Spagine della domenica 76

Page 1

della domenica n°76 - 24 maggio 2015 - anno 3 n.0

Periodico culturale dell’Associazione Fondo Verri

spagine Un omaggio alla scrittura infinita di F.S. Dòdaro e A. L. Verri


spagine

della domenica n°76 - 24 maggio 2015 - anno 3 n.0

Uno sguardo dalla scuola

S

l’opinione

di Gigi Montonato

Una vera riforma sarebbe il ritorno alla scuola media diversificata i può dire tutto di Renzi, voglio dire tutto il male o tutto il bene che si vuole, ma non gli si può non riconoscere la sincerità o la tracotanza, a seconda di chi valuta, che quando vuole prenderti per il culo te lo dice in premessa. In questa sua paccottiglia di riforme riformate (riformate nel significato militare di non idonee), emerge sempre il suo approccio di marketing, facendo sembrare come cosa epocale e straordinaria una pappa riscaldata, al massimo rifatta come le frittatine di spaghetti o di verdure avanzati dal giorno prima. La riforma della scuola non fa eccezione. Sbagliano i professori ad allarmarsi per il preside sceriffo o sindaco, per stare nello statuto renziano; sbagliano perché essa non registra nessuna sostanziale novità. É dalla seconda metà degli anni novanta del secolo scorso che la scuola è un’azienda, una specie di bazar dove trovi di tutto. Basta guardarli sulla facciata gli istituti scolastici: sembrano super mercati con le proposte promozionali. La carne di vitello costa tanto; il grana costa tanto, le banane… e via di seguito. Una volta tanto evviva gli studenti che scrivono le loro fregnacce sulle pareti e riportano i luoghi al loro essere scuola. La trovata, poi, degli istituti comprensivi è la più grande minchiata di questo mondo. Nessuno sa più dall’esterno se è un liceo classico o uno scientifico, un tecnico commerciale o un tecnico industriale, un liceo artistico o un liceo musicale; comprensivo l’istituto di tutto, dai bambini della scuola materna ai ragazzi della maturità. Se uno vuole immaginarsi come può essere rappresentato il disordine metta il naso nella scuola. Ancora una volta soccorre la fortuna di professori e alunni, che nel chiuso delle aule, dove non entra la politica, fanno quello che devono fare. E’ così che vengono fuori anche le eccellenze soprattutto nell’ambito delle discipline scientifiche. Non è un caso. La scienza, infatti, non

consente distrazioni di altro genere, come purtroppo accade sul versante umanistico-letterario o storico-filosofico. Abbiamo ragazzi stupendi, che vincono le olimpiadi di matematica e di fisica, che lavorano nei laboratori scientifici di Germania, Inghilterra, Stati Uniti, Cina, Giappone. Lo dico con rammarico, essendo stato io per quarant’anni docente di discipline umanistiche. Metodi e programmi di queste discipline sono stati devastati, spezzettati, ridotti a moduli, come mobili componibili. Dicevo: sbagliano a preoccuparsi i professori; piuttosto continuino a svolgere il loro compito di educatori e formatori di uomini, di cittadini e di professionisti, attingendo alla loro millenaria esperienza, sapendo che la scuola finisce sempre in ultima analisi per essere Socrate e discepoli. Poi, è chiaro che essi devono rispettare e collaborare col dirigente, il quale, se non è un caporale di giornata, sa che deve spendersi coi suoi collaboratori, che sono i docenti, se non vuole andare incontro a guai seri. In Italia abbiamo avuto due vere riforme scolastiche, quella di Giovanni Gentile del 1923, che provocò scioperi e manifestazioni contro in tutta Italia ed ebbe tempo, grazie al duraturo autoritarismo fascista, per raccogliere i frutti, e quella del 1962 della scuola media unificata. Anch’essa ha consentito, per l’affermarsi e il perdurare di uno pseudo pensiero egualitario, di raccogliere i frutti. Ma, a differenza, della riforma Gentile, dall’architettura ordinata e organica, quella del ’62 della scuola media unificata, ha dato l’avvio ad un progressivo svilimento della scuola, attestandosi su un livello, ancora irraggiungibile per molti alunni non dotati o non interessati a continuare gli studi, e mortificante per quelli che dotati hanno bisogno di più impegnativa preparazione per continuare oltre, ai licei, agli istituti superiori e alle facoltà universitarie. Insomma, per alcuni è troppo; per altri troppo poco: scontenti gli uni e gli altri. Una simile condizione si è trasferita inevitabilmente alle scuole supe-

riori. Così per molti ragazzi la scuola ha costituito una tortura continua in quanto esposti ogni giorno a mortificazioni ed umiliazioni davanti a professori e soprattutto a compagni di classe di loro più bravi o più interessati. Una recente indagine dell’Ocse ha registrato che gli studenti più infelici di tutti i paesi dell’Europa sono gli italiani. E lo credo bene! Come si può sentire un ragazzo che di essere interrogato non ne vuol sapere ma intanto è costretto alla frequenza e dunque esporsi all’iniuria della verifica? La vera riforma in Italia è la restaurazione della doppia scuola media, come del resto è in alcuni altri paesi dell’Europa. Solo così si potrebbero rivedere i programmi, i metodi di insegnamento, gli obiettivi da raggiungere. Solo così i ragazzi sarebbero lieti e festosi di frequentare; interessati ad apprendere. Invece sta accadendo in questi giorni che i sindacati, che comunque fanno il loro mestiere e non distinguono davvero tra metalmeccanici e insegnanti, e i professori stiano mettendo in subbuglio il paese per una riforma renziana, ossia da niente. Cosa vogliono i sindacati? Che gli oltre centomila precari vengano assunti a tempo indeterminato, come se fossero immigrati arrivati sulle nostre coste per scampare alla precarietà del lavoro e non già professionisti con abilità, conoscenze e competenze. E i professori che vogliono? I precari, che sono i più esagitati, di sistemarsi – cosa umanamente comprensibile – e gli altri hanno paura del preside sceriffo. Una paura, questa, che rivela ancestrali italiche fobie, che evoca l’uomo nero, il vecchio, i turchi, il gatto mammone, personaggi dell’immaginario popolare infantile. Ma un cittadino o un professionista che si rispetti non ha paura nemmeno delle cose reali, figurarsi di quelle inventate. Il preside-sindaco è una trovata di Renzi o di qualche renziano, nient’altro che un’altra trovata propagandistica, un altro pernacchio soffocato.


spagine

della domenica n°76 - 24 maggio 2015 - anno 3 n.0

l’opinione

Non meritano il nostro voto

M

i sento pieno di rabbia e sono sgomento, quando leggo e sento i tanti “cerberi” della politica d anche fra gli intellettuali che: la sentenza della Consulta sul blocco delle pensioni del Governo Monti è da intendersi come un intervento a gamba tesa nei conti pubblici e come una invasione nella politica. Questi personaggi sono quelli uguali al “Cerbero” del sesto Canto dell’Inferno do Dante: “Cerbero, fiera crudele e diversa,/ con tre gole caninamente latra/ sopra la gente che quivi è sommersa”. Sono tutti personaggi che non hanno nessuna moralità, nessun senso verso lo Stato, nessun rispetto verso le nuove generazioni perché nei fatti non sono per niente disposti a rinunciare ai loro benefici: pensioni d’oro e indennità per ricordare solo le “medioevalità” più presenti nelle cronache dei giornali. La legge Fornero ha bastonato i lavoratori e ha creato molti problemi e tante ingiustizie. La morale dei politici che si sciacquano la bocca è ridicola e penosa: il decreto Monti infatti fu approvato a larghissima maggioranza quindi da quasi tutti i partiti. Ora le bandiere e i comitati di assistenza per i ricorsi contro il Governo Renzi, per avere i soldi come stabilito dalla Consulta, sono una risposta deludente e amara. Renzi ci rapina: ci dà due miliardi, mentre abbiamo diritto a diciotto. Ci prende in giro, non ha rispetto della nostra pazienza, il Presidente Renzi infatti ci propone: cinquecento euro il primo agosto, una una tantum buona per le ferie ma nasconde una vera

rapina. Abbiamo scritto, consumando quintali di inchiostro, che: le sentenze della Consulta si rispettano. Mi chiedo perché la sentenza sulle pensioni della Consulta non si deve rispettare, applicare, assecondare nelle raccomandazioni della Corte e invece, fra le righe si devono cercare i cavilli interpretativi per operare la rapina a danno dei poveri pensionati. E, quale lezione di legalità è quella di un Presidente del Consiglio dei Ministri che invece di rispettare la Consulta si preoccupa di criticare di tagliare le unghie ai giudici per poi rapinare il popolo dei pensionati? Lo Stato che rapina il popolo e calpesta la legalità mi appartiene, mi vede lontano e contro. Io sono per quella forma di Stato in cui i cittadini si identificano, si sentono, si vivono nell’appartenenza. Lo Stato vive e mantiene la forza della legge. La società vive e gode del rispetto della legge. Il governo che rapina, che abusa e che non rispetta la legge, è un governo che calpesta e offende i cittadini. Io sono contro Renzi, il Presidente abusivo della democrazia al governo senza il mandato elettorale. Per esprimere il mio convinto dissenso politico ho una sola arma quella del voto la devo usare nelle prossime elezioni regionali. Il 31 maggio non andrò a votare per protestare e per avere il rispetto della legalità: la sentenza sulle pensioni della Consulta. Invito i cittadini e tutti i pensionati a seguire il mio gesto: questi politici non meritano il nostro voto. di Luigi Mangia


