Spagine della domenica 53 0

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spagine della domenica n°53 - 23 novembre 2014 - anno 2 n.0

Periodico culturale dell’Associazione Fondo Verri

Un omaggio alla scrittura infinita di F.S. Dòdaro e A. L. Verri


spagine

Non sono razzista ma...

D

iceva Montanelli che gli italiani non possono essere razzisti perché non conoscono il razzismo. Una battuta come tante. Montanelli amava stupire. Se un uomo non può essere ciò che non sa di essere non sarebbe mai compos sui, e dunque mai responsabile di niente. Potrebbe rubare, stuprare, uccidere senza mai risponderne. In verità in Italia, come in ogni parte del mondo, ci sono i razzisti; sono quelli che consapevolmente ritengono esseri da discriminare tutti coloro che non stanno nei loro paradigmi fisici e culturali. Certo, oggi è reato sostenere simili idee e simili convinzioni; e dunque ognuno si guarda bene dal dire: io sono razzista. Ragione per la quale, quando si deve sostenere una qualche discriminazione o intolleranza si premette sempre: io non sono razzista, ma… Verrebbe di rovesciare l’assunto: io sono razzista, ma… Legge a parte, che punisce la stravagante affermazione, in un simile comportamento si deve cogliere la provocazione. Essa vuole solo sostenere che il razzismo non c’entra quando si tratta di rivendicare solo sicurezza, pacifica e ordinata convivenza. I fenomeni di Tor Sapienza a Roma e dell’occupazione di case a Milano e i tanti di degrado diffuso che si verificano in ogni città d’Italia, Lecce compresa, sono fisiologiche reazioni da parte di cittadini che nient’altro chiedono allo Stato se non il rispetto della legge, in ogni sua articolazione. Ho trascorso parte della mia adolescenza a Berna, la città più conservatrice e puritana della Svizzera. In quella città, ma posso dire in tutta la Confederazione Elvetica, Canton Ticino compreso, ogni cittadino è poliziotto di se stesso e ogni poliziotto è cittadino di se stesso. Non c’è bisogno perciò che ad un atto vandalico di un cittadino intervenga il poliziotto, semplicemente perché quando quel cittadino sta per compiere quell’atto interviene subito il poliziotto che è in lui e lo dissuade dal compierlo. Il cittadino-poliziotto svizzero vorrebbe che nel suo paese tutti si comportassero allo stesso modo.

Nella nostra alta Italia succede qualcosa che si somiglia, in misura minore e non nelle stesse forme maniacali. Ricordo una volta a Venezia, percorrevo una calle strettissima che portava da Piazzale Roma a Piazza San Marco. Era un pomeriggio agostano, non c’era anima viva. Procedevo a centro calle. Ad un tratto vedo un vecchietto venire dalla direzione opposta, tutto addossato a destra. Giuntomi ad un metro di distanza mi redarguì con fare imperioso, accompagnando le parole col gesto del braccio e dell’indice della mano, quasi parlasse ad un cane (posso dire ad un cane? è solo per convenzione semantica!): di là, indicandomi la destra. Fu quello un gesto razzista? Non credo affatto, anche se il modo “ancor m’offende”. Qualche anno fa mi trovavo a Pavia. Uscito dalla stazione cercavo L’Hotel Ferrovia, che doveva essere nei paraggi, ma come capita spesso di cercare qualcosa che hai sotto il naso, non lo vedevo. Chiesi allora ad un edicolante di lì vicino: per favore potrebbe indicarmi l’Hotel Ferrovia? Mi rispose sgarbatamente: non lo so. E, alla mia replica, ma come, non sa dov’è l’Hotel Ferrovia?, quello ancor più incazzato e con voce alterata tagliò corto: non lo so e basta. Altro caso, a mio avviso, di pseudorazzismo. Certo, sono gesti odiosi in sé e frutto di un certo disagio sociale. Ma il razzismo è un’altra cosa, che ben conosciamo. Oggi lo vediamo tutti. Le nostre città sono piene di extracomunitari; ed anche i paesi. Il più delle volte sono persone che non danno fastidio, non molestano, al limite diventano petulanti quando ti chiedono di comprare qualcosa. Il problema nasce quando queste persone sono tante e non hanno dove dormire, cosa e come mangiare, dove fare i loro bisogni fisiologici. Ci sono zone, anche a Lecce, poco esposte al pubblico dove questi poveri diavoli quando non ne possono più si calano i pantaloni, si accovacciano e giù quel che hanno dentro da buttare. Spesso i residenti malcapitati, la mattina, si ritrovano vicino alla porta monumenti che il pittore Manzoni qualche anno fa mise in scatola. E’ razzista il malcapitato residente se si arrabbia e minaccia di passare

di Gigi Montonato

a vie di fatto? Via, non diciamo stronzate! E’ un momento di italica invettiva contro l’italico menefottismo della politica e delle istituzioni, che lasciano il cittadino a sbrigarsela da sé. Il problema dell’Italia è talmente invasivo che lo trovi dappertutto, tranne dove i ricchi di denaro e i potenti di politica hanno le loro residenze, i loro ambienti, le loro frequentazioni. C’è dovunque un modo di affrontare anche le problematiche più serie e drammatiche con la solita leggerezza, con l’approssimazione, tanto tutto prima o poi s’aggiusta. Il governo italiano si è vantato in Europa di aver salvato non so quante migliaia di profughi; e ha fatto bene. Ma perché nello stesso tempo non si è preoccupato di dare una sistemazione a questa povera gente, a non far soffrire i residenti di certe zone dove con l’arrivo dei profughi si sono diffusi il degrado, la paura, la violenza? Quando a Roma, a Tor Sapienza, continuamente, anche quelli più determinati a cacciare gli extracomunitari con la forza, dicevano «non siamo razzisti, ma…», andavano creduti e rispettati. I razzisti, i veri, sono quelli che stanno bene, che non hanno fastidi di nessun genere e per ragioni puramente ideologiche – o per ignoranza – discriminano e perseguitano gli altri, i diversi. In Italia ci sono pure razzisti del genere, come in ogni parte del mondo, sono una minoranza e vanno considerati cavie per studi e approfondimenti antropologici. Gli italiani, nella loro stragrande maggioranza, vogliono solo vivere nel decoro e nella sicurezza. Ciò non significa, però, che a furia di creare problemi in questo paese, dove tutto è scaricato sulla povera gente e sulla pazienza e la forza di sopportazione di tanta brava gente, non possa sorgere qualche fenomeno di autentico razzismo. La crisi economica, la sfiducia nelle istituzioni, i tanti clamorosi casi di impotenza della giustizia, le indecenti manifestazioni di cialtronismo diffuso nei gangli delle pubbliche amministrazioni, sono le condizioni che potrebbero portare gli italiani all’esasperazione e a spingerli a cercare negli stranieri, neri o bianchi che siano, i capri espiatori più immediati.


Diario politico

della domenica n°53 - 23 novembre 2014 - anno 2 n.0

I

Sopravvivenze

Ad illustrare una fotografia di Sebastião Salgado

poveri, i sofferenti, i migranti, i senza voce sono obbligati a percorrere la loro vita su selciati sterrati. Vita di stenti, di rinunce, di contrabbando. Vita giocata ai margini. C’è un’umanità silenziosa, drammaticamente esclusa dal connettivo sociale, non riconosciuta, costretta a guadagnarsi l’esistenza con sacrifici immani. Con lacrime e sangue. Le politiche sociali dello Stato e delle varie amministrazioni di centrodestra e di centrosinistra non sempre riescono a sanare le sacche di malcontento. Da sempre, in Italia, un’opera sussidiaria, di sostegno e di aiuto concreto, è svolta dalla Chiesa cattolica, che sa accogliere i più bisognosi. Ma al cospetto del povero, dell’indigente, nell’odierna società dell’apparire, può succedere che qualcuno provi addirittura fastidio. A Milano, all’approssimarsi dell’Expo, la Caritas sta portando avanti un’iniziativa, alfine di approntare una mensa per i poveri e per i migranti. Un refettorio innovativo, che però scontenta alcune anime belle. Recentemente, un gruppo di esponenti locali di Forza Italia e di Lega Nord, di militanti agguerriti, ha protestato vibratamente contro tale progetto. Evidentemente, ognuno ha la sua idea precipua di solidarietà, di bellezza, di civile decoro. La povertà non è una vergogna, semmai è uno scandalo di cui responsabile primaria è la civiltà del benessere e l’incapacità della politica dominante di porre rimedio. E, comunque, la povertà è un dato di fatto, su cui intervenire. Tenendo magari conto delle parole del cardinale Angelo Scola: “Bisogna che tutti insieme ci decidiamo a mettere in primo piano il bene comune, dal momento che dobbiamo vivere insieme anche con gli immigrati che arrivano”. Capita, però, che sovente il “bene comune” venga clamorosamente disatteso e malinteso, oppure sia solo un esercizio retorico, ostentato ampiamente e malamente da certuni politici nei salotti televisivi di prima e seconda serata. Marcello Buttazzo


Amare la vita

spagine

Contemporanea

della domenica n°53 - 23 novembre 2014 - anno 2 n.0

M

ina Welby, co-presidente dell’Associazione Luca Coscioni, da tempo sostiene che “sulla malattia, il dolore e la morte, tutti dovrebbero cercare quello che unisce, non quello che divide”. Il “fine vita” è una terra che esige delicatezza. Sospendere le cure mediche, in certuni casi, ad un familiare, dopo infinite tribolazioni, potrebbe essere una scelta sofferta, scelta d’amore. Di libertà, se avviene secondo certi amorevoli criteri. L’Italia è un Paese strano: da noi non solo si ha paura di legalizzare l’eutanasia e il testamento biologico, ma c’è chi prova anche “fastidio” a trattare questo argomento, a sentire evocare certe istanze. Soprattutto, l’attuale governo del prode Renzi ha rimosso, per il momento, le tematiche eticamente sensibili. Anni fa, la situazione era ancora più drammatica. L’ultimo governo Berlusconi, coadiuvato dall’inossidabile “partito della vita”, aveva la pretesa di voler confezionare una normativa sulle Dichiarazioni anticipate di trattamento chiaramente illiberale, antiscientifica, forse anticostituzionale, che si impossessava violentemente del corpo dei cittadini. Invece, Renzi e compagnia preferiscono non inoltrarsi lungo “chine perigliose”. Del resto, l’attuale maggioranza è un ibrido che comprende un po’di tutto ( dai laici ai cattolici, dai devoti ai devotissimi). C’è ben poco da aspettarsi dai Fioroni, dai Lupi, dai Quagliariello, dalle Roccella, dai Giovanardi, che da sempre professano fedeltà operosa, elettoralmente remunerativa, ai cosiddetti valori “non negoziabili”. Eppure, dalle statistiche, emerge che una parte rilevante della cittadinanza vorrebbe affrontare con consapevolezza discussione mature sul “fine vita”. Eppure, in Parlamento, giacciono inascoltate migliaia e migliaia di firme di italiani, che vorrebbero opportune leggi sulla “dolce morte” e sul testamento biologico. Il “fine vita” è materia che appartiene a tutti, perché definisce i nostri inesorabili destini. Quando i Radicali con varie iniziative tentano di sollevare culturalmente la problematica, vengono duramente criticati dai paladini del “moralmente corretto”. Come se l’eutanasia non fosse minimamente sentita dalla gente comune, come se clandestinamente mani pietose non decidessero quotidianamente di sospendere a malati terminali terapie mediche ormai inutili e invasive. “La vita è sacra e inviolabile”, è un assunto cattolico rispettabilissimo, ma non può avere un valore assoluto. Non si può pensare di imporre coercitivamente una filosofia precipua a chi imposta la propria esistenza secondo altri canoni.

