi promotrice sul territorio di prodotti culturali di qualità, come più volte proposto (senza alcun riscontro istituzionale, ricordiamolo!) per la decorazione dei pali del filobus o come scelgono di fare numerose realtà desiderose di crescere, come il Comune di Stintino che ha indetto un concorso pubblico per illustratori, writers e muralisti per l’abbellimento dei cassonetti dei rifiuti. La causa dell’insuccesso è probabilmente da ricercarsi nell'eccessiva presunzione; nel voler apparire originali a tutti i costi; nella convinzione di saper fare meglio degli altri e forse anche nell'inesperienza che porta a dipingere con semplici fiori e quadrati rossi, blu e gialli il mattonato di un marciapiede o a smistare cassonetti da Piazza Sant'Oronzo a Viale degli studenti, senza di fatto riqualificare l'oggetto (ma piuttosto eleggendolo quasi a scultura) e senza cogliere il senso non solo dell'Arte di strada, ma – ahinoi! - nemmeno dell'operazione artistico-culturale che vi è dietro. *** Per concludere, una cosa è certa: se Lecce aspira a diventare una capitale europea della cultura, è giusto che cominci a comportarsi come tale, puntando ad apprendere, prima di “osare” ambiti decisamente poco noti, per i quali talento e consapevolezza artistica non sono accessori effimeri, ma una priorità essenziale.


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Teatro

della domenica n°40 - 24 agosto 2014 - anno 2 n.0

Sabato 30 agosto alle 22.00 nel Chiostro del Palazzo della Cultura di Galatina, Renato Grilli porta in scena con Alessandra Maggio e Antonella Musardo “Sotto sotto”, pièce tratta da un suo racconto

Monologo a tre voci

di Rubino Teodori

D

Renato Grilli

ebutta in anteprima nazionale sabato 30 agosto alle 22.00, nel Chiostro del Palazzo della Cultura di Galatina, la performance teatrale Sotto sotto, tratta dal racconto inedito di Renato Grilli “Orecchie ed occhi” (potete leggerlo sulla rivista online Samgha, “I Suicidati della Società Letteraria”). Incontriamo l’autore del racconto, qui anche attore e regista, nel suo “buen ritiro” a Cocumola, il borgo cantato da Bodini Come nasce questo progetto? Per una “strategia fatale”, per dirla con Jean Baudrillard.Una serie di coincidenze. Avevo scrivo in un paio di notti un racconto e lo avevo lasciato lì per mesi. Poi una cara amica, senza saperne niente, mi chiede se ho per caso qualcosa di inedito da pubblicare sulla sua rivista online. Le mando il racconto e lei risponde: perfetto. E lo pubblica. Qualche mese dopo un amico scrittore pubblica una intervista sul Salento, che mi aveva fatto tempo fa. E una gentile signora, assessore a Galatina, la legge, si incuriosisce, mi contatta per offrirmi uno spazio nella Notte della Cultura e del Cibo del 30 agosto. Io ho solo da dire: “metto in scena quel racconto” e lei accetta. Mi piace questa storia, nella sua semplicità, mi diverte e mi insegna qualcosa, di cui si può solo accennare …

testi vari e solo alla fine sul testo-copione, a cui sono invitati solo alcuni amici fidati. Lo consiglio (immodestamente) a quelli che sono interessati ad un lavoro teatrale ispirato alla “phonè” e alla “macchina attoriale” di C. Bene.

La performance del 30 è riservata a soli 40 spettatori. Una scelta o una necessità? Una necessità artistica, piuttosto, dunque una precisa scelta. Il racconto vuole parlare piano alle orecchie degli spettatori, rivelare qualcosa di privato in privato, sottovoce. Per farlo ha bisogno di attenzione, di concentrazione, di uno spazio al riparo dal rumore e dalla confusione. Per noi sulla scena e per loro in sala. Una specie di “ecologia del buon ascolto”. Ciascuno spettatore sarà accolto e accompagnato in sala fino alla sua sedia dalle attrici. Poi, spente le luci, vedrà figure e udirà suoni e parole per una trentina di minuti, per finire con una danza e un canto. Insomma, più che uno spettacolo, nell’era degli spettacoli ad oltranza, qualcosa che assomiglia di più a un rito, a una cerimonia laica. Un antidoto per quei sensi, orecchie ed occhi, oggi molto molto affaticati.

