Spagine della domenica 69

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della domenica n°69 - 22 marzo 2015 - anno 3 n.0

Periodico culturale dell’Associazione Fondo Verri

spagine Un omaggio alla scrittura infinita di F.S. Dòdaro e A. L. Verri

Francesco Sisinni, Senza titolo, 2015,olio su tessuto,50x40cm - Per CreArt a Palazzo Vernazza


Storia dell’albero

contemporanea

spagine

C

che non voleva essere tagliato

’era una volta un maestoso albero. Ben piantato in un fertile terreno del Sud Italia. In una terra abitata dai Messapi, visitata dai Greci e devastata dai romani. Quelli che arrivarono dopo: Bizantini, Normanni,Francesi, Spagnoli, tedeschi, americani…portarono tanto ma presero il doppio. Gente Italica di prime maniere che amava spremerne le bacche per gli usi più disparati. Ovidio lo chiamò oleastro e raccontò la favola di un pastore punito dalle ninfe che per la sua sfrontatezza fu fasciato di corteccia e trasformato in albero. Viveva in questa contrada da cui era possibile vedere delle grotte che si perdevano nell’ombra di un grande bosco, tra l’ondeggiar di canne lievi. Qui dove abitava Pan semi-capro e poi, prima di lui, le ninfe. Dal succo delle bacche di quel pastore tramutato in albero- l’oleastro-si può avere un’idea di quale fosse il suo carattere. La sua lingua le ha rese amare. L’asprezza del linguaggio è passata nelle bacche. C’era una volta, si diceva, e c’è ancora quell’ enorme albero di Ulivo. Quando fosse stato piantato e da chi nessuno lo sapeva. Era molto vecchio e vecchio era sempre sembrato alla protagonista di questa storia: Caterina. Vecchio era sembrato anche al padre di Caterina e così al padre di suo padre. Caterina aveva sentito narrare storie di amori nati sotto quell’albero. Aveva udito di dita ricurve, di urla al cielo e di canti discordi che si accordavano nel rito della raccolta delle olive. Aveva letto su qualche vecchio libro di una donna trucidata perché aveva stracciato il cappuccio con cui, china al suolo, raccoglieva le olive. Si era spezzata la schiena per svuotare il cappuccio decine e decine di volte al giorno fino a che il sole non era tramontato. La rabbia contro i padroni la versava tutta nelle strofe di tante canzoni. Una diceva: “Patrunu miu mo fazzu carotti Quannu passi cu nci te stocchi” Padrone mio ora faccio tanti buchi / Quando passi ci cadi dentro e ti spezzi le gambe.

Poi, un giorno, osò unirsi allo sciopero proclamato al grido di “Morte al cappuccio, viva il paniere!”. Le fu sottratta la giovinezza proprio sotto quell’albero. Il suo sangue aveva arrossato le foglie e dato un sapore ancor più aspro ai suoi frutti. Caterina amava molto quell’albero. Lo abbracciava spesso. Le rughe della corteccia sembrava fossero capaci di attraversare la sua pelle. Gli anni vissuti dall’albero attraversavano i pensieri di Caterina e si visualizzavano nitidi davanti agli occhi. Tutti pensavano a Caterina come ad una giovane un po’ “particolare”. Sempre con la testa fra le nuvole. A cosa starà pensando Caterina? In molti ridacchiavano di lei: la giovane che abbraccia gli alberi! Questo faceva Caterina quasi dimestiere: abbracciava gli alberi. Li abbracciava. Ci stava un po’ con gli occhi socchiusi. Poi filava a scrivere una storia. Scriveva racconti di alberi, d’incontri sotto gli alberi, di avvenimenti accaduti tra le fronde degli alberi, favole con gli alberi intorno agli alberi. Caterina amava tutti gli alberi.Ma quel maestoso ulivo era decisamente il suo preferito. Le ispirava decine, centinaia di storie. Gli anni passavano e Caterina si accorse che le storie che raccontava erano storie realmente accadute. E così Caterina cominciò a comporre la storia del maestoso albero di ulivo che regnava in mezzo a centinaia, migliaia di altri alberi. Un enorme bosco si estendeva a perdita d’occhio in tutte le direzioni. La terra era l’unica macchia rossastra in mezzo a tanto verde. Come scrisse un poeta della sua generazione, Carmelo Bene: “Ulivi in preghiera tra tanto pensoso dolorare di verde”.

Durante le carestie, le guerre, gli alberi servivano come legna da ardere lentamente per produrre carboni, li crauni, altri vennero tagliati per fare posto ad enormi piantagioni di tabacco. Poi giunse il cotone

di Alessandro Santoro

e così venne il momento dei cereali, delle grandi distese di padroni sempre più avidi e i contadini del posto facevano sempre la stessa cosa, da sempre: si spezzavano la schiena. Si piegavano durante i raccolti, si piegavano alle nerbate, si piegavano ossequiosi al passaggio del sensale, si piegavano per il dolore di non riuscire più ad alzarsi. Ad uno ad uno gli alberi sparirono. Ma il maestoso albero d’ulivo era sempre lì al suo posto. E cresceva innervandosi intorno ad una corteccia divenuta sempre più dura, resistente. Talmente dura che nessuno era più in grado di potarne i ramoscelli o avvicinarsi per raccoglierne le olive. Chi ci aveva provato aveva ben presto desistito. Scale scaraventate al cielo, seghe frantumate al primo tentativo di taglio. Schizzi di liquame oleoso e scherzi di ogni tipo. Un giorno, ad esempio, un giovane viandante che aveva trovato riparo sotto il maestoso albero e che tentò di incidere alcune iniziali sulla sua corteccia fu visto sprofondare, letteralmente ingoiato dall’albero. Ritrovarono solo il coltellino del poveretto spezzato a terra. Un giorno giunse la notizia che era finito il tempo degli alberi. Era giunto il tempo del riscatto.Degli uomini che prendevano il controllo del territorio. E furono costruite case e vie e città e alberghi e parchi di divertimenti e gli alberi furono strappati alla terra e messi dentro grandi vasi e spediti al nord, al freddo a far bella mostra nelle ville dei ricchi divenuti sempre più ricchi. Era venuto il tempo della modernità e delle macchine che sfrecciavano da ogni lato. Un giorno un macchina si schiantò diritta in mezzo al nostro maestoso albero. Molte vite furono spezzate e le fronde divennero ancora più rosse. Nessuno raccoglieva più le olive perché tutti compravano l’olio già bello e fatto. Olio di olive africane, mischiate a sansa spagnola, raffinato in grandi industrie dell’est Europa e rivenduto con il marchio Dop sui mercati di tutto il mondo.


Una mattina degli uomini arrivarono con le ruspe. Bisognava fare spazio ad una nuova strada a quattro corsie. Una strada per raggiungere il mare velocemente, una strada per i turisti, per le loro macchine, per i loro soldi. Quell’albero doveva sparire una volta per tutte. Caterina si oppose con tutte le sue forze. A Caterina non era rimasto granché per cui combattere. Le sue storie non le comprava più nessuno perche tutti guardavano lo schermo televisivo, o quello del computer o, ancora più follemente si perdevano negli schermini dei cellulari, e la sua immaginazione si stava consumando insieme agli alberi sradicati. La sua pelle si era innervata proprio come quella corteccia. I suoi capelli cresciuti a dismisura e le sue unghie come rami si contorcevano. Caterina stava diventando un albero e ad ogni tronco abbattuto era come se qualcosa morisse dentro di lei. Quello di cui nessuno si rendeva conto è che tutti gli abitanti di quella terra erano come Caterina. Figli degli alberi. Avevano tradito i loro padri. E i padri dei loro padri. Non si rendevano conto che ogni qualvolta acconsentivano all’abbattimento di un albero stavano segando la loro stessa vita. In molti iniziarono ad ammalarsi.Morivano e cadevano come olive svuotate dalla mosca olearia. Proprio questo accadeva alle persone. Nel bel mezzo della loro vita cadevano e marcivano per terra. I medici trovarono mille nomi per quella che tutti consideravano una malattia. Quando vennero a distruggere l’ultimo albero rimasto Caterina si fece un tutt’uno con il maestoso albero. La ruspa cozzò più volte contro di loro senza riuscire a intaccarli minimamente. L’asfalto disteso in gran quantità fu divelto dalle radici. Allora costruirono una grande rotatoria e di Caterina si persero le tracce. Scomparve in una notte tra il Natale e Santo Stefano. Qualcuno dice che stesse lavorando ad una nuova storia. Una storia che narrava della riconquista della terra. Di giovani uomini e donne che smettevano di costruire strade e riprendevano a piantare alberi. Nessuno ha mai letto quella storia perché Caterina non riuscì mai a scriverla. Ancora oggi il maestoso albero è lì in mezzo alla rotatoria a ricordarci quel tempo in cui il mondo era foderato di piante e di alberi. Il maestoso albero che non voleva essere tagliato è sempre lì e, ogni volta che passo lo saluto: Ciao Caterina!

della domenica n°69 - 22 marzo 2015 - anno 3 n.0

N

on solo la Xillella attanaglia i sogni e le notti dei salentini ma anche il famigerato progetto di SS 275 e i suoi veleni. E se queste "imposizioni" causassero l'effetto opposto? Se risvegliassero i reconditi istinti ribelli dentro ognuno di noi? Cosa succede nel territorio quando la minaccia di un progetto scellerato provoca azioni e nuove visioni per la rigenerazione dell'economia locale? Si tenterà di dare una risposta a queste domande sabato 28 marzo, a partire dalle 10.00, presso la sala del Rettorato dell'Università del Salento (Lecce, piazzetta Tancredi), in un incontro organizzato dal Comitato 275 con la partecipazione del suo portavoce, il dottor Vito Lisi, in collaborazione con LINK - Coordinamento universitario Lecce e il CSV Salento. Il dibattito sarà avviato da Paolo Cacciari, autore di diversi libri su una visione economica alternativa al consumismo occidentale, fra cui l'ultimo "Vie di fuga". A ricondurre il focus sul territorio, due gruppi di voci diverse: da una parte, Juri Battaglini e Mauro Lazzari del L.U.A (Laboratorio Urbano Aperto) illustreranno il progetto del Parco dei Paduli, attualmente in lizza per il prestigioso "Premio del Paesaggio del Consiglio d'Europa", mentre "L'affaire SS 275" verrà sviscerato nei dettagli dall'avvocato Luigi Paccione, con riferimento alle recenti novità sull'affidamento/annullamento della gara fra ditte divoratrici. Moderatrice dell'incontro sarà la giornalista Tiziana Colluto. Il convegno sarà dedicato al Bene comune. www.sos275.it


spagine

I

l 1° febbraio 1975, Pasolini pubblicava sul Corsera un articolo dal titolo “Il vuoto di potere”. Il poeta friulano, traendo spunto da un articolo di Franco Fortini, faceva riferimento ai cambiamenti della società e della politica italiana in relazione al fascismo (fascismo “aggettivo” o “sostantivo”), indicando nei primi anni sessanta il periodo in cui avvenne la «scomparsa delle lucciole». “A causa dell’inquinamento dell’aria e, soprattutto, in campagna, a causa dell’inquinamento dell’acqua (gli azzurri fiumi e le rogge trasparenti) sono cominciate a scomparire le lucciole. Il fenomeno è stato fulmineo e folgorante. Dopo pochi anni le lucciole non c’erano più”, scriveva Pasolini. La scomparsa delle lucciole dovuta all’inquinamento di un’industrializzazione forzata del Paese, nella fase ascendente del boom economico italiano, coincideva con la perdita di quei valori appartenenti a culture peculiari e concrete che costituivano l’Italia agricola e paleoindustriale. Dopo la scomparsa delle lucciole i vecchi valori di colpo non contarono più. A sostituirli furono “valori” di un nuovo tipo di civiltà, totalmente “altra”. Di questo radicale cambiamento i potenti democristiani - la DC era il partito egemone in quella fase storica della Repubblica italiana- non si accorsero. “In pochi mesi- scriveva Pasolini- essi sono diventati delle maschere funebri. Son certo che, a sollevare quelle maschere, non si troverebbe nemmeno un mucchio d’ossa o di cenere: ci sarebbe il nulla, il

contemporanea

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Il vuoto di potere di Alessandro Vincenti

