della domenica n°67 - 8 marzo 2015 - anno 3 n.0
Periodico culturale dell’Associazione Fondo Verri
spagine Un omaggio alla scrittura infinita di F.S. Dòdaro e A. L. Verri
spagine
S
Sabotare i silenzi
abotare silenzi… auguri a tutte noi oggi che è l’otto marzo; auguri a tutti voi, nostri compagni di viaggio. Oggi che è l’otto marzo, oggi avrei dovuto parlare di Ninetta, di lei che riposa nel cimitero di Maglie e forse “io solo/ so ancora che visse”; ma oggi è l’otto marzo e oggi avrei dovuto parlare e scrivere di Aslan, che riposa anche lei in un cimitero di Istanbul, di lei la studentessa, data alle fiamme perché ha opposto resistenza; ed oggi avrei dovuto ricordare Elsa chè son passati due mesi giusti e avrei dovuto scrivere di lei che riposa a Parigi. Poi ho incontrato, tra mimose e cuoricini, “Il Canto delle Sirene” e “L’ora di Tutti” si, proprio libri da regalare da donna a donna e dunque, oggi otto marzo, avrei dovuto ricordare e le Persefone e Side e Cisaria e Idrusa, anche ad Ilaria Alpi ho pensato e di nuovo ad Aslan; nessuna parola più, su di lei; pagine di giornali per questi giovani uomini turchi che indossano gonne femminili e marciano; per un giorno, il sapore di una gonna su gambe di uomini, per ricordare tutti che visse; per Aslan, candele, bruciano e si consumano. Oggi avrei dovuto e con terrore mi son resa conto che popolano cimiteri oltre che pagine di libri le donne che popolano la mia anima e sono scappata via da me, lontano dai miei pensieri, dai miei libri, dai miei fantasmi quelli che “sparigliano” l’esistenza; via via e piove a dirotto… che importa? Intorno a me gente che vive, che respira, che pensa, che sogna e accanto a me, gomito a gomito ché poco è lo spazio e siamo in tanti ad ascoltare, accanto a me, donna accanto a donna, lei e il suo pianto che non si vede; una lacrima rappresa, immobile, cristallizzata, viva come quest’angoscia per il presente di un figlio in isolamento ché anche lui ha provato a “sabotare” ed ora è lì, a pagare, a scontare la pena per il desiderio anarchico di libertà; libertà per una terra che non vuole essere violentata e stuprata. Ecco, mentre ascolto che per una parola qui, in questa patria nostra, si può rischiare il carcere e vorrei, vorrei che scivolasse piano lacrima rappresa di questa donna al mio fianco, che scivolasse su di me per alleviarle peso di sof-
di Giuliana Coppola
ferenza inaudita, ecco io decido di “sabotare” per una volta il passato, tua culla e tuo rifugio, di sabotare i tuoi libri, otium leggero e silenzioso che consola e vince solitudini, di “sabotare” solitari versi di poesia recitati e ripetuti in solitari angoli da poeti sempre più soli, di “sabotare” in fondo me stessa; oggi, otto marzo, divento quella lacrima, quel pianto che non si vede, quell’urlo trattenuto di donna disperata e nessuno accanto a lei; oggi divento il suo dolore e di quel dolore scrivo perché rimanga segno nero su carta, diventi concreto e “saboti” il silenzio che m’avvolge, questa quiete soporosa che accarezza e blandisce anime. Hanno messo le gonne, i giovani turchi, e hanno sfilato lungo le strade di Istanbul a sfidare silenzi. Sabotino silenzi, gli scrittori. “Uno scrittore ha in sorte una piccola voce pubblica. Può usarla per fare qualcosa di più della promozione delle sue opere. Suo ambito è la parola, allora gli spetta il compito di proteggere il diritto di tutti a esprimere la propria. Fra i tutti comprendo in prima fila i muti, gli ammutoliti, i detenuti, i diffamati da organi di informazione, gli analfabeti e chi, da nuovo residente, conosce poco e male la lingua… Ptàkhpìkha le illèm : apri la tua bocca per il muto (Proverbi/Moshlè 31.8). Oltre a quella di comunicare, è questa la ragione sociale di uno scrittore, portavoce di chi è senza ascolto” (Erri De Luca - La parola contraria). , allora; sabotare silenzi in questo otto marzo per essere portavoce di una lacrima, per aiutarla a sciogliersi, a scivolare leggera, perché io la raccolga, pur se solo facendola diventare segno nero su bianco di pagina, tra giallo di mimose che sfioriscono inutili se tu non senti e non assapori il loro profumo. E poi, le candele e ho pensato “Eravamo candele,/ accese una dall’altra,/ si spargeva una luce di fiammelle/ e aumentava la temperatura/ dalle scogliere ai monti./ Avevamo una spina dorsale di corda/ e il tempo assegnato era cera di api./ Eravamo candele/ che il vento contrario attizzava/ invece di spegnere,/ causa la compattezza che avviene tra candele. // A vedere lo squaglio aggrumato/ e lo stoppino gobbo/ nessuno s’immagina oggi/ la forza incendiaria delle candele”. (Erri De Luca).
8 marzo 2015
diario politico
della domenica n°67 - 8 marzo 2015 - anno 3 n.0
F
Ad Arsenico… Sempre merletti!
di Tiziana Buccarella accio la ricamatrice, sì, lavoro in proprio… E anche la rammendatrice, è quello che mi piace di più fare… prendere degli stracci usati bruciati bucati macchiati… E farne centrini, federe per cuscini, tendine… e a volte li unisco tutti insieme e ne escono dei copriletto meravigliosi… così faccio! E così ho fatto… ho messo delle toppe colorate, dei fiori, dei merletti, e qualche volta ci ho spruzzato anche del profumo, quello buono, quello migliore che avevo… sulla mia storia d’amore. Ora è bella, ora la guardo, ora che è finita, ed è bella, proprio bella, è UNICA ASSOLUTA RARA… e così il mio cuore è a posto, non piange più, non si dispera, non spera più niente, sta lì bello chiuso e infiocchettato con la sua storia dentro, come un regalo, tutta aggiustata e ricucita. …non voglio… non posso… non posso... ricordare… è troppo… troppo. …LALALALA’ un punto qui un punto là, fiori di campo aria leggera… il Capodanno più bello della mia vita? Quando a mezzanotte mi mollò uno schiaffo che mi fece ribaltare dal letto, proprio a mezzanotte in punto, come se lo avesse aspettato apposta… ecco… qui ci mettiamo una perlina bianca brillante… e poi … Ah sì quando urlò ai miei fratelli che mi sfamava che ero una buona a niente… ah ecco ….lì ci mettiamo uno strass, si un piccolo strass …come? Ah quando mi chiamò zoccola... vabbè ma lì non è una volta sola eh! Lì dovrei fare una catenella lungalunga all’uncinetto… anzi no a spirale …a spirale devo lavorare e poi sopra ci metto delle applicazioni di velluto… di velluto rosso sì… farfalle di velluto rosso… e VOILA’. Anche questo è aggiustato è bello no? Sono brava molto brava. Mio padre mi diceva sempre: “Tu vivi fra le nuvole figlia mia”. Eh sì forse aveva ragione... però ho fatto tante belle cose, dei ricami bellissimi che tutti possono vedere quanto sono belli… e continuo… continuo… ricucio di là rammendo di qua… e abbiamo fatto una piccola azienda io e altre donne, che si sta allargando sempre di più stiamo diventando tante, tutte che vogliono ricamare, mettere perline, nastrini colorati… e poi quando ci riuniamo tutte a lavorare ci raccontiamo… sì ci raccontiamo le nostre bellissime e uniche Storie d’Amore...
U spagine
n’umanità ferita, dolente, in fuga, preme e chiede aiuto, ospitalità. Guerre ferine e cruente incendiano diverse contrade del mondo. Conflitti di dominio e persecuzioni, eccidi religiosi, insanguinano la terra. Le coste del mare nostro sono teatro di sbarchi continui. Arrivano fatiscenti barconi. Molti disperati annegano in un utero di mare inclemente. Al cospetto d’una emergenza globale, c’è chi vorrebbe addirittura chiudere le frontiere e rispedire gli indesiderati profughi e clandestini nella bocca del leone. In Italia, i leghisti di Salvini sono soprattutto gli antesignani dell’intransigenza. Il governo Renzi fa quello che può. L’Europa delle banche e dell’alta finanza è, invece, pressoché latitante. Forse, il flusso del popolo migrante potrebbe essere meglio disciplinato, controllato; senz’altro, non può essere frenato e frustrato da piattaforme dal fiacco impatto antropologico. Chi scappa dalla fame, dall’annientamento, dagli odi etnici, dalla nera miseria, non può essere rifiutato dalla opulenta società occidentale. È evidente che l’Europa privilegi le istanze economiche, che ovviamente sono fattori strutturali fondamentali; ma le problematiche umanitarie sono altrettanto primarie, da affrontare con passione e con visione serena. C’è un’Europa dei popoli che deve edificare la sua casa, mattone dopo mattone, che vuole uscire per strada e guardare la realtà con occhi amorevoli. Le radici del nostro continente sono anche cristiane e affondano scaturigini in una solidale cultura dell’accoglienza, della benevolenza, della misericordia. In questi anni, soprattutto i trascorsi governi Berlusconi di centrodestra hanno fatto danni consistenti. In passato, sono state adottate misure orripilanti: dall’assurdo reato di clandestinità ai truci respingimenti in mare dei disperati del mondo. Senza dimenticare che berlusconiani e leghisti hanno stretto rapporti d’un certo tipo con un dittatore sanguinario come Gheddafi. Ma, in questo tempo controverso, non si può disconoscere che la civiltà occidentale stia diventando ormai un villaggio globale, multietnico, multiculturale, aperto ai movimenti dei gruppi umani. Viviamo in un’era difficile, di superamento delle ideologie. Il cammino difficoltoso della gente che viene da lontano può essere regolata solo con leggi rispettose della diversità. Chi nega la necessità incontrovertibile d’una integrazione multietnica è triste, non ha lampi di luce, né squarci di sole. Perché, ancora oggi, i coraggiosi “nazio-
Contemporanea
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Per l’umanità
di Marcello Buttazzo
nalisti” dell’ultima ora del Carroccio, nella loro eterna campagna elettorale, teorizzano la cultura delle differenze, viste come impedimento ad una civile convivenza? Perché Salvini, Maroni, ed epigoni vari, stigmatizzano la nuova malattia della modernità, la “sinistrite”, che predica “addirittura” l’uguaglianza fra gli esseri umani? Ma in che mondo vive, Matteo Salvini? Il segretario leghista non s’è accorto che, da tempo ormai, la società multietnica è esplosa dappertutto, in Europa? Nel nostro Paese, purtroppo, avanza e fa proselitismo un’estrema destra lepenista e leghista. Politici di destra liberali ( come, ad esempio, Gianfranco Fini) sono fuori dai giochi. Eppure, l’ex presidente della Camera, sulle politiche popolazionistiche, aveva una valida posizione culturale. Fini, nell’ultima parte del suo mandato, favorevole ad estendere pienamente i diritti di cittadinanza, s’è battuto contro le discriminazioni, contro i razzismi, contro le anacronistiche tendenze xenofobe di cer-
tuni. Non è vero che siamo tutti affetti da “sinistrite”: da noi, c’è una sinistra che ovviamente difende da sempre i legittimi diritti e doveri dei migranti; ma esiste anche una destra laica e liberale che crede ( come, del resto, quella francese) in una società aperta, plurale, multiculturale. Possiamo dire che il nuovo che avanza sia la civiltà composita, che piano piano s’affermerà, perché il radicamento delle differenze apporta ricchezza, benessere, calore diffuso. Senz’altro l’interazione e l’integrazione sono possibili, nel rispetto delle nostre leggi e nel rispetto reciproco dei costumi. Un ulteriore osservazione da fare è che, in Italia, la politica è molto conflittuale. Le migrazioni rappresentano una questione di rilevanza capitale, che dovrebbe essere analizzata in modo saggio, pacifico, razionale. Su certe tematiche così scottanti, i partiti dovrebbero incontrarsi, dialogare. Gli steccati ideologici hanno il fiato corto: i migranti sono una prospera risorsa umana, economica, civile.
