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spagine della domenica n°55 - 7 dicembre 2014 - anno 2 n.0

Periodico culturale dell’Associazione Fondo Verri

Un omaggio alla scrittura infinita di F.S. Dòdaro e A. L. Verri

Ad illustrare questa copertina un’immagine tratta dal catalogo che accompagnava la mostra fotografica itinerante “La cultura contadina”. L’iniziativa fu promossa nel 1986 dalla Scuola Media II° nucleo del Distretto Scolastico n°42 di Maglie (presidente il professor Giuseppe Chiri) e dalla Regione Puglia - Assessorato alla Pubblica Istruzione. In una nota del catalogo i curatori si ringraziano il signor Giuseppe Bernardi che mise a disposizione, per le fotografie, il materiale del Museo della Civiltà Contadina di Tuglie. Coordinatore del progetto fu Pino Refolo, le foto furono realizzate da Yellow Serigrafia di Maglie, la stampa fu a cura della Litografia Graphosette s.r.l. di Taviano.


Il sacco di Roma

spagine

S

embra quasi in Italia che come ogni salmo finisce in gloria così ogni crimine finisca in mafia. Chiedo scusa per l’irriverente paragone; ma che cosa c’è di riverente oggi in Italia? Gratta gratta e dalla pelle, liscia o squamosa che sia, viene fuori sempre un pus nauseabondo e cancrenoso. Negli anni Sessanta del secolo scorso – vivere a lungo ha un senso se riesci ad onorare il tempo che ti ha onorato! – i socialisti finalmente giunsero al potere. Il buon Nenni si sorprese non avendo trovato i bottoni nella stanza detta appunto dei bottoni, dove da sempre si diceva che stessero. Ma era dell’altro secolo lui! Quando arrivò Craxi, circa vent’anni, dopo li trovo. Ah, se li trovò! E mentre i puri della politica italiana – i socialisti, dico – i difensori dei poveri e i sostenitori dell’uguaglianza per antonomasia, stavano per celebrare il secolo di storia, ecco che giunse Tangentopoli a scoprirli ladri matricolati, a sputtanarli come mai era accaduto prima per altri. Non diversamente i comunisti – altri puri di Sangrillà! – i quali hanno contenuto i danni solo perché hanno goduto dell’omertà dell’intellighenzia e della complicità della magistratura, l’una e l’altra piene zeppe dei loro, riducendo a vergognosa copertura l’egemonia gramsciana. Poi è stata la volta dei neofascisti, dei missini, i quali, un po’ essendo esclusi e un po’ autoescludendosi per circa mezzo secolo dal potere, si erano conservati duri e puri. Giunti anch’essi al potere, si sono rivelati oltre che ladri, amici di criminali e forse criminali anch’essi. Allora, viene proprio dal profondo di dire: evviva i democristiani! Evviva! Evviva! Almeno quelli mangiavano e facevano mangiare; e se potevano, ti aiutavano a mangiar bene anche per il resto della vita; aiutavano te con tutti i tuoi. Quanto è accaduto a Roma in questi tristissimi giorni prenatalizi fa veramente perdere la pazienza. Ladri di ogni tipolo-

gia, di ogni risma, di ogni calibro. Ladri, ladri, ladri! Spudoratamente ladri e oltretutto imbroglioni e fessi. Ha detto Alemanno, ex sindaco di Roma, ex missino, ex An, oggi ex tutto: mi hanno tradito. Giustificazione autolesionista e autoassolutoria. Chi l’avrebbe tradito? E lui è stato tanto fesso da farsi tradire? Che cos’è per lui il tradimento? Un uomo politico, che abbia un minimo di perspicacia, sa perfettamente con chi ha a che fare; a chi affida compiti delicati di pubblica amministrazione. Lasciamo stare la categoria del tradimento, che spetta a ben altre persone, di ben altra stoffa e levatura. Intorno a questo ennesimo scandalo pubblico è scattata la copertura mafiosa. Si è parlato di mafia e di cupola; usciranno anche i pizzini. La stampa, che oggi ha il ruolo che per gli antichi greci aveva la fama, ha creato intorno alla capitale l’alone misterioso e – diciamolo pure – per certi aspetti “nobilitante” della mafia. Ma di mafioso a Roma non c’è nulla. E’ puro malaffare, uno schifosissimo malaffare, diffuso, articolato. Ha provveduto lo stesso Massimo Carminati, ex terrorista dei Nar, a fornire le categorie giuste, mutuandole dal suo immaginario buono, dal mondo di Tolkien. Ha parlato di una terra di mezzo, dove ognuno può fare che vuole, dove tutto è a disposizione del più scaltro, del più determinato, del più spregiudicato… ladro s’intende. Su questo tratto di terra si sono incontrati negli anni esponenti di tutti i partiti. Immaginiamo la cosiddetta “terra di mezzo” che era tra le trincee alla prima guerra mondiale, detta, quella, “terra di nessuno”; immaginiamo che ad un certo punto austriaci e italiani si fossero intrallazzati per fottere l’Austria e l’Italia. Questo è avvenuto a Roma in tutti questi anni di amministrazioni di destra e di sinistra, di centrodestra e di centrosinistra. Tutti insieme, appassionatamente ladri. Di fronte a simili fenomeni il cittadino non sa più che a santo votarsi. Papa France-

di Gigi Montonato

sco, che interviene quotidianamente sui fatti più salienti della giornata, ha detto, a proposito di quel Salvatore Buzzi che faceva i soldi con gli immigrati: «I poveri non possono diventare occasione di guadagno!». Qui non è più questione di partiti, di ideologie e neppure di uomini. Sì, sì, neppure di uomini, perché è provato che se un uomo ha lo stomaco, il cuore ed ogni altro organo, non può che comportarsi allo stesso modo di tutti gli altri. E sperare in qualche eroe è tempo perso. La democrazia non ha mai prodotto eroi. Gli eroi nascono per eterogenesi, vengono da fuori, da altre situazioni, costituiscono una netta discontinuità. Democristiani, socialisti, comunisti, fascisti sono tutti figli della democrazia; hanno tutti la stessa tabe. Si può iniziare un percorso nuovo solo se si ha il coraggio di cambiare atteggiamento nei confronti dei reati e di chi li commette, instaurando un sistema di intransigente rigore. Basta con le pene che devono rieducare, occorrono pene che castighino, che mettano chi compie reati nelle condizioni oggettive di non poter più nuocere. In teoria non sarebbe necessario neppure rinunciare alle garanzie. Basterebbe cambiare filosofia di vita pubblica. Purtroppo in pratica non è così. Occorre qualcosa che venga da fuori, che non è e non può essere contagiata. Occorre ridefinire le garanzie, ordinarle per gerarchia d’importanza. Chi ha avuto la fortuna di conoscere situazioni di vita all’estero – paesi dell’Europa centrosettentrionale – ha avuto modo di constatare come in quei paesi si considera normale democrazia ciò che in Italia si ritiene fascismo, oppressione, repressione ed ogni forma di intervento della legge. Basterebbe recuperare il senso della legalità e forse – il forse è d’obbligo – per l’Italia potrebbe iniziare un periodo nuovo, diverso, bonificante. Ma l’interrogativo è lo stesso che si poneva Dante ai suoi dì: «le leggi son, ma chi pon mano ad esse?».