Un ulivo in un disegno di M.F. Caliri

vuoto. La spiegazione è semplice: oggi in realtà in Italia c’è un drammatico vuoto di potere. Ma questo è il punto: non un vuoto di potere legislativo o esecutivo, non un vuoto di potere dirigenziale, né, infine, un vuoto di potere politico in un qualsiasi senso tradizionale. Ma un vuoto di potere in sé.” Il vuoto di potere era rappresentato, per Pasolini, dall’incapacità di comprensione da parte della dirigenza della DC dei reali processi storico-sociali che in quegli anni stavano trasformando irreversibilmente l’Italia, “Il potere reale procede senza di loro: ed essi non hanno più nelle mani che quegli inutili apparati che, di essi, rendono reale nient’altro che il luttuoso doppiopetto. Ad ogni modo, quanto a me (se ciò ha qualche interesse per il lettore) sia chiaro: io, ancorché multinazionale, darei l’intera Montedison per una lucciola».

A distanza di quarant’anni esatti dall’articolo di Pasolini, la scomparsa delle lucciole è ormai un fatto acclarato in diverse zone del nostro Paese e il vuoto del potere politico, destrutturato in mille interessi particolaristici spesso in conflitto tra loro, si è a tal punto cronicizzato che non sembra più esserci una soluzione definitiva al male, ma solo terapie localizzate di contenimento che mirano, al massimo, a cauterizzare quei focolai di corruzione e di deviazione particolarmente purulenti, come le vicende su Mafia Capitale e, da ultimo, lo scandalo Grandi Opere stanno a insegnare. Ma questo vuoto ha anche la forma di un’Unione Europea nelle mani di buro-

crati sempre più attenti al mondo della finanza piuttosto che all’economia reale, incapace di proteggere il suo territorio da minacce esterne, come la Xylella fastidiosa, che rischiano di azzerare interi comparti economici, come sta avvenendo nel Salento con l’olivicolo. . L’UE -come fa notare in un suo intervento il senatore Dario Stefano- in questa vicenda ha dimostrato tutta la sua incapacità nel proteggere il territorio europeo dall'introduzione di un batterio tra i più pericolosi della lista EFSA, pur essendo a conoscenza da diversi anni del pericolo Xylella nel Salento, come dimostra la mappa in suo possesso sulle aree maggiormente esposte a questa infezione, in cui il nostro territorio era segnalato come ad alto rischio. A epidemia conclamata, l’UE invece di intervenire come fece per altre emergenze, come ad esempio per l’Aviaria, ha preferito nascondere le proprie responsabilità dietro misure devastanti per il territorio, che prevedono l’eradicazione delle piante infette e il trattamento con pericolosi prodotti chimici delle aree a ridosso dei focolai. Una soluzione che non risponde al problema su come salvare gli ulivi, e di conseguenza l’economia del nostro territorio, ma solo a quello su come eliminare la Xylella tout court. Un drammatico vuoto quello della UE che rischia di sacrificare il simbolo del nostro territorio: l’ulivo, al cinismo delle maschere funebri dei burocrati di Bruxelles. Speriamo bene.


spagine

allarme ulivi

della domenica n°63 - 8 febbraio 2015 - anno 3 n.0

Il monito del Locomotive Jazz Festival in difesa dei “monumenti” traditi, trascurati, malcurati e abbandonati: i nostri ulivi secolari minacciati dagli abbattimenti

Non riduciamo in cenere la nostra storia

L

’eradicazione e poi la distruzione col fuoco di milioni di ulivi anche secolari non è un rischio, ma la certezza di ridurre in cenere la Storia Sociale del Salento. L’infezione dei Giganti della Terra è cominciata nel 2010. Per tanti anni nessuno ha voluto vedere il pericolo e la xylella fastidiosa ha avuto piena libertà per i suoi effetti disastrosi selle piante. L’Europa è stata assente, la politica sorda e cieca, il vecchio Presidente della Commissione Europea dell’Agricoltura Paolo De Castro distratto. Ora la scienza dell’incoscienza, di facile intelligenza, trova e propone come soluzione quello che fecero nel lontano Medioevo, contro le pesti giunte in Europa per mezzo delle navi nelle belle città: la soluzione del fuoco proprio come i Duchi di quel tempo. Fu un errore ed una inutile violenza distruttiva di persone e cose. Ridurre in cenere gli ulivi secolari vuol dire voler distruggere una lunga e forte tradizione culturale nel Mediterraneo dei Popoli quindi dei Salentini. Non per anni, ma da sempre, l’ulivo ha declinato la storia del Cristianesimo ed ha rappresentato la Pace: l’ulivo è la riconciliazione dell’uomo, l’idea nella mente del Dio giusto contro quella di Dio sbagliato. L’ulivo è la via della Pace, dove l’intelletto poetico trova l’ispirazione per fissare nelle parole l’appartenenza alla Terra. Il poeta Girolamo Comi nella sua poesia esalta l’essere dei volti e luoghi della terra che nell’ulivo si raccontano: “Ecco il mio Tronco: stelo, frutti e carne ed echi sordi di succhi e di cieli. Antichità di giovani risvegli nel peso universale del mio sangue. Ecco il mio Tronco che grezzo detiene attributi d’essenze e di vigore sia che s’addorma o canti di fulgore per tutti i rami e per tutte le vene.”

di Luigi Mangia e Raffaele Casarano

Non possiamo ridurre in cenere il diritto di avere rispettato una delle visioni più belle ed emozionanti del paesaggio del Mediterraneo nel Salento nella sua posizione geografica di porta d’Oriente. Venendo dal mare verso Otranto, quando l’alba si carica di rosa d’Oriente e gli ulivi di verde argento accompagnano la luce bianca e nella bocca si sente il sapore del mare: allora gridi, carico di rabbia, “giù le mani dagli ulivi. E’ la terra noscia. La Terra noscia nu se tocca”. Il diritto di vivere la luce bianca, di gioire dell’alba rosa d’Oriente, del sapore del mare, del piacere dell’olio sul pane quotidiano sono e devono essere per tutti noi le ragioni di una lotta di resistenza senza se e senza ma contro la cenere. Ancora devono essere queste le ragioni rivolte agli scienziati ed ai tecnici per scongiurare la soluzione di ridurre in cenere la storia del Salento e trasformare in deserto il “genius loci” della nostra terra sempre generosa. L’edizione 2015 del Jazz Locomotive Festival in collaborazione con il F.A.I. ha un forte interesse per l’ambiente e per la storia dei luoghi, infatti: Jazz, terra e mare sono il tema che la musica racconterà per dieci giorni di festa secondo i gusti di due grandi musicisti della musica Jazz come Raffaele Casarano e Paolo Fresu. Per noi del Locomotive le giornate 20 e 21 marzo del F.A.I., dedicate alla scoperta dei monumenti dimenticati sono state dedicate anche ai “monumenti” traditi, trascurati, malcurati e abbandonati: gli ulivi secolari che mai, assolutamente mai, devono essere ridotti in cenere. Sabato, con questo spirito, alla Torre di Belloluogo, Raffaele Casarano ha suonato il suo sassofono e Luigi Mangia ha letto i versi della poesia dedicata all’ulivo da Girolami Comi. “Giu le mani dagli ulivi, Giganti della Terra. La terra noscia nu se tocca”.


pensamenti

spagine

S

ABOTARE SILENZI, oggi è sabotare silenzio che grava su libri chiusi in biblioteche chiuse, perché non ci sovrasti inverno dello spirito, ora che è giunta primavera, è passato suo giorno ed è passata anche giornata dedicata alla poesia, in ogni angolo, poesia. SABOTARE SILENZI è andare davanti alla biblioteca, anche se chiusa; implorare a nome loro, la libertà per libri chiusi. SABOTARE SILENZI, oggi è aprire un libro e leggere a voce alta le sue pagine. ….”Costruire un porto, significa fecondare la bellezza d’un golfo. Fondare biblioteche, è come costruire ancora granai pubblici, ammassare riserve contro un inverno dello spirito che da molti indizi, mio malgrado, vedo venire. Ho ricostruito molto: e ricostruire significa collaborare con il tempo nel suo aspetto di “passato”, coglierne lo spirito o modificarlo, protenderlo, quasi, verso un più lungo avvenire; significa scoprire sotto le pietre il segreto delle sorgenti”. Margherite Yourcenar dà voce ad Adriano; leggere le memorie, oggi, è guardare con occhi diversi il passato di San Cataldo, del suo porto, di questa terra nostra. Adriano si augurava un porto che fecondasse la

