Spagine della domenica 65 0

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della domenica n°65 - 22 febbraio 2015 - anno 3 n.0

Periodico culturale dell’Associazione Fondo Verri

spagine Un omaggio alla scrittura infinita di F.S. Dòdaro e A. L. Verri


Legittima difesa

spagine

Contro la minaccia del califfato qualche iniziativa va presa sia in direzione diplomatica sia in direzione militare

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’Isis, gli uomini del Califfato sono giunti in Libia; sono alle nostre porte. I nostri governanti passano da affermazioni incaute, “Siamo pronti a combattere in Libia”, a mascheramenti indecorosi, “Ci muoveremo solo sotto l’egida dell’Onu”, fino all’esclusione di qualsiasi intervento armato. Furia francese, ritirata spagnola. Il Generale Arpino ha detto che siamo capitati in mano a degli improvvisatori. Sereni, è un anziano militare in pensione! C’è un molto significativo proverbio dialettale che recita “ci culla speranza t’addi staje e nno ccucina alla sira se curca alla ddasciuna”, che traduco per i non salentini: chi sta con la speranza che altri preparino la cena, la sera andrà a letto a digiuno. La minaccia del cosiddetto Califfato è diretta a noi. Che aspettiamo? Per fortuna ha provveduto l’Egitto. Per ora! La questione libica ha dell’assurdo, come gran parte delle “primavere arabe”, così chiamate dai nostri politici, talmente illuminati da esserne rimasti accecati, e dai soliti intellettuali accompagnatori, i quali vedono anche meno di loro. Si dà il caso che quelle popolazioni l’illuminismo e la democrazia non solo non li conoscono, ma non ne vogliono sentir parlare. Gli uomini del pianeta, per loro, o sono fedeli o sono infedeli; per questi ultimi non c’è che la morte, meglio se raccapricciante e spettacolare. Se pure non costituissero un reale pericolo per l’Europa, l’Europa dovrebbe punirli per quello che hanno già fatto. Con la Libia c’era stato un paziente lavoro di ricucitura, dopo la crisi seguita all’espulsione degli italiani nel 1970 e dopo quella culminata nel 1986 col lancio di missili verso Lampedusa. Un paziente lavoro di diplomazia, che aveva visto impegnati vari governi, guidati da uomini politici diversi, come D’Alema, Prodi e Berlusconi, aveva trasformato un’area di turbolenze in una garanzia

di equilibrio. La Libia fermava le ondate di immigrati, era uno dei nostri partner economici più importanti, da minaccia era diventata sentinella dell’Italia e dell’Europa. Per quale motivo dovevamo destabilizzare quel paese, creare l’inferno alle porte di casa? Per le solite fisime ideologiche: la democrazia, la libertà, i diritti civili e via continuando con la litania che conosciamo fin troppo bene. Ora in Libia non c’è nulla di tutto questo, c’è il disordine totale, c’è una consistente minaccia per la nostra democrazia, per la nostra libertà, per i nostri diritti civili. Chi ha compiuto simile scempio meriterebbe la galera a vita. Invece non solo non paga, ma neppure viene accusato, come se nulla avesse compiuto. L’Isis è oggi una minaccia ben più consistente di Bin Laden. Tanto perché le due amministrazioni americane di Obama hanno lasciato fare, sempre all’insegna della democrazia e della pace nel mondo. Siamo passati dai profeti disarmati che, secondo Machiavelli, vanno incontro alla rovina ai profeti disarmanti, che portano alla rovina i loro poveri popoli. L’Europa chiama pace la condizione che hic et nunc non la scomoda direttamente; si rifiuta di estenderla nel tempo e a quelle disgraziate popolazioni che vengono sistematicamente annientate. Ora ci troviamo con questi barbari fanatici “in casa”. Essi, infatti, trovano facili sponde nei loro ben occultati fratelli giunti qui da noi in mille modi e da noi accolti con umanitarie premure, che i nostri governanti mimetizzano deliberatamente come cittadini europei. Guai a dire che sono di origine magrebina o araba! Dopo la razza è stata abolita anche l’origine. Sarà felice Papa Francesco: finalmente siamo tutti figli di Dio. Dobbiamo subito armarci e partire? Non esageriamo. Ma una qualche iniziativa dovremmo prenderla senza aspettare. I servizi segreti inglesi dicono che tra gli immigrati che giungono

di Gigi Montonato

in Italia possono esserci infiltrazioni di terroristi. Ma il nostro Ministro degli Interni Alfano rassicura: fino ad oggi non è successo. Della serie non si crede al santo finché non si vede la festa. Distruggere tutte le imbarcazioni di cui dispongono i mercanti di immigrati sulle coste libiche per impedire le partenze non è fare la guerra. Qualche iniziativa va presa sia in direzione diplomatica, dando i tempi dell’intervento all’Onu, sia in direzione militare facendo sentire la nostra presenza con navi e aerei pronti a rispondere a minacce ove queste si facessero più concrete. Non si tratta di essere guerrafondai, semplicemente si tratta di compiere atti di deterrenza; e, all’occasione, che si spera non si verifichi, di passare dalle parole e dai gesti dimostrativi ai fatti. E’ una questione di legittima difesa che trova la più ampia giustificazione. Ma siamo nelle condizioni politiche di prendere da noi medesimi qualche iniziativa? Temiamo di no. Renzi ha detto che non possiamo passare dall’indifferenza assoluta all’isteria; perciò niente interventi armati. La Mogherini, ministro degli esteri dell’Europa, dovrebbe convincere l’Europa a muoversi; ma pare che non conti niente, né in Italia né in Europa, è l’altra bella statuina del presepe renziano. Nelle trattative con Putin per la grave faccenda dell’Ucraina la Merkel e Hollande non l’hanno neppure invitata come “uditrice”, non foss’altro che per salvare la forma. La minaccia dell’Isis, pur contestualizzandola in un clima emotivamente scosso per le barbare esecuzioni cui quotidianamente i suoi uomini ci fanno assistere, è una minaccia seria. I nostri governanti saranno pure improvvisatori, ma le loro dichiarazioni fanno capire di essere davvero spaventati. Gli attentati dell’11 settembre del 2001 contro le Torri Gemelle sono un incubo proprio per la loro fondatezza e la facilità di esecuzione in qualsiasi momento. Facciamo scongiuri.


diario politico

della domenica n°65 - 22 febbraio 2015 - anno 3 n.0

L

La latitanza sulla bioetica di Matteo Renzi ’agenda bioetica del governo Renzi è silenziosa, tace. Ai tempi dell’ultimo governo Berlusconi, invece, i parlamentari s’infiammarono su varie questioni eticamente sensibili, senza peraltro portare a casa alcun risultato positivo e apprezzabile. Ma nell’era delle riforme e del giovanilismo che avanza, si può sperare di vedere formulate normative di ampio respiro? Si può attendere che la politica attiva risponda alle aspettative dei cittadini? Oltre le alchimie e gli equilibri di palazzo, in un’ottica di etica pubblica, si deve essere alacri, operativi. Alcuni bioeticisti cattolici sono intransigenti e ritengono che cattolici e laici si possano mettere d’accordo sull’immigrazione, ma non sulle questioni eticamente sensibili. Però nessuno chiede ai rappresentanti delle istituzioni di negoziare anche i “valori non negoziabili”. È vero, l’etica tradizionale e la morale laica collidono, si scontrano fragorosamente fra loro. E sui principi stridenti, antitetici, è di fatto impossibile trovare punti d’intesa. Però la politica è il luogo ideale e d’elezione della mediazione: in Parlamento, con uno slittamento e con un approccio morbido, ci si può incamminare su una strada lastricata di buoni propositi e d’una bioetica quantomeno parzialmente condivisa. I rapporti umani si fondano sul compromesso, sulla compartecipazione, sulla comprensione reciproca. Nessuno vuole disgregare la famiglia naturale, se al contempo accetta di riconoscere legalmente altre forme d’unione e d’amore. Se relativamente al “fine

vita” si decide di interrompere, in certuni casi, le terapie mediche, non si è favorevoli all’eutanasia tout court. Se si incoraggia una ricerca sugli embrioni, solo nel rispetto di certe norme rigorose, non si è di certo nemici della vita umana. Il dialogo dovrebbe essere sempre possibile, soprattutto in questo tempo di compromessi partitici e patti di discutibile natura. Il governo Renzi, fino ad ora, è totalmente latitante sulle tematiche bioetiche. Del resto, i politici del Nuovo Centrodestra (Roccella, Sacconi, Giovanardi, Lupi, Lorenzin) sono da sempre ligi ai valori cosiddetti “non negoziabili” e custodi arcigni della famiglia tradizionale. Ma la biopolitica è necessario che compia gli umani destini entro perimetri ben definiti e liberali. Di certo, meglio la colpevole inerzia del rampante “riformatore” fiorentino in camicia bianca, che il trascorso fervente e pervicace attivismo di Berlusconi e dell’inossidabile e trasversale “partito della vita”. I quali negli anni hanno saputo confezionare una illiberale, pasticciata, impraticabile Legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita, un impossibile ddl. sulle dichiarazioni anticipate di trattamento, che di fatto prendeva in ostaggio il corpo dei cittadini, arenatosi giustamente nelle secche del Parlamento. Senza dimenticare che i fedelissimi di Berlusconi (Gasparri in testa) seppero condurre, tra l’altro, una anacronistica e reazionaria lotta alla pillola abortiva Ru 486, che l’Organizzazione Mondiale della Sanità, da anni e anni, ha inserito nella lista dei farmaci essenziali. di Marcello Buttazzo