di Marcello Buttazzo

“La vita può talvolta diventare disponibile”, è un principio laico egualmente valido, che dà significato a tante esistenze. Oggi il premier Renzi è latitante, ma ai tempi di Berlusconi lo scontro bioetico era all’ordine del giorno. La sua frenetica squadra di oltranzisti della vita ad ogni costo con il ddl. Calabrò ci voleva ammannire il sondino di stato. Una legge davvero disumana ( per fortuna non andata in porto), perché espropriava la gente della libertà di scelta. La medicina tecnologica può essere provvidenziale, ma può anche diventare invasiva. I coraggiosi del Popolo delle libertà volevano propinarci la vita artificiale. In quei giorni, l’oncologo Umberto Veronesi scrisse: “La gente è molto più consapevole, cosciente e pronta all’autodeterminazione di quanto si possa pensare ed è a favore del testamento biologico come strumento di espressione di volontà popolare”. Fra la comunità, è sentito il desiderio di condurre una accettabile vita di relazione; è avvertita, altresì, la possibilità di poter eventualmente gestire la malattia, anche la più tormentosa, con l’aiuto dei familiari e delle persone care. Il “fine vita” vuole dolcezza, amore. Si comprende, altresì, che alcune definizioni siano artificiose e costruite ad arte: davvero, da una parte, ci sono i cosiddetti paladini della vita?; e, dall’altra, i fautori d’un supposto nichilismo morale? Quanto falsi sono gli intendimenti di chi vuole

dividere l’opinione pubblica. Il bipolarismo etico, a volte, appare più che altro come una modalità di rappresentazione a cui ricorrono determinati politici, che si servono della biopolitica per rinsaldare il loro dominio. Il principio della sacralità della vita umana, talvolta, viene inopportunamente sventagliato come una clava per atterrare l’avversario: come dire, “noi siamo i virtuosi”; “voi siete i perduti”. Ma il registro da seguire non è quello della contrapposizione, ma quello della comprensione. La vita e la morte: ad esse bisogna guardare con spirito che unisce, che affratella, con animo carezzevole. In “Lasciatemi morire” Piergiorgio Welby scriveva: “la vita è relazione, parola, ricerca dell’altro con l’altro, la vita è una ricerca ininterrotta di impossibili e possibili. La vita, per molti, non può essere la respirazione e le pulsazioni cardiache”. Lo Stato dovrebbe entrare nelle nostre intime esistenze in punta di piedi, con pronunciamenti morbidi, lineari, rispettosi sempre del pluralismo etico. Affermare in modo inappellabile che la vita sia sempre e comunque sacra e inviolabile può apparire una forzatura. Amare la vita non vuol dire perpetrare ad oltranza stati fisiologici, funzioni biologiche. Lo Stato non dovrebbe esercitare una sorta di controllo rigoroso sulle donne e sugli uomini, non dovrebbe mai abbattere il sacrosanto principio di autodeterminazione. Ad illustrare una fotografia di Robert Mapplethorpe, White Gauze, 1984


felici Tutti devono essere spagine

illegalità

della domenica n°53 - 23 novembre 2014 - anno 2 n.0

di Gianni Ferraris

L

’operazione antimafia del Procuratore Cataldo Motta e dei PM leccesi ha portato a 26 arresti all’alba del 11 novembre 2014. Dentro ci sono affari di droga, calcio, politica, appalti. Di tutto un po’. I clan sono il De Tomasi e il Pellegrino, i luoghi sono Squinzano, Copertino ed altre località. Nelle cronache dei giornali del 12 novembre si trova la storia di questi arresti, i capi di imputazione e lo stato delle indagini. Sotto inchiesta anche l’ex sindaco di Squinzano Giovanni Marra e Fernanda Metrangolo, attuale presidente del consiglio. Ed esistono anche indagini su frequentazioni della moglie e della figlia del boss De Tommasi, nel comitato elettorale di un assessore al comune di Lecce, Gaetano Messuti, nella speranza di trovare un posto di lavoro (sic). Uno degli snodi principi della questione sta proprio nell’intreccio fra politica ad ogni livello e malavita. Chi controlla i voti? Come li gestisce? Quanto costano in appalti e corruzione? L’estrema disinvoltura con cui alcuni politici nazionali trattano processi come quello di Dell’Utri condannato in via definitiva per mafia, e del suo datore di lavoro che dai servizi sociali decide come cambiare la Costituzione, la dicono lunga sulla deriva pericolosissima che ha preso la Democrazia in Italia. Sembra palesarsi quello che Falcone e Borsellino denunciarono tempo addietro, quando dicevano che la mafia si deve sconfiggere a Roma prima di tutto. Ma restiamo nel Salento, qui la sacra corona unita ha mutato strategia, dal terrore è passata ora a crearsi consenso sociale dal basso. Prestiti concessi non a usura, spesso a fondo perduto, veri e propri aiuti a chi ha necessità, creano consenso. Il caso emblematico di Giovanni Mazzotta di Monteroni detto “Gianni Conad” per la scelta di riciclare in supermercati i proventi di malaffare, insegna. Quando venne arrestato i suoi sette supermercati vennero gestiti da un commissaro di nomina prefetizia. Dovette chiuderli perché le attività erano in perdita netta. Banal-

mente Gianni “Conad” riciclava denaro sporco e non pagava i contributi assumendo solo in nero. Entrando nella legalità quell’economia diventava insostenibile in spregio alle norme della corretta concorrenza e alle leggi. Alla dichiarazione di fallimento più di un dipendente disse “la mafia ci dà lavoro, lo Stato ce lo toglie”. A Squinzano, diventato centro caldissimo di malavita, venne arrestato un boss, la gente scese in strada alle tre di mattino a portare solidarietà. Era un “benefattore”. Un altro mafioso venne scarcerato per decorrenza di termini e venne accolto da una batteria di fuochi d’artificio. Tutti segnali che dovrebbero essere inquietanti, ma che sono, ahinoi, quotidianità. Così agisce la scu oggi, creandosi consenso. “Squinzano deve essere un paese pulito e a posto, tutti devono essere felici” è stato detto in un’intercettazione fra un boss squinzanese ed altra persona. Infatti anche la bisca clandestina venne dirottata si Trepuzzi. E il consenso si ottiene anche (se non soprattutto) con il calcio. Le mani della malavita sul calcio salentino sono ormai cosa nota, si ricordano pregiudicati fra gli steward delle squadre. Avere una squadra come lo Squinzano, farle vincere il campionato non badando a spese, significa ottenere ampio consenso sociale. Ma significa anche avere un ottimo strumento per riciclare denaro sporco e avvicinarsi al calcio scommesse e gestire, magari, vittorie e sconfitte attraverso le sale scommesse legalizzate da uno Stato accattone ed incapace. Da quando l’etica si è scissa dalla politica tutto sembra sfarinarsi, quando un sindaco è colluso, un assessore ottiene voti in modo strano, allora tutto è possibile, e tutto diventa difficile per chi agisce nella legalità, il manto nero delle mafie sta ricoprendo la società intera. Rilanciare legalità è più che mai indispensabile. In periodi di crisi come quello attuale e nella latitanza della politica tutto diventa facile per i malavitosi e invivibile per gli onesti.


Come può essere interpretato questo fallimento? Lutto della Cultura? Non c’è nessuno di più distante dalla cultura da questi sedicenti scrittori d’oggi, paradossalmente intraprendenti. Esibiscono la morte della Letteratura, l’occasione tripudiante di tutte le anime morte di scribacchini, per celebrare un auto-riconoscimento, un ergo sum di massa. La cultura è così dimenticata, dimentica di sé stessa, meglio ancora ignorata. E’ promessa solo ai funerali. E gli avvenenti scrivani consegnano un cadavere in pubblico per meritare la dimenticanza. Nicolas Gomez Davila diceva che “il fine della cultura è la lucidità”. Invece la gente è ingannata dagli scritti sprecati, che vanno a scongiurare che qualcosa accada veramente, consegnando le Lettere a inetti. Forse nel loro ignoto lo fanno apposta a leggere libri molto risicati. Purtroppo, il facile accesso alla Letteratura ha degradato la Cultura. Come “l’abuso d’informazione ha dilatato l’ignoranza con l’illusione d’azzerarla.” La Scrittura è diventata un servizio sociale, da confondere al pluralismo d’accatto di questo pattume artistico e letterario. L’equivalente di una folla affastellata che pretende di dare visibilità e dicibilità a qualcosa che ad essa resta invisibile ed indicibile e secretata, rincorrendo inutili record editoriali. Un collage di massa. Una gara al massacro.

Librerie pronte ad ospitare i sacrestani della parola scritta e i loro testi insolenti, che orinano nelle strade delle editorie a pagamento. Accademie di Belle Arti costrette a sostenere donne isteriche urlanti per declamare passi di romanzi deludenti. Contenitori culturali, spesso vuoti, si riempiono ogni tanto di niente, avvalendosi di letture evanescenti. Ex Conventi condannati dai codici delle tirature odierne a subire le strane voglie di scrittori avvilenti, atti solo a dimenar per l’aia le falle allucinanti delle loro astruse rime. E a favorire e sollevare le ottuse genti. Oh! Rimpiango un tempo, in cui i Conventi eran Conventi; le Accademie delle belle Arti eran per l’Arte; le Lettere eran per pochi e grandiosi scrittori, e la loro Scrittura era

pensamenti

della

della domenica n°53 - 23 novembre 2014 - anno 2 n.0

volta a tutti. Ora son tutti a scrivere, senza colpire nessuno; oggi, i tanti trasmettono solo il vuoto che hanno dentro. Dilettanti allo sbaraglio, che non hanno letto neanche tanto, intraprendono il mestiere forti d’entusiasmo che arrecherà solo danno alla Sapienza. Come se a tanta indecenza non provvedesse già la vita tout-court. Pallidi, pallidi avventurieri profittano del momento stanco a cui siam giunti. Occupano il vuoto e di colpo si nutrono di parole, van blaterando, mai stanchi; da dentro le loro piccionaie evacuano fogli colorati che riempiono ormai le librerie domate. Futili amministratori della parola, ragionieri dello scritto ornato, avanzi di scrivani a piede libero… son tutti appostati, l’incontri dietro l’angolo d’ogni strada, ogni sera: nei caffè, nei locali, sui davanzali, nelle osterie, bar e vinerie, ovunque ci son presentazioni, persino dentro i cessi. Commettono l’errore di sciorinare il loro atto. Dipanando tutta la loro venerazione alle Lettere corredano l’ambiente; giustificando così la loro azione pubblica. Nulla fu mai funesto alla Letteratura quanto la loro esibizione! Per realizzarsi, i sedicenti autori si travestono di tutt’altro, degenerando in ‘ibridi’. Esenti da se stessi, assenti da se stessi, per poter contravvenire alla Scrittura, scomponendola così a pieno, cioè a vuoto. Quindi muore la Lettura, con questi misfatti. Perciò loro non sono autori di un bel niente! Ecco instaurata l’ipocrita situazione odierna: mediocri che leggono libri mediocri. Altrimenti alla mediocrità chi ci pensa? E’ la pratica dell’imbroglio mediatico, autoreferenziale. In questo modo, non essendoci autori di nessuna opera che conta, producono solo carta straccia. Non si può essere più autori, non si può dare più opera d’Arte. Non resta che infischiarsene! Eludere i comportamenti dello ‘scrivere’ odierno, che si adegua alla volgarità del mercato… Fino alla più sciagurata conseguenza: abdicare alle Lettere e alle Arti.

Letteratura

Santi che pagano il mio pranzo non ce n’è” […]. Vi è invece una massa sciocca e sciancata che si ostina a scrivere. “Quattro chiodi fanno una croce” – diceva Cesare Pavese. Ma quando i chiodi sono una serie infinita diventano zero. Scrivono in tanti per non contare nulla. “Così come si accede a Internet per saperne sempre di meno”.