lettera
spagine
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"Sembra esserci nell'uomo, come negli uccelli, un bisogno di migrazione, una vitale necessità di sentirsi altrove..."
C
Marguerite Yourcenar
Un cambio d’accento
aro Mauro questa non lettera è fatta di pensieri a voce alta, così per parlare, così per pensarla. S/pagine e s/parole, a volte, parole leggère. Lèggere, potrei dire, e vedi come basta spostare un accento perché tutto muti? Perché le parole siano altro da sé? Leggevo, questa si con l'accento al posto giusto, le parole della Yourcenar, il “bisogno di migrazione” che è “vitale necessità”. Poi ho cambiato l’accento, l’ho spostato, Mauro, colpa del TG che mi parla alle spalle. Quei venti morti in mare emigravano anche loro. E mi dicevo, leggendo parole pesanti, che il poeta è il poeta, lui vede la realtà e la urla s/parole da dentro verso il fuori, solo se sposti l’accento, accidenti, il poeta è lì che soffre anche lui, ne sono certo. E io che non amavo i poeti (che pensavo di non amarli). Leggevo pochi giorni fa, quasi per caso, le parole che dicevano “Spedite fogli di poesia, poeti - Dateli in cambio di poche lire Insultate il damerino, l’accademico borioso…” Conosci, Mauro, conosci. E qui non serve spostare accenti per comprendere. Che c’entra la migrazione, il bisogno del viaggio con i poeti che debbono “spedire fogli di poesia?” Yourcenar aveva ragione, perché “Le radici sono importanti, nella vita di un uomo, ma noi uomini abbiamo le gambe, non le radici, e le gambe sono fatte per andare altrove”. Scrisse Pino Cacucci. L’altrove a volte cambia accento e diventa il qui ed ora, l’altrove non è quel mare che inghiotte migranti che non volano verso la conoscenza ma via dalla depravazione. Leggevo leggere parole, e m’è tornato alla mente anche Pessoa che, lui si che conosceva le cose della sua terra, voleva andarsene in un posto qualsiasi perché “Non voglio più vedere questi volti, queste abi-
tudini e questi giorni.” E le parole, caro amico, sono già tutte scritte da altri, noi possiamo raccoglierle, metterle assieme, lèggere (con l’accento dalla giusta parte) e provare a riscriverle, meditarle, mediarle, avvolgerle, sconvolgerle, farci avvolgere, sconvolgere. I ragazzi che guardano il mare, il mare che s’ingrossa per il vento, le onde che arrivano rabbiose, il tempo che muta, il viaggio (un altro viaggio) verso calle mai più o verso, chissà, un abbraccio leggero. Noi siamo qui, proviamoci a capire la leggerezza e l’ambigua pesantezza, proviamo a farci un’idea dei politici (ah Verri, inizio a capirci qualcosa) damerini e degli accademici boriosi. Mettete assieme parole (poeti) e pensiamo che la migrazione è necessità solo se e solo quando… … Fatevi disprezzare dissentite quanto potete Fatevi un gazebo oblungo, amate Gli sciocchi artisti beoni, i buffoni Le loro rivolte senza senso Le tenerezze di morte, i cieli di prugna Le assolutezze, i desidri da violare, le risorse del corpo I misteri di donna Catena Fate fogli di poesia, poeti Vendeteli per poche lire”
Vedi come si viaggia con un cambio d’accento? In parole che cascano a cascata, che sparano, dubitano. In pensieri che non hanno certezze, in fondo. Se hai letto fin qui chapeau!
Gianni Ferraris
L’idea diversa I nuovi Bellarmino: Scanzi e Pennacchi spagine
C
hi ha seguito la puntata di “Otto e Mezzo” su “La Sette” condotta da Lilly Gruber la sera di mercoledì, 4 marzo, ha potuto assistere alla rappresentazione plastica dell’intolleranza culturale che impera in Italia. Il tema era se Salvini e la Lega possono considerarsi fascismo. In studio lo scrittore Antonio Pennacchi, pluripremiato nel 2010 per il romanzo “Canale Mussolini”, considerato per questo ed altri suoi libri un fasciocomunista. In collegamento la giornalista Aurora Lussana, già direttrice de “La Padania”, e il giornalista Andrea Scanzi de “Il Fatto Quotidiano”. Il rapporto tra i contendenti era come al solito di tre a uno, se consideriamo che la Gruber sul campo non sempre si limita a fare l’arbitro. Non sono state tanto le argomentazioni in sé di Scanzi e Pennacchi, in parte anche condivisibili, ad oltrepassare i confini dell’urbanità conversativa quanto il loro comportamento, ora irridente e sprezzante, ora snobistico e infastidito, con cui i due trattavano la collega, rea di avere idee e di fare valutazioni diverse, al punto che la Gruber doveva sforzarsi per fare breccia nello sdegnoso rifiuto di Pennacchi di confrontarsi sia pure polemicamente con la Lussana.
Scanzi è uno che se i piercing di cui si riempie gli orecchi hanno un senso vuol dire che all’esterno mostra esattamente quello che ha all’interno. E’ un esperto in scilinguagnolo come tanti in questo paese, capaci di parlar male di tutto e di tutti, autentici professionisti della maldicenza, della violenza verbale, del disprezzo gratuito.
Pennacchi, curatissimo come in un look da figurante, non ha ancora deciso se in questo cazzo di mondo Domineddio gli ha riservato un angolo dove poter stare senza essere preso a calci in culo qualche minuto dopo, essendo stato in tutti i partiti politici, dal Msi al Pd, rimediando
di Gigi Montonato
incomprensioni, abbandoni ed espulsioni. Suppongo che i due si considerino privilegiati da Dio o dalla Natura, non so a chi credano di più, per essere stati dotati di intelligenza in abbondanza, di spirito critico incredibilmente raffinato e di tante altre belle cose di cui in genere si bea l’animo umano. Ebbene, con tutto ciò, questi due signori non riescono a rendersi conto che a nessuno è consentito intronarsi e stabilire per tutti che cosa è il bene e che cosa è il male, che ad ognuno sulla faccia della terra è consentito di avere una sua idea di bene e di male, di avere i suoi punti di vista, le sue visioni del mondo, che possono essere più o meno condivise da altri, da pochi o da molti, che possono anche non godere del pensiero dominante in merito a certe problematiche politiche, etiche, economiche, sociali, ma che comunque meritano il rispetto degli altri. Non si capisce perché per questi due Bellarmino nutrire preoccupazione per l’invasione immigratoria dei nostri tempi è eresia da condannare, è fascismo e razzismo. Due “delitti”, questi, che, come ognuno sa, sono condannati dalla Costituzione (XII disposizione transitoria) e dalla legge ordinaria. Ora se a sollevare simili questioni sono dei burocrati della giustizia e dell’etica (magistrati e preti) si può capire; fanno il loro mestiere, sempre al servizio del potere, ovviamente, sia in democrazia che in dittatura. Il potere per reggersi ha bisogno di simili inservienti. La storia registra i Bruno e i Galileo da una parte e i Bellarmino dall’altra. Che lo facciano due giornalisti, si suppone due uomini di cultura e di intelligenza si capisce di meno; se poi questi si ritengono liberi, come io credo che si considerino, non si capisce affatto. Pur passando sopra i problemi dell’immigrazione derivanti dalla quotidiana contingenza, che ci sono e sono gravi, e sui quali si può e si deve discutere senza avere chiusure stagne (SalviniLussana) o aperture da Colosseo
(Scanzi-Pennacchi), questi ed altri consimili signori dovrebbero spiegare per quale ragione non si può più avere in Italia e in Europa una visione diversa dalla loro in materia di identità nazionale, di naturalità della famiglia e dei generi, di difesa della tradizione, senza essere derisi, disprezzati e condannati come eretici nel più bello stile inquisitorio. Non è sopportabile pensare che per rivendicare un minimo di libertà di pensiero senza essere offesi e insultati si debba finire per assumere atteggiamenti altrettanto intollerabili di quelli subiti. Se sui cittadini grava il ricatto morale di essere rubricati come fascisti e razzisti solo per avere un’idea diversa, delle due l’una: o essi si uniformano per pusillanimità o tornano “ai me ne frego”. Nell’uno come nell’altro caso rinunciano, per costrizione, all’autentica libertà individuale e alla buona educazione. Cosa a cui evidentemente una persona di carattere e di cultura non si riduce. Ma tant’è. Resta, allora, assumere un atteggiamento di dignità e di coraggio, incominciando a liberarsi dei dizionari in voga e rispondere col proprio statuto etico, chiamando le cose coi loro giusti nomi. Io sono per la difesa culturale e politica del mio Paese, per la conservazione della sua identità nazionale, per la sicurezza dei cittadini, per il rispetto della legge entro i confini della mia irrinunciabile libertà. Per te, signor Bellarmino di turno, in base agli insegnamenti del tuo Dio, è fascismo, è razzismo, è quello che cazzo t’inventi per accusarmi e delegittimarmi? Ebbene, accomodati, io vado per la mia strada, perché io so che è legittima e la percorro fino in fondo ancorché impervia. Ma non mi piego ai tuoi ricatti morali, alle tue pretese superiorità calibrate sul pensiero dominante, alle leggi del tuo Dio che m’impone quel che devo pensare. Non è la prima volta nella storia che, in nome della libertà, al Dio degli altri si oppone il Satana di sé stessi.
