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spagine Spagine della domenica n°48 - 19 ottobre 2014 - anno 2 n.0 Periodico culturale dell’Associazione Fondo Verri Un omaggio alla scrittura infinita di F.S. Dòdaro e A. L. Verri


L’impazzimento è spagine

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a detto Piero Fassino, sindaco Pd di Torino ed ex segretario dei Ds (l’ultimo ad esserlo stato prima del Pd), nonché ex Ministro della Giustizia e del Commercio con l’Estero, attualmente presidente dell’Anci, che «se il Parlamento restasse chiuso sei mesi, potrebbe perfino capitare che nessuno se ne accorga», perché «ha perso la sua centralità». Ed è, secondo lui, cosa normale, ancorché dolorosa, perché «dobbiamo ripensare le forme della democrazia politica», non dobbiamo rifugiarci «nella nostalgia di quel che c’era prima. Di nostalgia non si vive, si muore» (Intervista di Aldo Cazzullo sul “Corriere della Sera” di sabato, 11 ottobre). Poi una irrilevante rettifica sul “Corriere della Sera” del 14 successivo: «Ho posto un tema politico e culturale che sta sotto gli occhi di tutti: vi è una crisi […] delle forme politiche e istituzionali di rappresentanza» e via di seguito con altre considerazioni, condivisibili sul piano diagnostico, di meno su quello terapeutico. Fassino va capito nell’economia della sua situazione. In quanto sindaco di Torino è espressione della più ampia platea del centrosinistra e se punta ad essere confermato alla scadenza del mandato – come punta – non può dire o fare cosa che in questo momento urti quella platea, larghissimamente renziana. Non è un’interpretazione maligna; semplicemente la sua è una condizione che non gli consente di dire altro. Questo solo oggi può dire… Resta tuttavia grave la filosofia politica che sottende il suo pensiero. Così ragionando, infatti, tutto ciò che è accaduto, che accade e che accadrà nella vita politica di un paese, finisce per essere giustificato. Fassino non è uno qualsiasi. Cariche politiche e governative a parte, è uno che solo qualche anno fa scrisse un libro “Per passione” (Rizzoli, 2003), in cui, a proposito di Giancarlo Pajetta, disse che «non volle mai arrendersi all’idea, che si è dimostrata inesorabilmente vera, che il comunismo fosse incompatibile con la libertà e la democrazia» (p. 49). E si diceva convinto che «il riformismo [fosse] la

politica più “di sinistra”, mentre [riteneva] ingannevoli le lusinghe dell’estremismo e del massimalismo e demagogiche le loro accuse al riformismo di “svendere” le idee di progresso per debolezza e incapacità» (p. 53). Alla luce di queste e di altre affermazioni non c’è da sorprendersi se oggi è su posizioni lontane da D’Alema e Bersani, i quali, però, senza essere estremisti e massimalisti, difendono alcuni principi basilari della democrazia, come la si intende a sinistra; anzi, come la si intende e basta, dato che alcune reali derive sono tali da non avere dubbi sulla loro antidemocraticità o sono tendenzialmente antidemocratiche. Eccone alcune, senza alcun bisogno di esagerarle: 1. c’è un Parlamento, eletto con una legge incostituzionale, che ratifica, con voto di fiducia, quel che decide un governo che di fatto è un solo uomo, Renzi; 2. c’è un Senato, che si diceva andasse abolito, che non è più votato dai cittadini; 3. ci sono le province, che si diceva andassero abolite, che non sono più votate dai cittadini; col governo Renzi siamo in presenza del secondo governo extraparlamentare, non votato dai cittadini, con l’aggravante che né Monti né Renzi erano parlamentari all’atto dell’incarico; 4. il Parlamento è stato incapace di eleggere il nuovo Presidente della Repubblica, lasciando in carica Napolitano, di fatto in regime di prorogatio; i cittadini, nelle loro più diverse condizioni politiche, economiche e sociali, sono privi di rappresentanza, per cui non possono in alcun modo far sentire la loro voce; 5. il capo del governo è solo uno che fa quel che la Commissione Europea gli impone, a prescindere da ogni altra considerazione; 6. l’Italia ha ceduto pezzi di sovranità all’Europa senza aver sottoposto nulla al giudizio degli italiani; 7. la quasi generalità dell’informazione spaventa quotidianamente il Paese con notizie che hanno carattere intimidatorio e ricattatorio, enfatizza quelle poche funzionali alla propaganda governativa e nasconde quelle considerate nocive; 8. importanti conquiste sociali come le garanzie dei lavoratori sono abolite come se si trattasse di vecchie inservibili suppellettili; 9. la Costituzione ormai è carta straccia, vanifi-

cata da una realtà emergenziale; 10. la Presidenza della Repubblica è impelagata in “presunte” trattative con la mafia, devastanti sul piano della credibilità e dei valori istituzionali di cui deve godere lo Stato di diritto. A fronte di una situazione del genere, che di democratico non ha che le macerie – le si voglia vedere o meno è un altro discorso – Fassino non ha da opporre che una risibilissima obiezione: «Viviamo l’epoca in cui un movimento arriva al 25 % dei voti senza una sezione, senza una tessera, senza un segretario. Vogliamo discuterne e capire perché?» (intervista citata). Ma Fassino è troppo intelligente per non capire che un conto è il fine un altro il mezzo. Che oggi la politica abbia forme e percorsi diversi è un dato di fatto inoppugnabile, ma che le finalità democratiche debbano essere le stesse non bisognerebbe minimamente discuterlo. Anche nei paesini di poche migliaia di abitanti ci sono giovani che con i social network riescono alle elezioni amministrative a prendere una caterva di voti; e sono giovani praticamente sconosciuti ai luoghi urbani, alla frequentazioni pubbliche, nascosti alla politica quale ancora si fa, attraverso incontri, convegni, conferenze e dibattiti. E, allora? Allora vuol dire che oggi bisogna prendere atto dei cambiamenti formali e strumentali, ma per perseguire le finalità di sempre, che durano dalle origini della democrazia. Non bisogna farsi abbacinare dai piccoli o grandi cambiamenti e perdere di vista i piccoli o grandi traguardi dell’uomo politico, del cittadino. Questo correre dietro a Renzi, se per il sindaco Fassino ha una ragione politica, per l’uomo Fassino, culturalmente provveduto, non ha alcuna ragione etica. Il renzismo dilagante è un vero impazzimento diffuso. Lo svilire i valori della politica incomincia a diventare pratica demenziale. I valori non sono alimenti che scadono, possono perdere la loro brillantezza, la loro luce, per le inevitabili traversie della realtà, ma restano validi. Essi sono come la lampada di Aladino, rottami buttati in un angolo, ma basta che li strofini ed ecco che ritrovi i grandi desideribisogni della vita politica.


è generale

Diario politico

della domenica n°48 - 19 ottobre 2014 - anno 2 n.0

zzzz

di Gigi Montonato


I

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n questa contemporaneità di accesa conflittualità, di diffidenza, di proclami retorici, con attesa rinnovata cerchiamo albe nuove che possano ravviare la nostra coscienza, raggi di sole, lucori di speranza color giacinto. La quotidianità ci ha quasi assuefatto a subire passivamente messaggi vuoti, di nessuna consistenza. L’universo della politica dominante è eternamente animato dai suoi “bisogni insopprimibili”, che sono desideri inesausti di egemonia e di controllo, corse sfrenate verso il successo, a bordo d’uno sconcertante e fastidioso rampantismo. La politica attiva è spesso il luogo fisico del furente bisticcio, della polemica sterile, il debole terreno di coltura dove attecchisce il più desolante arrivismo di certuni. Da laici, troviamo più attraente, produttivo, affascinante, rivolgerci ad alcuni moniti provenienti dalla Chiesa cattolica, che sono echi d’amore e onde gentili, una linfa vitale nel deserto che avanza. Solitamente, da più parti, si puntualizza la necessità di tenere sempre staccata la sfera dello Stato dal dominio della religione. È una saggia condotta non ingenerare pericolose mescolanze e improvvide invasioni di campo. L’essenza dello Stato laico e liberale si rafforza nel momento in cui la religione sa stare alla dovuta distanza; parimenti, qualsiasi confessione è più autorevole, è più profetica, più credibile, se riesce a predefinire il suo raggio d’azione appannaggio delle anime sensibili. Ma, da laici, apprezziamo i sistematici appelli, ad esempio, di papa Francesco alla pace, in questo avvilito mondo lacerato e devastato da conflitti di varia natura. Francesco è l’uomo del dialogo, nel suo splendente Cortile dei Gentili tutto possiamo trovare ascolto. Lui esorta la comunità di continuo con piglio pressoché “politico”, alfine di educare ciascuno al rispetto dello straniero, a tutelate l’ambiente e il Creato, ad abbondare la riprovevole violenza delle armi. Questo villaggio globale, universale, tende pur con molte sofferenze al multiculturalismo, al mescolamento e al lussureggiamento dei vari gruppi etnici. Già Papa Benedetto XVI ammoniva: “Fin da piccoli è importante essere educati al rispetto dell’altro, anche quando è differente da noi”. Insegnamenti sacrosanti, perché solo preparando responsabilmente le giovanissime generazioni, si può prospettare di diffondere sani germi di comprensione, di intesa reciproca, di corretta comunicazione. Far capire ai nostri ragazzi che siamo tutti cittadini, figli d’una madre Terra. Mostrare con convinzione ad essi che il razzismo (come ideologia, come pregiudizio, come comportamento) rappresenta una degenerazione del pensiero. Occorre aprirsi all’altro. Alcuni gruppi nazionalistici europei vorrebbero chiudere le frontiere, rinserrarsi a riccio. Non si edifica così una civiltà nuova. La Chiesa, in particolare, insiste sul fatto che non ci si possa appellare unicamente ad un aspetto economico per governare una rivoluzione antropologica, dei flussi in movimento (in specie sotto lo scacco delle infinite