In morte

spagine

E pensare che una volta… abbiamo perseguito assai devotamente la beatissima grazia della Scrittura! Ora sogno solo i Conventi, i Teatri, le Arti, le Scritture, i Conservatori, le Accademie, i librai… di un tempo. Oggi solo il sogno mi tocca di sognare… piuttosto che intrattenermi con questo fortuito quotidiano del millantato credito in maschera; soggetto a subire milioni di imbecilli. E vorrei soprattutto dormire, sperando che essi tutti siano svaniti al mio risveglio o dimessi dallo scrivere, altro che simulare. La Letteratura non esiste oggi, esistono solo i deliri di un linguaggio errante, che nomina parole senza conoscerle. Perciò preferisco far ritorno ai Santi.

Antonio Zoretti


L’abecedario di Gianluca Costantini e

della domenica n°52 - 16 novembre 2014 - anno 2 n.0

Maira Marzioni Bicchieri

Boccheggiavano i bicchieri brindavano alla barba brada alla boria boriosa dei briosi Basta bastavano i bicchieri a badarmi A me ballavano i baveri di bambino buttavo i bisogni in basso per capire come campare Coi calli sul cuore e le cadute cucite cocciuta cornice.


Difendiam

spagine

I

l’olio

l 12% dell’olio di oliva vale la ricchezza persa nel 2014 dai pugliesi. L’olio d’oliva è italiano conosciuto ed apprezzato in tutto il mondo e rischia il suicidio a causa dei trasformatori scorretti. L’Italia vanta il 18% della produzione di olio d’oliva, il 12% la Puglia. L’olio d’oliva è alla base della sana alimentazione. Tutti riconoscono i suoi vantaggi nel gusto, i suoi benefici nella salute: la dieta mediterranea, riconosce e tutela nell’olio d’oliva il bene dell’olio come valore dell’Unesco è questa la prova più evidente dei suoi molti pregi apprezzati in tutti i Paesi del mondo. L’olio italiano, il bene prezioso per la salute, strategico per l’alimentazione, è il prodotto più sofisticato dalle imprese di trasformazione con gravi danni verso i consumatori e facili guadagni verso gli imprenditori senza scrupoli. L’Italia è la prima produttrice nel mondo di olio d’oliva, ma l’Italia è anche la prima importatrice. Il grave problema dell’olio sofisticato nasce quindi proprio nel nostro Paese. La politica è nel cucchiaio che mettiamo in bocca per tenere in vita il nostro corpo, soltanto molti politici con la test di cartone, magari eletti nel Sud non si sono accorti e non hanno fatto nessuna battaglia per difendere l’oro verde. I nostri Eletti non sono stati capaci di fare una legge di tutela e di promozione delle piantagioni e delle campagne rurali. Gli ulivi secolari sono stati abbandonati senza più raccogliere le olive perché poco competitive e difficile da fare. Per molti anni i giganti della terra sono stati buoni per il premio di integrazione ad albero ora sono gravemente malati colpiti dalla xylella fastidiosa perché abbandonati la mosca poi ha colpito ed è stata devastante: i contadini hanno perso più del 40% del raccolto e i

economia e futuro

della domenica n°53 - 23 novembre 2014 - anno 2 n.0

di Luigi Mangia

frantoi sono rimasi fermi, chiusi. I pugliesi hanno subito ed hanno perso la ricchezza del loro lavoro. Questa crisi premierà nei supermercati i trasformatori scorretti perché sarà più facile per loro vendere l’olio cattivo in bottiglia negli scaffali della grande distribuzione. L’Italia non è stata capace di imporre l’etichetta chiara sulla bottiglia a tutela del consumatore. Bisogna fare ancora tanta lotta, anche in Europa, per avere un’etichetta chiara narrativa sulla bottiglia come garanzia del consumatore, dove trovare indicazioni sul paesaggio della pianta; sulla qualità del terreno, sulle tecniche di coltivazione e cura delle piante d’ulivo; sulle modalità della raccolta delle olive, del tipo di frantoio usato dell’imbottigliamento; una breve storia del profilo dell’azienda produttrice e infine indicazioni del sito. L’etichetta narrata dell’olio può diventare l’atlante del turismo culturale di qualità che il Salento e la Puglia possono spendere con grande successo. La partita dell’olio va giocata con intelligenza e con le capacità d saper utilizzare le tecnologie nelle nuove forme di mercato come la vendita in rete. Attraverso l’etichetta narrata il consumatore con il suo i-phone può conoscere la storia la qualità le caratteristiche del prodotto che vuole acquistare attraverso la rete o di persona recandosi nell’azienda: è questa la nuova moda di quel turista che ama visitare i luoghi e conoscere i volti del produttore dal quale intende comprare. Per cambiare passo abbiamo bisogno dei talenti della nostra terra e di tanta intelligenza ma anche di liberarci dalle teste di cartone che non hanno saputo interpretare il cambiamento perdendo imperdonabilmente solo tanta ricchezza.


della scuola Alla guerra pensamenti

della domenica n°53 - 23 novembre 2014 - anno 2 n.0

spagine

D

avvero non vorrei trovarmi nei panni di questa ragazzina dell'appartamento a fianco. Le sue urla trapanano muri orecchie stomaco fino ad infuocare le più celestiali immagini mulinobianchesche di famiglie felici e serene. Bambini oppositivi, bambini iperattivi, bambini svogliati, bambini ribelli, bambini che dicono e pensano ODIO LA SCUOLA. Io vorrei non dire niente e fare solo dei disegnini, colorandoli non uscirei dai margini, perché questa è una storia dura marmorea e senza sbavature, come i muri di stanze strette che costringono due o più decine di bambini in pochi metri quadrati. Italia, ventunesimo secolo. Non due o tre bambini, due o più decine. Ve la ricordate la storia e la differenza tra decine e unità? E ve la ricordate la storia di corridoi lunghi con finestre a misura di adulto e giardini impraticabili o inesistenti? Giardini censurati, inesplorati. Giardini e occhi dal vetro. Giardini evitati come i vampiri la luce. Ho visto bambini che dovevano trovare un modo per non farsi straziare da 4 o 5 ore di immobilità, di ascolto continuo, di tristissime e inefficaci variazioni didattiche sul tema “Programma da svolgere entro tale data o verifiche da somministrare come medicine entro un'altra data”. Bambini in una stanza piccola, brutta, grigia che dà su strade trafficatissime e inquinatissime, accanto a bagni tutt'altro che profumati. Ho visto lavagne rigatissime inutilizzabili su cui non si poteva scrivere, su cui il gessetto slittava e fare un disegno o scrivere con una bella calligrafia era impossibile, lavagne scambiate di nascosto, da un'aula a un'altra, uno schifo di lavagna scambiata con un'altra lavagna un po' meno schifosa. In questo ambiente c'erano eserciti di bambini che avrebbero fatto volentieri guerra agli adulti e in primis agli insegnanti. Insegnanti visti come carcerieri che hanno pieno arbitrio sulle loro vite almeno per tutta la mattinata. E anche di più. Forse fino a notte fonda se sono insegnanti ligie al dovere e per farsi dire brave dai

genitori e dal dirigente (aziendale?) dimostrano quanto sono efficienti capaci operative dando compiti per casa ogni giorno. Quanto gli stia a cuore far marciare gli alunni anche a costo di far marcire i bambini. Ma qui, di là dal muro, la ragazzina urla, sbraita, maledice i genitori gli insegnanti la scuola, mentre la madre risponde con lo stesso volume, DEVI RISPONDERE ANCHE ALLE DOMANDE DI GEOGRAFIA!!! MUOVITI ALTRIMENTI TI MANDO AL DOPOSCUOLA! Pianti e urla orribili. Ma dove siamo, signori miei, dove? È una guerra? Sicuri che non siamo noi i primi ad ostacolare il processo di raggiungimento di serenità e autonomia dei nostri figli o alunni? Lo so, e questo è il peggio, soprattutto gli insegnanti sono vittime di un sistema torvo insensibile, inattuale, inadeguato. Capace di marciare coi parametri educativi europei solo per quanto riguarda l'ossessionante inglese, per il resto deserto, nisba, nada. È un sistema ORMAI tutto orientato a far bella mostra di sé per amore di ISCRIZIONI. Sì iscrizioni. Perché la scuola è un'azienda e più iscritti ci sono meglio funziona e più finanziamenti arrivano. Il resto è secondario. La gioia dei bambini è secondaria. Ed è secondaria pure la frustrazione e la mortificazione degli insegnanti che vorrebbero fare e fanno di più ma in condizioni difficili. Ho detto che non volevo parlare. Ma non sono brava a disegnare. Immaginatevi allora un disegno: una scuola-saracinesca, una specie di garage. Chiedetelo a Gianluca, zona 167, Sud Italia. Una delle poche cose che ricorda della scuola elementare è il rumore ferroso della saracinesca aperta dal bidello prima del suono del campanello. Si ricorda di un garage. Non credo ci fossero colori. Credo sia inutile chiederglielo. Magari si arrabbia pure. Allora disegnerò una scuola-garage, bianca e grigia. Con saracinesca. La scuola di Gianluca e di altri, troppi bambini. Una scuola che non profuma ammesso che non puzzi. Una scuola non proprio tanto pulita in cui tutto sembra favorire meccanismi attraverso cui si diventerà adulti capaci di dire signorssìsignore e adempiere ai dickat della

di Ilaria Seclì

nostra venerabile società che sforna adulti il cui unico panorama e interlocutore è lo smartphone. Centinaia e centinaia di occhi che ignorano cielo sole mare montagne eccetera, per darsi in pasto a un'offesa. L'offesa che il capitalismo continua a perpetrare nei confronti di quelle che dovevano essere vite e sono solo stanche esistenze vinte. Poi disegno bambini immobili, per ore su una sedia. Bambini che pregano perché in certe scuole accade ancora. Poi disegno bambini non cattolici che il giorno prima delle vacanze di natale vengono invitati a restare a casa perché tutti gli altri bambini devono fare la recita su Gesù bambino Giuseppe e Maria. E poi disegno un'aula magna incapace di contenere centinaia di bambini e genitori con cellulari riprendenti lo spettacolo e bambini più piccoli che piangono disperati perchè non sopportano tutti quegli schiamazzi e voci e urla in uno spazio così piccolo che se vengono i gendarmi ci arrestano tutti. Disegno poi la preside e le maestre mentre discutono e programmano per ore e ore e ore le attività per una scuola che non piace ai bambini. Una scuola che non è libera, una scuola-caserma, una scuola triste con insegnanti tristi e alunni ingestibili perchè scontenti. Fatta eccezione per certe scuole, ad esempio quella in cui ho lavorato per anni. Per molti bambini l'arrivo delle vacanze era, come quello del week-end, una tragedia. Preferivano venire a scuola. Allora faccio un altro disegno. Disegno quella scuola. La coloro di giallo perchè è gialla. Bellissima. Disegno un grande giardino perché c'è un grande giardino. Disegno tanti alberi, alberi forti e grandi, e cespugli e erba, perché veramente ci sono gli alberi, i cespugli e l'erba. Poi ci disegno tanti bambini che giocano insieme allegri e spensierati. Poi disegno quelli che leggono appoggiati alle radici del grande albero. Poi disegno il giardino innevato quando viene l'inverno e cade la neve e, insieme ai bambini, le insegnanti giocano a lanciare palle di neve. Poi faccio un disegno di bambini felici.


spagine

del futuro

D

a qualche giorno compaiono nei nostri paesi dei manifesti giganti firmati Telenorba nei quali la nota emittente televisiva pugliese pubblicizza il nuovo palinsesto e l’offerta dei programmi. Pur essendo molto conosciuta, nel nostro territorio salentino, questa televisione non è stata mai troppo popolare per via della sua vera o presunta “baricentricità”. Occorre dire che da qualche anno la televisione, che ha sede a Conversano, ha superato questo gap con la nascita delle redazioni giornalistiche locali nelle varie città dell’ampio territorio sovra regionale in cui trasmette. Ma molti anni fa non era così.

