spagine Spagine della domenica n°41 - 31 agosto 2014 - anno 2 n.0 Periodico culturale dell’Associazione Fondo Verri Un omaggio alla scrittura infinita di F.S. Dòdaro e A. L. Verri
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Caro Salento...
l Salento è come una bella ragazza, corteggiatissima, che però non si decide a dire sì a nessuno. No a questo perché è rumoroso e disordinato, no a quest’altro perché è poco affidabile, no a quest’altro ancora perché è un prepotente, no…no…no. Finirà nubile? L’esito non spaventa, ma induce a qualche riflessione. Siamo in piena corsa per la nomina di Lecce a Capitale Europea della Cultura 2019. Per il traguardo dobbiamo vincere la concorrenza di città che – diciamo la verità – non sono alla nostra inferiori. Dovremmo perciò fare in modo di non prestare il fianco a critiche e a perplessità da parte di chi ci guarda, ci osserva, ci ascolta, vede e annota. Voi leccesi – mi disse una volta lo storico aquilano Raffaele Colapietra, che a Lecce e provincia è stato più volte – vi credete il centro del mondo. Forse aveva ragione, ma invece di prenderla in negativo, prendiamola in positivo: sì, è vero, siamo il centro del mondo, tanto più che, come diceva Giordano Bruno, ogni punto è il centro; perciò comportiamoci da centro del mondo e non da paesetto con quattro case, una campana e quattro galline starnazzanti nel cortile. Prima di tutto il modo come si risponde alle opportunità che si presentano. Decisamente sprezzante e offensivo. Un modo assurdo, se pensiamo di essere appena usciti da un dimenticatoio millenario, in cui ci siamo conservati come Ötzi, la mummia di Similaun. Con la differenza, non di poco conto, che quello si è conservato sotto la neve e noi sotto il sole; quello è rimasto intatto e noi ci siamo trasformati come la conserva posta al sole per seccare, un po’ acidi e un po’ piccanti.
Dal Tap si rifiuta perfino il saluto, eppure è un’opportunità importante. Gli organizzatori di feste patronali, di Sant’Oronzo compreso, di manifestazioni e iniziative che costano tanti soldi, hanno rifiutato i suoi contributi finanziari, per conservarsi immacolati da rischi inquinamento o solo per stare nella moda dell’«antiqualcosismo». La lezione di Vespasiano – pecunia non olet – se l’è portata via lo sciacquone. Sono piovuti insulti e indecorose considerazioni sul Sindaco di Verona Flavio Tosi al Premio del Negramaro, con continue defezioni di cantanti stagionati e politici velleitari. Non foss’altro che per calcolo, dovere di ospitalità sacrosanto a parte, ci saremmo dovuti comportare da signori, considerato che Verona organizza ogni anno il Vinitaly, la più importante fiera del vino d’Europa. E noi, oltre ai fischietti e alla pizzica, produciamo anche qualche bicchiere di vino, ma proprio qualche bicchiere. O lor signori non lo sanno? Ad una mezza battuta di Flavio Briatore: qui in Versilia pianto tutto e investo nel Salento, si è risposto in maniera indecente, quasi ci avesse rivolto un insulto: no grazie, qui siamo persone perbene e non vogliamo i tuoi famigerati investimenti. Fa schifo Briatore a salentini indigeni e a salen-
di Gigi Montonato
tini importati? Non lo so. Si può sempre discutere sui modelli di sviluppo ed è certamente importante chiedersi quanto convenga essere dipendenti dall’altrui denaro puntando tutto sull’effimero del divertimentificio, ma c’è modo e modo di affrontare il problema. A Gallipoli per poco non si è passati alla jacquerie contro i turisti. D’accordo, son maleducati, sporcaccioni e irrispettosi. Ma non è che per caso non siamo noi ad avere strutture ricettive inadeguate? Almeno poniamoci il problema come punto di domanda. D’altra parte quanto accade oggi a Gallipoli accade da sempre in città come Venezia e Roma, dove i turisti cucinano e mangiano sulle pubbliche vie e piazze, e fanno altro, fra cui il cambio dei pannolini al bambino e forse non solo al bambino. Simili schifezze non accadono a Vienna o a Parigi, a Berlino o ad Amsterdam, perché in quelle città, educazione di base a parte, c’è tutta una struttura preventiva e perfino repressiva. Sì, proprio repressiva; la repressione, che ai salentini fa schifo come il gas della Tap o gli investimenti di Briatore. Più che simileuropei, restiamo similafricani.
Noi oggi rischiamo di vanificare le opportunità che si stanno presentando a causa dell’evidente impreparazione della nostra classe dirigente, politici + imprenditori + intellettuali. Pigri, conformisti, con un’infinità di sfumature di grigio, non escono dal solito cliché delle indulgenze. Come una volta se le compravano per salvarsi l’anima, oggi se le comprano per non compromettere la carriera. Sicché: evviva il Gay pride, abbasso Casa Pound. Una volta per compiacere il Signore, oggi per stare nel pensiero unico dominante.
E’ di tutta evidenza che il Salento deve incominciare ad avere le idee chiare su che cosa vuole fare da grande e attrezzarsi per questo. Se noi vogliamo puntare tutto sul turismo, allora dobbiamo rendere ricettivo il territorio, sia l’urbano sia l’extraurbano. Non dobbiamo inventare niente, nella stessa Italia ci sono realtà turistiche di massa che hanno risolto i problemi. Si tratta di saper osservare e provvedere di conseguenza. Se, invece, come sarebbe più opportuno fare, si vuole puntare anche sull’economia di produzione, allora non si può dire sempre no a tutto. Abbiamo bisogno di infrastrutture, sia per rendere più commerciabili i nostri prodotti tradizionali, sia per aprire a nuove prospettive produttive compatibili col territorio. Il turismo di oggi ci spalanca porte una volta inimmaginabili. Lasciare che il turismo o il commercio vengano gestiti da gente incapace, improvvisata, con fisime politiche legate alle proprie aspettative di carriera, che fa finta di non essere interessato ai soldi e poi ruba il pacchetto di caramelle, significa buttare delle opportunità che potrebbero, di qui a non molto, non riproporsi più. Si ha l’impressione, purtroppo, che manchi gente all’altezza del compito. I comportamenti schizofrenici di questa estate ne sono prova.
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...si può sapere che vorrai fare da grande?