Diario politico

della domenica n째55 - 7 dicembre 2014 - anno 2 n.0

Brenno, capo dei Galli, e Marco Furio Camillo, dopo il sacco di Roma


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al settembre 2013 la legge contro l’omofobia e contro la transfobia è stata approvata alla Camera, ma giace come corpo morto nelle secche del Senato. L’alacre governo Renzi e il litigioso Parlamento non ritengono che sia ancora necessario affrontare una questione di vitale importanza. Si tratta, ovviamente, d’una tematica delicata, che spacca gli schieramenti e interroga le coscienze. Il testo, uscito in prima battuta, è tuttavia abbastanza valido. In passato, la discussione più intensa si è concretizzata attorno ad un perno centrale: i parlamentari si chiedevano se anche all’omofobia e alla transfobia dovesse essere esteso l’articolo 3 della legge Mancino, la quale prevede una aggravante della pena per i reati del codice penale commessi sulla base di “discriminazione, odio e violenza per motivi razziali, etnici o religiosi”. La legge passata alla Camera, ai tempi del governo Letta, era strutturata in modo appropriato: essa certificava le aggravanti per il comportamento individuale, ma non per “le organizzazioni che svolgono attività di natura politica, sindacale, culturale, sanitaria, di istruzione ovvero di religione o di culto”. Un equilibrato escamotage, perché è fondamentale punire certi obbrobriosi reati ma, al contempo, deve essere garantita la libertà d’espressione. In questi mesi, però, l’esecutivo operoso del pimpante Renzi ha congelato qualsiasi problematica di carattere etico. Anni fa, il governo Berlusconi s’era comportato ancora peggio, perché aveva bocciata la proposta di legge dell’on. Anna Paola Concia contro l’omofobia e contro la transfobia. La malagevole strada dei diritti è lastricata di buone intenzioni, ma all’atto pratico la classe politica si perde in un deserto di incertezze e di improduttive speculazioni. Da tempo ormai, in Italia, si succedono a ritmo incalzante le violenze contro i cittadini omosessuali e transessuali, pesantemente offesi, ordinariamente vilipesi, minacciati, aggrediti fisicamente, proditoriamente pestati a sangue. L’emergenza è decisamente odiosa e intollerabile, perché cittadini d’un Paese libero vengono oltraggiati nel profondo. La parte pulsante del Paese reale prova disgusto nell’osservare certe sciagurate discriminazioni; parimenti, una parte significativa degli italiani potrà nutrire una sincera disaffezione nei confronti di certa classe politica, incapace di salvaguardare le minoranze, inabile a riconoscere sacrosanti diritti. Solo qualche “illuminato” esponente delle istituzioni può ingenuamente affermare: “Nessuno può dire che in Italia ci siano discriminazioni contro gli omosessuali”. Perché quindi redigere una legge bipartisan contro alcune squallide violazioni e reiterate efferatezze, quando tutto procede bene? È evidente, invece, che uno Stato laico e liberale debba prevedere per la comunità Lgbt un sistema esteso di garanzie. Nondimeno, non si può risolvere l’emergenza solo ser-

LGBT

Ad illustrare un’immagine e il logo del Salento LGBT Film Fest in corso alle ManifattureKnos fino a lunedì 8 dicembre

rando le maglie, solo allargando il cerchio degli interventi di ordine pubblico, solo rafforzando le politiche di carattere securitario. Epperò una legge contro l’omofobia e contro la transfobia serve da subito, dal momento che lo Stato deve assicurare a tutti ampi gradi di libertà e di sicurezza. Certo, non basta inasprire le pene contro i vigliacchi, contro i meschini da branco: occorre far veicolare con forza, con convinzione, una nuova cultura dell’accoglienza, del rispetto reciproco. Una cultura plurale incentrata sul valore inerente della diversità. Siamo davvero tutti eguali e, al contempo, diversi; siamo esseri unici e irripetibili, ci comprendiamo nel dialogo, nell’incontro, nella stretta di mano, nella corretta comunicazione. Tutti dovremmo avere la possibilità di uscire allo scoperto; tutti dovremmo essere capiti dall’altro, perché portatori di valori e indiscussi principi, d’un sano senso morale. Siamo cittadini (eterosessuali, omosessuali, transessuali) appartenenti ad una multiforme umanità, che esige pubblici riconoscimenti. Matteo Renzi e compagnia dovrebbero capire che al sacro principio di cittadinanza non

di Marcello Buttazzo

si aderisce con i solenni proclami e con le sfilate televisive, dal momento che esso non è un’astrazione filosofica, ma una necessità inalienabile e insopprimibile. Conforta parzialmente che in Forza Italia, partito notoriamente legato tenacemente ai cosiddetti valori “non negoziabili”, la nuova responsabile dei diritti civili sia Mara Carfagna. Anni fa, la deputata azzurra ricoprì la carica di ministro delle Pari opportunità e avviò una mirata e razionale campagna a difesa delle diversità. L’omofobia è una delle più vergognose iatture. Mara Carfagna utilizzò lo slogan: “L’omofobia è una malattia dalla quale si può guarire”. L’identità d’un soggetto non può essere confinata solo all’appartenenza di genere, che esprime una parte di noi. L’uomo è una globalità di fattori, e non può essere mai ghettizzato. Le istituzioni devono dare segnali di vita. Aspettiamo, pertanto, che soprattutto Renzi, avvezzo a organizzare Leopolde e intento a declamare continuamente, incoraggi, tra le altre cose, una campagna informativa nelle televisioni e nelle scuole.


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contemporanea

della domenica n°55 - 7 dicembre 2014 - anno 2 n.0

No alla pena di morte

I

n questi giorni, la Terza Commissione dell’Assemblea generale dell’Onu ha approvato una nuova moratoria della pena di morte. La risoluzione viene messa ai voti ogni due anni: la ratifica dell’Aula è attesa entro dicembre. Finora 114 Paesi sono favorevoli all’abolizione della barbara pena. Anche la Russia ha aderito e ha deciso di fermare la mano del boia. Chiaramente il documento non ha valore vincolante, ma ha un’enorme valenza simbolica e morale. La via persuasiva, democratica, che invoglia all’abolizionismo, è senz’altro quella da seguire con insistenza per cercare di coinvolgere lentamente ogni Paese sull’inutilità e sull’efferatezza d’una pratica belluina e medievale. La strada diplomatica è quella da battere con più vigore e consapevolezza, per tentare di addivenire, un giorno, voto dopo voto, all’eliminazione della pena capitale dappertutto.

Si tratta d’una risoluta battaglia pacifica e non violenta, d’amore e di civiltà. La brutale pena è il massimo stravolgimento della Carta dei diritti umani, la più meschina, irragionevole e sanguinolenta violazione dell’umano. Da statistiche di varia provenienza, s’è visto che essa non ha alcuna funzione o “efficacia” particolare: non è “educativa”, non è uno strumento di “redenzione”, non serve a far diminuire i crimini. La povera legge del taglione è un ferrovecchio del passato, necessario solo a placare talvolta la seta e l’ansietà di vendetta. Ma non è con una pratica sporca di sangue che si regolano i rapporti fra gli individui. Questa civiltà contemporanea contraddittoria, come sostiene anche Papa Francesco, ha bisogno più che mai di globalizzare i diritti umani, e non solo le invasive istanze dell’economia padrona e dei mercati finanziari. In questi anni, la comunità civile italiana, le associazioni

umanitarie, Nessuno tocchi Caino, Amnesty International, la Comunità di Sant’Egidio si sono battute con passione e tenacia per il ripristino della legalità e del senso d’umanità. Abbiamo davvero imboccato un cammino virtuoso: dal dicembre 2007, quando passò alle Nazioni Unite la prima moratoria, fino ad oggi, sono cresciuti sensibilmente gli Stati membri che hanno sospeso le esecuzioni. I politici italiani e internazionali dovranno perseverare nell’azione di convincimento con la speranza di mandare in pensione il boia per sempre. I Paesi dittatoriali e democratici dovranno comprendere tutta l’immoralità della pena capitale, che è la negazione del vero senso di giustizia ed è solo un misero strumento di annientamento e abbrutimento.

Marcello Buttazzo


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natale 2014

della domenica n°55 - 7 dicembre 2014 - anno 2 n.0

Chi scende dalle stelle? A lberi addobbati a festa, luminarie e presepi tutti pronti a indossare il silenzio svilente di una pace che appare finta e non sentita. E più che pace insaziata nel mondo è la pace assente nel cuore di ciò che abbiamo perduto, empatia e comprensione, perdita che ci rende brutti, pronti a contestare la violenza e a non riuscire a sradicarne il germe se è dentro la nostra anima. Restano i vecchi, con i loro sguardi liquidi smarriti nel ricordo di quando Natale per loro era calore attorno al focolare, con un piatto unico in cui condividere un sorriso di gioia e il cibo della festa. Quei nonni non in più in vita per molti di noi. Restano le memorie dei loro racconti, quando Natale era l'attesa di un anno, scarpe rotte da cambiare, un cappotto da sostituire con quello liso e troppo stretto, nel migliore dei casi un bambola o un trenino. Reduci da una guerra aspra e vile come tutte le guerre sono, a mangiar pane e ceci tutto l'anno ne avevano fatto impegno quotidiano per arrivare al pranzo natalizio, metafora di impegno e riscatto, con il sorriso e l'anima piena. Era crisi ieri come oggi. Ma nel frattempo noi abbiamo incontrato il gatto e la volpe, ci hanno mostrato la terra promessa e noi ci abbiamo creduto, convinti che il grillo avesse torto e che no, noi non saremmo incappati nelle mani di un orco. Oggi santi e angeli sono appuntati alle vetrine dei negozi, stanchi e dimenticati in un angolo a chiedere umilmente asilo nel frastuono di un vento che non sa farsi canto, che non sa più dare nome al silenzio ne rendere la notte alba eterna. Oggi che le filastrocche apprese dai bambini per allietare le feste non riescono più a riscaldare la grotta del bimbo eterno perché su l'uscio di ogni porta c'è solo il tremito dell'assenza e non più lacrime buone. Assenza di cose e danari, incertezza senza speranza hanno eretto il proprio regno e nessuno sa più sentirsi parte di un coro. Abbiamo il cuore spento

