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spagine della domenica n°51 - 9 novembre 2014 - anno 2 n.0

Periodico culturale dell’Associazione Fondo Verri

Un omaggio alla scrittura infinita di F.S. Dòdaro e A. L. Verri

L’artista Giovanni Maffucci di Pistoia animatore della “residenza” di Grottaglie per “Made in loco Grottaglie & Laterza la ceramica pugliese fra tradizione e innovazione”.


dopo Lecce 2019

spagine

Una città in cerca di armonia

S

i può consolare una città che è triste? Ecco, me lo chiedo, mentre vado, continuo ad andare per le strade di Lecce che non mi sembra più lei dopo che non ce l’ha fatta a vincere la sfida quando tutti, ormai, o quasi tutti, a dir la verità, l’avevano proclamata regina. Io lo sento che è triste, che ha bisogno di coccole lei che i suoi anni se li porta addosso con tutti gli acciacchi dell’età e non riesce a nascondere le rughe che le attraversano il volto. Ecco, io vado e quel volto, quel suo volto tenero di rughe, mi attraversa lo sguardo, m’entra nei pensieri e nel cuore, mi parla con il grigio delle nuvole e le lacrime della pioggia e le voci impazzite dei corvi intorno ai comignoli. Ieri mi ha detto che, se fosse caduto per tempo il velo del teatro Apollo, forse ci sarebbe stata per lei un’occasione in più; ché il dio della poesia, Apollo, sarebbe sceso con tutte le sue muse al seguito, così, tanto per festeggiare, e poi di certo avrebbe accompagnato, passo dopo passo, i commissari visitatori un po’ annoiati e distratti e loro avrebbero sentito

più chiara voce di Schipa che scendeva su piazza S. Oronzo e avrebbero visto con occhi diversi tramonti bodiniani fra le porte della città, mentre si lasciavano alle spalle il Paisiello e procedevano verso angeli dai culetti rosa che poi chissà se li hanno notati, visto che non li accompagnava Apollo. E forse avrebbero intuito il perché del sorriso delle melagrane lungo il viale, quello che conduce agli Olivetani e c’è canto di passeri allegri sui cipressi al cimitero; ché Apollo è dio del mito e li avrebbe condotti i visitatori commissari al posto delle muse sue, al Musa, tanto per intenderci, dove corteo accompagna Proserpina ed è così diversa questa storia. M’hanno detto oggi gli occhi tristi di questa mia città che lei aveva cercato di coprirle le rughe, che aveva pregato tutti i santi suoi che la tenessero lontana la pioggia, quella che rattrista e ingrigisce anche volto di Irene, la santa e la beata. Ma non c’era Apollo, dio del Sole oltre che del mito e della poesia, a regalare a Santa Croce il rosa caldo di certi mezzogiorni mozzafiato ed era imbronciato pure san Matteo e non scodinzolava la lupa e s’era bloccato fischietto alla civetta e rammollita cartapesta del Gesù Cristo in croce. E forse esagera anche

di Giuliana Coppola

un po’, questa mia città, piagnucolona come autunno e novembre e certi pomeriggi che non passano mai e solo ombre s’aggirano tra vicoli e corti. E pur se le passo carezza come mi è possibile, lei, la mia città, a capo chino medita e io la penso mentre prendo caffè e d’un tratto fra le pagine de la Repubblica leggo “la poesia comprime molto in un piccolo spazio, aggiungete poi il ritmo e così si accentua il senso. La città è come la poesia: comprime tutta la vita, tutte le razze in una piccola isola e poi aggiunge la musica e l’accompagnamento dei suoi motori interni” (E.B. White). Capisco tutto e domani glielo leggerò alla mia città il pensiero e anche lei capirà, ne sono sicura che lo capirà, che non è colpa sua se quel giorno non c’era arcobaleno. Mancavano tutte le razze che lei di solito comprime nella sua piccola isola, si proprio quelle che si radunano protette dallo sguardo di Apollo. Scomparse tutte le razze, scomparsa la musica, scomparso tutto quel giorno e nascoste loro è fuggita lontano anche la poesia e non è caduto il velo sul volto del dio. D’accordo, mia Lecce? Dormi serena e sorridi domani chè così sorrido anch’io, mentre compro l’ombrello rosso dal vu cumprà e pioggia s’allontana.


della domenica n°51 - 9 novembre 2014 - anno 2 n.0

corsivo

Lecce, ciò che si muove e vive invisibile

A

di Ilaria Seclì

ve a te, sacro grembo timido e austero. Città nascosta ai molti numeri e tutta abbandonata ai piedi silenziosi e solitari. In pomeriggi slabbrati di tumide foschie orientali o salsedini di mari che seduci da perfette distanze. Loro credono di tenerti sospesa a una promessa. Per quella ruberia di genere che doveva essere altro. La mare, Acqua, avrebbe fatto di Lecce una Venezia ocra pallido. Col sole che non muore, infilato con le rondini nella polpa dei muri fino all'alba. Sole padre eterno che ti avvinghia e prostra a piacevolissime punizioni per inferni latte e miele. Estate di san Martino, il vincotto tra i vicoli quieta voci e passi, fa segreta ogni finestra mentre gli occhi dal basso indovinano un'assenza, sanno che oltre il vetro si è compiuta un'attesa. Se il basolato è preso da una pioggia vergognosa, ecco nel deserto delle vie sprigionarsi simboli e ignote presenze senza nome con gatti esperti che ne tracciano umori e apparizioni. Si apre un cortile, archi e balconcini sospesi, un corridoio lungo il perimetro del palazzo segna l'ingresso in scrigni antichi, decisi timbri spagnoli. È casa di piante rigogliose ch aspettano un saluto. Giuliana le ha aperte alla parola. Nicola custodisce. Il cerchio, cosa perfetta. Nessuna linea retta. È signora della casa una rotondità che inebria insieme a mille presenze e messaggi sul frigo: ops, non ricordo la divina commedia. Scrivere piace solo alla nonna, abbasso la scuola. Poi Berlinguer, Calvino, Emily, Rina, Antonio, L'albero di Comi, il Corano, e piante e verde a cornice di una vita che vive e nutre, innaffia vecchie e nuove creature. Giuliana decide di portarmi ad altezze siderali, dita di divinità padroneggiano i terrazzi, aleph tra noi e il cielo. Comignoli di pietra. Sono a forma di orecchie di gatto, di cappello di mago, una costellazione di vedette celesti che indicano il campanile del Duomo, il santo patrono, Irene e compagnia santa. Mentre lei si aggira esperta e leggera e con Nicola, quercia, non teme il vento forte del sud che i comignoli accolgono e fanno fluire in cunicoli sotterranei che portano all'Idume muto e invisibile. Per quell'amore storto. Poi giù nel girotondo incantato, saluto in silenzio tutti i presenti e loro, i GiNi, Giuliana e Nicola, angeli che custodiscono sia le ombre vive che dalle zolle profonde della terra muovono giorni e storia, sia i germogli che spuntano fragili, a cui rivelano parole nuove e antiche. E i segreti dei comignoli tra via Palmieri e l'Arco di Prato.


Accade in città

della domenica n°51 - 9 novembre 2014 - anno 2 n.0

Venerdì 31 ottobre, il Teatro della Casa Circondariale di Borgo San Nicola a Lecce ha ospitato l’esito del laboratorio tenuto dalla coreografa Chiara Dollorenzo con le detenute per la seconda edizione del progetto di Danza per la Comunità promosso dalla Commissione Pari Opportunità della Città di Nardò

La libertà di danzare L

a dimensione penitenziaria diventa “correzionale” nel medesimo istante in cui rallenta l’ordinario fino quasi a sospenderlo. La vera sfida di chi entra in un penitenziario per contribuire a quella “correzione” è proprio quella di riattivare la straordinarietà dell’ordinario. Il contributo più gioiosamente tras-formativo di chi opera all’interno del carcere come attivatore esterno di politiche della formazione è forse proprio questo: offrire stratagemmi di liberazione (del corpo e della mente) per consentire ai detenuti e alle detenute di riaderire al proprio ritmo interiore. La ri-edificazione di quel “carattere” (forse) che altrove (fuori o prima) non ha trovato un modo per edificarsi. La riappacificazione del proprio sé con il mondo di dentro e (quindi) con il mondo di fuori. E’ in questa chiave (che forse l’esperienza ha contribuito a chiarire) che ritorno con la memoria al pomeriggio di venerdì 31 ottobre 2014. Una Hallowed Eve decisamente non ordinaria ma molto aderente alla suo essere momento di condivisione e della attesa. Un momento anomalo nella routine carceraria in cui le detenute della sezione femminile accedono al teatro della cittadella penitenziaria di Borgo San Nicola per la dimostrazione di fine corso del progetto di “danza per la comunità” coordinato dalla coreografa Chiara Dollorenzo. Una dimensione di mezzo fra teatro e parola è la danza. Un territorio di confine dove le tecniche di liberazione del sé esplodono su mille piani riconquistandolo. Uno di questi piani è la confortevolezza che viene dell’abitare con gioia il proprio corpo con tutte le sue pecu-

liarità non astratte e il loro modo di raccontare storie. Le quattro danzatrici — Rosa, Tinatin, Selene, Janka — emergono in nero dal fondale nero e giocano attorno ad altrettanti tavolini-sgabelli. E sono gli stessi che si trovano nelle loro stanze-celle. Come lo so? Me lo ha detto Massimo di Taranto mentre aspettiamo che la rappresentazione abbia inizio, mentre io e i miei compagni di strada del laboratorio “La voce e il racconto di sé” indietreggiamo fra le poltrone della platea per poter stare insieme ai “nostri” detenuti. Una piccola combriccola di spettatori non previsti ma ai quali la direttrice del carcere ha concesso di essere presenti alla rappresentazione.