Contemporanea
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Le leggi
non fanno la vita
ulle questioni etiche il paese reale è molto più tollerante e aperto di quello legale. Da una indagine Last (Laboratorio sulla società e il Territorio), svolta recentemente su un campione rappresentativo della popolazione italiana, è emerso un quadro incoraggiante, spia viva d’una maturità e d’una crescita consapevole. Da una prima lettura è evidente che la gente, a differenza di certi politici, riesca ad andare oltre le recrudescenze ideologiche, smussando gli inasprimenti del pensiero ed approdando su lidi di serena accettazione. Indipendentemente dalle imposizioni di vario tipo, l’opinione pubblica ambisce a curare un giardino rigoglioso di gradi di libertà, inserendo le proprie scelte primarie in un fruttuoso contesto di relativismo culturale. Gli orientamenti della popolazione su un insieme di comportamenti sono in parte sorprendenti. Il 90,2% degli interessati s’è espresso a favore delle convivenze di fatto. L’84,8% è favorevole alla fecondazione artificiale, il 75,9 % sarebbe disposto a poter richiedere eventualmente l’eutanasia, il 75,2% si dimostra attento al tema dell’omosessualità, il 61% ritiene ammissibile la pratica dell’aborto. Il professor Daniele Marini dell’Università di Padova scrive che “gli esiti complessivi forniscono elementi per una rilettura dei temi della famiglia, della coppia, della natalità e della morte”. Soprattutto su un piano squisitamente politico, le questioni eticamente sensibili andrebbero trattate con piglio più liberale, con un approccio meno ideologizzato. Gianni Vattimo, da sempre, ripete che i politici sono molto più “arretrati” rispetto alla popolazione. E anche un altro grande filosofo, Remo Bodei, afferma che la politica è sempre in ritardo rispetto alla società: “La legislazione insegue, rimane indietro rispetto a una società più matura, a un sentire comune che cambia su temi come le coppie di fatto o l’eutanasia. Su questi a livello geografico le differenze sono poche: ovunque c’è la percezione, per esempio, che possa essere legittimo scegliere di non morire in preda alla sofferenza. La società precede di molto la politica e così si apre un ulteriore distacco fra cittadini e istituzioni”. Il compito irrinunciabile della politica dovrebbe essere quello della mediazione. Essa dovrebbe poter mettere in discussione i valori assoluti, stemperarli dalle asperità, rendendo fruibili principi di libertà ad
di Marcello Buttazzo
una vasta cittadinanza. Ma, purtroppo, in questi anni, nelle stanze del potere, abbiamo assistito alla messa in scena d’un teatrino inverecondo. Tra centrodestra e centrosinistra s’è fatto a gara per non realizzare nulla di concreto. Già il governo Prodi s’interessò, senza alcun risultato, per addivenire ad una normativa sulle coppie di fatto. All’interno del partito del professore s’agitavano varie anime: evidentemente, i conservatori e i teodem erano tanto forti da condizionare i giochi. E anche adesso, il Pd del rampante Renzi è internamente frastagliato. Già da tempo, l’ex “rottamatore” ha preannunciato la formulazione d’una legge sulle coppie di fatto omosessuali. Ma, incredibilmente, vorrebbe rifarsi al modello tedesco. Come se quarant’anni di cultura dei diritti nel nostro Paese non fossero sufficienti per strutturare un modello italiano. Su altre questioni bioetiche, il giovanilistico premier di Firenze ha le idee molto confuse. Ad aprile scorso, la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo il divieto di fecondazione eterologa. Il ministro della Salute Beatrice Lorenzin aveva pronto un decreto legge per regolarizzare l’accesso alla pratica, rendendolo uniforme in tutte le Regioni, scongiurando così spiacevoli ed eventuali fenomeni di “federalismo della provetta”. A rigore, dopo l’autorevole pronunciamento della Consulta,
sarebbero bastate poche, snelle, essenziali linee per disciplinare la procreazione medicalmente assistita. L’ex “rottamatore” ha pensato bene, invece, di stoppare Lorenzin e di rimandare ogni discussione e decisione al Parlamento, lasciando in attesa migliaia di coppie sterili desiderose d’avere un figlio. Il premier, forse, dimentica che le Camere hanno avuto più di dieci anni per modificare radicalmente l’infausta, illiberale, antiscientifica legge 40/2004. E non l’hanno fatto. Addirittura, ultimamente, non sono state neppure riscritte le linee guida della pasticciata legge. La politica istituzionale è in grave affanno, è in ritardo sulla bioetica. In passato, qualcuno ha voluto addirittura drammaticamente complicare la situazione. Pensiamo, per un attimo, alle dichiarazioni anticipate di trattamento, che dovrebbero essere, tramite consenso informato, una enunciazione di volontà relativamente ai trattamenti sanitari. Un trascorso governo Berlusconi ebbe l’ardire di approntare un ddl. Calabrò antiscientifico, incostituzionale, che aveva la pretesa di impossessarsi del corpo dei malati e, in nome d’un malinteso biologismo spirituale, voleva imporci il sondino di Stato e la vita artificiale. Ovviamente, il ddl. Calbrò si spense nelle morte secche del Parlamento. E non se ne fece più nulla. Il “fine vita”, però, è una terra delicata, travagliosa, che merita morbidezza, rispetto, cura estrema. Nessun bipolarismo etico, creato ad arte da politici assetati di effimero consenso, può deprivare la gente d’una sacrosanta attesa: quella di voler porre dei punti fermi per possibili accadimenti di estremo e terminale patimento. L’Associazione Luca Coscioni ha lanciato da tempo la campagna “Eutanasia legale”. Da mesi e mesi, oltre 67.000 cittadini hanno depositato una proposta di legge per l’eutanasia legale, il testamento biologico e l’interruzione delle terapie. I parlamentari non hanno ancora fatto assolutamente nulla: né un’audizione, né un dibattito. Il 12 settembre 2014, per sollecitare le istituzioni addormentate, ci sarà un girotondo, a Roma, con Mina Welby attorno al Governo e al Parlamento. Inoltre, il 12 e il 13 settembre, davanti al Comune o alla Prefettura delle città italiane ci sarà una manifestazione per chiedere ai parlamentari la discussione della legge sull’eutanasia e ai Comuni l’attivazione del registro dei testamenti biologici.
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in corsivo
della domenica n°41 - 31 agosto 2014 - anno 2 n.0
Il grande evento serve all’Italia o solo a Milano?
Di chi è l’Expò I
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na domanda: l’Expo di Milano è di Milano o riguarda l’Italia intera? Non è questione di poco conto, a Milano ci sarà la location delle esposizioni, là in molti ringraziano le amministrazioni Formigoni e Maroni, in particolar modo la ‘ndrangheta, la camorra e la mafia. Inquisiti e indagini come se piovesse (e in questa stramba estate di pioggia ne è arrivata veramente). A parte questi aspetti che riguardano la giustizia piuttosto che l’informazione, in Lombardia, a Milano in particolare, sono arrivati milioni e milioni di euro per questa immensa manifestazione, e sono quattrini italiani (attenti ai dettagli, non sono lombardi, milanesi, leghisti, sono degli italiani tutti). Alla fine della fiera rimarranno costruzioni più o meno inutili, cemento in quantità, padiglioni destinati all’abbandono in perfetto italian style, e via dicendo. Ultimamente in una conferenza stampa congiunta, Sgarbi e Maroni hanno rivendicato l’italianità dei bronzi di Riace, infatti li vogliono a Milano ad ogni costo, esponenti della lega si accorgono di essere italiani quando si tratta di scippare opere d’arte, per il resto “ognuno padrone a casa sua”. Ora, nominare uno come Sgarbi a incarichi tanto delicati è come mandare Borghezio all’Accademia della Crusca a parlare di bon ton. Non è dato sapere quanti quattrini pubblici intascherà per fare l’ambasciatore culturale dell’expo, sappiamo però che molti studenti di istituti d’arte avrebbero fatto meglio, in fretta e si sarebbero accontentati di molto meno quattrini. Infatti abbiamo sentito il provocatore Sgarbi parlare di Caravaggio, Michelangelo, Botticelli, Arcimboldo e via dicendo, non per dire, ma con il patrimonio artistico che abbiamo in Italia solo un imbecille potrebbe sbagliare un nome. Il valore aggiunto di uno come Sgarbi
di Gianni Ferraris
l Museo Nazionale di Reggio Calabria è uno dei musei archeologici più prestigiosi d'Italia. La sede che lo ospita, affacciata sulla centrale Piazza De Nava e a breve distanza dall'imbocco del Lungomare «I. Falcomatà», è un edificio progettato, fra i primi in Italia, ai soli fini dell'esposizione museale; è opera di Marcello Piacentini, uno dei massimi architetti del periodo fascista, che lo concepì in chiave moderna dopo aver visitato i principali musei di Europa. L'istituzione di un museo statale fu promossa dal Soprintendente Paolo Orsi, che intendeva unificare gli oggetti custoditi presso il Museo Civico organizzato dal Comune sin dal 1882 insieme con i reperti frutto delle campagne di scavo da lui condotte sul suolo calabrese. Inaugurato nel 1959, il Museo è stato oggetto nel corso degli anni, di trasformazioni di grossa portata, quali l'allestimento, nel 1981, della Sezione di archeologia subacquea, resosi necessario per dare un'adeguata visibilità ai famosissimi Bronzi di Riace rinvenuti nel 1972, nonché la realizzazione del settore al secondo piano dedicato alle colonie della Magna Grecia. I Bronzi di Riace furono scoperti il 16 agosto 1972 nel tratto di mar Jonio antistante il comune reggino di Riace Marina da Stefano Mariottini, un appassionato subacqueo in vacanza in Calabria, durante un'immersione a circa 200 m dalla costa ed alla profondità di 8 m. Il recupero fu curato dalla Soprintendenza con la collaborazione del Nucleo Sommozzatori dei Carabinieri di Messina. La sala che ospita i Bronzi è dotata di uno sistema di controllo del clima, mantenuto sui 20° d'inverno, 25-27° d'estate, con un tasso di umidità all'incirca del 35-40%, tale cioè da evitare l'innescarsi di nuovi fenomeni di corrosione. I Bronzi si innalzano su basi antisismiche alte sui 40 cm, come i basamenti delle statue greche antiche, vincolate al pavimento tramite l'interposizione di un sistema di isolatori in grado di attenuare le azioni orizzontali e non amplificare il moto verticale. Ciascuna statua è ancorata alla piattaforma antisismica tramite un'asta e cavi di acciaio in inox.