di Rosanna Gesualdo

e Caino è insediato in ognuno di noi, incapaci come siamo divenuti di ricordare ciò che noi dobbiamo all'Altro e non ciò in cui l'Altro ha mancato. Se fossimo disposti per un solo giorno a dimenticare i nostri diritti e a rammentare i nostri doveri, se per un giorno soltanto fossimo in grado di costruire un'arca in cui mettere in salvo qualche seme d'amore che certamente in fondo a uno scrigno ognuno di noi serba invece di rivendicare ciò che la vita a parer nostro ci nega, Natale sarebbe vita e non Panettone. Se fossimo capaci per un solo giorno di deporre il rancore per asciugare le lacrime di un anziano e parlare nella lingua dello straniero che “ci ruba il lavoro”, nella bellezza dell'essere tutti diversi, meraviglioso universo invece di avvelenare la terra che ci nutre pur di eliminare l'Altro come se l'Altro non fossimo noi. Se per un giorno abbattessimo i recinti dell'incomprensione, Natale non sarebbe solitudine per chi è solo e malcontento per noi stessi. Perchè al di là della corsa a una inconsulta attesa di regali poca è la gioia che si legge negli occhi di chi per le vie s'affaccenda alla ricerca del balocco perfetto. Un sorriso, una mano che si tende, il proprio silenzio che sa farsi ascolto, il riconoscimento dei propri limiti e delle proprie fragilità, la comprensione che oppressi e ai margini oggi ci siam tutti e che ignoranza, indifferenza, discriminazione e intolleranza ci riguardano in prima persona. Volgere lo sguardo all'Altro è uno scambio di doni, un ricevere inaspettato nel dare, senza attendere il baratto. Un darsi alla vita senza lamento per rinvenire l'opportunità di scoprirsi un po' meno tristi, meno meschini e probabilmente meno isole cancellate dall'atlante dell'esistenza addobberebbe di luce e significato ogni albero di Natale, ogni presepe e forse, chissà Angeli e Santi riuscirebbero a varcare la soglia dei nostri cuori.


L’abecedario di Gianluca Costantini e

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Di date e di dita erano densi… Lì domavo dizioni doloranti e dediche dolci di dama Dissero un dì di me che dovevo dire daccapo

Maira Marzioni

allora declamai deciso e diventarono delicati i miei deliri danzanti Tutti estasiati! Esplodevano da estimati errori estrose emozioni elargivo endecasillabi come ebbri elzeviri Ebeti si ergevano gli eleganti entusiasti gli eretici erranti.


spagine

ambiente

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Vietare la caccia per salvare gli ulivi

C

ome saprete Xilella (Xilella fastidiosa, subspecie pauca ceppo co.di.ro, unico e mai rinvenuto prima) è un batterio che sta infettando molti alberi del Salento; insieme all'uso scellerato della chimica, sta contribuendo a decimare gli uliveti. E' un batterio che vive e si moltiplica nella linfa dell'albero (non solo l' olivo ma anche oleandro, querce, agrumi, albicocchi, prunus, ecc) e per poter infettare un albero limitrofo o anche lontano centinaia di metri, alberi indeboliti dalla sterilità della terra su cui "sopravvivono virtualmente", si serve di un piccolo insetto la sputacchina (Philenus Spumarius), una cicaletta che è endemica nel nostro territorio. Per combattere questo insetto alcuni studiosi vorrebbero imporci una lotta che se dovesse essere applicata sarebbe più dannosa che utile. E' previsto infatti l'uso di diserbanti e di anticrittogamici anche in deroga al loro divieto di utilizzo in Italia perchè siamo in emergenza; un atto che andrebbe a rafforzare l'effeto di ciò che veramente causa il disseccamento rapido dell'olivo e cioè il totale disequilibrio fra alberi e natura circostante, in una parola la perdità della biodiversità. Nell'elenco dei prodotti consigliati sono menzionati anche i derivati nicotinici (imidacloprid) che sono causa della drastica riduzione del numero di api in tutto il mondo. Questo non è l'unico metodo di lotta. Così come espresso nelle linee guida allegate si potrebbe fare altro.Oggi più che mai, il caso Xilella potrebbe diventare realmente un'opportunità per fermarsi e per cercare di ripristinare ciò che si è perso in questi anni chimici. Sarebbe l'occasione per liberare le terre dai veleni e dai prodotti chimici. Andrebbero incentivate le arature e le fresature, l'uso di letame per concimare la terra che a differenza delle polveri di solfato ammonio migliora la

struttura argillosa dei terreni rendendoli più "grassi" e meno esposti alla polverizzazione.Per gli alberi colpiti si è dimostrato utile con una ripresa vegetative una potatura dei rami dove sono evidenti i sintomi e un trattamento con poltiglia bordolese (solfato di rame e calce) per abbattere le consociazioni di funghi patogeni (pheoacremon e pheomoniella soprattutto e un filo di freni da bici per stanare ed uccidere la larva del rodilegno (zeuzera pyrina). Per la lotta al vettore sputacchina è necessaria un'azione rivoluzionaria che potrebbe realizzarsi perchè siamo in emergenza: riduzione del numero di insetti vettore con l'aumento dei nemici naturali ed in particolare gli uccelli insettivori. La caccia andrebbe vietata almeno sui territori a rischio infezione per un numero di stagioni da valutare. E' una possibilità? Potremo farcela se solo riuscissimo a portare sui tavoli istituzionali le nostre proposte che certamente sono più efficaci e meno impattanti di quelle proposte ad iniziare dall'abbattimento degli alberi malati o sani. Finchè le misure previste non saranno obbligatorie ognuno di noi può contribuire a diffondere queste informazioni. Ecco nell’immagine che illustra la pagina il peggior nemico della sputacchina che ama condire con le olive: il Tordo bottaccio - Turdusphilomelos. Le zone di nidificazione della specie sono rappresentate dall'Europa centro-settentrinale fino all'arco alpino. Nei mesi autunnali migra verso le zone di svernamento che sono rappresentate dal bacino del Mediterraneo, Africa settentrionale e Asia sud-occidentale. In Italia è presente sia come di passo (doppio) che come raro nidificante.

Vito Lisi


La poesia di Nicola De Donno

ambiente

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l’arancia, i chicchi di caffè,la grappa

L

a mia terra ha il colore d’una arancia e il profumo di chicchi di caffè e la forza d’un sorso di grappa, la dolcezza d’una zolletta di zucchero, la meraviglia d’un verso di poesia, il coraggio di chi resta, non di chi se ne va. Ritornano i versi mentre vado, capo chino, cielo azzurro, nuvole lontano, sussurro segreto d’ Idume, blocco di nostalgia; nel silenzio vado; in testa versi di poesia “Nu bbasta se ve struscesentimentu/ de nustargìa, nu bbasta carità./ Lu postuveru de cumbattimentu,/ lupostu de curaggiu e ddeumirtà/ è dde ci resta, nu cci se ne va… Contrucurrente…” (ciao, Nicola De Donno). Ritorno a casa che oggi so come scacciare blocco di nostalgia; prendo un’arancia di quelle che portano il sole anche nel cielo grigio e un litro di grappa bianca e quarantacinque chicchi di caffè e quarantacinque zollette di zucchero e uno dopo l’altro poso chicco di caffè in quarantacinque fori nell’arancia, uno per ognuno di loro e per quarantacinque volte ripeto versi, quelli che sento risuonare nell’animo e la caraffa è pronta, con la sua arancia ornata di chicchi di caffè, grappa, zollette e via in luogo fresco e asciutto per quarantacinque giorni e ogni giorno un verso di poesia, dei poeti che sono qui, che hanno deciso di rimanere qui a sorreggere volta di cielo azzurro, combattenti sempre, chè il posto vero di combattimento, il posto di coraggio e di umiltà è di chi resta anche contro l’ultima voglia acuta d’andar via, che non voglio star qui io, che ci sto a fare io qui. Anche a questo serve tempo di preparazione d’una grappa all’arancia; serve per meditare e per pensare, per ripetere versi e dedicarti a loro, chè tanto non stai perdendo tempo, prepari liquore e stai tranquillo con te. Un sorso di grappa all’arancia e al caffè e un verso, uno di questi versi che m’hanno suggerito la storia mentre continuo a ripetere attimo dopo attimo questo rosario laico che mi son creato tutto per me; oggi continuo a pensare che questa terra mia non sarebbe così terra mia se questi combattenti in prima linea che reggono volta di cielo azzurro con i loro versi e la loro poesia non me la rivelassero pagina, dopo pagina, sillaba dopo sillaba, passo dopo passo ed ora continuo a ripetere litania e sia lode per tutti, lode ai poeti di ieri e lode ancor più grande ai poeti d’oggi, al loro posto di combattimento, lode sempre sia ma tra queste strade che sussurrano d’Idume e di fili di pensieri leggeri ora che non c’è più bisogno di nostalgia.