S

spagine ulle nostre coste continuano ad arrivare carrette del mare cariche di disperati, in fuga da belluini conflitti, da persecuzioni cruente. La situazione è grave ed emergenziale. Federica Mogherini, Alto rappresentante per gli Esteri dell’Unione europea, intervenendo recentemente all’Onu, ha fatto un appello per evitare altri stragi di immigranti nel Mediterraneo: “I migranti e i profughi non saranno mandati indietro. La Convenzione di Ginevra va rispettata”. Non si può più indugiare, tergiversare. L’Europa delle banche, la Comunità internazionale, i vari Stati ( non solo l’Italia) devono farsi carico della questione. Sono necessarie più che mai operazioni pacifiche e diplomatiche nei Paesi d’origine della gente in fuga per tentare di ripristinare equilibri.

della domenica n°76 - 24 maggio 2015 - anno 3 n.0

contemporanea

Governare l’accoglienza

Completamente fuori strada sono quei gruppi politici, che vorrebbero chiudere le frontiere e addirittura mandare indietro l’umanità migrante, ricacciandola nella bocca del leone. Siamo stanchi, nel nostro Paese, della propaganda di bassa lega di Salvini ed epigoni vari. I flussi non possono essere fermati, ma solo governati e disciplinati. La società multietnica e multiculturale è un dato di fatto, perché i popoli da sempre sono in movimento. L’Italia è una terra di confine, di frontiera, aperta alla bellezza migrante. La scommessa antropologica della modernità è quella di favorire con discernimento l’interazione, l’integrazione, la civile convivenza. In un‘era di globalizzazione che avanza, il mondo si è ristretto sempre più: si può davvero vivere assieme pacificamente. Mettendo da parte ogni inasprimento religioso e ideologico, ci si può incontrare fra gruppi etnici diversi e prosperare. Certo, occorre massima apertura e condivisione. La tematica è di ampio spettro, di vastissimo respiro, perché bussa direttamente alle porte dell’Unione europea, sovente distratta e inadeguata. In Italia, non dobbiamo essere egoisti, ma realisti. Da noi c’è gente che arriva. C’è chi da tempo risiede nel nostro Paese e fa funzionare la nostra economia. Tutti gli Stati europei, come auspicato anche dal presidente Mattarella, dovrebbero spalancare le braccia a questa straordinaria umanità, che merita attenzione, protezione, rispetto. È necessario superare le paure insensate, gli irrazionali e pericolosi stereotipi, le vulgate demagogiche di certi propagandisti, che vedono nell’altro da sé un potenziale nemico, una minaccia. La civiltà occidentale è in cammino e non ci si può fermare a innalzare steccati, quando il mondo reclama la costruzione di ponti.

di Marcello Buttazzo

Due opere dell’artista Yinka Shonibare


spagine

della domenica n°76 - 24 maggio 2015 - anno 3 n.0

corsivo

Prima, dopo e adesso

S

iamo periferia. Arrivano qui echi lontani. Echi degli echi che scambiamo per voci nuove, avanguardie. E sono invece accenti spenti altrove, al termine del viaggio, moribondi, ostie sconsacrate che consumiamo in un rito ormai antico ed estinto come lingua morta. Prima del grande abbaglio, sapevamo di essere periferia. L’arrivo di capitali per zone depresse, la musica di Melpignano, l’esplosione della taranta, il raggamuffin, i balcani, il cinema, l’interesse degli altri verso le nostre risorse, intellettuali e naturali, la mo(vi)da del Salento, Gallipoli capitale gay, la serie A sportiva e chissà cos’altro. Venti anni ci hanno illuso, illusi di essere centro. Restavamo, invece, solo curiosità, tra le tante, per libercoli turistici. Fuori da qui, le identità tanto forti, piovute sulle nostre teste dal cielo, diventavano sfocate, confuse, appiccicate. Anch’io ero illuso tra gli illusi. Ricordo l’immagine e i suoni in quel di Casarano dove, anni fa, ci capitò di incontrare Stewart Copeland improvvisare nel pomeriggio in piazza con i tamburi locali. E sentì la mia voce gridare dentro “tutto è qui, tutto è adesso”. Oggi so che per l’ex Police era un’esperienza tra le

di Nello Neri

tante, in giro per il pianeta. Ma allora sembrò che lui, che noi, avessimo scovato qui l’ombelico del mondo e che non l’avremmo più abbandonato. Quando, cinque anni fa, mi trasferì in Emilia, portai con me tutta la fierezza universale di questa terra, quasi come un attributo personale da aggiungere al mio biglietto da visita. I primi incontri con gli abitanti del Nord ignari sull’esatta collocazione geografica di Lecce, li addebitai a loro grave insipienza. Se la Pizzica, Winspeare, Sud Sound System non appartenevano al loro bagaglio, spiegavo sorpreso e con una certa saccenza. Il tempo mi ha aperto gli occhi. Dopo gli anni emiliani, eccomi di ritorno. Nella mia amata periferia. Con i tamburelli stantii, le biblioteche chiuse, le spiagge sovraffollate, senza musei, senza cinema, senza contatti col mondo, con i medesimi oratori compiaciuti di sé e dei buoi del loro recinto. Chi è sempre rimasto, lo incontro ancora illuso. Illuso di vivere in una capitale. Ma io so. Mio malgrado. E benevolmente lo assecondo. Echi. Echi di casa.


spagine “L’attesa in pronto soccorso s’è fatta estenuante dopo circa 10 ore tra un corridoio e l’altro, tra il turno di un infermiere e l’altro e di una guardia giurata e l’altra… sul finire dell'attesa ho iniziato a documentare alcune delle “soluzioni” grafico/pittoriche, presenti in qualsiasi angolo e suppellettile dell’ospedale

Pronto soccorso grafico

di Efrem Barrotta

P

er “allietare” la mia permanenza, qualche settimana fa, nel Pronto Soccorso di Lecce, dopo qualche ora in attesa per una visita di mio padre, ho iniziato a fotografare alcune soluzioni grafiche interessantissime e degne di una molto più approfondita documentazione di quella che vedete qui. L’ospedale di Lecce in effetti si è rivelato un luogo ricchissimo di particolari da osservare con attenzione (ma forse neanche poi tanta attenzione, poiché le cose sono così visibili…). Non parlo delle particolarità architettoniche, sia dell’esterno che dell’interno dell’ospedale (strade dissestate ancor più che in città, muri decadenti, parcheggi selvaggi, segnaletica interna pressoché inesistente o fuorviante, condizioni igieniche discutibili…), ma di quello che mi ha “colpito” (per utilizzare un eufemismo) e che ha attirato la mia attenzione da “grafico”. Insomma, l’attesa in pronto soccorso era diventata estenuante dopo circa 10 ore tra un corridoio e l’altro, tra il turno di un infermiere e l’altro, e di una guardia giurata e l’altra… e sul finire dell'attesa ho iniziato a documentare alcune di queste attività grafico/pittoriche, presenti in qualsiasi angolo e suppellettile dell’ospedale. Ed ecco che per aiutare gli utenti (e gli stessi dipendenti) dell’ASL di Lecce, si praticano exlibris a spray sulle lettighe, per informarmi che mio padre è disteso su una barella del pronto soccorso (PS