Al tempo di Paolo Vincenti

carsi insieme a mia madre. Ma io, fingendo di cadere presto fra le braccia di Morfeo, in realtà detestato come il peggior villain dei fumetti dell’ Uomo Ragno, attendevo che mio padre si appisolasse e, al suo primo ronfare, sgattaiolavo via dalla camera da letto, mi portavo nel soggiorno e accendevo la tv col volume al minimo per non farmi scoprire. E così seguivo le avventure dei miei robot umanoidi. Andando ancora più indietro nel tempo, ricordo che, durante l’inverno - frequentavo la quarta o la quinta elementare-, mi alzavo la mattina presto, quando il resto della famiglia era immerso nell’ultimo sonno e in casa regnava una calma assoluta, accendevo la tv (manualmente, ché il telecomando doveva ancora venire), e mi sintonizzavo proprio su Telenorba. Alle 6.30 cominciava la programmazione con il segnale di inizio trasmissioni. Poi, il jingle della concessionaria di pubblicità Fono.Vi.Pi. Bellissimo il filmato in cui, nel mezzo di un paesaggio a colori un po’ naif, in un vallone verde con poche casette simili a quelle delle fiabe, un corso di fiume e un bel cielo blu nel quale splendeva un simpatico sole, spuntavano dal nulla tante altre case che riempivano all’inverosimile il locus amoenus rendendolo una giungla di cemento, prefigurazione, credo, nei sogni a più cifre del patron della tv, Ingegner Montrone, dei lauti proventi che sarebbero derivati dalla speculazione edilizia a cui guardavano i nostrani palazzinari, emuli del più grande e intraprendente palazzinaro d’italia, ovvero il Cavalier B. Nel filmato, una voce fuori campo recitava: “Questo è quanto succede ancora in molte zone della Puglia e della Basilicata (e qui il sole si oscurava e giù scrosci di pioggia torrenziale): niente. La mancanza di occupazione per tutti è un problema che Telenorba sta affrontando con successo. Se vuoi andare avanti anche tu (e a questo punto ritornava il sereno), scegli Telenorba, è un investimento vincente”. Dopo questo filmato veniva trasmesso uno dei miei telefilm preferiti: Buch Rogers, serie di fantascienza che trasportava la mia fantasia bambina fra astronavi e pianeti sconosciuti, galassie e asteroidi, in cerca del Futuro.

Ricordo, ai tempi del Liceo, in una classe in cui tutti i miei amici facevano il tifo per la squadra del Lecce (c’era stata la prima storica promozione della squadra in serie A, nel 1985), gli strali lanciati dai miei compagni all’indirizzo della suddetta televisione, accusata di partigianeria e faziosità a favore della squadra barese. Io, che grande appassionato di calcio non sono mai stato e che per spirito di contraddizione non ho mai amato cantare nel coro, accoglievo quelle rimostranze con finta partecipazione ma tiepida adesione. Per me infatti, Telenorba significava ben altro. Prima di tutto, i cartoni animati: quei meravigliosi manga giapponesi, come Geeg robot d’acciaio, Gundam, Jetta Robot, Kyashan, che, fra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta (le tv della Fininvest lanciavano ancora soltanto i primi vagiti), Telenorba trasmetteva nei caldi e assolati pomeriggi estivi della mia infanzia. Io allora ero del tutto immune ( e lo sono rimasto) da quel sopore che intorpidisce le membra di chi lavora fin dalla mattina presto e ama concedersi un rilassante sonnellino pomeridiano, che per l’italiano medio rappresenta un must, come il caffè che viene dopo. Venivo però costretto a coricarmi nel letto matrimoniale insieme a mio padre, onde facilitarmi il negletto assopimento e sbarrarmi nel con- Che il futuro poi, quello con la f minuscola, sarebbe stato meno “fantempo eventuali vie di fuga, così come a mia sorella toccava cori- tastico” non potevo sapere allora, ma questa è un’altra storia. Tele-


l’osceno del villaggio

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norba per me è stato anche altro. Qualche anno più tardi, quando vivevo i pruriti della pubertà, la tv trasmetteva a notte inoltrata ( in terza serata, come si direbbe oggi) i primi filmetti pornografici (dei porno soft o degli erotici più spinti), antesignana di tutte le altre televisioni locali private che di lì a poco avrebbero trasmesso filmati pornografici, porno televendite e hot lines a go gò, animando le libidinose notti del maschio italico. In seguito, una direttiva dell’Autority del 2007 avrebbe vietato 24 ore su 24 ogni forma di pornografia nelle televisioni in chiaro. E come dimenticare, sempre in terza serata, la mitica trasmissione “Colpo grosso”, sexi game condotto da Umberto Smaila, con le procaci “ragazze cin cin”? Un profluvio di sederi, gambe e seni in bella evidenza fra i lustrini e le paillettes di una scenografia trionfo di un kitsh tutto anni Ottanta. Telenorba è stato questo ed anche altro. Pensiamo ai primi Toti e Tata che esprimevano il loro talento comico nella trasmissione satirica “Il Polpo”.

Ed è su Telenorba che hanno mosso i primi passi tanti comici, come il campione d’incassi Checco Zalone, presentatori, giornalisti, oggi alla ribalta nazionale. Questa tv era anche il regno delle telenovelas argentine e brasiliane e nel primo pomeriggio di quegli anni si trasformava per l’occasione in una valle di lacrime : quelle versate dalle massaie come mia madre che a quell’ora, fra l’acciottolio dei piatti e il rumore delle prime aspirapolveri, seguivano le svenevoli avventure sentimentali di “Cuore Selvaggio”, “Anche i ricchi piangono”, ecc. Il gruppo Norba dunque aveva capito fin da allora l’importanza delle cosiddette “casalinghe di Voghera” (anche se si è in Puglia), definizione infelice e sciovinista con cui oggi i massmediologi indicano il pubblico medio delle tv commerciali .

Delle altre televisioni locali, fiorite fra gli anni Ottanta e i Novanta, non conservo molti ricordi, se non dei loro nomi: oltre a Teledue , che è poi entrata nel gruppo di Telenorba, potrei citare Tele Salento (poi passata a Telerama), la racalina Top Video, L’Atv di Cavallino, Tele Terra D’Otranto (poi Canale 8), la ostunese Teleradiocittàbianca, la casaranese TeleSud (vera meteora nell’etere salentino),

Tele Libera Maglie, e naturalmente Tele Lecce Barbano, la prima emittente privata salentina nata nel 1975. Molto spesso queste non erano visibili nel mio paese Ruffano, per via di una cattiva ricezione del segnale (“c’è riso” diceva mia madre riferendosi a quella nebbiolina, simile appunto ad un riso fino, o a ghiaietta, che compariva sullo schermo in mancanza di segnale). Eppure proprio negli anni Ottanta venne potenziato il segnale con l’installazione di un enorme ripetitore televisivo sulla collina di Parabita. Come scordare, a questo proposito, le battaglie portate avanti dai primi sparuti drappelli di ambientalisti salentini e fra questi il mio docente di storia e filosofia del Liceo, Giovanni Seclì? l professor Seclì, all’epoca anche esponente politico del partito della Democrazia Proletaria (che si sarebbe poi sciolta nel PCI) inscenava plateali manifestazioni di protesta a vantaggio della salubrità dell’aria salentina messa così duramente a repentaglio da Bim Bum Bam , Telemike e La ruota della Fortuna. Non potevo immaginare allora che, mutatis mutandis, oggi,per i suddetti ambientalisti, nemici della salubrità dell’aria e della nostra salute, al posto dei ripetitori televisivi o telefonici, sarebbero stati le centrali a biomasse e gli impianti eolici. E magari domani lo diventeranno i voli spaziali! Di Telelecce Barbano, dicevo, che poi sarebbe confluita nel circuito di Rete A, non ho una esperienza diretta da spettatore, ma so di questa emittente e del suo fondatore Adriano Barbano, dalle informazioni prese in rete o dalla lettura di qualche saggio. Ritornando a Telenorba che oggi comprende oltre alle due tv generaliste Tn7 e Tn8, anche una tv all news (tg norba 24) e una radio, il video promozionale della concessionaria di pubblicità Fono Vi.Pi., trasmesso in quei lontani anni della mia infanzia adolescenza, aveva una musichetta molto orecchiabile che ricordo ancora. E al di là delle riflessioni sociologiche, specie sulla deriva culturale che questo paese avrebbe intrapreso a causa delle televisioni commerciali, al di là delle visioni obbligatoriamente politiche o peggio ideologiche sull’argomento (che noia, amici bacchettoni e moralizzatori di destra e di sinistra!), quando io dico Telenorba, penso ancora a quella musichetta sedimentata nella memoria.


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Nel limbo di città studi

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Simona Toma "Un bacio dall'altra parte del mare" da Giunti

C

aterina Vitale, la figlia dell'avvocato, va a Bologna, nella città dotta a studiare giurisprudenza; con lei il fido amico Ettore e il pesce canebagnato. Si parte in treno, ed ecco la stazione, i "mi raccomando" e i "non vi preoccupate" e, d'incanto, Lecce ormai è inesorabilmente il passato, il binario, l’andare verso il futuro. Così è per Caterina, così è per i suoi coetanei di tutti i tempi, quelli che a un certo punto della loro vita son diventati "fuori sede". La lingua "filmica" di Simona Toma accoglie e soprattutto muove il romanzo di un'iniziazione. C'è un amore, ma molto, molto altro nelle pagine di "Un bacio dall'altra parte del mare" seconda prova narrativa di Simona Toma. È l'aria della Bologna degli studenti quella che si respira, presente, viva a chi, quell'aria, l'ha vissuta mischiata alla vita... Un libro realistico, credibile, pieno di folgorazioni come lampi che all'intimo svelano il sentire della "giovinezza" in una città dove la consuetudine fa diventare tutti "già visti" e dove il tempo diventa "passato troppo in

L’autrice e ad illustrare l’immagine di copertina

fretta", dove ci si nutre - quando ci si nutre - improvvisando una "pasta alla frigo" e sul muro di casa si affigge il decalogo con le regole da osservare nel caso a qualcuno venisse voglia di studiare. Un libro dove la leggerezza accoglie la densità di storie contemporanee, dove si mischia lo stupore, l'amore, il dolore, la passione è la militanza... A Caterina il marrone non le è mai sembrato un colore bello eppure è in quello che si perde caracollando giù dai colli, in fuga da una festa di serie A, giù in bicicletta con lo sconosciuto Yassin, un prologo che è un film, un lunghissimo "carrello", la notte e l'ansia della prima trasgressione lontana da casa, dai genitori... Una narrazione piena di persone-personaggi, di caratteri e di consuetudini: la vita un un po' anarchica di una casa, quella sul filo della palazzina occupata, quella creativa della radio. A "Bologna si imparano gli altri" si legge, è ancora "si smette definitivamente di essere bambini", certo sorridendo possono ammetterlo tutti coloro che dietro i nomi di Caterina, di Ettore, di Cecilia, Emanuele, Riccardo troveranno se stessi o chissà chi dentro questo ritorno nel limbo di Bologan o di qualsiasi altra città studi... Mauro Marino


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Rocco Boccadamo “Compare mi vendi una scarpa” da Capone

