della domenica n°63 - 8 febbraio 2015 - anno 3 n.0
Periodico culturale dell’Associazione Fondo Verri
spagine Un omaggio alla scrittura infinita di F.S. Dòdaro e A. L. Verri
La destra dei cannibali
spagine
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ualche anno fa, credo nel 1996, la scrittrice Isabella Santacroce pubblicò il romanzo “Destroy”, con cui si avvicinò al movimento di giovani scrittori noti col nome di Cannibali. Attento per ragioni professionali ai movimenti letterari giovanili e per ragioni politiche a tutto ciò che era o richiamava qualcosa di destra, incuriosito da questo romanzo che in qualche modo per allitterazione faceva pensare alla destra, lo lessi. Ne rimasi deluso, non solo per motivi estetici e contenutistici, così pieno di anglismi come un’oca farcita, ma anche perché non aveva niente a che fare con la destra. Destroy significa distruzione. Almeno il titolo era rispondente alle atmosfere del romanzo. Non aveva niente a che fare – dico – ma oggi mi devo ricredere. Il verbo to destroy, a cui la scrittrice pensava, oggi calza a pennello alla destra politica italiana. Perfino il nome, “cannibali”, che fu dato al movimento, ben s’attaglia a quanto sta accadendo al partito che è di Berlusconi e Fitto, ma che è stato anche di Fini e di Alfano. La destra di oggi è in pieno vigore distruttivo, cannibalesco. Ormai ciascuno si avventa sul vicino addentandolo, come spesso fa il calciatore uruguagio Suarez, che, nel corso di una partita ai campionati mondiali dell’estate scorsa, aggredì a morsi il nostro Chiellini. Tutti contro tutti. L’elezione del Presidente della Repubblica ha riaperto i termini di una spaventosa resa dei conti granguignolesca, iniziata un po’ di anni fa. Berlusconi, come Saturno della mitologia, ha trangugiato tutti i suoi figli, uno dopo l’altro, per paura di essere spodestato da uno di essi: prima Fini, poi Alfano ed ora si appresta a divorare anche Fitto. Si è salvato il solo Renzi,
come riuscì a Giove con Saturno; fortunato, a dire il vero, perché, quantunque il più berlusconiano di tutti, il fiorentino non si trova alla portata delle fameliche zanne del padre cannibale. Premessa, questa, formalmente dissonante con la materia politica, ma efficace metafora per capire quanto sta avvenendo nella destra politica italiana. Solo dei ciechi non riescono a vedere ciò che era chiaro fin dagli esordi di Berlusconi, ossia dal 1993-94, quando fece la famosa discesa in campo. Allora, però, margini di credito nei suoi confronti ce n’erano a sufficienza, in atmosfere giustizialiste e antipolitiche che percorrevano da cima a fondo la Repubblica. Chissà che questo signore non riesca a risolvere i problemi italiani! Questo si pensò, e lui fu ancor più favorito da come in seguito si misero le cose politiche, in senso bipartitico. Sicché se uno era di centrosinistra si schierava e votava per il suo candidato; e lo stesso accadeva per chi era di centrodestra. In simili condizioni non si possono fare tanti ragionamenti, tanti distinguo, né si può essere schizzinosi: o si sta da una parte o si sta dall’altra. Tanti hanno votato Berlusconi pur non condividendo né l’uomo né il programma, per appartenere alla stessa area politica, anche con la speranza che prima o poi la situazione evolvesse in senso più dignitoso. I Fini e gli Alfano sono finiti nelle sue fauci perché a turno ognuno di essi ha cercato di forzare i tempi di una improbabile successione, per dare finalmente alla destra una dimensione meno legata all’uomo e agli affari, che rappresentava e incarnava, e meglio si contestualizzasse nello scenario politico europeo. Ma ora, che dal 1993-94 ci separano più di venti anni e abbiamo tantissimi motivi per capire che Berlusconi, come
di Gigi Montonato
persona politica è assolutamente screditata e finita, come si può continuare a dargli credito? Come si può stare con lui e fare il tifo quasi fosse la squadra di calcio del cuore? Come si può barattare una legge, una riforma, un accordo politico strategico con un contentino per Berlusconi, con una sua personalissima e – se mi è consentito – immeritatissima riabilitazione? Tutto questo è semplicemente mostruoso, sia dal punto di vista morale che dal punto di vista politico. Eppure il credito glielo danno. E non solo i suoi di Forza Italia. Glielo danno commentatori politici vicini e lontani da lui, e continuano a considerarlo sulla breccia, come un vecchio campione che ancora resiste, una specie di Totti o di Del Piero. Gode ancora di credito e di appoggi per ragioni elettorali. E’ pur vero che il suo partito, Forza Italia, è ridotto all’osso, che la Lega e tutte le piccole formazioni di destra, eredi del fu Msi-An, non prendono ordini da lui, non si uniformano alle direttive del suo partito, si propongono come altro. Ma, al momento in cui si va a votare, quale che sia il sistema elettorale, sono costretti ancora una volta ad unirsi se non vogliono essere cancellati dalla carta politica. Così ricomincia daccapo la storia che abbiamo visto in questi vent’anni. Aggregarsi e disgregarsi alla ricerca di dar forma a qualcosa di più chiaro e consistente, senza – purtroppo – riuscirvi. Berlusconi, peraltro, serve al sistema politico alimentato dalla furbizia di Renzi. Il quale, sfidando il decoro proprio e l’irritazione altrui, voglio dire dei suoi, dopo aver richiamato Berlusconi dagli inferi, lo tiene in vita. Finché c’è Berlusconi a destra, infatti, non ci sarà mai l’incipit di una nuova vita politica; e lui, Renzi, potrà continuare a fare quel che vuole, utilizzando i resti insignifi-
diario politico
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canti di Berlusconi per surrogare i resti insignificanti dell’opposizione del suo partito, come è accaduto nella circostanza della legge elettorale, detta Italicum. Intanto il furbastro fiorentino fa il berlusconiano in tutto e per tutto. I responsabili alla Scilipoti, inventati da Berlusconi pecunia praesens, sono riediti da lui, come dimostrano i senatori
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di Area Civica che accorrono in questi giorni senza pudore in soccorso del vincitore. E intanto a destra, tra Berlusconi, Fitto, Brunetta, Verdini, Gasparri, la Santanché e la Biancofiore, a pugni, a schiaffi, a calci, ad unghiate e a morsi è sempre più destroy!
La copertina di Destroy di Isabella Santacroce, Feltrinelli
La vicinanza della redazione all’amico e prezioso collaboratore Antonio Zoretti ia madre si sta spegnendo, non c’è forza per rianimarla, anche se morrà di nuovo, prima del mio tempo di veglia. Il mio dolore – pur grave – è forte pulsione, e i miei occhi piangono soltanto nel guardare lei.
l’albero della Vita! Annoso distinguo: Vita-Morte, del mondo sovrani discorsi. Ora tutto comprendo e il mondo mi è chiaro in breve carta e tutto abbraccio, anche le vite di altri. Dopo quel momento innominabile sentirò il movimento del cuore che batte di speranza, desiderio d’amore per un essere terreno. Eppure io vivo, ho la forza e la tempra degli uomini viventi. E poi, al mio compito… Antonio Zoretti Patire sventura è la vita: ma l’albero della Morte non fu mai
U spagine
ltimamente, il Guardasigilli Andrea Orlando ha sottoposto all’attenzione delle Camere l’annuale relazione sull’amministrazione della Giustizia. Per quanto riguarda, in particolare, l’emergenza carceraria, la situazione è in leggero miglioramento. Purtuttavia, nelle prigioni italiane si continua a vivere in uno stato di perenne desolazione. C’è chi decide anche di farla finita, di suicidarsi. Il sovraffollamento è sempre insopportabile e la promiscuità supera i livelli di guardia. I sindacati di polizia penitenziaria si lamentano continuamente. I detenuti, in alcuni posti del Belpaese, vivono in celle asfittiche, stesi in branda 22 ore al giorno per passare il tempo, senza possibilità di stare in piedi, costretti a fare i turni per mangiare. Sovente i politici s’appellano, nei loro discorsi, alla sacralità della vita umana. Vorremmo davvero che la vita fosse sacra e intangibile per tutti. Anche per i cosiddetti “anelli deboli” del sistema. Antigone, A buon Diritto, i Radicali italiani da tempo denunciano: “le carceri sono fuorilegge”. Marco Pannella è il più chiaro di tutti: “Bisogna interrompere questa fragranza di reato, questa violazione dei diritti umani, del diritto internazionale, europeo e costituzionale”. Rapporti e dossier giornalistici testimoniano l’anatomia d’un disastro. Nelle carceri si muore di malattia e di suicidio, si assiste ad abusi di potere, v’è una scarsa applicazione delle misure che consentirebbero ai detenuti di lavorare. Ma si può tollerare che povericristi siano relegati in vere e proprie gabbie di pochi metri quadrati senza ricambio d’aria né di luce? Una condizione di “cattività” che accentua stati depressivi, che toglie ai carcerati ogni possibilità di riscatto e recupero sociale. Ma si può continuare a morire per “cause non accertate”? Evidentemente, la promiscuità è un soffocante macigno, che grava sulla esistenza di chi fra le dure sbarre non intravede nemmeno fiochi spiragli di luce. Mancano gli agenti e il personale riabilitativo. E se il carcere non è in grado di definire accettabili percorsi di reinserimento e di risocializzazione perde la sua funzione primaria. I vari governi, succedutisi alla guida del Paese, hanno provato ad affrontare una situazione grave. Ma sono passati gli anni, nessuna soluzione di valore è stata prospettata. I sindacati penitenziari si chiedono ancora oggi quale fosse davvero il tanto decantato “piano carceri” d’un trascorso governo Berlusconi.
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Contemporanea
Il carcere fuorilegge di Marcello Buttazzo
E lo stesso rampante Renzi sull’argomento non ha idee precise. Se l’illegalità regna nelle prigioni, anche la nostra coscienza di uomini liberi urla, si lamenta. Se un essere umano non è più un essere umano, s’approfondisce un solco nel connettivo democratico. Cosa fare, dunque? Gli esperti di Antigone avanzano al ministero della Giustizia suggerimenti concreti, finalizzati a favorire la reintegrazione dei detenuti. Antigone propone di aprire le celle per almeno dieci ore al giorno, di creare all’interno del carcere laboratori e aree verdi, di introdurre il web per informarsi, partecipare alla vita pubblica e consentire di comunicare con i parenti attraverso posta elettronica. E altro ancora. Comunque dovrebbe essere, per l’innanzi, la politica a sanare un vulnus profondo, inoltrato nelle carni d’una società ferita. Certe paure irrazionali e le derive securitarie non dovrebbero mai prevalere sulle necessità, sulle sofferenze di chi vive rinchiuso, avvilito, in pochi metri quadrati, in celle sporche e senza servizi, nella più totale violazione delle più elementari norme di convivenza e dei trattati internazionali.
Obbedire alla sacralità della vita umana vuol dire, preminentemente, rispettare la Carta dei diritti umani, che è un fulgido esempio di democrazia attiva, spesso disattesa, straccciata. La richiesta legittima non è quella di voler svuotare le carceri ad ogni costo, a prescindere, ma è quella di dare respiro e dignità alla vita delle persone. L’Osservatorio permanente sulle morti in carcere testimonia, in questi giorni, che fra le sbarre si muore di continuo anche per malattia. Questa dolorosa evenienza deve interrogare a fondo le coscienze e attivare il diritto. Deve allertare la politica, che non può più tergiversare, non può più proporre soluzioni inadeguate ed artificiose. Quando apprendiamo che circa il 40% dei detenuti sono tossicodipendenti e malati psichici, evidentemente ci troviamo al cospetto di conti che non tornano. Malati, tossicodipendenti, piccoli spacciatori, migranti, soggetti di nessuna pericolosità sociale popolano le nostre prigioni. Sarebbe ora che i parlamentari guardassero in faccia la realtà con occhi più chiari, rinunciando almeno parzialmente alla “retorica della vita” per aderire strettamente alla prosa dell’esistenza.