diario politico
della domenica n°67 - 8 marzo 2015 - anno 3 n.0
Il Sud lontano da Draghi
I
l nove marzo ha inizio l’operazione di quantitative easing di Mario Draghi: sessanta miliardi di carta moneta, stampata dalla BCE, diretta dall’economista migliore che abbiamo in Italia, per sedici mesi per i Paesi Euro dell’Europa. I numeri: mille miliardi sono molto importanti e la manovra è degna della sfida economica di un banchiere esperto e competente con un progetto di Europa come Mario Draghi. È una manovra però che riguarda solo la grande finanza perché né le imprese né i cittadini vedranno una sola banconota dei miliardi del Presidente Draghi. La manovra infatti è un capolavoro di compromesso politico che fa contenta la Germania di Angela Merkel così l’ottanta per cento del rischio è nella responsabilità delle banche centrali dei singoli Paesi solo il venti per cento della BCE. In più: la manovra ha un effetto positivo sul cambio, riduce il valore dell’euro sul dollaro oggi infatti vale 1,10 non era stato mai così basso questo valore dal 2010 ad oggi. Questo effetto favorisce le
esportazioni, quindi la Germania, che esporta più di tutti tra i Paesi dell’Euro la manovra del Presidente Mario Draghi non crea deficit perché consiste solo nell’acquisto di titoli di Stato già sul mercato immessi dai singoli Stati. Ora questi titoli sono nel portafoglio delle banche quindi i miliardi di Draghi relativi al loro acquisto non vanno né nelle mani dei cittadini né verso le imprese per finanziare le loro attività. Le banche continueranno ad essere prudenti e a tenere stretti i cordoni della borsa della spesa. Il costo del denaro continuerà ad essere in Italia alto, più alto al Sud e le banche continueranno ad avere un atteggiamento di chiusura e di ostilità verso le piccole imprese, più esposte al rischio e più bisognose di avere denaro a basso tasso. La manovra Draghi ancora ha come scopo quello di favorire l’aumento dei prezzi, per troppi anni negativo con gravi conseguenza sul mercato. Si prevede una inflazione del due per cento ora per milioni di cittadini che vivono di pensione di salario di sussidi di lavoro precario e nero questa in-
di Luigi Mangia
flazione non è un ingiusto prezzo da pagare dal momento che le pensioni e i salari sono da anni bloccati? Mi chiedo: davvero non si può fare niente per evitare che il Sud sia completamente fuori dai benefici dei mille miliardi di Mario Draghi immessi sul mercato per favorire i Paesi Euro in particolare le economie più in difficoltà? Ho sempre sostenuto che il nostro problema: il Sud non è quello dei soldi ma della classe dirigente, di non essere stata all’altezza della sfida e di non avere avuto le competenze per la soluzione dei difficili problemi del Sud dell’economia dell’amministrazione. Con la candidatura di Michele Emiliano alla Presidenza della Regione Puglia siamo passati alla follia creativa. Abbiamo pescato nel vocabolario popolare: la sagra del programma come soluzione, è il populismo di Emiliano e la fine del modello Vendola in politica che aveva fatto bene in Puglia ed era stato innovativo in Europa.
spagine
N
on ditelo ai bambini.... Oppure non guarderemo più in faccia i nostri figli. E i nostri nati torceranno il viso da noi. Considerate. Deportazioni. Sradicamenti. Vite interrotte. Volontà assassine di pochi a danno dei molti. Interessi. Money money money. Se vogliamo continuare a guardare i nostri bambini negli occhi, dobbiamo fermarli. Lo gridano in tanti, la voce di Ivano si rompe. La cura più velenosa della malattia. La terapia avvelena, il profitto avvelena e condanna. O questo o quello. O salute o lavoro. Dei diritti se ne parlerà a teatro, più tardi, o al cinema. Saranno citati su stanchi e anemici depliants nell’anniversario stanco e anemico dei diritti del cittadino o del bambino. A scuola se ne parlerà sicuramente. Può bastare. Fatevelo bastare, dicono. Non siate patetici, non fate richieste estreme, non è tempo. Bisogna accontentarsi, rassegnarsi. Scegliere il male minore. Magari costruiranno resort, molti resort, campi da golf magari, piscine, parcheggi, centri commerciali. Intanto, pioggia di pesticidi. Ci mancava. Dallo jonio all’adriatico, da Leuca a Lecce. Mangiatene tutti. Bevetene. Courage! Ma non ditelo ai bambini, vi prego, o capiranno che mondo è questo. Non diteglielo. Lo scopriranno. Facciamo che vivano in pace almeno quel po’ di paradiso politico che ci è concesso. Come quel 6 nei tempi d’oro delle occupazioni. Prima degli altarini, degli inguacchi, delle connivenze. Prima delle multinazionali. Prima delle cose che vanno come vanno. Da maggio, e per decreto regionale. Vendola se ci sei batti un colpo, ma non di grazia, grazie. Non c’è, prego. Maggio, Madonna della Coltura. Madonna dell'Agricoltura. Ora pro nobis. Quale coltura senza ulivi. Quale cultura. Quale storia. Quale economia. Parlavate dal finestrino del treno e già sibilavano voci
Non ditelo ai bambini
cose nostre
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di Ilaria Seclì
familiari. L’attesa si faceva stringente, acuta, soffocava proprio alla fine del viaggio. Sempre voi i primi a salutare. Qualcuno cantava felice e impaziente: l’arbuli te ulia, l’arbuli te ulia! Ci nu toccu, quandu se rria? Maggio. Pioggia di pesticidi. Imidacloprid, Buprofezis, Dimetoato, Deltametrina, Lambda cialotrina, Etofenprox e Clorpirifos metile. Bombardamenti atomici bombardamenti chimici. Sì, sto quasi esagerando. Morti veloci morti lente. 6 agosto 1945 ore 8:15. Ci mancava. Imidacloprid, Buprofezis, Dimetoato, Deltametrina... I nomi degli orchi del terzo millennio sono spaventosi. Vi prego, anche questi, nascondeteli ai bambini o finiranno ogni notte nel vostro letto terrorizzati. (Considerate se questo è un uomo). Undicesimo comandamento: combattere mammona, i suoi paladini, le sue strategie criminali. Undicesimo comandamento: salvaguardare la Casa accudire la Terra. Tutta quella fuori dal vostro civico, dal vostro televisore o schermo. È tanta. E fragile. È l'unico patrimonio che abbiamo. Unica eredità. Quella dei vostri figli e dei nipoti, dei figli dei vostri figli. Nient’altro ha valore senza questa priorità. Perché senza questa priorità non c’è vita. Già numeri e percentuali mettono più che ansia. Non mettiamoci il carico. Non è una partita a briscola. Ma una partita a scacchi sì, settimo sigillo, partita con la morte. A lei non serve sapere, si sa. A noi serve preservare, curare, tenere, proteggere. VIVERE. [Ve lo prometto, vi giuro che vi guarderò più spesso. Anzi, sempre, sempre. Vi dirò che siete belli, lucori di goccia al sole che acceca. Non betulle, abeti di favole e montagne, no, siete belli voi, voi, argentate chiome, olio sul pane della nonna, oro. Lari. Lari. Non abbandonateci. Si scuce il nome dalla carne, il sangue dalle vene. L’amore fa miracoli. Verrà maggio e starete meglio, rinascerete. Lo vogliamo tutti, guardate, sentite. Almeno tutti gli abitanti di questa terra. I contadini sanno, useranno calce, rime-
dio antico, altro che mostri. La terra ha medicine per ogni malanno, il resto è del diavolo. Questa terra strana che troppo fa parlare di sé. Qualcuno ne è ghiotto. Sarà questo? Sarà che vogliono ancora colonizzarla? Resort e resort per divi e miliardari? Defenestrati i Lari, defenestrate le statue vive e sacre. Terrorismo a terrorismo. Uno bieco e l’altro subdolo. Come violare culle, prosciugare mari, piallare montagne. Ma non temete, non preoccupatevi, ci siamo noi. Vi amiamo. Ieri in piazza dicevano dovranno passare sul nostro cadavere. Sì, è gente che lo fa. Non molla. Vi amiamo, non vi abbandoniamo. State tranquilli. Vi guarderemo e vi cureremo con l'amore. L'amore fa miracoli e vi salverà]. Amore e cura. Amore e attenzione. I vostri 30 denari per la vita. Più di 30 sì. E molte più di 30 le vite in gioco. Le prigioni sono orfane di assassini. Perché il mondo è pieno di assassini che hanno le mani pulite. Non ditelo ai vostri figli, non ditelo ai bambini. O penseranno che i malvagi non sono più riconoscibili, e verranno nel vostro letto, terrorizzati. E non si fideranno più di nessuno. Maggio. Pioggia di pesticidi per decreto regionale. Imidacloprid, Buprofezis, Dimetoato, Deltametrina, Lambda cialotrina, Etofenprox e Clorpirifos metile. [Proprio ora che ho imparato ad amarti. Proprio ora che ho scelto te. Terra secca e rossa, orfana di fiumi. Proprio te. Stavi diventando una principessa ed ecco spuntare l’orco. Ci risiamo! Sempre la stessa storia. L’unica cosa che lega favola a realtà. Abbiamo già tanti orchi nelle falde acquifere. Tanti nell’aria. Giocate a hai fatto 30 e fai 31? Non è un bel gioco]. [Ma voi siete belli, ce lo ricorderemo più spesso, ve lo promettiamo. Voi, oro a tavola, ambrosia, nettare degli umani in terra magica. Siete belli, eserciti donchisciottiani di diamanti al sole. Vi cureremo. A maggio sarete bellissimi. A maggio sarete sani]
spagine
della domenica n°67 - 8 marzo 2015 - anno 3 n.0
L’abecedario di Gianluca Costantini e Saliva solenne il sultano che sedeva nel mio stomaco Saliva e sembrava sapere che il sabato mi sarei trasformato Sarei tornato terra tarma tubero talea tellina tao di temporale
Maira Marzioni
tranvia turbina Toccava il tempo tutta a un tratto la trama di sale che silenziosa s correva e che ora totale e tanta dal torace tuttintorno trasaliva.