Un video dedicato all’esperienza di “danza in carcere” dello scorso anno con i detenuti delle sezioni maschili precede quella dal vivo che sta per accadere. La parola che cerco è concentrazione. “Focus” confermerà la coreografa nel corso del dibattito. Una placida concentrazione che edifica il momento presente come finestra della trasformazione. E i difetti del corpo e del movimento come altrettante finestre sui caratteri (libera-mente). E forse non è un caso se tutto procede da seduti (comodamente) dalla scansione del ritmo con le mani sulle gambe. Time. Stop. In. Out. Strange. Warm. Il tempo. Si ferma. Dentro. Fuori. Strano. Caldo. La rappresentazione non dura molto ma è un momento di confortevole pausa. E nel dibattito che viene dopo una delle detenuta conferma la capacità della danza (e di Chiara) di darle la parola e lasciarla parlare a prescindere dal motivo per cui si trova dove si trova. Un po’ come accade durante i nostri martedì e venerdì in biblio-

di Paola Teresa Grassi*

teca per il laboratorio di narrazione. La riflessione che la coreografa ci dona sulla polarità fra movimento ordinario e movimento onirico che sola permette la nascita di una dimensione poetica mi riporta ad uno dei nostri pomeriggi nella biblioteca della casa Circondariale di Borgo San Nicola in cui abbiamo parlato di pensiero ordinario e pensiero onirico e ci siamo interrogati su cosa e come si sogna in carcere. Un elemento di continuità che mi rallegra come anche quando Chiara dice che se pensa alla danza non può non pensare a Michelangelo e al fatto che la forma sta nel marmo e tocca a noi tirarla fuori. Io sorrido e mi rallegro del fatto che io a mia volta non posso fare a meno di pensare al fatto che se in quel momento non fossimo tutti insieme a teatro per questa ulteriore sospensione nella sospensione staremmo parlando quella stessa lingua attorno a Platone. Ed un medesimo tipo di “trarre fuori da noi stessi” sarebbe stato il tema della lezione in programma...

E allora sì. Se è vero che la pena detentiva in Italia ha ancora una forte connotazione corporea è oltremodo importante creare spazi di liberazione per il corpo. E anche per la mente che del corpo è parte. Ed è oltremodo vero che se esiste un luogo della ricerca creativa a Lecce, questo è proprio la casa circondariale. Un luogo della cura di sé e dell’altro entro cui pensare e realizzare vere e proprie politiche della “governamentalità”. * Filosofa e operatrice del progetto “La voce e il racconto di sè” attivato dal Fondo Verri per il Dipartimento Dipendenze Patologiche della ASL di Lecce nell'Ambito del Progetto “Comunità Tearapeutiche Diurne” nell’Istituto Penitenziario di Borgo San Nicola e nei Ser.T. di Lecce e San Cesario di Lecce


spagine

Qamil

accade nel salento

della domenica n°51 - 9 novembre 2014 - anno 2 n.0

di Gianni Ferraris di Gianni Ferraris

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oro si chiamano Giuseppe Roi e Qamil Hyraj. Roi è salentino, la sua azienda ovicola si trova a Torre Lapillo, Qamil era albanese, lavorava dal Roi come pastore. Roi aveva una sfrenata passione per il guadagno e per le armi, aveva in casa pistole e fucili, anche un caricatore per Kalashnikov. Qamil forse collezionava speranze. Roi ha una trentina d’anni, Qamil di anni ne aveva 23. Amava tirare al bersaglio, Roi, e si allenava prendendo di mira un vecchio frigorifero. Quel giorno d’aprile, tirava e tirava ancora, “lui sapeva benissimo che Qamil era lì vicino e che avrebbe potuto colpirlo, per questo l’accusa è di omicidio volontario e non colposo” dice il giudice Cataldo Motta. Lui sapeva ma proseguiva a tirare, un colpo, un altro, un altro ancora, finchè Qamil, forse tentando di difendersi, di nascondersi, viene colpito in fronte e muore così, perché il suo datore di lavoro amava tirare con la pistola. Perché stava giocando, Giuseppe Roi. Qamil era partito dall’Albania per venire qui a fare il pastore, magari sottopagato, sicuramente aveva in mente una vita migliore, l’Italia, si sa, è ricca, c’è pure la

TV. Ricordiamo i primi che giungevano con in mente la Carrà e le luci della ribalta, ricordiamo la Kater I Rades anche. Ricordiamo i discorsi di chi dice che gli stranieri vengono a rubare il lavoro agli italiani, ricordiamo… Già, ricordiamo. Troppi ricordi, troppo di tutto in questo mondo così bizzarro. Perché mai un pastore colleziona armi invece di francobolli? Perché il cinismo ignobile lo spinge a sparare sapendo che può colpire un essere umano? Meglio forse chiedersi se chi ha un’arma e la utilizza così considera esseri umani gli altri. In fondo era solo un albanese, in fondo ci sono personaggi pubblici che ci insegnano il disprezzo per chi non è come noi. Per chi si chiama Qamil, per chi è troppo “abbronzato” come recitava un avanzo di galera già presidente del consiglio. Qamil aveva una faccia sbagliata, genitori sbagliati, nazionalità sbagliata. Se poi lavorava per pochi euro peggio per lui. Non ci siamo mossi quando trovarono Qamil, era solo un morto fra molti, assassinato chissà da chi “forse era nel giro della droga” si sarà detto qualcuno. Macchè, Qamil era solo nel giro dei pastori, quelli che curano le bestie d’altri, non aveva neppure una pecorella, Qamil.

6 aprile 2014 il corpo del pastore Hyraj Quamil nelle campagne di Torre Lapillo


No alle trivelle

nei nostri mari spagine

N

o alle trivelle nei nostri mari. Sono tante, e, tutte, molto valide le nostre ragioni per dire no e quindi opporci alle trivelle nei nostri mari. Il Governo Renzi non ha né la cultura, né un piano strategico nazionale sull’energia. Il piano dell’Europa è: venti ventiventi. Gli scienziati di tutto il mondo concordano sulle strategie del cambiamento energetico che portano al superamento definitivo delle fonti fossili. Renzi ignora e quindi cerca il petrolio nei nostri mari e si proclama pioniere del nuovo: è la maschera di Renzi con l’iphone. No, perché le trivelle distruggono irreparabilmente e per un lungo periodo la ricchezza e la bellezza del nostro mare. Il Salento e tutto il Meridione verrebbe ad essere privato dell’industria turistica legata alla terra e alle risorse straordinarie dei nostri mari. No perché le popolazioni legate alla cultura del mare perderebbero tanto buono lavoro legato alla pesca competitiva e diffusa fra la nostra gente. No perché le popolazioni del Sud perderebbero il bene più importante, il valore economico più rilevante: l’oro così è inteso il valore della cultura del mare. La Puglia, nella nostra storia, è terra del mare. I suoi parchi marini sono le forme organizzate di un’offerta culturale turistica unica che molti ci invidiano. Per la memoria dei renziani pugliesi basterebbe ricordare il Parco nazionale delGargano istituito nel 1995, con la legge sulle aree protette “legge n. 394/1991” dopo tante impegnative battaglie istituzionali. Il Gargano è una terra antica, una geografia sociale ricca di tradizioni di storia di suggestioni e di scoperte imprevedibili; di paesaggi e di panorami, di colori ed atmosfere, di vegetazione e di animali, di sapori e di tante bellezze rare. Al Parco nazionale del Gargano segue l’Oasi di Torre Guaceto nel bridisino con il suo microsistema acquatico unico di grande interesse scientifico. Il Salento poi è terra dei parchi marini: Otranto Leuca Porto Selvaggio, Lido Pizzo della città bella: Gallipoli. I nostri parchi non sono solo industria turistica, sono anche memoria culturale fonte di conoscenza, risorsa significativa per la ricerca e la conoscenza dell’ecosistema oggi in percolo a causa del comportamento scorretto dell’uomo. Il mare