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La patria nei libri

di Giuliana Coppola

Margherite Yourcenar

bellezza di un golfo, desiderava scoprire sotto le pietre il segreto delle sorgenti dell’Idume, sentire il segreto per non distruggere passato. Leggo ad alta voce “Il vero luogo natio è quello dove per la prima volta si è posato uno sguardo consapevole su se stessi: la mia prima patria sono stati i libri.” SABOTARE SILENZI è riconquistare la mia prima patria, il mio posto in una biblioteca. Le memorie di Adriano mi assalgono mentre osservo su Santa Croce miei simili che si confondono con figure di pietre; mute le pietre, loro urlano e fischiano; l’urlo di Munch, penso; ma quello è muto, muto come lo sbigottimento, come le pietre, come la Biblioteca Provinciale a Lecce; ora è muto anche il libro che porto con me, che parla solo se qualcuno lo sfoglia, ne carezza le pagine, ne diventa “hospescomesque”, ospite e compagno di viaggio. Rifugiarsi in un libro oggi è incoraggiarlo a resistere, è aiutarlo ad aver voce; solo chi legge può donare a lui la voce. Ecco perchériprendo a leggere ad alta voce. …”Quando cerco di definire questo bene che mi è stato donato da anni, dico a me stessa che un simile privilegio, benché tanto raro non può tuttavia essere unico;

che a volte deve pur succedere che nell’avventura d’un libro riuscito o nell’esistenza d’uno scrittore fortunato, ci sia stato qualcuno, un poco in disparte, che non lascia passare la frase inesatta o debole che per stanchezza vorremmo lasciare; qualcuno capace di rileggere con noi fino a venti volte, se è necessario, una pagina incerta; qualcuno che va a prendere per noi sugli scaffali delle biblioteche i grossi volumi nei quali forse troveremo ancora un’indicazione utile, che si ostina a consultarli ancora quando la stanchezza ce li aveva già fatti richiudere; qualcuno che ci sostiene, ci approva, alle volte ci contraddice; che partecipa con lo stesso fervore alle gioie dell’arte ed a quelle della vita, ai lavori dell’uno e dell’altro, mai noiosi e mai facili; e non è la nostra ombra né il nostro riflesso e nemmeno il nostro complemento, ma se stesso; e ci lascia una libertà divina ma, al tempo stesso, ci costringe ad essere pienamente ciò che siamo. Hospescomesque”. SABOTARE SILENZI è oggi ridare libertà a questo appunto dei taccuini di Margherite Yourcenar, prendendo da uno scaffale della biblioteca riaperta le sue “MEMORIE DI ADRIANO”.


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L’abecedario di Gianluca Costantini e Urgeva per noi uscire tra le uve e gli ulivi ululavamo all’ultraterreno come uccelli… Umano visceralmente umano era il nostro

Maira Mar-

vestirci di vento vegliare sul vuoto. Urgeva per noi veleggiare sulla vita come universi variegati vagabondi vicini sulla Via dei Volati.


spagine

Non c’è luogo che non sia nel mirino del terrorismo islamico, che non possa essere colpito quando meno ce lo aspettiamo

Una guerra da combattere

L

a strage del 18 marzo al Museo del Bardo a Tunisi è l’ennesima dimostrazione che siamo in guerra. Lo ha ribadito il presidente tunisino Essebsi. Una strana guerra, che a noi appare come una tragica messinscena, in cui da una parte ci sono nemici invisibili che si materializzano all’improvviso e colpiscono con spietatezza e dall’altra persone casualmente esposte che per evitare di essere colpite cercano di smaterializzarsi come possono. Una guerra che noi occidentali, votati ormai dopo le febbri ideologiche del Novecento all’edonismo e all’utilitarismo, non vogliamo o non sappiamo capire. Ci rifiutiamo di convincerci che ci sono ancora uomini e popoli che non la pensano come noi, che sono contro le nostre piccole aspirazioni quotidiane per perseguire disegni politici e spirituali più grandi, più ambiziosi, meno riconducibili al nostro utile più materiale ed effimero. E’ proprio questo il grandioso progetto che hanno i combattenti e i sostenitori del cosiddetto Califfato (Isis), fare di tutta un’area geopolitica un soggetto unico in grado di affrontare e annientare il grande nemico di Allah e del suo Profeta, che sarebbe l’Occidente. Qualcosa che a noi occidentali appare come una criminale follia. Dopo Parigi, Tunisi. Dopo la redazione di un giornale satirico coi suoi redattori, il museo coi turisti in vi-

di Gigi Montonato

sita. Vittime e ancora vittime. Non c’è luogo che non sia nel mirino del terrorismo islamico, che non possa essere colpito quando meno ce lo aspettiamo. Si dice che l’attacco ai visitatori del Museo è stato un ripiego dopo il fallito attacco al Parlamento. Se è vero, è ancora più grave. La casualità è nell’opzione del terrore fattore assai più devastante. Quest’ultimo attentato dimostra che non ci sono obiettivi prioritari, simbolicamente più importanti di altri, come pure si pensa e si dice. I terroristi si erano preparati per fare irruzione e strage nel Parlamento mentre si discuteva proprio una legge contro il terrorismo. Non essendoci riusciti, si sono rivolti contro i primi che sono loro capitati innanzi. Anche la distruzione del patrimonio artistico ed archeologico, visto come un deliberato tentativo di cancellare le testimonianze di una civiltà da loro non riconosciuta o da loro percepita come ostile, è una nostra interpretazione. Il terrorismo islamico, per come si sta manifestando, dimostra che ovunque colpisca coglie sempre un simbolo del nostro modo di essere, che è sempre agli antipodi del suo, che si tratti della nostra abitudine a ridere anche delle cose serie e sacre (la satira di Charlie Hebdo) o del compiacimento nell’ammirare le grandi testimonianze del nostro passato (museo del Bardo). Questo modello di vita è avvertito dall’Islam radicale come una minaccia al suo mondo, sempre più frammentato e diffuso in

territorio nemico per gli inarrestabili flussi migratori. Ma noi – dicono i politici del mondo occidentale – non reagiremo, perché reagire significa fare esattamente quello che i terroristi vogliono che facciamo. No, non gliela daremo vinta! Non si sa se una simile risposta sia dettata da oggettiva impotenza o da calcolo. Si può capire tutta la difficoltà di una situazione in cui i responsabili di questa guerra non hanno uno stato, non hanno un territorio, non hanno una popolazione ben definiti, ma subire senza neppure ipotizzare una reazione diretta è francamente inammissibile. Pur ammettendo che tutto di loro è sfumato, sospeso, e sciolto nella loro propaganda, un nostro segnale di vitalità sarebbe importante. La risposta che si intende dare, stando a quanto dicono i nostri politici, passa dalla mediazione politica. Si dice che nei territori in cui sono arrivati i combattenti del Califfato per conquistarli alla loro causa, Iraq per intenderci e Libia, ci sono islamici buoni che glielo vogliono impedire. Allora noi dobbiamo aiutarli a respingere gli islamici cattivi. E’ tutto quello che possiamo fare. Ma come? Limitandoci a fornire armi e tecnologie per far combattere gli altri? Se pure la risposta politica e mediata fosse valida e producesse effetti positivi, che cosa dovremmo subire ancora? Quanti e quali altri attentati? Perfino la chiesa, in rispo-


l’opinione

della domenica n°69 - 22 marzo 2015 - anno 3 n.0

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sta ai massacri dei cristiani in varie parti del mondo dove dominano gli islamici cattivi, non esclude più la risposta armata pur di mettere fine ad una persecuzione che, lasciata continuare nell’impunibilità, potrebbe generare profili di complicità. Lo stesso Presidente Mattarella ha detto che per combattere il terrorismo non abbiamo più molto tempo. Ma al di là delle parole ancora non si vede l’inizio di un fatto. Siamo colpiti direttamente e ripetutamente e noi ancora pensiamo di dare risposte indirette. Chiamati a difenderci, lasciamo che siano altri a farlo per noi; li paghiamo per farlo. Ci comportiamo da furbetti. Conti-

Spagine Fondo Verri Edizioni

Ulisse e le sirene in un mosaico conservato al Museo del Bardo di Tunisi

nuiamo a non capire che gli arabi, gli islamici, i popoli insomma dell’Africa settentrionale, mediterranea, sia quelli che noi chiamiamo islamici buoni sia i cattivi, non sono popoli meno civili e intelligenti di noi. I nostri piccoli calcoli valgono i nostri complessi di superiorità. Se vogliamo il rispetto dobbiamo dimostrare di meritarcelo, intervenendo direttamente, al fianco dei nostri amici e alleati, per sconfiggere i nemici comuni. Pensare che altri, sia pure col nostro aiuto a distanza, possano liberarci dal pericolo incombente, è un errore. La sicurezza che potremmo ottenere nell’immediato con la pacificazione

a noi comoda della Libia, della Siria o di altri paesi dell’Africa mediterranea sarebbe di breve durata e comunque ci metterebbe nella condizione di essere ricattati. Lo stesso Gheddafi, che pure aveva raggiunto con noi un equilibrio di rapporti proficui, ogni tanto ci minacciava di farci invadere da migranti. E’ necessario allora che l’Italia e l’Europa dimostrino la loro forza e impongano la sicurezza nel Mediterraneo; molto meglio che ottenerla con un prestito ad usura. Il tempo delle attese, dei calcoli, dei trucchi, delle furbizie è finito.

Spagine è un periodico di informazione culturale dell’Associazione Fondo Verri esce la domenica a cura di Mauro Marino è realizzato nella sede di Via Santa Maria del Paradiso, 8.a , Lecce come supplemento a L’Osservatore in Cammino iscritto al registro della Stampa del Tribunale di Lecce n.4 del 28 gennaio 2014 Spagine è stampato in fotocopia digitale a cura di Luca Laudisa Studio Fotografico San Cesario di Lecce Programma delle Attività Culturali della Regione Puglia 2015 Artigiana - La casa degli autori


O vero!

lettera aperta e piena zeppa di bugie, a Francesco Romanelli da Massimo Grecuccio

spagine

F

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(Elogio del gossip)

rancesco, sei un bugiardo. Non sei ancora un bugiardo patentato, ma aspiri ad esserlo (e forse sei sulla buona strada). Mi viene da dire: Sei un bugiardo, come tutti gli artisti. Se l’artista è colui che è sposato con l’Arte (questa definizione non sta né in cielo né in terra), tu sei ancora scapolo. O, meglio, sei nella fase del corteggiamento. Se questa è la tua aspirazione, ti dico che la signora in questione, quando è in tiro, appare bellissima; però, non è monogama, ha un harem ed è pure bisessuale (sappilo). Il fatto che la signora sia infedele non è un male. Anzi, aggiunge del pepe alla relazione (che rischia sempre di cadere nel tran tran). A dirla tutta, però, mi sembra che la signora, più che di coniugi, ami circondarsi di corteggiatori assidui (non petulanti, però), maschi e femmine. Molti la vogliono, nessuno la possiede solo per sé.

imprese di quelli che, avendo allestito nel passato belle feste, erano riusciti ad avvicinarla prima di te. I racconti sono uno dei sentieri che il passato percorre per venire a noi; o, il che è lo stesso, che noi cerchiamo per tornare nel passato.