Semi di vita spagine
la riflessione
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Storia di Elsa, Gerardo e della piccola Gema simbolo della riconciliazione Usa - Cuba
impatriato Gerardo Hernandez e Gema ha il suo papà… e questa è una storia d’amore che sarebbe piaciuta tanto, che piacerà di sicuro ad Elsa, Elsa Cayat, la psicoanalista che, più d’un mesa fa, il 7 gennaio, proponeva ai suoi amici di “Charlie Hebdo” per la sua rubrica un testo su “ La capacità d’amare” . Non lo sapremo mai, il contenuto; chissà dove sarà in questo momento Elsa, il suo canto all’amore, chissà in quale angolo dell’universo sono accolti, giorno dopo giorno, questi giorni orribili, gli spiriti di uomini e donne che il caso ha deciso diventassero da vittime, eroi caduti della nostra contemporaneità, catturati, decapitati, bruciati, falciati da colpi d’arma da fuoco. Ad Elsa che si interrogava sulla capacità d’amore, certo piacerà questa storia, quella del cubano Gerardo Hernandez da cui siamo partiti. “Sedici anni prigioniero per spionaggio negli USA, è riuscito ad avere una figlia da sua moglie, grazie alla fecondazione artificiale. Lui in America e lei a Cuba. La Casa Bianca autorizzò l’invio dello sperma, un gesto di buon vicinato. Così la piccola Gema, appena nata, è il simbolo della riconciliazione, dopo 50 anni di embargo. Gerardo ora è a Cuba, grazie allo scambio di detenuti politici. Adriana, la mamma, ha aspettato più di Penelope per il rimpatrio di questo eroe della patria e della sua vita.”(da il venerdì di la Repubblica 30 gennaio 2015; notizia del sito ufficiale Cubadebate.com). Chissà se sarà piaciuta ad Elsa questa storia d’un seme d’uomo innamorato che viaggia nell’aria sino a raggiungere la
di Giuliana Coppola
sua donna e dare origine ad una nuova vita. Chissà se avrà fatto in tempo ad ascoltare questa storia Moaz al Kaseasbeh, prima di ritornare ad essere cenere; prima che, pulviscolo nella luce, si sperdessero nel vento i pensieri suoi giovani, innocenti ed inermi; così d’un tratto, per farmi coraggio, ho pensato che anche il pulviscolo di Moaz, come seme viaggia nella luce che i nostri antichi padri chiamavano “madre degli occhi”. E per la luce, per il sole, per gli eroi caduti fuori e prima del tempo, intonavano il peana. Ecco, ho pensato; ogni seme genera vita se cade su terreno fertile; questo terreno fertile, pronto ad accoglierlo, potremmo essere noi che con la nostra scrittura, possiamo carezzare i semi di vita e inventare per loro un peana, moderno,dei nostri tempi, che raccolga dolore e paura e orrore e angoscia ma anche la certezza che la morte, pur se crudelissima, rende immortali, a patto che diventino memoria e storia condivisa tutti coloro che attraversano il nostro cammino; proprio come gli eroi che il mito ha voluto semidei, sospesi tra terra e cielo, tra umanità e divinità, per sentire le voci della terra e portarle poi subito sul piatto della bilancia di Zeus che soppesa e giudica e decide. Protettori e rigeneratori di vita, questi eroi, patrimonio comune dell’arte, della poesia, della scrittura. Un peana, dunque sia la nostra sfida; un canto corale ma lieve di pensieri, che racconti di Gerardo, Adriana e Gema, che parli di eroi della patria e della loro vita, che narri ancora di Penelopi, ad accompagnare semi di vita in pulviscolo di cenere nella luce “madre degli occhi” e loro, tutti loro, saranno per sempre.
spagine
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Il ritratto di Dante Alighieri conservato agli Uffizi a Firenze
a la lingua italiana non era (è) la più bella del mondo? Utilizzarla come si deve, con conoscenze anche minime, consentirebbe a tutti di potersi esprimere correttamente con tutte le sfumature colorate delle parole, dei motti. Invece assistiamo ad un fenomeno bizzarro che va sempre più facendosi regola di vita. Sembra che molti italiani (a partire dai piani alti delle istituzioni) si vergognino della loro lingua. Disconoscono i congiuntivi, gli avverbi, trattano grammatica e sintassi come mai farebbero con i loro computer, al punto di adottare maldestramente altri idiomi. Conoscere l’inglese è ottima cosa, utilizzare e conoscere lì’italiano dovrebbe essere un obbligo etico, morale, civile. Quando ci fu l’emergenza AIDS in Spagna, che sono persone assolutamente normali, lo chiamarono SIDA (Sindrome da Immuno Deficenza Acquisita), da noi no, noi siamo americani. E quando qualche esponente del governo va all’estero e tenta di parlare in inglese o francese, i pateracchi sono evidenti al mondo intero. Non si vuole parlare italiano pur non conoscendo le altre lingue (inglese maccheronico e matteo renzi ) Altro che Totò. A sentire La Russa o Renzi in conferenza stampa si comprende come mai in America si diceva “Italians macaroni” non sbagliavano poi molto. C’è solo un piccolo distinguo, gli emigrati italiani avrebbero voluto parlare la loro lingua, i
cose nostre
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L’italiano,
fragile lingua
loro dialetti, questi sono improvvisati guappi che giocano a fare gli statisti facendo fare all’Italia intera figure di palta. In patria il governo dei belli e giovani chiama jobs act una cosa che, se letta come forma ufficiale, si chiama “Disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell'occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese” e che avrebbero potuto semplificare con, che so, norme per il lavotro dipendente. Invece no, ammercicani siamo. Ad essere maligni verrebbe da pensare che non vogliono divulgare la conoscenza della lingua inglese, piuttosto nascondere sontto nebbie fitte le loro porcate. Le truppe stanno all’estero non già in missione di pace ma, vuoi mettere la differenza? in Peace-keeping. Le chiamano pomposamente così, per nascondere missioni di guerra (war). E il fenomeno dilaga anche fuori dal palazzo, un tempo c’era il parrucchiere (per uomo o donna) oggi c’è l’hair system, c’è la Baby sitter e il dog sitter, un’anglomania all’amatriciana in sostanza. E la cosa mica finisce qui, anche all’expo che deve essere la vetrina dell’Italia nel mondo intero. Più che di esposizione universale si potrebbe parafrasare Alberto Sordi “macaroni, m’hai provocato e io te distrugo”. Parliamo del famigerato e tristissimo Very Bello pescato direttamente dagli emigrati che in America dicevano “di Bruchellino songo”. Con tutto il rispetto per gli emigrati, ovviamente e il disprezzo per chi
di Gianni Ferraris
utilizza soldi pubblici per queste porcate (oltre che per pagarsi mutande verdi). Che dire poi del meraviglioso ed inebriante “Acquatic Education”, visto negli spot di una campagna sociale italiana su acquaticità e sicurezza promossa da un’associazione italiana e patrocinata dal Ministero della Salute e da altre istituzioni italiane? In inglese però aquatic si scrive senza C. (Chiedete a La Russa se non è vero) …E, alla fondazione fiera di Milano, ( che ha coniato) il terrificante inglesismo exhibitionist come nome di un sito, exhibitionist.it su twitter, in vari eventi e per un premio, L’Exhibitionist Award. A quanto pare nessuno si è reso conto che in inglese exhibitionist vuol dire “esibizionista”. In inglese L’Exhibitionist Award fa pensare ad un riconoscimento per chi ha problemi di esibizionismo. (Chiedere a Renzi per conferma) (fonte: http://blog.terminologiaetc.it/tag/inglesefarlocco/). Un interessante articolo su Internazionale conclude con queste parole: “La nostra lingua al momento sembra di fatto interessare più gli altri. Sono loro che la amano, la scrivono, la diffondono. E forse non è un caso che il primo ambasciatore della lingua sia proprio papa Francesco che con la sua simpatia sta spingendo più di una persona a iscriversi a un corso d’italiano. Purtroppo in Italia manca un serio investimento sulla lingua e il paese rischia di perdere anche il treno dell’Expo. Una fragilità che ci costerà molto in futuro, se non troveremo presto una soluzione”.
spagine
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L’abecedario di Gianluca Costantini e Non nasceva niente così notavamo ma era la natura che nascondeva sotto la neve il nettare… Miele mescolava
Maira Marzioni
la Madre al manto, maestra millenaria ci mostrava così come matura la neve in miele, il nostro niente in meraviglia.