La chiesa

avanti

Contemporanea

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di Marcello Buttazzo

Beato Angelico, Cristo coronato di spine, 1420

guerre), che vanno disciplinati con la ragione, con l’amore. Non ci si può approcciare alle inevitabili migrazioni dei popoli cedendo ad una cultura dell’intransigenza, dell’isolamento, che a volte ha l’acre sapore del miserevole darwinismo sociale. In Italia, nonostante le anacronistiche pretese di qualche politico del Nord, grazie anche ad una diffusa cultura cristiana, prospera una coscienza decorosa: s’avanza un

civile pensiero dell’integrazione, perché si è consapevoli di come devono andare le cose del mondo, le cose della vita. Le genti di diversi colori e gruppi etnici e gli abitanti autoctoni, di fatto, costituiscono una popolazione multiforme, intimamente unita da ragioni comprensive. Si può veramente convivere in un villaggio multietnico, multiculturale, globale, aderendo alle nostre leggi e alla Carta costituzionale, nel più rigoroso rispetto delle varie e feconde culture. La Chiesa cattolica che ha a cuore la pace si prefigge di tutelare l’ecosistema Terra: “ Se vuoi coltivare la pace, custodisci il Creato”. Un’etica della responsabilità e un superiore senso di appartenenza impongono di prestare ascolto alle esilissime leggi di Natura, ai suoi delicati equilibri. Devastare l’ambiente è un gravissimo reato. L’uomo che distrugge gli ecosistemi sconquassa se stesso, non si prende cura della sua profonda indole. La Chiesa ritiene che sia terroristico abusare dall’ambiente e auspica una lungimirante revisione del modello di sviluppo. Ovviamente, l’appello è indirizzato particolarmente ai cosiddetti potenti. L’anidride carbonica, gli ossidi, gli altri gas serra, gravano come una cappa minacciosa. Siamo da tempo su una pericolosa china. Le premure cristiane costituiscono una sollecitazione per un serio e decoroso impegno programmatico. Certo, nei grandi summit sul clima (l’ultimo di recente all’Onu), non si raggiungono mai accordi vincolanti - legalmente e politicamentedi riduzione degli inquinanti. Ciononostante, fra l’opinione pubblica mondiale esiste una consapevolezza diffusa. Il 21 settembre scorso, in tutto il mondo, oltre 570 mila persone hanno manifestato in difesa del clima con marce pacifiche. Gli equilibri chimico- fisici dell’atmosfera sono delicati, è vero, ma anche la sensibilità dei cittadini che si adoperano per l’integrità del pianeta e per la tutela dei diritti è come un’anima soave. L’immenso popolo della Terra vuole un benessere persistente, vuole inserire un tarlo d’amore in questa povera economia capitalistica. Possiamo credere in un più solidale equilibrio, basato non più sul predominio violento, non più sulla squallida politica della spoliazione? Possiamo sperare, prima o poi, in una qualche equipartizione generosa delle risorse naturali, sul riconoscimento effettivo e sulla legittimazione dei diritti di tutte le genti?


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in agenda

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Oculi de vitro cum capsula», esclama incuriosito uno degli scrivani della Biblioteca dei benedettini alla vista degli occhiali, o qualcosa di simile, tirati fuori da Guglielmo da Baskerville nel film Il Nome della rosa (la battuta non si trova invece nel libro di Eco). Gli occhiali, in realtà due «mandorle di vetro tenute da una forcella», appaiono meravigliosi e inquietanti in quanto segno della presunzione intellettuale di Gugliemo di fronte a Dio. Nel Medioevo gli oculari di vetro erano, in alcuni casi, associati al demoniaco, all’ inganno e alla perversione del visibile: ingrandire rimpicciolire sdoppiare capovolgere. Arte diabolica, quella delle protesi oculari, e S.S. Nigro scrive, citando dal Corpus Thomisticum, che l'occhio è «il portinaio del diavolo» (“janitor Diaboli”). S.S. Nigro – l’autore di quel fantastico libro che è La tabacchiera di don Lisander – ci fa compiere un viaggio, letterario e artistico, una sorta di personale peripezia a la Mario Praz, tra occhiali e cannocchiali e conseguenti pulsioni voyeuristiche. Un viaggio che tace, giustamente, di quell’aspetto scientifico e razionale degli strumenti ottici (a partire dal cannocchiale galileiano) per guidarci invece in un itinerario non tanto della curiositas scientifica quanto della voluptas, cioè quel desiderio erotico che inizia dallo sguardo e che le lenti potenziano ed estendono. E, infatti, tutto ciò che potenzia i sensi è degno di essere meditato. Gli occhiali sono la risposta tecnica all’impotenza visiva, ed è una risposta che si carica, però, di significati imprevisti. Potremmo far rientrare occhiali e cannocchiali all’interno di una storia generale dello sguardo che vuole superare i propri limiti naturali: bucare muri, pareti e tramezzi, portare alla luce ciò che è nascosto, un po’ come scoperchiare tetti e vedere dentro quelli che Nigro chiama «i luoghi divisi del corpo sociale», case, palazzi, cancellerie. La letteratura come un immenso peep show. Attraverso alcuni snodi della letteratura europea, e non della più scontata, Nigro ci mostra come lo sguardo fosse associato alla concupiscenza, alla penetrazione dei segreti, all’effrazione visiva, un tema barocco che coinvolge Daniello

Di due mando di ve


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di Sebastiano Leotta

Aleksandr Rodčenko, Ritratto di madre, 1924

Letture

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Salvatore Silvano Nigro Il portinaio del diavolo. Occhiali e altre inquietudini, Bompiani, Milano 2014

Bartoli, Francesco Pona, Francisco De Quevedo, ma anche uno strano romanzo del 1631 di Comenio (Il labirinto del mondo e il paradiso del cuore, il cui protagonista è un viaggiatore del gran teatro del mondo che porta sul naso un paio di occhiali in grado di svelare il cuore interno di ogni cosa). Questi autori rappresentano nei loro testi le modalità di quello sguardo conoscitivo che permette di smascherare l'ipocrisia, la vanità, i vizi, le apparenze ingannevoli della politica e della morale. Ma i luoghi indagati da Nigro spaziano anche dal Simenon de Le finestre di fronte a La finestra sul cortile di Hitchcock, con un James Stewart «personaggio che spia le finestre dei caseggiati»; da Decalogo 6 di Kieślowski, con il ragazzino Tomek che osserva con un binocolo la donna del palazzo di fronte immaginando quasi un romanzo amoroso, a una serie di immagini che si alternano ai capitoli: i quadri di Hyeronimus Bosch, Rutilio Manetti, Marcel Duchamp, e le foto di Giuseppe Leoni delle maschere grottesche, tutte rigorosamente con occhiali, di Palazzo Cosentini a Ragusa. Ma Nigro avrebbe potuto aggiungere lo sguardo lungo dell'immortale zia Léonie proustiana, che dalla sua reclusione in una stanza vive la sua vita accanto a una finestra e osserva e inventa i racconti e le cronache che la piazza di Combray le offre. Ogni sguardo voyeuristico diventa il pretesto per la via narrativa; secondo Nigro, «questi radiologi diventano reporter del nascosto e del non visibile. Allungavano gli occhi e ghermivano il bandolo di storie altrimenti non narrabili le estraevano dall'ombra le facevano proliferare a vista, e le rendevano sfogliabili come in un'enciclopedia del racconto». Ma attenzione, però, ogni protesi ottica nasconde insidie, fallacie e delusioni. Nel racconto di Anna Maria Ortese – Un paio di occhiali (1953): Eugenia una bambina «quasi cecata», vive in povertà e dentro una perpetua nebbia. Una zia le compra un paio di occhiali e la bambina vede per la prima volta, ritraendosene con orrore, la miseria immensa dei bassi napoletani. Commenta Nigro: «Allora è meglio la cecità che un mondo così: brutto assai. Senza gli occhiali, dietro gli oscuranti delle palpebre, l' immaginarietà è rassicurante». E chi non ricorda, quanto a delusioni, la pubblicità, siamo attorno agli anni ’80,