Il tuo è un corteggiamento preparato (parte da lontano). Ti sei innamorato (della sua bellezza, ho già detto) e hai pensato: vorrei che fosse mia. Come posso avvicinarla e farmi notare? Non hai agito d’impulso (però, il cuore era trepido). Hai capito, che piuttosto che averla subito, era meglio procrastinare l’incontro, così che lei avesse il tempo di apprezzare le tue qualità e il contatto non fosse fuoco di paglia. Nel frattempo allenavi le tue qualità, perché, tra quelle di moltissimi corteggiatori, rifulgessero meglio ai suoi occhi. Per il rituale del corteggiamento, hai cercato i racconti delle

TUTTO HA UN SENSO? In questo sentiero incontro un uomo che è più di un uomo. Che scavalca le importantissime necessità vitali, e che prova a interrogare quello che vede. È un atteggiamento che può sfociare in una domanda, oppure restare muto. Restringo il campo in cui può nascere la domanda (il campo dell’arte?) e semplifico (non poco). Se si dispone, per esempio, uno spostamento (una metafora?), magari con l’ausilio di una bugia, di un furto, e poi si chiama un testimone, lì ci può essere un senso, o un non senso. Chiamo artista il costruttore

Francesco, sei un ladro. Forse pensi che nessuno ti abbia visto, ma non è così (e forse non sei sulla buona strada). Un corteggiatore che è anche un ladro, rischia di essere irresistibile. Non un ladro di gioielli, o di denaro. No. Piuttosto un ladro di ciliegie, o di rose. O di cornici. Ho rubato delle ciliegie per te, amore mio. L’Arte, questa signora volubile e voluttuosa, apprezza moltissimo un dono così (anche se è l’ennesimo), un dono con una punta di coraggio dentro una bugia.

Francesco, tu mi hai invitato a una tappa del tuo cammino (gli invitati erano circa 60; e io, noi ci conoscevamo appena, tra quei prescelti). E sono venuto a vedere il tuo gesto. Ho messo le cuffie (non per ascoltare ma per insonorizzare), e ho rispettato (avrei anche potuto non farlo) la tua consegna: “Non oltrepassare quella soglia”. Ho guardato dentro la stanza (non credo per più di un minuto) e sono tornato. Un lieve imbarazzo (io, tra voi freschi ventenni). Due righi con firma sul quaderno delle presenze. Una o due foto per l’archivio. Il congedo. Non credo che tu abbia chiesto a tutti i convenuti di fornire testimonianza (non molti i chiamati, pochissimi i testimoni?). E non c’è tribunale che possa avanzare tale richiesta. Io mi autoconvoco. Da persona curiosa dei fatti artistici. Né un artista, né un critico. Un dilettante allo sbaraglio. E per fornire una disamina dilettantesca, sì, ma non del tutto indegna (spero), ho cercato dei sentieri che portano nel passato più, o meno, recente. Provo a indicarteli, con cenni più, o meno, allungati. E te li racconto con parole mie. La stanza ora è chiusa (?), ma il gesto non è concluso.

della metafora e testimone colui (un uomo/una donna) che ha visto, che ha sentito e che, soprattutto, è disposto a parlare di quello che ha sentito e visto. A fornire, cioè, una testimonianza, un resoconto, un racconto. Qualcosa è accaduto. Che permane? Che c’è dietro quella porta? Se il buco della serratura non lascia intavedere granchè, scardino la porta (un gesto da ladro) e spalanco un panorama. La stanza chiusa è un contenitore di cosa? Col tuo gesto hai aperto una stanza chiusa.

DI QUANTO SENSO ABBIAMO BISOGNO? (TUTTI GLI UOMINI SONO BUGIARDI?) In questo sentiero mi imbatto nelle metafore. Restringo anche qui la domanda. Tutti gli artisti sono bugiardi? La sparo grossa (sarebbe meglio valutare con esempi). I poeti lo sono perché nell’espressione, si abbuffano di metafore (qualcuna la sputano). Cioè (semplifico), di bugie. Il modo con cui i poeti usano le parole ci ricorda che sono (quasi) tutte metafore. Se dicessi: “Ho sete, mi porti per favore un bicchiere d’acqua?” Tu, che sei gentile, me lo porteresti subito. I poeti, invece, per dire ho sete, non si esprimerebbero in maniera così prosastica (tu penseresti: “Che cattivo poeta!”). E mai e poi mai ti chiederebbero un bicchiere d’acqua (anche se è quello che vogliono). E se anche lo facessero, tu daresti a quel gesto verbale un’attenzione che assottiglia, fino a farla svanire, la richiesta. Tutti portano ai poeti (alle loro parole, credute metafore) un’abbondanza di senso e nessuna goccia d’acqua (e così i poeti muoiono assetati). I poeti non sono i soli a usare metafore. Col tuo gesto, togliendo la porta dai cardini e mettendo la regola: “Non oltrepassare quella porta”, hai indicato una cornice (in realtà è il telaio a muro della porta!).

TUTTO HA UN SENSO? TUTTO PUÒ ESSERE USATO? In questo sentiero vedo un orinatoio (non ci faccio la pipì). Cioè, un gesto, il gesto di Marcel Duchamp. Il quale aveva collocato


sul piedistallo (in un posto che non era quello naturale per l’oggetto) un orinatoio (non fatto con le sue mani). “Signore e signori, questa è arte! La nuova arte!”. Duchamp (un bugiardo, un ladro, un genio del millantato credito), indicava un modo (i tempi, alla catena di montaggio, erano maturi) di suggerire la possibiltà di un senso. Semplicemente spostando un oggetto (con le parole si faceva da tempo). Forse cercavi “quel non so quasi che” e hai trovato quella stanza isolata sul terrazzo. Era chiusa. La stanza ha due finestre (non oscurate), dalle quali hai visto il contenuto. Dentro, lì stipate e abbandonate, c’erano una serie di oggetti dello stesso livello sematico dell’orinatoio. Hai aperto la stanza. Non potendo mettere la stanza su un piedistallo, le hai dato una cornice (un piedistallo sotto mentite spoglie).

TUTTO PUÒ ESSERE ACCUMULATO (OVVERO CONSERVATO)? In questo sentiero si arriva a una casa speciale, una Casamercio, ossia il Merzbau di Kurt Schwitters. Il Merzbau è una casa riempita, oltre che degli effetti personali, di quadri (non bidimensionali) fatti con cose di risulta, con oggetti di riciclo, con collage, con parole (poesie), con fogli (scarti di tipografia). Anche di materia organica. Un museo? Una specie di discarica? Un museo-discarica? Un archivio? No. Piuttosto un nido, una capanna, una stalla. Un luogo dove si e vissuti. Quando hai tolto il sigillo alla stanza hai trovato: due lavatrici, alcuni secchi, uno o più bidoncini, una pila (un lavandino) attaccata al muro, un’angolo cucina a muro, una grande armatura meccanica, una rete metallica (da letto); e altre cose. La stanza è scoperchiata. E cosi, la pila quando piove è una specie d’acquario (lo si capisce anche da lontano;) e in varie parti si è accumulata quel tanto di polvere (di terra) da far spuntare alcuni fiorellini. In quello spazio profanato hai collocato (appesi alle travi, poggiati per terra o nella pila) alcuni cilindri di cartone fatti a mano (lo si vede dal lieve restringimento delle legature; i cilindri sono

I luoghi di Immersione 7 continua stanza

Tutta la vita è stabilire relazioni (tra le idee, tra le cose, tra le persone)? E poi parlarne? QUANTO TEMPO? (L’APPARECCHIA- Parlare di relazioni. Fare del gossip, nient’altro. TORE DI ESCHE) Cammino e vedo una stanza. Prima, non Caro Francesco, lontano dall’ingresso, ci sei tu che mi chiami grazie di avermi invitato. con la mano. Mi avvicino e mi chiedi: “Vuoi Massimo Grecuccio spiarci dentro?”. “Perché no, dico”. “E, allora”, replichi, “rimanga sulla soglia e non Francesco Romanelli è uno studente delentri”. Tu mi consegni un paio di cuffie e ti volti, l’Accademia di Belle Arti di Lecce. Tempo dando le spalle all’ingresso. Io mi avvicino fa avevo visto dei suoi lavori nel foyer del alla soglia, mi fermo e guardo dentro con Teatro Koreja, nell’ambito della rassegna avidità (la stanza è scoperchiata e c’è una SENSO PLURIMO (curata da Marinilde bella luce). Non un minuto di più, ti dico Giannandrea) e mi erano piaciuti (erano interventi minimi su pagine spaginate e ingial“Grazie” e continuo. “Mi ha teso una trappola”, penso, conti- lite di vecchi libri). Con Progetto nuando a camminare. E quella regola, poi. IMMERSIONE / continua stanza, ha pro“Non oltrepassate quella soglia”. Fumo fanato uno spazio, estraneo, chissà da negli occhi. Ne sono uscito, ma mi sento quanto, a presenze umane. In quella ancora dentro la trappola. Come è riuscito stanza, priva di tetto (rimangono le travi), si a non farmi vedere l’esca? Come, e dove, sta consumando il lento deterioramento l’ha nascosta? Per scrollarmi di dosso la degli oggetti di materiali duri (metalli, per lo sensazione di essere imprigionato penso a più, ma anche plastica e forse legno) che uno squalo, a un letto sfatto con le tracce per la metà la coprono. In quell’ambiente, di performance sessuali, a un meteorite che Francesco Romanelli ha portato cilindri di ha colpito un papa, a un mucchio di colo- cartone e li ha posizionati in vario modo alrate caramelle in un angolo, alla merda in l’interno. Questo inserimento di un matescatola, a un taglio su di una tela. Questo riale molle (deteriorabile in tempi brevi) e vortice di immagini mi fa baluginare un’idea. fatto a mano in un readymade, rende vana Eccola, sto per acciuffarla. Non c’è più, è una catalogazione degli oggetti presenti secondo il tipo (secchi, lavatrici …). E indica svanita (la sensazione ancora c’è). come più sensata (credo) una classificaSTABILIRE RELAZIONI (L’ARTE È zione secondo la durezza (duro/molle) e la durata (di lungo/breve corso). Ha utilizzato ESPERIENZA CONDIVISA?) Faccio una sosta. Mi fermo e mi siedo. solo gli oggetti presenti, o ne ha portato Penso a un rettangolo, posato per terra, di qualcuno nuovo? Ha cambiato la disposicaramelle di diversi colori. Svariati metri zione degli oggetti presenti, o li ha lasciati li quadri. Quanti chili di caramelle. Io, con dov’erano? Rimanendo sulla soglia, su di altre persone, ci giriamo intorno. Sono pro- un ripiano (appoggiato alla parete di siniprio caramelle. Una donna si china a pren- stra) si distingue un bidone con la scritta (inderne una, la scarta, la mangia (loro sono quietante con ironia) MARINA MILITARE. sempre davanti a noi, rassegnati). A uno a Mi sembra che Francesco Romanelli provi uno la imitiamo. Tutti rivolgiamo, ognuno la a fare un gioco (ingaggiare una lotta) con sua, le caramelle in bocca. Sembriamo tanti la variabile tempo. Tra i suoi riferimenti (tra bambini che hanno rubato la marmellata. altri) mi pare di poter indicare Emilio Isgrò Nessuno ci rimprovera. Nessuno prende e Giulio Paolini. un’altra caramella. Mi viene in mente la Redigerà un’accurata disamina (video, foto, frase del rito (nel sogno, il rito è un rito testi) dell’evento Progetto IMMERSIONE/ continua stanza. laico): “Prendete e mangiatene tutti.”