l’arte di costruire la città
Il curioso caso del chiostro (o è un cortile?) dei Celestini a Lecce spagine
L
a vita leccese si è arricchita in questi ultimi mesi di un ulteriore dibattito; di quelli, per intenderci, di cui non potevamo fare a meno a dire il vero, di quelli in sostanza che costituiscono il fondo di quel curioso vaso di Pandora che talvolta l'altra Lecce, quella “coolturale”, quella salottiera, quella dei “culacchi” ci riserva. Parliamo in particolare della questione dei parcheggi all'interno del chiostro dei Celestini Questo spazio è stato solo fino a qualche tempo fa ricolmo di auto, fino a che cioè un accordo fra Provincia di Lecce, Prefettura e Soprintendenza locale ha ridotto le auto a solo 12 (sei della Provincia, sei della Prefettura). A dire il vero a questo caso potrebbe ben applicarsi il detto famoso “ fatta la legge trovato l'inganno” che diventa ancor più clamoroso alla luce dei soggetti istituzionali chiamati in causa. In sostanza cosa è accaduto agli inizi di Agosto del 2014? Le auto non si possono parcheggiare più nel chiostro? Benissimo! Le parcheggiamo al di sotto delle arcate del portico. Di fatto la “legge” sembrerebbe essere rispettata: niente auto nel chiostro, che poi i portici possano far parte del chiostro stesso questo poco conta. Scherzi a parte l'aspetto positivo è legato al fatto che il numero delle auto si è ridotto solo a 12 come detto. Troppe? Forse sì. E' possibile ridurle ulteriormente? Forse sì. Detto questo è detto proprio tutto? Assolutamente no perché si è assistito in questi ultimi tempi ad una recrudescenza o meglio ad una estremizzazione delle richieste: niente auto nel chiostro nella maniera più assoluta. Il cliché è lo stesso della migliore tradizione ed è quello di “una battaglia per la vita” o meglio quello di una crociata popolata di tanti e ancora tanti paladini di ogni genere per competenza ed estrazione culturale e politica. Per comprendere meglio ancora il vero spirito dell'intera vicenda basterebbe prendere in considerazione le centinaia di pagine dedicate all'argomento dai quotidiani locali dove lo spazio vuoto al centro del convento dei Celestini viene definito ora
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atrio, ora chiostro. Questi due termini non sono sinonimi. L'appropriatezza delle parole non è cosa secondaria perché essa denota quanta reale conoscenza si ha della storia architettonica di un edificio e di ciò che in esso è stato ospitato. Chiamiamo pure quello spazio “cortile” ma l'edificio allora è quello del Palazzo “del Governo” e prima ancora “dell'Intendenza di Terra d'Otranto”; se l'edificio è il convento dei Celestini allora quello è un “chiostro”. Qualcuno potrebbe anche parlare di chiostro cinquecentesco, e non lo è, almeno non solo. Quanti fra quelli che hanno espresso un loro parere sulla questione “auto sì, auto no” hanno frequentato qualche archivio cercando di capire la storia di quell'edificio? “Il chiostro va sgombrato dalle auto in virtù della legge”, si è sentito dire anche questo. Quale legge? Forse la stessa che ha consentito di risolvere in un modo tristissimo la vicenda dei ruderi che sono sotto l'area della ex caserma Massa a Lecce? E' chiaro che tutta la vicenda del chiostro dei soppressi Celestini andrebbe risolta in modo diverso senza estremismi ed integralismi perché i beni architettonici non possono diventare il campo di battaglia per affermazioni personali o peggio ancora per scopi pubblicitari e di bassa politica; essi vanno tutelati anche e soprattutto da questi rischi. Curiosamente nelle centinaia di pagine scritte e riscritte sulla questione “auto nel chiostro” sembrano assenti le due sole domande in grado di risolvere la questione: 1) la presenza di mezzi di trasporto è storicamente compatibile con lo spazio del chiostro? 2) la presenza di auto è dimostratamente dannosa per quel chiostro? Nella certezza di non fare un torto a nessuno si ricorda che attorno al chiostro esistevano storicamente tutta una serie di ambienti di servizio al convento destinati addirittura al lavoro dei monaci: cucine, cantine, depositi e quindi la presenza di mezzi di trasporto (in quel caso carri) non era una assurdità. Magari un monaco in preghiera camminava sotto al portico al fianco di carri. Questi ultimi non ci sono più
di Fabio A. Grasso
e sono stati sostituiti da mezzi come le auto, molto più sicure. E' pertanto solo una questione di quantità dei mezzi presenti. Per quanto riguarda l'altra domanda ovvero quella del danno specifico delle auto (inquinamento, vibrazioni) sul chiostro e su tutto l'edificio in generale, non sembra siano stati presentati studi specifici. E se poi ci si appella ancora una volta alla legge, ebbene, allora applichiamola in ogni dove: impediamo alle auto di passare sotto a Porta Rudiae, blocchiamo il traffico sulla strada che costeggia la Prefettura (chissà le vibrazioni delle auto o dei camion possono creare danni notevoli all'immobile), blocchiamo l'accesso delle auto al cortile di palazzo Chigi, e così via. La legge o è uguale per tutti ed è sempre valida oppure non lo è. Battute a parte questa vicenda la si risolve senza integralismi: se possibile si riduca il numero delle auto (solo sei potrebbero bastare?) e se ne consenta l'accesso esclusivamente dalla porta maggiore verso i giardini pubblici; le stesse, infine, si parcheggino non sotto i portici ma nel chiostro a ridosso dei pilastri. In materia di beni culturali e architettonici in particolare le domande da porsi, almeno a Lecce, sono ben altre: quando si fanno i restauri di edifici storici importanti siamo proprio sicuri che vengano fatte le adeguate ricerche storico-tecniche? E vengono fatti rilievi metrici adeguati? E perché, ad esempio, recentemente hanno impalcato il bastione sinistro entrando nel castello di Lecce? Devono rifarne il restauro? Quest'ultimo in quella parte del castello leccese è stato concluso non più di 10 anni fa e venne salutato in termini positivi dall' Ing. Attilio Maurano, uno dei migliori soprintendenti che Lecce abbia mai avuto. Perché poi certe facciate di edifici storici in pietra leccese sono private della loro patina prodotta dal tempo e riportate ad un candore antistorico? Perché il Sedile di Lecce è inaccessibile ai disabili? E potremmo continuare con le domande ricordando sempre e a tutti però che farle è pienamente legittimo, avere ritorsioni molto meno.
il ricordo
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spagine Mario Marti non è più, per ricordarlo Spagine propone l’allocuzione letta dal professore nella Sala Consiliare del Comune di Lecce in occasione del conferimento della cittadinanza onoraria...
Mario Marti in un ritratto realizzato da Antonio Massari
Un uomo efficacemente operoso
A spagine
“...La mia fedeltà a Lecce, pur se lodevole di per sé stessa, non è stata passiva ed inerte, bensì attiva e operosa; e, se non erro, efficacemente operosa”
utorità, Signore e Signori, prima di tutto desidero formulare tutti i miei più vivi ringraziamenti ed esprimere la mia più profonda gratitudine, per il gratificante e lusinghevole riconoscimento che mi è stato conferito, a tutta l’Amministrazione Comunale della città di Lecce: al Consiglio che, presieduto da Carlo Belfiore, all’unanimità ha approvato la relativa delibera; a Stefano Salvemini, che per primo ha avanzato l’idea e ha formulato la proposta; al Sindaco della città, Adriana Poli Bortone, un tempo già mia allieva, che l’ha fatta subito propria e ne ha disposto e curato la realizzazione. Il mio più cordiale ringraziamento vada anche agli organizzatori di questo convegno leccese sulla letteratura barocca, i quali hanno pensato di inserire questa fra le altre manifestazioni del convegno, d’accordo con le Autorità cittadine. E ovviamente grazie anche a tutti gli intervenuti, che hanno voluto onorarmi della loro presenza. Nella relazione che accompagna la delibera comunale allo scopo di motivarla, si parla delle mie ricerche nel campo della critica letteraria italiana e dei risultati ottenuti. E’ vero: esse mi sono molto care almeno per due ragioni: la prima è che testimoniano sessanta anni di lavoro nel quadro e nell’àmbito della critica letteraria e dell’attività accademica; la seconda è che esse rispecchiano, nel bene e nel male, l’itinerario dell’anima mia e la progressiva maturazione della mia mente. Io sono partito da brevi annunzi e segnalazioni nel sansoniano “Leonardo” del 1943, gli uni e le altre di acerbissimo sapore; e ora sto ormai concludendo sui miei grandi autori di sempre, ma insieme sui valori umani e letterari della mia patria leccese e salentina, in questa sorta di risorgimento locale, ormai così palese, e al quale ho cercato di partecipare col modesto contributo della mia personale attività e dei miei scritti. Dunque, in tutto questo, la città di Lecce c’entra soltanto in parte. Varrebbe tutt’al più la considerazione che la mia produzione anteriore al ‘63 mi permise di vincere il concorso che si concluse appunto in quell’anno, onde la mia condizione giuridica si tramutò da professore incaricato a professore di ruolo. Io ero Incaricato di Letteratura italiana nella Facoltà di Lettere fin dalla sua fondazione qui a Lecce (1956); ma appena vinto
il concorso, mi giunse un telegramma da un mio amico e collega dell’Università di Messina, il quale mi informava che quel Consiglio di Facoltà era pronto a chiamarmi, se avessi accettato, facendomi anche notare che l’Università di Lecce era solo parificata, mentre quella di Messina era statale. Notevole la differenza, anche sul piano della tradizione accademica. Fu quello il mio primo atto di fedeltà a Lecce, dove volli rimanere e continuare, per amore della città e della mia piccola patria salentina. Abitavo a Roma allora; e se, da una parte, non ho mai mancato ai miei doveri didattici pur dimorando così lontano da Lecce, Roma, dall’altra, mi offriva tutte le sue grandi possibilità per lo studio e la ricerca. Ma qui a Lecce mi crescevano intorno giovani speranze, che mi sembrava ingiusto deludere, nella prospettiva programmatica – cui mi sono sempre attenuto anche da Preside e da Rettore – di incoraggiare e salvaguardare le promesse locali, quando se ne rivelassero degne nei loro lavori. A questa fedeltà credo davvero di non essere mai venuto meno. Qualche anno dopo, infatti, mi giunse da Salvatore Battaglia l’invito a sdoppiare con lui la cattedra napoletana, con una bella lettera che tuttora conservo. Poi ricevetti sollecitazioni da Pisa e l’invito a presentarmi, dopo che Bigi s’era trasferito a Milano, con due lettere distinte da parte di Mario Fubini (che mi volle Condirettore del “Giornale Storico”) per il settore, diciamo così, laico; e da Tristano Bolelli, già mio compagno alla Normale di Pisa, per il settore cattolico. Tralascio di ricordare altre occasioni meno concrete. Ecco: questi sono i documenti della mia fedeltà all’Università e alla città di Lecce, dei quali, senza alcuna falsa modestia, posso menar vanto. Vero è che l’una e l’altra, l’Università e la città, hanno ricambiato con tanta stima e con affetto cordiale, riconoscendo via via sempre di più i miei sforzi volti al recupero dei valori locali e al loro trasferimento, rigorosamente, sul piano della cultura nazionale, fuori da ogni secca e improduttiva erudizione e da ogni esagerazione campanilistica e provincialesca. Fu così e per questo che, accanto alle collezioni da me fondate e dirette prima per l’editore Milella e poi per l’editore Congedo, prese corpo e importanza la mia “Biblioteca salentina di cultura”, per una rifondazione della storia della cultura letteraria, in senso ampio, locale. Non una raccolta di scritti critici, tante volte superflui e
ripetitivi, ma testi, testi e poi ancora testi, storicamente selezionati, criticamente introdotti e annotati, e arricchiti da indici d’ogni genere. Mi è doveroso ricordare i componenti della redazione: insieme con me hanno tanto lavorato Donato Valli, Gino Rizzo e Antonio Mangione, cui si aggiunse in un secondo momento Giovanni Papuli. Così sono state recuperate figure di scrittori nati e operanti nel Salento oppure salentini operanti altrove, non indegne di essere presenti nelle storie letterarie d’Italia. Io stesso mi sono occupato di Rogeri De Pacienza, di Antonino Lenio, di Secondo Tarentino, degli scrittori di pietà fra Cinque e Settecento (fra i quali figurano fior di personaggi, come Fulgenzio Gemma, Serafino Dalle Grottaglie, Alessandro Tomaso Arcudi) e dei testi dialettali del Settecento. Donato Valli, dei nostri letterati fra Otto e Novecento, con la scoperta di un poeta di tutto rilievo come Vincenzo Ampolo, e dei testi dialettali dell’Otto e del Novecento. Rizzo dei suoi cari poeti barocchi (Battista, Bruni, Donno, Maia Materdona). Mangione dei narratori dell’Ottocento e di Ascanio Grandi. Papuli di Giulio Cesare Vanini. Ora si attende un Ammirato, cui si è pazientemente e generosamente sobbarcato il mio amico Martino Capucci qui presente. Altri volumi sono dovuti ad Aldo Vallone, a Enzo Esposito, e a Raul Mordenti. Sostenitrice dell’iniziativa, la Banca Piccolo Credito Salentino, all’origine, con l’istituzione di un’apposita “Fondazione”. Tutto in città e fuori dell’Università. Come si vede, la mia fedeltà a Lecce, pur se lodevole di per sé stessa, non è stata passiva ed inerte, bensì attiva e operosa; e, se non erro, efficacemente operosa. Tanto più che all’inizio lo studio della locale fenomenologia della letteratura e della cultura, anche sotto il profilo didattico (esplorazione bibliografica, tesi di laurea, ecc.), era snobbato e considerato come studio di serie B; giudizio che poi divenne addirittura aperta accusa di mentalità retrograda e angustamente provinciale; accusa e condanna lanciate sia nel recinto accademico, sia al di fuori di esso, specialmente negli anni del Sessantottismo. Al contrario, a me era assai comodo approfittare della condirezione del “Giornale Storico”, per prospettarvi e discutervi argomenti riguardanti il Salento e la sua tradizione letteraria, e farli conoscere al
Abitavamo in Via di Casanello al n. 19 e poi al n. 21, una via che allora era un tronco chiuso da un muretto a secco, di là dal quale si estendeva l’ubertosa campagna coltivata...