Cristalline le acque dei ricordi

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ell’opera letteraria di Rocco Boccadamo dal titolo “Compare, mi vendi una scarpa?” è entusiasmante per il lettore saltare a piedi nudi da una storia all’altra. Si tratta di sentieri che partono dal presente e ripercorrono il passato senza incertezze, mappe tracciate con cura da una scrittura elegante, tanto semplice nei contenuti quanto ricercata nella tessitura della forma. Inutile in questo cammino la discriminante delle calzature allo stesso modo di quella delle classi sociali e dei luoghi comuni, visto che lo scrittore offre a tutti i presenti un emozionante viaggio di ritorno alle origini attraverso la riscoperta di un Salento puro nei legami, mentre agli assenti regala un biglietto di andata, a bordo della memoria, verso il Salento di oggi. Splendida azione di marketing a beneficio della nostalgia di chi scrive, della conoscenza di chi legge e dell’onore di chi manca. Sfilano nelle pagine suggestivi episodi di vita filtrati dalla testimonianza diretta di Boccadamo, ed è singolare vederli associati ai nomi appuntati e ai soprannomi per intero di personaggi antichi, spesso parenti e amici, che della dignità e dell’ingegno fecero baluardo utile a non identificare più la società contadina nello stallo di ogni individualità fattiva, ma a riscoprirla come individualità armonica e sociale. ‘Il ragazzo di ieri’, come ama definirsi il nostro autore, ritorna più volte col pensiero alla culla del suo divenire, il paesino natio di Marittima con le sue scogliere degradanti verso il mare, i Serriti, la vicina Castro con via Frasciule, Largo Campurra e l’amato rione dell’Ariacorte, luogo votato all’incontro e al confronto, per inclina-

zione naturale, di ogni generazione: “Si conosceva tutto di tutti”, scrive Rocco, e non certo per semplice gossip ma per interesse dettato dal sentimento. Chiaro l’intento di Boccadamo: niente deve passare nel dimenticatoio, a cominciare dagli antichi mestieri e attività tradizionali per finire ai riti religiosi dei piccoli borghi del Salento del Sud. Ed è favola, ed è vita. Chi è costretto alla lontananza dalla propria terra per lavoro o per qualsivoglia motivo sa bene come l’affinamento dei ricordi sia uno dei pochi rimedi efficaci contro il dolore dell’assenza, la sola consolazione allo strappo dagli affetti più cari. Tutto si ricompone e torna a vivere nella potente magia della memoria, tutto si trasfigura nella delicatezza della poesia che nasce da colori e profumi familiari. Esistono terre che non sai e terre che ti porti dentro come cellule dell’anima. Non occorre un testo di ‘Anatomia umana’ per andare a scovarle, né un brevetto da sub per scendere in profondità e recuperarne la memoria, basta solo lasciarsi guidare da chi è diventato uomo grazie all’esempio delle persone, ovvero attraverso il massimo livello della scala dei valori, a detta di Boccadamo stesso, il ‘ragazzo di ieri’ e il gentiluomo di oggi. La nobiltà d’animo del nostro autore e quella sua ironia macchiata di malinconia rendono cristallini i ricordi allo stesso modo del suo mare, mare amato di Castro, mare dei Serriti, dei Porticelli, mare che perfino l’imponente carrubo nel giardino di casa riconosce amico e fratello. Compare Rocco, ci concedi un tuffo?

di Raffaella Verdesca


Con il poeta di Taranto spagine

N

ovità ed esordi per il primo concorso letterario nazionale ConTestiDiVersi dedicato al poeta tarantino, Angelo Lippo scomparso nell’agosto del 2011. Promosso dall’associazione “e20Cult”, in collaborazione con la casa editrice Il Raggio Verde e il Comune di Taranto, la manifestazione si è svolta a Palazzo Pantaleo, sabato 15 novembre,preceduta dal convegno “Angelo Lippo. Identità da nonsmarrire”. Presente la famiglia Lippo, Antonella e Pamela figlie del poeta, e la moglie Angela che hanno annunciato di aver avviato l’iter burocratico per far sì che un luogo della città, possibilmente un parco giochi, possa portare il nome del poeta tarantino. Lo ha confermato lo stesso assessore all’Ambiente, Vincenzo Baio, intervenuto per portare i saluti istituzionali. Dopo la lettura dell’intervento del giornalista Marcello Cometti, si sono alternati gli interventi di Antonio Basile, docente di Antropologia culturale all’Accademia di Belle Arti di Lecce, di SalvatoreColazzo, preside di Scienze della Formazione, Scienze Politiche e Sociali Università del Salento che, dal prossimo anno, sarà tra i partner dell’evento, l’architetto e scrittore Lucio Giummo e il bibliofilo e poeta Maurizio Nocera. Si è svolta poi la cerimonia di consegna dei premi ai vincitori del concorso letterario. Ospite d’onore il filosofo cileno Sergio Vuskovic Rojo, conosciuto in tutto il mondo e soprattutto in America Latina. Arrestato e torturato in seguito al golpe di Pinochet, come racconta nel suo libro “Dawson” (edizioni Il Raggio Verde) è stato amico personale di Pablo Neruda ed è uno

cronache culturali

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dei pochissimi superstiti ancora in vita che hanno conosciuto il grande Poeta dell’Amore. Nell’ambito del convegno, inserito nelle attività promosse dall’associazione e20Cult per divulgare la produzione letteraria di Angelo Lippo, è stata ricordata la figura e la personalità del poeta tarantino, un uomo che soffia nella poesia, che mette se stesso nei versi, che ha avuto un’ansia di scrivere la realtà di una Taranto che ha subito il tradimento del potere di pochi. Partecipata la presenza dei giovani. I ragazzi del Liceo Archita di Taranto – Dora Macripò, Gabriele Pisto, Flavia Saracino, Virginia Cimmino - hanno letto sette liriche di Lippo. Entusiasmo è stato manifestato anche per il concorso letterario. Per la sezione a Scuola ConTestiDiversi, dedicata agli studenti degli istituti superiorialla quale hanno partecipato gli studenti dei Licei “Archita” e “Aristossene” di Taranto ed il “Palmieri” di Lecce,la commissione - composta dal prof. Alberto Altamura, dalla professoressa Palma Violante, dal giornalista Mauro Marino, dalla dottoressa Anna Pia Cito, responsabile settore Cultura e in rappresentanza del Comune di Taranto, e dal poeta e saggista Antonio Spagnuolo - ha assegnato all’unanimità il premio per la narrativaa Valerio Viggiani del liceo Archita per il racconto “Il portamine”. Per la stessa sezione e lo stesso

Assegnati i premi del concorso letterario ConTestiDiVersi dedicato al poeta Angelo Lippo

istituto scolastico si segnala il racconto “Il destino di un uomo” di Gabriella Galeone. Per la sezione Poesia ha ricevuto il premio a Gabriele Spina, studente del liceo Palmieri di Lecce, con “Non è nella mia natura”. Per la stessa sezione, Giulia Drogo del liceo Archita di Taranto si è fatta valere con la poesia “Leuconoe”. La medaglia d’oro è stata attribuita, per la sezione Prosa, alla scrittriceLoretaFailonidi Tione di Trento che con il “Profumo del Gelo” ha conquistato il favore della giuria all’unanimità con la seguente motivazione: “Con stile narrativo cristallino la scrittrice riesce a coinvolgere il lettore regalando atmosfere nordiche incui si respira la cultura mitteleuropea”. Sempre perla stessa sezione è stato segnalato il racconto “La bacchetta spezzata” dell’autore tarantino Luca Tenneriello. Con “La scema” la poetessa Daniela Raimondi di Alghero (Sassari) porta a casa il primo posto “perché con i versi l’autrice riesce a costruire la scena di un teatro in cui l’amarezza si mescola all’ironia”. Si segnala anche il componimento “Due parole in croce” del poeta Giuseppe Semeraro di Lecce. Tutti gli elaborati saranno pubblicati in ebook dalla casa editrice Il Raggio Verde che editerà anche la copia cartacea con i i lavori dei vincitori e dei segnalati di tutte le sezioni. In programma, inoltre, una serata ad hoc per presentare i libri, consegnare i premi e lanciare il bando della seconda edizione del concorso letterario ConTestiDiversi. Ai vincitori è stata assegnata una scultura in terracotta realizzata in esclusiva dall’artista Carmelo Conte. Ha moderato l’incontro la giornalista Antonietta Fulvio, presidente dell’associazione e20Cult.


spagine Lo scorso mercoledì 19 novembre, per gli appuntamenti con la lettura, La Bambola di Kafka, di Fabio Collella ha ospitato La Cuspide Malva, il quartetto di attrici si è cimentato con poesie, testi e canti di lingua spagnola

Q

uattro leggiadre fanciulle - Iula Marzulli, Manuela Mastria, Francesca Greco e Adriana Polo - in armonia festante, concordano idee e sentimenti nell’esporre le poesie d’amore tratte in buona parte dal grande Federico Garcia Lorca. Seguono canti e poemi di Chavela Vargas, Ana Rossetti, L. M. Panero, Lhasa de Sela, Tomàs Méndez. La “Cuspide Malva” era di scena mercoledì scorso nella libreria “La bambola di Kafka” a Lecce. Il gruppo è formato da tre attrici e una musicista. Esse traggono piacere dalla lettura: son cantori della voce che instaura mondi e vite multiple, e da essa scaturiscono, secondo l’armonioso ordine della chitarra, vite amorose e forze sublimi. La voce, dunque, appare un veicolo privilegiato di unione con l’energia vitale e di unione tra loro e gli altri. Un modo per esprimerci e conoscerci meglio. Già in passato si era messa in luce la virtù ontopoietica del canto. Il loro modo di usare la voce ha risvegliato molte attenzioni sopite, loro hanno dimostrato che si può “cantare la voce”, a far in modo che essa canti se stessa, che esista in quanto essere, affinché noi possiamo essere. Altrimenti saremo semplici schiavi dei suoni e parole vuote. Una sensazione, dunque, che incorpora tutti i sensi e che suggerisce la presenza di quattro voci femminili che procedono con il concorso delle arti musicali, rifiutando qualsiasi etichetta attribuitagli. Così operando sperimentano la voce in musica, considerandola nella sua individualità e non vincolata unicamente alla parola e al suo significato verbale. La “Cuspide Malva” esprime corporalità e sensualità. La voce è esibizione e dono, conquista e speranza di compimento nell’altro. Veicolo di se stessa, emigra da una interiorità ad un’altra con una dolce penetrazione reiterando la propria natura biologica. Soffio, soffio vitale appare; brama, anima, pneuma, forza germinativa diventa, che non cessa mai e non può essere rappresentata. La “Cuspide Malva” riflette un pensiero antico riguardo al significato della voce, che si inserisce in un contesto di rituale del canto e l’ascolto. Voce che unisce gli uni agli altri. Di conseguenza cantore e ascoltatore si fondono. Un breve saggio, insomma, dove abbiamo trovato una energica affermazione sull’attuale significato della voce: in grado di amare, gemere e cantarsi. Grazie, quindi, a “La Cuspide Malva” con AY, AMORES! I fiori della poesia spagnola e altri fiori.

¡AY, cronache culturali

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AMORES!

di Antonio Zoretti

ad illustrare un disegno di Federico Garcìa Lorca


spagine

I

corsivo

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Datemi una barca, disse l’uomo. E voi a che scopo volete una barca, si può sapere? Domandò il re. Per andare alla ricerca dell’isola sconosciuta, rispose l’uomo. Sciocchezze, isole sconosciute non ce ne sono più. Sono tutte sulle carte. Sulle carte geografiche ci sono solo le isole conosciute. E qual è l’isola sconosciuta di cui volete andare in cerca? Se ve lo potessi dire allora sarebbe conosciuta.