Dunque porterai in scena il tuo racconto– monologo. Ma in locandina sta scritto “monologo a tre voci” Non è un controsenso? Un altro paradosso, sì, un ossimoro, come Teatro-Naturale (il nome della Associazione promotrice, ndr.). Un modo semplice per invitare a riflettere sull’ambiguità delle parole e del linguaggio. E poi non volevo fare un audio-book con la mia sola voce: il racconto è lì, in rete, tutti lo possono leggere e trovarci quello che vogliono. A me interessava andare verso una sfida ulteriore: che cosa succedeva se erano altre voci a dirlo, a dargli corpo, a modo loro? Io del resto mi sento piuttosto che “autore”, un “curaIn conclusione, potresti descrivere in poche tore di trappole” per lettori iper-sensibili. parole il contenuto, il tema profondo del tuo Hai scelto come voci due attrici, Alessandra racconto Maggio e Antonella Musardo. Anche questo M’è capitato di pensarci, quando mi hanno chieè un caso oppure è una scelta con dei pre- sto una “sinossi” del racconto. Ho provato invano, fino a che ho trovato che il massimo della cisi significati? Entrambe le cose. Alessandra l’ho sentita leg- sintesi possibile erano due versi di Leopardi, gere una sola volta, ma mi è bastato per capire sempre lui!: “Solo per cui talvolta / non alla che grandi potenzialità possiede. Buona scuola gente stolta, al cor non vile / la vita della morte e forte carattere. E un evidente “urgenza” poe- è più gentile”. Qui però declinato al contrario: tica, che lei chiama “passione”. Di Antonella, “Allor per vita stolta in cor non vile”, sostiene in La performance del 30 sarà preceduta da che non ha mai recitato, dice, mi interessa il pratica la voce del monologo, “talor morte di vita uno stage pomeridiano a partire da martedì fatto che ama scrivere, che sia una blogger spi- è più gentile”. ritosa, vedi il suo libro “Bigodini Sparlanti”. 26. Sarà aperto a tutti? Lo stage è una sorta di “prova aperta”. Si co- Quando poi ho ascoltato la sua voce, ho sentito Sembra una buona dedica a Robin Williams suimincia con esercizi tecnici preliminari, a cui si che aveva qualcosa di interessante nella sua cida… può partecipare, poi si fanno prove di voce su fresca “ingenuità”, che mi piaceva incontrare.