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vastissimo pubblico dei lettori di quella rivista, su scala mondiale; onde su quella gloriosa e autorevole rassegna, diretta prima da Fubini e poi da Bonora come responsabili, apparvero miei studi sulla Rassa a bute, sulla Iuneide, su Fulgenzio Gemma, sull’Arcudi, a prescindere da varie recensioni; così come non mi feci sfuggire l’occasione di pubblicare in edizione critica il Viaggio de Leuche di Geronimo Marciano negli Studi in onore di Gianfranco Folena. Taccio di altri miei interventi, pur essi raccolti nel mio volume miratamente intitolato Dalla regione per la nazione e pubblicato (1987) presso Morano a Napoli. Veniva così, anno dopo anno, a realizzarsi uno degli scopi principali della mia scelta accademica, quella cioè di restare nella Facoltà di Lettere di Lecce. E francamente godo ora di vedere quanti progressi sono stati compiuti da parte dei vari Dipartimenti di scienze umane, nel campo degli studi d’argomento locale; fino a una ben importante Storia di Lecce in tre volumi presso il Laterza di Bari (1992-5), curata dal Dipartimento di studi storici dell’Università, e alla quale anch’io ho collaborato. Ma un altro tipo di attività mi permetteva di avvicinare maggiormente e di conoscere meglio il tessuto socio-culturale di Lecce e del Salento: quello delle conferenze pubbliche, della presentazione di specifici libri con successiva discussione, della collaborazione anche ai giornali, giornaletti, e riviste, rivistine locali, degli interventi in pubbliche riunioni su argomenti umanistici e anche non umanistici, nei quali mi riconoscessi una qualche competenza. Mi sono battuto per il recupero e il riscatto del liberty leccese e salentino (sul che è stata poi allestita una magnifica mostra); mi sono battuto affinché la Fontana dell’armonia ritornasse alla sua originaria collocazione (il che è poi avvenuto); così come in questa occasione ripeto il mio augurio che la pensilina liberty della cosiddetta “piazza coperta” ritorni al suo posto, come documento storico di un momento assai produttivo e felice della vita comunale. E proprio per il grande amore a questa bella e cara città ho partecipato per ore e ore alle riunioni – spesso del tutto sterili e inconcludenti – delle consulte culturali dell’amministrazione comunale e di quella provinciale, per via del recupero e della utilizzazione del Castello, ad esempio, o dell’allestimento di una mostra, o della ristrutturazione e della difesa del “Premio
Salento”, e via dicendo. Tutto ciò, e altro ancora, consegnato alle mie Occasioni salentine dell’86 e alle mie Storie e memorie del mio Salento del ‘99, certamente concerne il mio feeling con la città di Lecce, assai più che i miei studi sui Giocosi o sugli Stilnovisti, oppure su Dante o su Leopardi. Ma ci sono ancora due mie esperienze leccesi, che mi hanno segnato nel profondo: alludo agli anni in cui ebbi la presidenza della locale “Dante Alighieri”, e a quelli durante i quali ho tenuto fervidi e stretti contatti con l’Università della Terza Età, sul cui atto costitutivo compare anche la mia firma. Non narrerò partitamente la mia vicenda per la “Dante” e con la “Dante”, risorta a nuova vita dopo la morte dell’attivo Mario Moscardino e dopo un lungo periodo di letargo. Ricorderò solo due episodi. Il primo riguarda l’approntamento e la realizzazione di una manifestazione, durante la quale furono messi all’asta dei quadri offerti gratuitamente dai pittori di Lecce e della provincia, a beneficio della “Società”. Brillante e simpatico battitore fu Ennio Bonea, nell’elegante salone dell’Hotel Risorgimento, anch’esso gratuitamente messo a disposizione. Il successo fu pieno e fruttuoso. Il secondo riguarda la splendida “Sala Dante” dell’Istituto Tecnico, miseramente ridotta in stato di abbandono, mentre fino agli anni Cinquanta era stata non solo la sede di tutte le manifestazioni della “Dante”, ma era diventata addirittura un centro di aggregazione culturale. Essa fu restaurata e riadattata in grazia delle mie tenaci, pazienti e perfino proterve insistenze presso l’allora responsabile Assessore del Comune di Lecce. E fu restituita alla città. Quanto all’Università della Terza Età, io ebbi l’onore di partecipare alla sua costituzione, come ho già accennato, fermamente voluta dalla signora Maria Rosaria Muratore e dall’Associazione delle Mogli dei Medici. Poi, anno dopo anno – e questo è ormai il diciassettesimo – m’è stato assegnato il compito di formulare il tema generale, di pronunziare la prima orazione inaugurale (poi messa alle stampe), e di tenere sistematicamente, anno dopo anno, le prime cinque lezioni. E’ stata ed è tuttora un’esperienza davvero appagante, la quale, permettendomi il contatto personale e duraturo con tante persone mature e ricche di umana interiorità, mi ha veramente avvicinato al cuore più intimo della città. Perciò quell’istituzione m’è cara,
come mi è stato caro offrire ad essa la mia poca dottrina e il mio tanto entusiasmo. E infine, oltre a quello della mia fedeltà accademica; a quello dell’inserimento delle ricerche “locali” entro il quadro nazionale, nel giuoco dialettico regione-nazione; e oltre a quello della mia partecipazione, sempre disinteressata e gratuita, alla vita della città e delle sue istituzioni, c’è un altro aspetto più intimo e segreto del mio amore alla città: i ricordi della mia Lecce dei primissimi anni Venti, tanto piccola e domestica, che io, già a meno di sei anni, potevo percorrerne almeno tutta la parte orientale senza pericolo alcuno, da Fulgenzio, dove poi mi recavo la mattina a servir messa, alla Piazza. Abitavamo in Via di Casanello al n. 19 e poi al n. 21, una via che allora era un tronco chiuso da un muretto a secco, di là dal quale si estendeva l’ubertosa campagna coltivata; la caserma di Santa Rosa era isolata, sul fianco di un viottolo in terra battuta, che io e i miei compagni percorrevamo, per giocare poi a palla di pezza nei larghi campi incoltivati, che si aprivano subito dopo, odorosi di timo e di mentastro. La via di Casanello: dove ho giocato alla trottola, o con la lippa e il bastoncello, o alla campana; dove, noi ragazzi, a sera ci sedevamo sui gradini di casa, a raccontarci stranissime e singolari favole; e dove ci riposavamo dopo le corse fatte nei campi, e a sassaiola conclusa. E poi la minuscola banda cittadina, della quale anch’io, con mio padre e mio fratello, facevo parte suonando il genis; il mio lavoro al biliardo, gestito da mio padre, alle spalle del vecchio Banco di Napoli, raddrizzando i birilli e segnando i punti della bàzzica (intervenivano Facilli, Ribelle, Alvino, Personé, nomi di giovani, allora, leccesi impressi per la vita); il clandestino ingresso nella villa comunale per vedere la lupa e girovagare un po’; le rose rubate per poter a casa festeggiare la Pentecoste, cioè la Pasqua delle rose, con i petali mescolati con l’acqua della bacinella... I miei primi dieci anni di vita, trascorsi in questa incantevole città, dalla quale ebbi poi ad allontanarmi. Ora Lecce mi onora, e io le sono immensamente grato; anche perché mi sento, invece, di doverla io ringraziare per quegli indimenticabili anni di felicità, e poi per questi decenni di esperienza e di passione, durante i quali, se poco ho dato, molto, e assai di più, ho ricevuto.
Un pensiero di Maria Corti per i sessant’anni dell’Universita’ di Lecce
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Io al suo posto andrei a Lecce. E’ più elegante” , così Gianfranco Contini sciolse il dilemma di Maria Corti se accettare la cattedra di Storia della Lingua Italiana a Lecce o a Roma. Maria Corti scelse Lecce. “E’ certo che la vita di sorprese ce ne riserva molte: i due anni leccesi furono interessantissimi. Ero la prima docente di ruolo in mezzo a un gruppo di incaricati d’eccezione per valore scientifico. Mi limito a citarne qualcuno: Paola Barocchi, Capitani, Nenci, Melandri, Chiodi, il grande amico di Fenoglio con il quale condivisi le angosce per la fase finale della malattia dello scrittore e la sua morte nel febbraio del 1963. E avevo per assistente nientemeno che il futuro filologo romanzo dell’Università di Friburgo Aldo Menichetti, insieme al quale si creò il primo nucleo della biblioteca di Lettere…. L’Università veniva chiamata con un misto di disprezzo e di paura “l’Università rossa”. Evidentemente, nel clima conservatore e alquanto reazionario della città, l’apertura intellettuale dei suoi giovani docenti e il conseguente entusiasmo degli studenti migliori non potevano piacere molto. Forse i più nemmeno si sono accorti di
aver avuto in quegli anni a Lecce alcuni studiosi che sarebbero poi diventati ben noti sul piano nazionale e internazionale. Si può proprio parlare di tempi eroici dell’Università di Lecce; ormai siamo in pochi a ricordarli. Un altro aspetto che mi ha colpito è dovuto alla frequenza con cui studenti mi venivano incontro sulle scale esterne dell’edificio…. Per consegnarmi con un sorriso poetico timido i loro versi o comunque loro scritti in lettura…. Come fenomeno sociale mi colpiva; mai qualcosa di simile, mi era capitato a Pavia. E così mi colpivano alle discussioni delle tesi di laurea le presenze di signore con i bimbi dentro le carrozzelle, pensionati, cittadini che partecipavano all’evento come a uno spettacolo, di cui li attraeva la liturgia. Personalmente il ritorno nel Salento si configurò come una verifica: cercavo qualcosa che potesse definire il mio passato giovanile, ma chissà dove erano andati a finire i discorsi di un tempo, le persone, le cose….” (Maria Corti, Dialogo in pubblico, 1995, Rizzoli editore, pag 72,73.) a cura di Giuliana Coppola
La targa su corso Vittorio Emanuele a Lecce che ricorda la nascita dell’Università
al fondo verri
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La Cuspide Malva al Fondo Verri Venerdì 13 gennaio dalle 19.00
Ay, amores! A
Y, AMORES! - I fiori della poesia spagnola e altri fiori è un percorso sonoro-performativo pensato e realizzato da La Cuspide Malva, gruppo di lettura formato da quattro donne: tre attrici e
una musicista. Lambendo le sfumature dell’amore passionale il percorso si sviluppa attraverso la lettura di poesie della letteratura spagnola e su canti della tradizione spagnola e sudamericana di autori musicali quali Chavela Vargas, Thomas Mendez, Lhasa de Sela. Tra i poeti scelti per le letture spicca la presenza di uno dei più importanti autori spagnoli del Novecento, Federico Garcia Lorca, a cui si affianca una rosa ristretta di altri autoricontemporanei quali L. M. Panero e Ana Rossetti. Il tema dell’amore qui affrontato spazia dalla tensione carnale ed erotica, nei versi della Ros-
setti e di Panero, alla linea struggente e intima nei versi di Lorca. Amore come presa e fuga, vertice di piacere e fonte di struggimento. Amore disperato, amore segreto, amore come lotta di sangue e fiori. Amore come causa e origine. Amore come radice che intreccia facendosi respiro che culla. Ad accompagnare e arricchire le letture intervienela presenza melodica della chitarra el’esecuzione dei canti, costruendo così un continuum sonoro che concepisce lettura e suono insieme. La presenza di sonorità e sussurri è motivo fondante del percorso performativo pensato da La Cuspide Malva e l’intreccio delle quattro voci durante le letture accompagna chi ascolta in unpiacevole cammino all’interno di uno dei temi fondanti e ricorrenti dell’umano: l’amore passionale.