degli occhiali a raggi X che avrebbero permesso di vedere sotto i vestiti delle donne? *** Vasto è il catalogo dei vetri ottici. Monocoli, fassamani, stringinaso, a ferro di cavallo, a losanga, a mandorla, pincenez, lorgnette, ecc. se ne può seguire un elenco nelle Considerazioni sugli occhiali di George Perec, un testo ripreso dallo studioso siciliano per ricordarci le potenzialità descrittive che portano con sé questi «piccoli laghi di vetro» (Sciascia): come portarli, come pulirli o i gesti con gli occhiali, come mordicchiare la stanghetta pensosamente, per esempio. Il saggio di Nigro si chiude con un capitolo, Gli occhiali di Ėjzenštejn dedicato a Todo Modo di Sciascia. Nel libro di Sciascia, come sappiamo, si parte da un quadro misterioso di un pittore senese, Rutilio Manetti, la Tentazione di S. Antonio abate. L’anacoreta, in questa tela, è tentato da un diavolo che indossa gli occhiali, gli stessi, a pince-nez, che porta il protagonista di Todo Modo don Gaetano, mefistofelico rappresentante di una teologia politica tridentina che non riconosce, non ‘vede’, altro da sé se non come eresia e perversione, e «gestore degli stretti legami tra Chiesa e Potere nell’Italia democristiana» Nelle ultime pagine del romanzo, di fronte al cadavere di don Gaetano assassinato, Sciascia si sofferma su un particolare, gli occhiali che penzolano, attaccati a un cordoncino, dal corpo ormai inerte del prete. Questa pagina, scrive Nigro, è la citazione di un fotogramma de La corazzata Potëmkin. Si tratta della bellissima scena dell’ufficiale medico, anche lui con con pince-nez, che si rifiuta di ‘vedere’ la carne marcia piena di vermi che i marinai non intendono assolutamente di mangiare. Qui gli occhiali sono simbolo del cieco potere autocratico che nega la realtà delle cose. Alla fine i marinai si ribellano e lanciano l’ufficiale in mare. La sequenza si chiude con il dettaglio degli occhiali rimasti a oscillare appesi a un cavo. Queste righe di Todo Modo, dunque, evocano il capolavoro russo: accecamento religioso e accecamento ideologico. Arte, letteratura e cinema, in Sciascia, così come in Nigro, si saldano in un tutto unico.


Va dove ti porta il libro A spagine

Cronache culturali

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Mercoledì 15 ottobre è stato presentato alla Feltrinelli di Lecce Teresa Manara, nuovo romanzo di Luisa Ruggio per Controluce (Besa)

di Antonio Zoretti

spettava solo il momento d’entrare, come d’incanto, nella sua veste nera appariscente. Quel colore portato fin giù nelle scarpe con tacco a spillo battente, che l’impronta andava lasciando nello spazio ospitante. Nella baraonda attraversava l’ambiente, e con lo sguardo all’orizzonte pensava solo al trionfo imminente e al successo imponente. Del suo charme ella si copriva, avvolta di luce, da navigata scrittrice onorava la sua presenza. Copiosa nell’apparire, rivestita dal suo smalto e desiderosa alquanto di vivere quell’istante. Conscia, forse, che di lei non rimarrà più niente. La primula nera presentava un libro e s’apriva con largo sorriso ai numerosi presenti. Questo accadeva in un afosa serata di metà ottobre alla libreria Feltrinelli in Lecce. Si vivono così oggi le giornate, purtroppo, la gloria è concessa a tutti: ma solo per un giorno, appunto. Del domani non c’è certezza. A coronare l’evento dei giovincelli travestiti (cioè, vestiti da personaggi delle fiabe) rallegravano l’ambiente, ed infine un gruppo di danzatrici alludeva in strada un ‘flash mob’ seducente. Insomma, un movimento confuso di più persone infervorava l’aria in quello stretto spazio di Via dei Templari. A trarne più vantaggio da questo miraggio è senz’altro l’azienda vinicola Cantele, che produce un delizioso e rinomato vino, offerto come assaggio alla fine del

saggio. Il libro presentato, infatti, proprio di questo tratta sotto forma di romanzo: allude a Teresa Manara, donna del Nord che scende nel Salento negli anni Cinquanta per produrre vino. *** Ultimamente letteratura e vino si sposano facilmente, come la saggistica è accompagnata dalla pastasciutta in un’altra libreria, non molto distante da questa. In simbiosi si arredano olii, liquori, conserve, marmellate e mustazzoli, convivendo con reciproco vantaggio in questo mercato invadente. Rappresentano proprio il vuoto di questo mondo evanescente. E con indubbio fervore l'editoria d’oggi si presenta, amante del nulla, ebbra del successo; consapevole che alla fine è solo il vino che resta. Tutto il resto è solo paglia e fieno da distribuire alle greggi. Il rimpianto verrà dopo, a chi non ha potuto assaporare il nettare divino che le Cantine Cantele ci hanno proposto, per appagare una vita deludente. E le ballerine, i travestiti, le bambine, e le signore nere intriganti che posto avran preso in questo contesto? Di loro non rimarrà niente, sono solo il frutto dell’apparenza, dell’immagine riflessa; quello che invece durerà in eterno è il succo dell’uva che mani sapienti han saputo trattare, donandoci momenti d’autentico sapore. Comunque i menestrelli erano lo stesso lieti, e gli uni degli altri ardenti: perché il tempo ingannavano e fuggivano, apparivano contenti. Allegri, questi

satiretti e ninfette usciti dai boschi che amano esser imbrogliati da grossolane genti che li tiene insieme mescolati, e ballano tuttavia. Questo corpo, che vien trattato come l’asino, è così stantio ma ebbro e lieto, già di inutili sforzi pieno; che non può star dritto, ma ride e gode tuttavia. Una maestra è dietro a costoro: ciò che tocca oro diventa. Ma a chi giova tutto ciò? Solo a chi si accontenta. *** Ora tutti devono aprire bene gli occhi, che di immagini non si vive; oggi sono, giovani e vecchi, imbevuti di questo pensiero triste, e tuttavia ne fanno festa. Fra suoni, balli e canti son convenuti; e la lieta novella è fuggevole tuttavia. Chi vuol esser lieto beva solo un buon calice di Chardonnay, che del domani delle scrittrici e danzatrici non c’è certezza. “Per fare un libro ci vuole un vino, per fare l’uva ci vuole un seme. Per impiantare il seme ci vuole un viticultore […]”. Questo può essere l’ultimo spot della distribuzione nazionale del nuovo romanzo di Luisa Ruggio: “Teresa Manara”, a seguito dell’aperitivo offerto dalle Cantine Cantele. Una guida per il futuro, in fatto di libri, targati dalle varie aziende vinicole locali. Strategia innovativa ad alto potenziale per scrittori di talento. Semina oggi per il tuo domani. La vita è essere liberi di scegliere un libro, sempre. Questa è l’anima vincente. Chi legge ama. Chi scrive beve. Una via da seguire, insomma, con l’apporto dei bambini in abiti vintage, piccoli “uomini di

domani”, che magari canticchiano un motivo musicale che piace a tutti. Per esempio, riportando alla luce una vecchia canzone di Sergio Endrigo “Per fare un albero” e cambiandone un po’ le parole, come sopra citate. Riempiendo le mani dei bambini di borotalco, infine. L’immaginazione dei bambini è incredibile, e il progresso nasce sempre da un sogno. Sarà il playoff dello spot dei Libri di domani, che ci regala, in un ora di manifestazione, un mondo dominato dalla spontaneità e dalla fantasia. E a noi piace crederci perché così è il mondo che vorremmo… osservato con occhi giovani. Un mondo salvato dai bambini, i quali lanciassero quel borotalco stretto nelle loro mani sulla dama nera, finalmente. I grandi non capiscono niente da soli e i bambini si stancano a spogliargli di tutto ogni volta. *** “Il re è nudo” avrebbe detto un bambino in strada spezzando l’incantesimo dell’imperatore vanitoso completamente dedito alla cura del suo aspetto esteriore, e in particolare del suo abbigliamento, stanco di vedere una folla di cittadini che applaudono e lodano a gran voce l’eleganza del sovrano – ne “I vestiti nuovi dell’imperatore” (fiaba danese scritta da Hans Christian Anderson).