di Luigi Mangia

deve essere difeso senza se e senza ma. Il Governo Renzi, con la legge “sblocca Italia” con gli articoli 35 e 38 mette in serio pericolo il grande patrimonio culturale paesaggistico e scientifico del nostro mare e lo vende ai privati per un misero piatto di fagioli. La legge “sblocca Italia”, approvata al Senato il 5 novembre, con il voto contrario di Sel, è una pessima legge, da molti senatori considerata una delibera comunale e non una legge dello Stato. È una legge pessima non solo per i danni all’ambiente, come lo smaltimento dei rifiuti dove propone come soluzione l’incenerimento; per le acque non prevede il potenziamento dei depuratori nelle città; privatizza poi il bene acqua e ignora il referendum che aveva a grande maggioranza fissato l’acqua come bene pubblico; autorizza le trivelle nei mari per la ricerca del petrolio che non c’è e perde di vista la soluzione delle fonti energetiche alternative che tutti gli Stati industrializzati oggi curano con grande attenzione; regala il servizio della gestione delle Autostrade ai suoi amici nella modalità delle convenzioni. È una legge pessima scritta male incompleta e fa della Costituzione carta straccia. La legge “sblocca Italia” è incostituzionale perché non rispetta l’articolo 81 della Costituzione che fissa l’obbligo di copertura finanziaria che nella legga non c’è. L’articolo 38, quello delle trivelle, è una violazione aperta della Costituzione perché ignora manifestamente l’articolo 117 che assegna la gestione dell’energia alle Regioni. È una legge, come sempre buona favorevole per il Nord negativa per il Sud. Domenica 9 novembre a Leuca si manifesta contro le trivelle in mare... Per favore, chi ha votato per lo “sblocca Italia” stia lontano rimanga a casa sua, abbia almeno la sensibilità di rispettare quegli elettori che hanno dato loro il voto con fiducia e mai rispettati. Quella legge è contraria agli interessi generali del Paese: leggi rifiuti acqua energia ed è palesemente contraria alla Costituzione perciò ci sono tante valide ragioni perché il Presidente della Repubblica non la firmi. Chiedo al Direttore di Spagine di voler far arrivare questo nostro appello al Presidente Giorgio Napolitano perché oggi è l’unico garante e difensore della Carta Costituzionale a cui tutti guardiamo con rispetto e fiducia.


ambiente

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L’articolo 38 della legge “sblocca Italia” quello delle trivelle, è una violazione aperta della Costituzione perché ignora manifestamente l’articolo 117 che assegna la gestione dell’energia alle Regioni. Domenica 9 novembre a Leuca alle 10 sul Lungomare Cristoforo Colombo si manifesta contro le trivelle in mare


La destra americana e la destra italiana

spagine

I

l recente successo dei repubblicani negli Stati Uniti d’America nelle cosiddette elezioni di metà mandato (Midterm), che ha mortificato il partito dei democratici del presidente Obama, induce a qualche riflessione, con un occhio alle cose di casa nostra, in specifico alla destra italiana. La destra americana, conservatrice, ha dato un segnale netto e chiaro: Obama ha sbagliato a far approvare la riforma sanitaria, che sottrae risorse ai ceti medi a beneficio dei ceti meno abbienti; sbaglia a voler regolarizzare la posizione degli immigrati clandestini che potrebbe incoraggiare il fenomeno e costringere sempre di più il paese a spese sociali; sbaglia a minacciare leggi che limitino l’acquisto e il possesso di armi da parte dei privati cittadini, che potrebbero creare difficoltà economiche e finanziarie ai produttori di armi; ha sbagliato a lasciar fare in politica estera facendo perdere agli Stati Uniti il primato mondiale dell’ordine planetario; ha sbagliato ad impostare la ripresa economica che esclude dai benefici i ceti medi; sbaglia ad insistere sull’eguaglianza bianchi-neri, uomini-donne, che è oggi sì accettata ma solo perché non può essere respinta: voglio dire che nessuno a destra - mi riferisco all’America, ovviamente – pensa con gioia a questa uguaglianza. La politica di Obama, sicuramente democratica, somiglia alla nostra politica di centrosinistra, che non a caso ha il suo asse politico portante nel Partito democratico. Di questo partito Obama potrebbe benissimo essere il leader ideale, molto di più e meglio di quanto Renzi lo sia reale. Alla sfida politica obamiana la destra americana ha risposto senza complessi e senza equivoci: no, grazie, la pensiamo diversamente. E la destra italiana cosa risponde ad una analoga politica di centrosinistra? Verrebbe di dire non risponde. Escluso che tutto ciò che non è di sinistra è automaticamente di destra, mi chiedo: Forza Italia cosa c’entra con la destra? Intendo quella dal fascismo in poi? Ma starei per dire, cosa c’entra con la politica intesa come individuazione e soluzione dei problemi del paese? Nata nella prima metà degli anni Novanta sulle macerie di Tangentopoli, per dare all’Italia una

politica nuova, libera dalle pastoie burocratiche, bizantineggianti e mestieranti della politica, efficiente come un’azienda di successo, si è ridotta sempre più ad una sorta di partito personale, prima per gestire la carriera politico-economica di Berlusconi, poi per gestirne i guai politico-giudiziari. Le uniche formazioni politiche oggi in Italia che non nascondono i loro propositi di destra sono la Lega e Fratelli d’Italia, che portano avanti istanze sia conservatrici sia sociali. Esse, però, mancano di quella consapevolezza ideologica e di quella convinzione che fanno sentire come giuste e importanti le battaglie. Meglio la Lega, da un certo punto di vista, di Fratelli d’Italia. Ovvero avvertono una sorta di complesso di ritardo nei confronti di una modernità implacabile, che viaggia col vento in poppa di un formidabile spirito del tempo (Zeitgeist) e vanifica ogni impegno di conservazione e di tradizione, costringendolo nel museo delle cose perdute. La destra in Italia va avanti giorno dopo giorno, a piccoli passi, una cosa alla volta, come se i problemi non fossero riconducibili in una sola visione politica, etica e sociale. Tutte le posizioni difese fino a non molti anni fa in materia di individuo, di lavoro, di istruzione, di giustizia, di famiglia, di Stato, di ordine, di società, di nazione, di patria, di religione, sono state abbandonate come trincee non più difendibili, delle quali è preferibile non parlare. Che pensano oggi quelli di destra delle coppie di fatto, delle famiglie allargate, dei matrimoni gay, della maternità eterologa, dell’eutanasia, dell’aborto, della liberalizzazione delle droghe, dell’immigrazione clandestina? Hanno fatto tutti più di un passo avanti, trascinati da una corrente storica contro cui essi ritengono di non poter andare. L’esempio, ancora una volta, di questo fenomeno di trasformazione antropologica dell’individuo di destra è Gianfranco Fini. Lo ricordiamo una ventina di anni fa, candidato sindaco di Roma, dire in televisione che lui era contrario a che un suo figliolo potesse avere a scuola un insegnante gay. Come l’avrebbe pensata di lì a poco lo sappiamo benissimo. Abiura dopo abiura è arrivato, kippah in testa, a Gerusalemme. E

di Gigi Montonato

dietro di lui caterve di ex missini convertiti. La destra italiana ha ceduto una dopo l’altra ogni posizione di stampo conservatore e tradizionalista, limitandosi a passare attraverso le brecce aperte dalla sinistra. Oggi in un’Italia “americana” ci sarebbe spazio per una destra forte e vincente. Mentre si ha paura di progettare opere grandiose per paura che se ne impossessi la mafia, il paese è nel disordine, nell’illegalità, nella disoccupazione, nella crisi economica crescente, nella mancanza di prospettive di vita per generazioni di giovani. Assistiamo ogni giorno ad incredibili episodi di giungla: occupazione di case pubbliche e private, sorgere di vere e proprio baraccopoli di Rom alle periferie delle città, gente che si arma di macete o di piccone e aggredisce il primo che gli capita per strada, insulti e violenze ai conduttori e ai controllori di autobus pubblici, minacce e violenze alle persone che viaggiano. E’ comprensibile che non si preoccupino di un simile stato di cose quelli di sinistra, che oggi peraltro sono al governo, per la loro vocazione umanitaria ed egualitaria. E’ comprensibile che non se ne preoccupino quelli di centro, per la tendenza a delegare il Signore con un piissimo “faccia Dio!”, e per l’indolenza di cui sono storicamente affetti. Ma che da destra non giunga alcun segnale vuol dire soltanto o che non ci sono persone di destra o che la destra come pensiero politico non esiste più. Si può criticare nel merito la risposta americana al suo Presidente, peraltro abbandonato, anche per non aver mantenuto le promesse, da quel proletariato nero che lo aveva sostenuto nella scalata e riconferma alla Casa Bianca, ma non si può non condividere la chiarezza delle posizioni assunte dall’elettorato: voi democratici avete fatto troppe cose di sinistra che al Paese non sono piaciute, noi repubblicani faremo cose di destra, convinti che piaceranno. Quanta distanza da un paese, l’Italia, in cui Montanelli rilevava che una cosa di destra la può fare solo un governo di sinistra e una cosa di sinistra la può fare solo un governo di destra! Nell’uno come nell’altro caso, per ingannare la gente e tradire il paese.