Canti e poemi: Macorina, di ChavelaVargas; Cibele davanti all’offerta annuale dei tulipani da “I deliri di Erato” di Ana Rossetti; Sonetto della lettera da “Sonetti” di F. G. Lorca; Epilogo a quella donna che ho tanto amato da “Last rivertogether” di L. M. Panero; Il mio giardino dei supplizi da “Indiciosvehementes” di Ana Rossetti; Inconfessabile di Ana Rossetti; Con todapalabra, di Lhasa de Sela; Gazzella della mala radice da “Divano del Tamarit” di F.G. Lorca; Pa’llegar tu lado di Lhasa de Sela; Gazzella dell’amore imprevisto da “Divano del Tamarit” di F.G. Lorca; Piccolo valzer viennese da “Fuga da New York” di F.G. Lorca; La sposa infedele da “Romancero Gitano” di F.G. Lorca; Progetto di un bacio da “L’ultimo uomo” di L. M. Panero; Cucurrucucúpaloma di TomàsMéndez. La Cuspide Malva è formata da Iula Marzulli, Manuela Mastria, Francesca Greco, Adriana Polo.
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“I am Elivis Presly/ I am a macho man/ Sono Napoleone/ Io sono un'impressione/ Io sono un super deejay/Yo soy el matado / Yo soy marinero/ Yo soy el capitan/ I am dynamite/ I am wrong, I am right/ Sono disorientato/ I am looking for love/ I am Frank Sinatra / I am Spiderman / Ich bin der Kommissar / I do the best I can”
Io sono greco...
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n seguito ai fatti di cronaca internazionale di queste ultime settimane, agli attentati di Parigi e alla conseguente scomposta reazione dell’Europa di fronte all’ennesimo rigurgito di intolleranza religiosa e fanatismo omicida, abbiamo sentito sui mezzi di informazione commenti di ogni tipo, affermazioni schizofreniche e deliranti, prese di distanza, acute analisi politiche e filosofiche insieme a grossolane rivendicazioni di appartenenza. È Il villaggio globale massmediatico, che ci rulla ogni giorno nelle orecchie. In particolare, abbiamo letto quelle sdilinquite e retoriche espressioni di solidarietà globale che, trasformate in slogans, fanno presto a diventare merchandising. E via dunque con i vari Je suis Charlie, Je suis Ahmed, ecc. Come sovente accade, si è allestito un grande circo in cui tanti, rispolverando la teoria dello scontro di civiltà, ballavano una pericolosa danza con i fantasmi del passato. Da “Io sono Malala”, il libro di Christina Lamb e Malala Yousafzai, sulla ragazzina pakistana vincitrice del Nobel per la Pace 2014, tutte queste espressioni di identificazione con l’altro, si rifanno alla celebre frase, “Ich bin ein Berliner”, pronunciata da J.F. Kennedy nel 1963 a Berlino che però, sebbene fosse un capolavoro di retorica, cadeva in un contesto storico completamente diverso. Comunque, sull’onda emotiva del dibattito ideologico apertosi, anch’io ho provato a fermare su un foglio bianco una personale presa di posizione, una mia testimonianza di impegno civile, oggi che quel muro nella città in cui il Presidente Kennedy parlava cinquant’anni fa, è crollato. Ci ho rimuginato a lungo ma non mi riusciva di scrivere alcunché. “ Io sono… Io sono …”. Ho provato più volte, ma dopo il pronome personale e il verbo mi uscivano solo i puntini di sospensione. A proposito, pare che nel linguaggio 2.0 , quello dei social network e dei telefonini, i puntini di sospensione siano i più usati fra i segni di interpunzione, anche se ne servirebbero tre ma alcuni ne mettono due e altri dieci. Tutto ciò, al netto degli acronimi e delle sigle che sono usati soprattutto dai giovanissimi e dei tantissimi strafalcioni o solecismi che ormai sono entrati nel linguaggio comune, come per esempio, la x al posto di “per”, o la k (e non sembri una facezia ricordare il noto detto “per un punto Martin perse la cappa”) al posto di “chi” o “che”. L’altro giorno ho scoperto (o dovrei dire “sgamato” per usare il gergo studentesco) mia figlia che scriveva “xké” su “Whatsapp” (il computer mi segnala in rosso questa parola, segno che non è ancora stata acquisita). “Tuoni e fulmini!”: ho avuto una reazione incontrollata. Le ho detto: “No, questa è una pugnalata! Non me la dovevi dare! Qualsiasi cosa, ma non questo!” . La
La medicina, Jovanotti
di Paolo Vincenti
ragazza è rimasta basita e mi ha giurato sul Devoto Oli che non lo farà mai più. Ma tornando alla mia monca professione di fede, vano è stato esercitarmici tutto il giorno, fra una pausa e l’altra del lavoro. Dopo soggetto e copula, per completare la frase, non mi sovveniva nessun pertinente nome del predicato. Provato anche in altre lingue: Je suis, j am, oppure yo soy, ma stesso risultato.
La sera, tornato a casa, mollo la borsa di lavoro sulla sedia accanto alla scrivania e una vocina interiore mi sorprende. Mi guardo intorno e la voce si fa sempre più reale e mi ripete: “Tolle lege, tolle lege!”, proprio come racconta Sant’Agostino con le Lettere di San Paolo. “Prendi e leggi, prendi e leggi!”, e il mio sguardo cade su un libro impilato sulla scrivania che mi ero promesso di rileggere, scosso dalla recente scomparsa del suo autore: “Paflasmos. Il battito del Mar Egeo. Viaggio nell’anima della Grecia”, di Cesare Padovani (Diabasis Editore 2010). Ma è davvero un’illuminazione celeste, una accensione mistica, un prodigium! Il libro tratta di un viaggio nel cuore della Grecia moderna alla ricerca però di quella passata, sulle tracce delle vestigia dell’antica civiltà classica, di quelle testimonianze della grandezza del pensiero filosofante nato proprio in quella terra, culla della civiltà occidentale. Ecco completata la frase, allora: “Io sono greco!”. Sì, finalmente ho trovato il modo di completare quanto scritto sul foglio bianco. E d’altro canto, l’ho sempre saputo. Come mai non me ne rendevo conto? Il libro di Cesare Padovani, studioso e saggista riminese, è un diario di viaggio alla ricerca della propria anima, di quello che di sé si è perduto. Un ritorno alle origini,alla sorgente vera della propria cultura, per abbeverarsi a quelle fonti da cui sgorga acqua pura e cristallina. E anche se si sa che quell’acqua non esiste più, che la si è perduta per sempre, tuttavia ci si rivolge indietro, la si cerca con la memoria, con tutto il dolore per il non ritorno, “con quella malinconia”, dice l’autore, “che già Aristotele avvertiva come sofferenza culturale, o eccesso di consapevolezza, e che certamente aveva riconosciuto nel sorriso ironico di Socrate, anche quando Socrate stava per andarsene da questo mondo. Andarsene da qualcosa che si ama è provare nostalgia ancor prima del momento del distacco. Come la vita, un viaggio del genere non può non mantenere in sé quel residuo malinconico”. Eppure, nonostante la sorgente non esista realmente, ci sgorga dentro, fluisce nelle nostre vene, la avvertiamo anche se non odiamo più il suo gorgoglio, questo basta a farci dire
l’osceno del villaggio
Un libro: “Paflasmos. Il battito del Mar Egeo. Viaggio nell’anima della Grecia” di Cesare Padovani (Diabasis Editore 2010)
a noi stessi che è ancora viva. Cesare Padovani, che mi addolora sapere scomparso, profondo conoscitore del mondo classico, sull'attualità dei miti ha condotto parecchi seminari e conferenze. E questo suo romanzo è proprio una riscoperta dei miti di cui è piena la letteratura greca, dei simboli di cui essa pullula. “Paflasmós” per l’autore significa quel particolare sciabordio del mare che «accompagna il lettore tra odori, rumori, visioni e anfratti di sapienza della Grecia meno conosciuta, per scorgerne il tragico vigore antico, ma anche il pigro dormiveglia delle attese. Paflasmós rinvia all’“andimámalo”, parola magica nella lingua greca moderna, per raffigurare l’andirivieni dolce delle onde che si spengono sulla battigia e subito tornano verso il mare». “Perché sospiri? A cosa stai pensando?” gli chiede la moglie Giovanna. “Ti sembrerà sciocco ma, lasciando questo paradiso, sto pensando al Paflasmos”. E alla moglie che gli chiede cosa significhi, risponde: «Prova a ripeterlo, scandendo le tre sillabe senza però staccarle: Paflas-mós”. Quale immagine ti suscita? / “Pa-flas-smòs”? Non saprei, forse il “pa” e il “flas” riproducono il rumore dell’acqua che si riversa sulla riva... / Appunto, quell’onda leggera e sot-
Cesare Padovani in un’immagine greca tratta da un video da lui realizzato
tile che spegne i suoi bisillabi sulla battigia e sulle fiancate delle barche...». Le varie tappe toccate dalla sua Periegesi della Grecia sono i pretesti per rispolverare altrettanti miti e scoprire quanto essi siano ancora attuali, quanto il pensiero dei primi filosofi greci abbia ancora validità nel mondo supertecnologico di oggi. Con la leggerezza di un volo di farfalla, come per il suo successivo e ultimo libro “Farfalle Aforismi” (Il Vicolo Editore 2011), passando da una sentenza ad una massima tratta dall’epica di Omero o dalle tragedie di Euripide, Sofocle, Eschilo, la cultura mediterranea arcaica viene portata alla luce dell’attualità del nostro quotidiano sociale e politico.
Ed è proprio questa la mia formazione, sui classici greci e latini anch’io mi sono costruito. Ho iniziato al Liceo e non li ho più lasciati. E allora di fronte al dibattito in corso, fra cristiani e musulmani, pacifisti e guerrafondai, xenofobi ed esterofili, posso piantare anch’io un seme di appartenenza, crociare una casella, apporre una bandierina nella sconfinata terra di nessuno del deserto intorno. “Io sono greco!”.