Le rose abitano solo nelle poesie? spagine
Lettera aperta, e sentimentale, a Marcello Buttazzo
Marcello, I tuoi versi qualche volta hanno del miracoloso. Non intendo il miracoloso della santità, di cui sono ignorante. Intendo il miracoloso che ho avvertito quando ho letto una tua poesia che celebra la rosa. Dovunque tu sia ricorda che la rosa non ha perché: essa sboccia, cresce, fa effluvi di sè nei tormentosi giardini della passione. La rosa piccola e rossa non s'interroga sul perchè della sua essenza odorosa. Rosa è l'amore di gioia e spine l'amore dei crepuscoli screziati d'un ardore di fuoco. Rosa è la beltà del Cielo lapislazzulo è il profumo delle notti custodi dei sogni. Rosa è questa vita che al baluginare dell'aurora ricomincia l'eterna corsa, senza chiedersi perchè.
Il miracoloso è nella scelta del tema, la rosa. Dopo tutti gli strombazzamenti delle avanguardie poetiche del Novecento (di cui tu non ignori il passaggio) tu componi e collochi al centro la rosa. A pensarci bene, a me sembra che la rosa sia sempre il tema di quello che scrivi, che tu non scriva d’altro che della rosa. Anche quando non la nomini. La rosa ha attraversato, indenne, le rapide portentose e perigliose dell’avanguardia, e si è rifugiata tra le tue braccia. Il miracolo, che è la possibilità del miracoloso, richiede, così mi pare, una buona dose di candore. In chi lo fa (l’agente involontario, che non lo sa), e in chi ne è testimone (che non è venuto, sapendo in anticipo: accadrà un miracolo). Il candore, poi, rende la tua poesia luminosa. Il candore, con una punta di ingenuità, ammorbidisce la dolcezza dei tuoi versi (che così non sono stucchevoli) Accosto alla tua, altre poche rose. Compongo un mazzettino. Di rose o di miracoli? Compongo un mazzettino di rose miracolose. La prima rosa è la rosa fuori stagione, la rosa che sboccia nell’autunno della vita (e che non è rosa di serra). È la rosa di Goethe che, in là con gli anni e innamorato di una donna giovane, scrive (cito a memoria; non lo dico per vanto, ma per mettere in guardia da qualche piccolo possibile errore di riporto): E che cos’è una rosa, ora si sa, ora, passato il tempo delle rose. Sullo spino ne brilla ultima una e tutta rossa tutti i fiori ha in sé.
(Non sono sicuro del traduttore, forse Franco Fortini.) La seconda rosa è la rosa dell’inverno del nostro scontento, la rosa che è la speranza che sbocci la rosa. È la rosa di Brecht, quell’antisentimentale (predicava lo straniamento, cioè il distacco) che ha, sì, scritto, parlare di alberi è quasi un delitto/ perché su troppe stragi comporta il silenzio (che non è un delitto, così parafrasare: parlare di rose è quasi un delitto/ perché su troppe stragi comporta il silenzio). Ma che ha pure scritto (attenzione, rischio errore di riporto anche qui): Come schedarla la piccola rosa rosso viva improvvisa e giovane e vicina? Non eravamo venuti a cercarla. Siamo venuti e c’era.
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Nessuno l’aspettava prima che fosse qui. Quando ci fu la credettero appena./ Viene alla meta chi non è partito./ Quasi sempre è cosi. (La traduzione è di Franco Fortini.) La terza rosa è la rosa del critico letterario Alfonso Berardinelli, che in gioventù ha tuonato (insieme a Franco Cordelli) contro la parola innamorata. E che, poi, da quel marasma dolciastro, contemporaneo degli Anni di piombo, ha tirato fuori e ha indicato l’eccellenza poetica in Patrizia Cavalli, poetessa che celebra perennemente l’amore. Che coltiva, cioè, solo le rose (e che, per questo, qualche volte si punge). Non metto nel mazzettino, la rosa de Il piccolo principe. Il piccolo principe, che ad ogni passo, e senza proferire verbo, sembra dire: Come sono poetico! (Non sono sicuro che lui sappia, nelle sue fibre, che il candore non sa che è candido, ecco.) L’ultima rosa che aggiungo al mazzetto è la rosa della lingua, che è creazione collettiva e non l’eccellenza del poeta. Così, dico: la lingua, la rosa della comunità (e, qui, non intendo la comunità delle camicie verdi). Tutte rose di colori terrestri, poco celesti. Ti dispiace? Le rose fresche aulentissime, che pure hanno le spine, mi distolgono dal presente? Fuori urgono: la banda ultralarga, la riforma della scuola, la legge elettorale, la crescita del debito pubblico, la scarsità di lavoro adeguatamente salariato, l’invasione degli africani, la minaccia dell’Isis. E noi, qui, consideriamo le rose. Dove siamo, alla corte di Re Artù? (Se così fosse, tu saresti il Bardo di corte.) Le rose esemplari che ho portato, l’amore tardo di Goethe (a maggior ragione se è amore sognato), l’invocazione all’inatteso di Brecht (se pure è preghiera inascoltata), la lingua la rosa della comunità, un po’ disarticolano il dubbio. I sentimenti d’amore, le speranze, la lingua, non sono manifestazioni che ci tengono saldamente ancorati al tempo (e allo spazio)? Non sono la prova capitale che parlare di rose sia essere nel presente? Boh. Torno alla rosa dei tuoi versi. La rosa dei tuoi versi a me parla del giardino, mi indica che l’amore è un giardino (non l’ho letta in un cioccolatino). Mi parla dell’infanzia degli uomini, quel luogo più dell’anima che della storia, in cui tutti i regni, il minerale il vegetale l’animale (con dentro l’umano), sono sotto la dinastia di un unico re, che molto probabilmente è una regina. Che emana, per regolare la vita dei suoi sudditi, un solo editto: la cura della creatura (e una a una di tutte le creature). La rosa dei tuoi versi dice: la creatura (la criatura, l’altra, l’altro) è il centro. E tu, il primo a fare il passo, non vuoi fare altro che rivolgere a lei le tue cure. La tua fedeltà alla rosa, questa lunga e continua vicinanza alla rosa, affina il tuo istinto della rosa e ti dona una forma speciale di maestria. Una maestria che non fa sfoggi intellettuali, ma che esibisce, senza compiacimenti, una perizia che scavalca l’intelletto e va al cuore, così a me sembra, dell’umano. La maestria della rosa, la tua. I guasti del mondo sono tanti. E la pietas qualche volta è stanca. E la pietas ha bisogno, affinché non muoia, che venga custodita da custodi col requisito del candore. Non è più il tempo dei Bardi. E io non sono re Artù. Ti do, però, un’investitura, una carica simbolica: essere il custode della pietas. O della rosa, se preferisci. Marcello, un abbraccio. Massimo Grecuccio
Noi ci proviamo
teatro
spagine
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La costruzione di una drammaturgia collettiva a cura di “Io Ci Provo”
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Io Ci Provo” alla sua VI Edizione inaugura il nuovo ciclo di attività all’interno della Casa Circondariale “Borgo San Nicola” di Lecce, dove da quattro anni ormai ha sede il laboratorio/percorso teatrale che coinvolge i detenuti della sezione maschile. Quest’anno chiunque potrà condividere un testo che farà parte della drammaturgia del prossimo spettacolo della compagnia. Ripensare il Dentro per poter immaginare un altro Fuori. È su queste basi che si fonda da 4 anni il progetto “Io Ci Provo”, laboratorio/percorso teatrale svolto insieme ai detenuti della sezione maschile della Casa Circondariale “Borgo San Nicola” di Lecce. “Io ci provo” è un’occasione per molti dei partecipanti di sperimentare qualcosa che non si è potuto vivere o semplicemente incontrare prima della permanenza nell’istituto penitenziario. Un modo di guardare “dentro” e vedere il “fuori” da più punti di vista.
il laboratorio, con chi da tempo segue il Inviateci un testo che racconti un episoprogetto e con chi non lo ha mai sentito dio della vostra vita o che ha riguardato qualcuno vicino a voi sul tema dei Sette nominare. Vizi Capitali; potete scrivere fino ad un massimo di 1800 battute (una cartella). Cosa vogliamo fare? Vogliamo costruire insieme a voi la dram- L’episodio può riguardare uno o più vizi, maturgia del prossimo spettacolo attra- potete decidere se approfondirne solo verso una scrittura collettiva, basata sullo uno, trattarne più di uno o anche tutti e scambio di esperienze, storie, ricordi che sette. Se non hai un episodio da racconriguardano il tema del laboratorio di que- tarci, puoi comunque segnalarci testi, spezzoni di film o teatrali, brani tratti da st’anno: i Sette Vizi Capitali. libri attinenti al tema dei Sette Vizi Capitali. Perché vi chiediamo di scriverci? La forza di “Io Ci Provo” sta nella condi- Potete scegliere se firmarlo con il vostro visione. Vogliamo dare la possibilità a chi nome e cognome oppure utilizzare uno il carcere non lo vive di poter entrare in pseudonimo. I testi saranno raccolti in contatto con gli attori/detenuti, per cono- una pubblicazione che prenderà il nome scere entrambi quella parte di noi/loro dello spettacolo. Una volta raccolto il mache spesso non viene fuori. E’ un’occa- teriale, analizzeremo tutti i testi pervenuti sione per incontrarci, per dire una cosa rielaborandoli e adattandoli al testo finale tutti insieme questa volta attraverso le dello spettacolo. parole, per provare a vedere le cose con Quando e dove? un altro immaginario. Ognuno di noi, in un qualsiasi momento Inviateci il vostro episodio entro il 31 della sua vita, ha avuto a che fare con al- Marzo 2015 all’indirizzo compagnia.iocimeno uno dei Sette Vizi Capitali. Condi- provo@gmail.com. videte con noi episodi del vostro vissuto, scriviamo insieme il testo del prossimo spettacolo.