spagine

Memoria

della domenica n°40 - 24 agosto 2014 - anno 2 n.0

Ricordo di Federico Garcìa Lorca nella Lecce di Vittorio Bodini

Il popolo di Spagna Il 19 agosto 1936 a Granada - fucilato senza Siamo agli esordi della etnomusicologia, quella alcun processo dai falangisti franchisti - moriva che sa rivelare la "grande, immensa poesia" delle Federico Garcìa Lorca, i resti del suo corpo, non canzoni popolari ... sono mai stati trovati. Con il poeta, come atto di ma il tutto ancora in bozza ... “pulizia sociale”, vennero fucilate altre tre per- Bodini parlando di Spagna parla - anche - di Sasone: i due toreri anarchici Francisco Galandi e lento, di rifiuto della storia e della morte, di tradiJuan Cabeza, e il maestro repubblicano Dio- zione "vivente" e dei caratteri del "genio" scoro Galindo. spagnolo - o salentino ... “Lorca venne eliminato dai nazionalisti per la sua militanza e il suo grande impegno culturale. I Come un “moderno Shakespeare”, scriveva, di- IL POPOLO SPAGNOLO ODIA LA MORTE E LA rigeva una compagnia teatrale e recitava. Il suo STORIA: QUEST'ULTIMA COME UNA PROappoggio alla Spagna repubblicana disturbava la GRESSIVA ANTICIPAZIONE DI QUELLA. propaganda della destra autoritaria. La storia è simile a un albero dei cui succhi s'aliArtista cosmopolita - Federico Garcìa Lorca era mentano le nere frutta che un giornoci toglieamico di Salvador Dalì, Luis Buñuel, Pablo Ne- ranno la vista e ogni altro senso del mondo e ruda, Juan Ramón Jimenez, Ignacio Sánchez della sua bellezza, quel particolare rifiuto alla diaMejías, Rafael Alberti e Antonio Machado - Gar- lettica storica che va solitamente confuso con il cía Lorca aveva aderito alla campagna di alfabe- suo effetto, l'individualismo degli spagnoli. Perciò tizzazione repubblicana con un teatro ambulante "IN NESSUNA PARTE DEL MONDO, SI DICE, di poesia popolare, anticlericale e zingaresca. I UN MORTO È COSÌ MORTO COME IN SPAsuoi versi infiammavano la passione libertaria in GNA": sono lì a provarlo i caduti di Guernica con tutto il mondo. Uccidere García Lorca, a un mese la loro gessosa rigidità, o il sangue dei fucilati godal golpe militare di Franco, fu come ammutolire yeschi che continua a colare senza alcun benelo spirito laico, sognatore e rivoluzionario della ficio d'illusione. Tutta la libertà di cui sembra Repubblica. godere la nostra cultura, e di cui volentieri ci conOggi bisognerebbe rileggere le sue pagine più vinciamo considerando la poliforme qualità dei profetiche, quelle di “Poeta en Nueva York”, da suoi frutti, vive in prossimità di quelle radici letali, molti giudicate il suo capolavoro. In quel volume, e quando diciamo cultura storica, dovremmo l’artista spagnolo analizzava con spirito poetico forse riflettere a quanto di morte sinistramente ril’alienazione dell’uomo nella società moderna e verbera quell'aggettivo sul sostantivo. i meccanismi che permettono ai pochi di dominare sui molti”. (Treccani) II Accogliendo la proposta della Compagnia Mura LA CULTURA SPAGNOLA È INVECE ESSENdi Flamenco Andaluso, il Fondo Verri, ha ospi- ZIALMENTE SPAZIALE, ciò che non sapremmo tato martedì 19 agosto, “Ricordo di Federico per ora come spiegare, poiché non si tratta che Garcia Lorca nella Lecce di Vittorio Bodini”. d'un sospetto, ma avvalorato a ogni passo da (Bodini da ispanista fu traduttore per Einaudi un grandissimo numero di opere e di autori la cui delle opere teatrali del grande spagnolo). suprema preoccupazione è quella di iscrivere forLa serata presentata da Maurizio Nocera, ha pro- temente la figura dell'uomo entro uno spazio posto il flamenco del chitarrista compositore umano, badando a difenderla da ogni corrosione Massimo “Max” Mura con le sonate “Falsetas” e d'anni o di eventi, o salvaguardandola da ogni “Rumba para Lorca” introdotta da “Memento" di trascendenza in sistemi. F. Garcia Lorca e il reading di Mattia Politi e Si- È stato largamente osservato come i pensatori mone Muia per i versi di Lorca, di Antonio Ma- spagnoli siano sempre stati antisistematici, da chado, Pablo Neruda e Vittorio Bodini. Seneca a Ortega y Gasset; hanno preferito mantenere la sfera delle proprie concezioni ideali in L’annuncio della serata ha portato in dono a Spa- prossimità di quella del proprio sangue. gine un contributo dell’attore Renato Grilli che di Una permanenza dell’antico sentire attraverso il seguito pubblichiamo. sangue”. Ma ancora più che nelle opere, la tendenza stessa dello spagnolo - e non solo di *** vevo da tempo pronto questo AL- quello - a proiettarsi con energia nello spazio la LEGATO proprio dalla prefazione si trova proclamata a ogni angolo di strada: YO? a TEATRO di Lorca: la lettura DICE OGNI SPAGNOLO.. YO SOY UN HOMche preparavo aveva sullo BRE! sfondo le note originali di Lorca stesso, al piano, con l'amata Ar- III Per questo sentire TRATTA I SUOI MITI, LE gentinita che canta:

A

SUE LEGGENDE CON LA STESSA PIETÀ CHE SE SI TRATTASSE DI FATTI CONTEMPORANEI, al punto che lo straniero non sa più se le favolose regine, le danzatrici, i toreri, gli eroi, gl'impeccabili cavalieri di cui sente parlare insistentemente intorno a sé, celebrati in proverbi e romances o cantati sulle chitarre, siano vivi o già morti da secoli. Quel Pedro Romero, quella regina Isabella, l'Argentinita, Juan d'Austria, Pastora Imperio... già il domandare se sian morti, e da quanto, parrebbe cosa insensata e priva di riguardo verso QUEL VIVO TESORO, CHE RENDE A SÉ TUTTO CONTEMPORANEO, CHE È LA "TRADICIÓN", la quale dunque ricade più nel dominio della geografia che in quello della storia. L'IDENTITÀ DEL PERSONAGGIO A SE STESSO, “IL CARATTERE”, FA RISCONTRO ALL'IDENTITÀ’ DELLA " TRADICIÓN ", un infinito numero di tipi, ma sempre meravigliosamente integri e ingranati nell'azione, come se la vita li avesse tutti forniti d'una magica corazza incorruttibile. Allorché questo dono di presenza è portato sull'orizzonte europeo da qualche esemplarepiù fortemente dotato, GOYA, LORCA, O PICASSO, l'impressione che se ne riceve è che SAPPIANO SOLTANTO LORO, COSA SIA LA LIBERTÀ, e che la nostra cultura obbedisce a dimensioni che la condizionano e impediscono che vada al di là d'un fatto relativo. IV Ad essi sono ignote tutte le difficoltà espressive in cui la nostra anima si perde o è costretta a procedere con un umiliante lavoro di collettività e generazioni. GIGANTI SENZA ORIGINE, ciò che ci portano è un linguaggio sorprendentemente nuovo, un linguaggio che ha tutte le qualità della vita, il freddo del ghiaccio, il sapore delle frutta, l'ardore del fuoco, il peso dei metalli, GLI ATTRIBUTI DI UN'ANTICHISSIMA VERITÀ DI CUI ABBIAMO PERSO L'ESSENZA in una selva di simboli e di definizioni e che ad essi è sufficiente nominare per farla esistere nella sua pienezza. Sarà magari un istante di turbamento, il tempo che le nostre macchine si rimettano in moto, impassibilmente, a fabbricare equilibri, a tranquillizzarci, ma nessuno che abbia visto Goya coi suoi occhi, che abbia letto il vero Lorca, potrà mai più pensare, nella verità della propria coscienza, di essersi veramente liberato "storicamente” DI QUESTI STRANI MESSAGGI CHE IL GENIO SPAGNOLO TRASMETTE DI TEMPO IN TEMPO, COME UNA LONTANA STELLA ABITATA. di Renato Grilli


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in Agenda

della domenica n°40 - 2a agosto 2014 - anno 2 n.0

A Taranto, la mostra di Giacomo Manzu al MARTA sino al 30 novembre

Ecco le donne “

Giacomo Manzù e le sue donne” e il titolo della mostra che per la prima volta porta al MARTA - Museo Nazionale Archeologico di Taranto l’opera dello scultore bergamasco. Le sale del Museo Nazionale Archeologico di Taranto, celebri per la straordinaria collezione di gioielli del IV e del II secolo a. C. che vi è custodita, ospitano dal 5 luglio fino al 30 novembre, circa venti opere del maestro bergamasco, tutte ispirate al tema muliebre, centrale nella sua ricerca artistica fin dagli esordi.Il percorso espositivo prende inizio dalla grande tela Pittore e modella del 1958, e si snoda attraverso una serie di sculture, disegni ed incisioni in cui la figura femminile viene investigata con passione meticolosa, attraverso varie tecniche espressive. Così Emilia Simone descrive la mostra sulla pagina web del Mibac: “La donna, ricondotta all’essenza e alla forza del suo essere, denudata di ogni vanità terrena, è una fonte inesauribile d’ispirazione per l’artista, che la ritrae fin dal 1935, in opere agli antipodi dall’approccio accademico. Come ha notato Maurizio Calvesi, “Da amante […] egli non si è posto mai dei "modelli", né antichi né contemporanei; ma ha risposto in modo diretto al proprio sentimento dell’eros, della bellezza...”. E’ emblematico in tal senso il ritratto di Inge, futura moglie di Manzù, rappresentata nuda su uno scenario spoglio. La nudità della donna e dello spazio che la circonda, dove le suppellettili giacciono inerti su una sedia, simboleggiano l’essenza dell’amore, anche sensuale, che basta a se stesso. Questo stesso tema viene declinato nelle immagini di coppie di amanti, di modelle sedute e sdraiate, di danzatrici. Alla nudità delle donne di Manzù fanno da contrappunto gli antichi gioielli esposti nelle sale del museo. Anche nell’arte, oltre che nel mondo reale, fin dai tempi più remoti, si è soliti vedere e rappresentare i gioielli come attributo e complemento della bellezza, prezioso ornamento della grazia femminile. I gioielli adornano le donne, esaltandone la bellezza, che, a sua volta, li impreziosisce. Nelle sale del museo di Taranto, la figura femminile, sublimata nella sua essenza dallo sguardo dell’artista, ed i gioielli ormai denudati della loro funzione mondana, quindi puri simboli del “bello”, si affiancano e si contrappongono in un fertile gioco di rimandi estetici”. Il catalogo della mostra è a cura de il Cigno GG