diario politico

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I

spagine

l mondo è in subbuglio, è in fiamme. Dappertutto, guerre di dominio, di potere, di etnie contrapposte, esplodono fragorosamente. Conflitti dolorosi e sanguinosi, le cui vittime sacrificali sono poveri civili, uccisi, fatti a pezzi, messi in fuga, costretti a lasciare le loro terre natie. Da tempo, sulle nostre coste meridionali, approdano migliaia e migliaia di uomini, donne, bambini, allo sbando. Tragicamente, nel mar Mediterraneo, hanno trovato e continuano a trovare la morte profughi e clandestini, che vanno non alla ricerca d’un favoloso Eldorado ma di condizioni di vita appena accettabili. Da sempre, l’Europa delle banche e della grande finanza è drammaticamente latitante sulle politiche immigratorie. La forza d’urto dei disperati venuti da luoghi affranti e lontani andrebbe gestita con umanità e razionalità, con civile decoro. Con piattaforme lungimiranti, improntate alla massima coesione, alla integrazione, alla interazione fra genti diverse. Invece, in Italia e in altri Paesi europei, c’è chi preferisce cavalcare l’onda del populismo nazionalistico e le pulsioni xenofobe. Secondo certuni, tale strategia può perfino rendere bene da un punto di vista elettoralistico. Sfruttare la dilagante crisi economica generale, le incertezze lavorative, rivolgersi alla pancia della gente, è l’obiettivo demagogico e manifesto di chi va alla ricerca spasmodica d’un facile consenso. Matteo Salvini, segretario della Lega Nord, sta indirizzando tutta la sua politica dal fiato corto a combattere i clandestini, visti come il male assoluto del mondo. Nel raduno verde padano di ottobre a Milano, in piazza Duomo, decine di migliaia di manifestanti si sono stretti attorno al loro giovane leader, “invincibile” condottiero che darà lustro alla Nazione e salverà il Paese dall’”invasione dei barbari”. Si sa, il nemico va attaccato frontalmente, possibilmente denigrato, anche a scapito del buon senso e della logica. Continuamente, nei telegiornali e nei salotti televisivi di prima e seconda serata, i valorosi del Carroccio ripetono come un mantra che “Mare nostrum è stata un’operazione razzista e schiavista”. Quando è evidente a tutti che il governo italiano s’è attivato per salvare la vita di poveri naufraghi desolati. La Chiesa cattolica, animata da misericordia e umana comprensione, insiste sulla necessità di accogliere decorosamente i migranti, rispettando rigorosamente i loro diritti di cittadini del mondo. Che poi dovrebbe essere il “mestiere” di vivere della politica attiva, che in una civiltà multietnica e multiculturale dovrebbe necessariamente adoperarsi per pianificare valide politiche popolazionistiche. Certa politica, invece, preferisce imbastire campagne strampalate e miopi, che titillano solo gli istinti distruttivi e le rabbia represse, i livori di certuni. Anche Beppe Grillo vorrebbe cacciare tutti i clandestini dal suolo italico. Lo stramilionario leader pentastellato ha una concezione proprietaria del suo “partito”. Non tiene affatto conto che, a ottobre 2013, i senatori Cioffi e Buccarella fecero approvare un emendamento che aboliva il reato di immigrazione clandestina, confortati anche dal consenso della base che votò successivamente su Internet. Del resto, bisogna capirli Grillo e Casaleggio. In Europa, per poter formare un gruppo autonomo, si sono alleati con Robert Jaroslaw Iwaszkiewicz,

Nemici

diario politico

della domenica n°51 - 9 novembre 2014 - anno 2 n.0

di Marcello Buttazzo

un monarchico di estrema destra, favorevole tra l’altro all’uso estensivo della pena di morte e alla lotta senza quartiere contro gli indesiderati clandestini. Il migrante “cattivo”, “pericoloso”, “criminale”, è l’eterno leitmotiv dei secessionisti leghisti, che non dimenticano mai la loro vocazione separatista. Salvini, quando è a corto di argomenti, sfodera sempre lo stesso stonato motivetto. Ora incoraggia anche il Salento a staccarsi dal resto della Puglia. Come se davvero i problemi lavorativi e strutturali della nostra assolata terra di ulivi e di mare si risolvessero d’incanto rivendicando una discutibile autonomia dal governo regionale. Fin dagli albori, gli esponenti del Carroccio si sono battuti per la secessione della Padania, palesando però contraddizioni non da poco. I Bossi, i Calderoli, i Maroni hanno ripetutamente declamato con voce arrogante contro “Roma ladrona”, purtuttavia sono stati sempre solerti a occupare rilevanti poltrone in vari ministeri dei passati governi Berlusconi e del tanto biasimato sistema politico della Capitale. Salvini, addirittura, nell’ultima campagna elettorale delle Europee, è sceso in Puglia a chiedere consensi, dimenticando che i leghisti, dall’eloquio talvolta virulento e volgare, non sono mai stati generosi con noi meridionali. C’è chi, op-

Matteo Salvini segretario della Lega Nord in una fotografia tratta dal suo sito

portunamente, rammenta che la “Padania non esiste”, alludendo anche al fatto che in un’Italia lacerata si sente più che mai il bisogno di armonia, di unità. Invece, dalla fantomatica Padania che effettivamente non esiste, si levano echi, che servono solo a frammentare, a dividere. Pensando arbitrariamente di interpretare la volontà del popolo del Nord, il giovane segretario della Lega oggi come un disco rotto ripete: “Usciremo dall’euro. L’indipendenza della Padania è prossima”. Tutti ricordiamo che Bossi e compagni volevano chiudere le porte delle scuole settentrionali agli insegnanti del Sud. Qualche anno fa, il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, avanzò una proposta sconcertante: liste di collocamento differenziate nella sua Regione. Con una visione sociale “aperta” e “solidale” Zaia voleva dare la precedenza ai veneti, che s’approssimavano ad entrare nel mondo del lavoro. La terra s’è globalizzata, s’è ristretta, e alcune chiuse convinzioni sono senza futuro. La Padania è un’astrazione, non è affatto una grande regione con delimitazioni geografiche ben definite. La Padania non esiste. In compenso, c’è chi continua a farsi paladino di improponibili idee, che hanno l’acre e inconsistente sapore del provincialismo.


La morte opportuna B spagine

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n Oregon, Brittany Maynard, malata terminale di cancro al cervello, ha deciso di ricorrere al suicidio assistito. Consapevolmente, la 29enne americana ha scelto la “dolce morte”. Puntualmente, dal Vaticano, sono arrivate le doglianze di monsignor Ignacio Carrasco de Paula, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, “ministro”della Santa Sede in tema di bioetica: “La dignità non è mettere fine alla propria vita, è un’altra cosa”. Però al cospetto del dolore straziante, del travaglio continuo, siamo tutti smarriti. La Chiesa cattolica dovrebbe talvolta cominciare a comprendere i vissuti di ciascuno con maggiore misericordia. Non è sufficiente asserire con irrefutabile certezza che la vita sia sempre e comunque sacra e inviolabile per avere la coscienza a posto. Di fatto, l’esistenza può diventare anche disponibile, in condizioni di lacerazioni senza fine. Brittany era ormai irreversibilmente condannata. Umanamente ha lasciato questo mondo, contornata dagli affetti, evitando il decadimento fisico e lo stato d’incoscienza. La giovane donna ha preteso legalmente una “morte dignitosa”. Come, del resto, in Italia, nel 2006, Piergiorgio Welby rivendicò alla fine una “morte opportuna”. C’è coraggio, umana pietà, in chi decide di “addormentarsi” per sempre. Il dolore senza confine non nobilita affatto, annichilisce. Non c’è alcuna pulsione nichilista nel pensiero con cui Brittany s’è congedata dai suoi cari; ma solo amore: “Io voglio vivere. Ciò che mi sta uccidendo è il cancro, e sono venuta qui solo per anticiparlo e per evitarmi altre sofferenze”. di Marcello Buttazzo

contemporanea

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rittany Maynard si è tolta la vita. Dopo la decisione di ricorrere all’eutanasia e il ripensamento del 30 ottobre, la 29enne colpita da un cancro al cervello in fase terminale è morta l’1 novembre, nella sua casa. A dare la notizia della morte è stato Sean Crowley, un portavoce dell’associazione Compassione e Scelta, che lotta per il diritto all’eutanasia. «Brittany è morta, ma il suo amore per la vita e la natura, la sua passione e il suo spirito continuano a vivere» ha dichiarato Barbara Lee Coombs, presidente dell’organizzazione che ha sostenuto Brittany. Il caso della giovane statunitense ha risollevato il dibattito sull’eutanasia negli Usa. (Fonte: Il fatto quotidiano).