per chi non lo sapesse ancora), oppure con un pennarellone sulla spalliera di una zoppicante, e senza poggiapiedi, sedia a rotelle (3 soltanto) per ricordarmi che sto trasportando mio padre su una sedia del reparto di Ortopedia; e ancora (siamo alla biro su carta), che devi ricordarti di utilizzare lo spazzolino (il mio?) per pulire il cesso dopo averlo utilizzato; che all’ospedale è attiva la raccolta differenziata (in una nota firmata dal direttore amministrativo, imbustata e scotchata su un muro qualunque di un corridoio qualunque); che il bagno è diventato di tutt*, e non per sole donne, per rispettare le pari opportunità; che il bagno uomini invece rimane bagno uomini, e non per tutt*; che è vietato fumare (ci mancherebbe!) ma dove: dentro o fuori dalla porta?…; che il digiuno fa bene all’organismo, ma non al toner della stampante; che è utile spegnere i telefoni cellulari, soprattutto in pronto soccorso, ma ancor di più tra i medici e paramedici; che se vuoi salire al primo piano devi fare attenzione a non pigiare il pusante “R” perché non esiste, poiché devi sapere che alla “R” corrisponde la “A” e addirittura al “piano terra” la “O”… E queste sono soltanto le indicazioni presenti nelle 10 foto che nei 10 metri di corridoio separano i pazienti dal medico che li dovrà (prima o poi, abbiate fede) visitare. Si è vero, il pronto soccorso e l’ospedale in genere sono strutture complesse da gestire e da sostenere, organizzare e mantenere, soprattutto con un viavai di avvenimenti dei più disparati.

Perché durante questo “reportage” si sono succedute in ordine: il tentato suicidio attraverso alcol e cocktail di medicinali di una ragazzina di 16 anni(!), l’arrivo di un esuberante uomo sotto effetto di droghe “significative” che minacciava carabinieri, poliziotti, guardie giurate, medici e chiunque capitasse sotto il suo raggio d’azione (che in 10 metri di corridoio vuol dire chiunque), maledizioni verso le istituzioni di tutti coloro che (compreso il sottoscritto) iniziavano ad aspettare, magari in piedi, già da qualche ora il proprio turno, e, infine e con grande dolore, la morte per insufficienza respiratoria di un uomo (che dio lo benedica) che da pochi minuti era sotto osservazione… e il delirio dei parenti che in decine si sono riversati all’interno del pronto soccorso minacciando di morte ognuno dei medici presenti, commovente epilogo di una tristissima giornata. Ok, la vita dentro un ospedale non è semplice. Ma tutto questo era per dire che, forse, un ambiente che pone attenzione alla comunicazione è un ambiente che migliora la qualità della vita, almeno una parte. Quella parte che ti permette di entrare in casa di qualcuno non dalla finestra ma dalla porta, per farti posizionare nel tuo giusto posto, con i tuoi doveri e i tuoi diritti. Certamente un cartello scritto e posizionato con buon senso non evita atti incoscienti a minorenni in crisi, o minacce di morte al prossimo, o che so io. Ma può essere la base su cui iniziare una corretta comunicazione tra le persone, tra le persone e le istituzioni.


della domenica n°76 - 24 maggio 2015 - anno 3 n.0

accade in cittĂ


La forza è nell’aver fiducia

spagine

L

a parola speciale scelta questa volta dagli alunni della III B elementare di Castromediano è fiducia. Per Gioele, che ha scelto la tecnica dell'acrostico per esternare le sue strofe poetiche,la fiducia irriga di nuova forza i momenti

L

a piccola Giulia opta invece per la poesia libera per esprimere il suo personale pensiero riguardo la parola speciale fiducia. Bellissimo il suo incipit: "La fiducia non si

della domenica n°76 - 24 maggio 2015 - anno 3 n.0

mmsarte

oscuri della nostra vita illuminando di nuove speranze il mondo. La fiducia induce a non aver paura perfino di accarezzare un istrice che potrebbe addirittura, lanciare aculei d'amore e giammai pungenti! Infine fiducia è ancora di speranza peri tutti coloro che soffrono. L'immagine che ha colpito la piccola Alessia

è l'istrice dagli aculei amorevoli. Eccola quindi produrre un disegno tenero e commovente di un simpatico istrice di cui ci si può sicuramente fidare, perché i suoi aculei non hanno alcuna malvagia intenzione a fare del male, anzi le spine sono cuori pronti a incoraggiare e donare affetto.

compra, la fiducia si guadagna!" e come darle torto? E per meglio chiarire questo concetto, scrive di un gattino che è riuscito a guadagnare la fiducia di un pesciolino rosso, per averlo difeso da un altro gatto che, invece, aveva ben altre intenzioni. Questa storia affascina la piccola Raffa-

ella che, prontamente, disegna un coloratissimo pesce, non più rosso, ma arcobaleno, proprio come i colori della pace, che tranquillo e sicuro sorride da dietro il vetro della vaschetta, al gattino rosso,ormai amico suo, che non permette all'altro suo simile di fargli del male!


spagine

della domenica n°76 - 24 maggio 2015 - anno 3 n.0

emergenze salentine

Paradigma deserto

Un tratto del progetto della SS275 all’altezza di Alessano

storia normale di una strada inutile

Con la prima luce grigiastra l’uomo si alzò, lasciò il bambino addormentato e uscí sulla strada, si accovacciò e studiò il territorio a sud. Arido, muto, senza dio. Gli pareva che fosse ottobre ma non ne era sicuro. Erano anni che non possedeva un calendario. Si stavano spostando verso sud. Lí non sarebbero sopravvissuti a un altro inverno.

Un’ora dopo erano sulla strada. Lui spingeva il carrello e avevano entrambi uno zaino in spalla. Negli zaini c’erano le cose essenziali. Caso mai avessero dovuto abbandonare il carrello e fuggire. Alla maniglia del carrello era attaccato un retrovisore da motocicletta cromato che l’uomo usava per tenere d’occhio la strada dietro di loro. Si risistemò lo zaino sulle spalle e scrutò la terra devastata in lontananza. La strada era deserta. Sotto di loro, nella piccola valle, la serpentina grigia e quieta di un fiume. Precisa e immobile. Lungo la riva un ammasso di canne morte. Tutto bene? chiese l’uomo. Il bambino annuí. (La strada, Cormac McCarthy)

C

ome nel romanzo La strada di Cormac McCarthy, è l’asfalto del tracciato l’unico elemento certo che attraversa uno scenario di devastazione. Un padre e un figlio vi camminano, verso sud, cercano una salvezza, pare. Sembra che provino ad andare giù dove finisce la terra e comincia un’enorme distesa di mare. Non ci sono altri personaggi altrettanto certi quanto quella strada che attraversa il disastro e porta con sé figure terrifiche incattivite dal dolore e dallo sforzo abbrutente di sopravvivere.

Un romanzo questo a cui è difficile non pensare trovandosi di fronte alla storia grottesca della statale salentina ss 275. Una strada di cui si prospetta il rifacimento nel cuore del basso Salento, con un nuovo tracciato che prevede il raddoppio delle corsie da Maglie a Leuca, e una evidente noncuranza dei luoghi su cui passerà, rischiando di far scomparire siti archeologici dalla bellezza millenaria e di eradicare alberi e specie botaniche uniche nel loro genere. Una strada che rischia di snaturare in modo insanabile un paesaggio che può solo rimanere puro simulacro di quello che fu il sud della Puglia, quella finibus terrae di cui Quasimodo nel ‘61 scriveva «Questa è la terra di Puglia e del Salento, spaccata dal sole e dalla solitudine, dove l'uomo cammina sui lentischi e sulla creta. Avara è l'acqua a scendere dal cielo, gli animali battono con gli zoccoli un tempo che ha invisibili mutamenti. I colori sono bianchi, neri, ruggine». E' un frammento del commento che il poeta, nobel per la letteratura nel 1959, affidò all'allora esordiente regista documentarista Gian Franco Mingozzi, innamorato delle tracce di una Puglia arcaica, dalle cui riprese si può respirare la lentezza di una civiltà scandita dal ciclico susseguirsi delle stagioni, e da una eroica pazienza contadina alleata indispensabile di una vita costretta sopra una terra brulla. Lentezza quindi che si è tramandata per certi aspetti come matrice esistenziale di una terra, lentezza che sorregge il sibilo lungo che, come scriveva il poeta Antonio Verri, è il respiro profondo dei luoghi, quel respiro atavico che si può udire solo di mattina guardando la vastità dei campi,

di Milena Magnani

cambia, cambierà di molto, il volto della campagna, degli aggregati umani, di interi paesi:

è cambiato dal dopoguerra ad oggi, cambierà ancora tra due, tre generazioni.