avrebbe dovuto essere il nominare sconosciuti di sicuro talento e valore, pagarlo per scoprire Caravaggio mi pare discutibile eticamente e moralmente. Per dirla tutta, se avessero fatto un’intervista doppia a Renzo Bossi e alla Minetti avrebbero citato gli stessi artisti che ha fatto Sgarbi. Ma torniamo ai Bronzi di Riace, se l’expo è pagato dagli italiani tutti, deve riguardare l’Italia nel suo complesso. E qui diventa questione di scelte. O si opta per fare di Milano il centro del mondo (come tanto piace ai padani e a Sgarbi), oppure si lavora per l’Italia, Milano in questo modo può diventare trampolino di lancio per i milioni di turisti che potrebbero avere l’opportunità di vedere dal vivo il più grande museo mondiale: l’Italia intera. Quindi i bronzi si vedranno a Reggio Calabria, Arcimboldo a Cremona (come hanno deciso i cremonesi negando a Sgarbi l'opera richiesta) e via dicendo, in un tour che valorizzi il paese nel suo complesso. Come si evince la scelta è politica, l’expo non è di Milano, speriamo che Franceschini tenga duro nella sua idea di fare dell’expo una cosa nazionale, in effetti a nessuno importa sapere se i bronzi sono o meno trasportabili, a tutti interessa che le ricadute turistiche siano al paese nel suo complesso. Quindi benissimo ha fatto Cremona a negare Arcimboldo a Milano, Expo crei il modo di portare le persone a vederlo in loco. Da questo punto di vista Sgarbi è la persona meno adatta al ruolo per cui è pagato (sicuramente strapagato), ha infatti dichiarato l’ immarcescibile: “Pensare che Expo sia un Bengodi da cui tutti dovranno trarre vantaggio è da mentalità malata. Credere che uno giunga dall'Australia per Expo e poi sia disposto ad arrivare fino a Cremona o Reggio Calabria per vedere una singola opera è da pazzi: secondo me” le città che trarranno beneficio dall'evento, oltre Roma e Milano, sono Venezia, Firenze e Torino".
Beni culturali
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Per la Casa Museo e il Santuario della Pazienza di Ezechiele Leandro, al 26 di via Cerundolo di San Cesario di Lecce, arriva il vincolo Il Ministero delle Attività Culturali e del turismo ha dichiarato l’opera diell’artista di interesse culturale, sottoposta quindi a tutte le disposizioni di tutela contenute nel Decreto Legislativo 42/04
Leandro
di Antonio Zoretti
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zechiele Leandro era un uomo umile. Di un’umiltà tormentata e vera, di grande rilievo; un’umiltà puntuta, a volte, provvista di spada, nutrita dal dolore. Era (ed è inerme) Ezechiele, andava tutelato. Egli era antico, di un’antichità difficile da ottenere nell’indirizzo degli altri, falsificati nella posa di questo tempo smorfioso, in cui occorre essere simili anziché unici. Egli era d’animo gentile, un uomo umano; bizzarro a volte ma senza atteggiamenti leziosi, persona di poche parole… persona essenziale. Poteva apparire pretenzioso nel suo tempo, ma essere umile e antico, tenero e delicato: era la sua difesa. Dico questo poiché è ciò che di lui non si sa, ciò che di lui poco si sottolinea. Di Ezechiele si sa tutto il resto: era burbero, folle, strano, solitario, apatico ecc..., ma non si sa quello che è stato nella scena artistica, sempre, per essere il resto. Dal Santuario della Pazienza ai murales e numerosi quadri e disegni e sculture. Gli uni e gli altri, una volta tutti accanto, ora son sparsi per l’universo, giustificano le dovute spiegazioni delle sue opere
Un’opera pittorica di Ezechiele Leandro
un fare artistico portato fino all’estremo... Una ricerca aperta verso la pura lingua, il puro segno... Ridire di Leandro adesso, ha senso per noi immersi nel tempo dell’impazienza. Si faceva nemici e amici Leandro, era schietto, frontale, aperto, sicuro del suo fare, maestro a noi nel tempo dell’esasperato individualismo che ci tocca vivere. Lui amava gli altri facendo finta di odiarli, questo il dibattito di un’umile persona; ripensare Ezechiele come risposta all’illusorio disamore contemporaneo è amore ulteriore. Egli era innamorato del suo operare, il suo era amore per l’arte, un amore tanto passionale da essere impetuosamente dominante, istintivo. Superava la misura... gravoso ritrovare oggi questo carattere arcaico, potente, vivo. Grandezza selvatica e interamente civica la scena di Ezechiele Leandro. Ricordiamolo bambino, bambino cresciuto, adulto, ormai grande e poi ancora, con l’ultimo guizzo d’arte negli occhi. Addio, ancora addio Ezechiele Leandro. La tua opera, se pur ridotta a poco, resterà a custodia dei nostri cuori. La luce è arrivata, l’atto è stato compiuto.