Bisogna sempre spiegargliele le cose ai grandi. Per dire il vero ci vuole un bambino!


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in Agenda

Cronache culturali

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Domenica 19 ottobre, alle 19.00 per l’Oktoberbook dell’Assessorato alla Cultura di Copertino la Cantina Quattro Casali ospita la presentazione dellaraccolta poetica di Elio Coriano per Musicaos edizioni

A nuda voce

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omenica 19 ottobre, alle 19.00, nell’ambito della rassegna Oktoberbook, realizzata dall’Assessorato alla Cultura di Copertino, presso la Cantina Quattro Casali a Copertino in via Galatina, si terrà la prima presentazione di “A nuda voce. Canto per le tabacchine”, la raccolta poetica di Elio Coriano che inaugura la collana di poesia di musicaos edizioni.

Si legge nella quarta di copertina: “Elio Coriano con questa sua opera intende restituire una voce alle tabacchine morte il 13 giugno 1960 a Calimera, a causa di un incendio nei locali della ditta Villani e Franzo. Questo canto si unisce a quello di una generazione di salentini che hanno lavorato, anche in condizioni disumane, per garantire un futuro ai propri figli”. L’introduzione al volume è stata affidata a Ada Donno: “Il Salento era diventata una delle aree più altamente specializzate nella produzione e la prima lavorazione delle qualità di tabacco levantino, che Rosetta e le sue compagne avevano imparato a distinguere e a chiamare coi loro nomi impronunciabili che a loro suonavano come “santujaca”, “peristizza” e “zagovina”: le più chiare dalle più scure, le più larghe dalle più piccole, le più ruvide dalle più lisce. Le tabacchine erano manodopera indispensabile: prima di tutto perché la lavorazione delle foglie richiedeva le mani abili, leggere e veloci delle donne, meglio se in giovanissima età. Spesso erano quelle stesse mani che negli altri mesi dell’anno tessevano i propri corredi al telaio o ricamavano quelli commissionati dalle signore dei paesi. E poi perché era manodopera docile, che si poteva pagare la metà degli uomini senza dovere spiegare perché, disposta a piegarsi ad ogni angheria pur di tenersi quel posto. Molte delle compagne di lavoro di Rosetta provenivano dalle famiglie di coloni o di braccianti che producevano il tabacco nelle campagne attorno agli opi-

fici. Con la loro fatica stagionale, precaria e frammentata, d’estate nelle campagne di raccolta e d’inverno negli opifici, le lavoratrici del tabacco integravano il reddito familiare. Tale concezione integrativa, a giustificazione della bassa retribuzione femminile, era stata per secoli lo strumento di assoggettamento sociale, politico e culturale, nonché familiare, delle donne. Secondo un criterio indiscusso, infatti, alle donne veniva corrisposto per legge solo il compenso dello sforzo richiesto dal lavoro in fabbrica o in campagna. Il corrispettivo economico delle cure domestiche, invece, attività propria della donna per definizione e destino, veniva integrato nel salario dell’uomo capofamiglia, al quale soltanto spettava il mantenimento della donna e dei figli. E caso mai non fosse bastata questa giustificazione, c’era l’altra più rozza e sbrigativa, comunemente accettata, dell’inferiorità della forza fisica femminile, del più basso livello d’istruzione e specializzazione e rendimento: in una parola, della naturale, ineliminabile inferiorità della donna”.

Storie di uomini e di diamanti da L’Officina delle Parole

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Il tuo diamante è più vecchio di alcune stelle del cielo, è sopravvissuto a un viaggio straordinario che lo ha trasformato nella gemma più ambìta del mondo!

stato presentato, venerdì 17 ottobre, all’Hotel Patria di Lecce da L’Officina delle parole editore il libro “Storie di uomini e diamanti. Inganni e verità” di Rocco De Virgilio, con l’autore Antonio Buccoliero, consigliere regionale. Nel corso dell’incontro sono intervenuti l’editore Pompea Vergaro, l’antropologa Elisabetta Opasich voce recitante della serata accompagnata dalle incursioni musicali di Gianluca Milanese e Roberto Petrelli del CAT Confesercenti di Lecce. Ha coordinato la serata l’architetto e poeta Enrico Romano. La serata è stata organizzata in collaborazione con Eureco Engineering, Cat Confesercenti di Lecce, Hotel Patria Palace, Caffè letterario Mimose. *** “La pubblicazione di Rocco De Virgilio è un viaggio originale e poco conosciuto nell’affascinante e intricato mondo dei diamanti, un libro divulgativo e molteplice, nello stesso momento, che non segue un determinato costrutto narrativo, ma si snoda tra la saggistica, l’avventura e il racconto biografico: si narra la storia di miniere e di uomini sfruttati, in un mondo intriso di sangue, dal Sud Africa al Brasile. Degli interessi delle Multinazionali e del commercio che si svolge da oriente a occidente. Un breve sguardo è affidato alle origini di questa pietra, simbolo di eternità, ai ritrovamenti delle più grandi e famose al mondo, alle loro peculiarità e alla storia delle miniere più importanti al mondo. Ma anche ai più famosi tagliatori e alla moissanite, il diamante sintetico del terzo millennio, per eccellenza. Di fronte all’intraprendenza di Rocco De Virgilio, è stato inevitabile non restare indifferenti e, naturale, è sorta la voglia di conoscere queste storie vere o non vere, che siano, ma più vere, naturalmente di Uomini e Diamanti i cui destini si intrecciano fatalmente a una Storia fatta di sacrifici e morte che si ripete da millenni. Di affari, di incontri tra uomini ambiziosi e lui, il diamante, pronto a insidiarli e ammaliarli, consapevole della propria eterna e indomabile bellezza! Il volume si propone al lettore in una narrazione sobria, semplice e accattivante, tra verità e inganni, come recita il sottotitolo, in pagine avvincenti tra competenze professionali e pathos, sorrette da tanta sincerità. Una voce narrativa quella di Rocco de Virgilio che colora il mondo”. Pompea Vergaro


Il mestiere

spagine

A Gallipoli dal 25 al 30 ottobre il Festival della Letteratura promosso tra gli ospiti Irene Paganucci, Davide Rondoni, Valentina Colonna e Dom

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l Gruppo Teatro 4e48, con il Comune di Gallipoli, e la Pro Loco di Gallipoli – con la collaborazione del Liceo Quinto Ennio e la partecipazione di Bar Tellini, Aputea Concept Bar e Nostoi Libri – presentano la prima edizione del Festival della Letteratura “Il Mestiere di Scrivere“, duplice l’obiettivo: mettere in contatto alcune personalità del mondo della Letteratura con la città di Gallipoli e quella di valorizzare la valenza letteraria e artistica di Gallipoli e del Salento tramite i suoi scrittori e autori più importanti. Dal 25 al 30 ottobre a Gallipoli, nei luoghi del Festival si alterneranno quindici autori, in ben diciotto eventi sparsi in cinque location diverse: il Bar Tellini, la Libreria Nostoi, la Aputea Concept Bar, il Liceo Quinto Ennio e il Teatro Comunale Garibaldi. Nel programma eventi e incontri con ospiti di caratura nazionale e internazionale; spettacoli teatrali, letture e reading musicali; presentazioni ed esposizioni di autori ed editori locali. Non manca, correlato al Festival, un concorso letterario con serata finale di premiazione aperta al pubblico. Grazie alla collaborazione con il Liceo Quinto Ennio saranno coinvolti nell’iniziativa gli studenti delle scuole superiori, attraverso incontri faccia a faccia con scrittori e iniziative studiate ad hoc (le Colazioni con l’autore). Non solo, ovviamente i ragazzi ma tutta la cittadinanza con attività in grado di coinvolgere e appassionare ogni tipo di utenza, sarà del tutto parte dell’evento. Inoltre la proposta mira a creare una rete tra gli enti e le attività della città, a partire dal Comune di Gallipoli e dalla Pro Loco fino ad arrivare a interessare le location comunali e le attività commerciali attrezzate a ospitare alcuni momenti della rassegna. Ospiti del Festival: Irene Paganucci (poetessa e autrice teatrale), Piero Rapanà (attore e autore), Danny H. Cortese (scrittore e drammaturgo), Luigi Saccomanno (scrittore), Anna Vera Viva (scrittrice), Elio Scarciglia (editore), Gianni De Blasi (regista e scrittore), Francesco Cuna (grafico e pittore), Elio Coriano (poeta), Francesco Aprile (scrittore e giornalista), Matteo Maria Orlando (poeta), Matteo Greco (poeta e drammaturgo), Davide Rondoni (poeta internazionale), Valentina Colonna (poetessa e musicista), Domenico Cosentino (editore e scrittore), Inna Skakovska (traduttrice ed esperta letteraria) e Giuseppe Perri (traduttore e ricercatore dell’Università di Bruxelles), Maria Teresa Protopapa (scrittrice), Luigi Giungato (attore e drammaturgo).