E cambieranno naturalmente anche abitudini modi di lavoro, rapporti...

ecco,

quel che non cambierà mai sarà l'idea del dialogo con la terra che l'uomo ha stabilito dal tempo dei tempi, il grosso respiro. Il sibilo lungo che si può udire solo di mattina, mirando nella vastità dei campi.

Respiro profondo di una terra dunque, che inevitabilmente la società contemporanea tende ad affannare, a dirottare verso angoli residuali del vivere e che trova però la sua contrapposizione più svilente proprio nel progetto di questa superstrada che entra nel ventre prezioso di luoghi storici contrapponendovi logiche avulse dalla loro peculiarità.

Si tratta infatti di immaginare a pochi chilometri dalle magnifiche scogliere di Finibus Terrae, una superstrada di 40 chilometri di lunghezza a scorrimento del traffico veloce, composta da quattro corsie, una superstrada della cui necessità non esistono assolutamente i presupposti, ma grazie alla quale , come nei video giochi GTA Grand Theft Auto dove si interpreta un criminale in fuga, si avrà l’occasione di sfrecciare travolgendo perle archeologiche


spagine

di incommensurabile bellezza, di spianare memorie e muretti a secco, dolmen e menhir per il gusto fine a se stesso di salire su viadotti e ponti, di imboccare gallerie e di sgommare a gran velocità su rotatorie. Sì perché stiamo parlando di una strada su cui la fantasia scriteriata dei progettisti ha pensato di programmare la più grande rotatoria d’Europa, una rotatoria del tutto inutile a ridosso della costa di S.Maria di Leuca, un tipo di struttura che troverebbe la sua ragione d’essere solo se si fosse in presenza di zone portuali ad alto traffico, come il porto di Rotterdam o gli scambi di smistamento di interi distretti industriali. Una rotatoria dal diametro di un chilometro e quattro, che dovrebbe fare pendant con gallerie, circonvallazioni, e persino con un viadotto con 12 campate che supera in altezza una zona collinare rocciosa chiamata Serra di San Dana. Un vero e proprio progetto criminale di deturpazione del paesaggio che vede in maniera disarmante il consenso di tutta la classe dirigente salentina imprenditoriale e politica e, allo stesso tempo, la disapprovazione tenace della maggior parte di associazioni di volontariato e di liberi cittadini del territorio, convinti questi ultimi che di tale mastodontica infrastruttura non ci sia assolutamente bisogno.

Se qualcuno ti parlasse di un mondo che ormai gira sul niente , ti prego, stringi i pugni mangiati il cuore

caccia le unghie e fai capire che volevamo fare della poesia di lotta (Antonio Verri da “il pane sotto la neve)

E proprio a proposito di lotta a raccontarmi la storia di questo ecomostro a 4 corsie è Vito Lisi presidente del comitato spontaneo di cittadini che si oppone alla realizzazione dell’opera, un comitato che prende il nome della strada e grazie alle cui battaglie si è temporaneamente bloccato il lavoro di realizzazione del mostro. E’ lui che mi racconta che la storia della ss 275 è la storia di un progetto nato 20 fa senza mai esser stato adeguatamente adattato al territorio, un progetto che era nato per collegare le zone industriali, all’epoca floride, del basso Salento e rispetto alle quali c’era bisogno di una strada che bypassasse i paesi e consentisse il traffico pesante dei grandi tir. Un progetto che sarebbe dovuto cadere nel nulla nel momento in cui la crisi industriale e la conseguente delocalizzazione

e decidono delle vite di migliaia di persone. Sono i Profittatori.

Ed è proprio di fronte all’evidenza di questo “’profittare” che si forma il comitato spontaneo di cittadini “ss275”, quando le persone cominciano ad accorgersi della portata deturpante del progetto e del fatto che lo stesso comincia ad essere posto in essere scavalcando le regole basilari di legalità. Vito Lisi e gli altri membri del comitato hanno infatti svolto fin dal 2003 indagini approfondite sull’iter burocratico che ha portato all’approvazione del progetto di ammodernamento della statale in questione, e grazie a queste indagini hanno potuto mettere in risalto gravissime irregolarità procedurali e violazioni della legge. La copertina di “nnuova rivista letteraria” Alegre

dell’industria ha fatto venire meno i presupposti stessi di quella infrastruttura. Dice Vito: “se uno oggi va a fare un giro in uno qualunque di quei paesi tra quelli che dovevano essere serviti dal progetto scopre che le fabbriche sono tutte chiuse, sono diventate ricettacoli di rifiuti, ci sono zero posti di lavoro e le aree industriali sono abbandonate. Eppure, pur essendo venuta meno la necessità di movimentare merci e relative materie prime, il progetto di ampliamento della statale ha continuato negli anni a vivere di vita propria, a rispuntare dai cassetti di una cattiva politica, come nei più orribili film di fantascienza dove il mostro si autogenera in modo incontrollabile, il progetto di ampliamento della statale ha continuato la sua pervicace e strisciante esistenza, tesa ad accaparrare e spartire fette il più possibile consistenti di finanziamenti pubblici. Già, perché la storia della ss275 è soprattutto una storia di soldi, tantissimi, con dei capitoli di spesa che ogni volta sono aumentati fino ad arrivare alla modica cifra di 288 milioni di euro”.

Come sostiene efficacemente John Berger nel suo libro Contro i nuovi tiranni (Neri Pozza) esiste nel mondo civilizzato e così detto democratico una nuova specie di tirannia che non ha nulla a che vedere con quella messa in atto dai dittatori del passato. I tiranni di oggi hanno una faccia anonima, vagamente rassicurante, “come la sagoma dei furgoni portavalori”. Sono vestiti in modo impeccabile, hanno capigliature curate, occhi svelti che osservano tutto, orecchie capienti “come banche dati”, e un’insaziabile brama di controllo. Dicono di essere esperti di economia e di politica, ma conoscono solo la legge del guadagno

Tanto per cominciare la progettazione era stata assegnata da Anas direttamente al Consorzio per lo Sviluppo Industriale e dei Servizi Reali alle Imprese (SISRI) che però non aveva al suo interno alcuno studio di progettazione qualificato e così a sua volta ha subappaltato ad una società privata senza passare per nessuna gara pubblica come prevede la normativa europea, il tutto per un importo pari a circa 5 milioni di euro.

Così prima con l’avvocato Giovanni Pellegrino e poi con l’avvocato Luigi Paccione (colui che per intenderci aveva già fatto battaglie legali per il Teatro Petruzzelli di Bari, e per la demolizione dell’ecomostro di Punta Perotti) hanno cominciato un lungo iter di ricorsi e contro ricorsi, una battaglia legale inizialmente segnata da continue sconfitte.

Dice Vito: “Quando ad esempio noi abbiamo sollevato il tema dell’illegalità delle procedure davanti al Consiglio di Stato insieme alle altre associazioni tra cui Coppula Tisa, la risposta del giudice amministrativo supremo è stata quella di negare la legittimità del ricorso fatto dalle associazioni perché le stesse non erano iscritte nell’albo nazionale delle associazioni a tutela del paesaggio. Viviamo in una Repubblica in cui il giudice assume un dato formale dinanzi alla macroscopica evidenza di mancanza di legittimazione di un opera che danneggia un’intera comunità! Ma non solo, oltre al puntuale diniego a veder accolti i propri ricorsi, il comitato si è trovato a dover pagare delle multe che neanche la più raffinata fantasia kafkiana avrebbe saputo ipotizzare, come la multa che ha accompagnato il rigetto dell'istanza mossa da tredici proprietari terrieri (soste-


della domenica n°76 - 24 maggio 2015 - anno 3 n.0 nuti dal comitato) con una sanzione economica perché il ricorso era troppo lungo. Sembra una beffa e invece non lo è. I ricorrenti sono stati condannati alle spese in favore di Anas, Cipe, di tre ministeri, del consorzio Asi, della Prosal, della la Regione Puglia e della Provincia di Lecce, per violazione del principio di sinteticità degli atti processuali, introdotta dall’articolo 3 del nuovo Codice del processo amministrativo. E’ la solita vicenda farsa di un Davide interpretato dal comitato spontaneo dei cittadini ss275 contro un Golia tracotante e gaglioffo capace di pianificare strategie perverse e corrotte per riuscire a controllare le decisioni istituzionali e agire all’interno delle realtà locali come Anas e gli altri enti preposti, al fine di ingrossare il più possibile il proprio portafoglio”.

