Spagine della domenica 46 0

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spagine della domenica n°46 - 5 ottobre 2014 - anno 2 n.0

Periodico culturale dell’Associazione Fondo Verri

Un omaggio alla scrittura infinita di F.S. Dòdaro e A. L. Verri


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Diario politico

della domenica n°46 - 5 ottobre 2014 - anno 2 n.0

“Aver attaccato Raffaele Fitto, uno dei suoi più votati leader politici, perché in dissenso dalla sua linea politica, ritenuta ambigua e suicida, con rozze e volgari minacce, non è da uomo assennato, da padre nobile, come Silvio Berlusconi ogni tanto dice di essere...”


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contro il “prete di Lecce” i possono dire tante cose di Berlusconi, ma non si può dire che si sia mai nascosto dietro una maschera. Certo, ha fatto di tutto per apparire gradevole, ricorrendo a tutti i trucchi delle apparenze tipiche degli uomini di spettacolo; ma il volto, il suo vero volto, quello di un Mastro don Gesualdo milanese, quello del padrone che fa e disfa, che invita e caccia, che dona e prende, che ride e fa ridere, che si diverte e fa divertire, che usa e getta, che con una mano fa finta di nascondere e con l’altra mostra, quello non lo ha mai nascosto. Perché per Berlusconi non c’è piacere, non c’è potere senza ostentazione. Il guaio è che il suo volto non è più quello di una volta. Forse oggi la maschera se la dovrebbe proprio mettere, incollarsela, perché il suo volto di oggi è devastato dalle rughe di un invecchiamento malvagio, impietoso che rivela non solo l’età – a quella ancora può in qualche modo rimediare – ma soprattutto la natura intima, tra il grottesco e il tragico; e qui non può fare proprio niente. Grottesco, quando pensa a finalità giovanili e spera in ricandidature importanti, ed è un vecchio di ottant’anni, graziato dai suoi nemici solo perché serve a tenere in piedi la baracca di Napolitano-Renzi; tragico, perché pensa di poter rinascere mentre sta solamente morendo. Quanto è accaduto all’Ufficio di Presidenza di Forza Italia giovedì, 2 ottobre, tra lui e Raffaele Fitto è la fenomenizzazione del suo vero stato di salute mentale e politica. E purtroppo non solo sua. La corte che gli sta attorno suscita, ormai da qualche tempo, quel pietoso rispetto che in genere si deve a dei poveri malati, straniti e spaesati, che hanno perso la via di casa e stanno, come si dice, più di là che di qua. Aver attaccato Raffaele Fitto, uno dei suoi più votati leader politici, perché in dissenso dalla sua linea politica, ritenuta ambigua e suicida, con rozze e volgari minacce, non è da uomo assennato, da padre nobile, come lui ogni tanto dice di essere. Avere esplicitamente cacciato Fitto paragonandolo a Fini non sminuisce Fitto ma riabilita senza merito Fini e lo fa apparire quello che non è. Aver accusato Fitto di fargli perdere consenso nel paese con le sue critiche alla linea politica del partito, anfibia rispetto al governo Renzi, ha dimostrato solo che Forza Italia è un partito personale, che la politica che fa serve solo al suo padrone. Un padrone che, ormai prossimo alla fine, decide, come quell’altro personaggio verghiano, di portarsi con sé la sua roba. Ha rimproverato a tutti di essere stati fedeli quando lui era il dominus assoluto e li faceva ministri ed uomini importanti, per abbandonarlo quando poi si è trovato in difficoltà, perseguitato e non più candidabile. Ecco, ancora una volta ammette di essere quello che i suoi nemici gli hanno sempre contestato: un despota! Ecco, ancora una volta dimostra di non capire che il partito non è un’azienda e che è perfettamente

di Gigi Montonato

normale che ognuno persegua il proprio interesse nell’ambito del più ampio interesse del partito e del supremo interesse del paese. Che c’è di strano che un politico si preoccupi delle prospettive del partito a prescindere da quelle del capo, quando questi non è più nelle condizioni di guidarlo con successo? Un partito politico non è una comitiva di scapocchioni, leali e fedeli nei felici bagordi e leali e fedeli nelle tristi penitenze. Berlusconi non ha cultura politica: è digiuno per costituzione mentale come Marco Pannella lo è per calcolo e scelta. Fitto – e lo diciamo a prescindere se ha torto o ragione nella sua analisi e nei suoi calcoli – crede davvero che Forza Italia sia il suo partito e che la sua vita politica possa continuare in quel partito. La sua è una lealtà calcolata quanto si vuole, ma è lealtà. Forse, alla luce di quanto sta accadendo, incomincia a riconsiderare il suo più recente passato per giungere ad altre conclusioni; ma non v’è dubbio che al punto in cui è giunto non può pensare a Forza Italia come ad un porto dal quale salpare per allontanarsene così dall’oggi al domani. Berlusconi lo ha chiamato “prete di Lecce”. Ché i preti di Milano sono diversi? Abbiamo visto chi sono i Gelmini e i Verzè. Berlusconi andrebbe silenziato per il suo bene, se continua di questo passo, altro che rivelazioni di pentiti! Ha rimproverato a Fitto di essere figlio di un vecchio democristiano, come se si può rimproverare a qualcuno di essere figlio del proprio genitore, sia pure politicamente parlando. Ma Salvatore Fitto, padre di Raffaele, aveva 47 anni quando morì di incidente stradale; democristiano sì, dunque, ma non vecchio, comunque volesse intenderlo Berlusconi. Ma anche qui l’ex cavaliere dimostra di essere incapace di dominarsi. E’ forse figlio di nessuno lui? Può anche non avere riguardo per la dignità personale e per la morale pubblica – i Mastro don Gesualdo in genere non hanno né una cosa né l’altra – ma fa un torto a tanta gente che, sbagliando o costretta da un sistema elettorale bipartitico, ha avuto fiducia in lui e lo ha seguito per diversi anni; gente che alla dignità personale e alla morale pubblica tiene. Lo scontro dell’altro giorno in Forza Italia, al di là dell’esito del voto sulla relazione di Berlusconi, con due soli voti contrari, Fitto e Capezzone, lascia il segno non solo e non tanto nel partito, ma soprattutto nell’elettorato di centrodestra. In una stagione di riposizionamenti anche elettorali il Pd potrebbe catturare, tramite il renzismo, tanti moderati di Forza Italia e del fu PdL, e tramite le istanze sociali della sinistra tanti ex missini autenticamente convinti della bontà di una giusta politica sociale. Berlusconi rischia, con le sue stravaganti chimere, con le sue folli resistenze, di ricostruire – proprio lui! – la vecchia Democrazia Cristiana. E chissà che per lui non sia un ritorno alla pietosa grande madre Terra, dalla quale è uscito!


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a vita, nonostante tutto, procede, misura le clessidre, s’arrampica sui declivi di questa imprevedibilità chiamata tempo. La vita avanza, percorre traiettorie imprevedute, si spegne e s’accende, si deprime e s’alluzza, ma s’addentra comunque sui selciati rosso sangue della quotidianità. Quante volte, con i ginocchi piagati e con l’ingegno aguzzo, invocammo un po’di pace e muse lontane e innalzammo inni celesti e elegie rosee. Quante volte, con il fianco piegato e con le lame nel cuore, cantammo l’amore per farci compagnia, per rendere l’esistenza più sostenibile. La vita va, scorre come fiume lento e impetuoso, apre sempre nuovi scenari, tutti da respirare. Per noi anime indocili, fragili, l’eistenza riserva doni semplici, virgulti e semi, da coltivare in giardini di sole. L’amicizia come melodia fascinosa, suono di violini zigani, acqua chiara di mare, gemma smeraldo, bene immateriale di incommensurabile valore. L’amore per l’universo e per il mondo, per ciò che ci appartiene, ma soprattutto per ciò che traluce lontano da noi. E poi il sapore del grano, dell’uva matura, della melagrana spaccata e sanguinante di lussuria. L’effluvio dell’immacolato gelsomino, della gialla inebriante gaggia, della rosa piccina e fanciulla. L’esistenza ci riserva la bellezza eversiva della Natura, con quei crepuscoli d’arancio che sono drappi colorati e sfumati nel cielo che lentamente s’addormenta. Il cielo. Con la sera placida di anime sole e con

Contemporanea

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Nel tempo di Marcello Buttazzo