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Riviste
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E’ on-line Amaltea Trimestrale di cultura anno IX / numero due - agosto 2014 vi proponiamo l’editoriale che apre il numero
D’estate
l narrare mai descrive, agisce; su me che racconto, sull’altro che ascolta. E il racconto non cade da un punto che tutto guarda e tutto coglie e registra oggettivamente. La narrazione non è mai innocente: il ‘perché’ che mi fa narrare è già lente attraverso cui guardo e filtro ciò che narro, e che mi suggerisce come narrarlo. Nessuno è innocente quando racconta. E le sue parole riproducono sempre il fuoco da cui guarda. Le storie sono performative, le storie trasformano. C’è pure un ché di inerziale nella narrazione, che la fa spesso riandare per sentieri già percorsi, e a riconoscere il noto anche in ciò che è totalmente altro e diverso, che dunque finisce per non vedere. È rassicurante questo, lo pensiamo antidoto all’angoscia. Anche quando, sotto sotto, sappiamo che è un vicolo cieco, che abbiamo già percorso e ripercorso tante volte, ogni volta con la speranza di trovarlo il varco, per uscire. E ogni volta confermati dell’inutilità – già saputa – di quel tentativo. L’alterità ha il potere di mettere in crisi il consueto della narrazione. È perturbante, ti sollecita varianti, slittamenti, ri-narrazioni, che allargano il senso, includono altri personaggi, rivelano inaspettatamente nuovi particolari sui personaggi che già popolavano i tuoi discorsi. Far pratica di alterità! Non è sempre facile. L’autoconsapevolezza, possibilità di tentare di costruire qualcosa di sensato per sé, è un teatro di personaggi e dialoghi che continuamente drammatizziamo, sia che siamo da soli, sia che siamo con gli altri,fisicamente intendo, perché con gli altri ci stiamo sempre, ce li portiamo dentro, compagni o persecuzioni. E quando la storia non gira tutto diventa complicato. Quando la storia
di Ada Manfreda
non gira quello che guardo comincia a deformarsi: il prima e il dopo si confondono, non riconosco più le distanze, e le parole stanno in unposto lontanissimo che sento a malapena, quelle degli altri ed anche quelle mie. E non riescono più ad essere quelle giuste. *** Mi piace l’estate, il caldo che si porta dietro, perché mi pare essere una tregua del tempo in cui tutto questo può non essere così, o comunque non così urgente, non così necessariamente dirimente. È questo caldo. Ti avvolge in un abbraccio di consolazione e protezione e ti appaga, nel mentre ti espande e ti espande e ti espande, sempre di più, dandoti soavità. Ti espande tanto, troppo, ti ritrovi disciolta, senza più consistenza, dentro e fuori si equivalgono. C'è un'ora del giorno d'estate in Salento, che apre un varco nel tempo, e nella coscienza. Arriva sempre uguale, finché dura la lunga calura di questi luoghi. Strade e campagne si fan deserte, qualunque cosa perde l’ombra: niente più profondità, nessun prima, nessun dopo, solo profili simultanei che si stagliano netti e tre-molanti di sole. Non s’ode nulla oltre al canto delle cicale, tante cicale, a stordimento: riempiono l'aria, insieme all'afa. Sei immersa in questa sospensione, che avvolge, appagante e spaventosa insieme, e satura tutti i sensi. Che tutto rende possibile. Anche il nulla può esserci e c’è senza procurare ansia, senza invocarti per essere riempito. Puoi contemplarlo ed besserne pacificata. Ti puoi acquietare un po’ forse, d’estate. Ti aiuta a riprender fiato, o a distrarti nel desiderio che non finisca mai. Le possibilità di essere felici sono direttamente proporzionali alle capacità che abbiamo di usare in modo giusto le parole.
Una cicala
La città e il cambiamento spagine
Lecce 2019
della domenica n°41 - 31 agosto 2014 - anno 2 n.0
Cos’è uno spazio culturale di Mauro Marino
A
ncora ieri hanno chiesto l’uso dello spazio: “Abbiamo bisogno di un luogo per provare. Siamo un gruppo musicale acustico, non facciamo rumore. Ci basterebbero due, tre ore la mattina”. È così al Fondo Verri. Ieri, e per tre giorni, le prove di un’attrice che porta il suo lavoro in Svizzera, a sera la rassegna di cinema per raccontare di alcuni autori salentini e poi… tanto, tanto altro. Non c’è giorno che la richiesta non si rinnovi, per un incontro, per la presentazione di un libro, per la messa in opera di una mostra, per girare nel nero della sala un video o, vista la buona acustica, poter registrare il master per un nuovo cd. È normale che accada in una città come la nostra, presa ormai da anni dalla febbre creativa, dove molti s’inventano il mestiere e il desiderio espressivo trova sponde nell’arte; una città che si candida a divenire Capitale Europea della Cultura nel 2019, un processo si spera virtuoso, un’opportunità per riconsiderare le politiche culturali e sociali sin’ora messe in atto e sul passo nuovo da osare e imprimere loro se veramente si punta alla meta europea. E’ normale che ciò accada, ma ciò che non è normale è che a rispondere alla domanda di agibilità creativa sia uno spazio, che seppur attrezzato, misura pochi metri quadrati. Un buco - un’isola - dove si pratica l’ascolto e l’ospitalità, dove molte sono state le nascite, le “prime prove” di contatto con il pubblico, di artisti oggi noti, testimoni della variegata identità culturale salentina. Non c’è bisogno di fare elenchi, ne si vuole qui rivendicare alcunché, men che meno l’unicità dell’esperienza. Ciò che
preme è immaginare come uno spazio dedicato alla ricerca e alle pratiche della Cultura debba oggi configurarsi alla luce del cambio di passo gestionale annunciato con l’affidamento all’Axa di Giampiero Corvaglia del Museo Catromediano, della Biblioteca Bernardini, dell’ex Convitto Palmieri e di San Francesco della Scarpa e con le visioni seminate nei laboratori del Sac Terre di Lupiae, dove la progettazione partecipata riflette sulla valorizzazione e la gestione integrata di beni ambientali e culturali esistenti e fruibili - aree protette, beni monumentali e archeologici, musei, teatri storici e biblioteche; nell’area leccese, con il capoluogo, Castrì, Cavallino, Lizzanello, Melendugno, Monteroni, Novoli, San Cesario, Squinzano, Vernole. In tutto, in Puglia - è la Regione, l’ente che promuove l’iniziativa - sono 18 i Sac, coinvolgono 187 comuni e più di 1000 partner. Si immagina che la cultura e il paesaggio possano ritornare ad essere un fattore chiave delle politiche di sviluppo territoriale. Anche noi lo auspichiamo, anche Lecce 2019 lo auspica con il suo re-inventare eutopia che è un manifesto politico più che un “cartellone di eventi culturali”. Una strategia per immaginare e soprattutto praticare la “città ideale”, quella rinascimentale con al centro l’uomo, quella oggi necessaria per ri-trovare il senso di essere città d’arte e di cultura. Città responsabile, capace. Città di spazi dedicati alla creatività e al fare dove poter crescere bellezza e coscienza civica. Il Fondo Verri è in via Santa Maria dal 1993. Prima un Laboratorio, poi con il Piano Urban a fine anni Novanta, la dedica ad Antonio Verri per continuare la sua militanza di aggregatore cul-
Gianluca Costantini - Piccolo omaggio al Fondo Verri
turale. Un progetto riuscito che ha tenuto fede all’impegno preso con l’Europa e con il suo ispiratore. Lo ritengo un modello “esportabile” quello praticato: il modello dell’ascolto, dell’accogliere, del tentare manovre di valorizzazione. Un modello al riparo dalla necessità politica del dover fare clientela (così è stato per molte delle strategie messe in atto dagli Assessorati alla Cultura “padroni” dei luoghi e dei denari) e da quella economica del dovere far “cassetta” subito. Ogni processo creativo ha i suoi tempi ed uno spazio virtuoso dedicato alle pratiche di ricerca creativa deve poter essere incubatore, recinto di svezzamento, luogo di studio, di approfondimento, cantiere del primo confronto e poi trampolino, scena… Uno spazio dove ad allenarsi è anche la funzione critica, col suo guardare, col suo innestare esperienze, con lo scrivere, il documentare i processi che rendono il pensiero e il fare aderenti ai bisogni della vita… I bisogni del creatore e quelli della comunità in cui ha scelto di operare. L’esistenza di una cultura dipende interamente da ciò che potremo chiamare l’incarnazione delle idee. Ecco, uno spazio culturale è un luogo in cui il pensiero e il desiderio creativo non vagano soli, abbandonati, il pensiero e il fare si “incarnano”, sono accolti, accettati divenendo patrimonio comune – Cultura - segno condiviso dell’identità di una città, della sua molteplicità e al tempo stesso della sua unicità.