C’è da dire che di fronte a queste continue sconfitte ci si sarebbe aspettati una resa da parte del comitato ss275 di certo provato dalla vicenda mentre incredibilmente il Comitato ha trovato elementi per aumentare il grado di resistenza civile, e di aumentarne lo slancio raggiungendo un grado tale di impatto da riuscire a fermare temporaneamente la realizzazione dello scempio. Si può applicare a questi cittadini “resistenti” la definizione di “invincibili” nell’accezione proposta da Erri De Luca: “invincibile non è chi sempre vince ma chi mai si fa sbaragliare dalle sconfitte. Invincibile è chi da nessuna disfatta, da nessuna batosta si fa togliere la spinta a battersi di nuovo!

E’ bene poi sottolineare che la forma di protesta del Comitato non si è limitata ad azioni legali, ma si è indirizzata anche verso azioni creative dal forte impatto culturale, come l’organizzazione di passeggiate che si svolgono lungo l’itinerario interessato dal tracciato della nuova ss 275. Queste passeggiate sono diventate dei veri e propri sopralluoghi collettivi e hanno consentito di verificare con mano come l’ecomostro andrebbe ad intaccare antichi tracciati medievali insieme a strutture rurali in pietra a secco (pajare e lamie) e antichi edifici rustici. Oltreché tutti quei luoghi di grande interesse storico archeologico che verrebbero lambiti e in alcuni casi insidiati dalle 4 corsie: in zona di Tricase, la cripta del Gonfalone, un importantissimo luogo di culto di origine bizantina, ricavato in un ambiente scavato nel tenero banco di tufo intorno all'anno Mille; l'insediamento rupestre di Macurano, e nella zona di San

Dana, un'area ricchissima di evidenze archeologiche, tra cui una villa romana dotata di terme, scoperta negli anni '70 del secolo scorso e scavata - nel gennaio del 2001 - da ricercatori dell'Università di Lecce, e una cripta dedicata a Santa Apollonia, decorata da pregevoli affreschi riferibili a diverse fasi storiche. Le passeggiate hanno infine consentito di elaborare quella che si può delineare come una vera e propria mappa dei sentieri che si presume fossero la rotta dei pellegrini che nell’antichità andavano verso i santuari o, come si può ipotizzare, verso la Cripta dello Spirito Santo, un vero enigma per studiosi e storici locali, in quanto si tratta di una cripta che non presenta la classica struttura bizantina di quelle del Salento, e non è intitolata alla vergine né a una determinata tipologia di santi. Mappa di sentieri e di percorsi che permette di pensare anche a una nuova idea di turismo che cammina a passo lento e sostenibile come la tartaruga nella mitica favola di La Fontaine che afferma: “Non serve correre, bisogna partire in tempo." Come dice Ingrid Simon, fotografa e esponente del collettivo artistico Starter, nonché attivista del comitato ss 275: “la 275 è un sintomo di un’idea malata di sviluppo, ma anche la nostra lotta è un sintomo di qualcosa di molto più ampio, di un modello decisamente contrario, alternativo, che parte dal basso ed è destinato a prendere sempre più piede. Grazie a questa lotta abbiamo scoperto altre realtà del nostro territorio, anche agricole, giovani che fanno agricoltura secondo certi principi,

emergenze salentine

siamo riusciti a metterci in rete. Esperienze dal basso come il Parco dei Paduli e il Lua, Laboratorio Urbano Aperto, e tanti altri, ma soprattutto questa lotta ha offerto a tutti noi una possibilità di riappropriarci del nostro territorio in modo più profondo e consapevole”. E’ parlando con Ingrid e di questo modo attivo e consapevole di essere cittadini che mi viene voglia di ascoltare anche la voce di Michela Santoro, la libraia di Alessano, attivista instancabile del comitato ss 275.

Michela ha aperto nel 2004 la sua libreria indipendente Idrusa proprio per intraprendere un suo personale progetto di valorizzazione del territorio attraverso quelle che lei definisce le preziose risorse culturali immateriali. Libreria, la sua, che è subito divenuta un luogo di incontro e socializzazione, ma anche un presidio di legalità, uno spazio aperto alla cittadinanza attiva. Dice Michela: “avevo già avviato l’avventura della libreria quando venni a conoscenza del progetto scellerato di un'autostrada a 4 corsie, una colossale colata di cemento che minacciava il capo di Leuca. Con alcuni cittadini indignati ci ritrovammo a discutere in libreria, a elaborare azioni di protesta, a scrivere volantini informativi. Sono passati quasi undici anni e quel gruppo si riunisce ancora, con l'entusiasmo e la passione di allora. E qualche importante risultato lo abbiamo anche ottenuto. Nel corso del tempo, grazie alle azioni di sensibilizzazione del comitato, abbiamo coinvolto gli artisti e gli scrittori locali che non hanno mancato di aderire al no-

Un disegno dello scultore belga-salentino Norman Mommens (ritratto in alto nella foto) divenuto il simbolo della battaglia del NO alla SS275


spagine

stro appello: Sud Sound System, Officina Zoè, Mino De Santis, Anna Cinzia Villani, Edoardo Winspeare, Stefano Cristante, Omar Di Monopoli e tanti altri... Ma soprattutto, va detto, abbiamo avuto adesioni dal mondo della cultura nazionale: la scrittrice Francesca Marciano, Inge Feltrinelli, Natalia Aspesi, Riccardo Scamarcio, Franco Arminio, Paola Pitagora. E’ l’amore per il patrimonio della mia terra che mi ha spinto a fare la libraia e a farmi promotrice di cultura, tutto questo non avrebbe senso se fossi indifferente agli orrori ambientali che avvelenano il territorio”. Conclude poi Michela dicendo: “in tutto questo percorso di lotta mi sento più che mai legata al romanzo breve di Maria Corti, La leggenda di domani, scritto prima de L'ora di tutti e pubblicato postumo da Manni. Nel racconto c’è un amore profondo della scrittrice milanese per questo territorio colto nella sua bellezza più antica e selvaggia, un amore che corrisponde incredibilmente al mio sentire.” In sostanza il caso 275 e del comitato di cittadini che si è creato per contrastarla evidenzia come una via di uscita dalle logiche mafiose e corrotte della malapolitica dipende anche dal protagonismo della cittadinanza sociale, quella moltitudine della gente che, al di fuori di un quadro istituzionale, si raccoglie intorno a un progetto di resistenza.

Purtroppo però c’è un capitolo nuovo e ancora più tragico che si apre in tutta questa vicenda, un capitolo che fa gridare con ancor più urgenza la necessità di indirizzare le scelte politiche verso una precisa direzione morale e per il bene comune. Infatti, proprio sotto quello che dovrebbe essere il tracciato della nuova strada si scoprono interrate tonnellate di rifiuti tossici, vere e proprie bombe ambientali che la voce del comitato a questo punto chiede di bonificare. Così, osservando con un uno sguardo più disincantato si può vedere come la progettazione del nuovo tracciato mirasse a tom-

della domenica n°76 - 24 maggio 2015 - anno 3 n.0

xxxx

bare sotto il terrapieno del manto stradale centinaia di discariche di rifiuti tossici e nocivi, come risulta dalle tante testimonianze dei pentiti di mafia. Un’evidenza, questa, che vede la instancabile pm Elsa Valeria Mignone in prima fila nell’indagine.