Ad illustrare un disegno di Federico Garcìa Lorca

la notte fruscio di stelle, quando possiamo serenamente meditare sul nostro incerto destino. Eppoi l’aurora di paese, che è sempre lampo improvviso, sfavillio delle centomila saette, un’ipotesi d’amore. Ai primi bagliori del giorno compagno, siamo già desti e con l’anima insaziata di speranze e di attese, con la voglia inespressa di voler abbracciare chi non c’è. Quante volte passammo indenni l’ansimante notte e attendemmo che essa lasciasse il posto alla fiammeggiante aurora. Ci svegliammo perché il giorno non poteva più attendere. Uscimmo per strada, contemplammo la piazza del paese che si faceva bella. Quante volte, di notte, uscimmo soli per la via, aspettando che la pallida luna rischiarasse di false, vane promesse l’immobile cerchio del pozzo. E con l’anima in spalle fuggimmo via verso la giovane alba. Ai primi benedetti lucori, già viva è la piazza del paese. Lequile è sempre una madre, di sangue, di cuore. San Vito troneggia sulla secolare colonna, la Casa del popolo è ancora chiusa, i netturbini spazzano le strade con ramazze di ferro, i muratori entrano nei bar a bere bicchieri di fuoco. Io consumo il solito caffè e nello specchio della tazza annego colorati pensieri. Un cane passa e composto piscia ai bordi del marciapiede. Fa fresco, un vecchio coperto di stracci traversa la via e mi dice che

bisogna andare, veloci. Andare. L’alba di paese ha un’aura magica, spazio ammaliatore, di sogno. È il momento del tempo sospeso e immoto, quando tutto sembra possibile e raggiungibile. L’alba ha un colore speciale, di latte, e nel suo azzurrino danzano sfrenate le chimere ballerine. L’alba ha un sapore di miele e carezze di donna. E il suo profumo è di stella lontana nel cigolio della brezza. Quante volte erroneamente abbiamo creduto di correre da soli a piedi su una terra di cemento e di esplorare luoghi dove i galli cantavano e imbrogliavano l’alba. Sbagliavamo registro. Non siamo mai soli allorquando custodiamo il gradevole fragore del cosmo nel cuore, con la maestosità della Natura che pulsa. Eppoi, i galli non irridono mai l’alba, ma cantano ad essa i versi del nuovo sole. L’alba è un pensiero antico e moderno, è l’inizio d’ogni cosa, è tensione continua, la promessa del giorno, la promessa della vita. L’alba è una fanciulla dal viso tenue e delicato: essa è dolce, esilissima, vuole essere ascoltata, coccolata. L’alba che scocca e scintilla, che brilla. L’alba dei lavoratori ha il rumore piacevole di onda leggera. L’alba di Federico Garcia Lorca sprigiona passione: “Il mio cuore soffocato sente quando viene l’alba, il dolore dei suoi amori e il sogno delle distanze. La luce di aurora porta i vivai di nostalgie e la tristezza senza occhi del midollo della mia anima. La gran tomba della notte solleva il suo velo nero per occultare col giorno l’immensa cima stellata”.


Lecce 2019

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Otto detenuti della Casa Circondariale di Lecce saranno i protagonisti dello spettacolo “L’ultima cena di Alfredo Traps” che andrà in scena lunedì 6 ottobre, alle 21.00, al Teatro Paisiello di Lecce

A furia di provarci...

L’ultima cena di Alfredo Traps” è la terza prova in scena per “Io ci provo” e, a furia di provarci, il laboratorio rivolto ai detenuti della sezione maschile della “Casa circondariale Borgo San Nicola” ci regala, di anno in anno, “emozioni” sempre più certe sul fronte della costruzione teatrale. É stato così nel 2012, con “Io non sopporto niente e nessuno, nemmeno Spoon River” e nel 2013, con ‘UBU R1E’ tratto da 'Ubu Re' di Alfred Jarry. *** L’adesione al lavoro di una Compagnia, al suo “segno ”, è sempre emozionale: il rapimento degli occhi, della complessità cognitiva, s’innerva nel sentire dello spettatore, spettacolo dopo spettacolo, con il crescere di quel “segno” che si fa necessità, espressione e lingua. E se la necessità è il motore migliore per trovare motivo in un attore, questi attori, di necessità, ne hanno da vendere. Sentirsi liberi da detenuti, attraversare territori prima estranei alla loro vita, saggiare la propria capacità comunicativa, dimenticare un sé invadente spesso preso dall’orgoglio quando ostaggio di codici malavitosi, è pratica che muove bisogni, necessità, che mutano in stile, in nuovi comportamenti, in altra vita. Eroica la perseveranza della regista Paola Leone, nella suo credere e nel suo chiedere, nel suo alzare ogni volta il tiro della rappresentazione, sfidando il senso comune e quello particolare che detta le regole della vita carceraria. “Il carcere scompare con lo spettacolo” dice qualcuno e la sfidadi di Factory Compagnia Transa-

driatica, trova alleati per far progetti e continuare a lavorare in carcere tra dentro e fuori; quest’anno il sostegno finanziario è venuto dalla Chiesa Valdese, con il patrocinio della Regione Puglia, della Provincia di Lecce, del Comune di Lecce, del Teatro Pubblico Pugliese. *** Le pareti del tunnel, che dopo i cancelli d’entrata immette nel complesso delle sezioni, cambiano colore: l’odore di vernice fresca chiama lo sguardo al soffitto: da giallo diventa grigio. Poi guardi le pareti, tinte di un tenero glicine, colore non proprio istituzionale, pensi. Il colpo d’occhio lascia ben sperare sul futuro di questo carcere che sperimenta – tra i tanti progetti attivati al suo interno – anche la costruzione dal basso di nuovi spazi sociali come la barberia o la stanza del telefono…. Quel colore glicine bene si accorda con gli abiti degli attori, già in scena, per l’arrivo in sala degli spettatori. Rosso bordeaux la giacca, rosa i pantaloni, rosa e marrone le scarpe dei due camerieri in attesa. Che eleganza, che eleganza! Anche gli altri, portano toni raffinati, accordati, borghesi… Un tango apre la scena con il primo giro di molti giri di bicchierini. I due, a turno, vengono avanti a controllare il pubblico, occhiate lunghe, un tempo tenuto, serafico, autorevole. E tutto diviene liquido, assorbi la scena prima delle parole e poi godi quando cristallizzandosi tutto si ferma, immobile, nel divenire quadro, pittura proprio, come in chiusura, quando evocato, è l’ordine di Leonardo: la sua ultima cena. Rimbalzi di voci introducono la storia. La panne

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La locandina e alcuni degli attori dello spettacolo

di una Maserati e il protagonista, per caso, si trova coinvolto in una serata tra soli uomini. Si sa, i maschi, quando giocano fanno sempre sul serio: a loro, avendolo già fatto per lavoro, piace far processi: “noi quattro qui seduti a questo tavolo siamo ormai in pensione e perciò ci siamo liberati dell’inutile peso delle formalità, delle scartoffie, dei verbali, e di tutto il ciarpame dei tribunali. Noi giudichiamo senza riguardo alla miseria delle leggi e dei commi”. Un tribunale severo, un tribunale privato dove godere – inanellando la giusta strategia processuale – della libertà d’eccedere… Un giudice, un pubblico ministero, un avvocato e l’imputato. In quella per lui fatale sera, sarà il commesso viaggiatore Alfredo Traps – interpretato dal veterano della compagnia Alessio Pallara – un reato lo si trova sempre e se indagando indagando viene fuori il morto, è fatta, il senso di colpa farà il resto, in assenza del boia. Una storia grottesca in cui “il destino muove da dietro le quinte e si compie, facendo giustizia”, si legge nel comunicato che accompagna lo spettacolo e ancora: “I dieci attori-detenuti – Gjeli Luftar, Alessio Pallara, Gertian Zaho, Gaetano Spera, Maurizio Mazzei, Marco Errini, Francesco Chiarillo, Benjamin Islamaj, Elis Dedei, Pierluigi Bolognese – in nome della giustizia invitano il pubblico a riflettere. Non si tratta di definire una giustizia ideale, un dover essere, che indica la strada da seguire per realizzare o avvicinarsi a ciò che vi è di perfetto. Si tratta piuttosto di seguire le strade tortuose, grottesche, spesso feroci, lungo le quali la giustizia trova la sua realizzazione”. (di Mauro Marino)

ell' inverno del 2013, all'interno della casa circondariale Borgo San Nicola di Lecce, la compagnia teatrale ‘Io ci provo’ guidata da Paola Leone, lavora alla messa in scena dello spettacolo ‘UBU R1E’ tratto da 'Ubu Re' di Alfred Jarry. Durante l’ultima sessione di prove i detenuti-attori si raccontano a poche ore dal debutto in un

video di Mattia Epifani In scena nello spettacolo: Giuseppe Ballabene, Petrit Hoxa, Luigi Linetti, Gjeli Luftar, Davide Monti, Alessio Pallara, Raffaele Peluso, Giovanni Petrosino, Pietro Privati, Gabriele Salvatore, Renato Stefano, Mino Scigliuzzo Trianni, Fernando Vizzino, Gertian Zaho. Con la partecipazione dell'attore: Simone Franco. Ecco di seguito il link del trailer...