A spagine

lcune concezioni sono davvero inconcludenti. In Italia, la Lega Nord da sempre sulle politiche popolazionistiche segue una condotta riduzionistica, vagamente xenofofa e razzista. Comprendiamo che alcuni leader hanno un bisogno quasi fisiologico di “allertare” la gente, di vellicare la pancia di certuni, di additare a tutti le “gravi emergenze”. Ma giova individuare costantemente nel rom e nel clandestino il “male del mondo”, il “pericolo ordinario” per il quieto vivere? La povertà, la nera miseria, le difficoltà di relazione si possono oltrepassare con un valido approccio culturale di coesione, di comprensione, di rispetto, di apertura. Il netto rifiuto di capire l’altro e il tentativo maldestro di addomesticare i “problemi” testimoniano l’incapacità di diventare società moderna e plurale. In questi ultimi anni, nel nostro Belpaese, in Francia, in altre contrade d’Europa, s’è usato un volto istituzionale truce nei confronti di zingari e sinti. In tanti luoghi si sono abbattute baracche non per rimuovere case fatiscenti di rom, ma solo per costruire nuovi resistenti ghetti di incomunicabilità, di rottura. Contro l’umanità non si può seguire un registro di annullamento, di distruzione. È vero, da noi, i leghisti sono sempre stati i teorici di misure intransigenti e muscolari. Ma anni fa, anche il francese Sarkozy avviò una caccia grossa contro i rom, contro gli ultimi della terra, ricevendo le condanne risolute dell’opposizione socialista transalpina, dell’Ue e dell’Onu. Da una relazione di Amnesty International, particolarmente attiva nella difesa delle minoranze, emerge che, in Italia, le persone rom e sinti siano almeno 150000, circa lo 0,2% della popolazione nostrana. Amnesty lamenta che per migliaia di persone rom la casa è un insediamento isolato, sovente lontano dai centri urbani, in condizioni di estrema povertà, senza accesso a infrastrutture adeguate e ai servizi di base. Un rapporto della Commissione straordinaria per la protezione e promozione dei diritti umani del Senato ha definito la condizione di vita di migliaia di persone rom e sinti in campi e in insediamenti in Italia “così drammatiche che possono essere tollerate solo se si decide di non guardarle”. Chi si batte per la tutela della dignità della gente si rammarica per il fatto che certi individui siano oggetto di reiterati pregiudizi e discriminazioni. E il dibattito politico di prima e seconda serata televisiva non giova a decodificare una situazione caotica: c’è sempre chi associa necessariamente la comunità rom al crimine o alla

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Contemporanea

Zingari

di Marcello Buttazzo

devianza. Siamo stanchi e avviliti della politica deteriore, che gioca in largo anticipo le campagne elettorali, fiaccamente appiattite su risoluzioni di carattere securitario. Il prode Salvini combatte perennemente contro i soliti nemici, gli eterni fantasmi. Ma davvero i migranti e i rom rappresentano un’emergenza assoluta? La politica assennata, però, dovrebbe stare attenta a non fare passi falsi. Ma davvero i mali del mondo sono i migranti e i rom? La pianta mefitica del razzismo germoglia sempre, instillando putrescenti germi di differenzialismo, dividendo la gente implacabilmente in buona e cattiva, in “virtuosa” e in “dissoluta”. Epperò, una società democratica non dovrebbe mai scivolare sui crinali d’una brutta ideologia, soprattutto in un’era di civile convivenza. In un tempo che reclama ad alta voce una globalizzazione dei diritti umani, un ampliamento degli spazi vitali, è anacronistico opporsi alla libera circolazione degli esseri umani. Perché questa voglia malsana di individuare a tutti i costi un “nemico” da abbattere, da punire? Mario Marazziti, portavoce della Comu-

nità di Sant’Egidio, sostiene che “la politica italiana sulla questione zingari è perdente”. Chi disegna emergenze da risolvere bruscamente con gli sgomberi o con gli interventi di ordine pubblico racconta una storia falsa. L’unica politica accettabile, lungimirante, è quella che favorisce l’inclusione, l’interazione, la scolarizzazione, l’inserimento nel mondo del lavoro, l’educazione alla cittadinanza. Di certo, i rom non possono continuare a restare stipati in luoghi sporchi, coi topi, senza servizi igienici, senza aria né luce, senza integrazione scolastica. In questi giorni, Luigi Manconi, presidente della commissione Diritti umani, ha chiesto al sindaco Marino la chiusura di certe strutture capitoline e l’avviamento d’un percorso di superamento dei “campi rom” attraverso l’individuazione di processi di inclusione sociale. Nei confronti delle minoranze rom e sinti devono essere impiegate coscienziose politiche pubbliche e abitative con l’adozione di interventi puntuali per mettere fine alle condizioni di degrado in cui queste popolazioni sono costrette a vivere da decenni. Il libro nell’illustrazione è realizzato da A.I.Z.O. rom e sinti, in via Foligno 2 a Torino e-mail: aizoonlus@yahoo.it


la riflessione

Da Paperon de’ Paperoni alle cicale e ai negrieri moderni spagine

-della domenica n°63 - 8 febbraio 2015 - anno 3 n.0

L’arraffa soldi

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ivangando le ormai antiche mie consuetudini con i fumetti, rammento che non ho mai avuto in simpatia il personaggio di Paperon de’ Paperoni, l’arci ricco ed avaro per eccellenza, senza peraltro che, nei suoi confronti, nutrissi sentimenti di particolare repulsione o disistima: in sostanza, mi pareva che il miliardario ignorasse completamente la generosità, e però che non danneggiasse il prossimo. Inoltre, ai miei occhi di ragazzino e adolescente, il fatto che egli si trovasse continuamente costretto a contare e misurare i propri tesori valeva alla stregua d’una sorta d’espiazione morale per l’assoluta mancanza in lui, giustappunto, di generosità e altruismo. Oggi, non esistono più figure di autentici Paperon de’ Paperoni. Volgendo lo sguardo intorno, ci si rende conto che è, soprattutto, tempo di cicale, anzi di un universo di cicale, oltre che di manipoli d’approfittatori arraffa soldi senza ritegno. Infatti, su un fronte, è diffusa la tendenza a non dare più valore, neppure minimamente, al denaro, mentre, su quello opposto, nugoli di avvoltoi si muovono a man bassa: effetto di ciò, il veloce e rapido svuotamento delle tasche e del portafogli della gente comune (cicale per niente avvedute) e l’ingiusto, indebito e truffaldino accumulo di guadagni a dismisura da parte degli altri (ossia i manovratori, i venditori di certi beni e servizi).

di Rocco Boccadamo

Qualche esempio concreto. Chi scrive, prova rabbia per quanti, fra gli immigrati clandestini, esercitano il ruolo di negrieri e sfruttatori, imponendo ai ragazzini e alle donne, distribuiti ai semafori, di incassare un minimo giornaliero, pena pesanti punizioni o soverchierie. Trova maggiormente odiosi tali loschi individui al pensiero che, nel chiuso dei tuguri o tende o roulotte, esercitano a tutto spiano, a suggello della loro malsana concezione di possesso, il rito quotidiano della “monta”, il che è testimoniato dalla circostanza che almeno tre donne su quattro, a cominciare dalle appena adolescenti, si presentano permanentemente incinte. Come pure, è pervaso da disappunto e rabbia per i quattro minuti e mezzo di dondolio dei bimbi su cavallucci o altri animali elettrici o per i due minuti di giro in trenino al prezzo di un euro; e ancora, all’atto dell’acquisto di pesce azzurro a cinque o sei euro al chilogrammo, quando tale prodotto è pagato ai pescatori da uno a due euro, per non parlare, infine, della frutta che, sui banchi del supermercato, quota sovente cinque o sei volte la cifra corrisposta ai produttori. In fondo, dietro al comportamento del vecchio, a miei occhi antipatico, Paperon de’ Paperoni, non allignava la disonestà; essa, al contrario, sembra costituire, oggi, una vera e propria costante.


corsivo

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della domenica n°65 - 22 febbraio 2015 - anno 3 n.0

La domenica dei redenti

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di Tiziana Buccarella

privi e chiudevi quella borsetta nera per estrarvi con le mani inguantate, dolente, il fazzoletto ricamato a cui affidavi lacrime nuove e antiche, ne usciva il tuo profumo e il clipclap del fermaglio rimbombava nella chiesa piena di fedeli per la messa domenicale. Colpi di tosse, cigolii di sedie, tramestii di passi, brusii di preghiere, parole sussurrate, erano il sottofondo per l’omelia dell’officiante che ammoniva i presenti con tono imperioso figurando punizioni in questo e nell’altro mondo se le colpe non fossero confessate e con pentimento se ne fosse chiesto ripetutamente il perdono. L’assunzione dell’ostia conquistata dopo aver fatto la fila, tutti, ricchi e non, in attesa della pacificazione della coscienza e l’aspersione finale con l’incenso era il rito taumaturgico catartico e salvifico per quelle anime peccatrici e donava la speranza che l’ immensa bontà divina ascoltasse le preghiere e le richieste di perdono. Eri lì, piegata dalla colpa, bella da morire nelle tue calze con il rigo nero il rossetto sulle labbra gonfie di pianto e gli occhi chiari come un lago al tramonto. Così, mezzi storditi e commossi dal miracolo della Resurrezione dalla carne, i fedeli si salutavano con fratellanza a fine Messa sul sagrato della chiesa, lasciando persino un obolo al mendicante che ogni domenica aspettava fiducioso il miracolo anche per lui..quello di poter mangiare. Come hai fatto a non farmi mai comprendere quanto dovessi amarti? Ora non c’è e non voglio ci sia più tempo per parlare, Ora ti amo… e basta.