fogli di cartone arrotolati e legati).


della domenica n°69 - 22 marzo 2015 - anno 3 n.0 spagine accade in città Si è tenuto a cura del Forum Tematico “La Salute in tutte le Politiche” il primo workshop sulla “Promozione della fruibilità del centro della città di Lecce”

La città a piedi

O

rganizzato dal Forum Tematico “La Salute in tutte le Politiche”, si è svolto a Lecce, lo scorso sabato 7 marzo 2015, al Fondo Verri, il 1° workshop sulla chiusura del centro della città di Lecce al traffico veicolare privato. Dopo due relazioni riguardanti i benefici in termini di salute e di limitazione dell’inquinamento atmosferico, sono state illustrate le possibili opzioni. Ciascuna di esse è stata poi discussa in gruppi di lavoro, seguendo il metodo SWOT (Strenghts, Weaknesses, Opportunities, Risks) ed infine , in riunione plenaria, si sono definiti gli orientamenti che seguono. Innanzitutto si è deciso di evitare il termine “chiusura”, che ha una accezione sostanzialmente negativa, mentre è più corretto utilizzare definizioni che ne suggeriscano le finalità, che sono quelle di favorire la vivibilità del centro cittadino, rendendolo fruibile a tutte le componenti sociali della città, non esclusi gli anziani, evitando che i residenti subiscano penalizzazioni, favorendo lo sviluppo del commercio al dettaglio e una sua migliore distribuzione e diversificazione territoriale. Sono state analizzate 4 opzioni di massima: A) Reale chiusura dell’attuale porzione ZTL, per tutte le 24 ore, limitando la percorrenza ai soli residenti e ampliando il numero di strade ad esclusivo uso pedonale. B) Chiusura della porzione attuale ampliata a via XXV luglio (la discesa della villa) fino al cinema Massimo, trasformando in strada a doppio senso via Cavallotti. C) Chiusura del centro cittadino da piazza Mazzini, e alcune

vie limitrofe, fino a Porta Rudiae D) Chiusura di tutto il centro incluso nella circonvallazione interna e viali. In conclusione è stato definito un orientamento condiviso:

L’opzione A deve rappresentare l’iniziativa politica immediata del Forum, perché prontamente attuabile, rappresentando un importante avanzamento rispetto all’attuale situazione di sostanziale percorribilità del centro storico nelle ore diurne L’opzione C appare quella più meritevole di studio e approfondimento, perché limiterebbe l’attraversamento della città da parte delle auto private, con importanti ricadute sulla mobilità delle persone a piedi o in bicicletta, che favorirebbe l’attività fisica quotidiana, riducendo anche l’inquinamento atmosferico di quell’ampia porzione della città. Dovranno perciò esserne valutate al meglio le implicazioni e le conseguenti necessità organizzative (trasporti pubblici, parcheggi, ecc) al fine di migliorare la qualità della vita dei residenti e la fruibilità da parte di tutta la popolazione della città. Ogni ipotesi dovrà comunque prevedere un piano di “Camminabilità e Ciclabilità” dell’intera città e di trasporti pubblici e il disincentivo all’uso delle auto attraverso le possibili soluzioni tecniche, al fine di facilitare una diversa fruizione dei luoghi da parte dei cittadini. Il workshop intende rappresentare un punto di partenza per una iniziativa politica nella città che coinvolga i cittadini e le associazioni professionali e ambientaliste, per porre Lecce ai livelli delle migliori città storiche italiane ed europee.


Oh! Medea

spagine

teatro

della domenica n°69 - 22 marzo 2015 - anno 3 n.0

A Gallipoli, per la nuova apertura del Teatro Garibaldi abbiamo vosto la Medea messa in scena dalla compagnia “Ragazzi di via Malinconico”

A

l teatro comunale restaurato Garibaldi di Gallipoli è andata in scena Medea, per la regia di Roberto Treglia con la compagnia “Ragazzi di Via Malinconico”. Bella la scelta di sacrificare la platea trasformandola in un enorme palco. Interessanti le luci e la recitazione che inizialmente pareva “faticosa” ma che si è ripresa piano piano. “Medea, moglie e madre, abbandonata dal marito e scacciata dalla sua casa, sconvolta dall’odio che la dilania e la acceca, uccide i suoi due figli. Una punizione che la con-

danna per sempre a divenire essa stessa mito e simbolo del crimine più efferato che possa essere concepito, l’infanticidio ad opera della stessa madre. Un mito che si ripercuote nei secoli e diviene attuale anche ai nostri giorni”. (corrieresalentino.it) Quasi tutto bene in sostanza, buona serata per una compagnia tutta gallipolina. Qualcosa però era strano. In un simile dramma, recitato in una luce tenue, in ambientazione polverosa per dare il senso della catastrofe, alcuni dettagli erano inquietanti, forse scelta scenica per far calare la tensione emotiva?

di Gianni Ferraris

Sulla spalla destra, rigorosamente scoperta, di Medea faceva bella vista di sé un tatuaggio bello grande: Topolino (non un topolino, ma proprio il mickey-mouse di Disney), sulla spalla sinistra un altro tatuaggio non meglio identificato. Certo, sono ragazzi. Come ragazzo è il marito di Medea, bravo attore, peccato però per quel taglio di capelli fresco di parrucchiere 2015. Come gli stivali con le borchie di alcune attrici altre. Vabbè, ce ne faremo una ragione, in fondo sono stati braviveramente, anche se quel topolino in primo piano (a mio avviso) ha rischiato di trasformare il dramma in farsa.


Il primo album di Maurizio Verardi Mattune come suo nonno

spagine

Strade di paese

M

di Alessandra Margiotta

aurizio Verardi, in arte Mattune, è un giovane artista salentino con la passione per la musica in levare contaminata da quella popolare. Il suo primo disco Strade di paese, che è stato anticipato dall’uscita di due video, rappresenta l’amore per la musica e per il suo paese. In questa intervista racconta il suo percorso musicale e la nascita di questo lavoro discografico.

Ciao Mattune, perché questo nome d’arte? Rispondendo penso a mio nonno. Sì, perché è proprio a lui che ho “rubato” questo soprannome, lo chiamavano così perché aveva la testa dura ed era un grande lavoratore, non so tra le due quale mi si addice di più, ma mi sono sentito parte di questa sua particolarità. Quando hai capito la tua passione per la musica e perché proprio quella reggae e popolare? Mi ricollego a mio nonno, penso a lui con un tamburello in mano e l’armonica sul tavolo, che mi insegna gli stornelli di musica popolare. Così inizia tutto, il mio amore per la musica e l’esigenza di cantare per sentire quel senso di benessere

musica

della domenica n°69 - 22 marzo 2015 - anno 3 n.0

interiore che solo quest’ultima mi può dare. La musica popolare è sempre stata suonata per strada o nelle case in campagna, trasmette semplicità e tradizione; il reggae è una musica di lotta, espressione di messaggi sociali e di vita comune con un ritmo allegro e incalzante; è così che ho capito la mia direzione. Come è nato il tuo primo album Strade di paese e come mai questo titolo? Volevo esprimere il mio percorso artistico dalle prime cantate con gli amici, fino ai palchi e all’incisione di un disco. Il titolo è un richiamo all’origine della mia storia musicale, iniziata cantando i miei primi testi per le strade del mio paese, durante le serate passate seduti su un muretto. L’album è stato anticipato da due video Strade di paese e 12Mc’s, perché la scelta proprio di questi due singoli? Strade di paese è stato la mia presentazione, richiama il concetto detto prima per il titolo dell’album, visto che nel brano hanno partecipato tutti musicisti conterranei (a parte il bassista) ho voluto girare il video proprio a Matino, il mio paese d’origine. La musica è bella se unisce e non se ri-

Maurizio Verardi

specchia solo competitività, visto che I 12 Mc’s coinvolge dodici cantanti di diversa origine e genere musicale, in cui ognuno tira fuori il suo “stile” musicale, pensavo fosse adatto per fare arrivare questo messaggio. Chi sono i tuoi punti di riferimento musicale? Ascolto tutta la musica black, dal reggae, all’ hip hop, fino al funk, al soul, al jazz, mi piace prendere ispirazione e cercare di entrare nella testa dell’artista che sta cantando e ha creato la melodia, perciò non ho un riferimento in particolare, ma più fonti dalle quali posso prendere spunto per migliorare. Dove è possibile acquistare il tuo album? Su tutti i digital stores presenti in rete quali iTunes, Play Store, amazon etc.. Le copie fisiche per adesso potranno essere acquistate contattandomi direttamente info.mattune@ymail.com oppure su staff@lagrandeonda.com Sei in tour? Lascia alcune date dove sarà possibile ascoltarti dal vivo... Sto facendo un po’ di date di presentazione. Per adesso sarò il 19 marzo al Life Club - Ex Cargo (Firenze), il 28 marzo al Communia (Roma) e il 4 aprile al csoa Spartaco (Roma).


Noi ci proviamo spagine

teatro

della domenica n°69 - 22 marzo 2015 - anno 3 n.0

La costruzione di una drammaturgia collettiva a cura di “Io Ci Provo”

Io Ci Provo” alla sua VI Edizione inaugura il nuovo ciclo di attività all’interno della Casa Circondariale “Borgo San Nicola” di Lecce, dove da quattro anni ormai ha sede il laboratorio/percorso teatrale che coinvolge i detenuti della sezione maschile. Quest’anno chiunque potrà condividere un testo che farà parte della drammaturgia del prossimo spettacolo della compagnia. Ripensare il Dentro per poter immaginare un altro Fuori. È su queste basi che si fonda da 4 anni il progetto “Io Ci Provo”, laboratorio/percorso teatrale svolto insieme ai detenuti della sezione maschile della Casa Circondariale “Borgo San Nicola” di Lecce. “Io ci provo” è un’occasione per molti dei partecipanti di sperimentare qualcosa che non si è potuto vivere o semplicemente incontrare prima della permanenza nell’istituto penitenziario. Un modo di guardare “dentro” e vedere il “fuori” da più punti di vista.