Quest’anno, vogliamo rafforzare ancora di più il legame fra il Dentro e il Fuori connettendo gli attori/detenuti che seguono In che modo partecipare?
spagine
Perchè Sanremo è Sanremo
Masticando canzonette di Paolo Vincenti
U
n timido sole su Lecce. Nonostante sia febbraio, il caldo è umido e fastidioso, i muri sono tappezzati da manifesti di concerti, assemblee pubbliche, bandi comunali e dagli immancabili batti e ribatti della polemica politica fra maggioranza ed opposizione. Nel parco cittadino trionfa un color zafferano che richiama luci di altre vite, rimanda bagliori di lontane atmosfere. Che ci faccio in una mattinata così a Lecce? Lavoro e un appuntamento culturale. Quando posso, cerco di unire le due cose, che sono le costanti di una vita arlecchinesca. Vado a piedi, fra i perditempo che si gingillano nei bar e le piccole fiammiferaie sui boulevards percorsi da giovani annoiati in cerca di avventura e affaristi che vanno di corsa nei loro mocassini testa di moro. Il sole, come malato, lancia i suoi raggi che cadono sghembi sulle teste delle persone e intarsiano i loro volti con striature violacee. Tutto è in cammino, come sempre, ma le nuvole che sporcano il cielo sembrano correre più veloci; nell’acqua della fontana di Piazza Mazzini si delinea un volto malevolo, qua un caporale maggiore che si affretta verso la caserma, là degli studenti che hanno bigiato e osservano chi li guarda con sospetto, ora un leggero mulinello fa turbinare quattro foglie giallo malinconia, poi il fruscio di una fiammella esce dalla porta della chiesa di Sant’Irene e si perde nella strada. Da un retrobottega, sguscia un miasma pestifero di polvere e collanti. L’extra comunitario nero nerò lancia una maledizione al passante che è passato troppo velocemente senza accorgersi di lui, e intanto che si alza profumo di polli arrosto, all’angolo di Via Lupiae, la donna in fusò e spolverino bianco appena uscita da casa sblocca con sollievo la password del telefonino. Attraverso Porta Napoli e Davide, l’amico che mi accompagna, osserva che il frontale del Teatro Paisiello ricorda quello di un tempio pagano. Il sole si è nascosto dietro la tendina di nuvole e si respira come un’aria di attesa, di sospensione, che fa tendere i nervi. Percorrendo Corso Vittorio Emanuele, che da Piazza Sant’Oronzo porta al Duomo, fra le scintillanti vetrine dei negozi dietro le quali pingui commercianti sorbiscono il cappuccino insieme ai loro emaciati commessi, sotto braccio con un uomo dall’aria altolocata,
l’osceno del villaggio
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un padre gesuita rammenta, a sé stesso oltre che al magnanimo amico, che siamo fatti di carne e che non ci porteremo mica i nostri averi nell’aldilà, che scienza, sapienza, ragione, senza Dio, sono solo nubi passeggere come quelle che inzaccherano, contadine, il bel cielo cittadino, e che perciò è inutile adornarci come damerini se, dopo morti, i vermi divoreranno le nostre carni nella tomba. Poi, introducendosi nel bar della libreria Feltrinelli, i due amici ordinano un caffè d’orzo mentre sbirciano i titoli dei giornali. “Hei, amico, dammi qualche spicciolo, dai, almeno per un panino”, mi intima l’extracomunitario, appollaiato all’entrata dei portici come un falco che aspetta il passaggio del cervone. Il mio amico Davide è un musicista dilettante, suona la chitarra. Dunque la conversazione vira sul Festival di Sanremo da poco concluso. “Hai guardato il festival?”. Alla mia risposta affermativa, Davide si meraviglia non poco: “pensavo che uno come te non guardasse certe trasmissioni”. “Davide, ti dico che in tutta sincerità a me piace molto la televisione nazional-popolare. Sono soprattutto attratto dalle derive trash che spesso questa prende. Trasmissioni come quelle di Maria De Filippi per esempio hanno una valenza sociologica niente male, perché ci dicono verso quale abisso di squallore e vuoto mentale sta andando il Paese. O almeno, un certo Paese. E poi, per quanto riguarda Sanremo, a me piace la musica. Quindi cosa c’è di meglio che guardare il festivalone per sfogare il mio razzismo culturale?” . “Ah ah…”, Davide ride ma non sa se scherzo o dico davvero. E in fondo non lo so nemmeno io. “A me è piaciuta molto Malika Ayane e anche Nek. A te?” . “ A me Malika Ayane piace per la voce, ma la sua canzone era inconsistente. Così pure per Nek. Ha scritto canzoni molto migliori di questa”. “E che ne dici dei ragazzi de Il Volo?”. “Per carità, Davide, quelli sono televisione, marketing, al limite musica, ma non arte. Ci avrei scommesso fin dall’inizio che avrebbero vinto loro perché erano tipicamente sanremesi. Andavano sul sicuro puntando, con la loro canzone, su casalinghe e pensionati, cioè lo zoccolo duro del pubblico del festival. Però mi chiedo: come si può cantare una canzone che si intitola “Grande amore”? È aberrante negli anni duemila. E lo è ancora di più, se si pensa che sono ragazzini di vent’anni. Cioè questi, alla loro età, dovrebbero fare rock satanico, sfasciare gli
strumenti, attaccare il sistema rappando, non indossare occhiali e smoking e cantare per le mamme. Il loro manager Michele Torpedine è un genio del male!”. “Anche a me fanno cagare, ma i tenorini portano avanti la tradizione melodica del nostro paese”. “ Ma secondo me un conto è conservare la grande tradizione musicale italiana, operazione che i tre ragazzi fanno meritoriamente, un altro è invece scrivere una canzone, oggi, con quegli stilemi. Il recupero della canzone napoletana è cultura, “Grande amore” è anacronistica, furba, falsa, sdolcinata, una chiavica!” . “Vero. Ma non salvi nessuno del Festival allora?”. “ Sì, se proprio devo salvare qualcuno, prendo il duo dei Soliti Idioti, anche se esprimevano, nella loro “Vita d’inferno”, un concetto vecchio quanto il mondo: è meglio non esser mai nati e una volta nati morire nella culla. Lo dicevano già gli antichi greci. Delle nuove proposte, salvo i Kutso (che si pronuncerebbe “cazzo”). Ma in assoluto, la proposta più interessante e innovativa delle cinque serate è stato il chitarrista tenore. Quello che ha suonato Puccini. Come si chiamava?”. “Federico Paciotti” “Lui! L’androgino. Mi è sembrato un mix eccezionale fra tradizione e innovazione. Anche il suo look era super! Ho letto che da ragazzino faceva parte dei “Gazosa”. Beh, è la dimostrazione che gli sbagli si possono sempre recuperare. Ora studia al Conservatorio Santa Cecilia di Roma ed ha un grande avvenire davanti”.
Intanto, viene giù un’acquerugiola subitanea che titilla le teste pelate dei passanti i quali corrono al riparo per paura che, risuonando a vuoto la pioggerella sulle loro zucche, evidenzi come esse siano cave. “Cave canem” è scritto sul cartello della cancellata di un palazzo nobiliare nei pressi di Porta Napoli, mentre ritorno insieme con il mio amico a riprendere l’auto e, con invidiabile finesse, sul Viale degli Studenti, un tamarro lancia imprecazioni a una donna incinta che ha occupato metà corsia con la sua macchina in sosta. Tutto passa e tutto torna. Ho sbrigato solo alcune delle commissioni che mi ero riproposto e Mauro e Piero, che dovevamo incontrare al Fondo Verri, all’ultimo momento ci hanno dato buca. Ma alla radio, mentre ritorniamo in macchina, passano le canzoni di Sanremo: “Dimmi che sei. Che sei il mio unico grande amore!!!”
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letture
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Una storia di pallone Don DeLillo, End zone, Einaudi
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Il Centrex, partendo da centrocampo, prese 6 yard, poi 8,5,4,9. Lenny Wells uscì dolorante: infortunio al braccio destro. George Owen gli inveì contro. Finì il quarto. Pensai al ghiaccio che si scioglieva sulle rive dei corsi d’acqua in montagna. Wells fu sostituito da Billy Mast. Telcon tenne il pallone su uno scramble e andò sulle I (c’era una flag) prima che Buddy Shock lo placasse. Il fallo era loro, clipping, e così la palla fu posizionata fuori dalle nostre 20,15 yard più dietro rispetto a dove era stata commessa l’infrazione. Telcon cercò di lanciare al suo ricevitore su una post. Bobby Iselin intercettò la palla e la portò all’altezza delle 19 yard. Per qualche istante persi di vista il casco. Garland Hobbs: Massacriamoli quei finocchi. Moons sweep, string interno, pronti a destra. Cradle fuori, drill-9 shiver, end chuff. Option lato forte, flow-and-go Fui sbalzato fuori dal campo e venni calpestato. Veech mi sbraitò qualcosa. Sudatissimo primo down preso dal non spettacolare Harkness, Taft di trovò chiuso e in un cambio di direzione si ributtò nella mischia. Campo loro, secondo e otto. Hobbs cercò Creed con lo sguardo per ricevere istruzioni. Lui rimase con le braccia conserte, pestando con il piede destro sull’erba.” Con queste parole Don DeLillo racconta in End Zone -romanzo uscito negli U.S.A. nel ’72 e pubblicato in Italia l’anno scorso da Einaudi- un incontro di football americano tra le squadre del “Logos College” e del “Centrex”. Diciassette pagine (corrispondenti all'intera seconda parte del romanzo) di puro virtuosismo linguistico, in cui si descrivono schemi di gioco dai nomi improbabili, pestaggi, azioni e caschi che rotolano via per la conquista della "end zone" avversaria, la parte di campo in cui il giocatore segna il touchdown, cioè va a punti. Completamente indecifrabili per un pubblico che non conosce il football, ma come scrive DeLillo in apertura, rivolgendosi direttamente al lettore: “gran parte del fascino di questo sport deriva dal suo
essere basato su un elegante gergo incomprensibile”. Il protagonista è il ventenne Gary Harkness, “running back” della squadra di football di un piccolo sperduto college del Texas, il Logos College, ossessionato dagli armamenti nucleari, dalle strategie di annientamento globale e dagli effetti di un fall-out nucleare sulle principali città americane; ossessioni che coltiva come uditore nei corsi tenuti dall’aeronautica all’interno del college. La sua donna è Myna Corbett. Una che non vuole essere né bella né desiderabile, in quanto anche la bellezza ha delle responsabilità e bisogna dimostrarsi all’altezza. Emmet Creed, "Credo" in italiano, è l’allenatore che segue gli allenamenti da una torre che ha fatto costruire sul campo, e che è riuscito a ingaggiare Taft Robinson, atleta nero dalla velocità eccezionale. Anatole Bloomberg è il compagno di stanza di origine ebraica, finito nello sperduto college per cercare di disebreizzarsi, perché stanco dei sensi di colpa che hanno a che fare con l’essere storicamente considerati, gli ebrei, vittime innocenti. Intorno a loro una landa desolata e desertica del profondo sud texano. Nell’abulica e ripetitiva vita all’interno del logos College, DeLillo intrecciando fra di loro una serie di eventi che vanno dagli irrazionali allenamenti, alle simulazioni di guerra atomica, passando per le stravaganti abitudini dei suoi studenti e del personale della scuola, costruisce intorno al football americano una riflessione che punta dritta al linguaggio. Non è un caso che il college in cui è ambientato il romanzo si chiami “Logos”. C’è tanto il Wittgenstein dei Giochi Linguistici in questo romanzo, così come sarà centrale ed esplicito il riferimento al filosofo austriaco nella “Scopa del Sistema” di David Foster Wallace, che in vita ebbe grande considerazione per DeLillo. Per il "secondo" Wittgenstein l’assenza di necessità nel rapporto tra mondo e linguaggio porta alla prolificazione dello stesso linguaggio in nuove e diverse
di Alessandro Vincenti
forme possibili, dove il significato di una parola è dato dal suo uso in un particolare contesto. Di questa totalità andata in frantumi, la possibilità -o l’impossibilità- di rimettere insieme i singoli linguaggi attraverso delle relazioni reciproche basate su un principio di rassomiglianza, sembrano essere il nucleo tematico sul quale DeLillo si interroga quando analizza il rapporto tra football americano e guerra all'interno della società americana. “Io rifiuto il parallelismo tra football e guerra – dice uno dei personaggi – la guerra è guerra. Non abbiamo bisogno di succedanei dal momento che abbiamo l’originale». Ma in definitiva ad essere messo in dubbio, in questo secondo romanzo di DeLillo, sembra persino essere il corretto funzionamento di ogni singolo “gioco linguistico” come il gergo del football, ad esempio. Così nella partita più importante del campionato, sempre quella contro il Centrex, accade che un astruso schema chiamato e inventato da Creed, l’allenatore, non venga compreso dai suoi stessi giocatori: “Hobbs disse: - Stem a sinistra, hitch-and cross, F switch e sideline. Al mio hut. -Chè? – disse Chuck Deering. -Al mio hut. -Non quell’altra cosa. F qualcosa, bho. -F switch e sideline, -disse Hobbs -E che schema sarebbe, questo? -Stai scherzando? -Siete una manica di mangiamerda, -disse Kimbrough. -Scusa, Hobbsy, ma quando è stato introdotto questo schema? -Martedì o mercoledì. Dove cavolo eri? -Dev’essere stato mercoledì. Ero dal dentista”.