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della domenica n°65 - 22 febbraio 2015 - anno 3 n.0

L’abecedario di Gianluca Costantini e Panchina 3* di via Queiroz

Portatemi una pipa procuratemi vi prego delle paillettes e un pacchetto di passione sto per partire

Maira Marzioni

Passeggerò per Porto da qui in poi finchè qualcosa o qualcuno farà Quiete la pietra che porto sul petto questo pallore quasi perfetto.


Un triangolo astrale di poesie

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Lettera aperta e più che seria, serissima a Ilaria Seclì

di Massimo Grecuccio

Chiesi

Chiesi a un ladro di rubarmi una pesca: distolse gli occhi in su. Chiesi a una bella donna di mettersi a giacere: santa e pudica oppose gridi. Appena me ne andai ecco venire un Angelo: ammiccò al ladro, e sorrise alla dama.

E senza dire una parola ebbe dall’albero una pesca, e calmo come un Angelo si godette la dama.

Ad illustrare le mani di William Blake particolare dal ritratto

William Blake (traduzione di Giuseppe Ungaretti)


della domenica n°65 22 febbraio 2015 - anno 3 n.0

Il ladro di ciliegie

Una mattina presto, molto prima del canto del gallo, mi svegliò un fischiettìo e andai alla finestra. Sul mio ciliegio - il crepuscolo empiva il giardino – c’era seduto un giovane, con un paio di calzoni sdruciti, e allegro coglieva le mie ciliegie. Vedendomi mi fece cenno col capo, a due mani passando le ciliegie dai rami alle sue tasche. Per lungo tempo ancora, che già ero tornato a giacere nel mio letto, lo sentii che fischiava la sua allegra canzonetta.

Bertolt Brecht (traduzione di Franco Fortini)

Bertold Brecht in un disegno di Emil Stumpp


Un triangolo

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spagine

laria, ecco un triangol scaleno (dì la verita: non l’avevi considerato). Preciso: eccoti una triangolazione. Poetico: ti indico una costellazione triangolare. Le costellazioni sono creazioni eminentemente umane. Le stelle sono lì, lontanissime (col metro terrestre) tra di loro e da noi. Eppure, con uno slancio dell’immaginazione, e un atto di libertà, possiamo unirle e formare un triangolo, oppure un carro, un ariete, uno scorpione et cetera. Così il lontanissimo, incastonato in un nostro personale universo, diventa il vicinissimo. Le costellazioni, creazioni eminentemente umane, un tempo ci orientavano. Bando alla nostalgia e bando alle ciance. Ti indico i vertici della costellazione triangolare, in ordine cronologico: Chiesi di William Blake; Il ladro di ciliegie di Bertolt Brecht; Et noli oblivisci omnes retributiones eius di Ilaria Seclì (cioè, tua). La triangolazione che tento di imbastire, non è la triangolazione della geodetica. Piuttosto è una triangolazione critica (in senso lato e non solo estetico). Racconto quello che ho visto, ti porto quello che ho raccolto. E siccome questo non è esattamente il campo dell’esatto, ma neanche del nebuloso, più che determinare con precisione le misure dei lati (o degli angoli), mi limiterò, girando intorno ai tre vertici, a unirli con fili-lati. Sappi, però, che tali lati non sono il cammino retto (il tragitto più breve) che la geometria impone. La questione della esposizione non in originale dei testi di Blake e Brecht, la salto a piè pari. Però, ti dico che le versioni che ti sottopongo sono di Ungaretti (interprete di Chiesi) e di Fortini (interprete di Il ladro di ciliegie). Insomma, non proprio due sprovveduti. Se hanno tradito, com’è probabile nel passaggio da un idioma all’altro, l’avranno fatto alla grande. Cioè, con estrema fedeltà allo spirito (non Santo). Chiesi, già da subito, mi sembrò curiosa. Di una curiosità che sfiora la comicità. La comicità è involontaria. Non è nel testo (non ho mai visionato l’originale, e dovrò pur farlo un giorno). Non mi sembra, perdona l’insistenza e la ripetizione, di ravvisare alcunchè nel testo che dica: siamo nel campo del comico. Allora preciso: il comico è nella mia testa di lettore. E può darsi che in questo caso il mio pensare sia un malpensare. Non perdo di vista, però, l’estrema serietà del dettato di Blake. Non conosco l’opera intera di Blake (il rito scaramantico è questo: mai possedere per intero, lasciare al fare ancora dei margini; così, spero, la nera Signora si tiene lontana. - Non posso, ora, ho ancora così tanto da fare!). Non conosco per intero l’opera di Blake, ti dicevo, eppure sento di dire che il sostrato, che fa anche la grandezza delle sue poe-

sie, dentro una cornice di compostezza formale, spesso è un’ingenuità primeva. Nel segno non solo dell’innocenza, ma anche in quello ugualmente primitivo della dignità; alla lettera: dentro la stirpe (umana); che dice, cioè, la dignità dell’uomo. L’innocenza, per un tempo breve è (o, sembra essere, leggi Freud?) un connotato di noi cuccioli; poi, dopo averla persa, se la eleggiamo nostra stella polare, serve più di una vita per avvicinarla (lungi da me il benchè minimo riferimento alla reincarnazione). Veniamo al mondo, e il mondo c’è già, con la sua non innocenza. Ma sto confondendo i vertici, e sto traslando Il ladro di ciliegie verso Chiesi. I vertici si guardano, i vertici si vedono; ma che ognuno resti al suo posto! Torniamo a Blake. Leggere Swedenborg, il mistico il medium il chiaroveggente, probabilmente getterebbe potenti fasci di luce sui suoi versi. Non ho letto tutti i libri (e non intendo farlo). Non sono stanco. E però, trovo sempre il tempo di non fare cose che avrei potuto anche non fare (e questo non è un rito scaramantico, piuttosto è un sofisma). Accostiamoci a Blake senza Swedenborg. In Chiesi abitano quattro esseri. Il primo, l’essere che parla, è un uomo. Usa la prima persona, ma possiamo essere certi che coincide con chi scrive? Chi scrive, è più affidabile degli esseri usciti dalla sua penna? Saprai che: Il poeta è un fingitore… Il primo essere, è un uomo (non possiamo essere certi che sia il poeta). Il secondo è un ladro (e a questa qualifica non è aggiunto altro epiteto). Il terzo, o meglio, la terza è una bella dama. Il quarto è un Angelo. Non è una bella compagnia? In Chiesi ci sono quattro esseri e tre movimenti. Nel primo, l’uomo esprime due desideri: avere una pesca, fare all’amore con la bella dama. Tutte e due i desideri sono frustrati. Elevo il tono di queste mie divagazioni e scrivo una formula: nel primo movimento si attua lo scacco del desiderio. Nel secondo movimento, c’è il cambio del protagonista: l’uomo esce, entra un Angelo (il ladro e la dama assistono impertubabili). Nel terzo movimento si contempla la pienezza del desiderio. L’uomo, che aveva chiesto, non ha ottenuto. L’Angelo, che solo ammicca e sorride, e non proferisce parola, ottiene. Mah. Diavolo di un Angelo, non chiedi e ottieni! (Suona blasfemo, ma è così.) Completamente immerso nella nebbia di Chiesi, penso che questa poesia concerne anche il sesso degli Angeli. L’annosa questione, qui trova un approdo. Una poesia che dà una risposta, finalmente. Se l’Angelo si gode la dama, deve essere un … Ehi, un momento, e chi lo dice? Potrebbe anche essere una … No, nean-

che Chiesi dirime la questione. Una prova ulteriore dell’inutilità delle poesie? Però, questi Angeli. Già sono beati, cioè sono in Paradiso. Se poi, oltre a questo, si mangiano le pesche e fanno all’amore con le belle dame, sono doppiamente beati. Beati due volte loro. Però, questi Angeli. Potrebbero starsene in Paradiso, invece di piombare sulla terra e fare razzie. Il ladro, che ci fa qui il ladro? La sua presenza è più elusiva, ma ugualmente concreta, di quella della dama. Distoglie gli occhi al cielo (Oh, potenze celesti!), raccoglie un ammiccamento (che lo mantiene in scena). Con l’uomo, che gli ha chiesto di supplire al suo scarso o nullo coraggio, non fa il suo mestiere; con l’Angelo, sì. Mah! E la dama? È bella, naturalmente. E anche santa e pudica (ma solo nel primo movimento). La santità e la pudicizia si sciolgono al cospetto dell’Angelo, il quale ha un’arma invincibile: il sorriso. Non un sorriso qualunque, un sorriso di Angelo (carico di beatitudine?). La bella dama, a uno sconosciuto, che forse è un poeta, uno spiantato in ogni caso, preferisce un Angelo, che di sicuro è bello come un angelo. Come darle torto? Già dalla prima lettura di Chiesi, io ho parteggiato per l’uomo. L’Angelo è un vincitore, l’uomo un vinto (schierarsi con i perdenti: il grado zero del comunismo?). Completamente immerso nella nebbia di Chiesi, anni fa, un aiuto inaspettato venne dal claim del trailer di un filmaccio (The Blue Lagoon) basato sull’ennesima variante della storia magnificata da Shakespeare in Romeo and Juliet. Il messaggio pubblicitario del film recitava: la perdita dell’innocenza e la scoperta del desiderio. Ecco, pensai, questa formula, invertita, potrebbe calzare bene a Chiesi. La perdita del desiderio e la ri-scoperta dell’innocenza. Non è l’innocenza la strada maestra che conduce verso la rotondità dei desideri? Forse l’allegoria in tre movimenti di Chiesi, questo racconta. (Nella passeggiata intorno a Chiesi ho schivato: l’eden o paradiso perduto, la caduta o peccato originario, la cacciata dal paradiso. L’anima è selettiva. Oppure, siamo abitati, senza esserne consapevoli, da esseri che scelgono per noi. Daimon o Angeli? (Evito, consapevolmente, di dire: inconscio. È una rimozione?))