Informazioni utili:

Fino al 30 novembre 2014 Costo del biglietto: 7,50; Riduzioni: 4,50 Per informazioni 099.4538639 Orario: Aperto tutti i giorni: 08,30 – 19,30 E-mail: museoarch.taranto@beniculturali.it

Giacomo Manzu nome d’arte di Giacomo Manzoni è nato a Bergamo, il 22 dicembre del 1908 è morto a Ardea - Roma, il 17 gennaio 1991

Pittore e modella, 1958. Olio su tela

La pagina è a cura di Marisa Milella* e Fabio A. Grasso.

*Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Puglia


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U

della domenica n°40 - 24 agosto 2014 - anno 2 n.0

Racconti salentini

Cartolina da Castro

n pomeriggio inconsueto, ieri, in cui mi è stata data l'occasione di ripercorrere uno spaccato d’esperienze e di ricordi lontani, a stretto contatto con un giovanissimo spettatore ma anche attore: il mio nipotino Andrea, di cinque anni, vive abitualmente a oltre mille chilometri di distanza e, però, trascorre da noi nonni, nel Basso Salento, una parte delle sue vacanze estive. L'ho letteralmente “prelevato” dal comodo lettino, con annesso prato giochi, di un lido, dopo di che, insieme, abbiamo fatto, anzi preso come si soleva dire da queste parti nei tempi andati, un bagno. Il piccolo ha potuto ripassare e sperimentare l’oramai acquisita perizia nel nuoto, dimostrando di saper schizzare come un siluro con l'aiuto delle pinne e senza più paura delle onde, grazie all'esercizio puntuale e tempestivo del serrare nell’attimo giusto la bocca, evitando d’ingurgitare e far scivolare sino alla gola piccoli rivoli d’acqua salata. Bracciate natatorie a parte, ancora più bella e stimolante si è rivelata la parentesi successiva. Incitandolo e rassicurandolo di fronte all’iniziale paura del risucchio dei modici cavalloni, mi sono fatto raggiungere da Andrea su un angolo di lapitu (una sorta di bagnasciuga poco profondo e ricoperto da uno strato erboso) in corrispondenza del tratto di costa avente la denominazione, tanto strana quanto misteriosa, di Pizzo della Merdara. All’udire siffatta accezione, è ovviamente scattata una sonora risata da parte del piccolo, dapprima un po’ incerto, poi convintosi a tenersi in piedi al mio fianco. E così, il via, insieme, al semplice “seminario” di azioni manuali, notizie e novità, talune curiose, talaltre straordinarie per il sentire e la suggestione di Andrea. Innanzitutto, gli ho fatto prendere dimestichezza con l’operazione di stacco dalle brune rocce, mediante un minuscolo e innocuo coltellino regalatomi dalla farmacista del paese, delle piccole cozze mateddre o patelle o telline (della famiglia ufficiale dei patellidi), dal caratteristico nucleo carnoso e saporito, un genere di frutti di mare di cui, rammento, era ghiotta la mia povera mamma e, tuttora, si fa uso, come ingrediente eccezionale, per preparare un prelibato sughetto di pomodoro per il condimento della pasta. La mia genitrice amava, anche, cogliere e sgranocchiare direttamente sul lapitu ciuffetti d’erba di mare, che, se raccolti in abbondanza, erano altresì portati nella cucina di casa per farne