Lo scirocco di un giovedì spagine
A
nche la scorsa notte è stata contraddistinta dal tintinnio della pioggia, a tratti confuso e/o intervallato con gli arrabbiati sibili dello scirocco. Stamani, invece, per fortuna, residua solo il grigiore del cielo, una cappa, oltretutto, non compatta, bensì chiazzata di frammenti di timido azzurro, delimitati da nubi più o meno spesse. A differenza delle odierne temperature lette con riguardo al Nord, qui non fa per niente freddo, alle otto il termometro segna già un gradevole più dodici, valore destinato in breve ad accrescersi sino a quindici. La scarrozzata a bordo della mia veterana Golf in direzione Marittima e Castro è agevole e tranquilla, nessun bisogno di premere sull'acceleratore, in giro non ci sono tantissimi veicoli e perciò, nell'arco della solita mezz'oretta, raggiungo la mia villetta del mare, che sarebbe più giusto, invero, qualificare come abitazione di una buona metà dell'anno, che si erge aggraziata sul fondo denominato Pastorizza. Senza che la residenza nel capoluogo sia da disprezzarsi, tutt'altro, starsene al paesello, ai margini della rigogliosa pinetina, con il mare sul breve orizzonte, quando non a portata di mano, è, tuttavia, proprio un’altra cosa. Secondo il rituale, via al giaccone e alle scarpe della città per infagottarsi in una giacca a vento blu, che ormai veleggia intorno alle trenta stagioni, e calzare scarponi campagnoli. Difatti, la prima azione che ho da compiere nella presente trasferta marittimese è di recarmi alla Marina ‘u tinente, onde controllare se, dopo le recenti intemperie metereologiche e il forzoso abbandono protrattosi per circa due settimane, sia rimasta in piedi qualche traccia delle mie verdure, preziosità mangerecce che, in quest'occasione, conto di raccogliere completamente e definitivamente. Pure il veicolo che adopero per andare a sbrigare detto servizio subisce un cambiamento, nel senso che, parcheggiata la Golf nella pinetina, mi metto al volante della mia mitica cinquecento, immatrico-
di Rocco Boccadamo
lata nuova nell'anno 1966; come temuto, stenta a partire, quest'ultima, la sosta invernale prolungata, ancorché all'interno del garage, non le torna congeniale o gradita, la batteria, in particolare, si riduce ai minimi termini, mi tocca, giocoforza, ancora una volta, spingere il mezzo, a mano e con le braccia, sino alla strada provinciale oltre il cancello, fortunatamente il tratto è in discesa, non è poi una grande fatica.
Comunque, in tal modo, la minuscola e carinissima utilitaria riprende vita, inizialmente con qualche singhiozzo, ma il vecchio automobilista non esita, non si scoraggia di fronte alle imperfezioni del motore, dirigendosi, risoluto, a percorrere, accomodato nello stretto abitacolo, la strada litoranea Castro - Tricase che, è impossibile non sottolinearlo, è un autentico incanto naturale. Forse a causa della giornata non bella, in aggiunta a una certa costante tipica della stagione invernale, lungo il tratto non si scorge anima viva, salvo un caso unico e isolato. In concreto, a un certo punto, all'altezza di Porticelli, noto due amici e compaesani, Giovanni e Rocco, i quali, impegnati, come accade sovente, a svolgere qualche lavoro insieme, si trovano seduti su un piccolo scoglio, al confine fra un appezzamento di terreno e la litoranea in discorso, intenti pacificamente a consumare, secondo il costume campagnolo, la loro frugale e leggera colazione. La sequenza, è di una sorta di film familiare che, senza bisogno di fermarmi, mi riempie dentro di una bella immagine, antica quanto si vuole e però sempre carica d’indicativi contenuti di semplice e sana umanità. Oltrepassate le figure di Giovanni e Rocco, di lì a poco guadagno la mia meta ossia, la Marina ‘u tinente. Provvidenzialmente, ecco le mie ultime rigogliose pianticelle di cicoria, che sradico agevolmente, e una serie di minuscoli e teneri residui germogli di cavoli e rape. Non impiego molto e due sacchetti di plastica sono ben riempiti, ad abundantiam integro il relativo contenuto con alcuni
profumati rametti di rosmarino, arbusto di cui la predetta marina abbonda, sotto forma, addirittura, di una serie di vere e proprie siepi, in tal modo la contentezza della padrona di casa, al mio rientro a Lecce, sarà più completa. Fatto ciò, ulteriore incombenza agricola, passo a spargere piccole manciate di fertilizzante organico ai piedi delle piante di cavolo, sì da sostenerle e irrobustirle ai fini della maturazione di ulteriori serie di germogli, nonché intorno a quattro talee di fico messe a dimora un anno fa, nella parte mediana della marina, nei pressi della vecchia pajara, realizzata esclusivamente con pietre a secco. Mentre vado attendendo a tali lavoretti, ho anche modo di guardarmi tutt’intorno, lo scenario o palcoscenico, in barba al grigiore dell’odierna giornata del mese corto, è attraente e coinvolgente, e ciò, non unicamente per la maestosità della distesa che, qui, fa da spartiacque fra Adriatico e Ionio, distesa, nella circostanza, non tranquilla, anzi assai movimentata da onde cavalcanti, residuo dei soffi dello scirocco che, è noto, non si evaporano ed esauriscono d'un tratto, ma persistono in genere, purtroppo, per tre giorni. Insomma, mare a parte - che, come sempre, m’induce a riflessioni sull' infinito e su orizzonti d’immensità, ancorché, da questa postazione, gli occhi abbiano talora agio di cogliere le delimitazioni delle coste meridionali dell'Albania e delle prime più vicine isole greche - anche semplicemente percorrendo o scalando i terrazzamenti della Marina ‘u tinente si ha la sensazione di vivere in una sorta di scenario surreale. Nell'odierna circostanza regna un silenzio ben più assoluto del consueto, le stesse foglie dei giovani ulivi si muovono appena, non turbano la quiete, le familiari, diffuse tribù di lucertoline sono scomparse, verosimilmente rintanate all'interno delle buchette o orifizi che fungono da loro case, nemmeno un animaletto a far capolino e/o a guizzare sulla terra rossa o fra uno scoglio e l’altro. Vie più precisamente, la solitudine e l'at-
racconti salentini
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mosfera ovattata dell'ambiente sono rotte, per un attimo, attraverso il fruscio momentaneo e il volo veloce d’un simpatico pettirosso che, in barba all’inclemenza della giornata e all'aria sciroccosa, non ho inteso saltare i suoi appuntamenti sui rametti di un sontuoso arbusto di mirto, per cibarsi piluccandone i minuscoli e gustosi frutti bruni. Dicevo solo un baleno e, quindi, mi ritrovo lì unico essere vivo, appena accompagnato dai miei stessi passi, lungo il sentiero improprio e irregolare che mi riporta al terrazzamento più basso, a ridosso della strada provinciale. Monto, lesto, sulla cinquecento per raggiungere la villetta circondata da pini, dimora permanente nella bella stagione e che, mi piace ricordare, è a lungo arricchita e rallegrata dalla presenza di figli e nipotini. Oggi non mi va di restare da solo a Marittima e, perciò, intorno alla mezza, ri-
prendo la Golf per far ritorno a Lecce. Analogamente all'andata, un viaggetto lampo, quasi a occhi chiusi, si fa per dire, che ha sempre una sua speciale caratteristica: nel senso che, salvaguardando beninteso l'attenzione alla guida, mi lascia nella mente angoli di spazio per rivivere l'atmosfera delle ore trascorse fra Pastorizza, pinetina, Marina u tinente, nei panni di novello eremita del terzo millennio, in prossimità del mare sempre accattivante, anche quando non è azzurro ma grigio, non disteso e calmo ma imbronciato. Trascorrono le stagioni, inevitabilmente, pure in capo al ragazzo di ieri, tuttavia il cammino lungo l'attuale tratto esistenziale non è affatto malinconico o spento, ma al contrario perennemente intriso di vivacità eccezionale, quanto a puntuale cattura d’immagini e a cascate di piccole emozioni. Esso ha il pregio di lasciarmi attivi e vivi, dentro, segni e sentimenti
d'ideale gioventù. In termini diversi, la somma degli anni si fa ineluttabilmente più consistente da un almanacco all'altro, almeno sul fronte anagrafico, ormai è divenuta ampiamente indicativa. Nondimeno, mi sembra di avere la fortuna o il privilegio di non cedere passivamente al tempo, di non preoccuparmi circa le dimensioni dell'arcobaleno che ancora sono capace di scorgere, con i suoi accattivanti colori, sulla volta azzurra. Mi limito a pormi la domanda se siano grandi o piccole, ma non mi importa se la risposta possa essere affermativa o negativa in un senso o nell'altro. Intanto il ragazzo di ieri, oggi comune narratore, vive e interpreta ogni singolo quotidiano risveglio alla stregua di un nuovo traguardo, se non proprio di una nuova vittoria, lungo l'arco dell'orizzonte definitivo a lui predestinato.
La scrittura e il teatro
in uscita
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In uscita per la casa editrice Kurumuny "Lo scannatoio del lunedì" di Fabio Chiriatti con l'introduzione di Renata M. Molinari
È
«Io a volte devo controllare di esserci tutta, ma tutta davvero. Perché se un giorno non mi trovassi più, non saprei dove andarmi a cercare»
in uscita per la casa editrice Kurumuny "Lo scannatoio del lunedì" di Fabio Chiriatti con l'introduzione di Renata M. Molinari.
Tre storie, tre testi teatrali - Mappughe, I Saburchi e Casca la terra che si leggono come un romanzo. Come sottolinea nell’introduzione Renata Margherita Molinari, si tratta di «tre storie di spaesamento, in cui l’impianto drammaturgico e la lingua scenica, molto diversi da un testo all’altro, trascinano inesorabilmente il lettore-spettatore verso l’altrove in cui sarebbe possibile – è stato possibile, forse sarà possibile – trovare quiete, se non pace. C’è stata e forse continua a esserci, da qualche parte, un’integrità perduta, un’appartenenza appena percepita, una possibilità di vivere generando e sentendosi generati. La lingua e il corpo portano i segni di questo altrove e si fanno strumenti per la sua esplorazione».
Mappughe, testo vincitore del "Premio Raduga - Conoscere Eurasia 2013" è stato rappresentato per la prima volta nel 2010 al PimOff di Milano. La protagonista di Mappughe, soliloquio delicato e disperatissimo, ci conduce in punta di piedi nel suo mondo di carabattole, cui sono affidati pezzetti di cuore, di viaggi, di ricordi, nell’attesa di essere pronti per metterli finalmente in soffitta. È l’attesa che questa singolare Penelope vive nell’immobilità di una piccola casa, da tempo immemorabile e con devozione; in silenzio si muove tra le mappughe del suo cuore, nel tenta-
tivo di recuperarne la trama, inesorabil- senza alcun tipo di rapporto sessuale, ma mente destinata a sciogliersi come zuc- il suo compito, anziché predicare l’amore sulla terra, è disfarsi di tutto ciò che il chero nell’ennesima tazzina di caffè. primo non è riuscito a fare. Anche Raquel I Saburchi (nel dialetto salentino, i Sepol- e Adrian, due “vecchi” trentenni, hanno cri che vengono allestiti per addobbare le un piano: Adrian ha deciso di morire dopo chiese durante la Settimana Santa) ha ot- essere stato licenziato dal call center, Ratenuto il riconoscimento della giuria del quel asseconda il suo tentativo singolare Premio Hystrio–Scritture di Scena “per la di condurre un’esistenza senza poterla solidità dell’impianto drammaturgico e per chiamare vita. la bella invenzione di una lingua teatrale che ibrida fantasiosamente italiano e dia- Fabio Chiriatti, classe 1984, si diploma in scritletto". La protagonista Lamara, è una tura drammaturgica presso la Civica Scuola transessuale di cinquantaquattro anni d’Arte Drammatica Paolo Grassi di Milano. Collabora con la compagnia Zerogrammi alla dramche vive nel cuore del centro storico di maturgia di Inri, Pasto a due; per i testi di Lecce. Seduta sul suo divano – non Mappugghje e per quelli di Alice. La grammatica quello del salotto buono, ma quello che delle nuvole. Nel 2011 si qualifica terzo col moha sistemato fuori da casa sua – alle nologo Dark Room al premio Borrello. È stato prese con un giro di affitti da riscuotere e rappresentante italiano alla XV Biennale dei giosigarette di contrabbando da importare e vani artisti del Mediterraneo. piazzare, Lamara manda le sue pre- Renata Margherita Molinari, dramaturg. Osghiere alla Madonna del Carmelo: pre- servatrice partecipe della scena italiana, a parghiere per sé, per la sua figlioccia Maria, tire dalle esperienze di teatro diffuso degli anni per il suo pupillo Rino, che per strane cir- Settanta è stata interlocutrice attiva di gruppi e costanze si è trovata a crescere come artisti del Nuovo Teatro e progressivamente si è avvicinata alla creazione teatrale e alla scrittura fossero figli suoi. Infine, i miseri protagonisti borderline di Casca la terra sono ubriachi di bieco umorismo, sempre sul punto di mordere, o lasciarsi mordere. Lo spazio intorno è casuale, nient’altro che un non-luogo, refugium di tutti i peccati del mondo; all’interno di questo labirinto si muovono quattro figure. Jona e Magdalaine, diciannovenni o poco più, hanno un piano semplice: avere un bambino. Un figlio, un secondo Gesù Cristo, solo molto meglio. Il secondo Gesù, come il primo, dev’essere concepito
per la scena. Pioniere in Italia della figura e dell’attività del dramaturg e della sua teorizzazione, assieme a Claudio Meldolesi, al lavoro per la scena affianca un’intensa attività nella formazione al teatro. La pratica del laboratorio e la drammaturgia come pedagogia sono i perni della sua attività e riflessione teorica. Delle proprie esperienze drammaturgiche e pedagogiche ha lasciato tracce in numerose pubblicazioni. Tre titoli, a indicare maestri e compagni di teatro particolarmente significativi: Viaggio nel teatro di Thierry Salmon (2008), Diario dal Teatro delle Fonti (2006) e, con Claudio Meldolesi, Il lavoro del dramaturg (2007); un’esperienza di lavoro determinante nella sua formazione teatrale: quella del Patalogo di Franco Quadri.