http://www.compagniafactory.com/Factory_Compagnia_Transadriatica/UBU_R1E_-_di_Mattia_Epifani.html


Al Fondo Verri la scultura di Patrizio Quarta, l’attesa

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La tensione

La tensione dell’arco” e il titolo dell’opera dello scultore Patrizio Quarta in mostra al Fondo Verri fino a venerdì 17 ottobre dedicata a Lecce 2019. L’atto dell’attesa nelle mani di un Messapo. Le volute del barocco, il ramarro sul braccio sinistro che tiene il centro della tensione dell’arco, la fune legata alla cinta del vestito, le frecce tante da scagliare… Un’opera profondamente spirituale, augurale per questi giorni che chiudono il processo della candidatura con la visita della giuria - lunedì 6 ottobre - che dovrà scegliere quale sarà la Capitale della Cultura Europea nel 2019. L’“utopia” tagliata in una pietra di calcarenite miocenica scelta nelle ricognizioni che caratterizzano il lavoro di Patrizio Quarta, una pietra ricca di licheni, di tracce… Una cesellatura che scrive il racconto della nostra terra spinta ad immaginare il suo futuro. ***

Patrizio Quarta è nato a Novoli nel 1961. Avvicinatosi nel 1987 al mondo dell’arte guidato da autentica passione creativa, ha al suo attivo numerose ed importanti mostre. Uno scalpellino che con passione e abilità realizza il suo particolare immaginario utilizzando la pietra leccese per un’avventura creativa che gli ha donato numerose gratificazioni. E’ emozionante vedere gli attrezzi con cui lavora, gli stessi con cui gli artigiani dei secoli scorsi ricamavano la pietra. Sul bancone di lavoro si vedono sgorbie in ferro battuto, pialle convesse o lisce, mazzuoli e tanti altri strumenti atti a cesellare. Ma lo strumento preferito dall’artista, col quale riesce ad ottenere il massimo della precisione, è il bisturi del chirurgo. Ciò che colpisce il visitatore entrando nel laboratorio di Quarta è il rispetto che questi ha per la pietra. Ad essa, infatti, non si dedica soltanto con l’intento di dare un “divenire”, ma la studia nelle sue più recondite pieghe per poi portarla allo stadio conclusivo di opera. I “pezzi” di Patrizio Quarta hanno sia della retorica del passato sia del contemporaneo e come ha scritto la rivista fiorentina “Eco d’arte moderna”, l’artista ha con la pietra della sua terra un legame così profondo da lavorarla con la forza del vento che leviga e smussa la superfice di una pietra antica. Da qualche tempo Quarta ha iniziato studi sull’alabastro toscano grazie ai quali ha ricevuto riconoscimenti significativi a livello nazionale. La pietra sia che venga levigata o smussata dalle sue abili mani non è mai violentata dalla luce, ma è sempre accarezzata e valorizzata. Peculiarità dell’arte di Patrizio Quarta è la pazienza certosina con cui elabora le proprie opere trattandole con muffe secche antichizzando in tal modo i pezzi e facendo pensare che gli stessi siano stati creati in tempi non più tanto vicini a noi. Particolarmente attivo e presente nella vita culturale del suo paese d’adozione San Giorgio Jonico è tra i fautori della nascita del Circolo Culturale “L. Agnini” di cui sarà socio fondatore. Nel 1997, l’Amministrazione Comunale di San Giorgio J. dà incarico all’artista, in collaborazione con lo scultore L. Agnini di realizzare il “Monumento ai caduti e alla pace” - Villa Parabita. Tra le sue mostre più importanti ricordiamo: Rassegna di Noti maestri scalpellini salentini, Lecce; Beato Angelico - Premio Italia, Firenze; Biennale Internazionale di Pittura Scultura e Grafica Città di Lecce, Lecce. 1a Biennale Internazionale Arte di Palermo, Palermo.

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otto molti aspetti la cultura riflette il livello di civiltà di un popolo; e per quanto concerne il pensiero essa persegue il grado di lucidità raggiunto. La lucidità, quindi, dovrebbe essere la qualità per antonomasia che si innalza nella persona che si distingue per pregi, caratteristica di un uomo che ha compreso. E non mi riferisco a persone che hanno studiato, tutt’altro; si incontrano spesso scrittori o persone talentuose o artisti professionisti che non hanno capito nulla e che non valgono nulla. Di contro ci si imbatte, per caso, con persone senza studi, titoli, né cultura accademica o scolastica, le quali si rivelano in tutta la loro profondità e saggezza sui grandi temi dell’esistenza. E sul piano religioso colpiscono quelle prive di sviluppo intellettuale; se non addirittura donne vecchie o anziane che diventano fari o lumi di sapienza in questa tristezza odierna. Eccezioni, insomma, gente ante-litteram, anti-scriptum, anti-artisti ecc. Ebbene, questo è il caso di Patrizio Quarta (Novoli, 1961): da semplice scalpellino a creativo. Un artigiano divenuto artista, lavorando la pietra d’ogni ordine e tipo. Una sua opera è presente in questi giorni al Fondo Verri di Lecce (via Santa Maria del Paradiso n° 8). Su di essa non mi soffermo, vi invito a visitarla; accenno soltanto che si tratta di un messaggio di buon auspicio alla riuscita di Lecce candidata a Capitale della Cultura. Vorrei invece far notare l’ostinata riluttanza manifesta a quest’evento da parte di persone apparentemente ‘colte’ ed ‘intelligenti’ che con atteggiamento ridicolo e deprimente umiliano e scoraggiano la città di Lecce a fregiarsi di questo titolo. Comportamento, peraltro, incomprensibile, critico e indifferente verso la candidatura stessa. A questo punto preferisco avvicinarmi a persone che non hanno letto libri, né conosciuto poeti, artisti o uomini di scienza ma, che molto coscienziosamente e persistentemente vanno a fondo delle cose, augurando tutto il bene possibile alla nostra città. Ecco, tutto l’opposto dei cultori della malafede trasparente di cui siamo purtroppo circondati. Preferisco l’umile donna ignorante, ma grandiosa, che si rallegra a tale eventualità, piuttosto che intrattenermi con saccenti arroganti e pretenziosi, o con filosofi soddisfatti di sé, infatuati. Non voglio giudicare le persone per quello che fanno ma per quello che sono. Mi interessa quello che uno è, non quello che uno fa. Bene, manca poco ormai alla fine di questa ‘gara culturale’ – diciamo così; anche se chi perde si impegnerà comunque a coprire almeno in parte i progetti descritti nel dossier. Arrivare primi o ultimi non cambia nulla; l’importante è partecipare alla crescita sociale, culturale, economica, per conseguire un livello più alto di civiltà. Una visione lungimirante, accompagnata da ambizione, tenacia e coraggio, potrà solo portare benefici e migliorare le condizioni tutte della comunità. Ragion per cui sbiadiranno all’istante le penose dicerie e lamentele degli inquilini sempre insoddisfatti, atte solo a disgregare l’ambiente e rei di non aver capito niente. I quali, forse, salirebbero subito sul carro del vincitore nel caso di un esito positivo – spesso succede, confermando la pochezza dei miscredenti avvezzi al pregiudizio. Io invece nutro stima e rispetto per chi sta lavorando al progetto. Aspettiamo la Cultura, quindi, e che per i leccesi e il territorio tutto sia una lieta notizia. E si dia inizio alla gran festa…