esclusive e fragranti frittelle. Andrea, invece, sebbene da me esortato, si è limitato ad abbozzare un assaggio dell’erba in discorso, astenendosi però dall’assumerla concretamente sotto i denti. Come sequenza successiva del “corso”, ho sollecitato l’attenzione del nipotino sulle diffuse colonie di pulci di mare, spiegando che i minuscoli animaletti, resi immobili con manate d’acqua buttate loro addosso, erano un tempo catturati e utilizzati in funzione di esca per le rudimentali lenze o togne d’allora. Una particolare annotazione collegata al Pizzo della Merdara: proprio alla sua altezza, si trovano fondali che definire limpidi e cristallini è riduttivo, non rende pienamente l'idea della loro magnificenza, giacché, dalle piccole e medie profondità, traspare addirittura che i ricci di mare lì presenti, dalla classica tonalità di colore fra il nero e il violaceo come l’esemplare da me pescato e che il mio piccolo accompagnatore ha accettato di tenere un po' esitante in mano per la paura di essere punto dagli aculei, abbiano una bocca vera e propria e dispongano della parola. Certo, qui concorre un guizzo di fantasia. Serbo, inoltre, vivo nella mente, il ricordo del rinvenimento, proprio nel tratto in questione, di alcuni rametti di corallo, evento davvero unico, al punto da determinarmi a conservare gelosamente tali reperti per decenni, mostrandoli, alla stregua di reliquie, a parenti, amici e conoscenti. Altra cosa, la visione, ieri pomeriggio, di un minuscolo pesce, in dialetto fuggiune, adagiato in una piccola conca d’acqua, che ha peraltro eluso il mio tentativo di carpirlo con le dita della mano. Usciti, io e Andrea, dall'acqua e ritornati sulla scogliera, c'è stato il proseguimento del nostro sodalizio, ovviamente di carattere assolutamente inedito per il piccolo discente. Prima novità sulla terra ferma demaniale, l’individuazione, per opera di Andrea, di un ragno sulla sommità di un cespuglio lungo il sentiero, e, però, si trattava non di un comune tessitore di ragnatela dalle dimensioni di solito appena visibili, bensì di un esemplare grosso e robusto, che, con i suoi movimenti, faceva letteralmente oscillare e ondeggiare i fili della sua “casa”; pronta e inevitabile, perciò, la cattura dell’immagine dell'amico ragno con uno scatto del cellulare, sotto gli occhi stupiti ed estasiati del bambino. Quindi, la sosta davanti a una chiapparata (pianta di capperi) mai vista prima dal mio compagno e l'operazione di raccolta, da parte dello stesso, di una minuscola manciata di teneri frutti. Appena più avanti, accanto a un muretto a