Di fronte a scelte così definitive occorrerebbe un rispettoso silenzio. Tuttavia il dibattito, qui da noi, è apertissimo. Ogni scelta etica e morale che riguarda la sfera privata, anche se dolorosa, anche non condivisa, deve essere accettata, in particolare è indispensabile che non esistano vincoli legislativi che più che normare una materia, sembrano voler portare al pensiero unico. Occorre battersi con ogni forza perché un credente sia rispettato nella sua fede, perché non gli venga tolta l’alimentazione forzata se lo chiede, perché una donna se non per scelta sua precisa rifiuti ogni forma di fecondazione che non sia quella naturale. Però è indispensabile che altre scelte dettate magari da altre fedi o dalla non fede vengano rispettate in identica misura. Soprattutto quando sono compiute per sé stessi, senza ledere la libertà e dignità altrui. Uno Stato veramente democratico e non confessionale dovrebbe avere una sola regola in materia, una legge che dice più o meno: “ognuno è libero di scegliere i comportamenti etici e morali che sente più vicini a sé stesso, lo Stato mette a disposizione ogni sua conoscenza ed esperienza per accompagnare il cittadino nella sua libera scelta”. Invece siamo nei fatti in uno Stato confessionale in cui la ragione di al-

di Gianni Ferraris

cuni, maggioranza o minoranza poco importa, guida le scelte di tutti e di ognuno. Quale differenza esiste fra il no al testamento biologico e l’imposizione del burqa? Mi rendo conto che il paragone è ardito, però a dire no sono gli stessi che hanno una loro posizione religiosa quasi oltranzista, al punto di volerla imporre a tutti i cittadini. E l’ipocrisia è ancora più immensa se si pensa che chi ha le possibilità va all’estero per l’eutanasia.

Lucio Magri andò a cercare la sua dolce morte in Svizzera, e oggi si legge: Roma, 29 nov. (Adnkronos Salute) - Sono una trentina in tutto gli italiani andati in Svizzera per non fare più ritorno. Connazionali "che muoiono in esilio", così li definisce Emilio Coveri, presidente di Exit Italia, Associazione per il diritto a una morte dignitosa. Nell'ultimo anno sono stati 2-3 al mese, ma si tratta "di un numero in aumento, soprattutto a seguito delle discussioni che sono maturate in Italia sulla legge che riguarda il testamento biologico"… E chi non ne ha le possibilità economiche si arrangi e diventi suo malgrado seguace del credo di deputati e senatori che calpestano, in nome e per conto del loro credo, il credo altrui. Quale differenza etica fra questi e gli impositori del burqa? E badiamo che questi sono gli stessi, o gli eredi politici di chi diceva nel 1974 che il divorzio avrebbe sfasciato non tanto le famiglie, ma la nazione italiana. E sono gli stessi che hanno imposto alle donne la presenza massiccia di obiettori di coscienza nei reparti maternità. E ad obiettare sono molto spesso medici che procurano aborti in cliniche private, a pagamento. Occorre rivendicare ad alta voce il diritto alla scelta, al testamento biologico. Occorre, questa volta mi sento di dirlo, che i legislatori di provata fede cattolica ascoltino il papa quando parla dei gay dicendo “chi sono io per giudicare?” Se alcni di loro avessero solo una piccola parte dell’etica e dei “dubbi” di papa Francesco, forse l’Italia sarebbe migliore.


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La copertina della raccolta di versi di Lara Carrozzo edita da Lupo

Più suono Ovvero: più ascolto

’è capitato di essere ospite del Silenzio, così come “suona(va)”, nel Plus, Lara Carrozzo: (l’) Ho visto passeggiare … sul palcoscenico. … (l’) Ho visto guardare … sul palcoscenico … (l’) Ho visto sputare … sulla pelle senza peli … (l’) Ho visto (nel)le mie pupille impazzire … Ho chiuso la bocca. Ho preferito il silenzio. Ho fatto silenzio.

Proprio così. Quel passeggiare, sputare, guardare, impazzire per me è stato anche quello, l’altro luogo dove Lara Carrozzo scrive a pag. 53 del suo SURPLUS con: ho ostruito il cielo: “… Luce! Vieni qui, ti ho tra le mani, /ho voglia di toccarti, ma sei un nucleo/di calore e non posso afferrarti…”. Il Surplus di Suono nel Silenzio, sebbene anche dell’ascolto, è stato, inizialmente per voce di Mauro Marino, per la lettura nei versi della Carrozzo, in occasione di un incontro ravvicinato fra Alieni della parola. È stato incontro fra Città vicine voluto da Maurizio Nocera e Mimmo Tardio, d’intesa. L’approccio è per noi distante quanto può essere misurabile l’intercolumnio di quel ch’è stato il tempo a segnarlo e delle due colonne a dividerlo. Nell’essere stato, per altro verso, io stesso a pensare e a segnare altra via, ancora più differente dell’Appia o della nuova 16, ho accompagnato e mostrato il mio silenzio al Più Suono, ovvero, al Più ascolto. Nel trovarmi coi “Lembi di vissuto … tra i semi mangiati …”, m’è sorto il dubbio: La Poesia è bene leggerla o ascoltarla? Quale valenza resta nel cogliere, da chi cogliere per ascoltare il vero suono? Ho pensato all’intimo del non solo leggere, all’essere stata esigenza sin dalla sua nascita, sin da quando al racconto orale v’era e s’aggiungeva il cantare, quindi, l’ascoltare dei molti. In quell’istante avrei potuto decidere se consegnarmi alle pagine del leggere oppure al suono dell’ascoltare. Ho dapprima ascoltato. Mauro Marino mi ha bruciato sul tempo di quel pensare, nel mentre Lara Carrozzo mi consegnava quello stesso “Silenzio” sulle stesse pagine di altro “Silenzio”, ma le stesse e quelle che hanno “Suonato”, per il mio “PIÙ”, l’ascolto. Al Silenzio dell’attenzione si è sovrapposta la

Poesia

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di Francesco Pasca

raccolta poetica, il “PIÙ SUONO” di Lara Carrozzo per le Edizioni Lupo nella presentazione di Paolo Leoncini. Nel ricevere mi chiedevo: È facile mostrare la propria anima? Nella domanda e nella situazione del mio immediato, il facile, lo esploravo in quel pensiero e m’aggiungevo al: se era possibile coglierla quell’anima, se nel poi è possibile includerla in altra anima, in un paradossale appagamento; se nella poesia, in quel poi è, se ne potesse far diventare quell’esplorazione particolareggiata per il nuovo orientamento, per quel buco di luce che fa intravedere altra luce e se ne attende il Suono, quel mio “ascoltare”, poi, nel leggere. Nell’ascolto dell’intanto trovavo la scrittura parlata di Lara Carrozzo e la trovavo unicamente per il suono. «Mauro fa, ha fatto tutto questo per il mio Suono e quello di Lara Carrozzo», dicevo fra me e me. «Sul palcoscenico del Fondo Verri Mauro fa, ha fatto del mio ascolto, la pacata dizione, le riflessioni metafisiche.» Lo sento tuttora che si tracima lento con la parola nel suono, in quel che, “ubriaca il mondo” in quel che, “con danze al minimo dei movimenti “pestano il mosto della povertà”, in quel che fa “bere quel fango umano”, in quel che si sente scrivere da Lara: “torcere il mio grembo di madre”. Nell’ascolto è il Proust che rammento e lo trascino nelle Cosmiche attinenze, nell’ interiore, nel miracolo, nel motivo del continuo stupore. Terminato l’ascolto non termina ciò per sola/o lettura. Ora “Ho” la raccolta dei suoi cinquantaquattro “Suoni” donati a me da Lara e leggo la sua dedica: “... la poesia sia per te pittura e canto! …” Così è lo scrivere del più suono, “nel” sostare nei pressi della Curiosità nell'esperire, nella porzione di tempo sospesa nella remota sua dignità dell’armonia di appartenenza, nel sistema di quel che, con l’uguale, n'è il descrivere in versi e non per trovar l’opposto; così ho accettato quel dono. Ho il poi e, nel miglior letto, trovo che, nei richiami: “…Alludo a richiami che non ho sostenuto/mentre era finito l’inverno/e la poesia inondava il cielo.” Ho iniziato a conservare per sua utilità il suono. La parola che, ne ha nutrito l’aspetto di quest'ultima è e diviene: “la Luna sotto lo zero”, sotto la sua eco di Luogo, di quel che scorre in quel Tempo con quel particolare e