per Lecce Capitale della Cultura Europea

Lecce 2019

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dell’arco

di Antonio Zoretti


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avide Russo è l'urgenza della pittura. Così si potrebbe riassumere l'esperienza attuale che questo giovane artista formatosi presso il Liceo Artistico “Lisippo” di Taranto e poi l'Accademia di Belle Arti di Lecce - sta affrontando da alcuni anni in particolare. La sua recente produzione, animata proprio dall'urgenza cui ci si riferiva, è sfociata in due mostre: l'una a Lecce nella chiesa di San Sebastiano dal titolo“Untitled” (gennaio 2014) e l'altra, nella scorsa estate, a Ruffano (Lecce) all'interno de “Primum non nocere” (entrambe le esperienze espositive sono state condivise con Marcello Nitti). I soggetti delle sue opere sono prevalentemente figurativi e la tecnica usata è quella dell'olio su supporti di diversa natura: tela, pagine di giornale, fotografie dove, in particolare, le immagini pre-esistenti divengono il punto di partenza per un discorso pittorico “urgentemente pervasivo”. “Davanti alla tela bianca, al bianco della tela si parte per una operazione che acquisisce la dimensione del viaggio, lo stesso, il sempre uguale, con la certezza però che alla fine non possono venire mai le stesse cose. E tutto questo – continua l'artista - alla ricerca di un'atmosfera carica di tensione, di una drammaticità in cui le figure sembrano essere in sospensione con il loro vuoto, il loro vissuto e ciò deve essere vero tanto nell'allestimento delle mostre così come nello spazio dei supporti di ogni singola opera. Le immagini vogliono essere cariche di tensione. L'obiettivo è quello di creare un silenzio all'interno dei dipinti che sia morbido e chiassoso allo stesso tempo, una contrazione dei muscoli dello stomaco. Non c'è un prestabilito, si parte da un volto, da una sagoma, da una linea e poi stravolgo tutto, improvvisando anche perchè influenzato da ciò che viene dell'esterno”, Un soggetto particolare che spiega bene questo modo di procedere è quello dei volti umani: “Prima di tutto mi piace avere la figura intera e poi rovinarci sopra. Un esempio è l'occhio cancellato con un tocco di pennello oppure i volti annullati, privati della loro identità, attraverso il colore lasciato colare come lacrime. Non è un nascondere il volto. Il volto così concepito rimanda a qualcosa di diverso. I volti, preciso, devono generare atmosfere di sensazioni e devono essere atmosferici, liquefatti, modificati anche a partire da una fotografia”. Altro aspetto interessante è quello del rapporto con la musica la quale “è un accompagnamento che veicola il gesto pittorico; la musica accompagna anche la percezione dell'opera rompendo l'imbarazzo della visione per chi visiti una mia mostra. E' per questa ragione che la stessa musica viene utilizzata anche per accompagnare proprio le esposizioni le quali - aggiunge l'artista non hanno un tema o un titolo. Il titolo esiste

Arte

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A colloquio con Davide Russo

L’urgenza

della pittura

di Fabio A. Grasso

solo quando mi viene naturale. Dare il titolo significa vincolare un messaggio. Le mostre sono, in ogni caso, una sorta di liberazione.” Un ultimo aspetto, infine, vale la pena sottolineare ed è quello della serialità - presente in alcune delle opere -che è spesso ottenuta con più immagini uguali ma trat-

Davide Russo 2014, "I miss Luky”, 18x22 cm, olio su tela

tate dall'artista in modo diverso. Il tema è interessante nella misura in cui l'opera viene presentata come smontaggio, come insieme di messaggi e parole parziali, layers diversi squadernati, ognuno dei quali si fa portavoce di una parte del racconto e della verità dell'artista. http://daviderux.blogspot.it/


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Scritture

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Di ciò che resta Sul filo della memoria guardando l‘oggi

l padre del mio amico e coetaneo R., a capo di un nucleo familiare, tra moglie e figli, di considerevole consistenza, faceva il commerciante, e però operando non in modalità mono settoriale ossia a dire in un unico ramo d'affari, bensì spaziando e adattandosi, a seconda della convenienza del momento, in una serie di comparti differenti l'uno dall'altro. Per lui, l'importante era di trarre profitto dal suo impegno e di procurarsi, così, i mezzi finanziari necessari per il mantenimento della numerosa famiglia. Ad esempio, in un certo periodo, gestiva, nella piazza del paese, un esercizio di macelleria, contraddistinto, ricordo, dall' insegna “Carni scelte”; in una successiva stagione, l'attività era invece incentrata sulla conduzione di un bar; in un'altra fase ancora, il genitore in questione s’occupava della vendita di meloni e angurie, che arrivavano, a bordo di grossi camion, da zone di produzione del Brindisino, precisamente dalle campagne di una piccola frazione del capoluogo messapico, dove, da lunga pezza, s’era trasferito e risiedeva un suo parente. Guarda il caso, il nome di tale località, oltre a essere divenuto, nei richiamati tempi lontani, consueto fra la gente della mia Marittima, quale luogo di provenienza, giustappunto, dei gustosi e zuccherini frutti estivi per antonomasia, ebbe a porsi nuovamente alla ribalta, alcuni decenni dopo, in collegamento e riferimento alla cosiddetta “Sinistra ferroviaria”. Sotto tale definizione, si chiamava in causa un noto esponente politico socialista pugliese, il quale, nel novero degl’innumerevoli incarichi man mano affidatigli, si trovò, a un certo punto. a ricoprire il ruolo di Ministro dei Trasporti. In tale ultima veste, si disse e si commentò a lungo come, per suo interessamento, fossero stati assunti, in seno alle Ferrovie dello Stato, numerosi salentini della zona, già braccianti o lavoratori precari o disoccupati, assegnati, si parlò d’una ventina di persone, alla minuscola e secondaria stazione ferroviaria della frazione di che trattasi, niente più che un puntino quasi invisibile sulla tratta Lecce - Brindisi – Bari, dove erano e sono anche adesso pochissimi, fra quelli previsti nell'orario, i convogli che effettuano una fermata. Sempre guarda il caso, oppure, se si preferisce, bizzarria dei corsi e ricorsi, in stagioni ulteriormente successive, nei pressi della minuscola località è stata realizzata dall’Enel una gigantesca centrale termoelettrica, la più grande in Italia e fra le maggiori a livello europeo. E’ vero, tale struttura occupa, fra dipendenti diretti e di ditte terze, oltre mille persone, ma, contrappeso pesante, delicato e problematico, la sua attività è ritenuta, da molti, nociva, sia all'habitat circostante in senso lato, sia, direttamente alla stessa salute degli abitanti del comprensorio limitrofo. Pochi giorni addietro, percorrendo la superstrada Lecce-Brindisi, al momento del passaggio nelle vicinanze della “Federico II”, questo è l’appellativo di battesimo della centrale, sono rimasto, come sempre, colpito dalla sua ciminiera che svetta quasi in riva al mare e accanto al lido di Cerano e, in pari tempo, dalle sei file d’immensi tralicci-elettrodotti che, risultando la quantità prodotta dalla centrale di gran lunga eccedente rispetto al fabbisogno della Puglia, trasportano l’energia in altre aree lontane del Paese. Nel silenzio della guida, non ho potuto fare a meno di ripassare la riflessione sui potenziali danni per l'ambiente e la salute umana.