Il ladro di ciliegie. Forse, piaceva molto anche a Fortini, che ha intitolato una sua raccolta di traduzioni di poesie brechtiane, Il ladro di ciliegie e altre versioni di poesia. Per me Brecht è stato un autore culto, per diversi anni. Mi piacevano le sue opere teatrali che ho conosciuto solo sulla carta e mai sulla


lettera aperta e più che seria, serissima a Ilaria Seclì della domenica n°65 - 22 febbraio 2015 - anno 3 n.0

Et noli oblivisci omnes retributiones eius

Ilaria Seclì

Sì sì i gatti stanno bene. Sono bianchissimi. I chicchi di melagrana te l’ho detto giorni fa, sono sempre rossi. Inseguo ancora l’odore del ragazzo in carrozzina con la neve coricata sul maglione. Fiori di cotone lino e gelsomino. Lo zio di Michele il pastore ricordi? dice che le pecore non obbedivano più e ognuna se ne andava per conto suo senza di lui non davano neanche il latte. All’uscita dall’ospedale di corsa dal gregge un fischio è bastato ed eccole tutte in una a seguirlo. I fiaschetti piccoli piccoli per i nipotini, la ricotta della zia, bianca bianchissima. La stessa che col siero arrivava a casa mia quando avevamo la febbre e quel bianco era più di un antibiotico. (Che ne sarà di tutte le pecore del mondo evoluto quando i vecchi se ne andranno).

Paolo padre di Sara dice che le campagne non sono tenute come si dovrebbe ecco perché gli ulivi si sono ammalati. Mangiamo sul tavolo di legno bianco dove Mitch è nato (gennaio corrente anno): le mettevano così, gambe aperte e braccia che altre donne tenevano, e si nasceva così, un due tre quattro e plaft, nato! [Non sono il tuo tutor]

[Lo sforzo che hai fatto non è stato per me lo sforzo che hai fatto non è stato per me] La tua bocca saetta mitraglie / tagliato spazio appeso e mostruosi / pesci orfani di branche / all’epilogo che siamo/ i titoli di coda di chi era sposa / al cosmo, Adamo e Dio / invertebrata storia senza macchia / Dalla cura alla stanchezza / dalla promessa all’oblio / dall’estate al dopo / battesimo e cacciata / i baci che non dai / impiccati al calendario / di una misura stretta / ordinario tempo / mal riuscita festa]. Io e Ester abbiamo lo stesso braccialetto roselline rosse e un bel po’ di lune in mezzo. Seconda elementare, nome proprio di persona, genere femminile, numero singolare. Dai dai combattiamo facciamo la lotta! Mirko e Ester dopo le battaglie del giorno dormono con braccia che si legano. [Profeta Osea, eccola l’anima nel deserto. Aspetto la voce che parli al mio cuore]

[Modo e modo di essere grandiosi, classici: raccogliere divani e televisori sul ciglio della strada insieme alle olive] [E i tarocchi le stelle le sentenze]

[Vorrei una parola ideogramma. Perfetta elegante inaccessibile] [Madre, col favore delle stelle] [Il bosco è intero nella sua parola] [L’estraneità tra ciò che siamo e ciò che diventiamo]. [Gli atti liberatori si limitano allo scatarro] [Tra le coppie c’è sempre un tripudio di pollici un gran da fare virtuale un silenzio].

Novoli, festa del fuoco, fòcara, gran falò per S. Antonio Abate. 25 metri. 20:15, 16 gennaio 2015. Dice il vecchio che affattura 90 mila fascine Questa gente che si accumula a che cosa. Penso che la gente sente quello che sento io. Quando si accende. Quando si accende…Pensavamo che morti i vecchi non si sarebbe più fatta, invece. E così sarà fino a che c’è vita. [Come quando si correva da bambini per arrivare primi] [L’eterno grazie afono]

Ilaria Seclì


astrale spagine

scena. Mi piaceva in modo speciale Ascesa e caduta della città di Mahagonny, una sorta di operetta, musicata da Kurt Weil (Moon, of Alabama, la canzone, viene da lì), su come si innesta il capitalismo in una città nuova nata in pieno desert. Come avviare in tempo breve un’impresa più che redditizia. Alcool, prostituzione, gioco, sfruttamento. Requisiti: uno solo, la totale mancanza di scrupoli. Leggevo anche i suoi diari di lavoro, e le sue poesie. Per me, Il ladro di ciliegie ha una strana e curiosa bellezza. Io trovo la semplicità di questa poesia-racconto, disarmante. Il titolo non lascia adito a dubbi. Il racconto, invece, ne solleva molti. Qui, si incontrano due persone. Un uomo alla finestra e un giovane seduto su un ciliegio. Il giovane dovrebbe essere il ladro. E l’uomo alla finestra dovrebbe essere colui che subisce il danno. Costui, invece, non grida né si arrabbia. Non solo. Non dice niente. E’ un testimone calmo della sottrazione delle sue ciliegie. Sembrerebbe che egli non colga alcun reato. Neanche il comportamento dell’allegro giovane, d’altronde, è catalogabile come il comportamento di uno colto in flagrante. Non smette di cogliere le ciliegie per mettersi a correre. No. Continua, sorridendo e fischiettando, a riempirsi le tasche. (Così, in tasca, si preserverà l’integrità delle ciliegie? Non si farà marmellata?) Se il poeta avesse scritto: sul mio ciliegio … c’era seduto il giovane Mike Tyson/ con un paio di calzoni sdruciti, avrei anche potuto capire. I poeti saranno pure fingitori. Ma quando raccontano bugie (quasi sempre) lo fanno con estrema precisione. Così, le bugie sembreranno più vere del vero. Perché l’uomo non si arrabbia? Perché non fa, né dice nulla? Chi è? Una specie di santo, un monaco trappista, un ministro di Budda, un maestro Zen, un atarassico? Chi è? Nessuno di tutti questi, temo. Quell’uomo è inumano. Non si arrabbia! Fosse anche stato uno eccessivamente timido e senza un briciolo di coraggio, almeno avrebbe potuto esprimere rabbia, o indignazione, nel racconto! E, invece, nulla di tutto ciò. Quella serena imperturbabilità no richiama l’Angelo di Chiesi? Forse, quell’uomo è un Angelo. (Se gli angeli mangiano le pesche e fanno all’amore, possono anche dormire in una casa terrena ed essere svegliati da un fischiettio, non ti pare?) L’Angelo mi prende per mano e mi conduce verso la luce (sarà l’Angelo Lucifero?). No, quell’uomo non è inumano! E’ splendidamente umano. E’ umano in senso pieno. Nella vicenda del giovane appollaiato sull’albero, al-

legro scanzonato e colmo di vitalità, e del testimone imperturbato alla finestra, un uomo sicuramente meno giovane, io credo possiamo leggere il naturale avvicendamento delle età. Noi veniamo al mondo. E il mondo c’è già (con la sua non innocenza). I giovani, quelli che vengono dopo, è naturale, è nelle cose, che si riempiano le tasche delle ciliegie dei ciliegi piantati da quelli che sono venuti prima di loro. Così è la vita. Anzi, così dovrebbe essere la vita. Il giovane non ha con sé un sacco, o delle casse, che riempie di ciliegie. Riempie solo le tasche dei suoi calzoni sdruciti (col rischio di fare marmellata). Quante ciliegie mai potrà mettere nelle sue tasche? Di sicuro, non quelle che consentiranno un guadagno non lecito! E l’anziano, il testimone, lo sa. Perché mai dovrebbe arrabbiarsi? Il giovane continua la vita. Prende dall’anziano il testimone, e prosegue. Magari, col tempo metterà pure a dimora qualcuno dei semi (il cuore) delle ciliegie. L’anziano lo lascia fare, gli dà fiducia. E altri ciliegi cresceranno e fioriranno (come non pensare al Giappone, che celebra i ciliegi con una grande festa?). Se tutto ciò non si può chiamare comunismo (caro a Brecht), forse si può dire: comunione. Comunione dei beni, condivisione? Mi sto spingendo oltre? Questa poesia, che per me è buonissima, mi dà la spinta per spiccare un piccolo volo. Così ho una prospettiva leggermente più ampia. Oltre per oltre, ormai volo, mi chiedo: oggi, chi ruba le nostre ciliegie? Forse gli africani, i siriani, gli afghani, i pakistani e tutti i paria disperati, cosiddetti extracomunitari, che tentano, e non sempre ce la fanno, di sbarcare sulle nostre coste? Mi sono spinto oltre, sì. Però, credo di essere restato nel recinto, che per me è molto ampio, di Il ladro di ciliegie. Tu credi che io abbia finito, con Il ladro di ciliegie? E invece, no. Mi dà il destro per qualche considerazione sulle poesie di Brecht. Spesso le sue poesie prendono la deriva didascalica (è un peccato veniale). Un piccolo assaggio: Quali tempi sono questi, quando/ discorrere di alberi è quasi un delitto/ perché su troppe stragi cade il silenzio. Non è vero, è verissimo. E ben detto. Con un’efficacia retorica superiore alle parole dei giornali. Anche oggi, a distanza di tanto tempo. (Ricordo questi versi a memoria, ma non sono in grado di dire il traduttore. I traduttori bisognerebbe menzionarli sempre. La loro opera spesso non ha il giusto rilievo. E non parlo dei traduttori del calibro di Ungaretti e Fortini.) La poesia didascalica è un genere fortemente in

