Spagine della domenica 74

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spagine della domenica n°74 - 10 maggio 2015 - anno 3 n.0

Periodico culturale dell’Associazione Fondo Verri

Un omaggio alla scrittura infinita di F.S. Dòdaro e A. L. Verri

Un’immagine dello spettacolo Katër i Radës. Il naufragio che Koreja ha portato in scena lo scorso 8 maggio in Albania


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della domenica n°74 - 10 maggio 2015 - anno 3 n.0

Renzi e la tegola

l’opinione

del blocco della perequazione

enzi è un furbastro, ma con una capacità di calcolare le conseguenze delle sue furbate assai modesta. Dico io: c’è una questione sub judice, che è quella del blocco della perequazione per le pensioni adottato dal governo Monti per risanare il debito dell’Italia e farla rientrare nei parametri europei. Come ti viene in mente di squagliarti dieci miliardi di euro per darli, 80 euro mensili, a chi aveva un reddito inferiore a ventiquattromila euro annui? Furbizia! Ci sono le elezioni europee e i voti o li compri in un modo o li compri in un altro; e difatti il furbastro Renzi quelle elezioni le vince da sballo, anche perché gli elettori avversari vanno in pochi a votare. Evviva, tutti pronti a esultare. Una vittoria strepitosa! Ora nessuno potrà dire che Renzi è capo del governo senza il consenso popolare! Quando si tratta di queste cose non si va per il sottile. Lui non era in corsa; e le elezioni erano europee. Ma, che conta? Il popolo, votando il Pd, ha premiato lui. E’ come se lo avesse investito “direttamente”. Di ricadute positive nell’economia del Paese di quei dieci miliardi dati a circa dieci milioni di elettori nessun esperto finora è stato in grado di indicarne. Una mera operazione lauriano-partenopea in salsa fiorentina. “Gianni – gridava alcuni anni fa lo scrittore Tonino Guerra – come si fa a non essere ottimisti?”. Parafrasando: come si fa a non essere cattivi nei confronti di questa specie di guappariello, che oggi in Italia è visto come il risolutore di tutti i più annosi problemi e che sta facendo passare l’italiano per un popolo di pecoroni? Ora la Consulta ha bocciato quel blocco e l’Inps, ovvero lo Stato, deve restituire i soldi tolti ai pensionati per una somma che ancora non è stata quantificata con certezza, si parla dai dieci ai quattordici miliardi di euro. Non

una bazzecola neppure in tempi di vacche grasse; figuriamoci in tempi di vacche magre. L’Italia rischia problemi seri con l’Europa. Se lo Stato infatti si svena restituendo ai pensionati il maltolto, rischia che l’Italia superi il limite deficit/pil del 3% imposto a ciascun membro europeo. Che l’Europa non consente. Il governo cerca di salvarsi il culo – come si dice quando qualcuno è nei guai e non sa come uscirne – e ora sta cercando di trovare il modo di ri-fottere i pensionati, sperando che questa volta la Consulta sia più patriottica e gli dia ragione. La cosa più grave è che in soccorso del furbastro è scattata la solidarietà degli incliti e dei colti di questo cazzo di paese, che non ama le dittature – così dice! – ma poi quando si profilano o ci sono, poco conta se imposte col manganello o con la vasellina, se le sbaciucchia. La Consulta – hanno detto i soliti soccorritori – non poteva emettere una sentenza che ora mette nei guai l’Italia. Ma i guai all’Italia li deve evitare il governo. Invece il governo li fa e si pretende che la Consulta, tradendo se stessa, li risolva. Ma che cosa è se non voglia di dittatura quando i tre poteri classici dello Stato di diritto, invece di operare separatamente, secondo dettato costituzionale, inciuciano? Spaventa da questo punto di vista il fatto che la Consulta abbia condannato il blocco delle pensioni con un solo voto di scarto. Significa che metà dei giudici sono favorevoli agli inciuci, ossia a far colludere un potere importantissimo dello Stato con un altro. Si dirà: sono in gioco gli interessi superiori del Paese. Eh, no, amici miei. Qui, di comprensione in comprensione, finirà che dobbiamo tenerci il furbastro chissà per quanti anni ancora. Nessuno può costruire le sue vittorie sulla pelle dei cittadini. Vada che il furbastro faccia fuori Enrico Letta, Bersani e Civati! Che se

di Gigi Montonato

ne glori pure con jattanza da bischero! Sono suoi concorrenti, ci sta che riesca a farli fuori e che qualcuno o tanti ne godano come mandrilli. Ma non può farlo facendo pagare il conto ai cittadini. Torniamo alla sua interessata prodigalità. Probabilmente tra i dieci miliardi dati in bonus ad alcuni e quelli che si è preso in malus da altri non c’è un rapporto contabile diretto, nel senso che se non li avesse dati ora li avrebbe per fare fronte al debito. Ma viene di fare lo stesso una riflessione, alla buona. Se quei famosi dieci miliardi li avesse dati ai poveri pensionati che hanno una pensione vergognosa, intorno ai cinquecento euro mensili, probabilmente i fottuti, cioè i danneggiati dal blocco della perequazione, potrebbero mettersi l’animo in pace e farsene una ragione. Potrebbero addirittura farsi promotori di un’operazione di solidarietà senza precedenti, raccogliere quante più firme possibile per rinunciare a riavere il maltolto. Potrebbero fare questo ragionamento: non fa niente, siamo solidali con questi nostri concittadini più sfortunati e bisognosi, fra cui ognuno può avere il genitore o il fratello, il cugino o il padrino che lo ha battezzato o cresimato. Ma qui i beneficiati, quelli cioè che si sono ritrovati gli 80 euro in busta paga, potevano essere anche di poco sotto la fatidica soglia. E questo, francamente, rende assai più amara la fottitura. I soldi, tolti agli uni e dati agli altri, non solo non sono serviti a risollevare i consumi e la produttività, ma ha consentito ad alcuni di aumentare il gruzzoletto lasciato dormiente nei depositi della posta o della banca. Più di un esperto – ahi quanti, in Italia! – lo ha detto. Ora, piangere sul latte versato serve a ben poco. Il governo non faccia il furbo e restituisca i soldi a tutti quelli a cui li ha indebitamente sottratti, perché qui non è soltanto questione di soldi, ma anche e soprattutto di principio.


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della domenica n°74 10 maggio 2015 - anno 3 n.0

corsivo

Ad illustrare un’ immagine da Sylvie Poillevé, Charlotte Gastaut, Lilì nel lettone, Gallucci, 2011

Nel troppo dei libri

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uesta società globalizzata consumistica e globalizzante sta veramente esagerando con la banalizzazione dei valori, dei sentimenti e da un po’ di tempo anche del valore della scrittura! C’è troppa comunicazione, troppa carta stampata, troppe parole vaganti nel creato, troppe, inutili immagini svolazzanti, troppo di tutto. Non esiste selezione di nulla in questo caos ridondante. Ci troviamo di fronte ad un intasamento di qualsiasi informazione. In questo caotico brusio di tasti di parole di suoni e segni inconsulti, spesso, ci esponiamo ignari di perdere la consapevolezza del nostro essere ciò che realmente siamo. Zittiamo la coscienza, caratteristica che racchiude la qualità della soggettività, dell’autoconsapevolezza, perdendo così quella riflessione del pensiero con cui l’IO diviene cosciente di sé e può avviare un processo d’introspezione e analisi della propria interiorità, del proprio intimo intuire. Immagino che proprio l’assenza di questo “indagarsi” ha portato a divenire tutti vati e scrittori: il più delle volte letterati di nulla e del nulla! E’ divenuto, questo, ormai un fenomeno imperante, cui non si riesce a porre un freno. La speculazione economico strumentale dei valori sostanziali della cultura, tramite la divulgazione di migliaia di testi, spesso, dal dubbio rilievo, ha contribuito e fa correre il rischio di far scadere e rendere dozzinali i canoni estetici della letteratura, sostituendola a mediocri concetti filologici. Si è mercificato davvero tutto e ahinoi! anche la scrittura è divenuta semplice prodotto da banco, merce di scambio tra editore e autore che, per mero personale “prestigio”, pur di vedere il suo “prodotto” tra gli scaffali di una libreria, è pronto a pagare. Il libro, in questo modo, diviene mera merce, articolo in-

di Maria Grazia Presicce

dustriale, che di letterario e principalmente di letteratura ha ben poco quindi, il più delle volte, prodotto di “scritture avariate” realizzate da imprese fallite sul nascere. Idee e ingegno umano, mero processo produttivo di un’economia della parola “scadente” e scaduta! Questa industria d’idee e di parole ha il solo interesse di sottoporre ad un processo di ottimizzazione “la scrittura” per conferirgli quell’aspetto accattivante che attiri l’attenzione di una pubblicità sfrenata e avere così visibilità, incurante del suo contenuto, cosicché idee e parole incartate e guarnite, spesso, nell’essenza mancano di valore e significato. Si attua in questo modo l’appiattimento dei cervelli, della cultura e dello stesso genere umano costretto a livellarsi a messaggi manomessi e falsificati dal mero guadagno. La degradazione nel mondo culturale sta andando davvero alla deriva, derelitta in un mare di carta stampata che non serve a nessuno e che nessuno mai leggerà; pasto soltanto dell’industria della carta stampata per continuare, comunque, ad esistere! Oceani di parole come cavalloni s’inseguono in un mare tempestoso, non si fermano mai ma, ci sarà mai qualcuno che bloccherà questo scrivere inconsulto per ascoltarle davvero le parole e il loro vero senso? Miliardi di libri si accumulano in torri infinite che raggiungono il cielo: saggi, poesie, inchieste, romanzi a ufo, l’imbarazzo di scelta di canali televisivi e radiofonici, milioni di blog che chiacchierano tra loro, di sms e mms che s’incrociano, miliardi di telefonate e…tante volte, ci si sente soli, l’uno non ascolta l’altro che ha di fronte impegnato a guardare e manipolare uno smartfoon, un tablet e scambiare mute parole con l’inesistente, annullando l’ascolto vero e la personalità di chi li sta accanto. Che strana società ha prodotto questa civiltà. Ma dobbiamo o possiamo davvero dirci civili in questa società del banale?