ne descrivere e ne sparge riccamente: “Poppea come sul fare/si nasconde, dietro al velo, /sorride, e non si concede.” Nel pagina dopo pagina leggo a caso, sì, aprendo a caso la raccolta, dissemino le mie impressioni nell'ammassarsi in luccichio, in antichi disposti per ordinate traiettorie e in sequenze di nuovi suoni d'anima; voglio restare nel senza tempo, catturare anche il mio suono, ballo-non ho paura: “ballo, mi contorco nel sangue. /l’Oriente mi chiama ad esser/donna/…” o con tanto di quel tempo. Così come per il giorno in dimensione circolare: “… lo sento come fosse clorofilla/e so di non poter arginare …” Lara scrive e ama ravvivare, avviare in altri ricordi e, ricondurre, alle dieci parole: “… Contatto! Nuova conoscenza:/bava alla bocca piena di semi/che coltivo in silenzio…” Quel tanto o poco, a volte ci somma il destino o ne sottrae l'istinto, sino a non più avvedercene o sino a mostrarsi in altri granuli di parole, in granuli per altra clessidra da riempiere e svuotare in Richiami inebrianti la calce, in Luce. Lara descrive il Più Suono, fa danzare il giglio della conoscenza:” Colui che scrisse sul giglio bianco/visse l’agosto senza conoscermi. /Carezzavo la sua testa sul far del giorno. /Chiamò la mia anima bianca/…/mi sbottonò il cuore senza sapere/che avrei deglutito tutto il suo sangue.” Trovo il suo censire l’immagine nel pentagramma emotivo, nella sensualità costruita con un suono per noi del Sud ch’è plasmato nei bisogni e per nuove percezioni di anima e a dare la giusta dimensione non costretta dall’egoismo di un io. Lo dice Lara a pag. 111 in richiesta tellurica: “… nella sorgente della vita/nutro bolle spirituali/che rimandano alla fiamma/del deserto corporeo…” Finisco di scrivere la mia impressione del Suono ma continuo a persistere nel dubbio. La poesia è meglio ascoltarla o leggerla? Per Lara è scriverla? A noi sciogliere il dubbio aprendo all’ispirazione luminosa, magari ascoltandone e inseguendone il rumore. Leggere è l’altro Silenzio, è il fragore del tuono e potrà anche essere l’ascoltare.


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La musica di Spagine

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Paranza Vibes

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l gruppo Paranza Vibes è composto da artisti campani che lavorano nella musica da diversi anni. La loro lunga carriera è ricca di album, singoli e video. Tra le molteplici collaborazioni ricordiamo quella con Zulù (99 Posse) e Terron Fabio (Sud Sound System). In questa intervista la crew racconta il lungo percorso musicale.

Paranza vibes, come è nato il gruppo e perché questo nome? Il progetto Paranza Vibes nasce nel 2000 da un’idea di Piervito De Rosa e Matteo Citro per dare voce alla rabbia e al vuoto che lascia la periferia, in questo caso quella di Pontecagnano Faiano. Paranza perché oltre ad essere una barca che attua un determinato tipo di pesca quindi vicino alle nostre tradizioni perché noi amiamo il mare, e Vibes perché siamo malati di Reggae e siamo convinti che le vibrazioni tante volte dicono di più delle parole stesse. Il nome Paranza Vibes l’abbiamo deciso seduti su di una panchina sotto casa di Piervito. L’ultimo singolo accompagnato dal video ‘Whe have dream’ con Zulù dei 99 Posse, come è nato? La nostra amicizia con Luca (Zulù) risale al 2000 quando organizzammo a Pontecagnano il concerto dei 99 Posse e fu l’anteprima del disco “La vida que vendrà”, poi ci siamo incontrati spesso in giro e l’anno scorso ci siamo ritrovati al concerto di Manu Chao a Napoli dove eravamo presenti entrambi nella Line up e finalmente abbiamo deciso di dare vita a “We have a dream”. Diverse le collaborazioni con grossi artisti, parlateci di quella con Terron Fabio? Con Terron Fabio dei Sud Sound System, come con Zulù, la nostra amicizia è antica. Noi da sempre ascoltavamo i Sud e spesso ci ritrovavamo nelle Dance Hall con loro e quindi è stato naturale creare il pezzo insieme in studio da loro. La Carovana è nata durante il percorso Pontecagnano - San Donato invitati

da Fabio nello studio storico dei Sud.

di Alessandra Margiotta

C’è qualche collaborazione che vi ha lasciati maggiormente soddisfatti? Sinceramente sia quella che con Luca che con Fabio sono per noi motivo di orgoglio perché noi abbiamo iniziato il nostro percorso artistico ispirandoci ai loro progetti e prendendo le loro vibes, quindi noi siamo fieri di questi due singoli oltre dal punto di vista artistico e musicale ma soprattutto per il rapporto umano basato sul rispetto “vero” intrecciatosi con loro. Siete in tour? Dove è possibile conoscere le vostre date? Siamo in tour promozionale e stiamo già girando in varie radio e tv con il singolo We have a dream. Prossimamente andremo a Milano, Roma Napoli, e già stiamo lavorando per l’uscita del terzo singolo. Faremo uscire per prima tutti i singoli che stiamo lavorando e poi li racchiuderemo tutti in un solo album. Intanto continuiamo a girare con il nostro DJ Set e stiamo preparando per il 18 gennaio 2015 il nostro quindicesimo anno di attività. Per le nostre date è possibile consultare il sito ufficiale www.paranzavibes.com oppure la nostra pagina Facebook Paranza Vibes. Come valuti l’attuale scena reggae italiana? Quale scena? Pensiamo che la scena italiana sia molto vasta ma frammentata come le coste che bagnano la nostra penisola oltre ad essere molto competitiva. Esiste la scena lombarda quella veneta quella romana quella campana, pugliese e siciliana ma ognuno fa le cose a casa propria, ognuno pensa di aver inventato o di avere l’esclusiva su fatti ed idee. Noi ci siamo sempre battuti affinché la scena italiana potesse essere unica e unita e non solo di facciata, e abbiamo sempre cercato di spingere e promuovere il reggae fatto in casa facendo suonare e collaborando con altri sound e amici non solo del nostro territorio ma dell’intero Paese senza ricorrere per forza al grande evento del giamaicano di turno.


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E

ra stata tutta la serata appesa al telefono. Gregory Mitchell dell'officina Mitchell&Georghe di St.Peter le aveva lasciato un messaggio in segreteria qualche ora prima. Quando rispose al telefono lo immaginò mentre rideva di lei, dietro la sua scrivania, giocherellando con una biro tra le dita. Suo marito Frederik Callagan, aveva detto alla cornetta il tizio, s'era inabissato nelle acque del lago Clark, a cento chilometri da casa, nei pressi di Providence. La sua mustang targata Canada nuova di tagliando era stata recuperata da un suo carro attrezzi in piena notte. Bob Sanders, l'autista del mezzo di soccorso, era stato allertato dal proprietario di una Bmw ferma sul ciglio della strada per Fersbury e col motore ancora acceso, poco lontano dallo specchio d'acqua in questione. Il tizio gli aveva indicato un punto in mezzo alla fitta vegetazione, lì dove aveva visto una macchina uscire fuori strada dopo una brutta curva a gomito. -La vettura era registrata a suo nome signora Callagan. Un vantaggio per noi. Targa e numero di telefono. -Mi dica. Come sta mio marito? -Mi dispiace, ma suo marito non era nell'auto quando è stata estratta dal lago. Ci aggiunse il carrozziere. E Lesly lo pensò dall'altra parte della cornetta mentre diceva STRONZO con un movimento lento delle labbra. -Suo marito è il più gran pezzo di stronzo che abbia mai visto, andare a ficcarci il muso in un lago di notte, bisogna essere proprio dei coglioni. Questo non lo disse il carrozziere, ma Lesly, quella povera donna, se lo immaginò. Questo Gregory Mitchell dell'officina continuò il racconto. Sembrava ben informato. Dopo quasi venti minuti di manovre, per non tirarla troppo per le lunghe, Bob Sanders aveva estratto l'auto dal fondale del lago Clark, ma del signor Callagan non ve n'era traccia all'interno. Gregory raccontava tutto questo come se stesse commentando quelle scene in tv, o in un fotoromanzo. -E' ancora in linea signora Callagan. -Certo signor Mitchell. -Non vuole sapere dov'è suo marito? Lisley sbrigliò lo sguardo giù per il corridoio, lungo il linoleum appena lucidato. -Dovrebbe importarmene immagino. Ci fu una pausa. Questa volta Lisley sorrise dentro di sé. -Chiami la polizia signora Callagan. Io e il mio collega abbiamo motivo di pensare che Frederik sia scomparso, o peggio ancora morto. Qui il meccanico si prese una pausa, come se a Lesly servisse tempo abbondante per digerire una parola così grande. Poi lui continuò: -Ma, se capisce quello che le sto dicendo, non vorremmo mai, io o il mio collega,venire a testimoniare per lei, magari in presenza di un giudice e degli avvocati. La prego, ci tenga fuori da questa storia. Lesly intrecciò intorno al dito il filo del ricevitore. Ricordò anche di aver sentito come un fastidio ai piedi della coscienza. Non si trattava di cordoglio, o peggio ancora disperazione. Era come il ricciolo di veniale disap-