Don DeLillo è nato nel 1934 nel Bronx (N.Y.) da genitori italiani originari di Montagano, un paesino in provincia di Campobasso, emigrati subito dopo la Grande guerra. Figura centrale del cosiddetto post-modernismo americano insieme a Thomas Pynchon, D. F. Wallace e Paul Auster. Nel 1971 pubblica il suo primo romanzo,"Americana", tradotto in italiano solo nel 2000. Nel 1972 pubblica End Zone e l’anno successivo Great Jones Street (tradotto in italiano nel 1997). Nel 1985, vince il National Book Award con Rumore bianco . Tra i suoi libri anche Libra (1988), Underworld (1997), Body art (2001), Cosmopolis (2003), L'uomo che cade (2007), Punto Omega (2010).
in agenda - fotografia
spagine
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Domenica 15 marzo negli spazi di Cantine Moros a Guagnano, alle 10.30 Ferdinando Scianna presenta e inaugura la mostra di Ulderico Tramacere
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Arneo
dito in mille copie numerate, "Arneo" è un libro fotografico con immagini b/n realizzato tra il 2013 e il 2014 e pubblicato da Edizioni Grifo (Lecce) in versione italiano/inglese a Gennaio 2015. “Da Nardò fino a Taranto non c’è nulla, c’è l’Arneo, un’espressione vagamente favolosa, come nelle antiche carte geografiche quei vuoti improvvisi che s’aprivano nel cuore di terre raggiunte dalla civiltà”: così Vittorio Bodini negli anni Cinquanta descrive l’Arneo, terra in cui Tramacere ha deciso oggi di soffermarsi. Conscio dell’intrinseca volubilità dei giudizi di valore, Tramacere sperimenta nel suo lavoro vari linguaggi narrativi che consentano di oltrepassare il mero dato documentaristico per interrogare il territorio (e sé stesso) sul valore dell’identità e sul ruolo che la fotografia riveste in tale ricerca. “Non ha lasciato la sua terra Ulderico. Sapeva, evidentemente, che da tutto si può fuggire, meno che mai da sé stessi”: Ferdinando Scianna conclude così la sua introduzione al libro di Tramacere, lavoro che richiama esplicitamente l’economia e l’umanità del territorio attraverso un uso del ritratto fotografico tanto evocativo quanto essenziale. Il volume consta di cinquanta immagini b/n suddivise in cinque “storie”. Nell’ottica di un dialogo fototestuale, ogni storia è preceduta da una citazione letteraria con la quale il capitolo dialoga e discute; tale rapporto tra parola e immagine si intensifica, infine, con una nota di carattere storico-culturale scritta da Chiara Agagiù, anche traduttrice dell’opera. Il progetto è rientrato tra i finalisti di Portfolio Italia 2014, concorso nazionale organizzato dalla FIAF – Federazione Nazio-
“Tuffo”, fotografia tratta da Arneo di Ulderico Tramacere e la copertina del libro
nale Associazioni Fotografiche ed è stato esposto al Centro Italiano della Fotografia d’Autore di Bibbiena (Arezzo) fino al 22 Febbraio. Il libro è stato realizzato con il sostegno del Gal Terra d'Arneo e con il contributo della Banca di Credito Cooperativo di Leverano (Lecce).
L’EVENTO Il volume sarà ufficialmente presentato a Guagnano (Lecce) presso le Cantine Moros Domenica domenica 15 marzo alle 10.30, con la partecipazione del fotografo Ferdinando Scianna. A seguito dei saluti istituzionali, introdurrà la presentazione il Presidente del Gal Terra d’Arneo Cosimo Durante. Conclusa la presentazione, si procederà con l’inaugurazione della mostra, che sarà aperta al pubblico per una settimana. Concepita dall’autore in un suggestivo percorso all’interno degli antichi luoghi di produzione del vino, recuperati e restaurati dal Presidente delle Cantine Moros Claudio Quarta, la mostra e il suo peculiare allestimento sanciscono il legame di “Arneo” con il territorio in cui il progetto fotografico è stato svolto. La mostra sarà visitabile negli orari di apertura della Cantina Moros: dal Lunedì al Venerdì 9.00-13-00 / 14.00-18.00 Sabato e Domenica: su prenotazione e.mail: info@cantinamoros.it cell. 342/9738931 www.cantinamoros.it
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S
il tempo
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Quattro triglie per una coppia
i era ai tempi del mitico attacco dell’Inter formato da tali Jair, Mazzola, Peirò, Suarez e Corso, delle prime autovetture “Cinquecento” cui si faceva un discreto rifornimento mediante 500 (lire) di super e 500 di normale, di un poco più che ventenne impiegato sportellista appena coniugatosi, stipendio mensile intorno alle ottantamila lire, assorbito per il 35% dall’affitto di casa. Nella città vecchia di Taranto, s’affacciava, presso Piazza Fontana, la pescheria “Bellavista” (non è dato sapere se
esista ancora) e, saltuariamente, il giovane bancario, alla fine dell’orario di lavoro nella vicina Agenzia all’imbocco del Ponte di pietra, era solito transitarvi per procurarsi una manciata di specialità ittiche fresche. Le scelte vertevano prevalentemente sulle triglie, esemplari di formato medio piccolo sui 75/100 grammi di peso, che, all’immaginario dell’avventore, rendevano quasi la sensazione di voler sorridere con quelle minuscole pupille traslucide, antenne e sensori di salsedine profumata. Quattro, in genere, i “pezzi” individuati e
acquistati, il corrispettivo pagato pari a 400 (lire), ossia 100 per ciascuno. E, ogni volta, in casa, si poteva imbandire una cenetta per due, una pietanza succulenta, gustosa, da festa. Si provi, il giorno d’oggi, un attimo appena, a dare un’occhiata, in pescheria, alla varietà “triglie” di analoga pezzatura: sul cartellino del prezzo, si leggerà da 15 a 25 (euro) il chilogrammo, cioè a dire da ventidue a trentasette volte tanto. E’ vero, è trascorso tanto tempo, per fortuna le triglie sono ancora adesso squiLa copertina dll’audiolibro site come allora. Rocco Boccadamo
M Rebus
spagine
poesia
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Nel Magazzino di Poesia di Spagine i versi di Marta Toraldo
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di Antonio Zoretti
Il lungo torrente” che descrive Marta non trasporta cadaveri. Una vista accecante l’ha impaurita. «Per le anime è morte farsi acqua, per l’acqua è morte farsi terra: dalla terra nasce l’acqua, dall’acqua l’anima» (fr. 36 – Eraclito di Efeso, 550 ca – 480 ca a.C. – filosofo greco). L’anima «asciutta» è quella che ha più sapere (fr. 118), secondo il principio che il simile conosce il simile. Eraclito, il filosofo del divenire, del «tutto scorre» (pànta rhèi), sicché “non potrai bagnarti due volte nelle acque dello stesso fiume». Contrapposto, indi, all’essere, all’identità e all’immobilità. Marta Toraldo vede l’espressione dell’innocenza dionisiaca, al di là del bene e del male. Ella si sforza di mostrare la vicinanza alla verità come a-létheia: «nonnascondimento» dell’essere, quindi sua “manifestazione». La sua interpretazione moltiplica gli sforzi per restituire la lettera dei frammenti poetici e di pensiero alla tradizione che li ha tramandati. Frammenti che esprimono invece l’universo come «ordine» (Kòsmos), come fuoco e come «anima» o «vita» (psyche). Il lògos come l’«armonia segreta» la coincidenza. Il «buon ordine», ingenerato ed eterno. Conoscere e risolvere il rebus, cioè convenire con la ragione d’essere. Ma a noi umani rimane nascosto ciò che siamo, così come dimentichiamo ciò che facciamo. L’idea alla quale si appella Marta rinvia
ai concetti di «discorso» e di «ragione»; ma come «ragion d’essere» delle cose essa incarna anche un principio vitale. L’esegesi, nei suoi vari aspetti e forme, è resa peraltro incerta, pur attribuendole un significato arcaico e genuino. Pensatrice poetica influenzata dalla conoscenza e dalla verità, Marta Toraldo mira a “bloccare per un attimo la frenesia che avvilisce ogni passione, come l’oblio del nulla giustificato dalla propria responsabilità nelle mani del destino da tenere in testa”. Un rinnovamento che la sottragga “dalla gabbia e dalla tirannia del tempo che non lascia pietà”. La riduzione della sorte a una questione temporale finisce per travisarla, portando l’oblio del suo aspetto essenziale, la pratica vitale in cui consiste la vera filosofia universale. Nel “Rebus”, Marta vorrebbe fermare il mondo che, spinto dall’avidità, rincorre l’effimero: ed ella tesse le lodi di quella superiore «follia» - tale solo agli occhi del mondo, essendo in realtà supremo amore, passione e saggezza – che spinge l’esercizio della vita e a far dono della benevolenza. Nella sua poetica, Marta vede ancora una volta minacciata questa dimensione. Se all’uomo viene negata questa possibilità, la vita risulta di fatto estromessa da quella sostanza di cui costituisce invece il cuore. Di qui l’opposizione di Marta al radicamento, dal quale ella esige un profondo “cambiamento”, che “è una scossa, non si può comandare”. Una grande riforma della
vita e dell’arte. “E le stagioni passano, il sole tramonta e nasce anche quando il mondo è in subbuglio. La vita è un rebus progettato nelle mani di chi lo sa costruire, nonostante il vuoto si impossessi di ogni forma vivente…”. Con Wittgenstein possiamo solo riconoscere che davvero “la filosofia si dovrebbe solo poetare”. Si sente che il linguaggio filosofico non è capace di conseguire alcune realtà, corpo, gioco, inconscio, con cui, invece, il linguaggio letterario e poetico si trova in comunicazione diretta. Marta Toraldo riprende un pensiero che non sorga dalla negazione del reale e della vita, ma che si presenti come un’aperta affermatività e su una metafisica vitalistica, per l’appunto. Coerentemente con questa impostazione, la filosofia viene concepita non come critica, bensì come creazione di valori nuovi. Marta affianca alla pura speculazione filosofica una riflessione sul linguaggio. Ella quindi invidia alla letteratura e alla poesia l’opportunità di suggerire un linguaggio in grado di esprimersi compiutamente. Il suo testo ha il compito di resuscitare la scena teorico-pratica addormentata dai disorientati e confusi. E dunque che il pensiero si assopisca sotto l’ombra del grande Albero del Potere.