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a lotta contro ogni discriminazione deve avvenire con coraggio, con abnegazione, alla luce del sole. In particolare, in questo tempo di incertezza e di confusione politica, occorre dichiarare guerra culturale senza confine all’omofobia e alla transfobia, non nascondendosi, ma uscendo determinatamente all’aria aperta. Ogni cittadino deve avere lo spazio necessario per manifestare la sua multiforme personalità. Forse, alla base dell’ignoranza e del razzismo, c’è la non conoscenza della variegata realtà. Viviamo in una brutta era. Siamo perennemente connessi al villaggio virtuale, ma non sappiamo comunicare. Non siamo, talvolta, in grado di distinguere il bianco dal nero, ci perdiamo dentro scuri meandri di insignificanza. A volte, siamo smarriti e persi dietro i nostri computer perennemente accesi. Le battaglie di valore non si vincono cedendo al clima di paura o facendo cadere sulle questioni un velo di narcotizzante oblio. Il rispetto dell’alterità e il riconoscimento della reciprocità s’ottengono con la fatica, con il sudore, rischiando di imbattersi anche nell’invalidante e acremente inappellabile giudizio altrui. La politica, purtroppo, è drammaticamente latitante. Per anni, il Parlamento non è riuscito a formulare una legge contro l’omofobia e contro la transfobia. Di certo, si può serenamente affermare che le strette punitive e securitarie non sono sufficienti. Purtuttavia, sono un punto di partenza. Chi ancora ricorre alla violenza e alla discriminazione per regolare i rapporti umani e per mortificare ogni diversità, deve essere affrontato, per quanto possibile, anche con il dialogo, con la parola che definisce le cose e stabilisce le necessarie distanze. La realtà può essere, in certuni casi, avvilente. Quante volte la cronaca ci butta addosso notizie rabbrividenti: ragazzi gay brutalmente aggrediti da gruppi di giovinastri stupidi e vigliacchi. Può accadere che giovinastri sufficientemente ignoranti non apprezzino “l’abbigliamento frocesco” di qualche ragazzo. Giovinastri che non hanno mai bevuto a piene mani alla fruttuosa fonte dell’alterità, perché non riescono a capire che l’altro da sé è sempre una ricchezza patrimoniale da recepire, da rispettare. Quante volte abbiamo appreso, stupefatti e sgomenti, di meschine spedizioni di belluina ferinità contro ragazzi omosessuali. Quante volte i giovani gay insultati, picchiati e violati, hanno la paura di denunciare i meschini da branco. Con animo ferito, ci chiediamo: quanti sono

La rivoluzione

del cuore

i cittadini omosessuali, che patiscono ordinarie sopraffazioni, e preferiscono per timori di vario tipo restare nell’anonimato? E’ corretto far risaltare l’aberrante oscenità di chi differenzia le persone. Nel nostro Paese, abbiamo più che mai bisogno d’una legge contro l’omofobia e contro la transfobia e, inoltre, d’una liberale normativa sulle coppie di fatto. Cionondimeno, la battaglia contro l’ignavia si conduce con calma, con la pazienza dei saggi: non bastano valide leggi ad assicurare una maggiore giustizia e la diffusione nel connettivo sociale di floridi semi di comprensione. Chi alza codardamente, con grettezza, steccati invalicabili fra gli uomini e fra le donne, deve essere sconfitto con le armi della non violenza e della cultura. Non c’è niente di più odioso, niente di più oltraggioso, della ghettizzazione degli esseri umani in base alla loro diversa appartenenza di genere. Si dà scacco all’omofobia con l’impavidità dei gesti, con la giusta comunicazione. Con l’amore, con il senso diffuso di civiltà. Ci vuole una rivoluzione pacifica dei cuori. La famiglia, la scuola, le varie agenzie educative dovrebbero diffondere i virgulti del sapere, della conoscenza. Si è uomini di questo mondo solo se si riesce a dialogare razionalmente e umanamente con il pro-

di Marcello Buttazzo

prio sé, se si veicola un corretto messaggio all’interlocutore, se pazientemente si ascolta ciò che viene dall’altro da sé. Epperò, il branco va sconfitto e isolato. Il branco è rozzo, non conosce le regole basilari della convivenza. Non può essere tollerata la sottocultura figlia della violenza. L’omosessualità, la transessualità, l’eterosessualità, sono solo dettagli, varianti di vite umane che si stagliano, che contribuiscono a definire un tutto, ma non sono il tutto. Da tempo immemore, ormai, soprattutto su Avvenire, quotidiano della Cei, si discute con disapprovazione della possibilità di legalizzazione delle coppie di fatto omosessuali. Ma ci chiediamo: perché due cittadini, indipendentemente dall’appartenenza di genere, non dovrebbero vedere tutelati i loro sacrosanti diritti di cittadinanza? Qualcuno storce la bocca e ritiene che possa essere intaccata la cosiddetta “legge naturale”, che è comunque molto discutibile. Ma due persone dello stesso sesso, che si scelgono e si amano, sono perfettamente inserite in un contesto naturale. La Natura, di fatto, sconfessa i dogmi e le irreversibili enunciazioni: essa dà rilevanza alle necessità, ai bisogni effettivi, alla vita che vuole vita.


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contemporanea

Del far germogliare

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a legge 40 del 2004 sulla procreazione medicalmente assistita era chiaramente pasticciata, impraticabile. Il Parlamento, in questi anni, non ha trovato la forza e le energie per esprimersi e modificare una brutta normativa. A più riprese, sono però intervenuti i tribunali civili e la Corte Costituzionale, che hanno apportato qualche necessario aggiustamento. Oggi, la fecondazione eterologa (che è routine in tanti Paesi del mondo) è lecita anche in Italia. I difensori da oltranza della legge 40 continuano ad esaltare la vecchia restrittiva normativa perché ritengono che essa, vietando la fecondazione eterologa, non entri in concorrenza con l’adozione. C’è chi afferma risolutamente: “Perché non promuovere misure a favore dell’adozione di bambini, piuttosto che legittimare la procreazione medicalmente assistita?”. Indipendentemente dalle dispute teologiche e filosofiche fra mondo cattolico e universo laico, si può sostenere che l’adozione sia una pratica, sovente non semplice, che le istituzioni dovrebbe incoraggiare tout court. Purtuttavia, si può fare una considerazione che esula dalle disquisizioni ontologiche: una potenziale mamma si

muove secondo istinto e ragione, desiderio e amore, ma sempre in piena consapevolezza, con responsabilità. Ogni donna ha la sua storia, la sua biografia, i suoi vissuti più o meno dolorosi. Perché obbligarla ad un’unica, irreversibile scelta, quando le possibilità sono diverse? Si può osservare che anche i bambini adottati sono, di fatto, “orfani” dei genitori naturali. L’amore dato ad ogni figlio è infinito; da sempre sono i genitori anagrafici che si prendono cura in ogni senso della figliolanza. Per certuni, la fecondazione eterologa darebbe luogo a controversie giuridiche, dal momento che “in diversi ordinamenti il minore nato da fecondazione eterologa è privato anche del diritto di conoscere le proprie origini biologiche”. Però una donna, che ospita un ovocita o uno spermatozoo donati per costituire un embrione (che fa crescere e germogliare), mette calore, gioia e sofferenza. In fondo, la vita è molto più complessa d’una fusione di cellule germinali: essa è trasporto, comprensione, amore che coinvolge. E, soprattutto, la forte caratterizzazione biologica di un embrione viene data sempre dalla mamma, che lo accoglie nel suo grembo: è lei che dona cuore, sangue, e un pezzo di sé. di Marcello Buttazzo


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Pensieri pugliesi di un non pugliese

elle elezioni regionali pugliesi varrà (forse) la pena di parlarne solo dopo il 31 di maggio. Per capire orientamenti, livelli di astensione, assetti di governo futuro. Oggi l’entusiasmo è sotto le scarpe, se pensiamo al 2005 e al 2010. Quindi è quel ciclo che si conclude, è quella stagione che finisce. In democrazia si usa votare per avere una rappresentanza e per decidere un assetto di governo, questo vale per la democrazia procedurale, che non è il tutto, ma senza la quale non si parla neppure di democrazia, bensì di qualcosa d’altro. In base all’offerta elettorale, come si dice in letteratura, l’elettore decide cosa votare, o anche di non votare, nel caso. La legge elettorale regionale votata a tre mesi dalle elezioni, congiuntamente dai consiglieri del PD e di FI, si ispira alla prima formulazione dell’Italicum, con la soglie dell’ 8% per chi non si presenta in coalizione e del 4% per chi lo fa. Questo pare che non sarà un problema per il movimento populistico-reattivo dei 5stelle, ma lo sarà in particolare per le proposte alternative “de sinistra” e per gli alleati “deboli” in coalizione. L’Altra Puglia (valutata tra il 2% e il 3%) non supererà la soglia, ma darà un suo segnale programmatico e già esprime una sua vis polemica, soprattutto in chiave anti-Emiliano e anti-PD. C’è da supporre che con una futura possibilità di ballottaggio al secondo turno, nel caso di spareggio tra Grillo e PD-centrosinistra, alcuni alter-pugliesi voterebbero il comico con la bava alla bocca e le alleanze razziste in Europa, altri invece si asterrebbero. L’Altra Puglia è solo una frazione dell’Altra Europa per Tsiprasin Puglia, come dire Rifondazione residua più alcuni limitati settori radicali. Tra l’altro l’operazione di presentare le alter-regioni dovunque è già servita a dare organizzazione e compattezza per l’assemblea nazionale, dovepoter recarsi compatti per contendere la guida del Coordinamento nazionale, nella migliore tradizione settaria e gruppettara. Non era nelle intenzioni origina-

rie dell’Altra Europa quella di rifondare Rifondazione. Ma comunque quello spazio comune permane, ha altre ambizioni e lo verificheremo meglio sugli assetti nazionali ed europei futuri, e nel corso della dialettica del reale, non in quella del residuo ceto politico piccolopiccolo.Il trotzschista dello 0,02% e i verdi di Bonelli sono solo folklore. Liste “deboli” ma alleate al centro-sinistra come quella del PCd’I si presentano sempre con persone dal milieu di sinistra abbastanza chiaro, mentre – almeno nel Salento leccese – non se ne vedono quasi candidati di sinistra nella lista NOI A SINISTRA sotto l’egemonia di Dario Stefàno e con lo squaglio di SEL che allude al suo superamento. Oggi come oggi preferisco di gran lunga l’idea di una Coalizione sociale lanciata dalla FIOM e ancora tutta da verificare, mi sembra più sensato e produttivo rimboccarsi le mani nelle pratiche sociali piuttosto che aizzarsi nel polemos ideologico. Solo al tramonto delle piccole formazioni della diaspora comunista nascerà una nuova sinistra politica in Italia. E solo nel fuoco di processi reali, storici, tellurici. Il grande - e grosso - Emiliano, il Gladiatore, il sindaco della svolta a Bari che diede inizio alla “primavera pugliese”, oscilla dal popolaresco al populismo, e per tenere caldo il suo nome sui media a volte le spara grosse. Si dice che stia imbarcando elementi di destra, gente ambigua, ed è vero, ma ciò avviene – nello stile del trasformismo storico meridionale - in un quadro mai visto in tali dimensioni della crisi della destra politica pugliese. Ma torniamo dove iniziò tutto, e cioè A) alla transizione inaugurata da Mani Pulite nel 92-93 e B) a Bari dove il blocco-urbano crolla con Emiliano sindaco, “l’onda Emiliano”, con un giudice non interno alle vaccate della sinistra storica, che unisce società civile, riscossa democratica, spinta dal basso, associazionismo diffuso, da Bari Città Plurale alle associazioni più varie. Ero a Milano in quegli anni e vedevo in TV l’avvocato Pinuccio Tatarella arringare folle oceaniche a Bari. A Lecce la Poli Bortone, già pasionaria missina, e l’ex