Nello stretto necessario la necessità della bellezza

Josè Saramago, da – Il racconto dell’isola sconosciuta

nseguire utopia (Utòpia) è, in fondo, voglia di vivere. Solo Il folle osa dire che non c’è l’isola che non si vede. Il folle, solo il folle osa credere nell’ isola che non c’è. L’artista che scrive le sue storie su un foglio bianco, il pittore che mostra immagini come le vede il suo io, il fotografo che non riesce mai a riprendere la realtà, solo la luce e le forme come lui le vede in quel momento, e che quando l’osservatore guarda, si sofferma ad ammirare, a lodare, in realtà vede o legge solo quello che lui sa e vuol vedere. Perché ogni riga scritta, ogni dipinto, ogni fotografia mette lo spettatore di fronte al proprio vissuto, spesso non mediabile con quello dell’artista. La potenza immensa del taglio di Fontana in fondo sta proprio lì. Il realista vede un taglio, l’utopista vede l’apertura alla vita fuori dalla vita stessa, fuori dal quadro. Cronopios e Fama, in fondo, quelli che Cortazar seppe dipingere così bene. Talmente bene da trasformare un racconto in emozione. Forse quel realista è infelice, forse non si emoziona vedendo un fiore, chissà. Se le isole fossero veramente tutte sulle carte, a nulla servirebbe vivere, in fondo. Non possono essere tutte lì, altrimenti avrebbero senso anche le guerre, la fame, le privazioni. Avrebbe senso invece innamorarsi? Emozionarsi? Sono pensieri strambi che mi sono balzati in mente leggendo il racconto di Saramago e riprendendo in mano, a volte il caso ti porta a strani incontri, il catalogo delle opere di Guido Veronesi. Lui ha deciso di andarsene a 26 anni nel 2004, sono passati dieci anni. Non lo conoscevo, neppure conoscevo la sua opera. Ho avuto la fortuna di conoscere invece Francesca Caminoli, sua madre, che scrisse la storia del suo interagire con Guido in un libro eccezionale “Viaggio in Requiem”, un’auto che viaggia da Lucca ad Otranto. “Quando scopro la necessità della bellezza, necessito di riportarla quaggiù: nello stretto necessario” così descriveva Guido la sua pittura (cfr: introduzione al catalogo di Giuseppe Cordoni). E poi la stupenda galleria degli autoritratti “guardarsi dentro per vedere fuori”, e poi paesaggi, ritratti, studi. Tutto lì, nel catalogo a riportare Guido nel 2014. A chiederci “chissà come dipingerebbe l’assurdo mondo di oggi”. Certamente andrebbe dal Re a pretendere una barca, perché lo sguardo dentro, il vedere fuori, la necessità dello stretto necessario sono tutte esigenze che si inseguono o a cui ci si abbandona. Ci si lascia travolgere da quel falso re che crede che il mondo giri tutto attorno al suo trono e non vede fuori. Proprio perché non sa guardarsi dentro. Non ho conosciuto Guido. Ho conosciuto Guido, in fondo. E’ seduto lì, fra le parole di Saramago. Sta seduto lì, sugli spalti del Castello di Otranto. Josè Saramago – Il Racconto dell’isola sconosciuta – Einaudi edit. Cortazar: Storie di Cronopios e Fama – Einaudi tascabili, 2005 (prima ediz. 1962) Francesca Caminoli – Viaggio in requiem – Jaca book editore.

Gianni Ferraris


BuonGirolamo compleanno Comi spagine

auguri

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con il dolce di mandorle A

fferrare il soffio... dell'armonia di un dolce, il dolce di mandorle, quello che raccoglie il respiro d'un paese, naturalmente Lucugnano, e d'una vita, naturalmente d'un poeta, il giallo dei limoni e il biancore dell'olio d'oliva, quel tento che basta perché si stacchi dolce dal tegame, ché così deve essere...perfetto il dolce di mandorle, quello della zia Ndata, destinato a compleanno illustre, a versi di poesia. Ed oggi è 23 novembre, il poeta, Girolamo Comi, compie le sue 124 primavere e dicono al paese che se tu mangi o regali ai tuoi amici un cibo caro a chi ormai è ombra fra le ombre, lui sarà contento ché, anche nel luogo infinito dove si trova, ne sentirà sapore e profumo. Non si può deludere paese e così oggi è questo il dolce di mandorle, tenero come un racconto da regalare a chi si vuole perché lo prepari, lo assaggi, lo offra e il rito si ripeterà. Che c'era una volta un dolce che si lavorava così con 250 grammi di mandorle, 7 uova, 100 grammi di fecola di patate o farina doppio zero, 250 grammi di zucchero, il succo di un limone, lievito e la zia Ndata metteva a bagno la sera prima le mandorle nell'acqua fredda, sempre fredda, mi raccomando. Poi, quando passava la notte, il gallo cantava e si faceva giorno e arrivava la Peppi ad aiutarla, la zia Ndata sgusciava le mandorle piano piano e poi le tritava sottili e le metteva da parte. Poi rompeva le uova; a sinistra in una ciotola

più piccola le chiare, a destra in una ciotola più grande i rossi; la nonna Teresina montava a neve le chiare, la zia Ndata lavorava i rossi con lo zucchero; poi la nonna versava le chiare nei rossi e la farina a pioggia e poi il succo del limone, quello dell'albero che cresceva forte dietro la cucina e poi aggiungeva il lievito e poi le mandorle e girava girava il cucchiaio di legno. E quando era pronto, si versava nella teglia; intanto i bambini s'erano svegliati- che allora i dolci si preparavano all'alba - e allora, in fila, buoni buoni, chi era più buono ne aveva di più, uno alla volta si leccava il dito della zia Ndata, ché la zia raccoglieva sul dito lungo lungo e magro magro il dolce dalle pareti della ciotola. E questa era la loro parte di dolcezza. Intanto la Peppi aveva già portato il dolce al forno di legna, all'angolo della strada, a Lucugnano. Dicono che il dolce di mandorle onorava i compleanni e le grandi occasioni a casa del barone; lo offriva ai suoi amici poeti, alla Rina Durante anche, a Vittorio Pagano, Oreste Macrì, Maria Corti e tutti coloro che a casa sua si succedevano. Oggi 23 novembre i bambini, ormai adulti, preparano dolce per risentire profumo di "Spirito d'Armonia" racchiuso in un soffio afferrato fra i ricordi. Giuliana Coppola


Gran bazar spagine

D

Il banco dell’editoria. degli autori, della poesia del Fondo Verri

a venerdì 28 a domenica 30 novembre, torna a Lecce il Gran Bazar, banco dell’editoria, degli autori e della poesia promosso dal Fondo Verri, presidio del libro di Lecce. “Racconti del territorio. Luoghi, narrazioni, musica e visioni di poesia” è il titolo dell’ottava edizione di Gran bazar, banco dell’editoria, degli autori e della poesia salentina, ideato nell’ambito delle iniziative di “Artigiana - La casa degli autori” nel programma delle Attività Culturali della Regione Puglia 2014-2016 La rassegna si inscrive nell'esperienza del banco letterario che lo scrittore e operatore culturale salentino Antonio Verri inaugurò con

il Caffè Greco e con il Pensionante dè Saraceni negli anni Ottanta. Il banco letterario si proponeva come luogo ideale di scambio, di vendita e di discussione sulla scrittura, sui libri e sul fare autoriale e culturale. Protagonisti della tre giorni che avrà luogo negli spazi dell'Associazione Culturale in via Santa Maria del Paradiso 8 a Lecce saranno: Domenico Mimmo Fazio per un omaggio ai “reportage” di Tommaso Fiore. Salvatore Luperto con Anna Panareo che presenteranno la collezione di opere verbo-visive del Museo di Arte Contemporanea di Matino. Claudio Prima, Giuseppe De Trizio, Fabrizio Piepoli con il recital musicale “Radicanto il mondo alla rovescia”. Omar Di Monopoli che con il suo “Aspettati l’inferno”, Isbn edizioni, racconta Taranto. Ernesto Mola e Antonio Passerini che racconteranno il progetto dell’Ecomuseo della Bonifica di Frigole. La poetessa Lara Savoia con i versi dedicati a L’Aquila. Gli autori di Musicaos Edizioni presentati da Luciano Pagano. Antonio Errico con il suo ultimo romanzo La pittora dei demoni edito da Manni. Marco Cavalera e Giuliana Coppola che racconteranno Lucugnano. Andrea Morgante che con le sue fotografie racconta un Salento inedito. Salvatore Calafiore con un recital che renderà omaggio all’artista sarda Maria Lai.

Come sua tradizione Gran Bazar sceglie di approfondire, di fare esplorazione, di tendere un filo tra le esperienze letterarie e poetiche del territorio, allargando l’orizzonte alla realtà di una contemporaneità sempre più esposta al disagio, dove l’esprimersi - il trovar lingua nell’arte e nell’agire creativo - diviene leva di emancipazione personale e plurale nel volgersi alla comunità, all’altro, nel tentativo di fondare una qualità differente della “relazione”. “Nel certo limite dell’evento che proponiamo - scrivono dal Fondo Verri - sentiamo, con il nostro lavoro ideativo ed organizzativo, di operare per la costruzione di una qualità, da condividere con chi, come noi, intende la cultura patrimonio degli artefici, di quel lavoro costante e quotidiano capace di modificare il pensiero, di crescerlo in armonia col mondo”.

Racconti del territorio Il logo del Fondo Verri è disegnato da Lucio Conversano

Il programma

perto e Anna Panareo raccontano la collezione di opere verbo-visive. Ore 20.30 – Poesia Venerdì 28 novembre Letture da I versi della polvere. L'Aquila, 6 aprile 2009 di Lara SaOre 18.00 –Raccontare i luoghi Tra formiche e formiconi. La Puglia di Tommaso Fiore a cura Do- voia, Argo editore Ore 21.30–Editoria menico Fazio Musicaos party Ore 19.15- Luoghi narranti “Lucugnano e il suo territorio. Storia, architetture, archeologia e paesaggio di un paese del Capo di Leuca” di Marco Cavalera. Con l’au- Domenica 30 novembre Ore 18.00 - Il libro tore Giuliana Coppola e Gianni Ferraris La pittora dei demoni di Antonio Errico, Manni Editori Ore 20.30 –La musica Ore 19.15 – Luoghi narranti Radicanto il mondo alla rovescia (rassegna Mare Aperto) L’ecomuseo delle Bonifiche di Frigole lo raccontano Ernesto Mola e Recital musicale a cura di Claudio Prima, Giuseppe De Trizio, FaAntonio Passerini brizio Piepoli Ore 20.30 – Raccontare i luoghi - Fotografia Andrea Morgante, Come dio vuole, luci e visioni della terra, libro foSabato 29 novembre tografico edito da Kurumuny Ore 18.00 - Il libro Ore 21.30 - Il recital Aspettati l’inferno di Omar Di Monopoli, ISBN edizioni Omaggio alla Sardegna e all’opera di Maria Lai a cura di Salvatore Ore 19.15 - Luoghi narranti Il Museo di Arte Contemporanea di Matino (MACMa) Salvatore Lu- Calafiore


in agenda

della domenica n째53 - 23 novembre 2014 - anno 2 n.0

Antonio L. Verri in una fotografia di Fernando Bevilacqua


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note a margine

della domenica n°53 - 23 novembre 2014 - anno 2 n.0

Giornalisti, corso di formazione a Palazzo dei Celestini. Adeguare la lingua alla realtà per evitare discriminazioni di genere