*Fondo Verri - Forum dei Sostenitori di Lecce 2019
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Storia
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Nel giro di pochi giorni la civiltà è stata annientata. Nel giro di pochi giorni i capi hanno fallito. Perché il loro ruolo, l’unico che contasse veramente, era appunto quello di evitare la catastrofe". Queste parole di Gabriel Chevallier, tratte da La paura, un romanzo di guerra pubblicato nel 1930 in Francia, non possono però valere per l’Italia, che entrò nella fornace del primo conflitto mondiale dopo 10 mesi, mentre Germania, Inghilterra, Austria, Russia e Francia decisero per la guerra nel giro di un mese. L'evento contingente di Sarajevo, il rischio calcolato, il tempo au ralenti delle diplomazie assediate dagli avvenimenti, le strategie militari, le psicologie di capi di stato e ministri, la ricerca di occasioni esistenziali di intellettuali e di settori della borghesia annoiati dalla Belle Époque, le mobilitazioni e le contro-mobilitazioni, tutto questo precipiterà nell’istante della decisione per la guerra presa den Tag und die Stunde, per dirla con le prime parole che aprono le Considerazioni di un impolitico di Thomas Mann. Una guerra di cui nessuno, o quasi, fu in grado di prevedere le immani conseguenze distruttive e il trauma indelebile che avrebbe rappresentato per l’Europa. L’Italia, invece, entrò nella Grande Guerra dopo quasi un anno di discussioni laceranti e ne uscì vittoriosa, nonostante il rovinoso sbandamento di Caporetto, ma sempre altrettanto divisa e lacerata. Con una vittoria militare ottenuta a carissimo prezzo e che non produrrà coesione nazionale né senso di condivisione pubblica. Anzi, proprio il mito della “vittoria mutilata” e l’incapacità politica dell’élite liberale di capitalizzare il 4 novembre del 1918 rendendolo fattore di legittimazione portarono alla dissoluzione del sistema parlamentare, all’avvento del fascismo e a una idea totalitaria di patria. Tutti questi fili tornano e vengono puntualmente analizzati nel nuovo libro di Marco Mondini, La guerra italiana. Partire, raccontare, tornare 1914-1918, (il Mulino) che sottolinea la peculiarità dell’intervento dell’Italia come il "punto di arrivo di una tormentata transizione" e momento di svolta fondamentale per il paese nel Novecento, rilevando allo stesso tempo come il fronte italiano sia stato, invece, sottovalutato dalla storiografia europea della guerra 1915-18. La recente The Cambridge History of First World War si limita, in tre volumi e più di duemila pagine, a dedicare un solo contributo al fronte italo-austriaco. Eppure basti solo pensare che 400 dei 650.000 morti italiani sono rimasti uccisi sull’Isonzo, un "monumento della carneficina europea" scriverà il tenente austriaco Fritz Weber in Tappe della disfatta. Morte di massa e in serie a livelli che nulla hanno da invidiare ai più sanguinosi teatri di guerra del fronte occidentale come Ypres, Verdun, la Somme e contraddice il mito pittoresco e leggendario della guerra in montagna tra ghiacciai, paesaggi mozzafiato e alpinisti sciatori. Di fronte ai massacri del Carso, l'enfasi sulla "guerra bianca" come variante del conflitto storia-natura appare profondamente oscena, ci ricorda Mondini.
I tre momenti dell’andare (l’attesa della guerra, la nazione in armi e la struttura sociale dell’esercito, la partenza), del raccontare (le memorie, la propaganda e la retorica, le case del soldato) e del ritorno (i reduci, i prigionieri di guerra, la memoria pubblica e monumentale) sono gli aspetti della guerra italiana che Mondini, storico allievo di Piero del Negro, mette a fuoco in questo eccellente saggio. Alla base del lavoro un cospicuo apparato di letture che va dagli archivi militari e di Stato ai quotidiani, dalle lettere alla memorialistica di guerra. Da segnalare il peso che Mondini attribuisce al ruolo dei tanti combattentiscrittori che hanno dato forma allo specifico italiano del mito dell’esperienza di guerra. L’autore non si limita alla lettura di quelli che sono per noi i classici della memoria di guerra come Lussu o Comisso, ma prende in considerazione testi ormai dimenticati che
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Leggere la guerra
di Sebastiano Leotta
La copertina del libro edito da Il Mulino
furono però, nel dopoguerra, autentici best seller come Le scarpe al sole di Paolo Monelli e il bellissimo Trincee di Carlo Salsa, usciti rispettivamente nel 1921 e nel 1924. Si può dire che ormai la storiografia militare, politica e diplomatica della Grande Guerra è stata affiancata da tempo dallo studio delle modalità di comprensione e di elaborazione psicologica, culturale e sociale che gli europei ebbero della Prima guerra mondiale. Mondini è in buona compagnia, basti pensare a storici come Isnenghi, J. Winter, E. Leed, J.J. Becker, C. Clark e P. Fussell. "Ciò che ho scritto non è una storia militare classica. Le battaglie e le tecniche di ingaggio trovano poco spazio, anche se la conoscenza dei meccanismi della società militare, della cultura tecnica dei professionisti delle armi e delle condizioni di vita (e di morte) dei combattenti è un elemento fondamentale di questo lavoro. Il mio approccio fa però i conti soprattutto con quella che è stata definita la storia culturale della guerra e con la predilezione per l’analisi delle rappresentazioni e dei discorsi, piuttosto che degli ordini di marcia e dei calibri delle artiglierie. Per questo ho intrecciato fonti che possono apparire a prima vista incongrue: documenti d’archivio istituzionali e testi letterari, testimonianze artistiche e statistiche ufficiali, pellicole cinematografiche e fumetti". Soffermiamoci, in conclusione, sull’andare. Singolarità del caso italiano. L’entrata in guerra dell’Italia non è a caldo, nessuna reazione immediata. Al contrario,
l’intervento - il primo esperimento collettivo della nazione - sarà meditato e discusso per quasi un anno. Una singolarità, dunque, che vale la pena di studiare a fondo, perché la forbice tra interventisti (la minoranza) e neutralisti (la maggioranza) rivelerà dei tratti conflittuali della società italiana che la partecipazione alla guerra e il sacrificio di 650.000 morti non saranno sufficienti a ricomporre, anzi. Sono molteplici i soggetti e le loro ragioni di avversione o di sostegno alla guerra: irredentisti, sindacalisti rivoluzionari, nazionalisti, il governo e la corona, l'industria e i militari, Mussolini e il D’Annunzio di Quarto, la Chiesa, il silenzio e la rassegnazione di milioni di contadini ancora estranei ai miti nazionali. Alla fine di un processo decisionale complesso e ambiguo, che culminerà nella forzatura del maggio 1915, ecco la dichiarazione di guerra all’Austria. Gli italiani, dopo essere stati spettatori del primo anno di guerra, ne diventano attori. Dalla guerra vista, sognata, temuta, dalla guerra rappresentata attraverso giornali e riviste (Mondini ricorda il ruolo del “Corriere della sera” e delle copertine di Achille Beltrame), si passerà alla guerra per davvero: "cominciava la guerra vera, quella di trincea, in cui il paese entrava diviso e sotto molto aspetti non preparato". Un trauma che avrebbe segnato come null'altro la storia futura del paese. http://www.unipd.it
Una fotografia di Marie-Pierre Cravedi per il FAB 30 di Bitume
Bitume
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Arte
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festival urbano di fotografia
rende il via a Lecce, dal 12 al 27 settembre, la prima edizione di BITUME PHOTOFEST, festival urbano di fotografia che, andando oltre i limiti della fruizione culturale canonica, si irradia in città, contaminandola e “invadendone” gli spazi, pubblici e privati. Il nuovo format nasce, infatti, con l’ambizione di rendere la città di Lecce un contenitore culturale diffuso, in grado di coniugare storici approfondimenti identitari sulla città e sguardi contemporanei di respiro internazionale, in un binomio culturale di tradizione e innovazione che stimoli la coscienza intellettuale della comunità e le permetta di riflettere sul contesto creativo europeo. La stessa genesi semantica di Bitume ha una doppia valenza. In primo luogo si rifà agli albori della fotografia (a quando Niépce, agli inizi dell’800, scoprì che il bitume di Giudea risultava sensibile alla luce ed era in grado di ottenere un positivo), ma anche alla strada, all'asfalto, all’estensione urbana del festival, proponendosi come format culturale aperto alla condivisione pubblica della fotografia. Realizzato con il sostegno e la collaborazione di Apulia Film Commission e il patrocinio del Comune di Lecce e della Camera di Commercio, BITUME PHOTOFEST è un progetto e un marchio dell’Associazione Culturale Positivo Diretto di Lecce, composta da giovani professionisti pugliesi impegnati su vari fronti della fotografia, dell’arte contemporanea e della creatività. L’anteprima: SOLO ANDATA BITUME PHOTOFEST sarà presentato in anteprima a Brindisi con l’inaugurazione di Sola Andata di Daniele Coricciati, reportage fotografico dedicato ai paesaggi urbani e antropologici dell’Azerbaijan. Il progetto, realizzato per conto dell’Ambasciata azera in Italia e della Royal Photographic Society, sarà disponibile al pubblico dal 2 al 15 settembre negli spazi dell’Area Partenze dell’Aeroporto del Salento, in partnership con Aeroporti di Puglia e il Comune di Brindisi.