Fuori luci accese

di Luca Calò

short stories

della domenica n°51 - 9 novembre 2014 - anno 2 n.0 punto. Sottile dispiacere ecco tutto. Una bruciatura di sigaretta in uno sterminato arazzo. Si sentì più o meno così. -Può stare tranquillo signor Mitchell, non chiamerò la polizia. Vedrà, mio marito saprà trovare la strada di casa. Lo fanno sempre i mariti quando scappano. Gregory Mitchell dell'officina Mitchell&Georghe di St.Peter singhiozzò. Lesly lo sentì chiaramente. Come un rigurgito, o uno stantuffo, o un vuoto pneumatico. -Potrebbe essere morto signora Callagan. Parliamo di suo marito, vero? -Potrebbe essere vivo anche, non crede. Perché dovremmo crogiolarci già nella tragedia. Aspetterò sino all'alba. -Lei non chiamerà la polizia vero signora Callagan? Pausa. -No, signor Mitchell. Non lo farò. -Vuole che lo faccia io? Potrei chiamare io la polizia se volesse. -Sono certa che Frederick tornerà a casa. Lascerò le luci della veranda accese. Se non dovesse farlo, bé spero per lui che abbia la grazia di chiamarmi. -Basteranno le luci accese della veranda? -Basteranno le luci. -Penso allora che dovremmo salutarci signora. -Sono d'accordo anche io. Arrivederla signor Mitchell. Grazie per il disturbo. -Oh, nessun disturbo signora, dovere. Mi stia bene. -Anche lei. Poi Lesly chiuse la chiamata. Rimase così qualche secondo, con la mano ancora posata sulla cornetta. Poi si staccò, con un gesto poco naturale e si accese una sigaretta. Alla finestra vide Andrew e Loyd Hamber, due ometti di dieci e nove anni, che stavano giocando a baseball nel giardino di casa sotto il cono di luce di un lampione. Abitavano dall'altra parte della strada buia. Uno dei due si fermò con la palla ancora in una mano e come se si sentisse osservato si guardò attorno. Lesly si fece da parte, scivolando dietro le tende. Guardò il soffitto immobile per tutta la durata della sua sigaretta. Poi riattivò i meccanismi del corpo, riprendendosi a muovere. Frederick Callagan forse era morto, o forse solo scomparso. E questo non la disturbava. Non la rendeva meno felice o meno capace di qualche tempo prima. Pensò di chiamare sua madre a Denver, ma non lo fece. Aprì il frigo e si rese conto che era quasi vuoto. E il minimarket sulla 48th era già chiuso a quell'ora. Si sedette sul pavimento sotto la luce del congelatore e attese. Aspettò che fosse abbastanza tardi per aspettarsi l'arrivo di chiunque, di una visita o di un marito scomparso. Si alzò. Andò in veranda e spense tutte le luci. La casa s'ammantò di ombre e di buio e lei rimase fuori in piedi, accanto alla sedia a dondolo e al tavolino in alluminio. Si sedette un solo istante, mirando la faccia pallida e ammiccante della luna, risultava enorme oltre le prime casa e la radura appena dietro.


Otranto,

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luoghi del Salento

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la cava di bauxite

N

la foto è tratta da http://www.primitiveart.it

di Rocco Boccadamo

on bastano le parole, perlomeno si rivelano inadeguate secondo la sensibilità del comune osservatore di strada che scrive, per poter dire di Otranto, del suo cuore, della sua anima, della sua storia, impaginata fra momenti di osanna e di gloria e parentesi di tragedia, dei suoi stessi dintorni. Otranto è, insomma, un impareggiabile tesoro, anzi un insieme di tesori, un autentico piccolo grande miraggio reale, punto e basta, sicché l’approccio dell’umana mente al suo indirizzo non può non coniugarsi anche con moti emotivi, con scansioni di commozione profonda. A pochi chilometri dalla località, lungo l’arteria litoranea che si snoda in direzione sud verso Porto Badisco, Santa Cesarea Terme e Castro, più o meno all’altezza della Baia delle Orte, si trovano, ponendosi all’ammirazione stupita dei transitanti e visitatori, i resti d’una cava di bauxite, ormai notoriamente conosciuta e appellata come Lago di Bauxite e ciò a motivo della forma con cui si presenta, proprio simile a quella di una pozza d’acqua alpina. E però, risalta, qui, l’eccezionalità del sito, giacché si è a ridosso dell’Adriatico, quasi a strapiombo sull’incantevole tratto di costa rocciosa. Qualche breve nota di carattere tecnico, merceologico e cronologico. La bauxite è un minerale dal quale si ricava l’alluminio, ad Otranto il processo estrattivo si è protratto per un ventennio con imbarco della materia prima dal porto cittadino e destinazione Marghera per la fase di lavorazione, la cava è stata definitivamente chiusa nel 1976, in mancanza di convenienza economica. Il piccolo laghetto che oggi appare alla vista si è andato formando man mano, in virtù della presenza di una falda freatica incontrata durante lo scavo; poco a poco, la zona circostante si è andata arricchendo di piante acquatiche e paludose, come la cannuccia di palude. E’ bello, stupefacente e struggente il contrasto fra il rosso cupo delle pareti del laghetto e la tonalità verde azzurro della massa liquida sul fondo. Rosso cupo, giustappunto, è del resto il colore del minerale, consistente sia in masse aggregate e cospicue, sia in piccoli noduli di forma tondeggiante, sagoma dovuta al trasporto subito nel tempo per opera delle acque meteoriche, il cui nome tecnico è pisoliti, sebbene, da queste parti, siano genericamente chiamati uddrie. Oh, le mitiche e magiche palline, strumenti a portata di mano e testimoni di semplici giochi e svaghi d’infanzia per chi c’era e cresceva nel Basso Salento! Da ultimo, un richiamo del tutto particolare: rosso cupo, rosso, non caratterizza forse, cromaticamente, anche il sangue? E di sangue, non n’è forse scorso a rivoli, lasciando tracce indelebili, in quel lontano 14 agosto 1480, quando ottocento otrantini scelsero d’immolarsi sul Colle della Minerva, piuttosto che rinnegare la propria fede, come pretendeva il Turco invasore? Riprendendo il titolo delle note, il Lago di bauxite d’Otranto si pone e si colloca alla stregua di un ideale muscolo decentrato del grande cuore della cittadina e, nella sua specificità intessuta di stupefacente bellezza abbinata ad un certo alone di mistero, riesce a incantare e a far innamorare ogni sguardo che vi si sofferma.


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in agenda

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La presentazione oggi, domenica 9 novembre, alle 12.00 presso il chiosco-bar sBARra di Borgo San Nicola di Lecce a cura della Cooperativa Piano di Fuga

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Gli ombrelli parlanti

a solidarietà e il reinserimento lavorativo delle persone detenute trovano spazio nel progetto “Gli ombrelli parlanti di Serena”, iniziativa della cooperativa sociale Piano di Fuga che sarà presentata domenica 9 novembre alle 12.00 presso il chiosco-bar sBARra di Borgo San Nicola di Lecce. Testimonial del progetto che coinvolge un gruppo di detenuti dell’Istituto penitenziario Borgo San Nicola di Lecce, il sindaco di Lecce Paolo Perrone e il direttore della Casa circondariale Rita Russo. “Gli ombrelli parlanti di Serena” è una produzione di ombrelli personalizzata dalla cooperativa Piano di Fuga, costituita per la maggior parte da detenuti che stanno scontando la pena all’interno del carcere leccese, con brevi frasi poetiche e di speranza suggerite da Chiara Scardicchio, mamma della piccola Serena, bambina affetta da autismo in cura a Bari. È proprio per sostenere il suo percorso formativo e riabilitativo che nasce la produzione stampata tra le mura della Casa circondariale: tutti i proventi delle vendite, infatti, saranno destinati alla piccola Serena. Lontano dai pregiudizi e dagli stereotipi che vedono le persone detenute come un “problema”, il progetto della cooperativa leccese le valorizza in quanto risorse importanti per la società, capaci di slanci di solidarietà e di impegno vero. Location d’eccezione per la presentazione del progetto, il chiosco-bar sBARra, gestito dalla cooperativa Piano di Fuga, via S. Nicola 75 Lecce in cui lavorano detenuti che usufruiscono dei permessi lavoro ed ex detenuti. Un esempio concreto di inserimento lavorativo in cui è possibile assaggiare il “pasticciotto galettotto”, tipico dolce leccese ripieno di pistacchio, gianduia e zabaione. Per acquistare “Gli ombrelli parlanti di Serena” è possibile inviare una mail a: pianodifuga@libero.it