Al via la stagione di prosa del Comune di Lecce al Teatro Paisiello spagine
in agenda
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La penna appuntita...
È
“L’onorevole” da Leonardo Sciascia per la compagnia Vetrano-Randisi
arrivato il tempo di abbonarsi alla nuova stagione di prosa del Teatro Paisiello, l'attesissimo cartellone che Comune di Lecce e Teatro Pubblico Pugliese hanno ideato per la Città di Lecce. Il nuovo cartellone vede da un lato una grande apertura verso alcuni protagonisti della scena contemporanea come Emma Dante con il pluripremiato Le sorelle Macaluso e Mario Perrotta con il secondo capitolo dedicato alla figura del pittore Antonio Ligabue Pitur, dall'altra la prosa nella nuova concezione della straordinaria compagnia Vetrano - Randisi che apre la stagione l'11 febbraio con l'applaudissimo spettacolo L'onorevole di Leonardo Sciascia o quella della giovane Factory al debutto con la loro terza prova shakespeariana La bisbetica domata. Interessante anche la presenza dell’installazione teatrale dell'artista Rubidori Manshaft, 12 parole 7 pentimenti che si svolgerà al Castello Carlo V e l'attenzione al crescente fenomeno dell'improvvisazione teatrale con l'interessante riconoscimento al lavoro che il gruppo Improvvisart porta avanti in città da alcuni anni e presente in cartellone con vari appuntamenti. Chiude la stagione, a grande richiesta, il ritorno di Dignità autonome di prostituzione, il format di Luciano Melchionna e Betta Cianchini che ha infiammato la platee nazionali e quella leccese negli ultimi due anni. Disponibili già gli abbonamenti presso l'info point del Castello Carlo V di Lecce. * * *
L’apertura mercoledì 11 febbraio, con L’onorevole da Leonardo Sciascia nell’adattamento di Enzo Vetrano e Stefano Randisi, una produzione di Teatro Biondo Stabile di Palermo; Emilia Romagna Teatro Fondazione; Diablogues; Compagnia Vetrano/Randisi.
Scrivono i due attori-registi nelle note che accompagnano lo spettacolo: “L'onorevole è un testo che racconta con intrigante ironia come l'ascesa politica di un onesto professore di lettere possa diventare un'ineluttabile ma pacifica, perfino brillante, caduta morale. Il modesto professor Frangipane rappresenta un modello di correttezza e idealità basato sulla cultura e sul rispetto. Inaspettatamente riceve l'offerta di una candidatura alle elezioni nella circoscrizione è quella della Sicilia occidentale. Pur titubante, viene convinto ad accettare l'onere e l'onore di sedere come deputato in Parlamento. Ha inizio una carriera politica inarrestabile che lo porta a conquistare un potere sempre più forte, a muoversi tra agi e lusso, ma anche a scendere a compromessi sempre più miseri e a stringere loschi accordi con personaggi malavitosi. Gli fa da contraltare la moglie Assunta che comincia come ad appropriarsi dell'identità che il marito va perdendo, attraverso un'immersione nell'idealismo, nel senso di giustizia e nella sete di cultura di Don Chisciotte, lettura prediletta di Frangipane quando era ancora professore. Letto oggi, questo testo scritto nel 1965, che ci parla di connivenze tra politica, affari, alti prelati e criminalità organizzata, di favori e corruzioni,
Leonardo Sciascia
di furbizie e tradimenti, assume il carattere di un'amara profezia. Due sono i tratti che sentiamo particolarmente vicini in questo testo: da un lato il considerare la verità come una visione distorta della realtà, qualcosa da cui allontanarsi gradualmente, ridicolizzare e infine mettere all'indice come un'espressione della follia; dall'altro il modo, tipico della scrittura di Sciascia – ma con lui anche di tanti autori e letterati siciliani, Pirandello in testa – di descrivere la società in cui vive attraverso meccanismi narrativi che sembrano portare in un luogo e un tempo paralleli, quasi astratti e invece sono una descrizione lucida e spietata di ciò che avverrà oggi o in un futuro più o meno incombente. Un finale sorprendente ribalta la rassegnazione della protagonista femminile in un più crudele e disarmante epilogo che ci fa scorgere in un trionfo di glamour l'abisso quotidiano ormai percepito dall'intera collettività come raggiungimento del vero successo”.
In scena: Il professor Frangipane, poi onorevole - Enzo Vetrano; Assunta, sua moglie - Laura Marinoni; Mimì, loro figlio - Aurelio D’Amore; Francesca, loro figlia - Aurora Falcone; Fofò, fidanzato di Francesca - Angelo Campolo; Monsignor Barbarino - Stefano Randisi; Don Giovannino Scimeni - Giovanni Moschella; Il dottor Agostino Micciché - Antonio Lo Presti; Margano - Alessio Barone. Le scene e i costumi sono di Mela Dell’Erba; le luci di Max Mugnai. Durata 1h 40'
Dialogo con la terra-madre
spagine
C
osa sono i Tao? Verri ce lo dice nel “Dizionarietto dei termini magici, nuovi o non comuni” con cui pensò di corredare il suo scritto: “Tao: folletti dell’aria, della mezz’aria anzi; c’è dentro il salentino mao, il veneto bao, tanto altro...”. La scrittura di Verri in quest’opera è straordinaria: suona e fabbrica immagini, reali, fantastiche, verosimili. Ma sempre capaci di farti sentire un Salento contadino, quasi oramai del tutto scomparso, commovente. E poi c’è sempre Lei, alla ripresa di ogni nuovo pensiero, dopo pochi giri di frase, sempre Lei, che ri-torna continuamente, lo accompagna, gli corre accanto, la donna che è tutto per lui, la madre, la mar, lei. “Quando stavo con lei, figlio com’ero di una dea dell’aria, quando camminavo con lei, non c’era necessità di sprecar parole, erano gli occhi a raccontare, era negli occhi che riuscivamo a fermare, in un attimo di mille parole, gli eccessi, gli scoppi, lo smorire, la meraviglia...” (p. 28).
C’è
letture
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La cultura dei tao è un dire tutti i luoghi d’emozione e di narrazione che la cultura contadina gli ha donato, il suo personale dialogo “con la terra, con una realtà di volta in volta essenziale, lineare, un po’ amara, un po’ magica... Molte le cose che da simile cultura (magra, fatata) ho avuto” (p.18). Che è necessariamente un dialogo con la terra-madre, con la sua mar, con ciò che lei gli ha donato: “La letteratura della mar era il narrare dei sogni il mattino dopo, degli idoli suoi, i morti, che venivano a trovarla – fresca, mai turbata, come fosse un altro sorriso, un altro abbraccio alla sua gente...” (p. 25). La cultura dei tao è un’opera che va conosciuta. E credo che non vi sia modo migliore per avvicinarsi e fruirne che quello di leggerla e ascoltarla nella edizione che ci propone Spagine – Fondo Verri. Ada Manfreda Amaltea Trimestrale di cultura anno IX/ numero quattro - dicembre 2014
La cultura dei Tao... al Fondo Verri, un audio libro che è necessario acquistare e conservare nella propria biblioteca per ascoltare la "fiaba" contadina di Antonio L. Verri... e per sostenere l'attività del Fondo a lui intitolato. La cultura dei Tao in due fotografie di Santa Scioscio
È Berlinguer
spagine
A Bisceglie fino al 12 febbraio una colletiva dedicata al leader del Partito Comunista Italiano
ti voglio bene!
fuori porta
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possibile visitare a Bisceglie fino al 12 febbraio la mostra “Enrico Berlinguer e lo sguardo degli artisti” (in Via Cristoforo Colombo, 8). La mostra - ideata da Graziella Falconi, organizzata dal Gruppo parlamentare del Partito Democratico colleziona opere inedite realizzate da artisti contemporanei. Partecipano: Gianni Asdrubali, Luigi Boille, Pietro Bortolotti, Ennio Calabria, Vincenzo Caputo, Erio Carnevali, Michele De Luca, Stefano Di Stasio, Fernando Falconi, Andrea Fogli, Flavia Franceschini, Giorgio Galli, Gianfranco Goberti, Mara Guerrini, Alexander Jakhnagiev, Giacomo Lusso, Claudio Marini, Giuseppe Modica, Franco Mulas, Gianfranco Notargiacomo, Anna Ottani, Mirko Pagliacci, Giampaolo Parini, Emilio Patrizio, Salvatore Pupillo, Giuseppe Salvatori, Jimena Sanchez, Carlo Sipsz, Giovanna Sposato, Stella Tundo. La mostra nasce, nella sua composizione iniziale di dieci opere, nel 2012 in occasione del novantesimo anniversario della nascita di Berlinguer (Sassari, 25 maggio 1922 – Padova, 11 giugno 1984): l’Associazione Berlinguer rivolse a diversi artisti contemporanei un appello affinché il sentimento popolare e le testimonianze di stima e di affetto espressi nei confronti del leader, trovassero una reinterpretazione viva ed originale. A quell’invito ha risposto un primo nucleo di artisti, le cui opere hanno costituito il nucleo iniziale, durante il suo tragitto in varie città d’Italia – a Savona con la Fondazione Centofiori, a Bologna con la Fondazione Duemila – l’esposizione si è arricchita del contributo di vari artisti locali.
in agenda
"
Baci a stampo" è una masterclass per imparare a realizzare timbri fatti a mano! Un laboratorio per imparare a incidere la gomma e a realizzare dei timbri personalizzati interamente fatti a mano, con pochi strumenti e materiali facili da reperire. Si impareranno le basi della xilografia e dell’incisione su linoleum e su gomma. Da una normalissima gomma da cancellare, nasceranno loghi, simboli, decorazioni, e chi più ne ha più ne pensi! Ogni partecipante sceglierà un soggetto che lo rappresenti, cosicché ognuno possa portare a casa il suo kit di timbri. Si costruirà anche un piccolo notebook da decorare con i propri timbri e/o con i lavori di tutti. Lo Studio Arturo consegnerà a ciascun partecipante un sacchetto per poter portar con sè i prodotti realizzati!