di

ribasso, oggi. Forse andrebbe recuperata, togliendo un po’ di spazio alla comunicazione giornalistica (fortemente in crisi; (ma dal letame (dalla crisi)/ nascono i fior)). Non per altro se non per guadagnare efficacia retorica. Vero convincimento, ovverossia un più probabile coinvolgimento. Oggi, la poesia lirica la fa da padrona. Con tutte queste accensioni liriche, c’è però pericolo di incendio. Ricordiamoci sempre dell’Angelo. Lui non appicca (non proferisce parola). Lui c’è. E ottiene, eccome se ottiene. (Con la poesia didascalica, comunque, non si fanno le rivoluzioni.) Io credo che la tensione di Brecht al comunismo, o se preferisci alla comunione, che sembra essere la cornice fissa entro la quale si è snodata la sua azione di scrittore, sia più intensa in Il ladro di ciliegie che in altri luoghi della sua vasta opera (non oso dire di tutta la sua opera, che non conosco per intero). Non è né didascalico né dottrinario. Qui sfrutta la potenza dell’icona verbale. Quale evidenza nell’immagine che comprende il ragazzo seduto sull’albero, che raccoglie ciliegie fischiettando, e l’anziano testimone, che guarda e non si arrabbia. Forse la poesia è più grande quando si avvicina all’icona verbale, a una sorta di mito. Ut pictura poesis? La poesia è come la pittura? Il ladro di ciliegie è un quadro. Credo anche che sia un’allegoria. Per questo credo che sia potente (come anche Chiesi). (Tuttavia, neanche con le allegorie si fanno le rivoluzioni.) Con tutto questo, non voglio dire che quando si scrivono poesie bisognerebbe tendere all’allegoria. Quando scrivo (ma non solo), immerso nel vortice della scrittura, nel pieno possesso di tutte facoltà (così credo), qualche volta forse cado in una sorta di abbassamento del controllo mentale (verificato col senno di poi). Faccio tutto quello che credo debba essere fatto. Le braccia sono salde, la corda dell’arco è ben tesa, la freccia spicca, percorre la parabola, si conficca. Il bersaglio è stato colpito. È quello che avevo puntato? È di Goethe questa sentenza (la riporto con parole mie, spero di cannarla poco): uno scrittore sa quel che vuole scrivere, non sa quello che ha scritto. Mi piace pensare (mi assumo tutte le responsabilità di questa fantasia) che Brecht, quando ha scritto Il ladro di ciliegie, fosse in uno stato del genere. Nel bersaglio che la sua freccia ha colpito, ci sono particolari che non ho tenuto in debita considerazione. La vicenda si svolge la mattina presto (il crepuscolo empiva il giardino) in quella fase, cioè, in cui la notte trascolora nel giorno nascente. Il testimone, dormiente, è stato sve-


lettera aperta e più che seria, serissima a Ilaria Seclì

gliato. C’è stato davvero un fischio? Il testimone si alza, va alla finestra, vede il ladro. Siamo sicuri che il testimone sia nel pieno possesso delle sue facoltà? Forse è sveglio, ma non del tutto. Anche se ha fatto i passi dal letto alla finestra, può darsi sia immerso nel dormiveglia, in quella zona della coscienza umana in cui è facile che i ricordi facciano capolino. Cucù, ti ricordi? In quella zona, il livello di allerta è basso. I ricordi si avvicinano, le distanze si annullano, i ricordi ci toccano. Li lasciamo fare, nessuna resistenza. Questo genere di esperienza è della stessa specie dei sogni ad occhi aperti (che non avvengono solo al crepuscolo nottegiorno). L’uomo alla finestra può andare in tribunale? Non credo. La sua non sarebbe una testimonianza fondata. Il testimone, l’angelo del dormiveglia, non ha assistito ad alcun furto. O, meglio, il furto, se c’è stato, è avvenuto nel passato. Il ladro (è questo è il mio sogno ad occhi aperti) è il testimone quando era ragazzo. È lui, nel passato, che ha rubato le ciliegie. Sono passati tanti anni. E poi, il reato non era grave, per il tribunale sarebbe comunque prescritto. Il reato, non era grave anzi, era un atto di grande e piena vitalità. Noi veniamo al mondo, e il mondo c’è già (e non è innocente). Nell’allegoria di Il ladro di cilegie, il ragazzo e l’anziano si guardano. Il ragazzo guarda in avanti, l’anziano guarda all’indietro. Qui si contempla la rotondità della vita. Brecht scrisse Il ladro di ciliegie pochi mesi prima di morire. Brecht, da alcuni è stato così definito: ladro geniale di idee altrui.

Non scorgo il terzo vertice. Ah, eccolo. Faccio questa osservazione: tra il primo vertice e l’ultimo, all’incirca 200 anni. Però, ce ne vuole di tempo per costruire un triangolo. Altra osservazione: ne è passata di acqua sotto i ponti (forse sono caduto in quello stato, di cui sopra, di abbassamento del livello di controllo mentale; non garantisco la bontà di quello che andrò scrivendo da qui in seguito; la materia è troppo fresca, freschissima). Intorno a primi due vertici, Blake e Brecht, il terreno è ben calpestabile. Uno si avvicina, guarda, gira intorno. Se ne va, poi ritorna. Una e più volte. Intorno al terzo vertice, e a sua protezione, c’è del’acqua. Il terzo vertice sembra essere circondato da una palude (è la Palude Critica?). Camminare, qui, è insidioso. Potrebbero esserci le sabbie mobili. D’improvviso, potrebbe sbucare un alligatore (gli alligatori, si sa, prediligono le paludi; nel Salento, come nelle Everglades in Florida). Meglio tenersi alla larga, è più prudente. Ilaria, guarderò da lontano. E dirò poco. Perché la materia è troppo fresca, freschissima. E qui la freschezza non è una qualità sine qua non,

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poesia

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anzi. Prudente non credo di esserlo (nei territori era l’Angelo della Fòcara.). E l’anziano, che dell’anima, almeno). Ciò detto, mi avvicino al ha piantato il ciliegio, sembra contento, molto, che gliele abbiano sottratte. terzo vertice, tenendomi lontano. Ilaria, c’è una virtù oralità nelle parole che tu scrivi, che nella lettura silenziosa s’intuisce e che si esplica con pienezza nella lettura ad alta voce. Nella pronuncia ad alta voce, le tue parole diventano lamine d’acqua, che scorrono le une sulle altre. Quello che si sente è un torrente, che nel suo scorrere fa baluginare lampi, che illuminano a tratti l’oggetto (accorcio: il tema) trasportato dalla corrente. Et noli oblivisci omnes retributione eius, invece, non è un torrente, è un rivolo. Anzi, una serie di rivoletti che forse confluiscono in un rivolo. Qui la virtù oralità credo che voglia la sordina (forse, ma non solo, per non svegliare il ragazzo in carrozzina con la neve coricata sul maglione). Qui la pendenza (il gradiente) porta, irreversibilmente, verso uno spazio familiare, intimo. Qui, l’oggetto è lava incandescente, che a contatto con l’acqua sprigiona fumo. È lava, che a contatto con l’acqua non si raffredda del tutto. Ci sono, qui, alcuni respiri completi. Non è una respirazione naturale, inconsapevole. Piuttosto, è una respirazione consapevole, innaturale. E all’incontrario (alla mmerza). Non: inspiro-espiro, ma: prima butto fuori, poi tiro dentro. In tale spazio, si muovono il Puer, il Senex, e pure l’Angelus (Un triangolo anche qui? Un triangolo nel triangolo!). Qui, si spiega un controcanto incrinato, che invoca da lontano la pienezza dei desideri. Qui, si mostrano appena i vecchi cicli ancora aperti e i nuovi che stentano ad aprirsi. Tutto questo è convocato, qui, forse per una soluzione taumaturgica da affidare alle parole (con la sordina, però, e non in maniera indolore). In Et noli oblivisci omnes retributiones eius mi sembra di scorgere abbozzi di allegorie (allegorie interrotte). In primo piano, qui, c’è la nascita, e la cura delle madri. Qui, c’è anche la cura dei padri (per i greggi, per gli alberi, per i ladri di ciliegie). L’Angelo, anche se non si vede, c’è. Eccome. [Anzi, credo di poter dire che le tue parole, quando sei al meglio, sempre si dimenano nello spazio tra l’Angelus e la puella (e non conosco per intero la tua opera; e non sto andando a briglie sciolte). A pensarci bene, solo in Blake, il vertice più antico, l’Angelo compare di persona. Poi è stato costretto a diventare fantasma, a nascondersi tra le pieghe delle tensioni alla pienezza e alla rotondità. (E la parola-ideogramma, che altro è se non una delle lingua degli Angeli, che non parlano? Non con i suoni.)] E qui, ci sono anche i ladri di ciliegie (hanno colpito a Novoli, questa volta! Il palo

Ho parlato, anche troppo.