Come mi fanno notare Vito e Ingrid, guardando a fondo un piccolo caso di cattiva politica si scoprono per declinazione tutte le diramazioni che lo collegano a un sistema più ampio corrotto e malavitoso. Con gli occhiali della ss 275, indossati come fossero lenti rivelatrici, si può vedere in modo lucido quel Salento che negli ultimi anni pare sia, in Italia, l’area a maggior incidenza di morti per tumore. Decine e decine sono i siti potenzialmente contaminati dai rifiuti tossici interrati. E l’elenco è noto dal 2001 (belpaese del 30/11/13). Rispetto a tali siti girano link con riprese satellitari: i punti rossi sono le discariche invisibili. Vendola ne ha contate sessanta in tutta la Puglia, ma solo in Salento ne risultano almeno 88.

Mi vengono in mente le performance di Vito Mazzotta, scultore e performer salentino, il quale in un libro sul suo percorso artistico edito da Manni si mostra con il corpo incastonato nella terra, la sua rossa terra salentina, si infiltra nei sui pertugi e nelle sue crepe, si fonde per far corpo unico con essa. Solo che al posto del corpo artistico qui, ora, si devono pensare corpi tossici, barili, colli, scarti industriali. Un sottosuolo che pullula di orrori e che ogni tanto ha escrescenze più o meno mascherate come lo smaltitore di Melendugno, rispetto al quale non è chiaro cosa venga trattato tranne poi raccogliere le testimonianze di chi in passato raccontava che toccando la terra attorno, prudevano i polpastrelli e dove ogni tanto nei terreni agricoli attigui vengono sversati tonnellate di fanghi di depurazione in violazione della normativa vigente in materia di utilizzazione agronomica degli stessi.

Quel Salento dove in evidente conseguenza a tutto ciò, le falde acquifere sono sempre più inquinate, al punto da aver indotto nel terreno un processo di salinizzazione e desertificazione tra i più allarmanti d’Italia, processo che indebolisce le piante e fa da substrato al fenomeno disastroso della xylella, un batterio che infesta i bellissimi ulivi pluricentenari e intorno a cui si fantastica di eradicare un patrimonio di milioni di alberi.

Sì può dire quindi che rispetto all’immagine folclorica e poetica di una terra che fino a qualche decennio fa offriva il fianco a una sua letteratura autocelebrativa, oggi come oggi siamo in presenza di una terra che improvvisamente scarta e devia di lato e porta anche i suoi cantori più accreditati come la poetessa Daniela Liviello a scrivere: spunteranno petali di pietra fango e sasso sorgerà la notte gonfierà marea s’azzufferanno sterpi le ore tradiranno il tempo ventre dissacrato di terra, madre terra disseccata linfa, sangue. Torno torno l’acqua sarà nera, sale la miseria. […] Se questo campo sarà paese in festa cozzeranno santi armati fino ai denti, intorno serpi di paesani sorridenti si svuoteranno casse di laute libagioni sorgeranno lune lunghi denti cani rivolteranno zolle umani contenderanno l’osso

Già, perché quello che accade è che, a saperli leggere, i segni dell’inchiostro diventano sguardo diretto sulla realtà del mondo, e la voce dei poeti veicola più che mai la tragica urgenza di un territorio.

Milena Magnani

*nuova rivista letteraria n.1 nuova serie, ed. Alegre

http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=21327


spagine

della domenica n°76 - 24 maggio 2015 - anno 3 n.0

corsivo

La fantasia fa fede C di Gianni Ferraris

ome per incanto riappare a Torino la Sindone. Visti gli studi fatti sul telo ci si chiede se ancora è il caso di chiamarla “sacra”. Ma questa è roba da credenti, la fede, si sa, è cieca. Anche se la scienza la datò come medievale, i dubbi (per taluni) restano. Sono del 1988 gli esami al carbonio 14 fatti contemporaneamente a Oxford, Tucson e Zurigo che hanno dato esiti identici, tutti la datarono fra il 1260 e il 1390. D'altronde anche all'interno della chiesa ci furono nei secoli opinioni discordanti, Clemente VII ordinò l’ostensione della sindone presentandola come un dipinto, altri papi ne dichiararono l'autenticità, compreso Giovanni Paolo II . Però sappiamo come a volte la chiesa abbia tempi lunghi per decidere, si è arrivati alla fine del 1900 e al solito Giovanni Paolo II per am-

mettere che forse Galileo aveva ragione e che (forse) la terra gira attorno al sole. Ma tant'è, anche Papa Francesco, che piace anche a molti di noi non credenti, ne ha deciso l’ostensione. In fondo un’icona è pur sempre un’icona. Nel corso del ventesimo secolo si sono anche moltiplicate le ipotesi più o meno folkloristiche: Da una fotografia del 1898 qualcuno riuscì a vedere scritte sul lenzuolo, altri in seguito videro figure tridimensionali, monete greche o romane, pollini (sicuramente) di Terrasanta tracce di fulmini, di laser, e ultimamente di esplosioni nucleari. La fantasia viaggia parallela alla fede. A capoletto nelle case dei nonni c’era un’immagine di Cristo, un uomo dei paesi arabi alto, chiaro di carnagione e con boccoli biondi neppure fosse nato in Svezia. Così è entrato prepotentemente nell’immaginario collettivo, non

certo la figura di un arabo scuro di carnagione, con barba e capelli ispidi come qualcuno ha ipotizzato in base a studi basati su sistemi digitali avanzati, decisamente più verosimili. In verità ci fu poi un tal Houston Steward Chamberlain, vicino alle idee nazional socialiste di Hitler, che sostenne come il Cristo fosse ariano, in particolare di origine germano amorita. Un pò come sostenere che Obama ha sicure radici salentine. E i misteri delle cose di chiesa a volte inquietano. A giudicare dalle migliaia di pezzi della croce presenti come reliquie nella varie chiese sparse per il mondo quella croce avrebbe dovuto essere almeno di sei metri di altezza fatta con tronchi secolari. Fidiamoci però, la fede, si sa, è pur sempre fede.


spagine

“Siamo isole nell’oceano della solitudine e arcipelaghi le città, dove l’amore naufraga…” Cigarettes and coffe - Scialpi

“Tu non sei non sei più n grado neanche di dire se quello che hai in testa l’hai pensato te qui non sei non sei nessuno, qui non esisti più se non appari mai mai mai mai in tv”

A

Disturbo?

Non appari - Vasco Rossi

Nella foto il “disturbatore” Mauro Fortini

ll’inizio era Cavallo Pazzo. Ve le ricordate le sue incursioni nelle trasmissioni televisive dove cercava di interrompere la diretta gridando inverosimili proclami prima di essere braccato dalla sicurezza e trascinato fuori? Mario Appignani fece del disturbatore tv una vera professione. Soprannominatosi “Cavallo Pazzo”, in onore del famoso capo indiano dei Sioux protagonista della battaglia di Little Big Horn, riusciva sempre ad eludere i servizi di controllo e fiondarsi sul palco di qualsiasi manifestazione, nello sbalordimento generale. Memorabile, la sua incursione al Festival di Sanremo 1992 in cui gridava: “questo festival è truccato!”. Scopro in rete che negli anni Settanta aveva fondato una banda, Gli Indiani Metropolitani, con cui avanzava delle proposte assurde come “Non più Potere Proletario ma Potere Dromedario”, oppure “Rendiamo più chiare le Botteghe Oscure: coloriamole di giallo”, trionfo del nonsense. Figlio della Roma degli anni di piombo, un’infanzia difficile, adottato da un brefotrofio, alcune condanne per piccoli reati, scrisse anche un’autobiografia, “Un ragazzo all’inferno”, con prefazione di Marco Pannella. Nella sua battaglia contro vere o presunte scorrettezze, imperversò per anni nelle varie trasmissioni come Festivalbar, Azzurro e il Tg1. Mario Appignagni si è spento per un cancro nel 1996. Ad affossarlo definitivamente, ci pensò proprio Pippo Baudo dichiarando: “il suo scopo era di parlare alla gente, anche se non aveva nulla da dire”. Amen!