di Rocco Boccadamo

secco, cresceva una vite, ovviamente senza essere né curata né assistita, fra le cui pampine (foglie) verdi facevano capolino alcuni grappoli quasi maturi, al cospetto dei quali è giunta spontanea e automatica la decisione di Andrea di piluccare quattro o cinque chicchi e di portarli con fierezza, insieme con i capperi e le cozze mateddre, all'attenzione della sua mamma e, successivamente, una volta giunto a casa, anche a quella della nonna. Le sorprese hanno avuto ancora qualche sequenza sulla via del ritorno, come lo sguardo caduto su una pianta di melograno e sul suo bellissimo fiore, esso, pure, immortalato con un’istantanea. Infine, il piacevole e gradito dono, da parte di un amico, di un cesto di squisiti fichi, varietà Maranciana, appena colti. Questo il diario in diretta di un pomeriggio d’agosto in compagnia di un bimbo dal volto stupendo, aperto a nuove conoscenze, una parentesi che, in aggiunta, ha avuto il pregio di rischierare, nella mente di un ragazzo di ieri, momenti ed eventi antichi che, pur a notevole distanza di calendari, conservano tuttora un abito vivo e fresco. Per citare, alla sera e nella prima nottata del sabato, le escursioni in gruppo a piedi, dalla piazza del paese sino agli scogli del tratto di mare qui descritto, per l’esattezza in corrispondenza della “marina” di un compaesano, conosciuto con il soprannome di ‘Ntinu ‘u porcu, su cui adesso insiste una piccola e aggraziata casetta di villeggiatura, già pajara di pietre poste semplicemente a secco, una sopra l’altra. Si trattava di ore di svago fra gruppi allegri e rumorosi, in movimento e perlustrazione lungo i lapiti, aiutandosi mediante lampade ad acetilene, con l'obiettivo di catturare caure (granchi) e/o, quando se ne trovavano, polpi o scorfani o cefali, man mano riposti in una capasa di rame; particolarmente simpatico e festoso, il momento in cui le comitive s’incrociavano e facevano a gara nel confrontare i rispettivi bottini. Nell’inevitabile memoria delle mie stagioni lontane, in cui la vita scorreva decisamente con scansioni più semplici e risorse materiali limitate ma con dovizie di valori morali, quali l’amicizia, la dignità, la mutualità reciproca, confesso che provo un sentimento di soddisfazione e di sano orgoglio per la breve parentesi in comunione con una creatura che è completamente del terzo millennio, il mio nipotino Andrea, auspicando che un giorno, da adulto, egli arrivi a ricordarsi del bel pomeriggio al mare, sugli scogli di Castro, trascorso serenamente noi due insieme.


spagine

Cosmic Vegan Fest

Stili di vita

della domenica n°40 - 24 agosto 2014 - anno 2 n.0

copertina

C

osmic Vegan Fest, il primo festival dalle tematiche vegane nel Salento, ha inizio quest’anno a Otranto con una edizione “anteprima”, un piccolo assaggio di quel che sarà nel 2015. Un momento preparatorio, laboratorio per un grande contenitore che mira a sensibilizzare sulle tematiche dell’alimentazione, della difesa degli animali,del pianeta e dell’energia invisibile che ci avvolge. Un tempo di esplorazione per una maggiore consapevolezza di ogni aspetto che riguarda le azioni umane e gli accadimenti terrestri , un confronto che va aldilà anche dei fanatismi delle mode alimentari attuali. Mettere in gioco le nostre scelte e abitudini è l’unico modo affinchè la nostra mente giunga a un nuovo stadio. Il festival è interamente sostenuto da Cosmic Community, senza contributi istituzionali o sponsor. Ogni donazione sarà preziosa. E’ una attività a sostegno dell’azione di volontariato e reintegrazione sociale che Cosmic Community sta realizzando da circa due anni a favore delle famiglie della casta degli intoccabili di Assi Ghat (India) con il progetto Ganga Ma school. Collaborano alla realizzazione del festival il BioVeganBar Anima Mundi che devolverà il ricavato dei pranzi e cene al progetto Ganga Ma School. “Pensa sano” di Avio natura (market di prodotti bio a Lecce) che ha e contribuito nell’organizzazione di una delle attività del Festival. Il Comune di Otranto che ha messo a disposizione gli spazi. Il gruppo LecceVegan che ha aiutato nell‘ organizzazione. 9 settembre alle 10.00 APERTURA FESTIVAL CON SALUTO DI COSMIC COMMUNITY. Castello di Otranto. Un dono speciale a chi sarà puntuale. dalle 10.45 alle 12.00 LA SFIDA, DIETA VEGANA E SPORT AGONISTICO con Massimo Leopardi - Veggie Channel. Castello di Otranto. dalle 12.00 alle 13.00 RADIONICA, L’ATOMO CHE PARLA. Incontro con Gianfranco Margiotta. Castello di Otranto. dalle 13.30 alle 15.00 PRANZO VEGAN-RAW CON CONVERSAZIONI

SULL’ALDIQUA’ al Bio Vegan Bar AnimaMundi (Piazza del Popolo); consigliata prenotazione al n. 388 48 35 388. dalle 16.00 alle 18.45 ALIMENTAZIONE CORRETTA, CIBI VIVI E SPIRITUALITA’. Incontro conferenza con l‘igienista Valdo Vaccaro. Castello di Otranto. In collaborazione con Avio Natura di Lecce. dalle 19.00 alle 20.00 BIOEDILIZIA A IMPATTO ZERO E LA CASA DI PAGLIA. Incontro con Stefano Soldati. Castello di Otranto. alle 21.00 CENA VEGAN-RAW CON CONVERSAZIONI SULL’ALDIQUA’ al Bio Vegan Bar AnimaMundi (Piazza del Popolo) consigliata prenotazione al n. 388 48 35 388.