BITUME GRAND TOUR A Lecce, le esposizioni e il calendario di appuntamenti del festival saranno inaugurati ufficialmente il 12 settembre, con le attività culturali indoor programmate presso il CINEPORTO, spazio culturale di riferimento del festival e sede delle attività formative e d’intrattenimento, e gli allestimenti outdoor dislocati con il BITUME GRAND TOUR lungo il tessuto urbano della città storica, fruibile sino al 27 settembre. L’inaugurazione si terrà venerdì 12 alle 18.00 con una passeggiata pubblica, alla presenza di artisti, autorità e curatori del festival (si parte dal cortile della Libreria Liberrima). Esposte sulle superfici murarie pubbliche, appese sui balconi di storici palazzi cittadini, protese dai terrazzi di abitazioni private (Palazzo Turrisi, Palazzo ex Convento dei Teatini, Palazzo Tamborino Cezzi,
Lecce, che costituiscono la sezione Indoor del festival. Attraverso il tema della prima edizione, Street Memories (Memorie di Strada), il Festival si propone di indagare la città come contenitore di racconti personali e memorie collettive, di suscitare indagini antropologiche e culturali attraverso le tante suggestioni fotografiche e il supporto di docenti e professionisti ospitati. All’interno del CINEPORTO sono pertanto previsti: workshop (seminari di approfondimento, gratuiti e a numero chiuso, con professionisti legati al mondo della fotografia di fama internazionale, che tratteranno di nuove esperienze d’arte pubblica e best practices culturali e creative; presentazioni di libri fotografici e una specifica rassegna dedicata all’editoria indipendente e autoprodotta (BITUME PHOTOBOOK); e infine, momenti di intrattenimento culturale e artistico, tra cui performance di teatro danza, dj set di Populous (sabato 13 settembre), Live set con Il Genio (sabato 20 settembre). Tra i workshop si segnalano: Historia, memoria y silencios, con Lorena Guillén Vaschetti, 15-16 settembre 2014; A constant accumulation of images, con Julia Borissova, 17-18 settembre 2014; Che cosa guardiamo?, con Allegra Martin, 22-23 settembre 2014 (per partecipare ai workshop, è necessario compilare il form online sul sito di bitumephotofest). Ogni momento di dialogo e formazione sarà condiviso e supportato da professionisti del settore di comprovata esperienza e la partecipazione di rinomate istituzioni culturali a carattere nazionale, come il Museo di Fotografia Contemporanea (MUFOCO) BITUME FAB 30 A 30 progetti fotografici realizzati da artisti emergenti di Cinisello Balsamo, nel talk dedicato (il 26 alle 11), under 35 è invece dedicata la sezione BITUME FAB con la presentazione di progetti di arte pubblica, 30 del festival (Emile Antic, Giulia Flavia Baczynski, quali buone pratiche di fotografia contemporanea. Massimo Barberio, Anastasia Bogomolova, Daniele Brescia, Emanuele Brutti, Sofia Bucci, Alice Carac- ALTRE TRE MOSTRE ciolo, Claudia Corrent, Marie-Pierre Cravedi, Ilaria Il CINEPORTO ospiterà inoltre 3 mostre fotografiDi Biagio, Emma Grosbois, Vika Hashimoto, Idume che ispirate al tema principale di BITUME PHOTOStudio, Joseph La Mela, Orlando Lacarbonara, Pie- FEST 2014, Street memories: un focus storico rangelo Laterza, Eduardo Marcarios, Veronica Mac- costituito da fotografie degli anni 50 del salentino cari, Stefano Maniero, Luca Marianaccio, Salvatore Starace, che testimoniano i mutamenti Francesca Occhi, Tatyana Palyga, Luca Quagliato, socio-antropologici e urbani di Lecce, materiale d’arAnne-Sophie Stolz, Giacomo Streliotto, Lara Tabet, chivio gentilmente concesso da Ilderosa Laudisa, Vera Teodori, Shaun Tompkins, Alex Withey). storico dell’arte; Terre di Permanenza TemporaSelezionati su call internazionale (120 candidature nea di Ambra Biscuso, un progetto basato su fotoda tutto il mondo), i 30 progetti scelti saranno esposti grafie amatoriali ritrovate negli anni ’90 sulla in altrettanti esercizi commerciali del centro cittadino scogliera di Otranto in seguito ad uno sbarco; I.R.A. (abbigliamento, accessori, mobili e arredi, artigia- Italian Rap Anthology di Andrea Laudisa, repornato, ristorazione, servizi dedicati alla cultura) e sa- tage fotografico sul rap italiano. ranno visitabili in orari diurni o serali, in accordo con Maggiori informazioni su ospiti gli orari di apertura degli stessi (la mappa completa e attività di BITUME PHOTOFEST sono disponibili sul sito dei percorsi espositivi, Grand Tour e FAB 30, verrà www.bitumephotofest.org pubblicata sul sito del bitumephotofest e resa disponibile anche su mappe cartacee e via smartphone su Facebook www.facebook.com/Bitumepf attraverso un’App mobile facilmente scaricabile. Palazzo Vico della Cavallerizza, per citarne alcuni), le immagini fotografiche così realizzate garantiranno un effetto visivo di forte impatto e una fruizione culturale mai sperimentata finora nella città di Lecce. Per la sua prima edizione, BITUME PHOTOFEST ospita alcuni dei maggiori protagonisti della fotografia contemporanea: Giorgio Barrera, Andrea Botto, Michele Cera, Claudio Corrivetti, Paola De Grenet, Anna Di Prospero, Anastasia Rudenko, Sasha Rudenski, Pio Tarantini, Lorena Guillén Vaschetti, Allegra Martin, Julia Borissova (quest’ultimi attivi anche con workshops di approfondimento, nella sezione Indoor del festival). Una menzione speciale merita la partecipazione a BITUME di Ren Hang (presente a Lecce per l’inaugurazione del festival, per la passeggiata pubblica e per un talk a lui dedicato). Fotografo e poeta di origine cinese, è nato nel 1986 a Changchun e attualmente vive e lavora a Pechino. In Cina le mostre di Ren Hang sono state censurate in più occasioni, i suoi lavori sequestrati o vandalizzati e lui stesso è stato arrestato per oscenità. La portata sovversiva della sua arte che si tramuta in presunta pericolosità sociale fa di questo artista e delle sue mise en scène ironiche ed erotiche, un simbolo culturale moderno, un faro per quel tipo di arte che parla attraverso il linguaggio della dissidenza. Le sue opere sono state esposte in mostre personali a Parigi, Francoforte, Pechino e Shanghai e in mostre collettive in tutto il mondo.