Da ragazzino, nel corteo di un funerale. Davanti a me due anziani. Uno chiede all’altro: «Cumpare, e st’annu le vulìe? L’annata è bbona?». Più avanti c’è il feretro, portato a spalla. Il mio sensibile animo di tenero virgulto è profondamente colpito da quelle parole. Le percepisco come insensibiltà dietro alla morte. Ora so che quegli anziani, senza averlo voluto, istruivano con obliquità un ladro di ciliegie in erba.

Dal primo vertice al secondo. Dal secondo al terzo. Adesso, Ilaria, dobbiamo tornare dal terzo al primo, non ti pare? Torniamo dall’Angelo tombeur des femmes. C’è qualcosa, in Chiesi, che non torna. Anzi, c’è qualcuno, in Chiesi, che non torna. Il focus è l’attacco del secondo movimento: Appena me ne andai… Tu, uomo che racconti, se te ne andasti e non tornasti, allora come puoi dare testimonianza di quello che accadde dopo? Possiamo credere alle tue parole? Delle tue parole non possiamo essere certi. Di questo, ora, possiamo essere sicuri: tu che racconti sei il poeta. Non ci sono più dubbi. Sei il poeta e Il poeta è un fingitore. All’anima, se è vero! Allora che cosa hai raccontato? Una favola, una fola hai narrato. E lo spazio scenico, adesso ci metto la mano sul fuoco, non era all’esterno. Se non a tua discolpa, a tua attenuante questo posso dire: più che bugiardo, reticente sei stato! Ilaria, il triangolo ora è chiuso. Abbi cura di te, Ilaria. Così, spero, al mondo regalerai altre parole, nude e dense, come quelle di Et noli oblivisci omnes retributiones eius.

P. S. Mentre scrivevo questa lettera, mi sono venuti questi versi (7x7, è un quadrato!).

E calmo come un angelo mi godo i versi

Mi fermo sulla soglia. Aspetto e non chiedo. Con lo stigma dell’anima - senza suono alcuno – l’eco delle parole verrà verso di me. E io darò la resa.

Massimo Grecuccio


biglietto d’auguri

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Bien amada Ilaria

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edicato ad Ilaria e a radici di albero d’ulivo che osservo mentre s’afferrano alla roccia; le osservo, poi alzo lo sguardo e vedo la chioma, incredibile monumento alla bellezza e poi ritorno a guardare le radici e penso a Neruda e alle sue di radici, lui che nient’altro chiede se non d’essere lasciato così, tranquillo con le sue cinque cose, le sue “cinque radici preferite”. “Una è l’amore senza fine./ Una es el amor sin fin.

La seconda è vedere l’autunno. / Lo segundo es ver el otoño Non posso vivere senza che le foglie / No puedo ser sin quelas hojas Volino e tornino alla terra. / Vuelen y vuelvan a la tierra.

La terza è il grave inverno, / lo tercero es el grave invierno, la pioggia che ho amato, la carezza / la lluviaqueamé, la caricia del fuoco nel freddo silvestre. / del fuego en elfrìo silvestre.

La quarta cosa è l’estate / en quarto lugarelverano Rotonda come un’anguria / redondo come una sandía.

La quinta cosa sono i tuoi occhi / la quinta cosa son tus ojos…..”

Gli occhi di Matilde, la “bienamada” sono per Neruda la quinta sua radice; non vuole dormire senza i suoi occhi, non vuole esistere senza che lei lo guardi; “yo cambio la primavera / por que tú me sigas mirando.” Oggi continuo a guardare radici così afferrate, aggrappate alla roccia, ripeto i versi del poeta e d’un tratto i loro mille occhi, occhi di muschio e di pietra si immergono nei miei e io scambierei tutte le mie primavere per esaudire questa loro muta, millenaria preghiera che sa di inverni, autunni ed estati e primavere condivise con una nuvola, con un tuffo nell’infi-

di Giuliana Coppola (la foto è di Fulvio Rizzo)

nito dei cieli. Appartengono al colle della Ninfe questi ulivi; io li ho incontrati, immagine su schermo, nella bottega del dottor Fulvio Rizzo in via Prato a Lecce, dove scivolano cultura e amore per l’arte mentre compri il pane e loro, le immagini degli ulivi e di paesaggi incredibili, scorrono tranquille; ti coccolano, ti sorridono, carezzano i pensieri e così dimentichi pane e spesa, ti immergi in loro e pensi che se esiste un colle delle Ninfe, esiste perché loro gli ulivi, danno vita e voce alle creature misteriose che nascondono e proteggono da quotidiana violenza; anche dalla violenza di uno strappo, di uno sradicamento dalla terra che ti appartiene e che senti pelle della tua pelle, anche lei, la terra, Ninfa che si rifugia in te, che ti chiede aiuto perché tu non la violenti, non la trasformi, non la deturpi, costringendola ad essere quella che lei non vuole essere. Anche lei è Ninfa libera d’essere quello che è nel suo mare, nei suoi cieli, nel suo verde, nei suoi tramonti e oggi, ancora, anche per un tramonto condiviso, penso ad Ilaria, ninfa libera, e penso alle sue radici che s’aggrappano come quelle degli ulivi a rocce che muschio ricopre ed edera, a volte, perché verde si mescoli a rosso di terra, a grigio di sassi e penso che un giorno- quanto tempo fa? – le ho consigliato d’andare- ché, via via da qui – lei si sarebbe riconosciuta. Ha regalato sorrisi a bimbi avvolti da nebbia ed è ritornata come volo di rondini o cinguettio di passeri; è ritornata sui suoi passi e intanto, è febbraio, il suo febbraio ancora una volta e sono ritornati i passeri; saltellano tra giallo di limoni a illuminare sguardi e giardini e giorno di compleanni; nascono a febbraio i poeti; cercare per credere e si somigliano un po’ tutti; esuli in cerca d’un nido che non imprigioni libertà di pensieri, in cerca di rocce forti a cui aggrapparsi perché vento non porti via; anarchici, un po’, in attesa che ritornino baracche dal tetto rosso e tramonti mozzafiato. “Qui un tramonto mozzafiato su architetture divine. Che incanto!” scrive Ilaria, mentre immagini e versi scivolano sul suo febbraio.


Del cercare eroico

della domenica n°65 - 22 febbraio 2015 - anno 3 n.0 spagine letture Giorgio Vasta, "Il Tempo Materiale", Ed. Minimum Fax, 2008

Il Tempo Materiale” è il romanzo di esordio di Giorgio Vasta, scrittore originario di Palermo e naturalizzato torinese, pubblicato nel 2008 dalla casa editrice Minimum Fax e candidato al premio Strega l’anno successivo. Del romanzo, nel 2012, è stata realizzata una trasposizione a fumetti a cura di Luigi Ricca, edita da Tunué – Editori dell’immaginario. Vasta, con un scrittura metallica con tratti di realismo quasi asfissiante, racconta le vicende di Nimbo, undicenne palermitano, e di due suoi coetanei, Raggio e Volo, in una Palermo primordiale e periferica rispetto agli avvenimenti che nel 1978, anno in cui è ambientato il romanzo, sconvolgeranno l’Italia. Il ’78 è soprattutto l’anno del sequestro di Aldo Moro. Il 18 marzo in via Fani a Roma, con un’azione terroristica, definita da F. Piperno di “geometrica potenza”, un commando delle Br portava a termine il suo attacco al cuore dello Stato, trucidando la scorta e sequestrando l’ on. Moro. Più a sud, i tre ragazzini di Palermo si muovono, agiscono e pensano come dei filosofi razionalisti, imitando il linguaggio, l’ideologia e le azioni eversive del brigatismo rosso. Fondano una cellula terroristica: il NOI, Nucleo Osceno Italiano. Iniziano con piccoli attentati ai danni della loro stessa scuola, seguiti da volantini rivendicativi, e si spingono fino al sequestro e all’omicidio di un

di Alessandro Vincenti

La copertina del libro di Giorgio Vasta, l’immagine di copertina del fumetto, e una tavola di Luigi Ricca