Quest’anno, vogliamo rafforzare ancora di più il legame fra il Dentro e il Fuori connettendo gli attori/detenuti che seguono

il laboratorio, con chi da tempo segue il Inviateci un testo che racconti un episoprogetto e con chi non lo ha mai sentito dio della vostra vita o che ha riguardato qualcuno vicino a voi sul tema dei Sette nominare. Vizi Capitali; potete scrivere fino ad un massimo di 1800 battute (una cartella). Cosa vogliamo fare? Vogliamo costruire insieme a voi la dram- L’episodio può riguardare uno o più vizi, maturgia del prossimo spettacolo attra- potete decidere se approfondirne solo verso una scrittura collettiva, basata sullo uno, trattarne più di uno o anche tutti e scambio di esperienze, storie, ricordi che sette. Se non hai un episodio da racconriguardano il tema del laboratorio di que- tarci, puoi comunque segnalarci testi, spezzoni di film o teatrali, brani tratti da st’anno: i Sette Vizi Capitali. libri attinenti al tema dei Sette Vizi Capitali. Perché vi chiediamo di scriverci? La forza di “Io Ci Provo” sta nella condi- Potete scegliere se firmarlo con il vostro visione. Vogliamo dare la possibilità a chi nome e cognome oppure utilizzare uno il carcere non lo vive di poter entrare in pseudonimo. I testi saranno raccolti in contatto con gli attori/detenuti, per cono- una pubblicazione che prenderà il nome scere entrambi quella parte di noi/loro dello spettacolo. Una volta raccolto il mache spesso non viene fuori. E’ un’occa- teriale, analizzeremo tutti i testi pervenuti sione per incontrarci, per dire una cosa rielaborandoli e adattandoli al testo finale tutti insieme questa volta attraverso le dello spettacolo. parole, per provare a vedere le cose con Quando e dove? un altro immaginario. Ognuno di noi, in un qualsiasi momento Inviateci il vostro episodio entro il 31 della sua vita, ha avuto a che fare con al- Marzo 2015 all’indirizzo compagnia.iocimeno uno dei Sette Vizi Capitali. Condi- provo@gmail.com. videte con noi episodi del vostro vissuto, scriviamo insieme il testo del prossimo Ad ora hanno aderito: L’Istituto Marcelline, l’Istituto Grazia Deledda, Il Liceo spettacolo. Pellegrino - Ciardo In che modo partecipare?


La nunziata

racconti salentini

della domenica n°69 - 22 marzo 2015 - anno 3 n.0

A Castro Alta la scorgi subito, in tutte le stagioni, vuoi sotto il solleone, vuoi in pieno inverno...

A

beneficio dei non indigeni, nel titolo delle presenti note è riportato, in corsivo, il nome proprio di persona, abbreviativo diminutivo di quello ufficiale e completo di battesimo, a sua volta ispirato dalla devozione verso la Madonna protettrice del luogo, circostanza, quest’ultima, che lo fa trovare assai diffuso anche adesso. Ad ogni modo, la figura femminile che, nella specifica fattispecie, lo porta e cui s’intende riferirsi, è a tutti nota esclusivamente con detto appellativo. Per parte mia, ho preso a conoscere Nunziata circa sessant’anni fa, quando a un suo fratello, Benedetto, di mestiere elettricista e perciò detto mesciu Tettu, capitava di giocare qualche partita di pallone, da aggregato o da avversario, unitamente alla squadra di noi ragazzi marittimesi. La donna, alta e, al contrario del germano, di taglia solida e formosa, è da sempre contrassegnata da una carnagione scura, il suo volto aperto e simpatico sembra quasi abbrustolito dai raggi del sole, e ciò, forse, per via delle lunghe stagioni trascorse lavorando all'aria aperta. A proposito di attività, Nunziata, per decenni, si è interessata della vendita di frutta e verdura, con la sua baracca piantata e dischiusa, dalla primavera all’inizio autunno, nella piazza della Marina, di fronte alla rotonda. Un personaggio familiare, quindi, non solo per i compaesani, ma pure agli occhi dei turisti e villeggianti abituali e/o di passaggio. Poi, con il progredire dell'età, a un certo punto, la nostra amica si è determinata a lasciare il suo commercio a un figlio e alla nuora e lei s’è ritirata, stanzialmente, a Castro alta, nel cuore del borgo, ossia a dire nella bella piazza Vittoria, delimitata, su un lato, dalla magni-

fica ex cattedrale. Così, divenendo un punto d’indicazione inconfondibile, sempre presente, lì, la Nunziata, la scorgi subito, in tutte le stagioni, vuoi sotto il solleone, vuoi in pieno inverno, quando, peraltro, in quell'angolo protetto dai venti, non si soffre minimamente il freddo e, anzi, specie se le giornate sono serene, si gode da Dio a sostare seduti su una panchina o semplicemente sul bordo del marciapiedi. Di conseguenza, non v'è personaggio, del cinema o dello spettacolo o della cultura, che, arrivando a Castro, non si sia imbattuto, magari per un solo momento, nella residente in questione, la quale, per la verità e per innata dote d’empatia, non lesina ad alcuno, potrebbe essere anche il Presidente la Repubblica, immediati sentimenti e segni d’accoglienza, cordialità e gentilezza. In qualche caso, rispondendo a domande e rilasciando interviste su Castro, sull’aspetto e sull’anima della cittadina in tempi lontani e quali affiorano oggi. Insomma, per qualsivoglia informazione o notizia, Nunziata è all’altezza e soddisfa. Da quando ha cessato il lavoro attivo, il soggetto di che trattasi trae i mezzi per sostenersi unicamente dalla pensione, che, a quanto sembra, s’aggirerebbe intorno ai quattrocento euro al mese. Con un’entrata così esigua, ella vive in un locale scantinato, sì, una vera e propria cantina nel sottosuolo di piazza Vittoria adattata ad uso abitazione, appena un vano vero e propri. In più, per accedervi, dalla superficie della piazza, bisogna percorrere quattro o cinque scalini, esercizio che, per una persona ultraottantenne e dal fisico anche appesantito, non deve essere agevole e da compiersi disinvoltamente, Tant’è che, negli ultimi tempi, nell’arco di pochi mesi, all’atto di portarsi dentro casa, la donna è rimasta vittima di cadute ben tre volte, fortunatamente

di Rocco Boccadamo

senza esiti molto pesanti, e però con contusioni, ammaccamenti e indolenzimenti, esiti che, in una persona anziana, non soltanto non si superano rapidamente sotto l’aspetto fisico, ma lasciano anche il segno nello spirito. Per effetto dell’ultima disavventura, ieri, nel transitare accanto a casa sua, l'ho notata, insolitamente, un po' abbattuta, lei ha risposto, è vero, al mio saluto con il classico “Ciao, professore!” (chiedo scusa, siffatto titolo, ovviamente non mi compete, sennonché, attribuirmelo, è oramai divenuto una sua mera abitudine fissa), ma l’ho sentita preoccupata per aver dovuto, addirittura, compiere una puntatina in ospedale. Quindi, d’istinto il mio sguardo s’è abbassato in direzione degli scalini di cui dicevo prima, che, effettivamente, danno l’idea di un potenziale costante pericolo per l’amica, purtroppo abitante in quello scantinato. “D’altronde - ha accennato con dignitoso ritegno Nunziata - se pensassi di spostarmi in una minuscola abitazione a piano terra in una stradina qui intorno, vicina al mio mondo che non vorrei lasciare, sarebbero quantomeno trecentocinquanta euro d’affitto al mese. Ma, se, a me, il Signore (alias l’Inps) dà una pensione intorno a quattrocento euro, come faccio?”. Evidentemente viene da sé, la risposta: hai ragione, Nunziata, per ora non ti resta che stare con gli occhi spalancati e la mente sveglia quando fai su e già, per entrare e uscire da casa. Questo, il quadretto casualmente colto dal comune osservatore di strada, con, al centro della scena, Nunziata, una figura, semplice e umile, che, però, non passa inosservata nella Perla del Salento. Chissà che, alla situazione, non si riesca a imprimere un tocco di colore più roseo.


A spagine

l via la terza edizione del progetto Art-icoliamo Senza Barriere, vincitore del bando di concorso Guardo, Penso, Scrivo... Senza Barriere, indetto dall'Istituto Comprensivo Leonardo da Vinci di Cavallino-Castromediano (Lecce). Il progetto è interamente sostenuto dal Comune di Cavallino. Come nelle precedenti edizioni, sono coinvolte le classi terze della scuola primaria. I bambini guidati dall'esperta e promotrice del progetto, dottoressa Monica Marzano, attraverso le loro immagini e poesie, dovranno espri-

mmsarte

della domenica n°69 - 22 marzo 2015 - anno 3 n.0 mersi raccontando esperienze dirette e indirette sul mondo della Solidarietà, dell'Amicizia della Tollerenza e della Fratellanza narrando di un mondo in cui è estremamente indispensabile abbattere ogni forma di barriera materiale e mentale che possa pregiudicare l'attuazione di tali civici e sociali propositi. Ai piccoli alunni verranno date delle "parole speciali" sulle quali riflettere e lavorare tutti insieme con grande sinergia. Difatti i loro disegni dovranno ispirare la nascita di poesie o viceversa, dalle parole scritte si darà il via al sorgere di immagini che debbano aderire, come un bel vestito fatto su misura, sulle parole stesse. Il

processo artistico porterà all'opera finale "Mmsarte", dal nome della corrente artistico culturale, ideata dalla stessa esperta nel 2009. Le opere Mmsarte e Mmsarte-scuola sono visibili sul sito web www.mmsarte.com e tutte le opere degli alunni che hanno.partecipato alle precedenti edizioni sono visibili anche sul sito dell'Istituto Comprensivo Leonardo Da Vinci. La prima parola scelta in questo nuovo avvio dagli alunni della III A di Cavallino è "AMICIZIA", una parola speciale sempre tanto amata, sulla quale i bambini lavorano con grande entusiasmo.

rebbe non finisse mai. Ecco allora che la piccola Francesca "disegna" le parola di Marco con un perfetto abbraccio geometrico a forma di triangolo equilatero,

al cui vertice è posto un "cuore calamita" che terrà ben salda questa spensierata e fresca amicizia anche nel tempo.

più tempo insieme chiacchierando e ridendo spensieratamente. E cosa c'è di più bello che sdraiarsi mano nella mano su di un bel lettone col proprio amico del cuore? Così è nell’immagine disegnata dalla piccola Giada. Le due amiche, stese felici sul letto, parlano guardando il soffitto

che potrebbe essere un cielo stellato o perchè no, un cielo limpido con nuvole bianche passeggere o grigio e piovoso... ma poco importa, perchè il bello è ammirarlo insieme e le parole, le tante chiacchiere, sono farfalle che allietano e colorano le quattro mura della stanzetta.