di Silverio Tomeo

capomanipolo dello squadrismo missino, prendono in mano la situazione. A Taranto un tipo di Ordine Nuovo, amico del clan dei Modeo, prende in mano la situazione. La transizione che inizia nel ’92-’93 vede in Puglia l’alleanza di ferro di ex-missini ed ex destra democristiana, le due anime adesso nuovamente divise dalla crisi terminale del berlusconismo. Non dovremmo forse mai dimenticare questo brutto inizio pugliese alla democrazia dell’alternanza. Il ciclo attorno alle primarie e a Nichi, poteva essere un inedito sinistra-centro, ma lo squaglio e la diaspora polemica di Rifondazione, i casi Tedesco e Frisullo, l’involuzione del PD, il lobbyng dalemiano, il rischio nel 2005 di avere commissariata la sanità (85% del bilancio regionale) quando Fitto e il governo Berlusconi ertano potentissimi, la caduta dei numerosi esperimenti di democrazia partecipativa, hanno indebolito le possibilità ulteriori di “laboratorio politico pugliese”. In ogni caso ogni indicatore economico, turistico e culturale fa sì che la Puglia o le Puglie se vogliamo, diano segni evidenti anche ai ciechi di miglioramento, pur in presenza della crisi economica. Oggi il contro-transfert reattivo e negativo verso Vendola è a radice patologica, spesso animato da esprit de ressentiment, da spirito di gravità, immemore della storia politica e sociale e culturale delle Puglie. Cosa voterò? Una candidata di sinistra di una lista di sinistra che appoggia la coalizione malmessa del centrosinistra pugliese. Cosa spero nel nuovo ciclo politico pugliese? Che vi sia comunque una dialettica democratica più matura, e che alcune delle belle cose del precedente ciclo siano salvaguardate: dai bollenti spiriti alla Apulia film, dalla natura pubblica dell’acquedotto ai progetti sociali sperimentali, dalle relazioni sindacali alla partecipazione democratica, dall’autonomia culturale del Sud mediterraneo alla messa in mora delle destre politiche e dei movimenti populistici reattivi. Silverio Tomeo



La dote del coraggio

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mmsarte

a parola speciale scelta questa volta dagli alunni della terza A della scuola primaria Leonardo Da Vinci di Castromediano, è CO-

RAGGIO. La piccola Sara ha espresso il suo pensiero, sulla parola in qustione, seguendo la tecnica dell'acrostico e definendola lettera per lettera con grande maestria.

E

continuando a parlare di Coraggio la piccola poetassa Melissa L. ha espresso ulteriori concetti. Per lei è una straripante forza di spirito, e giammai di muscoli, che aiuta a sconfiggere paure, insicu-

E' molto chiara la sua opinione riguardo il "Coraggio", che deve animare essenzialmente il nostro cuore nel momento in cui si ama, si aiuta o semplicemente si parla, sempre diretti, senza troppi preamboli con la maassima fiducia e sincerità. Solo in questo modo il coraggio ci nutre di "spirito Rock", e il ritmo della nostra vita sarà sempre forte roccioso e produttivo. La piccola Stella è stata attratta dalla

frase della compagna: il coraggio è "aiutare un amico deluso", tanto che ha deciso di produrre un disegno in cui, in mezzo ad una natura serena e festosa, appare una nota stonata: un bambino che piange deluso. Eppure, proprio tutti quei sorrisi che lo circondano, ci fanno ben sperare che presto arriverà qualche suo amico, che, con forza d'animo, riuscirà a consolarlo e a renderlo partecipe di tutta quella felicità.

rezze e a proteggerci dai cattivi pensieri, ma, soprattutto, dà atutti noi il potere di "volare in alto" senza temere cadute, e di camminare al buio senza paura d'inutili fantasmi. E proprio queste paure, tipiche dell'infanzia, hanno catturato l'attenzione di Michelle P. che ha animato un disegno

in cui una bambina senza coraggio viene catturata dalle paure dei fantasmi, di contro un bambino animato da equilibrata forza d'animo, riesce a dominare le sue paure e a sognare di serene giornate, di notti stellate, e verdeggianti parchi in cui andare presto a giocare.


L’oscena Italia

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della domenica n°74 - 10 maggio 2015 - anno 3 n.0

l’osceno del villaggio

di Paolo Vincenti


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’osceno del villaggio in 13.756 battute, spazi inclusi . “Glob, l’osceno del villaggio” era una trasmissione televisiva satirica trasmessa per diversi anni da Raitre la domenica in seconda serata e condotta da Enrico Bertolino. Il titolo parafrasava quello di un’altra trasmissione televisiva di grande successo, cioè “Blob” (tuttora in onda su Raitre) e inoltre il modo di dire “lo scemo del villaggio”, molto diffuso, soprattutto in passato, per indicare un personaggio un po’ eccentrico, un minorato mentale, presente nei piccoli paesini e oggetto di derisione da parte degli abitanti. Lo scemo diventa “l’osceno” per Glob, e il piccolo paese di provincia diventa il villaggio globale della moderna comunicazione di massa. Ma che cos’è oggi osceno in Italia? Sono partito da questa domanda, quando ho deciso di attribuire il summenzionato titolo alla mia rubrica. Il dizionario Zingarelli fornisce dell’aggettivo “osceno” la seguente definizione: “che offende la moralità e il pudore; si dice specialmente di cose che si leggono o si guardano… molto brutto, indecente, licenzioso, scandaloso, sconcio, scurrile, vergognoso”. Insomma, la definizione è ampia, ma anche il concetto di moralità estensivamente interpretato mi porterebbe lontano dallo scopo di questo articolo. Diciamo che qui viene presa in considerazione l’idea di ciò che è bene e che è male più diffusa e comunemente percepita. Non parliamo del moralismo, che della morale,nella sua accezione negativa (di falso moralismo), costituisce una degenerazione, perché questo ci porterebbe ancor più lontano. Dunque, per molti oggi, osceni potrebbero essere i raggiri, la frode,l’imbroglio,il plagio, gli intrallazzi e gli affari illeciti in genere. Per molti, l’osceno del villaggio è il manager pubblico con super stipendio, con il quale arrivo a 1813 battute. Per altri, oscene sono la vacuità degli scrittori e le presentazioni letterarie definite sempre “eventi” ma che spesso sono piccole e tristi autopromozioni.

Elio e le Storie Tese

Per me, osceno potrebbe essere il pubblico sempre disposto a farsi turlupinare dai mercanti dell’industria culturale italiana e da quei geni, i fenomeni da baraccone, che con i loro salti doppi, le piroette e gli inchini, esaltano la folla nel gran circo mediatico della nostra penisola . L’Italia è piena di Turlupin, come si faceva chiamare il comico del Seicento Henry Legrand, ossia di furbastri bravissimi a gabbare gli ingenui. Ah, i libri degli scrittori di successo… Grazie ad un enorme battage pubblicitario messo in piedi dalle case editrici ad ogni nuova pubblicazione, anche chi non ha mai letto un rigo di un determinato libro penserà di conoscerlo e anzi ne serberà un’ottima impressione; alla fine, l’ autore, per il pubblico medio dei lettori, conseguirà un’aura di bravura che lo accompagnerà per tutta la carriera, facendogli vendere “paccate” di libri. Come dice Villers de L’isle Adam: “ogni successo ha la sua ombra, la sua parte di frode, di meccanismo, di nulla, che si potrebbe chiamare la tattica, l’intrigo, il saper vivere, la Pubblicità. Insomma, la claque!” . Ho usato prima un termine molto colorito, “paccate”, che potrebbe far storcere il naso ai puristi della lingua, come io storco il naso quando sento chi dice “ti amo di bene”, insulsa espressione molto usata fra i giovani. Per qualcun altro, osceno potrebbe essere il pirla milanese che sta coi Blackblock, e che insieme ai suoi decerebrati compagni, spranga e sfascia, spacca le vetrine e dà fuoco alle macchine ma non sa nemmeno perché sta protestando. L’osceno del villaggio, per molti, quasi per tutti, è il mariuolo, l’imbroglione patentato. In effetti, osceno è il costo della corruzione in Italia, secondo alcune stime pari a 60 miliardi di euro. Secondo i bilanci della Guardia di Finanza, cinque appalti pubblici su dieci sarebbero irregolari. Osceno è l’ammontare dell’evasione fiscale, fra i 120 e i 150 miliardi di euro che, sommati a quelli della corruzione, danno una cifra da capogiro. La più modesta somma delle mie battute invece è pari a 4038. Venendo alla televisione, “cattiva maestra”, secondo la famosa definizione di