compagno di classe, Morana. La similitudine con Moro è evidente. L’autore, in un’intervista, spiega la scelta di porre al centro del romanzo dei ragazzini e una città come Palermo - marginale rispetto alle tensioni che hanno attraversato gli anni di piombo- come il tentativo di fotografare, partendo dalla periferia (anagrafica, nel caso dei ragazzini protagonisti del romanzo, e geografica, nel caso di Palermo), l’Italia nell’attimo esatto in cui perse la propria innocenza. Il romanzo, pertanto, è una profonda riflessione sul ‘78, e per estensione sugli anni immediatamente successivi. Anni che segnarono il passaggio da un’ideologizzazione permanente, che permeava per intero la temperie culturale e sociale del nostro Paese, alla progressiva normalizzazione incarnata dai rassicuranti palinsesti delle nascenti televisioni commerciali. La normalizzazione del Paese iniziava la sua lenta avanzata facendosi scudo di un'ironia cialtrona, che dal tubo catodico dilagava nelle case degli italiani fino a saturare l’immaginario collettivo con modelli interpretativi del mondo semplificati ed edonistici. Il libro si sofferma proprio sulla drammatica resistenza di un modello culturale, che per non dover rinnegare se stesso, si spingerà fino al drammatico punto di non ritorno, rappresentato dall’omicidio di Moro/Morana, contro il suo opposto inneggiante il disimpegno a tutti i livelli. Il linguaggio, gli slogan e i personaggi televisivi vengono, dai protagonisti

del romanzo, fagocitati, nel tentativo di neutralizzarli, all’interno di quella loro volontà quasi donchisciottesca di razionalizzazione permanente del reale. L’Alfamuto, codice segreto utilizzato dai tre nelle azioni eversive, è basato sui personaggi pubblici di quegli anni. Il Celentano di Yuppi Du, il John Travolta de La Febbre del sabato sera e il Nino Castelnuovo della pubblicità dell’Olio Cuore vengono utilizzati come “forme a cui dare nuovi significati”. Una sorta di resistenza all’Italia ironica, demenziale e farsesca, è, anche, l’avversione che i ragazzi di Palermo nutrono per la squadra azzurra, impegnata contro l’Olanda di Cruijff ai mondiali di calcio di Argentina ‘78. “L’Olanda è la dimostrazione concreta dell’idea che considero centrale nella nostra militanza: l’alterabilità dei ruoli determina l’inalterabilità della forma. Ovvero, l’equilibrio della squadra dipende dalla disponibilità di ognuno di assumersi, con quella del suo ruolo, anche la responsabilità del ruolo dei compagni”, dice uno dei protagonisti. Mentre, “l’Italia appartiene invece a quella categoria di squadre dalla strategia confusa ma capaci di escogitare soluzioni inaspettate, di resistere e a volte, per consunzione dell’avversario, persino di vincere”. L’ideologia, come sguardo tragico e consapevole del mondo, e l’ironia, simbolo del disimpegno e del riflusso delle grandi narrazioni del ‘900, sono i due poli opposti attorno ai quali si sviluppa questo bel romanzo di G. Vasta.


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in agenda

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A Lecce, al DB d’Essai, martedì 24 febbraio Buongiorno Taranto il film di Paolo Pisanelli e la presentazione del contest “Adotta un luogo!”

Mai più, “Ce m n futt a me!”

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artedì 24 febbraio finalmente a Lecce Buongiorno Taranto. Il Cinema DB D’Essai di Lecce accoglie la proiezione dell’innovativo docufilm di Paolo Pisanelli in concomitanza con il lancio del contest Adotta un luogo!, che accompagnerà il film nel suo tour in Italia e all’estero. Appuntamento alle 21.00, in via dei Salesiani, 4. Ingresso 5 euro. Esistono tanti modi per tutelare i luoghi. Alcuni passano dall’azione concreta ma anche dall’attenzione che alcuni dispositivi comunicativi sono in grado di attivare. Lo sa bene BigSur e il regista Paolo Pisanelli che, a partire da un videoblog, hanno realizzato il documentario “Buongiorno Taranto” firmato, oltre che dal film-maker, dagli abitanti della città più avvelenata d’Europa. Dunque non poteva essere che un invito aperto ai contributi di tutti il contest Adotta un luogo!, che sarà presentato martedì 24 febbraio al Cinema DB D’Essai in occasione della tappa leccese del tour del docufilm che toccherà varie città italiane e festival internazionali. Combattendo filosofia del “Ce m n futt a me!” (che me ne importa a me?), il contest vuole raccogliere le testimonianze di tutti coloro che vivono consapevolmente il proprio territorio, mappando paesaggi e storie minacciate dall’incuria, dall’indifferenza e da interessi economici. Partecipare è semplice: basta realizzare un video di un minuto da pubblicare sulla fanpage del film,

Tommaso il Pirata, Primo Maggio di Lotta a Taranto 2014, fotografia di Paolo Pisanelli

facebook.com/BuongiornoTaranto, utilizzando gli hashtag #adottaunluogo e #buongiorno (nome città). Una selezione dei video-minuto sarà presentata alla dodicesima edizione della Festa di Cinema del reale che si terrà a Specchia dal 22 al 25 luglio 2015. La presentazione del contest, prevista per le ventuno, anticipa la proiezione del film che racconta tensioni e passioni di una città immersa in una nuvola di smog, di una città intossicata ad un livello insostenibile. Aria, terra e acqua sono avvelenati dall’inquinamento industriale, all’ombra del più grande stabilimento siderurgico d’Europa, costruito in mezzo alle case e inaugurato quasi cinquant’anni fa. Le rabbie e i sogni degli abitanti sono raccontati dalla cronaca di una web radio nomade e coinvolgente, un cine-occhio digitale che scandisce il ritmo del film e insegue gli eventi che accadono ai confini della realtà, tra disastri ambientali e improvvise rivelazioni delle bellezze del territorio. A seguire, si tiene invece “Strategie per la tutela e la cura del territorio e dell’ambiente” il seminario in cui intervengono, insieme al regista, Nandu Popu dei Sud Sound System; Gianni Raimondi del Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e pensanti; Daniele Pomes del movimento No al carbone di Brindisi; Juri Battaglini di LUA Laboratorio Urbano Aperto; Luigi Russo del Centro Servizi Volontariato Salento; Ivano Gioffreda di Spazi Popolari AOS (Agricoltura Organica Rigenerativa); Gian-

luca Maggiore del Comitato NO TAP; Vito Lisi e Ingrid Simon del Comitato SOS 275. Partendo da Lecce, il contest seguirà il ricco calendario di proiezioni del documentario Buongiorno Taranto - prodotto dalla cooperativa leccese Big Sur, dall’associazione OfficinaVisioni con Produzioni dal basso e il sostegno di Apulia Film Commission - per promuovere una riflessione sui luoghi della nostra quotidianità da proteggere.

Dopo le date pugliesi, inizia dalla Sardegna il tour nazionale. Nel mese di marzo, Buongiorno Taranto è a Cagliari (2 marzo) al Cinema Odissea; ad Oristano (3 marzo) presso la sala del Centro Servizi Culturali; a Sassari (4 marzo) al Cinema Moderno; a Carbonia presso la sala conferenza Ausi della Grande Miniera di Serbariu, sempre alla presenza dell’autore. Mercoledì 11 marzo è la volta di Firenze e del Cinema Portico, mentre spetta al Cineclub Detour accogliere per tre serate, dal 20 al 22 marzo, il film che sarà introdotto, nel primo appuntamento, dal regista insieme Cecilia Mangini. Martedì 24 e mercoledì 25, sempre marzo, doppia proiezione per il cinema San Biagio di Cesena; mentre il 29 marzo Buongiorno Taranto rientra in Puglia, nella Sala del trono di Palazzo Gallone a Tricase, prima di volare a Mantova (20 aprile) e poi a Saragoza, in Spagna, dal 9 al 15 maggio per Ecozine Film Festival.


Martedì 24 febbraio dalle 18.30 al Fondo Verri la Compagnia Mura rende omaggio a Paco De Lucia

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Il ragazzo di Algeciras

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in agenda - fondo verri

della domenica n°65 - 22 febbraio 2015 - anno 3 n.0

artedì 24 febbraio, dalle 18,30 al Fondo Verri - in via Santa Maria del Paradiso 8 a Lecce – omaggio al Flamenco e ad uno dei suoi massimi interpreti Paco De Lucia nel primo anniversario della morte del grande chitarrista avvenuta in Messico il 25 febbraio 2014. Nella serata - organizzata dalla Compagnia Mura - la proiezione di alcune parti del bellissimo film musicale "Carmen Story" di Carlos Saura, tratte dalla versione originale e integrale, sonorizzata dalle “corde” di Paco De Lucia. La serata sarà aperta dalla lettura - a cura di Mattia Politi di una nota biografica su Paco De Lucia e da due brani di flamenco a lui dedicati dal compositore chitarrista Massimo "Max" Mura dal titolo "Omaggio" e "Requiem Flamenco". *** Francisco Sánchez Gómez, in arte Paco de Lucía, nacque ad Algeciras, in provincia di Cadice, il 21 dicembre 1947. Il nome d’arte Paco è il diminutivo di Francisco Franco e il cognome de Lucia è in onore della madre, Lucia Gomez. Immerso nella cultura flamenca fin dalla nascita, de Lucia inizia ad apprendere a suonare la chitarra a cinque anni dal padre Antonio Sanchez e dal fratello Ramon de Algeciras, entrambi chitarristi di flamenco. Il suo maestro è stato il chitarrista Niño Ricardo (Manuel Serrapi Sanchez) e tra i suoi parenti lo zio Sabicas (Agustin Castellon Campos) è anch’egli un noto chitarrista. A soli 11 anni de Lucia abbandona la scuola per dedicarsi completamente alla chitarra e si esibisce per la prima volta in pubblico, ospite di una radio locale. Tre anni dopo insieme al fratello Pepe, forma il duetto «Los Chiquitos de Algeciras». Nel 1962 si trasferisce a Madrid con la famiglia e poi parte per gli Stati Uniti per il suo primo tour con il fratello. Nel 1965 de Lucia avvia una serie di collaborazioni musicali con vari artisti: fra gli altri Ricardo Modrego e A. Ferna’ndez Diaz Fosforito con il quale incide la «Seleccion Antologica del Cante Flamenco». Nel 1967 incide il suo primo album da solista «La fabulosa guitarra de Paco de Lucia». L’anno successivo avviene l’incontro con il cantante Camaron de la Isla con il quale inciderà ben 12 album. La lunga serie di concerti e il successo ottenuto gli permetterà arrivare a suonare il 18 febbraio 1977 al Teatro Real di Madrid, dove fino ad allora non si era mai esibito un chitarrista di flamenco. Nella metà degli anni settanta de Lucia conosce e subisce l’influenza artistica di personaggi come Al Di Meola, John McLaughlin, Larry Coryell e Chick Corea. Nel 1977 si sposa con Casilda Varela. Nel 1980 incide con John McLaughlin e Al Di Meola «Friday Night in San Francisco» un album che a tutt’oggi ha venduto più di cinque milioni di copie. Nel 1981 con Ramo’n de Algeciras, Pepe de Luci’a, Ruben Dantas, Carles Benavent e Jorge Pardo incide un album rivoluzionario per la musica flamenca «Solo quiero caminar». Nel 1996 si riunisce dopo 13 anni con John McLaughlin e Al Di Meola con i quali inciderà «The Guitar Trio». Nel 1998 incide l’album «Luzia», dedicato alla madre scomparsa . Fra i premi ricevuti da Paco de Lucia spicca il Principe de Asturias nell’Arte.Il musicista spagnolo Paco de Lucia è morto a Cancún, in messico il 25 febbraio 2014, aveva 66 anni. Secondo il quotidiano spagnolo Abc il chitarrista, re del flamenco, ha avuto un attacco cardiaco mentre si trovava con la famiglia in Messico.