Il cuore calamita è di zucchero

P

er il piccolo Marco, l'amicizia, vera e sentita, è come una calamita che attira a sè, unendo gli amici in un abbraccio forte che si vor-

L

a piccola Giulia invece ha scelto la tecnica espressiva dell'acrostico per parlare dell'amicizia. Giulia paragona l'amicizia allo zucchero che scioglie il male, al faro che illumina i cuori, ad un sorriso accogliente, ma soprattutto l’amicizia è cercare di trascorrere quanto


spagine

I

Da Workin’ Label in uscita “Ligheryan Rhapsody” del pianista croato

MatijaDedić

n uscita il 10 aprile da workin' label 2015 - ird distribution, dal 27 marzo in distribuzione digitale “Ligheryan Rhapsody”, il nuovo cd del pianista e compositore croato Matija Dedić che dopo quindici anni d’intensa attività discografica approda al suo primo lavoro da solista. L’idea dell’album nasce spontaneamente da alcune improvvisazioni realizzate in studio dal pianista durante alcune sessioni di registrazione mentre era al lavoro con altri progetti. Dopo tre successive sessioni le improvvisazioni prendono forma in undici brani in piano solo che comporranno la track list dell’album. Le composizioni appaiono come una profonda riflessione sulla musica improvvisata, mondo nel quale l’autore percepisce l’esistenza al massimo della sua espressione, e al contempo un omaggio ai compositori di musica contemporanea che lo hanno influenzato lungo il suo percorso artistico.

Matija Dedic nasce a Zagabria nel 1973. Inizia a studiare piano classico fin da giovanissimo. Diplomatosi alla scuola superiore di musica «Vatroslav Lisinski» nel 1991 inizia a studiare jazz frequentando la Graz Academy con i maestri Harald Neuwirth e privatamente con J.Taylor, Hal Galper, Bill Dobins and Barry Harris. Cresciuto in una famiglia di musicisti dediti al pop e alla

C’è

La cultura dei Tao... al Fondo Verri, un audio libro che è necessario acquistare e conservare nella propria biblioteca per ascoltare la "fiaba" contadina di Antonio L. Verri... e per sostenere l'attività del Fondo a lui intitolato.

musica - in uscita

della domenica n°69 - 22 marzo 2015 - anno 3 n.0

musica tradizionale inizia ad ascoltare fin da piccolo ogni tipo di musica e presto scopre il jazz come forma di astrazione e come autentico e personale punto di vista musicale. Rientrato a Zagabria nel 1997 inizia a suonare sempre più spesso e il suo lavoro sia a livello nazionale che internazionale. In quegli anni si esibisce con il suo progetto «Boliers Quartet» che riceve apprezzamento e supporto da B. Golson, K. Burell, R. Haynes, J. Feliciano and «All Stars Band». Nello stesos periodo ha il piacere di collaborare con «Tamara Obrovac Quartet». (...) Scrive musica per la televisione e per il teatro e suona occasionalmente con grossi nomi della scena pop croata. All’inizio della sua carriera, riceve un premio dalla Società di Compositori croata come miglior autore e compositore jazz degli ultimi dieci anni con il suo album «Octopussy». Nel luglio 2002 Matija è tra gli 11 pianisti selezionati tra 400 partecipanti da tutto il mondo al Montreux jazz Festival. Suo padre Arsen Dedić riceve il Premio Jacques Brel nel 1979, il Premio Luigi Tenco nel 1982, Il Premio Città di Recanati nel 2000 e sua madre Gabi Novak ha cantato con Luis Armstrong, Garry Burton, Phill Woods, Toots Tielmans, Hellen Merril, Joe Turner.


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Io e la civetta

Martedì 24 marzo 2015, alle 19.00 “Povero” - L'officina dei sapori

una lettura corale

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in agenda - poesia e teatro della domenica n°69 - 22 marzo 2015 - anno 3 n.0

ra musica e poesia “Povero” - L'officina dei sapori di Indraccolo Angela & C. di Lecce presenta martedì 24 marzo, alle 19.00, “Io e la civetta” di Silvio Nocera (Spagine). Alessandra Peluso dà voce alla civetta di Silvio con le parole degli amici poeti e con le note musicali di P40 (cantattore) “Quando il sole raggiunse una certa altezza, Bella fu costretta a lasciarmi, i suoi occhi infatti non sopportavano la luce del sole; Bella, viveva nella semioscurità, io nella luce, lei era un uccello, io un uomo, lei la notte, io il giorno. Due esigenze molto diverse legate inseparabilmente da un unico sentimento, l'amicizia...”. Silvio Nocera è nato a Tuglie il 1 gennaio 1943. Ha cominciato ad esporre intorno ai vent'anni in collettive (Gallipoli, Parabita, Tuglie). Ha esposto, poi, altrove come New York, Mosca. Qui, nel 1985, ha ottenuto un premio speciale nel concorso internazionale “Per la pace e l'umanesimo contro la minaccia della guerra nucleare”. Le sue opere sono presenti in collezioni pubbliche e private in America, Russia, Cile, Svizzera, Germania, Francia e Belgio.

La Factory di Shakespeare

inalmente in arrivo La bisbetica domata l'ultima creazione di Factory. L’atteso debutto nelle Stagioni di Prosa del Teatro Paisiello di Lecce, martedì 24 e mercoledì 25 marzo alle 21, e del Teatro Ducale di Cavallino, sabato 28 marzo alle 20,30. Forse inconsueta e certamente non semplice la scelta di confrontarsi con LA BISBETICA DOMATA, una delle commedie drammaturgicamente più esili di Shakespeare, ma la messa in luce dell’attualità di alcune chiavi di lettura, hanno fatto di questo lavoro una sfida affascinante. Attuale, infatti, è l’isolamento in cui cade chi si discosta dal comune sentire, chi vuole affermare una propria autonomia ed identità, e vuole farlo senza infingimenti e toni sfumati.

Attuale il manto d’indifferenza con il quale ci difendiamo dal disturbo che ci causa il dolore altrui, il discostarsi dalle regole, la messa in discussione dello status quo. Così, la classica aria fiabesca e un po’ ridanciana che solitamente circonda questo lavoro, vira qui, nettamente, verso le cupe atmosfere della commedia noir a cui la lettura corale e l’uso della rima conferiscono quel tocco di sagacia ed ironia utile a mantenere sempre vivace il ritmo narrativo. Dopo i mesi in sala prove a lavorare perché l’idea si facesse scena, si perfezionasse di scrittura in scrittura, di limatura in limatura, dopo i tanti gesti, suoni ed immagini scelti e scartati, si è arrivati al debutto, al momento prima della realizzazione, in quel silenzio improvviso e sospeso della sala che precede la messa in scena. Ma sappiamo bene che proprio ora che

tutto è finito, in realtà tutto comincia. La traduzione e l’adattamento è di Francesco Niccolini. Con Dario Cadei, Ippolito Chiarello, Angela De Gaetano, Franco Ferrante, Antonio Guadalupi, Filippo Paolasini, Luca Pastore, Fabio Tinella. Le musiche originali sono di Paolo Coletta. le scene e realizzazione pittorica di Roberta Dori Puddu. La scenotecnica costruttiva è di Luigi Conte. I costumi di Lapi Lou. le luci di Davide Arsenio. La regia di Tonio De Nitto. Per una produzione Factory compagnia transadriatica che ritorna ad affrontare Shakespeare dopo le felici prove del Sogno e di Romeo e Giulietta, insistendo ancora una volta su una lettura corale e visionaria dove la musica e la rima concorrono a restituirci una sorta di opera buffa, caustica e comicamente nera.


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in agenda - teatro

della domenica n°69 - 22 marzo 2015 - anno 3 n.0

Per “Stasera è di teatro”, stagione di prosa del Teatro Moderno di Maglie martedì 24 marzo 2015 in scena la Compagnia Salvatore Della Villa. Sipario alle 21.00

Uno, nessuno e Pirandello Con Mariapia Autorino, Annamaria Colomba e Domenico Carusi la regia è di Salvatore Della Villa e Stefano Murciano

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eatro d’Attore puro, lo Spettacolo ha un percorso multiforme, che apre pagine di vita reale e immaginaria, dai toni e colori leggeri, drammatici, ironici e grotteschi, in circostanze di quotidianità ed eccessi. Un percorso eclettico, attraverso due coppie, due uomini e due donne, due mondi diversi dello stesso universo. Comun denominatore il viaggio, reale o metaforico, divagazione mentale o percorso verso una meta familiare, poco importa. Il pubblico avrà l’opportunità di essere accompagnato e coinvolto emotivamente in questo contenitore poliedrico dell’arte teatrale, dove si snodano atti esistenziali di personaggi psicologici e introspettivi, attraverso i loro drammi e circostanze paradossali di pura creazione dell’immaginario, nelle loro esilaranti ed equivoche

situazioni. Due atti unici, drammatici e comici. Lo sguardo di un uomo, condannato dalla malattia, scompone la realtà dei gesti in atomi di eternità. L'uomo dal fiore in bocca si intrattiene con uno sconosciuto, un pacifico avventore che, avendo perso il treno, aspetta in un bar quello successivo. L’eccezionalità del momento, per chi “sente la morte addosso”, e la normalità per chi è preso nel giro usuale della vita con i suoi piccoli impegni quotidiani, segnano i due termini della dialettica che si anima nel soliloquio del protagonista; è infatti la coscienza della propria morte imminente che fa scattare nel protagonista una sorta di euforia della vita, una pienezza di sensi che fa più acuto lo sguardo e che permette di cogliere e assaporare i particolari della vita quotidiana, anche quelli apparentemente più insignificanti.

Margot e Claude sono due donne che vivono rincorrendo attimo dopo attimo ciò da cui fuggono, incessantemente, cercando delle risposte che in realtà sono dentro di loro a germogliare. Due mondi diversi che intraprendono due fughe diverse: chi da se stessa e chi dagli altri. Il ritmo travolge ogni sentimento e le ruggenti forze d'animo delle due donne sarà l’arma vincente che permetterà loro di conquistarsi il pubblico il quale a sua volta si riconoscerà in molteplici situazioni pateticamente già vissute. Il viaggio intrapreso dalle due donne, talvolta mentale, talvolta reale, oltremodo surreale, porta le due protagoniste ad un continuo incontro-scontro che si rivela un efficace confronto nel voler mettere in evidenza ora le ragioni dell’una, ora quelle dell’altra.