di Giuliana Coppola


spagine

“Io vivo sempre insieme ai miei capelli nel mondo, io vivo sempre insieme ai miei capelli”

Uomo calvo mettiti in salvo! “Capelli” – Niccolò Fabi

O

gni volta che mi guardo allo specchio, devo dolorosamente riscontrare che i miei capelli mi stanno abbandonando. La mia calvizie ha preso una pericolosa deriva e, oltre a far diradare i capelli sulle tempie, ha scavato un ampio cerchio nella parte centrale del cranio simile alla chierica dei monaci francescani, che fortunatamente allo specchio io non riesco a vedere, se non fosse che a farmela notare ci pensano i miei famigliari. In particolare, mio figlio più piccolo, quando sono sprofondato sul divano del soggiorno a leggere o a guardare la tv, sembra che provi un morboso piacere nell’evidenziare quanto la mia chierica si allarghi sempre di più, circoscrivendola, per darmene contezza, col dito mignolo. Ci sarebbero dei rimedi alla mia incipiente calvizie, mi dico, ma io appartengo alla scuola di pensiero secondo la quale la natura ha da fare il suo corso e quindi non penso di ricorrervi. Anche perché, a mio parere, i rimedi sarebbero peggiori dei mali. Ché tutto dipende da quanto sia alta o bassa l’asticella, cioè da quanto sia pregnante il senso del (proprio) ridicolo che ognuno possiede. Comunque, i rimedi sarebbero due: il parrucchino oppure il trapianto. Al di là di gravi problemi di salute che portano alla perdita dei capelli e di conseguenza al ricorso al parrucchino, nella stragrande maggioranza dei casi questo accessorio risponde solo a motivi estetici. Soprattutto in giovane età, uomini e donne preferiscono ricorrere al camuffamento della propria alopecia. Oggi il parrucchino è di gran moda e può essere realizzato sia con capelli umani che con capelli sintetici. Passi quando ad indossare il simpatico accessorio sono dei personaggi famosi. Penso, per citare degli esempi alla portata di tutti, alla popstar Elton Jhon, a Tina Turner, al nostro amatissimo Lucio Dalla. Mi vengono anche in mente alcuni personaggi della tv, come Maurizio Seymandi (chi lo ricorda?) conduttore della trasmissione musicale “Superclassifica Show”, il quale era quasi del tutto calvo e una bella domenica (giorno di trasmissione del programma), indossava con perfetta nonchalance, un vistoso parrucchino biondo. Penso, per citare un

di Paolo Vincenti

caso più recente, al direttore di “ Di più” Sandro Mayer che, da semicalvo, ora esibisce un tupè di diverso colore ad ogni nuova puntata della trasmissione “Ballando con le stelle”, di cui è ospite fisso. Su Youtube, gira un curioso video in cui il dirigente calcistico Luciano Passirani perde il parrucchino in diretta durante una trasmissione tv. Ma con il parrucchino, sebbene sia fissato al cranio da speciali adesivi, si corre sempre questo rischio ( “sono come degli alberi senza radici che al minimo vento di soffio van giù” per dirla con Celentano, uno che invece la pelata se la tiene e ci fa anche notevole autoironia). E di questo rischio, oltre al succitato Sandro Mayer (“una specie faunistica protetta”, lo ha definito in rete la cattivissima “Nonciclopedia”), molti ne sanno qualcosa. Tuttavia, quando ad assecondare certe bizzarrie sono gli artisti, i personaggi famosi, tutto viene concesso. Un poco diverso, quando si tratta della gente comune, che vive la vita di tutti i giorni. Un mio conoscente ebbe un giorno la determinazione di usare un tupè ed io ero non poco imbarazzato, incontrandolo la prima volta dopo la trasformazione, perché non sapevo se far riferimento a quel curioso cambiamento oppure glissare, passarci sopra. Decisi di far finta di niente, in ciò assecondato dall’amico. Ricordo ancora che qualche anno fa, un collega di lavoro, con analoghi problemi di alopecia, decise di operare l’estetica conversione, sicché il venerdi lasciò l’ufficio quasi del tutto calvo e il lunedi lo ritrovammo capelluto. Fra i personaggi famosi dotati di tupè (dal francese toupet) potrei citare l’ex motociclista Max Biaggi, l’ex famoso Salvatore Schillaci, l’allenatore della nazionale di calcio Antonio Conte, il campione dell’NBA James Le Bron. Altri preferiscono ricorrere al trapianto. L’esempio più noto è il Cavaliere Silvio Berlusconi. Chi ricorda il testimonial in tv dei trapianti di capelli Cesare Ragazzi? Il suo slogan tormentone degli anni Ottanta era: “un uomo che si è messo in testa un’idea meravigliosa”. In realtà, concepire idee meravigliose fa perdere tosto i capelli, a dar retta a Flaubert, ed è anche vero che di idee meravigliose, negli anni Ottanta di Cesare Ragazzi, se ne concepivano tantissime, ma molte poi miseramente caddero “all’apparir del


l’osceno del villaggio

della domenica n°55 - 7 dicembre 2014 - anno 2 n.0

vero”. Certo, accettare l’irreversibile caduta dei capelli ha in sé qualcosa di stoico. E se non proprio di stoicismo, almeno di neoplatonismo, la scuola alla quale apparteneva il vescovo Sinesio di Cirene, autore di un “Elogio della calvizie”, formidabile manuale di autostima per i calvi, i semi calvi e gli stempiati. “ A me è toccata la sventura di perdere i capelli, cosa che in un primo momento mi ferì nel profondo del cuore. E in un simile frangente, a quale dio, a quale demone avrei potuto risparmiare i miei strali? Mi domandavo: dov’è finita la Provvidenza, se le disgrazie capitano a chi non le merita? E poi, che male ho fatto per non dovere più piacere alle donne?”. Sinesio era un erudito vissuto fra il 300 e il 400 d.C. in un periodo in cui molti studiosi si dilettavano a scrivere degli argomenti più peregrini solo per sfoggio di bravura oratoria, per saggiare il potere di persuasione della parola. Il trattato di Sinesio è uno dei più divertenti, un’operetta ricca di arguzia e di paradossi, una sorta di auto consolazione in materia di calvizie. Prendendo spunto da un autore del I Secolo d.C., Dione Crisostomo, che aveva scritto un “Elogio della chioma”, egli scrive una lunga orazione in difesa di chi”ha la testa glabra”. E ci riesce talmente bene che, non solo confuta le tesi di Dione a favore dei capelluti, ma addirittura le ribalta a vantaggio dei calvi. “Fra gli animali i più sciocchi sono completamente coperti di peli, mentre l’uomo, che ha avuto in sorte il lume della ragione, è per lo più privo di tale coltre naturale. Tuttavia, perché non si vanti di essere del tutto diverso dalle altre creature mortali, ha capelli e peli in poche parti del corpo. E come l’uomo è insieme la creatura più intelligente e la meno irsuta, così di tutti gli animali la pecora è sicuramente il più stupido: e, guarda caso, è ricoperta dappertutto di peli. Insomma, fra capelli e senno non sembra correre buon sangue, visto che non c’è verso di farli stare insieme”. La strategia di difesa di Sinesio non fa per niente riferimento a pozioni varie e antidoti magici (e il mio pensiero corre al profluvio di sistemi anti caduta in cui oggi gareggiano le varie industrie cosmetiche), ma si basa esclusivamente sulla forza delle argomentazioni con cui riesce a persuadere il lettore. Chiaro che oggi sarebbe dav-