di scrivere

in Agenda

della domenica n°48 - 19 ottobre 2014 - anno 2 n.0

o dall’Amministrazione Comunale con la Pro Loco e Gruppo Tearo 4E48 menico Cosentino

SABATO 25 OTTOBRE Ospite: IRENE PAGANUCCI

Poetessa e autrice teatrale Irene Paganucci vive e lavora a Lucca, è laureata all’Università di Pisa con una tesi sul ruolo della poesia araba nelle rivoluzioni in Nord Africa. Ha pubblicato “Di questo legno storto che sono io” (Marco Saya Edizioni, Milano, 2013) e ha scritto lo spettacolo “Signore perbene – Viaggio nella poesia italiana al femminile”. Segnalata come miglior autrice esordiente al Premio Gozzano 2013, sulla sua poesia hanno scritto diverse testate web e cartacee, come L’Unità e Versante Ripido.

Alle 9.00, Liceo Quinto Ennio: Incontro con gli studenti delle scuole superiori: “La poesia italiana nel secondo Novecento”, con gli interventi di Irene Paganucci, Piero Rapanà (Fondo Verri), docenti e autori locali. Alle 17.00, Libreria Nostoi: “Poetry Break” – dialoghi e chiacchiere sui libri, l’universo e tutto quanto, con interventi e letture di Irene Paganucci, docenti e autori locali. Alle 21.00, Libreria Nostoi: Presentazione del libro “Polvere” (Kurumuny Edizioni) di Danny H. Cortese (scrittore e drammaturgo gallipolino), a cura di Officina Chinaski.

DOMENICA 26 OTTOBRE Alle 17.00, Libreria Nostoi: Presentazione del libro “Scrittori brutta razza” (Lupo Editore) di Luigi Saccomanno (scrittore gallipolino, secondo classificato al Premio Zingarelli). Alle 18.30, Libreria Nostoi: Presentazione del libro “Questioni di sangue” (Edizioni Homo Scrivens) di Anna Vera Viva (scrittrice salentina). Alle 21.00, Teatro Garibaldi: “Signore perbene – Viaggio nella poesia italiana al femminile”, spettacolo teatrale scritto da Irene Paganucci, a cura del Gruppo Teatro 4e48.

LUNEDÌ 27 OTTOBRE Alle 17.00, Libreria Nostoi: “Canto senza voce”, reading musicale sulla poesia di Claudia Ruggeri, a cura di Terra d’Ulivi Edizioni, Elio Scarciglia e Gruppo Teatro 4e48. Alle 18.00, Libreria Nostoi: Presentazione del libro “Filastre” (Lupo Editore), di Gianni De Blasi (regista e scrittore) e Francesco Cuna (grafico e pittore). Alle 20.00, Libreria Nostoi: Serata conclusiva del Concorso Letterario “Il Mestiere di Scrivere”. Lettura e presentazione delle opere finaliste, proclamazione delle opere vincitrici. A seguire incontro e reading con i poeti giurati: Elio Coriano, Matteo Greco, Francesco Aprile e Matteo Maria Orlando.

MARTEDÌ 28 OTTOBRE Ospiti: DAVIDE RONDONI (poeta e scrittore) e VALENTINA COLONNA (poetessa e musicista)

dialoghi e chiacchiere sui libri, l’universo e tutto quanto, con interventi di Davide Rondoni, Valentina Colonna, docenti e autori locali. Alle 20.30, Bar Tellini: “Io sono l’altro”, Reading di Davide Rondoni e Valentina Colonna. A seguire incontro con il pubblico e acoustic live music.

Davide Rondoni è uno dei più importanti poeti italiani viventi. Le sue numerose raccolte di poesia sono state pubblicate in Italia, nei principali Paesi europei e negli Stati Uniti. L'opera che lo ha posto all'attenzione della critica è “Il bar del tempo” (Guanda, 1999), seguita da alcuni libri che hanno ricevuto i più importanti premi di poesia, tra cui le opere: "Avrebbe amato chiunque" (Guanda, 2003), "Apocalisse amore" (Mondadori 2008). Ha tenuto e tiene corsi di poesia e di letteratura negli atenei di Bologna, Milano Cattolica, Genova, allo Iulm, e negli Stati Uniti (all'Università di Yale e alla Columbia University). Svolge un'intensa attività pubblicistica: ha fondato e dirige la rivista clanDestino, è opinionista di Avvenire, è stato critico letterario nel supplemento domenicale de Il Sole 24 Ore. Saltuariamente pubblica sul Corriere della Sera. Dal 2006 conduce, sull'emittente televisiva TV2000, Antivirus, un programma di poesia. Ha fondato e diretto il Centro di Poesia Contemporanea in seno all'Università di Bologna. Oltre a 17 raccolte di poesia, ha pubblicato 3 romanzi, 7 saggi, ha scritto numerosi testi teatrali e curato diverse edizioni, antologie e traduzioni (tra cui “L’amore” di Leopardi, per Garzanti e la Commedia di Dante per Rizzoli).

Domenico Cosentino vive e lavora in Irpinia. Narratore e poeta, è autore di diversi libri, tra cui “Come un calzino bucato” (Il Papavero Edizioni, Avellino, 2011), “Addio Kind of Blue” (Villaggio Maori Edizioni, Catania, 2009), “Discorsi filosofici con il mio gatto domestico” (Palladino Editore, Campobasso, 2012) e “Midnightwalker”, (Palladino Editore, Campobasso, 2014). Con il racconto “Sull’orlo del prepuzio” è presente nell’antologia “HOTell – Storie da un tanto all’ora” (Edizioni WhiteFly Press, 2014). Nel 2012 fonda ‘Round Midnight Edizioni, diventando in pochi mesi uno degli editori indipendenti italiani più di rilievo, creando un catalogo competitivo, ricco di autori eccezionali e molto amati come il blogger e vignettista Amleto De Silva (per la prima volta pubblicato proprio dalla ‘Round Midnight), Vincenzo Costantino Chinaski (Feltrinelli) e Alberto Calligaris (Newton & Compton), usando formule di marketing nuove e rivoluzionarie.

Alle 9.00, Bar Tellini: “Colazione con l’autore”. Incontro con gli studenti delle scuole superiori. Alle 17.00, Libreria Nostoi: “Poetry Break” –

GIOVEDÌ 30 OTTOBRE Alle 17.00, Teatro Garibaldi: Presentazione del libro “Le ombre degli avi dimenticati” (Apice Libri) di Mychajlo Kocjubyns’kyj (prima traduzione in Italia), a cura di Inna Skakovska (traduttrice ed esperta letteraria) e Giuseppe Perri (traduttore e ricercatore dell’Università di Bruxelles). Alle 18.30, Teatro Garibaldi: Presentazione della bibliografia di Maria Teresa Protopapa (scrittrice gallipolina). Alle 21.00, Libreria Nostoi: Presentazione del testo teatrale “Automotores Orletti”, di Luigi Giungato, a cura della Compagnia Calandra.