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a “formazione professionale continua” per effetto della legge Fornero riguarda anche i giornalisti. I vari Ordini regionali hanno attivato dal gennaio del 2014 una serie di corsi di formazione in tutta Italia in collaborazione con varie agenzie formative. Obbligo per gli Iscritti all’Ordine di frequentarli per avere un minimo di 15 crediti all’anno per tre anni. In verità l’informazione sulle varie iniziative non sempre è stata efficace e puntuale. Si è andati avanti in maniera approssimativa da una parte (Ordine) e un po’ di noncuranza dall’altra (Iscritti). La fase che stiamo attraversando in Italia è di transizione anche nel campo dell’informazione telematica. Bisogna rendersene conto. Molti sono abituati ancora al cartaceo, mentre dalle centrali i messaggi ormai partono solo on line. Sicché c’è chi sa informarsi e chi no. Nessuno si alza la mattina e per prima cosa va al sito dell’Ordine per vedere cosa c’è di nuovo. In difetto del cartaceo, che non c’è più, e del telematico che c’è ma non “si vede”, qualcuno, specialmente tra i Pubblicisti, ha saputo di questi corsi per caso incontrando qualche collega o amico al bar. E’ per questo che probabilmente alla fine dell’anno non tutti gli Iscritti avranno i 15 crediti prescritti. Venerdì scorso (21 novembre), nell’Aula del Consiglio Provinciale, a Palazzo Celestini, si è svolto, mattina-pomeriggio, un corso che, per chi l’ha frequentato, vale 8 crediti. Altri 5 li potrà avere frequentando il prossimo, sempre a Palazzo dei Celestini, venerdì, 5 dicembre. Un corso molto interessante e a tratti gustoso per il brio che i relatori hanno saputo conferire. Lo ha organizzato la Rete “Giulia Giornaliste” con la collaborazione dell’Ordine dei Giornalisti di Puglia, della Consigliera di Parità della Regione Puglia e dell’Assostampa. Un corso tutto al femminile quanto ai temi trattati, con quattro relatrici e due relatori. Dopo gli onori di casa di Adelmo Gaetani, si è partiti con il progetto “Emittenti locali e differenze di genere”, relatore Vincenzo Santandrea. Un’inchiesta condotta su 6 emittenti pugliesi con l’intervista a 620 donne per monitorare spazi, tempi, preferenze, desiderata, programmi televisivi riguardanti l’informazione televisiva dell’universo femminile. La seconda relazione l’ha svolta Cecilia Robustelli sul tema “Donne, grammatica e media. Suggerimenti per l’uso dell’Italiano”. La terza, Marilù Mastrogiovanni sul tema “Che genere di notizia. Diffamazione di genere”. La quarta, Silvia Gambarois sullo stesso tema. La quinta, Rossella Matarrese “Chi fa notizia in Europa. L’osservatore europeo sulle rappresentazioni di genere. Gli

stereotipi di genere”. La sesta, Felice Blasi, presidente del Corecom, con un’analisi più approfondita dell’inchiesta sulle emittenti locali e gli stereotipi di genere nascosti nell’informazione. Tematiche sulla deontologia in senso generico; sull’uso corretto della lingua italiana in specifico per non discriminare le donne. Sono stati individuati casi ed esempi diffusi di stereotipi di discriminazione sessista nella stampa quotidiana e periodica, in parole e immagini. Insistente la necessità di adeguare la lingua italiana alla realtà, con citazioni importanti, come quelle del vecchio direttore dell’Ansa Sergio Lepri, morto quasi centenario, e della Presidente dell’Accademia della Crusca Nicoletta Maraschio. Pur ammettendo lo specifico della presenza femminile nell’informazione e nella società, traccia ben definita, non si può non rilevare, nelle varie relazioni susseguitesi, l’assenza totale del contesto in cui il giornalista deve operare, che è quello dell’informazione, del dare cioè la notizia nell’interesse dei lettori e non di una parte di essi. A tratti si è avuta l’impressione che il giornalista o la giornalista debba, per evitare discriminazioni o stereotipi di genere, dare priorità al modo piuttosto che al fatto, più che a rappresentare la realtà, a forzarla per farle prendere un indirizzo di parità di genere, conferendo così all’esercizio dell’informazione un compito pedagogico estraneo alla professione. Assolutamente da perseguire è l’adeguamento della lingua italiana alla realtà. Ma anche qui si osserva che il processo di adeguamento in genere è spontaneo. Lo prova la lingua italiana nel suo dinamismo temporale, dalla Scuola Siciliana in poi. Già Melchiorre Cesarotti lo teorizza e lo spiega perfettamente nel suo “Saggio sopra la lingua italiana” del 1785, entrando d’autorità nel dibattito sulla lingua alla fine del ‘700. Affrettare il processo forse serve a poco o a creare equivoci; meno ancora serve a rallentarlo con anacronistiche resistenze. La lingua è come l’acqua, trova lentamente e spontaneamente il percorso. Al momento neppure le stesse donne sono d’accordo nell’accettare il femminile di avvocatessa o direttrice, preferendo avvocata e direttora, tradendo un po’ di voglia di maschile. Né si possono, in questo processo, ignorare due validissimi criteri di adeguamento, che sono l’economicità e l’estetica della lingua. Il criterio di economicità vuole che si usi il minor numero di parole possibile per comunicare. Quello di estetica, a trovare parole sempre eleganti e rispettose. Forse non sono le prime preoccupazioni di chi scrive e di chi parla, ma neppure le ultime. Gigi Montonato


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n una insolita edizione invernale, lasciando la residenza di Roca Nuova, torna “Lo Sguardo di Omero” - ferstival delle narrazioni filmiche dedicate a luoghi, culture, identità - abita il Nuovo Cinema Paradiso di Melendugno. Per tutti coloro che, e sono stati davvero tanti, quest’estate ne hanno sentito la mancanza, tornano le storie, le immagini, le testimonianze, che raccontano l’uomo di oggi, per continuare, come Omero, l’aedo perfetto, il viaggio alla ricerca del mistero più complesso e insondabile, l’uomo. Una Vª edizione che non smentisce la grande attenzione e ricerca di chi seleziona e raccoglie testimonianze cinematografiche e documentarie capaci di portarci, per il tempo di una proiezione, dentro un altro mondo, dentro altre vite, perché solo sperimentando, provando, sentendo si può meglio e davvero comprendere. Anche quest’anno un approfondimento su un maestro della narrazione filmica, e dopo Ermanno Olmi, Gianni Celati, Franco Piavoli, premiati nelle precedenti edizioni, per il 2014 il festival propone di focalizzare l’attenzione sulle opere di Mario Martone la cui poetica è sempre alla ricerca di una verità nascosta.

La dedica a Rina Durante Lo sguardo di Omero parte con un anteprima oggi domenica 23 novembre, dedicata a Rina Durante, dal titolo “I CANTI DI RINA” - MOSTRA INTERNAZIONALE DI LIBRI D’ARTISTA, una mostra promossa dal Presidio del Libro “Archivio del Libro d’artista” di Sannicola che sarà inaugurata con un racconto musicale di Elisabetta Macchia alla voce e Rocco Nigro alla fisarmonica. Dalla poesia e dalla musica della Terra di Puglia 60 libri x 90 artisti, italiani e stranieri, che hanno aderito al progetto internazionale patrocinato dal Comune di Melendugno, ispirato a tre poesie-canzoni della raccontatrice e ricercatrice Rina Durante: Luna Otrantina, Questione meridionale, Come farò a diventare un mito, musicate dal Canzoniere Grecanico Salentino. Libri sognati, pensati, fabbricati in un tempo di sospensione dove il presente s’immerge nel passato e riporta alla luce voci e memorie di chi è vissuto ai margini della storia, in una solitudine disperante, preda di poteri che annientano corpo, anima, dignità. Libri di terra, di mare, di cielo dove i segni, i colori, le forme evocano parole e musiche, danzano tra sfumature lunari e storie dure di uomini e di briganti,

in agenda

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Si apre oggi a Melendugno con un anteprima dedicata a Rina Durante la V edizione della rassegna curata da Annalisa Montinaro

riecheggiando voci, nostalgie dolori e fragili speranze nelle notti di Puglia “lunghe troppo lunghe per finire” (Luna otrantina). Libri concettuali, libri materici, tattili e olfattivi, che cantano la poesia e la vita di una donna sensibile e forte, intellettuale libera e attivista politica che gli artisti, anche attraverso ricerche e approfondimenti personali, hanno voluto conoscere e onorare con la poesia e la bellezza delle loro creazioni e con un sentimento aperto di affettuosa stima. Tra le opere collettive da segnalare il manufatto dei 18 artisti del Grupo Gralha Azul di Porto Alegre (Brasile) e il libro “Con lo sguardo al mare”, realizzato da alcuni studenti del Liceo classico “G. Palmieri” di Lecce in un Laboratorio diretto da Mauro Marino, responsabile del Fondo Verri di Lecce. Da segnalare inoltre la partecipazione di un numeroso gruppo degli Studenti dell’Accademia di Belle Arti di Lecce del Corso di illustrazione tenuto dalla docente Grazia Tagliente.

L’omaggio a Matera La serata di giovedì 27 novembre, presso il Nuovo Cinema Paradiso, apre il Festival con un “Omaggio a Matera e a Pierpaolo Pasolini”. Dalle 19.00 testimonianze e incontri per un racconto corale tra parole, musica e immagini, conduce il giornalista Mauro Marino. Partecipano: il Sindaco di Matera Salvatore Adduce, la scrittrice Mariolina Venezia, il paesologo Franco Arminio, il pianista e compositore Rocco De Rosa, il presidente di “Murgia Madre” – Matera Balloon Festival Francesco Ruggieri e Donatella Cutro del Parco della Grancia di Brindisi di Montagna (Potenza). Alle ore 21.00 la proiezione de IL VANGELO SECONDO MATTEO - di Pierapaolo Pasolini – fuori concorso. Italia 1964, colore, durata 142 minuti.

Il programma delle proiezioni al Nuovo Cinema Paradiso di Melendugno

Venerdì 28 novembre Ore 19.00 - “Un momento per GAZA” - THIS IS MY LAND HEBRON di Giulia Amati e Stephen Natanson – fuori concorso. Italia 2010, colore, durata 72 minuti - Documentario vincitore Lo Sguardo di Omero 2011. Ore 20.45 - “LIMBO” di Matteo Calore e Gustav Hofer. Italia 2014, colore, durata 56 minuti. Ore 21.45 - “DIRTY WARS” di Richard Rowley Usa 2013, colore, durata 90 minuti.

Sabato 29 novembre Ore 19.00 - “KERKENNAH” di Marco Mensa. Italia 2002, colore, durata 23 minuti. Ore 19.45 - “VILLAGGIO ENI – UN PIACEVOLE SOGGIORNO NEL FUTURO” di Davide Maffei. Italia, colore, 2013, durata 74 minuti. Sarà presente il regista. Ore 21.30 - “L’AMORE MOLESTO” di Mario Martone. Italia 1995, colore, durata 104 minuti.

Domenica 30 novembre Ore 19.30 - “RITRATTO DI ALTINÈ NELLA STAGIONE SECCA” di Elisa Mereghetti e Marco Mensa. Italia 1999, colore, durata 25 minuti. Ore 20.15 - “L’OASI DELLA MEMORIA - FRAMMENTI DI CULTURA SAHARAWI” di Marco Mensa ed Elisa Mereghetti. Italia 2003 colore, durata 26 minuti. Ore 21.00 - “TEATRO DI GUERRA” di Mario Martone. Italia 1998, colore, durata 113 minuti.