vero difficile convincere i giovani affetti da alopecia androgenetica a prendere “con filosofia” questa loro mancanza. Certo dogmatismo estetico imperante nell’attuale società impone, di fronte all’inarrestabile caduta, ai giovanissimi di radersi completamente, adottando un total look che fa pure trend, mentre ai più maturi di ricorrere a trattamenti intensivi o, di fronte all’insuccesso di questi, al trapianto. Sinesio nella sua apologia delle teste levigate giunge a dire che “la calvizie è prerogativa divina e conforme alla divinità; essa è il fine ultimo della natura, la condizione attraverso la quale si manifesta la nostra saggezza”. Ma vallo a dire oggi ai vari centri tricologici che sgomitano per accalappiare clienti. Maurizio Costanzo, celebre testa pelata ( fatalista come me),pronunciò una battuta memorabile: “L'unica cosa che arresta la caduta dei capelli è il pavimento.” La domanda più ricorrente per i rimedi della alopecia è: farmaci o rimedi naturali? Oggi c’è Crescina, una soluzione in fiale che promette miracoli in termini di arresto della caduta. Qualche anno fa, mi sottoposi con poca convinzione ad una visita gratuita (la feci solo per questo) in un centro tricologico leccese. Mi fornirono una diagnosi a tinte fosche. Nel giro di pochi mesi, mi dissero, sarei rimasto del tutto calvo se non fossi corso immantinente ai ripari. In verità, i miei capelli si sono diradati ma non ancora del tutto, cioè la loro situazione, pur critica, permane stazionaria (“la situazione dei miei capelli non è buona”, canta ancora Celentano). Sia chiaro non provo piacere nel diventare una testa d’uovo, però lo accetto con rassegnazione e penso che sia meglio perdere in peli che perdere la ragione. Ma ascoltiamo ancora Sinesio: “ se è vero, come è vero, che l’uomo è fra tutte le creature la più divina, fra gli uomini che hanno avuto la fortuna di perdere i capelli, l’individuo completamente calvo è in assoluto l’essere più divino sulla terra”. Così, dopo aver letto, se prima recitavo un mesto epicedio per i miei capelli che se ne vanno, ora invece celebro un allegro elogio della mia pelata.


Quando l’eco è luce spagine

O

letture

La poesia di Lara Carrozzo della domenica n°55 - 7 dicembre 2014 - anno 2 n.0

Ovvero: nel rimbalzo è il riflesso

ggi vado per Alchimie di eventi (che) “scan-da-glià-no bi-sb[i]glì(i)/e fruscii, in movimento/…” (fra e dove) “… Il dinamismo primordiale/dello specchio atavico/scandisce i battiti/sul pentagramma emotivo …” Sono sul come poeta Lara Carrozzo e leggo di Luce, di Poesie per altri “moventi”. Oggi cerco particolari per altre cause che possano spingermi a compiere un’azione nel riflesso. Non propriamente “i moventi” così come utilizzati da Lara Carrozzo e descritti da Emma Favia, per poesia nel PLUS, per scrittura di poesia di Bhoomans Editore. I miei non saranno “della storia”, e non per agire nel contraddittorio, ma, più semplicemente, per mordere meglio nel diverso e rigenerarmi nell’assecondare con la voglia di lettura, per trovarmi in amore|dolore|meraviglia, per il silenzio dei, nei particolari. Nella mia precedente recensione, per le liriche di più suono, in quel cercare “rumore” per scrivere, terminavo nel suono che s’attende alla luce di un tuono. Era il presagio del prima nel dopo. Ero certo che ci sarebbe stato e voluto, anche costruito, il necessario per assecondare altro ritmo poetico, il primario usato al “bianco” e sedimentarlo, costringerlo al plus. Da premessa emerge che, per leggere poesia occorre predisposizione. Non è semplice trovarla se è da essere per solo diversificare. Mi “spiego”. Cioè volgo il pensiero nel verbo di quel transitivo, di un detto necessario con: per “Chi?” e come fosse l’imperativo del leggere! Interrogarsi: Per “Cosa?” e giungere al secondo imperativo, scrivere! Ottenere è l’aprire, il voltare le pagine, per cantare, e la soluzione è presto trovata. Necessario il tempo, è l’indispensabile del supporre, ma si è già dinanzi all’accomodamento, proprio in quella predisposizione. Per dove? Sì, proprio nei primi versi, in dissolte esistenze, lì, dov’è descritta per mia |pre …|, dove ritrovo le mie ossessioni di scrittura in lettura. Lara me le concede, da subito, nel 9° verso, dove “immergono/l’intimo (mio) mosaico dell’anima, … ”. Breve o lunga che sia stata, ch’è la premessa per una lettura, con calma ho digiunato su tutte le poesie di Lara Carrozzo. Ho voluto percorrere il dapprima, il colmo del volutamente per mordere meglio e ritornare a riempirlo. Infatti, finito il percorso dei miei settantatré passi, compiuti per le liriche di una voragine emotiva, la motivazione nell’ossessione per il digiuno l’ho trovata.

Non è accaduto per merito mio. Le molliche per nutrirmi erano già state lasciate da un Pollicino tra le eco di luce in un fucsia brillante, adagiate indifferenti per come può cadere una mollica di pane, forse come per essere virgola, come pausa leggera. Chiedermi il perché di quella luce colore era nell’ovvio, era del |ri|leggere|. Infatti, per me che “piccio e in me bisticcio” per rendere, non solo il “ma” alla parola o al suo colore, erano più semplicemente i colori, lì, per sosta “obbligata”, non per riposo. Lara aveva predisposto nel suo incrocio verbale due plus stop indispensabili. Il primo nei versi: nei particolari(pag..81). Il secondo in La bambola (pag.87). Ciò accadeva non per solo guardarsi intorno ma per cadervi, come può (accadere|cadere): “Nei particolari dello sfondo mondano/” (ed) “ho denti aguzzi/per mordere meglio/il letamaio acerbo/di questo strano mondo/che non denuncio, /in assenza di tribunali reali.” Bene! L’inciampo è stato un ottimo mostrarsi poetando nella forza e nella disperazione. Sette sono stati i versi da me mordicchiati nell’aguzzo, tanti quanti possono essere i dolori per spade che trafiggono nel cristiano e nel laico. Francesco d’Assisi è quel: ”Nell’eterno ritorno dell’alba/entrate, nella dimensione dell’attesa/e mangiate il vostro ‘dentro’/sino alla frutta.” Alberto Moravia è quell’uguale esordio, il come può essere in: “Guardate come si dilegua la verità/povera e innocente/dinanzi all’emisfero cronico dell’indifferenza.” Versi pieni, dunque, e indispensabili per additare i particolari di una chiave all’indefinito mondano. Il mio “obbligato”, secondo abisso, è in La bambola. La bambola artefice e vittima. Da sempre è l’effimero, la trasposizione per un gioco al femminile. Per la bambola è il gioco del vestirla e denudarla, pettinarla, parlarle, coccolarla in mille e una ninna nanne, smontarla per ricostruirla, etc. Lara invece va oltre tale egoistica umanizzazione, l’aggredisce nel suo stereotipo con: “No … sta fingendo, /si nasconde dietro gli alberi .../una schiera indefinita di alberi/che sussurrano…” Fa meraviglia la scrittura che tratta delle umane biasimevoli cose del mondo e le attribuisce al disincanto, alle colpe di un esercito schierato, ad una bambola e al contempo pretendere altre visioni: “Uomo senza accento sfiora/il deserto del desiderio/e inciampa come la bambola …” La poesia può. Tutto questo … è il suo surreale: “il cerchio non si chiude mai/mentre tu sorridi parca /d’avanzi interminabili d’amore.”(pag.92) Può farlo se è: Nel (rim-bàl-zo) ch’è il riflesso (di una eco) di più Luce.

di Francesco Pasca

Pare che la bambola sia analfabeta del mondo… inciampa di continuo tra le avvisaglie del desiderio non lunare. Un esercito schierato ad ammirare le noie del tempo vede. E... lei... a... contemplare i giorni e le notti delle bellezze senza fine.. Senza fine la pelle Senza fine il ventre Senza fine la gioia ritrovata. Pare che la bambola sia astemia e disincantata… No… sta fingendo, si nasconde dietro gli alberi.. una schiera indefinita di alberi che sussurrano che il cielo sta cambiando colore: plumbeo germe della grazia si espande riflesso negli occhi cerulei… lontani.

Sempre sguardo da lontano che non afferra, ha la bambola. Mastica i nembi tra nervi tesi come corde rannicchiate in un angolo ad attendere una forma ancora non definita. Grovigli di pensieri tra gli accenti di una lingua nuova, da ritrovare, mentre imbalsamate le labbra cercano la linfa di un nuovo podere per vivere. Uomo senza accento sfiora il deserto del desiderio e inciampa come la bambola tra le avvisaglie del tuo io ignavo e deriso dal tempo perché gli accenni della carne sono i movimenti che conosci, mentre la bambola osserva, manichino del mondo, l’essere, che tenta le fughe, tra i ritmi dell’universo.