N
Storia di un condominio
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libri
della domenica n°67 - 8 marzo 2015 - anno 3 n.0
on è uno scherzo! Da mercoledì 1 aprile sarà in distribuzione La Città Verticale, secondo romanzo di Osvaldo Piliego, pubblicato da Lupo e distribuito in tutta Italia da Messaggerie. Il libro è la storia di un condominio e dei suoi abitanti, il racconto di una città, Lecce, vista dalla periferia. Su tutto regna lo sguardo ipnotico della televisione e di Maria De Filippi. Nascosti da qualche parte “Gli Altri” decidono chi vive e chi muore. Luigi è l’eroe e la vittima, Lucia la vergine tossica, Dario l’alcolista fallito. Sullo sfondo una galleria di personaggi e storie senza speranza e senza futuro. La penna di Osvaldo Piliego traccia un affresco impietoso della società contemporanea, non fa sconti a chi ormai è fatto per vivere come bruti, cioè tutti noi. È inevitabile, leggendo questo libro, visionario e feroce identificarsi almeno in uno di questi personaggi estremamente lirici nel loro dramma fatto di nulla. L’unica possibilità di riscatto è il peccato, la morte nel migliore dei casi. E se esiste l’amore bisogna ammazzarlo, passarci sopra, sopravvivere. Prendete la narrativa americana più pulp e sciacquatela nel canale di Otranto, quello che resta è comunque ancora molto sporco. “In quella bara di cemento ci hanno sepolto una generazione. Hanno ucciso le sue speranze con un contratto a tempo indeterminato, gli hanno lobotomizzato i sogni con una cuffia e un selettore automatico. Sono padri confessori di peccati veniali, di incapacità telematiche, di consumi energetici. Oppure il mese dopo diventano i diavoli tentatori, babbi natale fuori stagione, offerte irrinunciabili, la novità e il regalo”.
C’è
La foto di copertina è di Enrico Carpinello
La cultura dei Tao... al Fondo Verri, un audio libro che è necessario acquistare e conservare nella propria biblioteca per ascoltare la "fiaba" contadina di Antonio L. Verri... e per sostenere l'attività del Fondo a lui intitolato.
Osvaldo Piliego ha trentasei anni, vive a Lecce. Ha scritto di musica per diverse riviste locali e nazionali. Ha pubblicato il romanzo “Fino alla fine del giorno” per Lupo Editore e diversi racconti. Ha organizzato centinaia di concerti e suona male la batteria da più di 15 anni.
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In occasione del finissage della mostra Desiderata – che ha proposto opere di Eva Caridi, Fernando De Filippi, Claudia Giannuli Nicole Gravier, Bogumil Ksiazek e Christos Pallantzas A100 Gallery presenta sabato 14 marzo alle 18.00 una sua produzione editoriale, Remake un libro di Lorenzo Madaro, direttore artistico della galleria
I remake di Lorenzo
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ritici d’arte, storici dell’arte, artisti storicizzati e giovani promesse ormai consolidate nel panorama nazionale e internazionale, collezionisti, mercanti, galleristi, direttori di museo: Remake (pp. 115, A100 Edizioni) vuole rappresentare una sintesi panoramica – che in quanto tale non pretende esaustività alcuna – su alcune realtà e situazioni che si sono affacciate in Italia, e in Puglia soprattutto, nell’ultimo quinquennio. In alcuni casi si tratta di analisi e cronache in presa diretta, nate durante il lavoro giornalistico dell’autore, collaboratore dell’edizione pugliese di Repubblica; ci sono poi i dialoghi con alcuni artisti – Francesco Arena, Luigi Antonio Presicce, Mat Collishaw, Costas Varotsos, Sarah Ciracì, Fernando De Filippi, Kengiro Azuma, Hidetoshi Nagasawa –, di cui Madaro ha seguito il percorso in diverse occasioni, per poi giungere a veri e propri resoconti di alcune rassegne espositive visitate negli ultimi anni in diverse città e ai testi che hanno accompagnato alcune mostre personali ordinate in tempi recenti. Una panoramica, dicevamo, che riguarda anche alcune figure della critica d’arte – da Gillo Dorfles a Peppino Appella, da Achille Bonito Oliva a Lorenzo Canova –, che attraverso i dialoghi con l’autore hanno raccontato esperienze e declinato i metodi della disciplina. Metodi e ragioni della critica d’arte, ricerca prettamente artistica, collezionismo, mercato: sono diversi gli argomenti trattati in questa panoramica. Perciò una basilare divisione in capitoli tematici è stata ne-
cessaria per una fruizione più semplice di queste pagine. Nel libro vi sono poi diverse tracce sulla Puglia contemporanea, la regione in cui chi scrive opera con continuità, collaborando con istituzioni pubbliche e realtà private. Una breve passeggiata tra i progetti e i luoghi più dinamici, ripercorrendo – seppure brevemente, per ovvi motivi di spazio – le finalità di alcuni luoghi specifici: dal MUST di Lecce alla Fondazione Pascali di Polignano, alla Fondazione Noesi di Martina Franca, per poi passare alle gallerie d’arte e ad alcune rassegne che in questi anni hanno contrassegnato un paesaggio mutevole ormai meritorio di un’attenzione mirata da parte degli addetti ai lavori.
“E qui subentra un altro aspetto del nostro autore, il ruolo di critico e curatore. Secondo quanto diceva Alighiero Boetti, il curatore deve aiutare gli artisti a realizzare i sogni impossibili, Madaro ha già al suo attivo la curatela di interessanti mostre in spazi pubblici e privati. Molto apprezzato il volersi muovere sui territori trasversali del linguaggio, sino a non attribuire all’età anagrafica degli artisti da lui coinvolti un valore assoluto, sono giovani o meno giovani, affermati, in via di affermazione o “dimenticati”, Madaro bada solo alla qualità dell’opera. Accompagnato da una grande curiosità, tiene moltissimo a frequentare l’artista, ad avere con lui contatti quasi quotidiani, a frequentare gli studi; fa con gli artisti viaggi di lavoro e di piacere, segue da vicino l’evolversi e il nascere delle opere, discutendone il pensiero, mai restandone
“fuori”. Una figura di critico e curatore aperto, colto e passionale, la pratica dell’amicizia con l’artista, lo rende un prezioso compagno di viaggio, un “fiancheggiatore” dell’artista, un complice che entra nelle complesse procedure di elaborazione di un’opera seguendone spesso l’iter dalla gestazione alla nascita dell’opera […]”.