di Paolo Vincenti

dei cartelli, più spesso restando in silenzio a favore di telecamera alle spalle del giornalista che ne sentiva il respiro sul collo, imbarazzante come un ospite indesiderato, inquietante come un avvoltoio che volteggia sulla preda. Antipatico e irritante, essendo davvero molesto, ha rischiato più volte il linciaggio (celebre il filmato del compianto Paolo Frajese che lo prende a calci in diretta), sia da parte dei cameramen che volevano levarselo di torno, sia da parte della gente. A volte veniva invitato in trasmissione, essendo poi divenuto un “personaggio”. Pubblicava su internet filmati pornografici che lo vedevano protagonista da solo o in situazioni promiscue. Spesso, nelle sue intemerate, esibiva dei profilattici e, per somma contraddizione con i suoi comportamenti privati, fustigava verbalmente la pedofilia. Nelle sue piratesche comparsate, faceva il segno delle corna e inveiva contro i giornalisti e presentatori che cercavano di allontanarlo usandogli violenza. Nel suo sito ufficiale, “Gabriele Paolini, il profeta del condom”, si presentava come un divo del cinema porno e si mostrava insieme ai più noti personaggi del mondo della comunicazione, dello spettacolo e della cronaca italiani. Paolini si autodefiniva: “L'Arlecchino della Tv, agitatore culturale, L'Arsenio Lupin catodico, L'Urlo di Munch, Situazionista Debordiano, Genio sregolato felicemente malinconico.” Tutto ciò fino a quando le sue stramberie e intemperanze non sono state fermate dalle forze dell’ordine, che lo hanno tratto in arresto per sfruttamento della prostituzione minorile. Decine sono i reati e le condanne a suo carico (molestie, diffamazione, calunnia, estorsione, insomma un profilo criminale di tutto rispetto), cosa che renderà credo impossibile un suo ritorno sulle scene. Negli ultimi tempi, sempre in regime di detenzione, lamenta il fatto di non poter sposare il suo giovane compagno, col quale si univa sessualmente fin da quando questi era minorenne.

Poi è arrivato Gabriele Paolini, anch’egli ragazzo problematico e difficile, immortalato in migliaia di trasmissioni televisive in cui faceva il guastatore d’assalto. Probabilmente detiene il record mondiale di incursioni. Autodefinitosi “inquinatore tv”, per tanti anni lo abbiamo visto apparire alle spalle dei giornalisti dei Tg in collegamento esterno, che cercava di farsi sentire, urlando degli improbabili slogans, oppure esibendo Oggi gli epigoni di Paolini (che non a caso lo definiscono “un


?

della domenica n°76 - 24 maggio 2015 - anno 3 n.0 maestro”) sono Mauro Fortini e Niki Giusino. Non potete non averli notati, perché sono onnipresenti dietro le spalle di qualsiasi giornalista o politico che compaia nei telegiornali. Scrive in rete Alberto Samonà: “Sono Mauro Fortini e Niki Giusino, ribattezzato da alcuni “Er cicciotto” per la sua corporatura, i due disturbatori televisivi che, dopo l’era del capelluto Gabriele Paolini, accompagnano le giornate degli italiani davanti alla tv. Sono stati ribattezzati “reporter tragicomici” per il loro modo di fare: non improbabili proclami, ma finte interviste e apparizioni televisive, rigorosamente dietro ai big della politica o dello spettacolo. Mauro Fortini e Niki Giusino sono lo sberleffo in persona: si fanno trovare davanti ai palazzi del potere insieme a decine, a volte centinaia, di giornalisti e, una volta arrivata la “preda”, entrano in azione. E lo fanno nel modo più geniale, cioè prendendo in giro proprio chi si affanna a raccogliere una mezza frase del politico di turno, la parola rubata che fa fare i titoli ai giornali e ai tg. I due stanno a proprio agio in mezzo alla confusione di cronisti e in realtà, le vere vittime delle proprie comparsate, del proprio sberleffo, non sono i politici o gli uomini in vista dietro ai quali compaiono le loro immancabili sagome, ma i giornalisti stessi. E così, Fortini lo si può vedere con la matita in bocca, come se stesse riflettendo, o prendere febbrilmente appunti su un block notes, mentre Giusino, ragazzone poco più che ventenne dall’inconfondibile chioma rossa e dal viso lentigginoso, si immortala mentre parla qualche “big” o fa finta di intervistarlo con un improbabile microfono. Nell’ultimo periodo, Fortini ha anche cambiato strategia, “aggredendo” i politici di turno con improbabili domande. Anche questo è un modo geniale per sbeffeggiare una categoria, quella dei giornalisti, troppo spesso vittima di superficialità, espressa da coloro che, interpretando nel modo più letterale l’appartenenza alla categoria stessa, nelle proprie interviste formulano domande assurde e spesso fuori luogo. Per non parlare dell’atteggiamento da assedio con cui i cronisti circondano sovente gli intervistati, per carpire da questi anche le virgole, per non farsi sfuggire nulla. E così, al Gabriele Paolini cantore di improbabili battaglie sociali, si sono sostituiti i disturbatori che non disturbano, ma che mettono in luce la crisi di un sistema che fa dell’immagine la propria essenza …”. In particolare Mauro Fortini rivendica la propria originalità rispetto a Paolini, definendosi un “presenzialista”, e se nelle interviste gli chiedono perché lo faccia, egli risponde che vuole battere il record mondiale di comparsate, attualmente a quota 40.000 circa. Perciò sta ben attento a non prendere alcuna denuncia, anzi a farsi ben volere sia dai politici che dai giornalisti , che Fortini chiama “colleghi”, ai quali spesso passa delle imbeccate, bighellonando tutto il giorno fra i palazzi del potere e sapendone a volte più di loro. Fa ogni giorno la stessa vita da tanti anni. Si alza presto e parte dal suo piccolo paesino in provincia di Roma. Penna in mano, block notes intonso e registratorino scarico, compare e compare, macinando chilometri fra Palazzo Madama e Palazzo Chigi, fra le sedi di partito e il Campidoglio, Montecitorio e la sede della Rai. La sera fa ritorno a casa per godersi il frutto del suo lavoro grazie ai videoregistratori che hanno registrato tutto il giorno dal suo televisore. Per mantenersi, fa il prostituto, come ammette candidamente, intervistato da Enrico Lucci a “Le iene”. Va a pagamento con le vecchie in fregola. Niki Giusino spesso e volentieri affianca Fortini ed adotta la medesima tecnica, stesso profilo basso da incursore discreto, presenza silenziosa davanti alle telecamere. Molto giovane, confessa di non aver studiato e di vivere di espe-

l’osceno del villaggio

dienti. “Quando c’è una telecamera, l’istinto di apparire prevale”, dice nell’intervista a”Le Iene”, e poi confessa che il suo sogno è quello di fare il postino per Maria De Filippi in “C’è posta per te” o anche l’opinionista in “Uomini e donne”. Entrambi sono stati definiti “cantori della mediocrità del sistema nel quale viviamo”. In questa sorta di ginepraio di psicolabili del tubo catodico, una segnalazione spetta anche ad Annarella, la vecchietta che si esprime in romanesco e manda a quel paese tutti gli esponenti politici. Annarella non fa dei blitz, è divenuta un personaggio suo malgrado, perché filmata da “Blob” e anche per via di alcuni giornalisti che l’hanno scoperta e“utilizzata” nei servizi. Poi c’è Mario Ferri, in arte “Falco l’invasore” che vediamo spesso fare incursione nei campi di calcio durante le partite di campionato. Insomma, essere non basta, bisogna apparire, disturbare per farsi sentire: questo il desolante messaggio che ce ne viene. Mauro Fortini e Niki Giusino ci indicano il binario morto su cui deraglia il treno impazzito del nostro paese. Ma cos’è che spinge questi teleincursionisti a farsi riprendere dalle telecamere, a divenire fenomeni sociali, macchiette, di questa caotica società? Cosa porta i giovanissimi writers a imbrattare con frasi scurrili i muri delle città? La solitudine, forse, la più spaventevole e obbrobriosa solitudine, certo. Una solitudine forzata, imposta dalla vita, non desiderata, principio e causa dell’aridità e del vuoto del vivere odierno. Non una solitudine creativa, quella che porta l’uomo ad isolarsi volontariamente per cercare l’ispirazione, per saggiare le profondità della propria esistenza, per capire le ragioni di una scelta, di una sconfitta o di una vittoria, oppure per meditare, per pregare. Una solitudine, invece, ottundente, spaurente, una condizione di esclusione che a lungo andare può diventare patologica e portare alla depressione, che dunque procura sofferenza, disagio, alienazione. La solitudine che porta Harry Haller a diventare “Lupo della steppa”, la solitudine di Giovanni Drogo protagonista del “Deserto dei Tartari”. Essa non è solo di chi non è riuscito a formarsi una famiglia, di chi non ha un compagno/compagna, e non ha amici. Il consumo massivo di sesso a pagamento in Italia dimostra che pure tantissima gente sposata, con figli e apparentemente realizzata, è perseguitata da questa sofferenza. «Ognuno sta solo sul cuor della terra / trafitto da un raggio di sole: / ed è subito sera», dice Salvatore Quasimodo. Anche chi occupa ruoli sociali ad altissimo livello (un esempio tra tanti: il giornalista Piero Marrazzo, ex presidente della Regione Lazio), può essere inseguito da questa lacerazione. Andare a trans, per esempio, sconfinando in esperienze estreme, di sesso violento, è una sorta di psicopatologica “livella” sociale, culturale, sessuale. Un male sottile, che si annida fra le pieghe dei giorni ordinari, che può deflagrare in scoppi di mortifera follia, e che porta per esempio un infermiere di Secondigliano, Napoli, ad accoppare il fratello e la cognata e poi andare sul balcone e sparare all’impazzata alla gente di sotto. Nessuna azione surrealista però, né futurista, né dadaista: solo il cancro dell’esclusione sociale, del moderno nichilismo. È l’urlo nel buio per farsi coraggio, il grido di aiuto dell’uomo che si sente solo nell’universo, come in “Solitudine” di Ungaretti. È l’ostracismo del gruppo dei pari, che divora soprattutto i giovani e giovanissimi, ma anche il dirigente e l’operaio, il professore e l’artigiano, il politico e l’attacchino, l’anchorman televisivo e la casalinga alcolizzata. Come scrive Pierpaolo Pasolini: “Io non so frenare quest'angoscia che monta dentro al seno; essere solo.”