di Rocco Boccadamo

Nelle vicinanze, recentemente, sono state poste in opera altre fonti per l’ottenimento d’energia, per fortuna non inquinanti, sotto forma di quattro pale eoliche. Tuttavia, pur con tali invasioni di modernità, in quell'area continua a dominare la campagna, permane un vero e proprio culto delle coltivazioni agricole, molta gente seguita ad attendere, adesso, naturalmente, con l'ausilio di mezzi meccanici, a lavori sui terreni, in ogni stagione, anche nei giorni festivi. Affascinano e stupiscono le distese di svariati, verdi ortaggi e anche le grandi piantagioni di meloni e angurie, di quei frutti che giungevano nel locale di vendita del padre di R., al paesello. A riprova visiva di quanta importante si annetta a tutt’oggi all'agricoltura nelle plaghe su cui mi vado soffermando, sempre in occasione del recente transito, mi è stato dato di cogliere, a fianco della strada, un'immagine indicativa: due prestanti cavalli, spronati e guidati da altrettanti uomini, tiravano di buona lena gli aratri, esattamente come una volta, senza alcun cambiamento o stravolgimento nell’operazione. Per di più, m’è sembrato che i preziosi e utili equini procedessero tranquilli e ad andatura cadenzata, quasi che avvertissero dentro - anche se può sembrare strano, gli animali, a mio avviso, devono verosimilmente possedere un loro sentire interiore - e considerassero del tutto naturale quella fatica, ancorché sicuramente non leggera. *** Nella mia Marittima, nonostante il drastico ridimensionamento subito dall'agricoltura, permangono alcuni sintomi o segni della civiltà contadina e, fra essi, uno speciale momento di fulgore e di luce si nota in concomitanza della raccolta delle olive. Si pone come un vero e proprio spettacolo assistere alla preparazione della scena, dell’evento, all’attesa ansiosa della maturazione dei minuscoli frutti ovali tra il verde e il viola. Innanzitutto, le superfici sotto le piante sono nettate e lisciate alla stregua di delicati e lucidi pavimenti domestici, dopo di che, allo scopo di evitare il diretto contatto dei frutti con il terreno e anche di poter riporre più agevolmente, nelle ceste e nei sacchi, le olive cadute, si passa a stendere sulle medesime aree, ricoprendole con millimetrica precisione, grandi teli a rete di diversi colori. I campi, le distese di alberi vecchi e giovani dalle fronzute chiome argentee, danno, una volta tanto, l’idea di grandi e sontuose dimore, con sale, scaloni e ambienti d’ogni genere ricoperti da preziosi tappeti. Sì, un bell’allestimento che si rinnova puntualmente ogni anno, a cui gli attori protagonisti non riescono a rinunciare, malgrado, spesso se non sempre, la non convenienza, in termini economici, del prodotto ottenuto: ma, raccogliere le olive e farsi il proprio olio è un precetto fissatosi nell’animo. Anche per un non addetto ai lavori e quindi semplice osservatore, assistere è piacevole ed emozionante. *** Nota finale, ieri, a Marittima, Zi Miliu, data di nascita 2 ottobre 1914, ha compiuto cent'anni, in ottima forma fisica e in piena lucidità. Invece, secondo nell’elenco dei più vecchi del paese, Vitali ‘u sceri, il quale avrebbe raggiunto il traguardo nel prossimo gennaio, se n’è appena andato, soltanto tre mesi prima.


spagine

G

Almost Italian

Incontro con il regista italo-canadese Rudy

Montréal, 30 Settembre 2014

li ultimi giorni di Settembre qui a Montréal, regalano ancora le ultime folate di vento estivo che lasciano cadere le prime foglie imbrunite di un autunno che si annuncia. Percorro una delle grandi avenue del quartiere Plateau de Mont-Royal, incrociando file ordinate di persone alle fermate dei bus. La città si mostra nella tipica architettura dei paesi del nord: case di mattoni rossi con le scale di ferro battuto, rigorosamente disposte all’esterno degli edifici, alcuni dei quali, impreziositi da maestosi murales che donano alla città l’aspetto di una galleria d’arte a cielo aperto. Tra le note fischiettate da un artista di strada improvvisato, i passi frettolosi di chi si avvia a cominciare il nuovo turno di lavoro, raggiungo il Kahwa Cafè dove incontro Rudy Barichello, per conoscere da vicino il suo mondo abitato dalla scrittura, dalla poesia e soprattutto dalla cinematografia. Rudy Barichello è, infatti, un regista italo-ca-

Rudy Barichello

nadese, conosciuto dal grande pubblico nel 1999, con il lungometraggio Alegrìa, ispirato al mondo del Cirque de Soleil. Nel 2001 con il cortometraggio Ismaele ha ricevuto diversi riconoscimenti come il Gran Premio d’Europa al Festival internazionale del cortometraggio di Brest, il Premio Speciale della Giuria e il Premio come migliore fotografia al Festival internazionale del cinema di Namur. Nel 2004, invece, il suo Dans L’Oeil Du Chat è stato il film di apertura del Rendez-vous del

Cinema del Québec. Opere scritte in collaborazione col suo amico di sempre, Marcel Beaulieu. Quest’anno ritorna a sorprendere il pubblico con il lungometraggio Meeting with a Young Poet che esplora la vita straordinaria e la carriera del premio Nobel Samuel Beckett, attraverso le sue conversazioni con un giovane poeta canadese. *** Mi attende seduto a uno dei tanti tavolini di legno disposti lungo il locale, solleva lo sguardo dai suoi occhiali da lettura e mi accoglie sorridendomi. Intanto l’aroma del thè alla menta invade piacevolmente il mio olfatto, ne ordino uno. Ci salutiamo nella lingua a lui familiare, l’italiano. Nella mia mente si accavallano tante domande che vorrei fargli, considerato il suo mondo, ma gli porgo un “come stai?”, mentre attendo di assaggiare la mia bevanda, una semplice questione che mi svela le attitudini di una persona davvero appassionata.

“Sto bene, grazie!” Mi risponde e continua, “ho camminato per un’ora stamattina, questo


Corrispondenze

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Barichello di Milena Galeoto

Avenue Mont-Royal

Milena Galeoto fotografata da Rudy Barichello

è uno di quei giorni dove hai in mente quello che vorresti scrivere e senti l’adrenalina dentro. Camminare mi è molto utile per rivedere le dinamiche in cui si dispiegherà la storia. Prendo confidenza con i personaggi, li visualizzo, li vivo per trascriverli poi attraverso i dialoghi.”. Com’è nata questa tua passione per la cinematografia? “Quello che volevo fare nella vita è diventato ovvio piuttosto tardi, al mio primo corso di ci-

nema all’Università Concordia di Montréal, quando ho visto Les Vacances di M. Hulot, proiettato in classe da un 16 millimetri rumoroso. Ho subito capito che quella sullo schermo era la combinazione di storia e immagine, amplificata dalla musica che univa tutte le arti che mi hanno aiutato a sopravvivere alla mia disperazione, ma che fino allora erano state, singolarmente, solo una parte di ciò che avevo bisogno di esprimere. Il cinema è come una storia di fantasmi, immagini fugaci che sembrano vive e in movimento su uno schermo, solo a causa di un trucco ottico giocato ai nostri occhi. E poiché, come narratore, lavoro più a livello di evocazione che di descrizione, questa combinazione è perfetta per me.”. Il tuo ultimo film “Meeting With a Young Poet” ha come protagonista il grande drammaturgo e poeta Samuel Beckett che dialoga con un giovane poeta esordiente. Hai mai avuto timore che parlare di poesia in un film fosse un rischio, e perché hai scelto la figura di questo poeta? “La poesia è per me l'unico rischio necessario per raccontare una storia attraverso il Cinema, e non tanto per il soggetto rappresentato. Il film è un volo di fantasia nel mondo della bellezza, del significato e delle emozioni attraverso i personaggi che si dilettano e soffrono nella loro necessità di creare. Attraverso di loro spero che lo spettatore possa sentirsi trasportato e coinvolto in quest’atto di bellezza e creazione. Beckett è un artista immenso, il cui messaggio fondamentale è che, nonostante la garanzia di fallimento, un essere umano non ha altra scelta che continuare, a prescindere dal successo o la frivolezza dell'umanità.”. L’Italia è un paese che ti è familiare, quanto hanno influenzato il tuo percorso, la cultura e il cinema italiani? “La bellezza per me è essenziale come l'ossigeno. In Nord America è vista come qualcosa di ‘carino’, ‘pulito’ , ‘ritoccato’. La vera bellezza è, invece, ricca di contenuti e di emozioni e di amore per la verità. Questa credo che sia fondamentalmente la mia natura italiana. E la vedo, la sento e m’ispiro attraverso la poesia di artisti come Pasolini e Scola e Totò, negli occhi e la rabbia di vivere di Anna Magnani, nel volto etereo di Silvana Mangano, nell’autoironia di Mastroianni”. Ogni volta che incontro una persona, un autore che ha un legame con il nostro paese, amo ascoltare il loro punto di vista per rivedere questa Italia con occhi nuovi. Che immagine ti giunge da questo paese? “Oggi, mi giunge l’immagine di una Commedia dell'Arte, con buffoni senza desiderio di cambiamento, di una cultura dell’apparire piuttosto che dell’essere autentico. Di consumatori, piuttosto che di creatori. Bisognerebbe ripensare all’Italia come quel paese che ha cambiato il mondo, ricordando personaggi come Marco Polo, Cristoforo Colombo, Galileo, Machiavelli, Verdi, Primo Levi, Pasolini, Marconi ... la lista è eccezionalmente lunga di artisti, inventori, esploratori. Penso che gli italiani abbiano bisogno di non dimen-

Sopra, la locandina del film dedicato a Beckett Sotto, il Kahwa Cafè, luogo dell’intervista

ticare che prima è necessario sognare per poi creare, e sempre con un senso di meraviglia e di rispetto per l'umanità e il mondo naturale. E, soprattutto, tenere a mente il grande privilegio che hanno di vivere in un paese che tutto il mondo sogna.”. In questi ultimi anni hai anche scritto su un blog “Daddy Knows Less” dal quale ci si augura possa nascere un bel libro. Di cosa si tratta in realtà e cosa emerge da questo diario di padre single? “Essere genitore è dedicarsi a creare il futuro, sacrificando se stessi nel presente, a beneficio di qualcuno che è altro da te, nella sua meravigliosa alchimia del tutto disordinato e imperfetto e umano. Dal momento che ho praticamente cresciuto mio figlio da solo, ho dovuto scoprire in me stesso, e attraverso di lui, le risorse di coraggio e di amore e di rischio personale che non avevo mai immaginato di avere. Crescere un essere umano è il solo gesto di creazione necessario. E poi si può ridere fino alla tomba”.