Valentina Colonna nasce a Torino nel 1990. Nel 2010 pubblica la sua prima raccolta di poesie, “Dimenticato suono” (Manni Editori), catalogata nella Biblioteca “Eugenio Montale” dell’Italian Cultural Institute of London (UK). È laureata con lode in Lettere antiche presso l’Università degli Studi di Torino. Diplomata in Pianoforte con Luciana Bigazzi e perfezionatasi con Ramin Bahrami e Paul Badura-Skoda, si dedica al repertorio barocco, studiando clavicembalo con Béatrice Martin e Luca Guglielmi. Appassionata di fotografia, le sue foto sono state utilizzate per manifesti pubblicitari, copertine di CD, siti web e giornali. Ospite nell’ambito della manifestazione letteraria europea “Letti di notte – 2013”, inaugura la sua prima mostra poetica itinerante. Nel luglio 2014 viene presentata da Davide Rondoni al Festival di Rimini “Parco Poesia – 2014”, nell’ambito della serata “Lettere a un giovane poeta”.

MERCOLEDÌ 29 OTTOBRE Ospite: DOMENICO COSENTINO (editore e scrittore)

Alle 9.00, Bar Tellini: “Colazione con l’autore”. Incontro con gli studenti delle scuole superiori. Alle 17.00, Libreria Nostoi: “Poetry Break” – Dialoghi e chiacchiere sui libri, l’universo e tutto quanto, con interventi e letture di Domenico Cosentino, docenti e autori locali. Alle 21.00, Aputea Concept Bar: Reading musicale con la poesia di Domenico Cosentino e la musica di Alessandro Solidoro.


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Cronache culturali

della domenica n°48 - 19 ottobre 2014 - anno 2 n.0 o’ Kalamity è un artista proveniente dalle Isole di Capo Verde ma che vive in Francia. Dopo aver scoperto la musica reggae come forte vocazione già nella sua infanzia, ha prodotto ben tre dischi, l’ultimo Freedom of The Soul, e alle spalle diverse collaborazioni. Nell’intervista racconta come è nata la sua passione e lancia un messaggio di pace a tutti. Ciao Mo’ Kalamity come è nata la tua passione per la musica reggae/black ? Questa passione si é rivelata durante la mia infanzia, prima di tutto tramite i dischi dei miei genitori: c’era musica africana, Bob Marley, Jimmy Cliff… e poi mi sono fatta la mia cultura musicale che si é diretta verso il Blue Gospel, il soul; ma il reggae é rimasta la mia musica di predilezione grazie alla sua potenza musicale e ai messaggi che passa. Come è avvenuto l’incontro con il gruppo The Wizard ? Cantavo in qualche gruppo e poi ho iniziato a comporre e ad avere tanta musica e idee in testa. Ho avuto un desiderio profondo di creare una band e dare vita alle mie prime composizioni. Ho cercato un tastierista, che a sua volta mi ha presentato quelli che sono diventati i membri del gruppo Wizards, che mi accompagnano ancora oggi. Come è nato il tuo ultimo album Freedom of The Soul ? Il mio terzo album é nato dalla voglia di condividere quello che sento e da quello che osservo attorno a me. Tra la composizione e la registrazione al Wise Studio con l’aiuto di Fabwice ci é voluto un anno. L album é uscito sotto la mia etichetta Sofia-Thea Records. Hai collaborato con diversi artisti internazionali. Quale collaborazione ti ha lasciata più soddisfatta ? Queen Omega mi ha emozionata molto. Ho avuto l’opportunita di fare un tour con lei. E’ un artista eccezionale, piena di talento e con cui condividiamo gli stessi ideali, le stesse lotte. Stai lavorando su nuovi prodotti discografici ? I prossimi progetti riguardano delle realizzazioni in vinile con dei produttori del campo sound system; e nei prossimi mesi condividere e far conoscere il più possibile il nostro album Freedon of The Soul su palcoscenico. Cosa ne pensi dell’evoluzione della musica reggae? C’é una rinascita roots in Giamaica molto importante e piacevole da ascoltare grazie ai messaggi che passa e alla qualità delle produzioni a cui da vita. Lascia un messaggio a chi sta leggendo l’intervista Conserviamo un ricordo indimenticabile della nostra prima volta in Italia a Torino con I Wizards e ci auguriamo veramente di tornare. Incoraggiate gli artisti indipendenti. Io Vi invito a scoprire il nostro terzo album Freedom of the Soul. Che la pace e la Felicità vi accompagnino ogni giorno… One Blessed Love

La libertà dell’anima

Traduzione dal francese a cura di Tanya Romano tanya79@hotmail.fr

intervista di Alessandra Margiotta


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La ricerca elettronica di Simone Gatto e Andrea Santoro

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in Agenda

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OUT-ER

ut-Er sta per Out Electronic Recordings, un’etichetta discografica indipendente nata a Berlino nel 2010 dalla collaborazione fra due artisti salentini, Simone Gatto e Andrea Santoro. Il suo obiettivo? Stampare musica su vinile caratterizzata da suoni profondi e raffinati, qualsiasi sia l’onda seguita dall’artista. L’etichetta si focalizza sul rilasciare musica elettronica sperimentale e, in prima battuta, coinvolge solo artisti italiani. I primi dischi vengono auto prodotti e pubblicizzati “face to face” nella capitale tedesca. Nella mercato musicale, denaro, tempo e talento sono i requisiti iniziali per affacciarsi nel settore e farsi notare. Dopo la quarta uscita, infatti, l’etichetta comincia ad attirare l’attenzione di appassionati ed esperti. La musica Out-ER è un prodotto poco comune, che pur spaziando tra le varie declinazioni della musica elettronica (house, techno, elettronica, ambient), riesce a mantenere uno stampo creativo e coerente a breve e lungo termine. Ottenendo visibilità spontanea tra storici produttori di musica elettronica come Surgeon e Dave Clarke, su riviste cartacee e blog di musica; generando interesse in organizzatori locali ed esteri, e giungendo a ottenere gigs e performance da Miami a New York, passando per Berlino, Londra, Ibiza e Parigi. Proporre ciò che piace e non ciò che va di moda è nella filosofia di Out-ER . Seguire imperterriti una strada poco trafficata ma molto lunga e tortuosa. Insistere e persistere nella propria visione della musica senza compromessi. Una sfida vinta, un sogno che diventa realtà, una passione che si tramuta in insegnamento: dal rapporto tra suono e sensazioni evocate, ai tecnicismi per ottimizzare una composizione, per finire con la fruizione di materiale audio accompagnato a visual creati appositamente.

Percorsi che Out-ER proporrà domenica 26 ottobre, dalle 16.00 alle 19.00 in un workshop che avrà luogo negli spazi della Masseria Ospitale a Lecce. In occasione del dodicesimo disco di Out-ER, Holzwege EP, prodotto da Simone Gatto e remixato dallo storico produttore olandese e maestro nell’uso del sintetizzatore Legowelt, appassionati e addetti al settore saranno invitati ad assistere a lezioni teoriche e pratiche tenute dal team Out-ER, che si pone l’obiettivo di trasmettere i propri metodi lavorativi (artistici, tecnici, manageriali, promozionali) nel mercato delle etichette di-scografiche indipendenti.

Petrelli, sound engineer e sound designer, tratterà del Mixing spiegando l’approccio teorico e tecnico al missaggio di un brano e la specificità del missaggio di Holzwege EP: da dove si parte per mixare, quali elementi della composizione esaltare e quali no, contestualizzazione del mix rispetto al tipo di genere musicale, alla composizione in sè e al background dell’artista di riferimento e ancora l’ottimizzazione del timbro sonoro (ascolto del brano nella sua interezza, elementi sonori da mettere in risalto) il tricks and tips per migliore resa del prodotto finale. Il ProoTools lo strumento utilizzato per il mix di Holzwege EP, verrà approfondito durante il workshop nei seguenti aspetti: impostazione del mix di Holzwege EP; coerenza sonora (volumi, equalizzazione, compressione, effetti); modifica del timbro sonoro durante il mix; trick and tips finali. Non mancheranno, nel corso dell’incontro, le esercitazioni pratiche.