“Se la pioggia è universalmente metafora di grigio anche interiore, poiché interrompe luce e sole... ed è sovente icona di un problema, un impedimento o una tristezza... allora vale la pena provare a trasformarla... usandola come possibilità… per Riflettere – Sorridere - Sperare. Gli Ombrelli Parlanti parlano... pur senza parlare. Sono nati da un’ispirazione, giunta da una bambina che non parla eppure insegna molte parole Fai dire al tuo ombrello chi sei... E soprattutto, fagli dire che la pioggia non è un limite ma... Una prova di coraggio.” Antonia Chiara Scardicchio


Lunedì 10 novembre dalle 18.00, una “mostriciattola” s’inaugura, in via delle anime 4, a Lecce uno spazio che l’artista Paola Torsello dedica alla ricerca creativa e al counselling

Ratatile A

l di là di ogni interpretazione antropologica, psicologica e psichiatrica, i cui diversi punti di vista confluiscono sul fenomeno del tarantismo, ratatile non nasce con l'intenzione di intrufolarsi in studi complessi e impegnativi. Il discorso è molto più semplice e fantasioso: ratatile è un filo nero che de-scrive trame e forme della lycosa tarantula, il ragno salentinoche con il suo morso procura stati di trance e agitazione emotiva, una scrizione di segni e di intrecci talvolta in ripetizione, una divagazione grafica di narrazioni in movimento, una sfida manuale ed espressiva concepita per affermare spontaneità e sentimenti senza incorrere in giudizi. Paradossamente, il senso creativo consiste nel bisogno di de-privare di senso alcune figure contemporanee, nel tentativo di riconsegnare le cose alle persone e alla società, così come avvengono e non perché avvengono. E' l'epoca delle interpretazioni, il riassunto di attività stereotipate, dove si fa un gran parlare di esistenze, bisogni e

Ecco

Gran bazar

in Agenda

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conflitti umani, senza però rapportarsi con le persone, senza condurre esperienze insieme, snaturando e oggettivizzando umanità e ambiente. Pertanto, se le emozioni sono espropriate, se le necessità personali sono trascurate, se l'intera storiadella Taranta è stata reinterpretata da fuorvianti iniziative commerciali, ratatile vuole essere espropriazione attiva, espropriazione di arte e di progettualità, in cui la mano e la penna fluiscono istinti e narrano incontri.

Paola Torsello non si definisce un'artista, anzi ne rinnega il termine, sottolineando che in una società dominante impegnata a separare coscienze e unità, nessun uomo può esprimere completamente sé stesso liberamente, tantomeno concedersi l'istinto delle emozioni più profonde senza inciampare in contaminazioni giudicanti, come il bello ed il brutto, il buono e il cattivo... Quindi afferma e sostiene che la creatività appartiene a tutti e che ognuno a suo modo, può essere un inventore di tecniche, di visioni pittoriche, un collezionista di storie.

il banco del Fondo Verri

Racconti del territorio. Luoghi, narrazioni, musica e visioni di poesia” è il titolo dell’ottava edizione di Gran bazar, banco dell’editoria, degli autori e della poesia salentina, quest’anno del presidio del libro di Lecce Fondo Verri per le iniziative di “Artigiana - La casa degli autori” nel programma delle Attività Culturali della regione Puglia. Da venerdì 28 a domenica 30 novembre, torna a Lecce il Gran Bazar, banco dell’editoria, degli autori e della poesia salentina promosso dal Fondo Verri. Un’edizione, l’ottava - completamente indipendente titolata “Racconti del territorio. Luoghi, narrazioni, musica e visioni di poesia”. La rassegna si inscrive nell'esperienza del banco letterario che lo scrittore e operatore culturale salentino Antonio Verri inaugurò con il Caffè Greco e con il Pensionante dè Saraceni negli anni Ottanta. Il banco letterario si proponeva come luogo ideale di scambio, di vendita e di discussione sulla scrittura, sui libri e sul fare autoriale e culturale. Gli autori - con il racconto diretto dei loro lavori - saranno i protagonisti della cinque giorni che avrà luogo negli spazi dell'Associazione Culturale in via Santa Maria del Paradiso 8 a Lecce. Tra gli ospiti: Domenico Mimmo Fazio per un omaggio ai “reportage” di Tommaso Fiore. Salvatore Luperto che presenterà la collezione di opere verbo-visive del Museo di Arte Contemporanea di Matino. Claudio Prima, Giuseppe De Trizio, Fabrizio Piepoli per un recital musicale. Omar Di Monopoli con il suo Aspettati l’inferno, Isbn edizioni. Ernesto Mola e Antonio Passerini che racconteranno il progetto dell’Ecomuseo della Bonifica di Frigole. La poetessa Lara Savoia con i versi dedicati a L’Aquila. Gli autori di Musicaos Edizioni presentati da Luciano Pagano. Antonio Errico con il suo ultimo romanzo La pittora dei demoni edito da Manni. Marco Cavalera e Giuliana Coppola che racconteranno Lucugnano. Salvatore Calafiore con un recital che renderà omaggio all’artista sarda Maria Lai.


spagine

terza di copertina

l’arte di costruire la cittĂ della domenica n°51 - 9 novembre 2014 - anno 2 n.0

Immagini dalla residenza di Maria Teresa Rosa di Castellamonte in provincia di Torino per la ceramica di Laterza


spagine

l’arte di costrire la città

della domenica n°51 - 9 novembre 2014 - anno 2 n.0

Al MARTA “La bellezza esposta” / “Made in Loco, residenze d'artista. Puglia” Una nuova iniziativa del MIBACT

quarta di copertina

Immagini dalla residenza di Giovanni Maffucci di Pistoia per la ceramica di Grottaglie

É

lizzazione di due opere che entreranno a far parte della collezione dei musei delle due città. Le residenze messe a disposizione degli artisti rappresentano un momento di formazione e di confronto anche per l'artista stesso, in quanto legate all'esperienza diretta sul territorio ospitante. Il progetto nasce nel senso della condivisione di reseau (rete) e reso (nel senso di “restituito”), poiché la residenza d'artista è intesa non solo come presenza dell'artista in un preciso contesto, ma è momento formativo e di interscambio tra soggetti e luoghi; èl'occasione in cui relazioni, visioni e valori si creano, intensificano e depositano. Il progetto, finanziato con fondi FESR PUGLIA 2007-2013 (ASSE IV – LINEA 4.2 – “Tutela, valorizzazione e gestione del patrimonio culturale” – Azione 4.2.1 lett. G) – Azioni di valorizzazione integrata dei sistemi e delle reti culturali. Interventi integrati di infrastrutturazione e di promozione dei sistemi e delle reti di beni culturali presenti sul territorio regionale), presenta caratteri di forte novità nel coinvolgimento delle nuove generazioni attraverso l’utilizzo dei social network. La creazione di un logotipo “Made in loco” dedicato alle residenze d’artista in Puglia vuole rappresentare il primo passo per rendere stabile l’iniziativa ed estenderla agli altri comparti al fine di creare un brand Puglia dell’artigianato di tradizione e di eccellenza.

stata presentata presso il MARTA (Museo Archeologico di Taranto) lo scorso 4 novembre una nuova interessante iniziativa della Direzione Regionale del MIBACT (Ministero Beni Attività Culturali e Turismo). Il titolo è “Made in loco Grottaglie & Laterza la ceramica pugliese fra tradizione e innovazione”. Il progetto mira al recupero e innovazione della lavorazione artistico-artigianale dei due centri più importanti dell'area pugliese: Grottaglie e Laterza, città entrambe riconosciute come “centro di antica produzione ceramica” ed inserite nel novero dei 36 centrinazionali tutelati dal marchio CAT per la “ceramica artistica e tradizionale” dall'Associazione Italiana Città della Ceramica (AiCC). L'iniziativa si qualifica come avvio sperimentale di eventi culturali tesi a diventare “stabili”, con collaborazioni istituzionali e di privati, di “residenza d'artista”. Due gli artisti selezionati attraverso un bando pubblico: Giovanni Maffucci di Pistoia per la “residenza” di Grottaglie e Maria Teresa Rosa di Castellamonte (Torino) per Laterza. Durante le “residenze” i due artisti hanno partecipato ad incontri, seminari, laboratori e studio-visit contribuendo a vivificare il rapporto con le nuove generazioni e, soprattutto, con gli allievi dei Licei Artistici dei due Comuni. Gli artisti sono anche entrati in Pagina a cura di Marisa Milella*, rapporto con i “ceramisti di tradizione” Fabio A. Grasso ed entrambi stanno lavorando alla rea- *Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Puglia.


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