Lara Carrozzo, la copertina di Più luce, Bhoomans editore


É spagine

stato presentato sabato 6 dicembre, nella sala conferenze del Palazzo Baronale di Monteroni “Mena”, romanzo di Lucia Accoto per le edizioni Il raggio verde. Dopo l’intervento del sindaco Lino Guido la giornalista Paola Bisconti ha dialogato con la scrittrice . “Avevo un debito verso le storie che leggevo negli sguardi che incrociavo. Non potevo calpestare il guscio dentro cui vive il soffio della vita …”. La giornalista Lucia Accoto, che ha fatto conoscere i libri di moltissimi scrittori nelle diverse stagioni televisive del format che l’ha vista autrice e conduttrice del programma Tv “Libriamoci”, ha dato vita così al suo nuovo libro “Mena”decidendo di imparare nuovamente a parlare e decide di farlo soprattutto attraverso le labbra della gente tracciando “le storie del Sud come se fossero scorci imbastiti sulla tela di un racconto fatto di strade, di profumi, di speranze, di sospiri e di folate di vento”. Nel libro di Lucia Accoto, che fa parte della Collana ConTestiDiVersi, sono le atmosfere a vibrare. L’autrice scrive: “… Sono rimasta impigliata tra le parole silenziose. Le ho lette a caso su volti sconosciuti per incrociare e riconoscere le mie, per scartabellare e spillare i titoli sprofondati nell’oblio di un racconto mutilato. Mi sono alzata dall’ombra del barocco spingendomi verso la strada senza nome racchiusa nel resoconto di una terra svelata, ricamata, infatuata dei profumi negli ingressi delle case. Ho avuto l’illusoria devozione di una sposa, fedele all’infuso delle

fiabe. Ho dato una spolverata ai ricordi per non lasciarli cadere come marmo, per annusarli come fiori rampicanti, per non restare in disparte, per sentire ancora il vento quando tutto tace. Mi sono issata sul tronco delle parole per scorgere le tracce d’inchiostro sul carretto che ruota lettere e colpe, vita e ombre … ”. Il Sud con i suoi muretti a secco, con i fichi d’india che “Sembrano avere addosso il castigo delle loro colpe come donne marchiate a fuoco, perdute, che si vendono ai bordi delle strade isolate” rappresentano la vivacità di una terra che va conosciuta attraverso la semplicità, le piccole cose, gli aneddoti e soprattutto attraverso quelle parole riposte anche sul palmo della mano per essere lette da chi ha voglia di scorgere e comprendere il proprio tempo. Accattivante la copertina del libro “Mena” di Lucia Accoto, il dipinto “Apollo e Dafne” dell’artista Enzo de Giorgi che veste la scrittura, dallo stile narrativo raffinato, con colori avvolgenti, caldi come il sole del Sud.

etamorfosi è una raccolta di poesie, haiku, ossimori, paradossi ed aforismi della scrittrice romana Agnese Monaco. Il libro - “dedicato A mio Padre, il mio unico eroe ed a tutti coloro che, nonostante tutto, hanno ancora la forza di sorridere”, raccoglie i contributi critici di Norman Zoia, Michele La Porta, Alessandro D'Agostini, Sileno Lavorini, Stefano Piccirillo e Marlene De Pigalle. “Metamorfosi - scrive in una nota l’autrice - nasce dal mio rifacimento ad Ovidio. Nelle Metamorfosi vengono cantate in quindici libri più di duecentocinquanta miti rielaborati. Ogni episodio ha come origine una delle cinque forze motrici del Mondo Antico, ossia l’Amore, l’invidia, l’ira, la paura e la sete di conoscenza. Nella mia versione invece attraverso ossimori, aforismi, haiku, poesie e brevi pensieri racconterò l’origine dell’ego e le sue evoluzioni. Narrerò le mutazioni su un doppio livello, il primo derivante dall’età anagrafica, mentre il secondo ottenuto da influssi che circondano il quotidiano di ogni essere. A contorno di

questi due, arriva in soccorso la molteplicità dei generi letterari usati che sottolinea ulteriormente l’evoluzione e la metamorfosi stessa. Di fondo le forze motrici del mondo antico non verranno intaccate, ma saranno enucleate anche in questa versione a base di tutti i testi inclusi.” Obbiettivi: Analizzare ed evolvere l'arte nelle sue più ampie sfumature. Utilizzare la parola come strumento di uguaglianza. Ritrovare la purezza dei sentimenti, ormai celata dalla frenetica corsa nel quotidiano. Narrare l’origine dell’ego e le sue evoluzioni, sul piano delle mutazioni, in un doppio livello, il primo derivante dall’età anagrafica, mentre il secondo ottenuto da influssi che circondano il quotidiano di ogni essere. Osannare i veri valori della vita per la riscoperta degli stessi.

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Mena di Lucia Accoto

libri

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Lucia Accoto (1973), giornalista e autrice di programmi Tv. Dopo moltissimi anni nelle redazioni giornalistiche di varie emittenti televisive di Puglia è passata alla carta stampata come direttore responsabile dei periodici “Puglia da Vivere” e “Up! Il Magazine” per occuparsi infine della comunicazione sui social network.È editorialista per il portale Culturiachannel, è ancora autrice e conduttrice di vari format, scrive anche per altri siti online. Ha già pubblicato il suo primo libro Misteri e delitti nel Salento (Pensa, 2006).

12 € http://www.libritalia.net/contenuti/agnese-monaco Disponibile la prenotazione via mail: agnese.emme@hotmail.it http://www.libritalia.net/shop/libri/metamorfosi

da Il raggio verde

Metamorfosi

di Agnese Manco da LibrItalia


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chi è sempre racconti salentini

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vivo P

iccoli sussulti insoliti arrivano a sgorgare, al centro una donna, ancora nella stagione bella della vita coi suoi quaranta, amorevolmente contenta e in certo qual modo, se non specialmente, appagata - in armonia con i cieli, le costellazioni, i sentimenti e le usanze all’epoca dominanti – per via d’una squadra di sei figli partoriti in casa. Carattere buono, mite, generoso, disponibile, giammai una parola di troppo o accenni d’insofferenza, che mamma, che dolcezza di mamma! Porte di casa sbarrate ai malanni, solo qualche dolore di schiena e, a tratti, fastidiose irritazioni alle mani a causa dei tanti bucati, piccoli e grandi, fra sapone, lisciva e cenere per naturalissimi detergenti e sbiancanti, con l’ausilio di capienti tinozze fumanti d’acqua bollente e, poi, di braccia e di gomiti protesi su lignei “lavaturi”, nella pila lapidea appoggiata al muro del cortile. Una mattina, all’improvviso, durante una

breve pausa di solitaria tranquillità domestica, ella si trovò inopinatamente ad avvertire che qualcosa l’aveva aggredita, come se un subdolo mostro senza volto le fosse penetrato dentro. In quei tempi lontani, quando l’esistenza era vestita di semplicità, i drammi, soprattutto se imprevisti, assumevano le sembianze di autentiche calamità, lasciando attoniti gli animi di quanti rimanevano coinvolti o sfiorati. E però, nella donna, prevalse, o per lo meno si palesò in prima linea, la serenità, l’accettazione del fatto nuovo, dell’incognito. Fu l’occasione per l’ingresso, prima volta, nel presidio ospedaliero della zona, ai fini, diciamo così, d’un sopralluogo, d’una prima ricognizione sul corpo. In tale luogo di cura, prestava da poco servizio un giovane infermiere, conosciuto di vista giacché originario di Castro, il quale, accanto alle capacità professionali, sembrava sprigionare una spiccata, evidente-

di Rocco Boccadamo

mente innata, disponibilità. Trascorse poche ore, il ritorno a casa, l’attesa. Di lì a poco, dovette purtroppo seguire un altro lungo tragitto d’incertezza e insieme di speranza, avente per oggetto l’espletamento di attività di cura più cospicue, finalizzate a porre rimedio al “brutto incontro” col mostro. L’epilogo della vicenda occorsa alla giovane donna nell’estate della propria vita è stato, purtroppo, triste: difatti, sono quarantotto anni che ella se n’è andata, sebbene, a dire il vero, per qualcuno è ancora sempre vicina e presente. Così che, il di lei viso affettuoso s’affaccia discreto e sorridente anche in ogni circostanza d’incontro, per strada, lungo la litoranea, di fronte al mare azzurro, con il giovane infermiere di tanto tempo fa, il quale ormai veleggia intorno agli ottanta e, tuttavia, appare sempre fresco, disponibile e generoso d’animo: spontanea, la reazione d’indirizzargli un rosario di “grazie”.