Nella prima parte dell’incontro Simone Gatto tratterà del tema Musica, comunicazione ed empatia analizzando il rapporto tra suono e sensazioni evocate e il processo empatico che lega la performance dell’artista all’audience. Gatto si soffermerà sulle note e gli accordi che stimolano specifiche sfere neurali, proponendo una performance musicale elaborata secondo il Metodo Resseguier e un’esercitazione pratica di ascolto live “raccogliendo” la risposta del pubblico attraverso la compilazione di un questionario basato su esperimenti e studi universitari. In ultimo la presentazione audio / video di Holzwege EP. Contestualmente l’artista spiegherà l’approccio agli strumenti che utilizza (Prophet 12, Juno 60, Access Virus Ti...) per produrre i suoi suoni e quali di essi sono i più funzionali rispetto ai concetti che vuole esprimere; illustrerà inoltre la tipologia di collaborazione ottenuta con il leggendario produttore olandese Danny Wolfers, in arte Legowelt, attivo sulla scena dell’elettronica dai primi anni ’90. Nella seconda parte del workshop Giuseppe

Dopo il termine della parte didattica, il team OutEr proporrà una parte ricreativa. Dalle 19.00 alle 24.00, tutti gli artisti Out-ER si esibiranno in una performance dal vivo con giradischi e vinile, mentre i presenti potranno approfittare di drink e finger food. L’ospite d’eccezione di questa prima edizione sarà Orlando Voorn, produttore olandese famoso per aver connesso l’Europa a De-troit all’inizio dei primi anni ’90. Tanta esperienza e musica di qualità con i produttori Out-Er locali: Limo, Luciano Esse, Alfredo Caforio, Buck, Santorini, Simone Gatto, Mirror 1 e Summed. Gli autori proporranno i loro migliori dieci dischi, suonandoli a rotazione e intrattenendo i presenti con deliziose perle musicali su vinile, collezionate a partire dagli anni ’90 fino oggi.

https://soundcloud.com/out_electronic_recording/sets/simone-gatto-holzwege-ep


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Marittima e la Madonna di Costantinopoli spagine

ulla scia di una tradizione ormai secolare, nella prima domenica di marzo si svolge a Marittima una manifestazione ancora molto sentita, la fiera della Madonna di Costantinopoli, la Vergine compatrona del paesello, venerata sotto forma di un’artistica statua in cartapesta e attraverso un’antica icona bizantina nel piccolo e grazioso Santuario a Lei espressamente dedicato. Si diceva manifestazione molto sentita, non a caso, bensì per due ordini di motivi da sempre radicati nella mente e nella sensibilità dei marittimesi. Una volta, praticamente sino a pochi decenni addietro, trattatasi dell’unica occasione di mercato a domicilio, tant’è che, in seno alle famiglie, molti acquisti venivano programmati e scadenzati giustappunto in concomitanza della fiera; inoltre, l’arrivo della prima domenica di marzo inculcava nella suggestione popolare una specie di simbolo, se non proprio di definitivo distacco dal periodo freddo, perlomeno di inizio del passaggio dall’inverno alla stagione primaverile. Certo, nei tempi recenti, sono man mano intervenuti innumerevoli stravolgimenti ed evoluzioni, vuoi attraverso l’apertura, un po’ ovunque, di mercatini, supermercati, ipermercati e megastore, vuoi per la diffusione dei mezzi di trasporto che consentono di muoversi quando si vuole e di raggiungere per gli acquisti le più disparate località, sia infine in virtù del fenomeno della pubblicità, soprattutto radio-televisiva e grazie alle schiere di venditori porta a porta che, come dire, non ti fanno mancare quasi nulla. Così, invece, non accadeva prima. La fiera era attesa, con autentica ansia, da tutti, a partire dai piccoli e sino alle persone anziane. I ragazzini, solo in quella particolare domenica a differenza delle altre festività, erano eccezionalmente mattinieri, non vedevano l’ora di uscire, sfoggiando per la prima volta dopo l’inverno i pantaloncini corti, preceduti, nel compimento di tale atto, soltanto da qualche visita di nonni o zii, i quali come sempre si erano alzati presto, recanti in dono, come primo segno della manifestazione, un fascio di fresche carote, le mitiche pistinache secondo il gergo dialettale. Su e lungo una serie di strade e piazzette del paese, la fiera si snodava sistematicamente in sequenze scandite e organizzate a seconda della natura merceologica dei prodotti in esposizione: in piazza Umberto, di fronte alla Chiesa matrice, prendevano posto le baracche di generi alimentari, casalinghi, piccoli e artigianali giocattoli, dolciumi; il largo cosiddetto della «Campurra», dominato dalla Cappella di S. Giuseppe, era invece deputato alle baracche di tessuti, arredamenti per la casa, confezioni e calzature. In via Convento, nella direttrice conducente al Camposanto e al già citato Santuario della Madonna di Costantinopoli, si situavano i venditori di articoli per l’agricoltura, cereali e granaglie in genere, ortaggi e verdure, scale, corde e quindi, dulcis in fundo, i venditori di animali vivi e bestiame (dai piccoli volatili - pulcini, galletti e puddrasce - ai conigli, agnelli, pecore, capre, suini, cavalli, asini e muli, nonché qualche capo bo-

La fiera e l’a

battersi improvvisamente nel maltempo, di trovarsi costretto a rifugiarsi per ore, si pensi un po’, all’interno della chiesa e, da lì, assistere allibito allo smantellamento di baracche e merci, per poi, una volta passata la tempesta, fare mesto e inglorioso ritorno fra le mura domestiche. D’altronde, non si deve dimenticare che allora l’ombrello rappresentava un optional non propriamente comunissimo, di macchine, praticamente, non ne esistevano, contandosene, nel paese, appena due (una «Fiat Topolino» e una «Fiat giardinetta»): e i torrenti d’acqua generati dal temporale non potevano certamente affrontarsi e guadarsi a cuor leggero, neppure dai più temerari. *** Nell’ambito della mia famiglia, l’occasione della fiera significava anche rivedere uno zio che viveva nel brindisino e lavorava presso un magazzino di tessuti. Egli, difatti, insieme con i suoi

vino). Consisteva essenzialmente in questo la gamma di mercanzie che la fiera offriva alle, del resto povere, possibilità di acquisto dei marittimesi e degli abitanti dei paesi vicini i quali vi convenivano anch’essi in numero ragguardevole. Le contrattazioni iniziavano verso le sei/sette del mattino, protraendosi sino alle 14/15 dopo pranzo: piccoli e onesti e dignitosi affari per entrambe le parti che li animavano e generavano. Talvolta, poteva capitare che in occasione della ricorrenza, all’ultimo minuto della vigilia o addirittura nel corso della manifestazione, si registrassero gravi perturbazioni meteorologiche, con acquazzoni e temporali: in casi del genere, per fortuna non frequenti, il cattivo tempo stravolgeva e metteva a soqquadro tutto, sicché la fiera veniva spostata alla domenica successiva. A comprova di siffatta sfaccettatura, a chi scrive è direttamente accaduto, in un paio di occasioni, dopo essere uscito di buon’ora da casa, di im-


Racconti salentini

Letture

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attesa

di Rocco Boccadamo

titolari, così come faceva sovente «mercato» qua e là mediante una grande baracca espositiva autotrasportata, era solito partecipare alla fiera di Marittima, arrivando la sera del sabato e recandosi per la cena e per dormire dai miei nonni. Ricordo, relativamente alla baracca dello zio Vittorio, sempre lo stesso «posteggio» al largo «Campurra», a ridosso del muro sud della navata della cappella di S. Giuseppe. Ma, un episodio rimastomi straordinariamente impresso risale a cinquanta, forse cinquantacinque anni addietro, nell’approssimarsi, appunto, della fiera. Mi trovavo di sera, insieme con i miei fratelli, in casa dei nonni paterni, accomodato su una panchetta all’interno del rustico e caldo “focalire”, di fronte al nonno Cosimo impegnato a fumare il suo toscano, con la brace puntualmente in bocca perché tirasse meglio, dopo una giornata