Spero che il pubblico italiano possa presto apprezzare questo tuo nuovo film e, ancora una volta, sentirsi orgoglioso di quanti italiani nel mondo mantengano in vita quel genio creativo che ci ha spesso contraddistinto.

Dopo questa lunga e piacevole chiacchierata, bevendo gli ultimi sorsi di thè alla menta, ci alziamo insieme perché è ora di andare a prendere i nostri figli da scuola.


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A Taranto il premio letterario Angelo Lippo

Con testi di versi

C

'è tempo fino al 15 ottobre per partecipare al Premio letterario "Angelo Lippo". Il concorso - organizzato dall’associazione culturale e20Cult, dalla casa editrice Il Raggio Verde in collaborazione e con il patrocinio del Comune di Taranto - è aperto a tutti gli autori italiani e stranieri. Il Premio si articola in due sezioni “poesia inedita” e “racconto inedito” più una speciale “A scuola conTestiDiVersi” riservata agli studenti degli Istituti superiori. L’iscrizione potrà avvenire sia tramite e-mail che a mezzo posta. Il termine per le iscrizioni è fissato al 15 ottobre 2014,a seconda delle modalità adottate farà fede il timbro postale o la data di invio telematico. L’indirizzo è: Associazione culturale e20Cult – “Premio Letterario Angelo Lippo” Concorso nazionale ConTestiDiVersi – Casella postale N. 124 – Lecce Centro – 73100 Lecce. La partecipazione al Premio implica la piena ed incondizionata accettazione del regolamento completo che è scaricabile nell’area download del sito. Per ciascuna sezione, la quota di partecipazione è di euro 20,00 da inviare tramite vaglia postale intestato all’associazione culturale “e20Cult “Casella Postale N. 124 – Lecce Centro – 73100 Lecce o sul conto corrente postale N. 001022178667 intestato all'Associazione culturale "e20Cult" coordinate IBAN IT36Y0760116000001022178667.

Una mappa di Taranto del 1761 realizzata dall’incisore Giovanbattista Albrizi

Angelo Lippo

All’opera vincitrice, per entrambe le sezioni, sarà attribuito un premio di 500€. Inoltre sono previste targhe di riconoscimento e pergamena per i primi tre classificati. La Giuria si riserva inoltre la possibilità di segnalazioni speciali e possibilità di pubblicazione per i lavori in genere ritenuti meritevoli. Il Raggio Verde edizioni si riserva di pubblicare nella collana di narrativa e poesia contemporanea “ConTesti Diversi” le opere dei primi dieci autori selezionati per entrambe le sezioni. Come nasce il Premio Angelo Lippo e il concorso nazionale di poesia e narrativa ConTesti Diversi Con il suo libro Angelo Lippo inaugurava la

collana “ConTestiDiVersi” nata con l’intento di dar vita ad un progetto editoriale che ponesse al centro della ricerca tanto la poesia contemporanea tanto il testo letterario per raccontare – con un gioco di parole - contesti diversi legati tanto all’intimismo quanto all’impegno civile che non è mai mancato al verso militante della sua poesia. Con questo spirito - e in sua memoria – la casa editrice e l’associazione e20Cult ha voluto organizzare il Premio Letterario Angelo Lippo concorso nazionale ConTesti Diversi (regolamento scaricabile dal sito www.premioletterarioangelolippo.it. ) patrocinato dal comune di Taranto dove ogni anno, nel giorno dell’anniversario della nascita del poeta, si ripeterà il Convegno “Identità da non smarrire”, per ricordare e divulgare la poesia di Angelo Lippo, la sua instancabile attività di operatore culturale. Il Premio letterario, a lui intitolato, rientra nell’ambito di una serie di attività volte a promuovere e a far conoscere la produzione letteraria di Angelo Lippo, la sua poliedrica personalità, la sua mission di uomo e di poeta-vate, cantore delle tante anime del Sud. La cerimonia di premiazione si terrà a Taranto, a Palazzo Pantaleo, sede del Museo etnografico Alfredo Majorano,il 15 novembre 2014. Info: premioletterarioangelolippo.it


Notturni d’autore spagine

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A Sannicola la rassegna di VerbaManent e Ionia si apre con Nicola Lagioia mercoledì 8 ottobre

Un grande spazio, libero e infinito, come il desiderio e il piacere. Leggere è un affare d’amore; per questo cominciamo da quello che abbiamo amato, parole ascoltate o lette, trascritte per voi, per allargare il cerchio d’amore intelligente e leggere sempre più, all’infinito. Senza sapere dove finiremo, fidandoci solo del paradiso” con queste parole di Virginia Wolf si apre il comunicato della rassegna che a Sannicola è proposta dal Presidio del Libro-Archivio del Libro d’Artista VerbaManent in collaborazione con l’Associazione Ionia. E ancora... “Leggere è un affare d’amore, è gioia e piacere, fascinazione e seduzione, nutrimento inesauribile, immersione nelle complessità dell’essere e dell’esistere, contagio di passioni e di scoperte, attraversamento di altre esistenze: è raccogliersi intorno al fuoco tra amici che si raccontano storie e condividono il calore delle emozioni”. Nasce da questa dichiarazione d’amore verso i libri “Notturni d’autore”, giunta alla terza edizione), l’iniziativa è patrocinata dal Comune di Sannicola, Assessorato alla Cultura e dalla Regione PugliaAssessorato al Mediterraneo, cultura, turismo in collaborazione con l’Associazione Presidi del Libri.

Ecco di seguito il programma delle tre serate. L’8 ottobre, alle 20.00, negli spazi di Villa Excelsa gli interventi del sindaco Cosimo Piccione, dell’Assessore alla Cultura Marzio Molle. L’ospite della serata è lo scrittore e conduttore di Pagina 3-Radio 3, Nicola Lagioia con “La ferocia”, libro edito da Einaudi. Presenta la serata lo scrittore Luigi Saccomanno. Il 23 ottobre, alle 20.00, negli spazi del Frantoio Ipogeo di Sannicola, “Un amore partigiano”, edito da Longanesi, libro di Mirella Serri, docente di Giornalismo e Letteratura all’Università La Sapienza di Roma, collaboratrice di quotidiani (La Stampa) e riviste. La presentazione sarà a cura della Compagnia di Lettura: Mariagrazia Aloisi, Anna Campagna, Maddalena Castegnaro, Marilena De Stasio, Elisabetta Renna, Maria Rosco Il 30 ottobre, alle 20.00, a Villa Excelsa, “Pensieri e Parole” nelle pagine di Carmen Campa, Nadia Marra, Fabiana Renzo, Lara Savoia, Luigi Saccomanno. Gli autori si racconteranno con narrazioni e versi tratti dalle loro ultime opere: sentimenti, pensieri, visioni, esperienze, storie importanti della loro intelligenza, profondità e sensibilità. Incursioni musicali di Rocco Nigro, fisarmonica. Conduce l’incontro Maddalena Castegnaro. Nicola Lagioia


Aggiorniamo l’immaginario

Al Cineporto di Lecce, con ASSAY, dal 7 al 17 ottobre spagine

Il primo appuntamento di Reference con Francesca Marciano

I

tempi sono ormai maturi per aggiornare i modelli, i temi e le personalità di riferimento nel campo dell'audiovisivo italiano, nelle sue accezioni di cinema di finzione, film documentario, illustrazione e animazione, opera cinematografica, fattore sociale. Una prima riflessione in questo senso la propone “Reference #aggiorniamo l’immaginario” organizzato dall'associazione ASSAY in collaborazione con Apulia Film Commission da un'idea di Lara Castrignanò. Non un festival, non una rassegna, non un workshop ma semplicemente una serie di sei appuntamenti e incontri dedicati in programma ad ottobre, nei Cineporti di Puglia/Lecce, con altrettanti autori e autrici, provenienti da diverse regioni italiane e scelti in base alle loro opere, ai temi trattati, ma anche alla valenza sociale e solidale di alcune delle loro produzioni, quella valenza che fa del cinema un fattore aggregante, di scoperta e conoscenza continua. La via prescelta per raggiungere l’obiettivo è l’attraversamento, inteso proprio come il passare attraverso i generi, soffermandosi sui tre diversi linguaggi di scrittura di un'opera audiovisiva - sceneggiatura, regia, montaggio - per analizzare ulteriori narrazioni e linguaggi personali e sperimentali, che, partendo da modelli di riferimento classici, ne rielaborino di ulteriori, capaci di indagare, raccontare e rappresentare una società sempre più complessa e in piena trasformazione. Si comincia, lunedì 6 ottobre, alle 19.00, con la presentazione della rivista di cultura cinematografica Moviement, edita da Gemma Lanzo Editore.