in agenda - teatro

Come vogliamo vivere?!

spagine

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Compagnia Ammirata

All’Ammirato Culture House il 22 e il 23 dicembre

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unedì 22 e martedì 23 alle 21 presso l’Ammirato Cuture House la Compagnia Ammirata mette in scena “Come vogliamo vivere?!”, “una lettura poetica e sincera delle nostre vite e dei nostri sogni”. Siamo in una sala d’attesa di un ipotetico giudizio universale. Ci sarà concesso di vivere la nostra vita se saremo convincenti nella nostra “audizione” su come vogliamo vivere, se saremo all’altezza potremo fare lo spettacolo più importante della nostra vita: esistere. Una popolazione di nuove creature (o semplicemente di esseri umani) che portano alla gente e al pubblico dei teatri e della strada la loro visione del mondo, senza pretendere di dare insegnamenti o di essere i nuovi profeti, ma con la forza di una visione sincera di un proprio futuro possibile, nutriti dalle parole, da quelle dei classici, e indossando vestiti che diventano nuove livree di un mondo possibile. Una compagnia di nuovi santi, o animali di una mitologia contemporanea, compagnia di girovaghi convinti del potere dell'arte che può arricchire e trasformare il mondo e le comunità. Facendosi e facendo la domanda che è anche un'affermazione “Come vogliamo vivere?!”, la Compagnia Ammirata porterà così in scena “la favola, il sacrificio, l’indifferenza, la scelta, il silenzio, la consapevolezza, la differenza, l’abbandono, il tempo, l’arte, la volontà”. “Come vogliamo vivere?!” è di e con Maria Chiara Provenzano, Francesca Danese, Nicoletta Achille, Italia Aiuola, Ilaria Castrì, Fabio Margiotta, Alice Zompì, Sabina De Giorgi, Rosanna De Luca, Gianluca Preite. L’allestimento drammaturgico e la regia sono di Ippolito Chiarello, i costumi di Vize Ruffo, l’organizzazione di Marcella Buttazzo, la distribuzione di Francesca D’Ippolito.

La Compagnia Ammirata nasce all’interno dell’Ammirato Culture House grazie all’impegno di Ippolito Chiarello e della sua compagnia, Nasca Teatri di Terra, per trasformare il percorso di ricerca individuale approdato alla pratica del barbonaggio teatrale da anni sperimentata dall’attore-regista, in un’esperienza condivisa e allargata ad altri attori alla ricerca di un rapporto sentimentale con il pubblico. La Compagnia Ammirata si nutre della condivisione di un percorso collettivo, di un viaggio intimo e personale in un quartiere e nella città, addentrandosi nelle storie degli abitanti, costruendo racconti e relazioni, portando avanti delle inchieste minime a partire dai desideri degli abitanti. La compagnia e’ un piccolo avamposto di osservazione, ricerca e interpretazione della realtà attraverso il filtro espressivo del teatro. E il teatro attraverso questi interpreti ritorna ad essere piazza, agorà, luogo pubblico di discussione. L’attore diventa lo strumento di una riflessione, esistenziale, civica, politica che altrove non avviene. E in questo processo ha la responsabilità di rendere consapevole anche il pubblico, che non è il termine passivo della relazione, ma è sua parte attiva e fondante. Lo spettatore viene coinvolto, attivato nella riflessione, e deve anch’egli assumersi una responsabilità. La Compagnia Ammirata nasce anche con la sfida di poter contare per il suo sostentamento non solo sul possibile ingaggio a cachet di un teatro o grazie a un contributo istituzionale, ma anche e soprattuto grazie al contributo diretto del pubblico che la compagnia andrà a incontrare non solo in teatro ma anche per strada, nelle case e nelle situazioni non teatrali.


spagine

Al castello di Gallipoli

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in agenda

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i presepi della tradizione grottagliese

e sale del Castello di Gallipoli, ospiteranno fino a domenica 11 gennaio la mostra “Presepi d’autore” con quindici opere provenienti del Museo della Ceramica di Grottaglie. Si tratta di opere premiate nell’ambito della “Mostra del Presepe”, rassegna trentennale dedicata all’arte del presepe in ceramica. Curata da Daniela De Vincentis, responsabile del Museo della Ceramica di Grottaglie, la mostra è realizzata in collaborazione con l’assessorato alla Cultura del Comune di Grottaglie guidato da Maria Pia Ettorre.

La tradizione figulina grottagliese, pienamente attestata già in età medievale, si caratterizza per la varietà morfologica, iconografica, decorativa e tecnica con la quale sono stati realizzati nel tempo oggetti finalizzati a usi funzionali, cultuali o prettamente ornamentali. Parallelamente a questa produzione, già nel corso dell’Ottocento, l’artigianato locale realizza presepi in terracotta dipinta composti da figurine e paesaggi piccolissimi; pastorelli di ogni forma e grandezza con il Bambin Gesù sempre paffutello e sorridente nelle braccia di Maria accanto a Giuseppe; i Re Magi e poi i cavalli, le pecorelle, le casette, gli angeli e i pastori fra i quali l'immancabile “sbantusu”, personaggio colto in pieno stupore alla vista della stella. Si conoscono i nomi di alcuni maestri attivi tra la fine del XIX secolo e gli inizi del XX fra cui Petraroli, Manigrasso, Micera, Esposito e i Peluso, illustri specialisti del presepe per diverse generazioni. Nel tempo, l'antica tradizione figulina della città ha elaborato nuove forme artistiche che non hanno comunque dimenticato il modello presepiale tradizionale. I presepi selezionati per la mostra di Gallipoli offrono una sintesi stilistica, concettuale e mistica della concezione del presepe in ceramica, nella sua accezione più ampia, maturata nella seconda metà del XX secolo. Tra le molteplici forme interpretative dell'antica tradizione presepistica, si possono apprezzare presepi monoblocco o a figure mobili, complessi o di dimensioni ridotte, decorati su piatti o su pannelli, ma anche elementi scultorei dal modellato plastico imponente e vigoroso, ricchi di personaggi descritti analiticamente in cui forme e colori attestano la continua ricerca e la sperimentazione delle nuove tecniche ceramiche.

Oltre alla mostra, all’interno del Castello sarà allestita “Praesepium”, installazione realizzata dalla Bottega Vestita, storica bot-

tega di ceramisti sempre di Grottaglie. Ben 96 opere di terraccotta realizzate manualmente alla “ruota”, e modellati e decorati a timbro e a rotella come nell'antica tradizione della ceramica di Grottaglie. Le figure del presepe reinterpretano la tradizione delle "pupe", mentre gli alberi ricordano i famosi "pumi", elemento decorativo molto in uso sui balconi de1I'antico borgo di Grottaglie e dei centri storici del Salento, oggetto della tradizione “tornato” molto in auge negli ultimi anni.

Il Castello si erge all'ingresso del borgo antico di Gallipoli, città da sempre fortificata e, per la sua posizione strategica, contesa. È circondato quasi completamente dal mare. Ha pianta quadrata con torrioni angolari, di cui uno poligonale. Nei periodi successivi furono effettuati numerosi interventi di ristrutturazione e fortificazione. I lavori più importanti vennero progettati dagli Aragonesi. Quando il Duca Alfonso di Calabria venne nel Salento tra il 1491 e il 1492, condusse con sé il celebre architetto militare senese Francesco di Giorgio Martini e volle che questi rinnovasse le fortezze salentine secondo i progressi dell'arte della guerra, che tendeva ad abbandonare la conformazione quadrilatera ereditata dal sistema romano per passare al pentagono. Il senese, non potendo demolire e ricostruire ex novo, ideò il “Rivellino” mediante il quale rese di forma pentagonale l’intero maniero. Prima dell'Unità d'Italia, quando nel 1857 il castello venne radiato dal Novero delle fortezze del Regno Borbonico, perse la sua funzione difensiva, ma mantenne e anzi intensificò la sua funzione civile e soprattutto commerciale. Durante il 1800 divenne deposito di sali e tabacchi, oltre che sede della Dogana nel 1882 e, successivamente, sede della 17^ Legione della Guardia di Finanza. Nel 2014, in soli sei mesi, è stato reso fruibile un percorso di visita che mira a ricostruire la storia della città e dell’antico maniero, senza alterarne il carattere e senza avere la pretesa di essere un restauro integrale del monumento che richiederebbe ben altre risorse per ritornare agli antichi splendori. Orari: dicembre e gennaio 10 - 13 / 15 - 17 Chiuso il lunedì tranne festivi