Materiale richiesto: sgorbie Il programma della giornata: Teoria - dalle 12 alle 13,30 Spiegazione della tecnica, delle possibilità di realizzazione e delle sperimentazioni. Visioni di antichi ex libris, incisioni, esempi realizzati dalla docente. Primo approccio ai materiali e prove di incisione Studio del bozzetto Pratica - dalle 14 alle 18. Realizzazione timbri, stampa, realizzazione dei notebook. Iscrizioni aperte fino 19 febbraio - Massimo 20 partecipanti Per iscrizioni scrivere a losguarimberos@gmail.com A cura di Elena Campa e Studio Arturo http://www.studioarturo.com/ - http://www.elenacampa.com/
spagine
La (Ri)Generazione con Le parole della politica
in agenda
Massimo Bray alla Libreria Ergot venerdì 13 febbraio alle 19.00
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D
opo la presentazione (domenica 25 gennaio) di "Abusivi. La realtà che non vediamo. Genio e sregolatezza degli italiani" di Roberto Ippolito (Chiarelettere) (al Fondo Verri), proseguono gli appuntamenti firmati dal gruppo informale "(Ri)Generazione Politica" e da "Xoff. Conversazioni sul futuro". Venerdì 13 febbraio (alle 19 - ingresso gratuito) presso la Libreria Ergot di Lecce spazio alla presentazione dell'ebook "Le parole della politica" (Alfabeto Treccani) con la partecipazione di Massimo Bray (parlamentare e curatore del volume), Dino Amenduni (giornalista, social media manager e consulente di comunicazione politica di Proforma), Serena Fortunato (giornalista e consulente di comunicazione politica Moscabianca). Modera Alessandra Lupo (giornalista Nuovo Quotidiano di Puglia).
Nella sezione dedicata alla lingua italiana del proprio portale (www.treccani.it), l'Enciclopedia Italiana ha da sempre riservato una particolare attenzione all'analisi del linguaggio politico che, tra i linguaggi settoriali ha una posizione preminente e i cui cambiamenti dipendono direttamente dalle differenti fasi della politica. Per far questo occorre seguire le trasformazioni e le innovazioni, spesso spec-
C’è cometiveste.it, il primo sito in Italia che dà la possibilità di consultare direttamente dal web, i capi d'abbigliamento, gli accessori e la gioielleria, in vendita nella tua città. Le città iniziali di riferi-
chio o conseguenza di significativi cambiamenti nella coscienza civile e culturale del paese. Dopo la premessa di Bray il libro ospita alcuni brevi saggi. "La comunicazione politica nell'era dei social media" di Sara Bentivegna; "La politica parla chiaro" di Stefania Spina; "La politica e la storia a colpi di slogan" di Giovanni Bianconi; "La politica senza mediazioni" di Maria Vittoria Dell'Anna; "La comunicazione politica più efficace" di Gianluca Giansante; "La forza di una lingua unitaria" di Silverio Novelli; "Politica: un temporale ciclico di parole nuove. Intervista con Gian Luigi Beccaria" a cura di Lorenzo Pregliasco; "Milleproroghe" di Giulio Vesperini; "Governabilità" di Silverio Novelli; "Decisione, decisionismo" di Carlo Galli; "Riforma" di Massimo Carlo Giannini; "Insulto" di Maria Vittoria Dell'Anna; "Teleturpiloquio" di Marcello Ravesi; "Tra fiducia e sfiducia" di Valentina Grassi; "Austerity e Austerità" di Licia Corbolante; "Jobs Act" di Silverio Novelli; "Malpancisti, gufi e rosiconi" di Lorenzo Pregliasco; "Populismo" di Loris Zanatta; "Clandestino" di Grazia Naletto; "Ripresa" di Stefania Spina; "Tweet-mania" di Edoardo Novelli; "Cambiamento" di Dino Amenduni.
ternazionale di Milano) ed Enrica Toninelli (vicedirettore RaiNews 24) che presenteranno il Rapporto ISPI 2015 "In mezzo al guado. Scenari globali e l'Italia". Modera Ubaldo Villani (giornalista e ricercatore universitario). Dopo le illusioni di ripresa degli ultimi due anni, nel 2014 le relazioni politiche ed economiche internazionali si sono ritrovate ancora una volta “in mezzo al guado”. Un guado politico, ma anche economico, all’interno del quale ha dovuto districarsi la politica estera italiana. A questi temi è dedicato il Rapporto ISPI 2015 "In mezzo al guado. Scenari globali e l'Italia" - realizzato con il contributo della Fondazione Cariplo - che da quest’'anno prevede anche lo scorecard della politica estera italiana, che ha coinvolto 120 esperti. Il Rapporto sarà disponibile dal prossimo 9 febbraio e sarà occasione di dibattito in 10 città italiane. Oltre a Lecce, infatti, il Rapporto sarà presentato a Roma, Milano (nel corso di due distinti incontri), Torino, Palermo, Napoli, Pavia, Genova, Cagliari e Trento.
mento saranno Lecce e Brindisi, ma l'espansione è prevista in tutta Italia. Se avete dei negozi di vestiario, accessori o una gioielleria in queste due città e volete mettere in vetrina i vostri capi,
potete contattare lo staff di Cometiveste... Domenica prossima l’approfondimento di Spagine...
Venerdì 27 febbraio (alle 19) le Officine Cantelmo di Lecce ospiteranno Paolo Magri (vice presidente esecutivo e direttore dell'Istituto per gli studi di Politica In-
Venerdì 13 marzo (alle 19) si torna alla Libreria Ergot di Lecce con Je suis "satira"? incontro con Nicola Fano (giornalista e storico del teatro), Adelmo Monachese (tra gli autori di Lercio.it) e il collettivo Quink. Info 3394313397 Segui (Ri)Generazione Politica su Facebook e su Twitter
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Il f uturo che aiuta il passato
in agenda
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ono aperte le iscrizioni alla terza edizione del concorso fotografico indetto in occasione del Primo maggio a Kurumuny. Fino a domenica 22 marzo 2015 è possibile partecipare alla terza edizione del concorso fotografico “Uno scatto per il Primo Maggio”, in occasione della prossima festa Primo Maggio a Kurumuny. Il concorso è aperto a fotografi di tutte le età e livelli, ed è gratuito. La foto vincitrice verrà utilizzata per tutta la campagna di comunicazione – cartacea e web – dell’evento “Primo Maggio a Kurumuny” edizione 2015, in particolare sarà utilizzata per il poster 50x70 cm (sviluppato in verticale). Gli scatti più significativi, tra quelli in concorso, saranno esposti il giorno dell’evento (nel link le immagini in mostra nell'edizione 2014). Il
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Spagine Fondo Verri Edizioni
Uno scatto per il Primo Maggio
vincitore sarà premiato con un buono spesa pari a 200,00 €, spendibili in attrezzature fotografiche, oppure in libri della casa editrice Kurumuny. Sin dalla sua prima edizione il Primo maggio a Kurumuny è stato caratterizzato dalla creazione di un manifesto 50x70 che interpretasse, attraverso un’immagine evocativa, il lavoro e l’ampia sfera di significati e risonanze che esso include. Le immagini scelte hanno sempre rappresentato l’umanità al lavoro, sia esso contadino, operaio o artigiano; hanno evocato la fatica, la dolcezza del riposo, la coscienza di un ruolo o di esser parte di una storia, l’aspirazione alla giustizia o la denuncia della sua negazione. Dal 2002 a Kurumuny, una campagna alle porte di Martano, in provincia di Lecce, si festeggia un Primo Maggio davvero speciale, promosso dall'omonima casa edi-
trice. Sin dalla prima edizione l’intento è stato quello di legare la memoria a un avvenimento che presenta tutti i requisiti di una grande festa popolare, in cui si celebra la fatica quotidiana dei lavoratori. Festa del lavoro e dei lavoratori che naturalmente si apre sino a comprendere il tema della multiculturalità, dei diritti dell'altro, della necessità della salvaguardia delle radici. Migliaia di persone e centinaia di musicisti, scrittori, danzatori e danzatrici, cantanti, intellettuali e politici, tra i quali il premio Nobel per la Pace Rigoberta Menchú, hanno partecipato alla grande festa del Primo maggio a Kurumuny. Per consultare il regolamento e le modalità d’iscrizione visita il link. Per maggiori informazioni sul concorso: info@kurumuny.it +39 329 9886391 www.kurumuny.it - Facebook: Kurumuny
Spagine è un periodico di informazione culturale dell’Associazione Fondo Verri esce la domenica a cura di Mauro Marino è realizzato nella sede di Via Santa Maria del Paradiso, 8.a , Lecce come supplemento a L’Osservatore in Cammino iscritto al registro della Stampa del Tribunale di Lecce n.4 del 28 gennaio 2014 Programma delle Attività Culturali della Regione Puglia 2015 Artigiana - La casa degli autori
copertina
spagine
Il nuovo album di Marcello Zappatore musica
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Un’ape con le orecchie di Topolino
a martedì 17 febbraio sarà disponibile nei negozi tradizionali, in digital dowload e nelle migliori piattaforme streaming Propolino, il nuovo album dell’artista e compositore pugliese Marcello Zappatore, conosciuto non solo come musicista, ma anche come attore protagonista del film a lui dedicato, uscito nel 2008, “W Zappatore”, di Massimiliano Verdesca. “Propolino”, come il precedente lavoro di Zappatore, “La ciliegina sulla porta”, presenta nel titolo un gioco di parole; l’associazione di propoli e Topolino nell’immaginario artistico di Zappatore da vita a una creatura fantastica, il Propolino, un'ape con le orecchie da topolino, il protagonista della copertina dell’album. Un album composto da sedici brani originali tutti scritti da Marcello Zappatore; per questo suo ultimo lavoro discografico è affiancato da Dario Congedo (batteria), Luca Alemanno (contrabbasso), Fabrizio Palombella (basso), Paco Carrieri (piano) ed Emanuele Coluccia (sax). «Propolino è un disco che sembra un film: cattura la tua attenzione dal momento in cui leggi i titoli, poi sei coinvolto dal suono, e infine vuoi stare a guardare come va a finire» - racconta Javier Girotto - «È un lavoro di grande qualità, suonato eccelsamente, pieno di classe e ironia, in cui gli arrangiamenti, l'interpretazione e l'improvvisazione sono in primo piano».
N
Propolino sarà presentato al Fondo Verri di Lecce mercoledì 25 aprile, alle 21.00
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pensamenti
on so che farmene di rapporti tiepidi, di brodini emotivi, di indugi, di manfrine, si vive una volta sola, io voglio fare la rivoluzione,non voglio avere a che fare con chi parla una lingua di plastica, mi piacciono i puri e i dannati, non mi interessa la socialdemocrazia dello spirito, non mi interessano passioni anemiche, compagnie al piccolo trotto. voglio la furia, nient'altro che la furia. cerco altre persone come quelle bellissime che già trovato anche qui o in giro per l'italia oppure grazie ai miei libri. non bisogna scoraggiarsi, si può fare tanto, ma bisogna essere coraggiosi, rudi, scomodi e anche dolcissimi, delicati, entusiasti. inutile zampettare nel fango a bocca aperta aspettando qualcuno che ci aiuti. siamo noi che dobbiamo aiutare gli altri, c'è tanta gente che ha bisogno di noi. lì dobbiamo guardare. Franco Arminio