APPUNTAMENTI E WORKSHOP Al programma espositivo del Festival, si accompagna, come detto, una fitta rete di momenti culturali e formativi organizzati negli spazi del Cineporto di
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Il giusto A
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Letture
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Oliviero Beha,Un cuore in fuga Edizioni Piemme - Voci
di Gianni Ferraris
volte l’immaginario collettivo e la mitologia popolare giocano brutti scherzi, a volte ti trovi a credere alla vulgata finchè non arriva lo studioso, lo storico, il giornalista capace che ti aiuta a comprendere meglio, a trovare un’altra verità ed una storia parallela. E’ stato un regalo quello di Oliviero Beha che con il suo libro “Un Cuore in fuga”, mi ha aiutato a commuovermi per la vicenda di Gino Bartali. Da sempre nell’immaginario collettivo colui che ha duellato con Coppi. Da sempre vissuto come “quello dell’azione cattolica”, mentre il suo rivale era ben visto da una certa sinistra per le sue scelte di vita, per la scomunica che gli procurò la sua storia con la Dama Bianca. Uno detto il baciapile, l’altro considerato un rivoluzionario, anche se, diciamolo, comunista Fausto Coppi non lo è stato mai, per inciso diremo che Pajetta era fan sfegatato di Bartali, e che Togliatti, svegliandosi dopo l’attento che subì, si informò su Gino al Tour. Eppure erano due campioni assoluti, il campionissimo Coppi, e Bartali, quello che divorava le salite. Quello che, in ritardo su Bobet di oltre 20 minuti al Tour de France, ricevette una telefonata da De Gasperi. Un tizio aveva sparato a Togliatti, le piazze erano in rivolta una vittoria di Bartali avrebbe contribuito a rappacificare gli animi. Gino obbedì, divorò l’Isoard e il Tour di France. Anche se ai francesi ancora bruciava il tradimento dell’Italia dovettero inchinarsi a quel re. E De Gasperi aveva visto bene, le piazze si placarono anche grazie a Gino, a quel baciapile. Lo stesso Gino che si terrà dentro senza mai farne vanto le sue collaborazioni con i partigiani, il suo aver salvato almeno 800 ebrei portando loro in bicicletta, nascosti nella canna o chissà dove, documenti falsi e fotografie da Firenze ad Assisi. Mille Km ed altri mille. E ancora ci racconta Beha del primo Tour vinto nel ’38, quando arrivò a Parigi e invece di salutare romanamente come facevano gli atleti del calcio, si limitò ad il segno della Croce, un gesto che, oggi sappiamo, era da vero antifascista. E ancora quando Mussolini dovette riceverlo dopo il Tour e lui si presentò senza camicia nera (come invece fecero i calciatori) e senza gagliardetti, solo uno appuntato all’occhiello, quello dell’Azione Cattolica. Un cuore in fuga rende finalmente onore a tutto tondo a questa figura epica dello sport. Gino Bartali festeggiato dopo la conquista finale della maglia gialla al Tour de France, il 25 luglio 1948 A sinistra la copertina del libro
in Agenda
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Una mostra
per i 90 anni del CNR
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a Lecce dal 26 settembre al 18 ottobre
vrà luogo al Castello Carlo V° di Lecce dal 26 settembre al 15 ottobre la mostra storico-documentaria, itinerante,dal titolo Le donne tra analfabetismo ed emancipazione - Dalle carte di Tommaso Fiore a cura di Rosa Maria Capozzi, promossa dal Comitato Unico di Garanzia del CNR per celebrare i novanta anni della fondazione del Consiglio Nazionale delle Ricerche. La Mostra comprende documenti storico - bibliografici tratti dall’intenso carteggio tenuto dal famoso umanista pugliese con esponenti importanti della cultura del suo tempo, in particolare con donne di grande personalità ed impegnate nel sociale. I documenti sono stati messi a disposizione dalla Biblioteca Nazionale “Sagarriga Visconti Volpi” di Bari, dal Fondo Tommaso Fiore (1884-1973) di Bari e dall’Archivio Storico N.D. La tappa leccese della mostra gode del supporto dell’Associazione Muse del Salento
Le giornate del giornalismo
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La copertina del bel catalogo che accompagna la mostra
a Trepuzzi dall’8 al 12 ottobre
are al nostro territorio l’opportunità di un “festival del giornalismo”. Questa l’idea alla base delle Giornate del Giornalismo in programma dall’8 al 12 ottobre 2014 a Trepuzzi, organizzate dall’Associazione Culturale Fermenti Intraprendenti, in collaborazione con il Comune di Trepuzzi, il Gal Valle della Cupa, il patrocinio della Regione Puglia e il supporto dell’Associazione Amici di Maurizio. La tre giorni di confronto e formazione si articolerà in occasioni seminariali, convegni e workshop di riflessione condivisa sulle nuove sfide che attedono la professione giornalistica. L'evento intende anche condividere e diffondere le buone pratiche di imprenditoria culturale, con l'esperienza delle aziende che operando nel settore del giornalismo e della comunicazione hanno creato posti di lavoro, dando un impulso consistente all'economia locale. Le giornate dal 9 all'11 ottobre rientrano nell'iniziativa Laboratori dal Basso, organizzata dall' Arti-Regione Puglia.