Una scena dal film Miele di Valeria Golino sceneggiato da Francesca Marciano

“Moviement” analizza lo statuto estetico dell’immagine cinematografica nelle sue componenti materiali e si avvale del supporto di esperti di settore nazionali ed internazionali. Subito dopo, ci sarà l’incontro con Francesca Marciano, scrittrice di successo, autrice e sceneggiatrice di vari film di Salvatores, Verdone, Bertolucci. In quest'occasione l'attenzione sarà focalizzata su “Miele”, opera prima di Valeria Golino, della Marciano il soggetto e la sceneggiatura, il film tratta il complesso tema della pratica illegale della ''dolce morte''. A dialogare con Francesca Marciano e il pubblico sarà Gemma Lanzo, critico cinematografico del SNCCI ed editore. Il 7 ottobre in programma una selezione di lavori e opere cinematografiche di Carlo Michele Schirinzi. Il lavoro del regista-autore sarà introdotto da Gianluca Marinelli. L’8 ottobre ospiti di ASSAY saranno Giovanni Piperno e Agostino Ferrente con “Le cose belle”. Dialogherà con i registi Leonardo Gregorio. Il 9 ottobre sarà la volta di Virginia Mori che converserà con Hermes Mangialardo. Il 15 ottobre sarà dedicato al progetto “Space Metropoliz” di Fabrizio Boni e Giorgio De Finis a condurre la serata Davide Ricco. Si chiude venerdì 17 ottobre, con Sebastiano Riso e Marco Spoletini, regista e montatore di “Più buio di mezzanotte”, a dialogare e discutere con gli autori Mimmo Pesare.

https://www.youtube.com/watch?v=yoeRmzF1eik.


F

rancesca Marciano ha debuttato come attrice in Pasqualino sette bellezze di Lina Wertmuller. Agli inizi degli anni Ottanta si trasferisce negli Stati Uniti dove realizza il suo primo film da regista. Dagli anni Novanta firma la sceneggiatura di molti film e si dedica anche alla scrittura di romanzi. L’ incontro con l’autrice e la proiezione del suo ultimo film da sceneggiatrice, Miele (2013), inaugura gli appuntamenti di Reference #aggiorniamo l’immaginario. Ai lettori di Spagine proponiamo una breve intervista a cura di Gemma Lanzo editore della rivista di cultura cinematografica Moviement.

Ci racconti delle tue esperienze alla regia? Subito dopo Lontano da dove (che poi andò al Festival di Venezia e diventò un piccolo culto, e oggi è introvabile) ho diretto un corto in un film di gruppo, insieme a Soldini, Ghezzi, Segre, Soldi, ma ho capito che non sarei mai stata una regista. Era molto semplice, io volevo inventare la storia, compiere il primissimo atto di quella creazione che poi avrebbe dato luogo al film. Ora sono trent’anni che scrivo e mi ritengo molto fortunata di poter fare questo lavoro. Lontano da dove (1983) è stato concepito a New York dove vivevi e lavoravi al tempo. Da cosa è nata la decisione di partire per gli Stati Uniti? Ho lasciato l’Italia a ventidue anni, ho vissuto molti anni a New York, in un certo senso è lì che mi sono formata. Sono stati anni molto belli, di grande libertà, espansione, avventura. Lavoravo part- time per la RAI Corporation, come producer e regista. Insieme a Stefania Casini, che si era trasferita in America nello stesso periodo, ho scritto la mia prima sceneggiatura che poi è diventata un film, diretto a quattro mani con Stefania. Si chiamava Lontano da dove, raccontava le ambizioni e le illusioni di un gruppo di giovani italiani che avevano scelto di vivere a New York alla fine degli anni settanta. Allora l’America era ancora lontana, ci sentivamo tutti dall’altra parte del mondo e navigavamo questa vita sempre indecisi se restare o tornare. Il titolo la dice tutta e questo titolo mi continua ad accompagnare ancora, perché il desiderio di sradicarmi, non mi è mai passato. Il tuo ultimo film da sceneggiatrice è Miele (2013) con la regia di Valeria Golino. In questo film mi hanno particolarmente colpito i dialoghi perché non accusano mai una caduta, sono sempre tesi, mai banali. Che importanza hanno i dialoghi in questo film? Abbiamo lavorato molto sui dialoghi, limandoli, cercando di arrivare sempre all’essenziale. Il tema del film era talmente schiacciante, che una parola di troppo poteva compromettere una scena intera. E’ stato un lavoro di microchirurgia. Poi gli attori naturalmente hanno contribuito con la loro intelligenza. Sia Jasmine Trinca che Carlo Cecchi si erano incarnati nei loro personaggi. Sentivano istintivamente cosa potevano dire e cosa era meglio tacere. Il film è liberamente ispirato al romanzo di Covacich. Hai avuto più libertà in questa trasposizione rispetto ad altre sceneggiature tratte da romanzi? Abbiamo scoperto che Angela Del Fabbro era in realtà lo pseudonimo di uno scrittore affermato, Mauro Covacich solo quando ormai avevamo scritto la prima stesura della sceneggiatura. Lo abbiamo letto un giorno su Repubblica, nel corso di un’intervista di Covacich. In un certo senso aver lavorato su quel testo senza sapere chi fosse il vero autore ci aveva facilitato le cose, ci eravamo sentite davvero libere di trasformarlo. Direi che il film è in gran parte fedele al romanzo, ma abbiamo fatto alcune scelte molto diverse. Tradire un testo letterario è inevitabile nel processo di adattamento, cinema e parola scritta non hanno lo stesso ritmo, la stessa velocità, neanche lo stesso impatto emotivo. Abbiamo tagliato dei personaggi, alcuni snodi narrativi, abbiamo aggiunto scene che nel libro non ci sono, sopratutto abbiamo rovesciato il finale.

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Gemma Lanzo dialoga con Francesca Marciano Francesca Marciano


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Si chiude oggi all’Archivio di Stato di Lecce la mostra “La Grande Guerra nel Salento”

uando si pensa a una ricerca storica che indaghi, spieghi un aspetto più o meno particolare del passato del nostro territorio e dei suoi abitanti non si può non fare riferimento all'Archivio di Stato di Lecce, istituzione locale del MIBACT , fra le più attive e significative per qualità e quantità delle proposte culturali (sempre accesso gratuito al pubblico). In occasione delle Giornate Europee del Patrimonio 2014, l'Archivio di Stato di Lecce (Via Sozy Carafa, 15, 73100 Lecce) ha organizzato la mostra "La Grande Guerra nel Salento. Schegge di storia". Per illustrare il contributo offerto dai salentini al primo conflitto globale della storia che in Europa ebbe le sue radici politiche ed ideologiche. La mostra sarà visitabile oggi 5 ottobre - ultimo giorno di allestimento - con un apertura straordinaria dalle 10,00 alle 20,00. Per far comprendere meglio quanto detto è stato concesso di pubblicare qui testo e immagine presenti nella mostra adesso in corso e relativi a Orazio Greco, carabiniere del Reggimento mobilitato CC.RR. Il militare nato a Martignano il 17 novembre 1888, morì il 18 luglio 1915 nella battaglia del Podgora per ferite riportate in combattimento. Il giovane fu iscritto nei ruoli matricolari del comune di Martignano, mandamento di Galatina, con matricola n. 29608. Nel suo foglio di servizio si legge: Decorato della medaglia di bronzo al valor militare perché “spontaneamente offertosi, collocò tubi esplosivi per la distruzione del reticolato nemico, ma nella difficile impresa, cadde colpito a morte”. Il suo nome è riportato nell’Albo d’oro dei militari caduti nella guerra 1915-1918. Al suo ardimento venne dedicata una cartolina (fig.1) commemorativa nella serie “Atti eroici dei Carabinieri Reali”, Edizione speciale del Museo storico dell’Arma. (AS LE, Distretto militare di Lecce, Ruoli matricolari)