Karl Popper, per me osceno potrebbe essere l’ospite fisso delle trasmissioni televisive, che dice la propria su ogni argomento dello scibile umano, e per il quale è stato coniato il termine “opinionista, che rappresenta la trans avanguardia della categoria dell’imbecille televisivo. “Potrebbe essere”, ho pocanzi asserito, ma senz’altro “è” oscena la televisione del dolore, che fa sciacallaggio dei morti ammazzati e ci costruisce puntate su puntate,perché lo share si alza e l’audience premia. Certo, da “Telefono giallo” a “Quarto Grado” e a “Pomeriggio Cinque”, la deriva è stata inarrestabile e il cinismo degli autori televisivi non ha conosciuto confini. Come la gente che trascorre ore ed ore in diretta nel salotto pomeridiano di Maria De Filippi, si innamora per finta, si fidanza e scopa per finta, si sfidanza e si insulta sempre per finta. E a proposito: qualcuno si meraviglia del fatto che i due mediocri e banali inviati di “Striscia la notizia”, Fabio e Mingo, siano stati allontanati dalla trasmissione? Fingevano anche loro, è chiaro! Costruivano interviste e filmati posticci, come quello fatto dalla giornalista di “Mattino Cinque” alla ragazza rom che afferma di guadagnare rubando 1000 euro al giorno e che questa sia l’occupazione più bella del mondo, specie se a danno di una vecchia che tanto deve schiattare comunque. Ma d’altra parte, Fabio e Mingo, così come gli altri inviati di Striscia, come potrebbero non mandare servizi finti in una trasmissione che è essa stessa del tutto finta? E siamo così a 5662 battute. Olè! L’etimologia del termine osceno viene dal latino obscenus o obscaenus, ossia “di cattivo augurio”, poi successivamente “turpe, laido,indecente”. Osceni sono i talk show politici, come “Ballarò” o “Di Martedi”, “Piazza Pulita” o “Quinta colonna”, che si trasformano in una passerella di narcisi, come giustamente accusa Aldo Grasso, vengono riempiti di contenuti fino all’inverosimile ma al pubblico non rimane niente se non un’indigestione di parole, concetti e numeri. Osceni per me sono i social network dove


della domenica n°74 - 10 maggio 2015 - anno 3 n.0 circola la spazzatura del mondo che galleggia, come su un mare nero, la mucillagine. Osceno, non il mezzo in sé, ma l’uso che se ne fa. Soprattutto Facebook diventa ricettacolo delle più retrive abitudini, delle mode più cretine, delle più squallide barbarie verbali che menti di folli, psicopatici, repressi, mitomani, possano concepire. Ognuno si sfoga sul social, vomitandovi tutto il marciume della propria anima ributtante. Oscene, le guardie penitenziarie che, al suicidio di un detenuto nel carcere di Milano, commentano “meglio così, uno in meno”. Osceni, i rimborsi pazzi dei consiglieri regionali, le feste dei consiglieri laziali vestiti da antichi centurioni romani, le mutande verdi, la nutella, le gomme da masticare messe a rimborso da quelli lombardi, o ancora le cene da migliaia di euro, e poi i cocktail a base di mojito, campari e negroni, del “Trota” Renzo Bossi, o le creme anti age e il libro “Mignottocrazia” di Paolo Guzzanti della consigliera Nicole Minetti. Per tanti italioti oscena è la classe politica tutta, senza distinzione. Naturalmente, più ci si sposta sulle estreme della rappresentanza politica, destra e sinistra, più è facile che gli umori si scaldino e che il dissenso cresca nei confronti dei partiti di governo. Questi ultimi invece, nel catalizzare il consenso, producono anche una sonnolenta acquiescenza nell’elettorato, una condiscendenza tipica del servo sciocco o del cortigiano che per natura tende ad adulare il potente. Osceni sono il populismo e la becera demagogia di alcuni politicanti di casa nostra. Gli attacchi all’Europa diventano il cavallo di Troia di una classe politica che cerca di legittimare sé stessa screditando l’avversario. Agitare poi lo spettro di un nemico esterno, che siano i burocrati dell’Eurozona o gli zingari dell’est oppure ancora i nordafricani che arrivano sulle carrette del mare , strumentalizzare queste paure ad uso interno, aggrava soltanto la situazione e allarga il divario fra la buona politica e l’improvvisazione degli “Stenterelli “. Peraltro, puntare sulla paura per aumentare il consenso è quello che fanno i tiranni. È osceno mandare al parlamento europeo dei rappresentanti politici che nell’Europa non credono, Stenterelli appunto, come la maschera tradizionale, cioè poltroni e faceti che in parlamento nemmeno si presentano e pensano di risolvere con l’arguzia le notevoli defaillances dovute alla loro impreparazione. Che senso ha mandare sui banchi di Stasburgo e Bruxelles dei politici impresentabili, ignoranti, disinteressati o razzisti? Almeno questi ultimi, in quanto agitati per-

manenti, spesso inscenano delle manifestazioni rozze e volgari che (de)legittimano la loro folkloristica e pulcinellesca presenza. Ma quelli dei partiti di maggioranza che non hanno alcun interesse al futuro della Ue ma solo al presente del loro collegio elettorale? E allora, come diceva il buon Antonio Lubrano, la domanda sorge spontanea:sono più osceni questi politici oppure gli elettori che li votano? Le 9213 battute impiegatefin qui non ce lo dicono. Quando in alcuni frames di Blob tratti dalle varie trasmissioni televisive, la telecamera va a posizionarsi su certi particolari anatomici dei soggetti che parlano, per esempio sulla bocca o sul naso, sui capelli, ecc., Ghezzi e Giusti fanno un’opera di decostruzione che è sospesa a metà fra l’iperrealismo e l’astrazione. Così quando negli ultimi tempi oscurano i volti dei politici con della nebbia, nelle loro intenzioni essi, ammantando nella nebulosità lo sconcio dei parlanti, vorrebbero antifrasticamente porre ancora più in risalto lo sconcio stesso, l’ oscenità delle loro facce equiparate al culo o al pene. In realtà, secondo me, la loro operazione di velare i volti dei rappresentanti politici è più oscena dei volti stessi. Così come quando un bollino nero copre le pudenda degli attori porno, come avviene per esempio nelle trasmissione “Le Iene” che sempre più spesso si occupa del mondo dell’hard, il bollino nero è più osceno delle “scene” di sesso. Nel senso che toglie rappresentazione ad una sequenza pornografica che è già di per sé assenza di rappresentazione, se vogliamo stare alla definizione etimologica che Carmelo Bene ha dato del termine osceno (anche se questa non risulta da nessuna fonte ufficiale), dal greco “o-skenè”, cioè che è fuor di scena: “o” sta per alfa privativo e “schenè” , scena. “L’osceno è sacro” per Dario Fo, che ha così intitolato un suo libro, ma in questo caso il concetto viene dilatato e adattato alla riflessione, a metà fra il comico e il sociologico, dell’attore teatrale. Sul concetto di osceno nell’arte, ovvero su ciò che è arte e ciò che è solo volgarità, si scrivono trattati di estetica. La storia più recente è piena di opere che hanno diviso pubblico e critica, destando pareri discordi, contrapposti. Prendiamo la mostra del fotografo David Lachapelle, grandissimo artista del surrealismo pop,che si tiene in questi giorni a Roma (“Dopo il diluvio” al Palazzo delle Esposizioni). L’artista è osannato come un genio, ma io mi chiedo come la gente possa andare a vedere queste cose e stupirsi. C’è davvero qual-

l’osceno del villaggio

cuno che si scandalizza perché viene rappresentato un Gesù gay in delirio sadomaso? Dopo “Jesus Christ superstar “, è ancora possibile attualizzare la figura di Cristo in maniera credibile, innovativa e, diciamo, artistica? E poi , c’è un’icona gay più gay del San Sebastiano trafitto dalle frecce? Già i pittori rinascimentali se ne erano accorti e D’Annunzio, nel Martyre de Saint Sébastien, con le musiche di Claude Debussy, fece interpretare il martire cristiano da Ida Rubinstein, ballerina bisessuale russa, scatenando una violenta reazione da parte della censura. E si era solo nel 1911. Come si può essere originali oggi, negli anni Duemila? Si può operare una rivisitazione ( dichiarata negli intenti) dei classici, dei grandi del passato. Ma a mio avviso, queste cose, come la Madonna che piange sperma, esposta a Bologna qualche anno fa, Cristo sulla sedia elettrica di Paul Fryer, il Gesù immerso nella pipì di Andres Serrano, o il Cristo rana crocefisso di Martin Kippenberger, non sono oscene, ma solo ridicole. Almeno a me fanno molto ridere. E intanto, conto 12.424 battute. Rientra perfettamente nella definizione di osceno la pornografia. L’industria (non a caso definita tale) del porno offre una visione del consumo sessuale fine a sé stessa, senza alcuna mediazione artistica, come avviene nel cinema erotico. Cioè, l’atto sessuale viene prodotto meccanicamente dagli attori e meccanicamente filmato, senza essere filtrato dalla sensibilità di un soggettista, dalla visione del mondo di un regista. In questo senso, al porno si può applicare la definizione data da Carmelo Bene di “o-schenè”, assenza di scena. Nel porno, oggetto e soggetto si fondono insieme giungendo a quella che Bene definisce “oggettità carnale”. Ma Flavio De Marco, studioso di Carmelo Bene, va ancora oltre e afferma che questo osceno non è trasgressivo ma solo sconcio e ridicolo. Nell’atto sessuale infatti vi è una transazione, come nel rapporto con le prostitute, e dunque una rappresentazione ben codificata e in ultima analisi borghese. Insomma è innegabile che, se appena si esce fuori dal tracciato, ci si allontana dalla comune morale, l’osceno può anche attrarre e anzi mostrare un potere di seduzione davvero diabolico. E se si vuol fare un pieno di volgarità e sconcezze, basta andare nella sezione “Cafonal” del sito di Dagospia. Ed io sono giunto alle prefissate 13.756 battute, spazi inclusi. Paolo Vincenti


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Se gli ulivi camminassero*

È primavera, non per gli ulivi nodosi, contorti, spaccati. Abitano qui da tanto (molti, da prima di ognuno di noi). Il paesaggio, qui, non è senza gli ulivi. Le pieghe dei tronchi, le rughe centenarie della terra. Sui rami storti il sudore di innumerevoli sfrondatori. Le radici sono bagnate dai canti di moltitudini di raccoglitrici.

«Gli ulivi danno ben poco, pochi punti per cento, a l’economia della nostra terra». (Ahi, le buone pratiche ridotte.) (Ahi, le cattive azioni dei batteri.) Se gli ulivi camminassero,

avrebbero già pronte le valigie. «Come, in passato, schiere di uomini e donne». Nei campi, le margherite e i papaveri. Gli ulivi, stanziali e secolari, provano a germogliare. Ancora.