(dalla prefazione del libro, a firma di Rosalba Branà, direttrice della Fondazione Pascali di Polignano a mare)
Laureato in Storia dell’arte contemporanea all’Università del Salento, nel 2013 ha conseguito il master di II livello in Museologia, museografia e gestione dei beni culturali all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Dal 2010 collabora come critico d’arte all’edizione pugliese del quotidiano “La Repubblica”, per cui cura anche il blog Arte. Arti visive e dintorni. Nel 2013, con Rosalba Branà e Antonello Tolve, ha curato la personale di Mat Collishaw presso Fondazione Pascali di Polignano a mare, nell’ambito del Premio Pino Pascali. È docente a contratto di Storia e metodologia della critica d’arte all’Accademia di Belle Arti di Lecce. È direttore artistico del progetto europeo CreArt. Network of cities for artistic creation per Comune di Lecce – Settore Programmazione strategica e comunitaria e Settore Cultura. A100 Gallery piazza Alighieri 100, Galatina (Lecce)
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trova
Dove la voce
Ad illustrare un autoritratto di Gioia Perrone ospite della rassegna il prossimo 13 marzo
L
a voce torna a tessere storie ridando potere all'immaginazione, al corpo a corpo della scrittura. Autrici e autori rendono vive e vegete le proprie parole davanti al pubblico. Cantastorie contemporanei che con la nuda voce o con l'intreccio di suoni producono sguardi inediti sul reale, poetiche visioni, viaggi percettivi. E’ iniziata lo scorso venerdì 27 febbraio con Massimo Pasca e un inedito “Prima di andare qui. Spoken d'amore e altre frattaglie”, la mini rassegna di Scritture Vive, che si terrà ogni venerdì fino al 29 maggio al Circolo Arci Eutopia di Galatina. La rassegna si chiuderà con la presenza di Jonathan Zenti, autore radiofonico indipendente che oltre a presentare il suo ultimo audiodocumentariod al vivo terrà un workshop dal titolo “Strumenti, tecniche ed etica per la radio revolution in Europa”. I prossimi appuntamenti: 13 marzo: Gioia Perrone in “Pronta a tutto”, riot reading con il basso di Filippo Otello e le incursioni selvagge delle Playgirls from Caracas. 20 marzo: Piero Rapanà, Simone Franco, Ilaria Seclì e Mauro Marino danno voce a “La cultura dei Tao” di Antonio Leonardo
in agenda
Verri, audiolibro edito da Spagine, periodico culturale del Fondo Verri 27 marzo: “Memorie sulla strada del ritorno” scritto da Francesco Cangemi con Francesco Cangemi e Giuseppe Bottino alla chitarra, dodici storie da una provincia ancora più a sud. 3 aprile: Vito Panico accompagnato dal musicista Alessio Paiano presenta “Chiamata a carico” brani tratti dal suo ultimo libro edito da Edizioni Esperidi 24 aprile: Maira Marzioni presenta il reading audio-poetico “Sempre stata. Un mese ad Aliano”, accompagnata dal musicista Enrico Stefanelli. 15 maggio: “A cosa serve la poesia”, Giuseppe Semeraro presenterà il suo ultimo libro, ai suoni Leone Marco Bartolo. 29 maggio: “A questo punto-viaggio in un possibile nord est prossimo venturo” audiodocumentario dal vivo di Jonathan Zenti. Circolo Arci Eutopia Corte Santo Stefano 4, Galatina fb evento: Piccola rassegna di scritture vive per info: 3391927502
A Milano una mostra di Cinzia Ruggeri
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Cin Cin! Cinzia
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0 Corso Como presenta “CIN CIN 1980-2015” una mostra di Cinzia Ruggeri fino a lunedì 6 aprile (la mostra è stata inaugurata lo scorso 21 febbraio). Mobili, abiti e accessori che fondono moda, architettura e interior design interpretati da Cinzia Ruggeri in chiave surrealista: un brindisi con il bicchiere “Con la goccia”, una conversazione seduti su una “Colombra” che non è solo un divano, ma anche l’ombra di una colomba, o su “Pipì”, la seduta-cagnolino. Sospesa tra moda, arte, design e architettura, Cinzia Ruggeri è un’artista nota in Italia e all’estero per gli abiti futuribili ispirati alle piramidi ziqqurat, per l’uso sperimentale di tecnologie integrate nei tessuti, per soluzioni cinetiche e performative e per gli oggetti parlanti che tentano di comunicare con pubblico e fruitori. “La moda mi ha permesso di esplorare i segreti di chi indossa un capo, i bisogni e i desideri, le manie, i disturbi personali.
L'interesse nel mio lavoro non era creare di continuo e in modo bulimico, ma piuttosto affrontare e approfondire queste tematiche anche attraverso degli abiti "comportamentali”. Nel catalogo del gruppo Alchimia, Kazuko Sato scrive nel 1985 che per Cinzia Ruggeri “un abito è uno spazio costruito intorno ad un corpo come un piccolo oggetto di architettura. Lo spazio funzionale e decorativo ha aspetti contradditori: è insieme temporaneo e di lunga durata. Indossare abiti significa creare un’immagine”. Sono abiti basati sulla decostruzione, sui tagli diagonali, sull’asimmetria e sull’ironia verbale che riflettono un’estetica gioiosa ed eccentrica: la coppola con un cervello disegnato all’interno, il “Guanto schiaffo”, il “Guanto erba”, la “Collana sipario”, le “Mani fontana” e le “Mani luce”, la “Cravatta terremotata nera”, l’“Abito con i cani”, gli “Abiti ninfea”, senza dimenticare l’ “Abito con ricamo impazzito”. Questo e molto altro di inatteso, come il video “Per un vestire organico, metamor-
phosi”, rende un piccolo omaggio al linguaggio fertile di Cinzia Ruggeri. Cinzia Ruggeri vive a Milano e insegna Metodologia del progetto e Fashion Design alla Naba, Nuova Accademia di Belle Arti di Milano. I suoi lavori sono stati esposti in numerose esposizioni, tra cui al La Jolla MoCA, (California) nel 1982, a Palazzo Fortuny (Venezia) nel 1983, al Fashion Institute of Technology (New York) nel 1987, alla Triennale di Milano nel 1988, alla Nuova Pesa (Roma) nel 1990, alla Chiesa di San Carpoforo (Milano) nel 1992, al Castello di Belgioioso (Pavia) nel 2002, al Victoria & Albert Museum (Londra) nel 2011-12, alla Galleria Marlborough (Monaco) nel 2014. CIN CIN 1980-2015 di Cinzia Ruggeri In mostra fino al 6 aprile 2015 Tutti i giorni dalle 10.30 alle 19.30. Mercoledì e giovedì dalle 10.30 alle 21.00. 10 Corso Como Corso Como 10 - 20154 T + 39 02 2653531 - press@10corsocomo.com www.10corsocomo.com
H24 FabrìKa spagine
in agenda - arte
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Social DollS
É
Identità e rappresentazione ai tempi dei social media
incontestabile che Facebook, Twitter, WhatsApp, ed altri social media di recente generazione non siano più semplici strumenti di comunicazione ma regolatori di emozioni capaci di condizionare il vissuto quotidiano, non fosse altro per il tempo che giornalmente si dedica al social network. Si stima che nel 2017 gli utilizzatori a livello mondiale saranno due miliardi e mezzo. Sulla modificazione delle personalità riflettono le opere di questi tre artisti che indagano, ognuno attraverso il proprio codice creativo, quali siano le aspettative relazionali e emozionali che vengono affidate ai media. La pittura di Luigi Cannone, la fotografia di Filly Fiordaliso e le matite dure su acquerello di Gabriella Marra creano un particolarissima e interessante riflessione sul tema del narcisismo digitale. In particolare Luigi Cannone attraverso
le sue tele dai colori accesi, quasi acidi, indaga il sempre crescente interesse verso la pratica dei “selfie” utilizzata non tanto per raccontare di se agli altri ma quanto per condividere un'immagine di se stessi mistificatoria che tende a mostrare ciò che si vorrebbe essere e non ciò che si è. Da qui i tratti di un'instabilità emotiva che si associa al timore di ricevere un commento negativo, tradotto in un:“mi piace” o un “follower” in meno. Toni freddi invece nelle fotografie di Filly Fiordaliso, che ritrae un mondo femminile che a contatto con l'oggetto mediatico va smarrendo gradualmente la sua identità. Dal movimento emozionale all'immobilità dell'io interiore. Sono quasi manichini, immersi in un mondo irreale le modelle della Fiordaliso, che per accentuarne la spersonalizzazione identitaria opera la scelta di pixellare i corpi fotografati in una sorta di fermo immagine emotivo. Maria Gabriella Marra tratta il tema più forte della prostituzione in web. I colori
di Rosanna Gesualdo
tenui delle sue matite su acquerello divengono studio tassonomico dell'ambiente circostante, una ricerca sul proliferare esponenziale di siti in cui donne di ogni nazione religione estrazione sociale si " prostituiscono ", prostituzione che esula il contatto fisico. La Marra ritrae porzioni di corpo vendute come su un banco da macelleria, l'identità rimane celata, nascosta, non rilevante agli occhi di chi compra. E' evidente quanto sul piano sociologico importante sia il lavoro questi tre artisti, le cui riflessioni per immagini registrano narcisismi e tendenze contemporanei, senso e traccia, una mappatura di domande a cui dare le proprie personali risposte. Inaugurazione domenica 8 marzo ore 20.00 H24 FabrìKa in Vico Dietro Spedale Pellegrini, 29/a- Lecce
copertina
8 marzo 2015 spagine
in agenda - arte
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Conversazioni
Scaramuzza Arte Contemporanea
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ad Arte
omenica 8 marzo alle 18.00 presso Scaramuzza Arte Contemporanea in occasione della mostra in corso CON/DIVISIONE a cura di Carmelo Cipriani, Monica Lisi presenta il primo appuntamento di "Conversazioni ad Arte". Una conversazione per meglio conoscere due degli artisti in mostra: Filomena D'Ambrosio ed Evan Piccirillo. Una chiacchierata ad arte che ha come obiettivo quello di avvicinare il pubblico alla produzione artistica per meglio comprendere il loro processo creativo. Un appuntamento utile e piacevole per una
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Spagine Fondo Verri Edizioni
Con Filomena D’Ambrosio e Evan Piccirillo
domenica pomeriggio all'insegna Evangelista Piccirillo è nato a Grottaglie nel 1987, è cresciuto della creatività. nel piccolo paese di San Marzano Filomena D’Ambrosio è nata nel di San Giuseppe, nella provincia 1981 a Policoro. Ha trascorso di Taranto. Sin da bambino partel’infanzia a Tursi, un paese sulle cipa e compete a varie manifestacolline lucane. Dopo il diploma, si zioni d’Arti Visive. Dopo il trasferisce a Firenze, dove intra- diploma al Liceo Artistico Lisippo prende il proprio percorso arti- di Manduria, prosegue gli studi stico. Nel 2006 si trasferisce a frequentando il corso di pittura Lecce, studia pittura e incisione presso l'Accademia di Belle Arti presso l’Accademia di Belle Arti, di Roma e ultimando il percorso e conclude il percorso speciali- alla facoltà di Lecce, sotto la stico, nella sezione di Pittura, guida del professor Franco Conlaureandosi con il massimo dei tini. Oltre a quelle classiche, si voti. Predilige il linguaggio speri- apre e specializza nella ricerca di mentale dell'unione fra la pittura nuove tecniche, tra cui quella e l’antica tecnica della Calligra- della pittura digitale. Le sue fia. Le sue opere affrontano il le- opere attraverso lo studio della figame fra l’uomo, la natura e il gura umana, cercano di dare simbolismo inconscio. Lavora in forma all’interiorità e all’elemento spirituale che risiede in ognuno. Italia e all’estero.
Spagine è un periodico di informazione culturale dell’Associazione Fondo Verri esce la domenica a cura di Mauro Marino è realizzato nella sede di Via Santa Maria del Paradiso, 8.a , Lecce come supplemento a L’Osservatore in Cammino iscritto al registro della Stampa del Tribunale di Lecce n.4 del 28 gennaio 2014 Spagine è stampato in fotocopia digitale a cura di Luca Laudisa Studio Fotografico San Cesario di Lecce Programma delle Attività Culturali della Regione Puglia 2015 Artigiana - La casa degli autori