Ingresso: intero 5 euro, ridotto 3 euro (6-14 anni, oltre 65 anni, scolaresche, diversamente abili e relativi accompagnatori, gruppi superiori a 20 unità). Visita guidata di gruppo su prenotazione in italiano, inglese o francese


la musica di spagine

spagine

della domenica n°55 - 7 dicembre 2014 - anno 2 n.0

Domenica 7 dicembre alle 19 la presentazione all’ Art & Ars Gallery di Galatina

U

n album che contiene famosi brani di musica popolare infarciti di Ska e Rock, con ritmi forsennati e carichi di energia che inducono il pubblico, soprattutto nei live, a ballare euforicamente o persino a "pogare", come nella migliore tradizione Punk. Un’installazione incentrata sui doppi sensi e l'ironia. Domenica 7 dicembre alle 19 all’ Art & Ars Gallery in via R. Orsini a Galatina viene presentato il disco "Machina Gialla" di IO TE E PUCCIA e l'omonima installazione di Fabrizo Fontana. A prima vista azzardato il binomio Fabrizio Fontana e Marco Perrone (in arte Puccia), così come azzardata può sembrare l'unione tra arte contemporanea e musica popolare ma è proprio la contaminazione tra varie discipline che ART and ARS Gallery propone spesso nella sua programmazione. Ripercorrendo le tracce del più noto cantante folk del Salento, Bruno Pe-

trachi (Lecce 1942 - 1997), la band salentina propone in questo disco sei brani popolari ed un inedito che ha già suscitato molte polemiche con un video amatoriale, tanto da essere rimosso da Youtube. Una musica senza fronzoli, genuina, schietta, (mannaggia la marea, la marea de lu mare, comu te giri giri sempre arrethu l'hai piare. Aria Caddrhipulina) romantica. ma quasi sempre a doppio senso, (Lu Pascalinu tou te la sta face e tie te la sienti 'ntra lu liettu. Lu Pascalinu tou, versi di Vincenzo Pizzi, musica di Paolo Grimaldi), ironica con un malcelato maschilismo, e soprattutto coinvolgente. Canzoni che ricordano le vecchie e fumose "putìe" (osterie) presenti in ogni paese salentino, dove ogni stornello era accompagnato da un mezzo quinto di vino e le canzoni venivano storpiate fino al punto di diventare altro. Ognuno era libero di trasformarle a proprio piacimento, creando così nuovi ritornelli e nuovi doppi sensi, tramandati fino ai nostri giorni, intrisi

di goliardiche oscenità direttamente proporzionali al tasso alcolemico del momento. Fabrizio Fontana oltre a realizzare il progetto grafico del disco, ha anche realizzato per l'occasione 9 opere di varie dimensioni che compongono il nome del gruppo. Fontana inoltre è un cultore ed un appassionato di musica Rock ("la copertina è una chiara citazione di Never Mind The Bollock dei Sex Pistols, un'operazione analoga a quella fatta dai Clash in London Calling, dove il grafico, nell'occasione, citava la famosa copertina di un disco di Elvis) e alcune suo opere sono utilizzate in importanti videoclip di artisti come ABAN e Caparezza. IO TE e PUCCIA sono Marco Perrone/Puccia (Après la Classe) / voce, fisarmonica, Manu Pagliara (Bunda move) / chitarra, Mike Minerva (Bunda Move) / basso Gabriele Blandini (Bunda Move) / tromba, Gianmarco Serra (Après la Classe) / batteria Edo Zimba / tamburello


spagine

l’iniziativa

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Oggi, domenica 7 dicembre alle 18.00 in P.zza S. Oronzo a Lecce il flash mob fiocco umano & incursioni teatrali a cura di Rosanna De Luca & Sabina De Giorgi

Storie di resistenza quotidiana

a un virus dimenticato

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Viviana Bello della Lila, 1 dicembre 2014

ontinuano le iniziative di LILA Lecce in programmazione per la Giornata Mondiale contro l'Aids celebrata lo scorso 1° dicembre. Ancora una volta i volontari e gli attivisti scenderanno in piazza a testimoniare l’impegno e l'urgenza per continuare a lottare contro l’AIDS anche, o forse soprattutto, in giorni diversi dalla Giornata Mondiale, perché come denuncia Viviana Bello - presidente della sezione locale della Lega Italiana per la Lotta contro l'Aids- “il primo dicembre non può essere l'unico giorno di attenzione sul tema ma, semplicemente, dovrebbe essere un giorno in più. Un giorno in cui -aggiunge- prendiamo il megafono in mano e urliamo anche per chi la voce non ce l'ha.” Così, alla vigilia dell'Immacolata, nella centralissima p.zza S. Oronzo alle ore 18.00, le attrici Rosanna De Luca e Sabina De Giorgi attraverso brevi incursioni teatrali desteranno l'attenzione dei passanti raccontando loro storie di resistenza quotidiana a un virus dimenticato, tratte da storie vere di persone sieropositive. Collateralmente un Flash Mob/Installazione di un Fiocco Umano. “Un modo - continua Viviana Bello - per far entrare nella quotidianità ciò che sembra essere dimenticato. Un modo, quindi, per continuare a informare, sensibilizzare e far riflettere, ma anche per stimolare i passanti a prendere una posizione, seppur simbolica, contro l'Aids e sostenere quel drappo lungo sette metri e incrociarlo per formare il “Red Ribbon”, simbolo della solidarietà alle persone sieropositive e ai malati di Aids.” Tra le iniziative anche una giornata di promozione del test hiv c/o Day Hospital Malattie Infettive “V. Fazzi”, Lecce prevista l'11 dicembre dalle ore 7.30 alle ore 13.00. Un giorno e in un'ora precisa, quasi come fosse un flash mob in cui dalla lotta si passa a una scelta, chiara e responsabile, e poi all'azione, quella di fare il test HIV!

Una giornata di promozione del test hiv c/o Day Hospital Malattie Infettive “V. Fazzi”, Lecce è prevista per l'11 dicembre dalle ore 7.30 alle ore 13.00


spagine

poesia

della domenica n°55 - 7 dicembre 2014 - anno 2 n.0

copertina

La Cultura dei Tao un audiolibro da Spagine per presentare il “pensiero” del poeta, scrittore e operatore culturale salentino Antonio Leonardo Verri Con l’introduzione di Eugenio Imbriani Per le voci di Angela De Gaetano Simone Giorgino, Simone Franco Piero Rapanà, Alessia Tondo e i suoni di Valerio Daniele La cura editoriale di Mauro Marino e la grafica di Valentina Sansò

La Cultura dei Tao” - il testo che Spagine – Edizioni Fondo Verri ripropone come audio-libro - è stato pubblicato la prima volta nel maggio del 1986, ad introduzione del catalogo della mostra fotografica itinerante “La cultura contadina”. L’iniziativa fu promossa dalla Scuola Media II° nucleo del Distretto Scolastico n°42 di Maglie (presidente il professor Giuseppe Chiri) e dalla Regione Puglia - Assessorato alla Pubblica Istruzione. In una nota del catalogo i curatori si ringraziano il signor Giuseppe Bernardi che mise a disposizione, per le fotografie, il materiale del Museo della Civiltà Contadina di Tuglie. Coordinatore del progetto fu Pino Refolo, le foto furono realizzate da Yellow Serigrafia di Maglie, la stampa fu a cura della Litografia Graphosette s.r.l. di Taviano. La cultura dei Tao è un testo fondante per chi vuole conoscere la materia visionaria di quest’uomo nato in questo Sud d’Oriente, a Caprarica di Lecce il 22 febbraio 1949. Il 9 maggio del 1993, un incidente stradale lo tolse alla vita e alla sua famiglia e ai suoi tanti sodali, divenuti orfani di quel “Naviglio” che tutto poteva contenere. Lo tolse alla Madre - la Mar – celebrata nella Cultura dei Tao - nell’incessante dialogo che fa la terra culla del “cercare”… La riedizione del prezioso testo introdotto da Eugenio Imbriani, unitamente ad un cd-audio registrato e sonorizzato da Valerio Daniele per le voci degli attori Angela De Gaetano, Simone Giorgino, Simone Franco e Piero Rapanà e della cantante Alessia Tondo, nasce con l’intento di tenere viva l’attenzione su Antonio Leonardo Verri, sulla sua straordinaria e tragica vicenda umana e sulle sue parole soprattutto. Antonio L. Verri cercava il filo di una letteratura possibile “fatta di fole e di angiolesse, di orchi benevoli, di tao…” la sostanza della cultura contadina di un Salento sempre sospeso tra realtà e magia.


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