Massimo Grecuccio

* Questi versi sono stati ispirati dalla lettura di un post di Luisa Ruggio, pubblicato su Fb il 15 aprile 2015. Il titolo riporta, pari pari, alcune parole del post 6-18 aprile 2015

M

arcello, al mondo ci sono più telefonini che persone. E la maggior parte dei telefonini sono in grado di fare foto (scattare, come si diceva un tempo). La quantità di foto che si fanno, istante per istante, forse è innumerabile. Vuol dire che si guarda molto attraverso il dispositivo (lo smartphone) in grado di fotografare. Per vedere meglio? Chi lo sa? Non mi va di essere apocalitico (non serve a un bel niente, credo). La frequenza con cui abbiamo tra le mani lo smartphone (ossia, anche una macchina fotografica), e la relativa facilità d’uso rende plausibile la dichiarazione (d’intenti): lo potevo fare anch’io (titolo di un libro sull’arte contemporanea di Francesco Bonami). Tutti possiamo usare la macchina fotografica. Tutti fotografi, allora? Non sono giorni felici per la nostra terra. La vicenda della Xylella è veramente triste. Perché contiene la possibilità che il nostro paesaggio, il territorio con gli interventi laboriosi e pieni di cure di generazioni di nostri avi, possa essere irrimedibilmente modificato. Il Salento non aveva gli ulivi, un tempo. Gli ulivi sono l’esito di una lunga antropizzazione. Questa volta, c’è il rischio che i connotati del paesaggio cambino, in breve tempo, per gli effetti indesiderati dell’antropizzazione globalizzata. È in questo stato d’animo grave che, in questi giorni, ho ripreso in mano il tuo libro di fotografie (Lemme lemme. Viaggio nel Salento in bianco e nero, Edizioni Moscara Associati). L’ho sfogliato, come un album di foto famigliari. E mi è venuto questo pensiero: a guardarle oggi, quelle foto (fatte, all’incirca, tra il 2009 e il 2012), come si può non schiacciarle (per opposizione) sulla contemporaneità? Di vederle, cioè, come il Salento che fu e che forse non sarà più? Il bianco e nero,


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della domenica n°74 - 10 maggio 2015 - anno 3 n.0

Lode al paesaggio del Salento

lettera aperta a Marcello Moscara

di Massimo Grecuccio

tra l’altro, accende un poco il carattere dell’anacronismo senza tempo (anche se sono di pochi di anni fa, possono essere più retrodatate, un’illusione nell’intervallo del tempo). Non mi piace, forse non è nelle mie corde, estrapolare formule generali che catturino il complesso essenziale dei tuoi scatti. Preferisco dedicarmi ed esercitare lo sguardo e la visione su poche scelte foto (con l’abbandono estatico degli occhi vaganti sull’immagine). Senza rinunciare, però, ai suggerimenti degli slittamenti laterali che dalla contemplazione, più l’attesa, vengono. In Lemme lemme è possibile rintracciare e distinguere (separare) alcuni filoni (racconti): Gallipoli, Otranto, il mare (la costa), i paesi interni etcetera. Ma questa separazione, ancorché peregrina, mi pare una riduzione. Allora decido di concentrarmi, di entrare in dialogo con alcune foto, quelle che mi hanno punto di più (non esclusivamente per motivi estetici). La foto dei due bambini, in corsa nell’acqua bassa del mare, visti dall’alto (Otranto, giugno 2012), per esempio, ha per me una doppia valenza. Una figurativa: la visione, dall’alto e da lontano, schiaccia i due ragazzini, li allontana temporalmente e li sovrappone, in una sorta di flashback, alla infanzia di noi spettatori, non più pischelli ma adulti. E una valenza concettuale (quasi). I due bimbi in corsa, nel mare basso della riva, sembrano segni tracciati per un istante sul foglio d’acqua, segni che il supporto reale (l’acqua) non può trattenere, e che la foto invece, sì. (Le due valenze sono intrecciate.) Ecco uno slittamento. Nelle foto col punto di vista lontano lontano (sono tante), considero l’altezza della linea d’orizzonte. Rispetto ad una ideale linea mediana, a cui qualche volta l’orizzonte si avvicina, la posizione più in basso o più in alto, assegna (in virtù e in spirito?) un peso maggiore alla terra (al suolo) ri-

spetto al cielo, e viceversa. Questo spostamento, di masse terrene e celesti, coinvolge (per l’immersione nell’immagine) anche lo spettatore. Due foto si fronteggiano: a sinistra, quella della fòcara non ancora accesa (Novoli, gennaio 2010); a destra, il palo (multiplo) perno delle luminarie della festa (Scorrano, luglio 2012). L’accostamento, e un valore simbolico analogo, annullano le distanze evidenti (di tempo: due anni, di stagioni: inverno/estate) tra i due scatti, che si cortocircuitano. La foto della fòcara riprende il colmo del tumulo di tralci di vite (li sarmenti). L’apparecchiamento è ancora in corso; c’è una scala di legno lassù in cima che deborda, indica il cielo, il verso in cui i lavori, che volgono al termine, hanno proceduto (la fòcara accesa è un’altra storia). Lo sfondo è un tumulto di nuvole. La foto del perno della luminaria (credo ripresa con un fisheye) evidenzia i fili metallici che s’irradiano a 360 gradi per reggere le luminarie. Anche qui, il perno è un indice puntato al cielo. Forse è notte, e il nero del cielo è appiattito e schiarito (dalle luci artificiali?). Due foto si fronteggiano. L’ulivo con i due rami, che si dipartono dal tronco base, poggiati sulle due colonne di tufi a secco (Gagliano, settembre 2011) e la vecchia casa con i due muri contigui puntellati con travi di legno e di metallo (Galatone, settembre 2011): due immagini eloquenti a cui, con gesto altamente arbitrario, attribuisco l’allusione premonitrice della contingenza (lo stato di emergenza) del Salento oggi (2015, quattro anni dopo le foto). Due foto si fronteggiano. La torre costiera (Torre Pali, settembre 2011), un tempo sulla costa, è ora scavalcata e aggirata dal mare (il mare della mia infanzia). E il piccolo motoscafo, nel canale di bonifica, che è quasi interamente sommerso dall’acqua (Lido Marini, settembre 2012). Il punto più interno del Salento, quanto dista dal mare? Le strade non

sempre si tracciano con la riga, non più di trenta km. Il mare piano piano (è paziente) s’insinua. Un altro slittamento. Le foto sono montate. Il montaggio può suggerire accostamenti, per similarità o per opposizione. Ci sono foto che hai scattato nello stesso giorno, ma non le hai messe tutte insieme, con il montaggio le hai diluite. Le affinità e i contrasti esemplari più che un racconto disteso. Tu sei salentino e nel Salento ci vivi. Ciò nonostante, il tuo occhio inorganico (dotato di obiettivo) ha aggirato il rischio di essere totalmente nella consuetudine. Nel ritrarre, nello stesso tempo, sei stato dentro il territorio (la condizione del consueto, la conoscenza del territorio palmo a palmo) e fuori (la condizione del forestiero, un potenziale di curiosità e di stupore). L’esito è un album, di luoghi più che di persone, con un alto valore documentario. Sia per gli autoctoni, ai quali offri un libro di foto di luoghi cari ritratti senza trucco (un perno attorno al quale fare ruotare ricordi personali?); sia per gli stranieri, hai quali indichi punti di vista e di fuga meno battuti, che restituiscono anche ai luoghi topici del Salento turistico (Otranto, Gallipoli, Porto Cesareo …) un’aura di autentico, che il patinato della promozione turistica copre con un cerone. Lemme lemme raccoglie un’esemplarità di immagini. Esempi di riferimento, rispetto al quale già ora, a corta distanza, di più tra qualche anno, a più lunga distanza, constateremo lo scarto inevitabile. È il destino della fotografia, che sembra abbia il potere di catturare l’attimo, e che in realtà conserva, se sopravvive, lo sbiadimento dell’attimo. L’attimo logorato dallo sciabordio, tranquillo e incessante, del tempo.


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Ivan Bunin, A proposito di Čechov a cura di C. Hauchard, Traduzione C. Zonghetti Adelphi 2015

Pianissimo

nell’arco della vita

L

e amicizie che sanno trattenersi al di qua dell’infantilismo e delle futili preoccupazioni che spesso caratterizzano gli esseri umani hanno il dono della durata e della fecondità. L’amicizia tra Ivan Bunin (1870-1953) e Čechov (1860-1904) è una di queste. Bunin, ormai dimenticato Nobel del 1933, frequentò Čechov dal 1895 fino alla morte di questi nel 1904. Solo dopo la morte della grande scrittore russo e la pubblicazione del suo epistolario a partire dagli anni ‘50 Bunin potè scoprire quale grande e affettuosa considerazione aveva per lui, tanto da scrivere in una lettera: « Bunin è partito e io sono rimasto solo…» Forse è giusto così. L’ammirazione e la gratitudine tra i due, che non fu mai esibibita né completamente verbalizzata, almeno direttamente, fu coltivata nel silenzio e in una discrezione che metteva un sottile velo a un profondo affetto reciproco. Dopo le rivelazioni dell’epistolario, Bunin, ormai in esilio dalla Russia bolscevica, si sentì in dovere di scrivere un libro sull’amico che non riuscì a completare, visto che morì nel 1953. Adesso Adelphi pubblica gli appunti di quel ritratto incompiuto. A proposito di Čechov, a cura di Claire Hauchard, infatti è un inno all’amicizia scritto a distanza di decenni, quasi che un’impalpabile ma non impenetrabile parete separasse i vivi dai morti.

Bunin collaziona ricordi, lacerti di conversazioni, citazioni dalle opere, frammenti critici, che hanno come fuoco il grande e venerato amico e maestro di stile che era Anton Pavlovič Čechov. Un rapporto che in Bunin sembrava così poco lontano dal culto, e si ricordi una magnifica poesia di Vittorio Sereni, Il grande amico: «Un grande amico che sorga alto su di me/ E tutto porti me nella sua luce».

Di Čechov Bunin ricorda, tra le altre cose, non solo il senso ironico e provvisorio delle distanze sociali ma anche e soprattutto una calorosa e profonda benevolenza che gli impediva di frapporre gerarchie tra sé e gli altri. La mancanza di artificio nella persona di Čechov si rivelava attraverso l’uso di linguaggio onesto, ma in grado di rivelare inaspettate profondità. Mai l’eccezionale, il ridondante, la retorica trovarono spazio in Čechov, c’era, invece, la costante ricerca di una rappresentazione cristallina di sé e della realtà: «anche nella vita quotidiana si curava poco, se non affatto, del suo “io”, e parlava assai di rado delle proprie simpatie e antipatie: “questo non mi piace”, “quest’altro non lo tollero” sono frasi che non gli appartenevano. Aveva, però, simpatie e antipatie profondamente radicate e precise, e sempre privilegiava la spontaneità». Di Cechov scrittore Bunin segnalava la sua capacità di raccontare oggettivamente senza mai inserirsi con il suo punto di vista; ricorda inoltre quello che

di Sebastiano Leotta

gli disse una volta Čechov: «bisogna mettersi a scrivere solo quando ci si sente freddi come il ghiaccio». Come pochi Čechov sapeva descrivere quella faccenda tediosa che è la vita, solo pochi erano in grado di rappresentare l’emoraggia dei giorni che se vanno, le possibilità mai avverate, la crudeltà e l’insipienza della vita coniugale, le velleità umane. Le sue opere sono la testimonianza di una quotidianità irretita e incapace di innalzarsi all’idea o all’epica – tranne forse che in un racconto come La steppa –, né capace di trovare momenti di epifania o di rivelazione (e lo aveva compreso un suo avatar americano come Raymond Carver). Nelle sue storie fatte di niente Čechov racconta l’arco della vita quasi sempre in pianissimo: mai, per esempio, la morte, nei suoi racconti, si innalzerà a qualcosa di grandioso e allegorico, come è invece la morte dell’Ivan Ilic di Tolstoj. Mentre noi contemporanei siamo consapevoli mai potremo sfiorare il dolore che sentiva quell’uomo immenso che era Tolstoj, Čechov, invece, lo sentiamo vicino e alla nostra misura. Nelle short stories del russo, la morte non ha nulla di simbolico, è cosi priva di attrazione e di tragedia da apparire come una faccenda poco complicata: «Riposeremo zio Vanja, riposeremo», come Čechov farà dire a Sonja nello Zio Vanja. Nulla di più, nulla di meno. Sobria e inimitabile semplicità.