Orazio nell’Albo d’Oro

La battaglia del Podgora

Uno degli eventi più tragici ed epici della prima guerra mondiale sul fronte italiano fu la battaglia del monte Podgora (Gorizia) che si svolse il 19 luglio 1915 alla quota 240 della montagna ed ebbe come protagonisti i Carabinieri Reali. All’alba del 18 luglio furono approntate alcune azioni preparatorie: alle 6,30 dieci carabinieri e dieci genieri effettuarono una sortita per distruggere i reticolati nemici utilizzando tubi di gelatina esplosiva ed aprendo un varco di una decina di metri. Gli austroungarici risposero con un lancio di bombe a mano che uccisero un carabiniere ed un geniere. Alle ore 13 un’altra squadra di carabinieri volontari riuscì con le pinze ad aprire un ulteriore varco nei reticolati. Il nemico dominava nettamente la posizione con le artiglierie poste oltre l’Isonzo e col fuoco coperto di fucileria e di mitragliatrici. Il battaglione dei Carabinieri poteva contare su 1333 uomini, su un solo pezzo di artiglieria, su due batterie da 75 mm e su una sezione di mitragliatrici, aggregata dal 36° Reggimento Fanteria. Il 19 luglio il fuoco della batteria diede inizio all’attacco, teso a colpire le trincee nemiche di sinistra dove erano posizionate le mitragliatrici. Fu una battaglia cruenta, combattuta anche con attacchi alla baionetta, che portò i Carabinieri a ridosso dei reticolati nemici senza riuscire a conquistarli. La giornata si concluse con 53 morti, 143 feriti ed 11 dispersi. Nella notte, alcuni carabinieri volontari si occuparono del recupero e della sepoltura dei caduti. Nei giorni successivi si reiterarono gli attacchi con gravi perdite, difficile era anche la situazione sanitaria, in quanto la zona era ricoperta di cadaveri insepoliti: tra il 21 ed il 25 luglio, 355 Carabinieri furono avviati agli ospedali per ferite o malattie. Il 17 agosto il 36° Reggimento fanteria diede il cambio agli esausti Carabinieri che per 31 giorni avevano valorosamente tenuto testa all’esercito nemico. Il Podgora fu occupato il 7 agosto 1916 in una battaglia che portò alla conquista di Gorizia, a seguito della ritirata austroungarica sulla riva orientale dell’Isonzo.

La pagina della Domenica del Corriere dedicata all’eroica morte del carabiniere Orazio Greco da Martignano

La pagina è a cura di Marisa Milella* e Fabio A. Grasso. *Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Puglia


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Fotografia

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L’Associazione Mena Mille Eventi nell’Aria propone fino al 4 novembre, a Lecce tra Piazza Italia e Viale Marche “FIM - Fotografia, Identità e Memoria” una mostra open air curata da Simona Ghizzoni

Autobiografia di un quartiere

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ell’ambito del Programma Integrato di Rigenerazione Urbana di Via Leuca, l’Associazione Mena – Mille Eventi nell’Aria – propone “FIM. Fotografia, Identità e Memoria”, una mostra curata da Simona Ghizzoni, due volte vincitrice del prestigioso World Press Photo, e composta da 175 immagini raccolte grazie a un progetto dedicato alla creazione di un album fotografico autobiografico del quartiere. Fino a martedì 4 novembre sarà possibile visitare la prima mostra fotografica open air organizzata a Leuca, tra Piazza Italia a Viale Marche (la mostra è stata inaugurata sabato 4 ottobre). I 60 maxi pannelli allestiti lungo tutta la via saranno accompagnati dalla proiezione di un video che racconterà l’esperienza vissuta dai 18 fotografi e dai protagonisti delle immagini, gli abitanti del quartiere, che li hanno accolti e guidati nella realizzazione del progetto. Si tratta di un percorso espositivo che si candida a diventare una nuova ‘mappa’ del quartiere, ridisegnata grazie al lavoro di ricerca svolto dai partecipanti al workshop FIM - Fotografia, Identità e Memoria, un corso gratuito diretto da Simona Ghizzoni e che ha coinvolto 18 cittadini di Lecce e Provincia nel corso degli ultimi 4 mesi. Il progetto Intervenire nei luoghi pubblici con soluzioni artistiche significa favorire l’interazione sociale, e quindi l’integrazione, ma anche promuovere la riappropriazione collettiva di uno spazio pubblico. In questo progetto la fotografia diventa un vero e proprio canale di dialogo, che mette a confronto le diversità attraverso la capacità propria dello scatto di cogliere la multi-

culturalità di un quartiere. Con la macchina fotografica è infatti possibile riappropriarsi di uno spazio pubblico, cogliendo le sue infinite prospettive e trasformandolo in un laboratorio di creatività, aperto alle emozioni e capace di educare al senso civico, al rispetto del luogo e dell’arte. La fotografia può cogliere le mancanze, i desideri o gli abusi che riguardano gli spazi comuni, mettendo a fuoco i problemi di una collettività e le sue preoccupazioni, affrontando importanti temi sociali contemporanei come la mancanza di verde e d’integrazione sociale, l’indifferenza e la paura dello straniero, la fobia della diversità, la solitudine degli anziani e la difficoltà di far giocare i bambini. Lavorare con la fotografia significa camminare, conoscere, rimisurare lo spazio con il proprio corpo, realizzare un “addomesticamento” fisico del territorio, trasformando lo spazio pubblico in privato. Fotografando i luoghi e raccogliendo i racconti di chi popola un quartiere, la narrazione da individuale diventa collettiva e si riattiva il senso del luogo spesso dimenticato. La ricerca per immagini ha un obiettivo sociale, antropologico, anche rispetto alla scelta del luogo dell’azione: il quartiere Leuca, teatro di mancata omologazione di comunità etniche che tendono a non comunicare tra di loro e a vivere nella reciproca indifferenza. Avvicinare mondi diversi all’insegna dell’arte, per creare appunto uno spazio di contatto dallo straordinario impatto sociale. La fotografia al servizio del sociale dimostra che nel divertimento, nel gioco e nello scambio di esperienze artistiche siamo tutti uguali, e che la creatività da’ voce a sentimenti e sensazioni che fanno parte di un linguaggio universale che non conosce barriere culturali.

Simona Ghizzoni è nata a Reggio Emilia nel 1977. Dopo gli studi classici, ha frequentato l’Istituto di Fotografia e Arti Visive di Padova e si è laureata alla Facoltà di Arte, Musica e Spettacolo di Bologna con una tesi sulla Storia della Fotografia. Dal 2005 si dedica al reportage sociale con particolare riguardo alla condizione della donna. Nel 2006 viene selezionata per Reflexions Masterclass, seminario biennale tenuto dalla fotografa Giorgia Fiorio e dal curatore Gabriel Bauret. Nello stesso anno ha vinto il primo premio al concorso Attenzione Talento Fnac, con “Scars”, un reportage sulla città di Sarajevo a 10 anni dalla fine della guerra. Dal 2006 al 2010 si è dedicata ad “Odd Days”, un progetto a lungo sui disturbi dell’alimentazione, con il quale si è guadagnato il terzo premio nella categoria ritratti al World Press Photo 2008 e nel 2009 il Photoespana Ojodepez Award for Human Values. Nel 2009 ha partecipato al prestigioso Joop Swart Masterclass. Nel 2010 ha iniziato un progetto sulle conseguenze della guerra sulle donne, lavorando sulla condizione delle profughe irachene in Giordania (2010), in West Bank e nella Striscia di Gaza (2010-2011) e nel Western Sahara (2012) grazie al contributo della fondazione The Aftermath Project. Con il progetto “Afterdark”, sulla condizione delle donne vittime di menomazioni causate dall’operazione Cast Lead nella Striscia di Gaza si è aggiudicato il terzo premio nella categoria Contemporary Issues al World Press Photo 2012. Simona Ghizzoni vive a Roma ed è rappresentata dall’Agenzia Contrasto e dalla galleria Forma di Milano.


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