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Piccola tramontana che schiarisce

Fuoco Nomade per i sapori di Biso, la voce di Enza Pagliara e la chitarra di Emanuele Licci Voci impastate di terra e aria. Per ridare suono e corpo alle nostre memorie.

abato 28 febbraio, dalle 20.30, Enza Pagliara e Roberto Licci saranno gli ospiti di Fuoco Nomade. “A tutti noi pare un incontro importante. La forma sarà quella solita ormai per Cucina Meridiana di una festa/cena che lasci aperto uno spazio per le incursioni creative e per i racconti degli ospiti nel calore di una casa, tra amici. Sapori, suoni, colori, profumi, consistenze nasceranno dall'azione individuale e collettiva di compagni di passeggiate diversi. La speranza è quella di produrre nel dialogo e nella relazione un atto poetico unitario di cui essere tutti partecipi. Un atto poetico in cui ci sia relazione tra sapori, gesti, segni, voci, suoni, consistenze, profumi”. La cena/racconto verrà ospitata nella sede dell'associazione culturale Cucina Meridiana in via roma,19 a Carpignano Salentino.

C’è

E necessaria la prenotazione: info@cucinameridiana.com

La cultura dei Tao... al Fondo Verri, un audio libro che è necessario acquistare e conservare nella propria biblioteca per ascoltare la "fiaba" contadina di Antonio L. Verri... e per sostenere l'attività del Fondo a lui intitolato

La cultura dei tao con dei bozzoli di baco da seta in una fotografia relizzata presso il Museo delle Tradizioni Popolari di Tuglie da Santa Scioscio

La Cultura dei Tao” - il testo che Spagine – Edizioni Fondo Verri ripropone come audiolibro - è stato pubblicato la prima volta nel maggio del 1986, ad introduzione del catalogo della mostra fotografica itinerante “La cultura contadina”. L’iniziativa fu promossa dalla Scuola Media II° nucleo del Distretto Scolastico n°42 di Maglie (presidente il professor Giuseppe Chiri) e dalla Regione Puglia - Assessorato alla Pubblica Istruzione. In una nota del catalogo i

curatori si ringraziano il signor Giuseppe Bernardi che mise a disposizione, per le fotografie, il materiale del Museo della Civiltà Contadina di Tuglie. Coordinatore del progetto fu Pino Refolo, le foto furono realizzate da Yellow Serigrafia di Maglie, la stampa fu a cura della Litografia Graphosette s.r.l. di Taviano. La riedizione del prezioso testo - introdotto da Eugenio Imbriani, unitamente ad un cdaudio registrato e sonorizzato da Valerio Daniele per le voci degli attori Angela De Gaetano, Simone

Giorgino, Simone Franco e Piero Rapanà e della cantante Alessia Tondo - nasce con l’intento di tenere viva l’attenzione su Antonio Leonardo Verri, sulla sua straordinaria e tragica vicenda umana e sulle sue parole soprattutto. Antonio L. Verri cercava il filo di una letteratura possibile “fatta di fole e di angiolesse, di orchi benevoli, di tao…” la sostanza della cultura contadina di un Salento sempre sospeso tra realtà e magia.


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e can be heroes ecco il nuovo laboratorio FRAGILE con Progetto GAP condotto da Alessia Rollo presso le Manifatture Knos. We can be heroes è un laboratorio rivolto agli adolescenti tra i 15 e i 19 anni per indagare sulla propria identità e provare a raccontarsi attraverso la fotografia. Gli incontri si svolgeranno a marzo in orario pomeridiano e saranno teorico-pratici. Il laboratorio è gratuito e aperto a tutti gli adolescenti anche senza esperienza. Iscrizioni entro il 28 febbraio per informazioni 393 2785565

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in agenda Dialoghi della Focarà

Il cibo, l’identità, la differenza

ontinuano gli appuntamenti dei Dialoghi della Fòcara parole chiave. Lunedì 23 febbraio, alle 18.00, a Novoli, presso la Saletta della cultura in via Matilde, a due passi dalla piazza centrale il professore Salvatore Colazzo dell’Università del Salento terrà la sua conferenza dal titolo "Il cibo, l'identità, la differenza", parole chiave: cibo, tipicità, biodiversità. L'ingresso è libero.

Spagine Fondo Verri Edizioni

Spagine è un periodico di informazione culturale dell’Associazione Fondo Verri esce la domenica a cura di Mauro Marino è realizzato nella sede di Via Santa Maria del Paradiso, 8.a , Lecce come supplemento a L’Osservatore in Cammino iscritto al registro della Stampa del Tribunale di Lecce n.4 del 28 gennaio 2014 Spagine è stampato in fotocopia digitale a cura di Luca Laudisa Studio Fotografico San Cesario di Lecce Programma delle Attività Culturali della Regione Puglia 2015 Artigiana - La casa degli autori


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musica

della domenica n°65 22 febbraio 2015 - anno 3 n.0

copertina Cineclub Fiori di Fuoco, Lecce Film Fest Fondo Verri

presentano ROCK ATTITUDE Film in Vinile

27-28 / 2, 1 / 3 2015 dalle 20.00 FONDO VERRI - LECCE

Cinema e musica. Tre giorni di passione senza censure. Film cult e scult, video introvabili, dischi rarissimi, aneddoti e incontri con appassionati ed esperti. Per condividere ricordi e conoscere qualcosa in più sulla storia del rock.

VENERDI 27 FEBBRAIO “Il Progressive" Gli anni 70, dai Genesis ai Pink Floyd, dalla PFM agli Area, con due "progster" d'eccezione e tanti ospiti. Mitiche colonne sonore e film a sorpresa di cui probabilmente ignorate persino l'esistenza.

SABATO 28 FEBBRAIO "Il Punk" Sul finire del decennio arriva il ciclone punk con Sex Pistols e Clash e giunge fino ai nostri giorni. Super esperti della materia si sfideranno a suon di vinile. E il cinema stasera sarà solo per chi ha lo stomaco forte...

pensamenti

H

DOMENICA 1 MARZO "Il dark" Il lato migliore degli anni 80. New-wave, post-punk. le atmosfere poetiche di Joy Division, Bauhaus, Cure. Poster, dischi, racconti, pellicole d'autore...

Ingresso con tessera (3 euro). www.leccefilmfest.it

o appena letto un articoletto di satira becera. Che tristezza la mancanza di rispetto nei confronti di Papa Francesco. Finalmente un rivoluzionario. La religione non c'entra. È un fatto di etica. Per amare non ho bisogno di professare... Eppure ci sono tanti giovani / vecchi che pensano che la rivoluzione passi ancora dalla derisione della fede altrui rispetto all'ostentato ateismo. Siamo liberi tutti. Ma quando Fidel Castro ha eliminato la mortalità infantile con la migliore sanità pubblica non è che ha preso i voti... ha voluto la giustizia. Quando El Pepe ha deciso di lasciare gran parte dei suoi compensi come Presidente della Repubblica, alla gente, non ha avuto un'apparizione ma un sentire... E se Francesco abbraccia (finalmente per la chiesa) gli ultimi e decide di non celebrare messa con i politici, per far ciò, non ha tolto l'abito talare ed imbracciato un kalasnikov. Allora finiamola... solo l'amore ci può salvare... Il pregiudizio ci condanna. E se proprio volete il brivido della rivoluzione perché la vita è troppo tranquilla, smettete di farvi pippe mentali ed andate nei campi di Emergency. Ah... a proposito. Com' è che nessuno deride l'Isis? Amelì Liana Lasaponara


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