della domenica n째74 - 10 maggio 2015 - anno 3 n.0

libri


spagine

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della domenica n°71 - 19 aprile 2015 - anno 3 n.0

l’omaggio

Leggere bene per vivere meglio

a musica e la poesia sono tra le arti quelle che non hanno bisogno di vedere con gli occhi anzi preferiscono l’orecchio all’occhio. Nel 2015 ricorre il settecento cinquantesimo anno di nascita del sommo poeta Dante Alighieri, nato tra maggio e giugno del 1265. A Galatina, città d’arte, esiste la casa di Dante: ricca di oltre tremila cinquecento volumi sulla figura del poeta raccolti nel corso degli illustri studi fatti dal Prof. Aldo Vallone durante la sua prestigiosa attività accademica. Il Salento, parco letterario, dove i luoghi si visitano senza il biglietto ha la casa di Dante, rigorosamente chiusa al pubblico. Il poeta Dante Alighieri è stato per noi la vita della nostra mente e la sua poesia la forza nella luce dell’immaginazione. Nella poesia del poeta fiorentino non esistono parole vuote o bianche esistono invece,

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Spagine Fondo Verri Edizioni

Lettori sfogliano libri in una libreria di Holland House danneggiata da una bomba, Londra, 1940

solo parole piene e precise nella forza del racconto dei volti e dei luoghi del suo straordinario viaggio: inferno purgatorio e paradiso. La grande novità, e più ancora, la modernità della poesia di Dante Alighieri consiste nell’essere stata capace di farsi poesia legata ai luoghi. In essa troviamo infatti accenti e sfumature di lingua diversi dovuti ai numerosi dialetti dell’Italia del suo tempo che il poeta meravigliosamente formulò a partire dal “De vulgarieloquentia”. I suoi versi poi hanno ancora lo stesso valore delle moderne slide: al poeta è sufficiente un verso per rappresentare un volto un luogo la storia di una città. Meraviglia il viaggio trascendentale del poeta, con la guida di Virgilio, ed entusiasma e accende la mente e la forza dell’immaginazione quando il poeta parla della storia dell’uomo, dei suoi desideri dei suoi bisogni d’amore del suo destino impegnato nella lotta del futuro. La poesia di Dante

arriva prima alla mente e poi al corpo il quale diventa lo specchio d’acqua dove la mente spinta dalla forza delle passioni gioca e si raffigura i destini dei mortali. La Commedia di Dante Alighieri è così l’atlante della società dove ogni uomo ha la sua pagina di calendario come narrazione della storia personale. La poesia si ascolta, si scopre e si vive nella voce si sente nel corpo si ama nella lettura. Nei giorni di festa dedicati alla lettura a Lecce tra il 21/05 e il 2/06/2015 leggiamo la commedia di Dante e festeggiamo così il settecento cinquantesimo anniversario del compleanno del sommo poeta. Chi ama un poeta non è mai solo nella vita e così ha vinto la battaglia contro la solitudine: leggere è bene per vivere meglio è questo il modo migliore per festeggiare il compleanno di nascita del sommo poeta. di Luigi Mangia

Spagine è un periodico di informazione culturale dell’Associazione Fondo Verri esce la domenica a cura di Mauro Marino è realizzato nella sede di Via Santa Maria del Paradiso, 8.a , Lecce come supplemento a L’Osservatore in Cammino iscritto al registro della Stampa del Tribunale di Lecce n.4 del 28 gennaio 2014 Spagine è stampato in fotocopia digitale a cura di Luca Laudisa Studio Fotografico San Cesario di Lecce Programma delle Attività Culturali della Regione Puglia 2015 Artigiana - La casa degli autori


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in agenda


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della domenica n°74 - 10 maggio 2015 - anno 3 n.0

’60 Riddim l’esordio dell’etichetta discografica fondata da Andrea Di Maria

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Insieme a te nel progetto c’è Elena Lobardo, come è nata questa collaborazione? Questa collaborazione è nata dalla voglia di promuovere e sostenere anche le altre realtà presenti sul territorio italiano. Elena si occupa di gestire una pagina facebook e una sezione magazine del sito in cui cerca di dare risalto ai lavori made in Italy. Come nasce Rising Time Production e L'amore per questa musica è a 360° e coperché l’idea di fondare un’ etichetta struire una rete con tutte le altre realtà discografica? presenti sul territorio lo riteniamo di partiRising Time Production nasce nel 2014, colare importanza. dopo otto anni maturati come musicista in svariate realtà italiane. Al finire di que- ’60 Riddim è il primo lavoro discograsta esperienza ho sentito la necessità di fico, cosa vuoi dire a riguardo? dare il via ad un progetto che sarebbe an- Il '60 Riddim è il primo lavoro dell'etichetta dato a svolgere quel compito spesso tra- e per tale motivo abbiamo proposto un scurato dagli artisti e cioè quello della brano alquanto atipico in termini di suono cura di un prodotto discografico dalla sua e produzione. Il riddim è stato interanascita fino alla sua finalizzazione e con- mente registrato in studio in collaboraseguente distribuzione, promozione etc. zione con la Beska Roots e il Key One Con questo progetto diciamo che riesco studio di Milano. Il primo lavoro volevo a completarmi e a fondere tutte le com- partisse dalle origini e avesse un suono petenze acquisite in questi anni con più old. Per i lavori futuri naturalmente quelle che appartengono al mio passato proporremo un suono più odierno e al passo con le nuove tecnologie. un po' più remoto. Nel 2005 ho conseguito una laurea in Gli artisti che hanno partecipato sono economia aziendale. Sista Namely, Andy Mittoo e Beska Roots, cosa vi ha spinti a scegliere Perché la musica reggae? La musica reggae era l'unica via possi- proprio loro? bile... é l'unico amore che ho conosciuto La scelta è avvenuta in modo al quanto all'età di 15 anni e che da allora non ho naturale. Per la sua natura armonica e la mai tradito. Sono un suo fedele ascolta- sua struttura il brano richiedeva la presenza di artisti provvisti di doti canore in tore e fanatico. senso tradizionale. Sista Namely, Andy al Salento a Milano con il nuovo progetto di Andrea Di Maria, musicista e produttore discografico, con la partecipazione degli artisti Andy Mittoo, Sista Namely e Beska Roots.

musica

di Alessandra Margiotta Mitto e Beska Roots sicuramente avevano le giuste caratteristiche per l'intento preposto.

Come consideri la scena reggae italiana? La scena italiana è ormai ricca di artisti e addetti ai lavori di altissima qualità e professionalità. Tantissimi gli artisti che destano l'interesse di pubblico e promoter al di fuori dei confini nazionali. Purtroppo, però, la cultura musicale che (non)c'è in questo Paese non consente spesso a questi artisti i giusti riconoscimenti, in tutti i termini, sia economici che artistici. La musica indipendente si trova così spesso a fare i conti con la non sostenibilità economica. In Italia tendiamo troppo spesso a guardare estasiati cosa avviene oltreoceano, non accorgendoci dei valori e i talenti che abbiamo dietro casa. Questa moda e questo approccio hanno un po' pervaso il Paese in generale, che infatti riversa in una delle crisi economiche sociali e “psicologiche” peggiori dall'ultimo dopoguerra. Bisogna tornare a valorizzare il made in Italy nel settore musicale come altrove. '60 riddim è disponibile su tutti I digital store. Contatti:

www.risingtimenews.com e sui social https://www.facebook.com/risingtimenews https://www.youtube.com/user/1risingtime1 https://soundcloud.com/risingtimeproduction


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La memoria del potere...

della domenica n°74 - 10 maggio 2015 - anno 3 n.0

libri - andateli a cercare

Cosa lega l’assassinio a Genova di Carlo Giuliani con quello in Somalia di Ilaria Alpi? La madre dell’uovo” è il titolo del romanzo di Giulio Laurenti, per le Stellefilanti di Effigie edizioni. Nel lancio del libro leggiamo: «Cosa lega l’assassinio a Genova di Carlo Giuliani con quello in Somalia di Ilaria Alpi?» Parrebbe un noir e invece è una vicenda realmente accaduta. Due storie che s’incontrano: quella di un ragazzo in rivolta contro la brutalità del potere, con il destino di una giovane giornalista che sette anni prima, in Somalia, indagava sul traffico di rifiuti tossici. Perché il fotoreporter testimone non parla? Quale segreto lo lega agli avvoltoi che roteano attorno ai due giovani protagonisti? Ogni generazione crede di essere la prima a ribellarsi a una realtà ingiusta, ma il potere ricorda chi si ribellò in passato e sa quindi prevedere chi lo farà in futuro; per questo colpisce con precisione. Quale ombra getta questo intrigo sulle odierne forze dell’ordine d’Europa? Il romanzo si interroga sulla capacità delle immagini di svelare o di nascondere ciò che inquadrano. Di fronte alla rappresentazione della violenza, rileva le responsabilità tanto del fotoreporter quanto dell’osservatore nell’assumere un punto di vista: se quello di chi la esercita o quello di chi la subisce.

in agenda - maggio dei libri

La New Page

L

La copertina del libro

In mostra a Genova a Cavallino e a Lecce

L’invito dell’esposizione di Genova dedicata a Rolando Mignani inaugurata lo scorso venerdì in mostra fino a lunedì 11 maggio

a Biblioteca Comunale G. Rizzo di Cavallino su iniziativa di Giovanna Rosato ospita, dal 2011, la prima mostra antologica del movimento letterario New Page, dal 2012 ha avviato il progetto New Page under 20 coinvolgendo le scuole secondarie di primo grado di Cavallino e Castromediano (progetto poi ampliato ai comuni di Carmiano, Nardò, Campi, Collemeto, Galatina, su iniziativa e cura di Monica Lisi), per il Maggio dei Libri propone per tutto il mese una ulteriore mostra dedicata al progetto New Page under 20 e due antologiche del movimento New Page, la prima presso la Biblioteca G. Rizzo, la seconda visitabile presso gli spazi di Monnalisa HG a Lecce in via A. Galateo 59. Tutto ciò in contemporanea all'antologica proposta dall'artista Vincenzo Lagalla a Genova presso Former Cultura.