Ai giornalisti presenti verranno rilasciati i crediti formativi previsti dalla nuova normativa nazionale che introduce l'obbligo della formazione. A tutti i partecipanti verrà rilasciato un attestato di frequenza. Particolarmente interessante la giornata di venerdì 10 ottobre, nel corso della quale alcuni giornalisti racconteranno la professione agli studenti delle scuole elementari e medie. E’ in fase di organizzazione un seminario formativo sulle “ripercussioni legali” della professione, un incontro utile per gli avvocati e i giuristi che hanno a che fare con il giornalismo e l’etica professionale. Ecco alcuni dei temi della tre giorni: L'imprenditoria culturale: quando giornalismo e comunicazione creano posti di lavoro; Il giornalismo 2.0: social media e social media marketing; Il mercato del giornalismo: come fare carriera; Il giornalismo e l’innovazione sociale: open data, citizen journalism, partecipazione dei cittadini alle decisioni pubbliche; Il giornalismo 3.0: una professione oltre gli steccati burocratici. Contatti: luciolussi81@gmail.com
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SoundMakers
copertina
Festival
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Dedicata alla Pace l’edizione 2014 Appuntamenti a Lecce e Copertino
l via la quarta edizione di SoundMakers Festival, progetto di ricerca creativa e cultura accessibile che si svolgerà sino a domenica 7 settembre tra Lecce e Copertino con un cartellone ricco di appuntamenti sul tema della Pace. Il primo appuntamento domani, Lunedì 1 settembre, alle 17.00 ingresso gratuito, presso l'Ex Convento dei Teatini a Lecce con la testimonianza di Laura Hassler, fondatrice e direttrice di Musicians without Borders (Musicisti senza frontiere), tra le principali organizzazioni di riferimento nell’ambito della cooperazione internazionale. *** Laura Hassler porterà la sua testimonianza sul tema Al di là del multiculturalismo. L’Arte come strumento innovativo per la cooperazione internazionale, ospitata da SoundMakers e organizzata da Arci Lecce in collaborazione con IProject Lab, Magna Grecia Mare, Terra del Fuoco Mediterranea, 3giritditè, ZIG, ZEI, Istituto di Culture Mediterranee della Provincia di Lecce e Lecce2019, e realizzata con il contributo dell'iniziativa Laboratori dal Basso, azione della Regione Puglia cofinanziata dalla UE attraverso il PO FSE 2007–2013. L'incontro (aperto a tutti) è rivolto soprattutto a operatori sociali, specialisti in cooperazione internazionale, specialisti in risoluzione dei conflitti, associazioni di volontariato e di promozione sociale, musicisti e artisti impegnati nel sociale. Fin dal 1999 Laura Hassler esplora l’utilizzo della musica nella costruzione della pace insieme alle persone che in tutto il mondo subiscono le conseguenze della guerra e dei conflitti armati. Figlia del famoso pacifista Alfred Hassler e cresciuta in una comunità multiculturale e artistica di New York, terrà una lezione pubblica sulla cooperazione internazionale attraverso il racconto della storia e dei progetti svolti da Musicians without Borders, una rete internazionale che utilizza il potere della musica per la cura e la riconciliazione in aree lacerate dalla guerra e dal conflitto. I progetti sviluppati rispondono alle necessità delle singole comunità e vengono realizzati in collaborazione con musicisti ed associazioni locali coadiuvati dai professionisti e gli educatori specializzati nel condurre progetti musicali di comunità in luoghi costretti a misurarsi con la paura, il trauma e l’isolamento generati dalle guerre e dai conflitti. Il pilastro su cui si fonda il lavoro di Musicians without Borders è la convinzione che la forza della musica può curare, riconciliare e aiutare a costruire una consapevolezza umana globale, che la musica commuove e tocca le persone nel cuore e nell’anima e che, se è vero che il “dialogo interculturale” si affida al linguaggio per affrontare le differenze, la musica può però superare le barriere della lingua e della cultura e parlare alle emozioni, la più potente delle motivazioni umane, facendo appello a ciò che è condiviso. Laura Hassler è attiva fin dalla tenera età in movimenti per la pace e diritti civili negli Stati Uniti, ha studiato antropologia culturale e musica al Swarthmore College. Durante gli anni ‘70 ha lavorato per Friends (Quaker) Peace Committee; per il Committee of Responsibility on Vietnam a Philadelphia; per Thich Nhat Hanh della Delegazione per la Pace Vietnamita Buddista a Parigi e per la Fellowship of Reconciliation a New York. Trasferitasi in Olanda nel 1977, ha intrapreso una carriera come musicista, collegando la musica a cause sociali. Si è specializzata in diversità culturale nelle arti, ha fondato una World Music School e ha lavorato come consulente di diversità per istituzioni artistiche. Nel 1999 ha avviato l’organizzazione della rete globale Musicians without Borders di cui è attualmente la direttrice, oltre che fondatrice. *** Musica, cinema, fotografia, teatro, incontri e workshop: come ogni anno SoundMakers metterà in relazione le diverse arti come strumento con cui leggere il presente e come patrimonio di tutti. Ognuno dovrebbe poter scegliere liberamente di partecipare a un concerto o assistere a uno spettacolo teatrale o visitare una mostra indipendentemente dalla propria disabilità o esigenza specifica. Per questa ragione le opere e gli eventi ospitati dal festival forniscono soluzioni tecniche specifiche come sottotitoli, Lingua dei Segni italiana, audiointroduzioni, videotraduzione, danza-LIS. Il contributo di SoundMakers ad ampliare i confini della fruibilità dell’arte è un processo che si conclude nella settimana del festival ma che inizia mesi prima fin dalla progettazione iniziale, procede con la selezione delle opere
e degli eventi ospitati, la realizzazione di soluzioni tecniche specifiche e la presentazione pubblica di opere divenute accessibili.
Il ricco programma, sul tema della pace, proseguirà martedì 2 settembre alle 21.00 – ingresso gratuito, al Cineporto di Lecce (presso le Manifatture Knos) con la proiezione in prima nazionale della versione accessibile del film In grazia di Dio di Edoardo Winspeare. Grazie alla collaborazione con Apulia Film Commission, Lecce 2019 e Saietta Film è prevista la proiezione con sottotitoli specifici per sordi, servizio di interpetariato LIS.
Mercoledì 3 settembre alle 21.00 – ingresso gratuito, nel centro storico del capoluogo salentino andrà in scena una performance speciale dello scrittore e performer Massimiliano Manieri. Giovedì 4 settembre (alle 21.00 – ingresso gratuito) nel chiostro dell’Accademia di Belle Arti di Lecce l’attore Giuseppe Semeraro (Principio Attivo Teatro) metterà in scena Digiunando davanti al mare, in prima nazionale in versione LIS, con audio introduzione. Lo spettacolo, ispirato alla figura di Danilo Dolci, è di Francesco Niccolini con la collaborazione alla regia di Fabrizio Saccomanno. Venerdì 5 settembre alle 9.00 – ingresso gratuito, il Must di Lecce ospiterà, invece, il secondo workshop nazionale sulla cultura accessibile sul tema Accessible filmmaking, ovvero nuove pratiche dell’accessibilità audiovisiva.
Sabato 6 settembre alle 20.30 – ingresso gratuito, in Piazza Sant’Oronzo, nel cuore della città barocca, concerto finale del laboratorio tenuto dalla cantante della Repubblica Ceca Ida Kelarova con un coro di persone che rappresentano la società civile. Durante la serata avverrà anche l’incontro inedito tra la cantante, i musicisti Desiderius Dužda, Oto Bunda e la Giovane Orchestra del Salento. Il concerto sarà ospitato all'interno delle attività di Lecce2019 e Salento 2019.
Il festival si chiuderà domenica 7 settembre alle 21.30 – ingresso gratuito, nella Chiesa di Santa Maria di Casole a Copertino, per mantenere saldo il legame con il comune nel quale il festival è nato, con il concerto-incontro in prima nazionale dei fisarmonicisti Giorgio Albanese e Rocco Nigro con servizio di interpretariato in Lingua dei Segni Italiana e l’utilizzo dei palloncini. Tenendoli tra le mani o tra le gambe, i non udenti potranno sentire e percepire i suoni tramite le vibrazioni prodotte dalla musica. *** SoundMakers 2014 è ideato e organizzato da Arci Lecce, Poiesis, Calliope – Comunicare Cultura, CoolClub in collaborazione e a sostegno di Lecce a Capitale Europea della Cultura 2019, è promosso in collaborazione con ITU, Agenzia delle Nazioni Unite specializzata in tecnologie dell'informazione, e con il progetto HBB4ALL della Commissione Europea e si realizza con la collaborazione di Regione Puglia, Comune di Lecce, Comune di Copertino, Apulia Film Commission, Arci Rubik, Master in Accessibility to Media, Arts and Culture, Laboratori Musicali, Banca di Credito Cooperativo di Leverano, I Sotterranei, Associazione Volontari Fra’ Silvestro da Copertino, L’Auramente, Saietta Film, Istituto per Ciechi Anna Antonacci, Istituto di Culture Mediterranee della Provincia di Lecce, Must – Museo Storico Città di Lecce, Fondo Verri. Poiesis dedica i propri sforzi alla promozione dei diritti di accesso all’arte da parte di tutti e ha fatto parte del gruppo di lavoro nazionale che ha portato alla stesura del “Manifesto Nazionale della Cultura Accessibile”. *** SoundMakers - cha fa parte della rete di festival “Social Sounds” promossa da Puglia Sounds - Po Fesr Puglia 2007/2013 Asse IV - nelle edizioni precedenti ha portato nel Salento e collaborato, tra gli altri, con Gianmaria Testa, Moni Ovadia, Antonio Prete, Nanni Angeli, Nada, Fausto Mesolella, Tenores de Orosei, Mirko Signorile, Claudia Ignoto, Evgen Bavchar, Redi Hasa, Capitolo Italiano della Royal Photographic Society. www.soundmakersfestival.it