10 settembre dalle 9.00 alle 19.00 COLLOQUI INDIVIDUALI con l’igienista Valdo Vaccaro. Prenotazioni a info@cosmicomunity.org / tel. 380 526 8 526 oppure 324 82 85 792. dalle 11.00 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 20.00 WORKSHOP “COME COSTRUIRE UNA CASA DI PAGLIA”condotto da Stefano Soldati. iscrizioni: info@cosmicommunity.org / tel. 380 526 8 526. Castello di Otranto. dalle 11.00 alle 19.00 CROMOFREQUENZE: LA LUCE COME CURA a cura della naturopata Anna Maria Pisano. info@cosmicommunity.org / tel. 388 48 35 388 Castello di Otranto. dalle 13.30 alle 15.00 PRANZO VEGAN-RAW CON CONVERSAZIONI SULL’ALDIQUA’ al Bio Vegan Bar AnimaMundi (Piazza del Popolo); consigliata prenotazione al n. 388 48 35 388. dalle 15.30 alle 16.30 ACTIVISM composizione e presentazione del nuovo programma di intervento attivo di Cosmic Community. Piazza del Popolo, Otranto. (Un nuovo regalo prezioso è riservato per ogni partecipante puntuale). dalle 16.30 alle 17.30 TECNICHE PUBBLICITARIE NEL‘ATTIVISMO Conferenza a cura di Massimo Leopardi - Veggie Channel. Piazza del Popolo, Otranto.

dalle 17.30 alle 19.00 LA GRANDE RIVOLUZIONE FISICA, MENTALE, EMOZIONALE E SPIRITUALE DEL VEGANESIMO. Incontro-conferenza con Franco Libero Manco. Piazza del Popolo, Otranto. dalle 19.30 alle 20.30 GANGA MA SCHOOL, incontro sull’azione di volontariato di Cosmic Community. Attiva da due anni per gli “intoccabili” di Assi Ghat (India) e il progetto di costruzione dell’ecovillaggio. Piazza del Popolo, Otranto. alle 21.00 CENA VEGAN-RAW CON CONVERSAZIONI SULL’ALDIQUA’al Bio Vegan Bar AnimaMundi (Piazza del Popolo); consigliata la prenotazione al n. 388 48 35 388.

11 settembre dalle 9.00 alle 17.30 IMMERSIONE NELLA VITA una giornata meditativa tra la natura a contatto con se stessicondotta da Dhyan Maxim Diogene. info e iscrizioni: info@cosmicommunity.org / tel. 380 526 8 526 360 375163. dalle 17.00 alle 19.00 WORKSHOP PRATICO DI CUCINA VEGAN e RAW per principianti, cuochi e curiosi al Bio Vegan Bar AnimaMundi. Info e iscrizioni: info@cosmicommunity.org / tel. 388 48 35 388 dalle 19.15 alle 20.30 L’ORTO BIOLOGICO E L’AGRICOLTURA RIGENERATIVA. Incontro con Carlo Pisanello (Associazione Spazi Popolari): Piazza del Popolo (al Bio Vegan Bar), Otranto 12 settembre dalle 11.00 alle 13.00 PRATICA-WORKSHOP SULLA RADIONICA con Gianfranco Margiotta. Piazza del Popolo (al Bio Vegan Bar), Otranto. Iscrizioni: info@cosmicommunity.org / tel. 380 526 8 526 dalle 17.00 alle 19.00 WORKSHOP PRATICO DI CUCINA VEGAN e RAW per principianti, cuochi e curiosi al Bio Vegan Bar AnimaMundi. Info e iscrizioni: info@cosmicommunity.org / tel. 388 48 35 388


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