di lavoro; la nonna Consiglia seduta vicino al medesimo angolo di calore e intenta a sferruzzare qualche piccolo capo di lana, la zia Lucia, seduta, a sua volta, accanto al tavolo, con fidanzato nelle adiacenze, nell’atto di ricamare gli ultimi capi per il suo corredo. Ad un certo punto, la nonna passò a commentare, con voce chiara e distinta, che quell’anno la fiera avrebbe comportato una lunga serie di acquisti in vista del matrimonio del figlio Vitale e del conseguente arredo, sia pure sommario, della, di lui, nuova abitazione: zappa, vanga, calderina, falce, limmu, limmune, limmiteddru, pignate, pentole, bisaccia, treppiedi, quadare e quadarottu, scala, lavaturu e, così via dicendo, la lista seguitava con tanti poveri altri aggeggi, quasi non finiva mai. Il nonno Cosimo andava ascoltando e, evidentemente, cercava dentro di sé di metabolizzare il lungo elenco, facendo contemporaneamente il conto, soprattutto, di quale sarebbe stato il relativo esborso, paventando che lo stesso potesse finire col prosciugare fino all’ultima lira i magri risparmi familiari e, addirittura, costringere a contrarre qualche debito (all’epoca, di certo, non era di moda il ricorso al credito al consumo). Sta di fatto che, come fulmine a ciel sereno e in barba al suo temperamento di solito mite e calmo, egli sbottò in un improperio, alla buona ma sonoro, all’indirizzo della malcapitata consorte, intimando, praticamente, di farla finita. La severa reazione del buon uomo generò grande sconforto, non solo nella nonna, ma anche nella zia Lucia: difatti, di fronte alla reprimenda del padrone di casa, proruppero entrambe, per diversi minuti, in un pianto sconsolato. E noi, piccoli ma attenti spettatori, lì bloccati, zitti e muti, durante tutta la scena. *** Il giorno d’oggi, ogni cosa è inevitabilmente mutata: i venditori presenti alla fiera sono costituiti in prevalenza da immigrati extra comunitari, che, poveracci, espongono più che altro cianfrusaglie e paccottiglie di scarso e dubbio valore qualitativo. D’altronde, per la platea degli acquirenti, le fiere e i mercati sono a portata di mano tutti i giorni del calendario. In siffatta radicale metamorfosi, a Marittima è però dato di riscontrare un tratto positivo che mi piace mettere in evidenza, una buona novità e un’utile iniziativa nella discontinuità dell’antica, e a questo punto introvabile, tradizione. Su idea di una famiglia di costruttori di imbarcazioni per la pesca e da diporto in legno, artigiani veramente bravi ed apprezzati diffusamente in tutto il Salento, nell’ambito della fiera della Madonna di Costantinopoli è stata inserita una nuova sezione sotto forma di salone nautico e di attrezzature per la marineria. Per quanto mi riguarda, trattasi dell’unico modulo della fiera rimasto ad attirarmi ed a cui mi accosto. Dunque, complimenti e un plauso, amici e compaesani barcaioli di Marittima! Al troncone della classica fiera intrisa di lontani ricordi e nostalgie, avete saputo innestare un virgulto vitale ed interessante per l’attenzione dell’utenza del terzo millennio.

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La memoria e la scrittura

di Marcello Buttazzo

n quest’era iperveloce, di frenesie diffuse, sovente arida, s’avverte la necessità di ancorare i nostri istanti a qualcosa di durevole. In una società spesso distratta, che santifica e blandisce quotidianamente i suoi falsi miti, c’è un bisogno quasi fisiologico di prendersi cura d’un ricco universo di valori imperituri. Amore, amicizia, lealtà, gratuità, dono, sentimento. Rocco Boccadamo fa di continuo riferimento a questa costellazione intima e paradigmatica. Lui conosce l’amicizia e la sa donare disinteressatamente, con passione, con incanto. Lui ama gli uomini, sa comunicare correttamente con il proprio sé e con l’altro da sé. Ama la sua terra di cieli tersi e di zolle assolate come figlio devoto. Conosce la nostalgia, il suo succo inerente e nutriente, perché ha avuto il coraggio, la tenacia di andare via dalla sua casa e di fare ritorno. Ha saputo sradicarsi, restando amabilmente abbarbicato alla sua storia ancestrale e ai vissuti significativi. Un uomo che fa della bellezza seconda la sua ragione di vita. Rocco è artista della sua esistenza. E il tempo lo ha saputo sapientemente imprigionare nella scrittura del ricordo. I suoi sono pensieri sul ricordo, sempre vivo, pulsante, vibratile. La memoria è stagione presente, un oggi persistente. Anche quando scava fin nelle più profonde scaturigini del passato, il suo narrare è vivo, contemporaneo. La sua madre terra natia è protagonista incontrastata del suo ultimo libro “Compare, mi vendi una scarpa?”(Capone Editore, 144 pagine, 10 euro) con prefazione di Maurizio Nocera e postfazione di Antonio Errico. Boccadamo ha un legame stretto con il Salento, con la gente che lo abita. La sua non è scrittura elitaria, ma lineare: essa sgorga come un placido fiume di serenità, come un rigagnolo cortese, che fluisce e fluisce. Boccadamo è innamorato delle sue radici: nell’anima ha Marittima, Castro. Il suo immaginario è affollato di uomini del popolo: calzolai, nuciddrari, artigiani ambulanti. Nei suoi racconti della memoria e della nostalgia c’è un certosino recupero affettivo e storico di mestieri ormai in disuso, messi in soffitta dalla civiltà dell’ipersviluppo. La sua narrazione è sincera, dolce come fragola rossa e come melagrana spaccata d’ottobre; ma anche amara, che si veste talvolta di veli di tristezza: spazzati via però dal primo lucore del giorno. I suoi racconti si leggono tutti d’un fiato e recano sillabe di gentilezza. Quella schiettezza e buonagrazia, che sono parte fondante della personalità di Rocco Boccadamo.


Cinema

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Al Doclisboa ’14 12° Festival International de Cinema che si terrà a Lisbona dal 16 al 26 ottobre unico italiano nella sezione di ricerca New Visions I RESTI DI BISANZIO Un film di Carlo Michele Schirinzi

“scaglio sassi al mare a frantumar riflessi annego gli occhi giù sino al fondo”

C non ha stimoli dal quotidiano e condivide questo malessere con due amici, S, bandista del paese, ed R, ex-benzinaio che vive apaticamente tra le mura della sua spoglia dimora. Da quest’ultimo, C preleva scolature di carburante per realizzare il suo sogno: bruciare il presente che non gli appartiene. C ha continue visioni incendiarie, effimere ed impotenti perché soltanto immaginate dalla sua mente ed affrescate nei suoi occhi. Intanto tre “turisti” approdati sulle rive adriatiche si perdono nel Capo di Leuca tra luoghi abbandonati dalla Storia, ruderi architettonici e macerie sociali mentre un terrorista culturale, chiuso in una vecchia torre costiera, imbastisce parole che forse nessuno leggerà”. È la sinossi de “I resti di Bisanzio primo lungometraggio di Carlo Michele Schirinzi, che sarà presentato unico film italiano nella sezione di ricerca New Visions al Doclisboa ’14 12° Festival International de Cinema che si terrà a Lisbona dal 16 al 26 ottobre. Una produzione di Kama soc. coop. a.r.l. con Gianluca Arcopinto. Produzione esecutiva di Gabriele Russo. Gli interpreti principali sono Stefano De Santis (C, piromane visionario), Salvatore Bello (S, bandista cifotico), Fulvio Rifuggio (R, ex benzinaio apatico), Aldo Immacolato (1° turista clandestino), Guido Casciaro (2° turista clandestino), Claudio Riso (3° turista clandestino), Romano Sambati (terrorista culturale in torre d’avvistamento), Mariangela Lia (ragazza in camera), Marcello Ciullo (cadavere clandestino in mare), Imperia Bartolomeo (madre di C), Giancarlo Caprioli (padre di C), Luigi Schirinzi (maestro falegname).

*** Un film “Fuori da ogni norma” lo definisce Adriano Aprà e Massimo Causo scrive “Un naufragio anarchico al largo di un sud, di un mondo, incrostato nel bisogno impossibile di un altrove da sognare in fiamme, come nell’incipit. Anarchico perché rinuncia a ogni costruzione del potere, a ogni valutazione del bene e del male, a qualsiasi disputa di piazzamento della merce idealistica e del gesto artistico sulla scena del mondo comune …un film assolutamente contrario a ogni ipotesi estetica e idealistica contemporanea, una fuga in avanti nell’impotente (e imponente) rabbia di figure senza storia perché chiamatesi fuori dalla Storia, dunque da nominare senza nemmeno un nome …resta negli occhi come una delle opere più coraggiose del cinema italiano contemporaneo, un film carico di una forza senza scampo…”. Noi concordiamo! La maestria di Schirinzi è in questo scollamento dall’ordinario, da una visione laterale del reale, sempre filtrato da un “non mi basta” che detta la regola e la visione, fino allo scomparire della stessa. “Un film che rompe con il fronte consensuale, che parla un linguaggio lontano, remoto, aspro, spaventa i fautori del grande cinema" così Giona Antonio Nazzaro. Un cinema quello di Schirinzi dove la sottrazione apre gli occhi, scava, mostrando il baratro che il Tempo ancora conserva… M.M.

http://doclisboa.org/2014/en/filmes/i-resti-di-bisanzio/


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