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econda stagione per Washing by Watching, la rassegna dedicata alla videoarte e alla fotografia contemporanea curata dall’associazione DamageGood all’interno della Lavanderia Jefferson di Lecce. Da domenica 22 marzo sino a giugno tornano i cicli di video e photo screening dedicati al tema del paesaggio per discutere di rappresentazione, spazio pubblico e nuovi linguaggi nell’ambito delle arti visive contemporanee e self publishing. In linea con la precedente edizione, lo strumento cardine degli appuntamenti di Washing by Washing resta il talk informale con gli autori, ospiti degli appuntamenti, nell’ottica di fornire al pubblico un supporto critico diretto e al tempo stesso una narrazione non filtrata dei lavori che, di volta in volta, vengono proiettati sul telo fluttuante allestito all’interno di una location d’eccezione, la Lavanderia Jefferson per l’appunto. Questa seconda stagione sarà anche occasione per un focus incentrato sui metodi e le pratiche collaborative che possono esplicitarsi e far approdare a linguaggi diversi, a seconda dei contesti artistici e progettuali: non a caso gli artisti invitati a prendere parte a

in agenda - visualità

della domenica n°69 - 22 marzo 2015 - anno 3 n.0

ALLA LAVANDERIA JEFFERSON CON DAMAGE GOOD

WASHING BY WATCHING Washing by Watching sono cinque collettivi, cinque coppie artistiche per l’esattezza, che appronteranno all’interno dello spazio anche diversi interventi installativi. Gli autori di questa primavera / estate di Washing by Watching sono Nasty Nasty, ovvero Emiliano Biondelli e Valentina Venturi, sperimentatori poliedrici nell’ambito della fotografia, del video, del found footage e dell’editoria con il progetto blisterZine, le cui opere si centrano sull’impatto della fotografia sulla cultura contemporanea e sul potere di condizionamento dei desideri, sulla percezione del mondo e i criteri di autenticità. Si continua poi con i Canecapovolto, collettivo catanese che da oltre vent’anni ricerca e opera per la creazione di un “metalinguaggio” utilizzando mezzi espressivi diversi, anche attraverso la manipolazione fisica dell’immagine. Altro giro, altra corsa con Cyop&Kaf, sigla dietro cui si cela il duo partenopeo che ha disegnato, fotografato, raccontato la città di Napoli in “Quore Spinato”, “Napoli Monitor” e nel folgorante esordio cinematografico de “Il Segreto”. E ancora Invernomuto, al secolo Simone Bertuzzi e Simone Tra-

bucchi, che dal 2003 lavorano sull’immagine in movimento e il suono con restituzioni in forma di scultura, installazione, progetti editoriali e performativi. Nella fattispecie il ciclo dedicato ai due artisti si svolgerà in collaborazione con Humboldt Books, casa editrice milanese specializzata in narrativa di viaggio, che raccoglie all’interno della sua produzione diverse esperienze multidisciplinari.

Spetta a The Cool Couple inaugurare domenica 22 marzo Washing by Watching: questo il nome d’arte di Simone Santilli e Niccolò Benetton, autori di un progetto che riflette, attraverso il video e la fotografia, la cultura visiva contemporanea contaminata da riflessioni sull’antropologia culturale, la storia, la filosofia. Il photo e video screening inaugurale della rassegna, si terrà alle 19.00 all’interno della lavanderia di via Egidio Reale. Anche quest’anno media partner del progetto curatoriale sarà Urka!, portale indipendente che accoglierà un blog e contenuti speciali “last minute” a firma degli autori invitati.


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in agenda - una cena/racconto della domenica n°69 - 22 marzo 2015 - anno 3 n.0

Quaremma e Pasca santa

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nna Cinzia Villanii sarà ospite di fuoco nomade. Ci offrirà un suggestivo cammino, risultato di una profonda ricerca sul campo e un intessere canti, riti e poesia locale, coi quali percorrerà le tappe della religiosità popolare, dalla Quaresima alla Pasqua, che un tempo aiutavano idealmente ad esorcizzare la Morte. E noi la seguiremo. Con Anna Cinzia Villani (voce e narrazioni) in “Quaremma e Pasca santa”, Carla Maniglio (voce), Anna Maria Bagorda (organetto), Attilio Turrisi (chitarre).I sapori della serata sono di Biso. Tutto accadrà sabato 28 marzo, dalle 20.30, la cena/racconto verrà ospitata nella sede dell'associazione culturale Cucina Meridiana a Carpignano Salentino. La forma sarà quella solita oramai per Cucina Meridiana di una festa/cena che lasci aperto uno spazio per le incursioni creative e per i racconti degli ospiti nel calore di una casa, tra amici. Sapori, suoni, colori, profumi, consistenze nasceranno dall'azione individuale e collettiva di compagni di passeggiate diversi. La speranza è quella di produrre nel dialogo e nella relazione un atto poetico unitario di cui essere tutti partecipi. Un atto poetico in cui

ci sia relazione tra sapori, gesti, segni, voci, suoni, consistenze, profumi. *** Vorremmo fossero esperienze collettive e per questo chiediamo ai soci una ritualità che comincia dalla puntualità: è un cammino che vogliamo fare insieme partendo ogni volta alle 20:30. E vi chiediamo di darci una mano nell'organizzazione prenotando per tempo entro 3 giorni prima della data dell'appuntamento. Numero massimo partecipanti: 30 persone.

trasmettere tradizione e capacità di improvvisazione del canto, del suono e del ballo. La Villani si è impadronita delle tecniche peculiari del canto e dell’intenzione che si cela dietro ai passi della Pizzica pizzica , che rende unici i suoi laboratori didattici in Italia e all’estero.

Dopo numerose collaborazioni discografiche esordisce nel 2008 con Ninnamorella (AnimaMundi/Afq), il suo primo lavoro da solista apprezzato dalla critica per la profondità dell’approccio. “ Lei ha una voce atavica, di impressionante potenza, Info e prenotazioni: di sconvolgente maturità, […] un teemail: info@cucinameridiana.com soro svelato” scriveva Guido Festinese su Alias (inserto musicale del manifesto) del 30 maggio 2009. Il percorso di ricerca di Anna Cinzia Villani è mosso da un profondo in- Il disco ha avuto ampio successo in teresse per la memoria sonora e Italia e all’estero ed e stato procorporea del proprio territorio. Un grammato da diverse radio nazionali orientamento che ha condizionato (Radio Rai 3, Radio Popolare, Radio tutte le sue scelte artistiche, volte a Onda d’Urto, etc.) e straniere (BBC divulgare e salvaguardare caratteri- Radio 3 –Inghilterra –, Radio Vanstiche e sfumature che in un’epoca couver – Canada –, etc.). Del marzo di appiattimento e omologazione 2012 e invece l’album Fimmana, culturale andrebbero certamente mare e focu! (AnimaMundi), selezionato dalla commissione di Puglia perdute. Già negli anni ’90, mentre collabo- Sounds, in riferimento al bando rerava con gruppi storici come il Can- gionale “Recording”, per essere zoniere Grecanico Salentino, supportato nell’attività di promoincontrava abitualmente gli “alberi di zione. www.annacinziavillani.it canto”, quelle persone che se pungolate con la giusta dose di pazienza e amorevolezza possono


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in agenda - fondo verri

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Dieci Ipotesi

copertina

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arte contemporanea

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CreArt fino all’8 aprile a Palazzo Vernazza

n occasione della Giornata europea della creatività le sale di Palazzo Vernazza Castromediano a Lecce ospitano IPOTESI mostra a cura di Lorenzo Madaro, che rientra nell’articolato progetto "CreArt. Network of cities for artistic Creation" dell'Assessorato politiche comunitarie e giovanili e dell'Assessorato al turismo, spettacoli e markenting territoriale del Comune di Lecce. Dieci giovani artisti - Alice Caracciolo, Marco Del Vecchio, Giulia Gazza, Lucia Macrì, Neea Bros, Francesco Paglialunga, Rossella Piccinno, Francesco Romanelli, Francesco Sisinni, Marco Vitale saranno protagonisti fino a mercoledì 8 aprile di una esposizione corale, dedicata a diversi linguaggi della contemporaneità: dal video alla fotografia, dalla performance alla pittura.

L’installazione di Francesco Romanelli, particolare

Un opera di Lucia Macrì

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Così Lorenzo Madaro nella nota che accompagna l’annuncio del vernissage che si è tenuto ieri, sabato 21 marzo: «Dieci sono le ipotesi di lavoro attorno a una medesima mostra, in relazione a uno spazio straordinario e carico di memorie che oggi appartengono alla collettività, palazzo Vernazza - Castromediano. Dieci formule, alcune mature altre in via di definizione, che non si muovono attorno a un medesimo punto di partenza concettuale o operativo. Sono dieci diverse visioni che evidenziano anche la vitalità di un territorio, quello salentino, decisamente vitale, nonostante i paradossi tipici di un territorio lontano dai centri vitali dell’arte contemporanea. Ma c’è un’energia nuova, ancora tutta da esprimere e sviluppare in tutte le sue forme, che CreArt intende vagliare, innanzitutto proponendo un confronto diretto tra gli artisti e il pubblico, tra le opere e un luogo affascinante come il cinquecentesco palazzo».

CreArt è un progetto europeo di cooperazione culturale per la promozione della creatività artistica, che è stato sviluppato per due anni attraverso il coordinamento della Fondazione Comunale per la Cultura del Comune di Valladolid. Il progetto ha la durata di 5 anni (2012-2017). CreArt costituisce una rete di 11 città rappresentative della diversità e ricchezza culturale europea e vanta la collaborazione di tre enti privati con ampia esperienza nella gestione culturale. La Commissione europea ha considerato CreArt un progetto di vera cooperazione europea che coinvolge Paesi geograficamente situati lungo i quattro assi cardinali del continente europeo e che assicura un vero e proprio scambio tra artisti e pubblico, generando una positiva mobilità transnazionale di artisti ed opere d’arte. La mostra è visitabile tutti i giorni dalle 17 alle 19.30 sabato e domenica dalle 10.30 alle 12.30 e dalle 17 alle 20.

Alice Caracciolo, The Old City Kaunas, 2014. Fotografia

pensamenti

anta il passero del mattino. È la tua voce che s’alza e vibra di note leggere. La tua voce di musica carezzevole a placarmi gli stridii dell’anima, le acute grida di chi si duole di stagioni perse. Quando rondini selvagge mi portavano l’odore dell’estate. E tu eri miele e sangue d’impetuoso scorrere, troppo intensamente perché io potessi cogliere la corolla del tuo pianto. Tu eri legna da ardere e amore da consumare goccia a goccia, troppo stillante di gioia perché io potessi cogliere la ragione di tanta allegrezza. Ora canta e ricanta il passero di sempre, sulle corde dimesse del mio tempo. Marcello Buttazzo


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