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della domenica n°74 - 10 maggio 2015 - anno 3 n.0

in agenda

ecocentrico

Lunedì 11 maggio, alle 10.30 nella sala convegni del Palazzo della Cultura a Poggiardo sarà presentato il progetto Starter Game recupero e trasformazione di una discarica abusiva in località Cuti Spissi a Poggiardo a seguire la visita nel luogo dell’intervento

S

i conclude lunedì 11 maggio alle 10:30 il laboratorio multidisciplinareEcocentrico” condotto dagli artisti Antonio De Luca, Ingrid Simon e Fernando Schiavano (Gruppo Starter), progettato con l’ass. culturale Calliope Comunicare Cultura, finanziato dalla Provincia di Lecce - Piano di Attuazione Provinciale per l'Ambiente e realizzato grazie alla collaborazione degli Assessorati alla Cultura e all’Ambiente del Comune di Poggiardo e il Liceo Artistico “Nino Della Notte”. “Starter game” è la preparazione del campo per dare luogo al paesaggio, è una scommessa, sintesi di un insieme di riflessioni e ipotesi di intervento maturate nell’arco del laboratorio con l’obiettivo di recuperare e trasformare un luogo degradato e di restituirlo alla comunità come spazio pubblico con una nuova forma e identità.

La locandina/invito dell’appuntamento

Tra marzo e maggio di quest’anno il gruppo di artisti ha incontrato gli studenti del Liceo Artistico, insieme a loro ha esplorato i luoghi dell’abbandono e dello scarto sul territorio, tra discariche abusive e territori incontaminati, visitando il centro di raccolta differenziata e scoprendo il giardino di Pippi, un uomo che ha raccolto e accumulato pietre ed oggetti di ogni tipo. Il Gruppo Starter ha elaborato interventi di rigenerazione di luoghi e innescato processi di sensibilizzazione, permettendo uno sguardo rinnovato sulle potenzialità degli scarti. In contatto continuo con l’amministrazione comunale, attenta alle problematiche ambientali ma impotente rispetto all’incuria, ha sviluppato linee di azione in zone critiche del territorio con l’obiettivo di rendere visibile e restituire allo sguardo l’inguardabile, mostrare a chi nasconde alla vista l’immondo, appendere sul filo come panni stesi ogni singolo rifiuto ridandogli una possibilità

di riuso e interrompendo quel meccanismo che porta a buttare la spazzatura ”là fuori“ perché un là fuori non esiste. Malgrado, infatti, la presenza di un ecocentro funzionale si continua ad abbandonare in angoli di campagna rifiuti di ogni tipo che in modo esponenziale divengono vere e proprie discariche nettamente in contrasto con la bellezza del paesaggio. Nell’ecocentro Starter ha osservato la presenza di oggetti in ottimo stato destinati al macero, da qui la proposta di creare un filtro ulteriore di differenziazione per la realizzazione di un luogo di raccolta e catalogazione di oggetti da ridistribuire o scambiare gratuitamente, la “Boutique Ecocentrique”, struttura in grado di diminuire la quantità di scarti e generare nuove forme di scambio. Per info cell. 3388321161 mail: calliopeufficiostampa@gmail.com


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San Cataldo della domenica n°74 - 10 maggio 2015 - anno 3 n.0

luoghi del salento

di Rocco Boccadamo

N

on è ancora partita la stagione “ufficiale” dei bagni, tuttavia in questa mattinata d’inizio maggio si respira un’aria particolarmente invitante, proprio da mare. Siffatta sensazione passa automaticamente a tradursi in stimolo irrefrenabile, sicché, senza pensarci su oltre, basta una corsa in auto di dieci minuti per guadagnare San Cataldo, il lido tradizionale, maggiormente di casa, dei leccesi. C’è gente, ma non folla; degli stabilimenti balneari, appena uno, piccolo e carino, inaugurato pochi anni addietro, si presenta aperto e funzionante. Una comoda sedia con tavolino d’appoggio per la consumazione del canonico “espressino”, occhieggiando, nel frattempo, verso la battigia adiacente, dove un catamarano dai bianchi e cospicui triangoli di velatura candida se ne sta adagiato, pronto a prendere a solcare, di lì a qualche istante, la calma distesa, tappezzata di fasce alterne color verde bottiglia e verde smeraldo. All’orizzonte, non lontano, procede lentamente un’altra imbarcazione ad alberi, più grande, in assoluto relax ovvero con rinuncia alla naturale spinta del vento. Si tratta, ad ogni modo, di un ulteriore segno che il periodo delle vacanze è quasi alle porte. Stuoli di bimbi sono già intenti ai giochi sulla rena, pacifici, senza gli strilli che si abbinano alla confusione; non ci vuole molto perché si determini a raggiungerli anche la piccola Elena, la quale vive abitualmente a ben altra e più fredda latitu-

dine, con secchiello e paletta datile in prestito dal gestore del bagno. Soprattutto, c’è la gente comune, i grandi, visitatori per stimolo alla stregua dello scrivente, occupanti i tavoli vicini, presi a parlare di cose varie, in verità non solamente di gossip. Un omone intorno ai sessant’anni, torso nudo con prominente tamburo addominale, accento non di queste precise parti, tiene letteralmente banco, esperto su tutto. A richiamare la mia attenzione, in particolar modo, un preambolo in dialetto pronunciato con enfasi dal personaggio, non comune e diffuso, che è tutto un programma: “Comu sente la ndora” (in italiano, non appena sente l’odore). Lungo il Canale d’Otranto, predica l’uomo, dominano esclusivamente due venti, tramontana e levante, i soffi dalle restanti direzioni sono un’inezia, qualche anno addietro, addirittura, fu tramontana fissa dal 1° al 23 d’agosto. I proprietari delle barche ormeggiate al circolo nautico si limitavano, perciò, ad avvicinarsi ai rispettivi natanti, li accarezzavano, toglievano qualche strato di polvere e salutavano. Di salpare, manco a pensarci. Signori, aggiunge il nostro, se si vuole una situazione diversa, bisogna portarsi dalla parte opposta del Tacco, a Gallipoli o a Porto Cesareo. I commenti passano, quindi, sulle previsioni relative al turismo estivo 2015; al riguardo, nota il tuttologo, che a Torre dell’Orso e a San Foca, dove da anni sono stati realizzati importanti insediamenti ricettivi, s’incontrano turisti provenienti da Roma, Milano, Torino e il Nord Italia in ge-

nerale e si crea movimento. A San Cataldo, invece, ci s’imbatte esclusivamente in persone di Lecce, Surbo e Trepuzzi, per il semplice motivo che non c’è nulla. Finanche la piccola darsena è lasciata traboccante di sabbia, al punto da impedire le entrate e le uscite dei pescatori. Da lontano, insomma, arrivano solo sparuti proprietari di caravan o roulotte o amanti del soggiorno in tenda. Attenti a tali discorsi, un altro uomo, testa rasata, maglietta nera con scritta “cotton & silk”, occhiali griffati e due signore vistosamente imbellettate, quasi si trovassero in una strada dello struscio o in un locale del centro cittadino. Intanto, sul risicato e scarsamente popolato tratto di spiaggia, sembrerà strano ma è così, non mancano di materializzarsi le ormai familiari figure di “vu’ cumprà”, in particolare arriva a sfilare una giovane donna morissima, alta, vera e propria statua con tanto di turbante e, soprattutto, in funzione di vera e propria vetrina espositiva di un negozio. Reca con sé decine di generi di mercanzie, appese alle mani e alle braccia, ciondolanti dal collo e, infine, appoggiate e veicolate con perizia, anzi vera e propria capacità acrobatica, sul capo. Un’immagine d’ordinaria e palpitante umanità, invero più ricca e indicativa rispetto a mille discorsi e pensieri. Fra queste sequenze di visioni, ascolti e osservazioni è scivolata la breve parentesi del primo approccio pre estivo con il mare.


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I

l 5, 9, oggi 10 e prossimamente il 16 e 17 maggio, dalle 19 alle 22, Palazzo De Gualtieriis a Castrignano de' Greci ospita «‘NA COTTA DE PANE appunti per una geografia possibile» un’installazione - gustativa e visiva, tattile e sonora, spaziale ed emozionale - frutto di una ricerca lungo le tracce sedimentate da Kuja, Kujatu, Plamma, Sceblasti, Pilla, Luccia e Kuturusciu per una delle geografie possibili della Grecìa Salentina, a cura di Cucina Meridiana, Maira Marzioni e Corrado D’Elia.

Pane condito: che lo si chiami Kuja, Kuiatu, Plamma, Sceblasti, Pilla, Luccia, Kuturusciu è questo il sapore che ci siamo dati come guida per disegnare un cammino che unisca i comuni della Grecìa Salentina oggetto del progetto InCul.Tu.Re. Ancor prima che un sapore questo pane condito, è un atto. Agricolo. È l’atto comune delle mani che raccoglievano intra lu limmu i resti di pasta di pane e lo trasformavano in profumata esoterica cola-

zione o strumento di solidarietà e scambio.. Questo atto agricolo/sapore ci aiuterà a disegnare una delle geografie possibili di questa terra. Perché anche il cibo segna tracce. Segna luoghi. Disegna cammini. Deposita sedimenti. E racconta storie. Storie che osservano passato e tracciano futuri possibili. Sono le persone, le loro storie che abbiamo osservato attraverso questo cibo. Si aprono così in ogni morso, in ogni persistere di sapore, visioni su modi di fare comunità, su modelli di economia, su storie di lingue antiche, su relazioni tra comunità sedimentate nelle parole. Si manifestano ancora, nuove storie a supporto dell'idea che i cibi fanno comunità. E che le comunità sono numerose geografie possibili. Questi sono gli appunti che abbiamo preso. Questo è quello che vorremmo restituire. Con bellezza. Sempre, con sapore. Il materiale restituito è ancora parziale e lacunoso in alcuni aspetti, visto lo stato embrionale della ricerca. Tuttavia è parte integrante del progetto, la volontà di condividere i diversi momenti di avanzamento restituendolo al pubblico facendolo “reagire” di volta in volta con la sensibilità di un artista diverso. In questa occasione l'umanità sin qui raccolta sarà raccontata grazie alla collaborazione con Maira Marzioni e Corrado D'Elia, artisti della parola nello spazio. Il progetto

La ricerca all'interno della quale il progetto si inserisce è quella che Cucina Meridiana sta portando avanti legata alla tematica cibi che fanno comunità. Il tema centrale del progetto ‘Na cotta de pane (la cotta era la quantità di farina che si ricavava dalla molitura di un quintale di grano) è il primo passo di una osservazione e registrazione della trasformazione dei modi di vita e delle usanze delle comunità residenti nel territorio di riferimento. L'obiettivo è quello di rintracciare tratti comuni, differenze e buone pratiche comunitarie che possano fornire eventuali strumenti, dati, suggestioni e informazioni generatori di conoscenza e di nuovi sguardi verso futuri possibili.