Venerdì 5 dicembre Ore 19.00 - “CAPULCU – VOCI DA GEZI PARK” di Benedetta Argentieri, Claudio Casazza, Carlo Prevosti, Duccio Servi, Stefano Zoja Italia 2013, colore, durata 60 minuti. Sara presente il regista Claudio Casazza Ore 20.30 - “IN UTERO SREBRENICA” di Giuseppe Carrieri. Italia 2013, colore, durata 54 minuti. Sara presente il regista. Le proiezioni dei film e documentari in concorso, e non solo, saranno in programmazione Ore 22.00 - “ACQUA E TERRA” - di Federico Moznei giorni 28, 29, 30 novembre, e 5, 6 dicem- nich. Italia 2014, colore, durata 52 minuti bre. Lo sguardo di Omero chiuderà la sua Sabato 6 dicembre quinta edizione domenica 7 dicembre con la Ore 19.00 “ALLE CORDE” - di Andrea Simonetti. premiazione delle opere vincitrici e la musica Italia 2014, colore, durata 25 minuti. Sarà presente della Swing Big Band diretta da Luigi Bubbico. il regista Andrea Simonetti Nel corso della serata sarà possibile degustare Ore 20.00 “GOD SAVE THE GREEN” di Michele i piatti tipici della tradizione mediterranea rea- Mellara, Alessandro Rossi. Italia 2011, colore, durata lizzati in collaborazione con gli uomini e le 72 minuti. Sarà presente il regista Alessandro Rossi. donne del progetto SPRAR il “Salento acco- Ore 21.30 “IL GIOVANE FAVOLOSO” di Mario Marglie” dell’associazione Gruppo Umana Solida- tone. Italia 2014, colore, durata 137 minuti. rietà Onlus di Melendugno.

www.losguardodiomerofestival.it


spagine

In viaggio con Antonio di Rocco Boccadamo


N

Dai Peloritani alle Prealpi Venete, via Brianza: piccole storie, visioni e suggestioni di un credente, già nomade per servizio, comune osservatore di strada

el 1975, in pieno svolgimento del mio lungo e articolato giro d'Italia lavorativo, feci, anzi rifeci tappa nella fascinosa e solare città di Messina (vi ero già stato dal 1966 al 1969), per assumere l'incarico di condirettore della locale filiale della banca in cui prestavo servizio, al posto di un collega d’origine palermitana, il quale, prossimo al pensionamento, andava contestualmente a rientrare a casa sua, nella magnifica capitale isolana. Il predetto, aveva invero alle spalle altri trasferimenti, in sedi al di fuori della Sicilia, fra cui uno a Taranto e, in tale ultima località, aveva, a suo tempo, incontrato e trovato la fidanzata, poi divenuta sua moglie. Qualche anno dopo, arrivò, per me, un ulteriore ennesimo spostamento, con un nuovo incarico; per la precisione, da Messina, passai a Monza, capoluogo della Brianza, che gode fama aggiuntiva per la Regina Teodolinda, la Corona Ferrea e il Gran Premio automobilistico di Formula 1. Iniziò, in tal modo, l’ampia stagione della mia permanenza in Lombardia, sia pure con una circoscritta parentesi operativa a Roma, e, a un certo punto, i miei compiti furono estesi a funzioni di gestione e sovraintendenza su rapporti d'affari, di carattere fiduciario, intestati a grandi gruppi aziendali, aventi sede non solamente in Lombardia, ma anche nelle altre regioni del Nord Est. Cosicché, di tanto in tanto, mi capitava di spostarmi, per uno o più giorni, al fine di avviare o sviluppare contatti e opportunità di lavoro con controparti che si trovavano, giustappunto, fuori piazza rispetto alla mia sede stanziale e, fra esse, ve n’erano alcune stabilite a Padova e dintorni. In pratica, all’inizio per prevalenti motivi di servizio, la città del Santo divenne in certo qual modo familiare, mi ci recavo con una discreta frequenza. Da subito, in quella sede della banca, ebbi modo di conoscere una giovane collaboratrice che, guarda caso, era soprattutto nipote del collega palermitano da me sostituito a Messina, un legame di parentela scaturito dal già ricordato matrimonio del medesimo con una pugliese della città dei due mari. Nipote dell'amico a parte, con correlati scambi di cordialità fra corregionali, giunse presto a crearsi dentro di me, gradualmente ma decisamente, un sodalizio di ben differente genere, sotto forma di un’intensa consuetudine d’attrazione, fede e credo, nei confronti dell’autentico e prioritario simbolo della bella e dotta città veneta, ossia il suo Protettore, il Taumaturgo col giglio, noto e venerato, forse a livello di primo posto, in tutto il mondo cattolico. ***

in cammino

della domenica n°53 - 23 novembre 2014 - anno 2 n.0

Calandomi nel luogo della mia presente residenza da pensionato, Lecce, rivedo le grandi decorazioni all’interno del cupolone della Chiesa di S. Antonio a Fulgenzio, raffiguranti i miracoli della genuflessione della mula e della predica di S. Antonio ai pesci. E, ancora, mi tornano alla memoria le seguenti strofe devozionali in dialetto salentino: Sant' Antoni, meu bitegnu, tuttu chinu te santità, tritici crazzie faci lu giurnu: fammene una pe' carità.

Falla prestu e nnu tardare ca si santu e la poti fare; e cu la volontà te Ddiu tispenza crazzie, Sant'Antoni miu! *** Riprendendo il filo del discorso, mai che saltassi un’occasione di trasferta a Padova senza trovare lo spazio o una minuscola parentesi, qualunque fosse l'ora, per visitare la Basilica del Santo, per un passaggio, rapido ma sempre intenso, accanto al sito dove riposano le sue spoglie. Un sussulto e una progressione in termini tanto naturali, spontanei e forti, da indurmi, al di là e in aggiunta rispetto alle circostanze di lavoro dianzi citate, a muovermi, in ordinarie mattinate di sabato o di domenica, dalla mia abitazione lombarda per sfrecciare sull'autostrada verso est, verso il mio speciale “Amico”, per un saluto, un semplice contatto con lui. E, ogni volta, nel silenzio del viaggio di ritorno e del rientro domestico, mi sentivo, dentro, pienamente appagato; più precisamente, avevo quasi la sensazione che, prima, mi mancasse qualcosa e che, successivamente, grazie alla visita da pellegrino, la medesima carenza si tramutasse in presenza completa, viva e operante nella mia mente, nel mio animo e intorno a tutta la mia personale sfera di suggestione. Pur trattandosi, chiaramente, di sentimenti individuali e riferibili all’interiorità esclusiva, il rapporto intenso stabilito con il Santo originario di Lisbona, ha gradualmente finito col propagarsi, coinvolgendo cioè mia moglie e i miei figli: tuttavia, di quest'ultimo aspetto e processo, lungi dal pensare di conferirmi alcun merito, ho attribuito la formazione e lo sviluppo sempre ed esclusivamente a Lui. Col trascorrere degli anni, alla fase lavorativa, dapprima abbinate e poi in sostituzione, si sono susseguite a decine le sequenze annuali delle mie cure di fango terapia nel comprensorio dei Colli Euganei contermine a Padova, parimenti arrivate a porsi, indistintamente, alla stregua di puntuali occasioni per rinfocolare il particolare rapporto, morale e ideale, con Antonio.

Anche quest'anno, nell'attuale, purtroppo piovoso, periodo novembrino, sono atterrato sotto i Colli Euganei per le mie cure, ma, tra le prime azioni del ritorno in Veneto, ieri ho immancabilmente avvertito il bisogno di rivedere Lui. Al solito, la discesa dal pullman a Prato della Valle, il grandioso largo cittadino per antonomasia, che, in quest’ultimo passaggio, ho potuto gustare, fra il pomeriggio e il crepuscolo, nelle sue peculiarità d’autentica bellezza e fascino, sgombro da baracche e banconi, dei più svariati generi, che, sovente e specie di sabato, purtroppo lo invadono e deturpano, per soddisfare cascate di smanie d'acquisto, dell’utile e soprattutto dell'inutile, per opera di foltissimi e forsennati nugoli di compratori. Unica presenza, diciamo così, innaturale, una piccola giostrina con le sue luci multicolori, a beneficio di gruppetti di piccoli, che, ad ogni modo, non guastava la scena. Un attimo avanti d’imboccare il breve rettilineo con i portici in direzione della basilica, ho istintivamente rivolto lo sguardo verso l’altra vicina grande chiesa dedicata a Santa Giustina, che copre tutto un lato del Prato e, muovendo appena gli occhi, non ho potuto fare a meno di cogliere, per un fugace intermezzo, le adiacenti palazzine ad uso residenziale - militare, al cui interno, almeno alcune decine d'anni fa, dimorava la predetta nipote del collega di Messina e Palermo, la quale aveva sposato un ufficiale dell'esercito. Un gesto, detto ultimo, assolutamente non pensato, estemporaneo, a testimoniare semplicemente la continuità di un ricordo lontano. Digressione esauritasi, pochi giri del cronometro e, quindi, l'ingresso nella méta del mio “viaggio” dedicato, un ambiente tanto raccolto quanto, ormai, resosi familiare, la consueta sequenza di passi verso il preciso e determinato obiettivo della visita, una sintesi di raccoglimento giusto in un punto. Tuttavia, nell'occasione appena vissuta, ha preso corpo un grande cambiamento, un assoluto inedito rispetto alle decine di similari circostanze pregresse. Difatti, il fulcro del contatto da vicino era sin qui stato, sempre, il momento del posare brevemente la mano destra su quella parete di marmo bruno, mentre, durante l’ultima fresca visita, non una solamente, bensì entrambe le mani sono istintivamente andate a posarsi, restando ferme a percepire e vivere, attraverso palmi fiduciosi e speranzosi, quel contatto materiale, freddo nella mera apparenza, ma insieme caldo e rassicurante, con il lato del prezioso contenitore. Non v’è dubbio, almeno così io sento, che l’improvviso cambiamento sia stato originato da una precisa ragione, connessa con un particolare stato d’animo. Però, in proposito, ritengo giusto chiudere qui.


spazi creativi

spagine

della domenica n°53 - 23 novembre 2014 - anno 2 n.0

copertina Giovedì 27 novembre a Lecce, in via Trinchese l’apertua d’inverno di Sucrette Couture

Dove giocano i sensi

É

www.sucrette.it

tutto pronto per l'apertura d'inverno della boutique di Via Trinchese, spazio creativo della designer Terry Calogiuri, che giovedì 27 novembre presenterà la prima Capsule Lingerie di Sucrette Couture, un'extra limited edition, disponibile solo nella boutique di Lecce, creazioni nate per essere “pezzi unici.”. Nuova capsule e nuovo spazio in cui più creativi sono stati invitati a condividere il proprio fare, in una sinergia che accomuna le diverse anime nel segno dell'artigianalità e della filosofia eco. L'ispirazione di Sucrette proviene dal mondo e la tradizione del balletto, l'unione di forma, mente e corpo sia sulla scena che nella sala prove, dove i ballerini indossano morbidi e leggeri tessuti, parte di un mondo ricco di bellezza, equilibrio, passione. Un ricordo intimo che Terry Calogiuri ha prima trasferito negli anni alla linea beach couture e

che oggi vuole infondere in pezzi unici e sofisticati di lingerie, come sempre non convenzionale e allo stesso tempo intrisa di “classicità” e gioco sensuale.

dalle lunghissime maniche e gli abbondanti colli, i manicotti e le sciarpe, e dulcis in fundo, la mantella di puro cachemire con inserti in pelle e il kimono in seta. Nella boutique di Sucrette alta qualità e ricercatezza convivono e si intrecciano. Un ambiente caldo in cui i sensi sono catturati da una sottile magia di forme sobrie, eleganti, ognuna con la sua storia, il suo racconto: Le ceste-lampade della stagione estiva si rinnovano e si vestono di trame morbide e calde, le candele di recycling design realizzate interamente con la soia, che una volta disciolte possono trasformarsi in deliziose cere per la pelle, passando ai cuscini in pura seta lavorati al telaio, pezzi d'arredo unici per le esigenze più particolari, e poi i bijoux delicatamente sofisticati delle designers parigine Hanka_in.

La Capsule Lingerie La linea si impreziosisce sempre di più osando in creazioni in morbido sensitive, pizzi, puro cachemire e raffinata maglieria lavorata al telaio. I pezzi di beach couture si trasformano così in irresistibili mini-mutandine senza tempo, il disegno muta giocando con le epoche e dà vita alle deliziose pancere-chic, un gusto retrò, malizioso, sempre caro al mondo di Sucrette, che è un must di femminilità e classe. Crema, cipria, ocra, polvere, sono alcuni dei colori prescelti per questo nuovo viaggio dei sensi, accostati alle delicate e ricercate microfantasie. Insieme all'intimo anche le splendide realizzazioni in maglieria dalla pre- Un immaginario che si impreziosiziosa lavorazione, come le france- sce diventando ancora una volta un sine, le calzamaglie e le maglie irrinunciabile modo d'essere.


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