La traccia da cui partiamo e che viene parzialmente restituita in questa installazione è la diversa denominazione dello stesso atto alimentare e agricolo nei diversi paesi considerati: Kuja, Kuiatu, Plamma, Sceblasti, Pilla, Kuturusciu sono i nomi differenti con cui si chiama il pane condito esito di questa comune pratica. Ad una prima osservazione di superficie propedeutica alla ricerca, seguendo questa traccia, come sempre accade in questo tipo di lavoro, abbiamo incontrato modalità, socialità, ritualità, linguaggi, luoghi e pratiche comunitarie difficili da preventivare. Vagare nei territori, incontrare le persone, cercare le tracce delle strutture antiche o esistenti: questo è quello che abbiamo cominciato a fare.


della domenica n°74 - 10 maggio 2015 - anno 3 n.0

in agenda

‘NA COTTA DE PANE

appunti per una geografia possibile nomico ha segnato nell'alimentazione delle comunità un particolare carico seAlcuni nodi/appunti sono emersi dall'in- odierna dei componenti queste comunità. mantico? Quale? Queste testimonianze ovviamente raccontano qualcosa - molto contro con questo atto agricolo/pane condito ed hanno concentrato la nostra 3. Questo pane condito coinvolge nelle - sul cibo e sulla comunità. osservazione. sue storie altri luoghi ed edifici insistenti sulle comunità: frantoi e mulini. Olio e fa- Questi cinque nodi/appunti sono quelli da 1. Molte delle prime testimonianze incon- rine. Uliveti e campi di grano. E le relative cui muoveremo la ricerca e su cui basetrate fanno riferimento ai forni in cui questi economie e relazioni comunitarie. E ci remo la traccia della mappatura di una pani venivano cotti. Emerge che questi porta in dono altre storie di ulteriori prati- delle geografie possibili che andremo osluoghi, pubblici o privati, esprimevano che di quotidianità che per tracce e sen- servando. delle relazioni comunitarie che sono an- tieri differenti si riconducono sempre nella Sono questi appunti iniziali che qualificano l'installazione che abbiamo allestito date mutando fino ai giorni nostri, at- convivialità saporosa del pane condito. nel castello De Gualtieriis a Castrignano tuando una relazione di reciproca influenza: il cambiare delle relazioni co- 4. Tutte le persone incontrate in fase di dei Greci, intesa come momento poetico munitarie mutava le pratiche lavorative ed definizione della ricerca, con le loro pa- di condivisione, informazione e consapeeconomiche intorno al forno e viceversa role ci hanno accompagnato in un am- volezza. E buon augurio per la ricerca. il progresso tecnologico all'interno del biente comunitario pervaso da buone forno produceva mutamenti nelle pratiche pratiche: buone pratiche agronomiche, Perché di storie vissute e di umanità si comunitarie. Dietro questo movimento di buone pratiche alimentari, buone pratiche tratta, ringraziamo col cuore e con un abcambiamento si può leggere, e noi cer- relazionali, etc. Abitare queste buone pra- braccio condiviso: cheremo di farlo, anche la dinamica che tiche ci mette a confronto con questo ulha portato all'attuale concezione del rap- teriore nodo che maneggia un passato Giovanni Pellegrino porto tra mondo pubblico e mondo privato proiettando luce e fiducia in un futuro Fede Concetta Centonze e alle pratiche che ne conseguono. possibile. Sono pratiche che, se riabitate, Concetta Caputo offrono una ulteriore possibilità di essere Luigina Dimitri Famiglia Chiga 2. Parallelamente l'osservazione degli in- comunità oggi e domani. Cosimo e Eleonora Mastrolia gredienti che compongono i diversi pani mostra le criticità legate al rapporto con- 5. In maniera evidente emerge anche il Vito Bergamo temporaneo tra alimentazione e stagio- nodo/appunto linguistico. Le differenti pa- Renato Colaci nalità e tra materie prime locali e di role che nominano i pani conditi ci por- Salvatore Palamà importazione, e quindi apre anche lo spa- tano materiale per intraprendere una Circolo Ghètonia zio alla riflessione, osservazione ed even- osservazione sul grìko, sul dialetto, sui si- Lorenzo Tundo tuale catalogazione delle varietà di gnificati, ricercandone però le implicazioni Lucia Assunta De Rinaldis cereali antichi e di ortaggi autoctoni. Tra- comunitarie e non quelle prettamente lin- Vito D'Elia spaiono chiaramente, ad occhi adde- guistiche. Quello che ci siamo chiesti e strati, le direzioni che una determinata che intendiamo chiedere è: la parola che modalità di sviluppo comunitario ed eco- nomina quel pane porta per i componenti


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COPERTINA

della domenica n°74 - 10 maggio 2015 - anno 3 n.0

Katër i Radës, ritorno in Albania

D

opo il successo ottenuto a La Biennale di Venezia nell’ambito della 58° edizione del Festival Internazionale di Musica Contemporanea diretta da Ivan Fedele, dove ha debuttato lo scorso ottobre in prima esecuzione assoluta, Katër i Radës. Il naufragio, l’opera da camera con la regia teatrale di Salvatore Tramacere e il testo di Alessandro Leogrande commissionata dalla Biennale di Venezia al compositore albanese Admir Shkurtaj è andata in scena in Albania grazie al sostegno di Teatro Pubblico Pugliese / Puglia Sounds, Fondazione Gramsci di Puglia e Istituto Italiano di Cultura di Tirana, in collaborazione con l’Istituto di Culture Mediterranee delle Provincia di Lecce e Tirana Open – The Book and Arts Festival. Lo scorso venerdì 8 maggio lo spettacolo è andato è stato rappresentato presso l’Accademia delle Belle Arti, sala concerti Bulevardi Deshmoret e Kombit, di Tirana nell’ambito del Book and Arts Festival. Il Festival è un evento annuale dedicato all'arte contemporanea, alla letteratura e ad altri eventi culturali. Nato in occasione della Giornata mondiale del libro sotto la

H

guida di Edi Rama, Primo Ministro della Repubblica d'Albania e del Ministero della Cultura in memoria di A. Klosi editorialista di spicco, giunge quest’anno alla sua seconda edizione. *** Lo spettacolo racconta l’affondamento nel Canale d’Otranto della motovedetta KATËR I RADËS carica di 120 profughi in fuga dall’Albania, in seguito allo speronamento da parte della corvetta Sibilla che ne contrasta va il tentativo di approdo sulla costa italiana. In quel Venerdì Santo del 1997 morirono oltre 80 persone (31 avevano meno di 16 anni). La vicenda è diventata tragico simbolo dei “boat people” alla ricerca di un paese che restituisse loro la libertà e la dignità di esseri umani. Uno spettacolo che coinvolge per la sua immediatezza evocativa, senza giudizi e senza retorica, in cui Shkurtaj rivive la tragedia in prima persona esprimendosi ben oltre l’estetica del suono. Una forza di partecipazione che diventa invenzione sonora, musica dai suoni graffianti. *** L’opera, adattamento letterario di Alessandro Leogrande tratto dal suo precedente romanzo-reportage Il naufragio (Feltrinelli 2011, Premio Ryszard Kapuściński e Premio Paolo Volponi), è

teatro

una coproduzione fra la Biennale di Venezia e Koreja e vede in scena gli attori di Koreja e alcune giovani promesse della musica e del canto contemporaneo dirette da Pasquale Corrado. In scena anche il coro polifonico albanese Violinat e Lapardhase. L’Albania rappresenta un’occasione per Koreja per raccontare a suo modo quella silente umanità che ogni giorno cerca di ricominciare la propria storia in un altrove migliore. *** […] Kater i Rades – sostiene Alessandro Leogrande - non vuole essere un'opera della memoria. È piuttosto il tentativo, attraverso la musica, di liberare l'universo umano di chi è andato incontro a una delle tante tragedie del Mediterraneo: quella di una piccola motovedetta albanese, stracarica di uomini, donne e bambini, affondata nel marzo del 1997 davanti alle coste italiane. Nell'atto unico si affollano i sommersi e i salvati, chi è sopravvissuto e chi è scomparso, le loro voci, i loro pensieri, e soprattutto il loro viaggio verso il buio, pieno di grandi ansie e piccoli desideri, sogni e paure, digressioni, apparizioni, improvvise rammemorazioni. [...]

W LA MAMMA (?)

pensamenti

o sempre avuto delle perplessità sulla Legge 40 e la procreazione assistita, ma quando si avvicina la seconda domenica di maggio, divento ogni anno più fanatico. Rifletto. La scienza, che in questi ultimi anni sta compiendo passi da gigante, otterrebbe un grande risultato se vincesse la lotta al cancro, l’ultimo e temibile male ancora non debellato. Ma dopo aver sconfitto il tumore, secondo me, un’altra grande conquista per l’umanità, sarebbe la riproduzione per partenogenesi, come avviene per le piante e gli animali (Gea, nella mitologia greca, genera per partenogenesi Urano, cioè il Cielo, ed anche Atena nasce per partenogenesi da Zeus, uscendo già armata dalla testa del padre; così Era, moglie di Zeus, secondo alcune versioni, mette al mondo diversi figli partenogenetici). Gli esseri umani, cioè, si riprodurrebbero senza contatto sessuale fra maschio e femmina e senza bisogno della fecondazione per le uova. Ovviamente, la partenogenesi dovrebbe essere esclusivamente maschile (androgenesi). Questo non solo farebbe venir meno la stucchevole e consumistica festa della mamma ma, ancor meglio, spazzerebbe via la categoria stessa della mamma, che tanti danni, da Edipo a Freud, ha prodotto nella storia dell’umanità. Lo so, può sembrare irriverente, eversivo, dissacrante, cinico, disumano. Ma non è così. Anche il tossicodipendente pensa di non poter mai fare a meno della sostanza, ma poi, una volta che è fuori dal tunnel (“lellelle…”), guarda al suo passato come un incubo e tira un sospiro di sollievo. Dunque, le generazioni future ne trarrebbero solo vantaggi.

Paolo Vincenti


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