spagine

della domenica n°76 - 24 maggio 2015 - anno 3 n.0

in agenda - musica

Oggi, domenica 24 maggio al Teatro Comunale di Novoli

Bea

Andrea Sabatino

A

Oggi - domenica 24 maggio, alle 21.00 - dopo alcuni concerti a Roma, Bari e Taranto, Andrea Sabatino presenta i brani di Bea, al Teatro Comunale di Novoli (ingresso 7 euro). Il nuovo progetto discografico è prodotto dall'etichetta salentina Dodicilune, distribuito in Italia e all'estero da IRD e nei migliori store digitali. Il concerto è realizzato in collaborazione con Comune di Novoli, Teatro Pubblico Pugliese, Factory compagnia transadriatica e Principio Attivo Teatro.

ndrea Sabatino è certamente una delle risorse musicali della nostra terra, ha iniziato a suonare la tromba giovanissimo, a soli cinque anni... a nove intraprende gli studi musicali presso il Conservatorio “Tito Schipa” di Lecce, e nel 1999, appena diciassettenne, consegue il Diploma in tromba con il massimo dei voti. Una solida formazione classica per preparare l’incontro fatale con la musica improvvisativa e il jazz, un gusto musicale raffinato che molto concede all’ascolto. Bea contiene sette composizioni originali di Sabatino (Made in Salento, Conviction, Joking whith jazz, Bea, Mr Carucci, Blues Andrew, Bea reprise) che si muovono tra jazz, ballad, bossa e blues. Completano la track list le cover di “The eye of the hurricane” del pianista statunitense Herbie Hancock e “Giochi di luci” del trombettista Marco Tamburini. «Le prime note del disco cominciano a diffondersi nella stanza con un calore e una energia tipicamente salentina pur rispettando quella che è la tradizione del linguaggio jazzistico», scrive nelle note di copertina lo stesso Tamburini. «La parola d’ordine di questo quintetto non può essere altro che groove.

La sezione ritmica, potente, precisa, affiatata ed elegante insieme ad una front line che guida le melodie con sicurezza e maestria ti trascina, un brano dopo l’altro, in un viaggio concreto e determinato interpretando al meglio l’idea musicale delle composizioni». Nel disco il quintetto del trombettista salentino è completato da Gaetano Partipilo (sax alto e soprano), Ettore Carucci (piano), Francesco Angiuli (contrabbasso) e Giovanni Scasciamacchia (batteria).

«Virtuoso e tecnicamente versatile, Sabatino ha presto maturato un sound particolare e personale di natura prevalentemente hard bop con forti venature di mainstream jazz, ma con una grande apertura verso le musiche “altre”», sottolinea Gabriele Rampino, direttore artistico dell'etichetta Dodicilune. «Bea, sua seconda prova da leader, è un disco swingante e generoso, che ripassa il vocabolario del jazz straight-ahead, ama il climax latin tinge, percorre con classe la ballad, trasuda passione. A testimoniare il talento fuori dal comune di Sabatino basti il suo assolo nel brano che introduce il progetto, spedito a cento all’ora col fraseggio della tromba in avanti, in uno scintillio di note così rapide e perfettamente eseguite da spingere l’improvvisazione (e tutto il gruppo) sull’orlo del free. Tuttavia>, prosegue Rampino, «Bea propone un Sabatino ancora più creativo, all'apice della maturazione tecnica e stilistica. Il suo “Another Quintet” è infatti contraddistinto da una vena di effervescenza, di irriverente prestanza tecnica, di coesione e di grande impulso, con una cifra che richiama il Quintetto di Freddie Hubbard con James Spaulding prima ed Eric Dolphy poi».


spagine A colloquio con Federico Cimini

C

della domenica n°76 - 24 maggio 2015 - anno 3 n.0

musica

Il passato che guarda al futuro

hi è Federico Cimini? Federico Cimini è uno che scrive le canzoni che canta. Vietato usare il termine “cantautore” nel 2015, perché si rischia di essere preso per pesante, impegnato, comunista, e accostato sempre al passato, con quel fascino dal cantautore vintage che non solo scrive canzoni ma ha anche qualcosa da dire. Io invece voglio mantenere quel fascino più ignorante dell'artista che scrive canzoni che non significano niente (che vanno molto di moda negli ultimi tempi) e che a fine concerto hanno una schiera di ragazzine a rincorrerli. Non nascondo che fino ad ora non ci sono riuscito: la gente mi fa i complimenti per i testi che scrivo e, soprattutto, ai concerti non si batte chiodo. Direi che l'obiettivo è fallito. Nasci in Calabria ma ti sposti a Bologna, da dove nasce la necessità di questo viaggio dal Sud al Nord? Avevo voglia di scoprire nuovi ambienti, la città, la comodità di un cinema sotto casa, di una piscina. Tutte quelle cose che in un paesino spesso non trovi. Però avevo anche voglia di affacciarmi alla musica con curiosità, imparare, contaminarmi, scoprire nuove realtà. E per fare tutto ciò ho utilizzato la scusa dell'università. E' anche vero che, una volta trasferitomi al nord, ho imparato ad apprezzare e ad amare la mia terra di origine, dove mi piace tornare quando posso, soprattutto in primavera, quando si può fare un aperitivo affacciato sul mare. Niente di più bello.

“Pereira” è il tuo secondo album, un grande traguardo per un giovane cantautore come te. Come è nato questo lavoro discografico? Pereira è nato dalla volontà di scrivere qualcosa di leggero, fresco e arioso, un po' come l'aperitivo sul mare. Volevo trattare dei temi anche attuali e seriosi ma in maniera pop e

di Alessandra Margiotta

senza giudizi: avevo delle storie da raccontare e le ho messe insieme. Il collante è stato il periodo in cui sono nate tutte queste storie, un periodo di cambiamenti, crescita, scelte di vita. Mentre accadeva ciò leggevo un libro, un romanzo di formazione, in cui si assiste alla mutazione del protagonista dall'inizio fino alla conclusione, quindi mi ci sono immedesimato. Nello stesso tempo stavo scrivendo un brano molto personale a cui, però, non riuscivo a dare un titolo. E alla fine ho deciso di chiamare questa canzone, e successivamente tutto l'album, come il protagonista di questo romanzo: “Pereira”.

Cosa è cambiato da “L’importanza di chiamarsi Michele”? Quasi tutto: è cambiato il mio approccio alla musica, alla scrittura; è cambiato il periodo storico e anche la necessità della gente di ascoltare canzoni. Secondo me oggi si guarda di più al futuro rispetto a qualche anno fa, e secondo me è una cosa interessante. E parlando di futuro, Pereira è un album basato sul contrasto: lo spiega la copertina piena di colori su una foto di profilo (tra l'altro “importante”) tipica delle copertine degli anni '70 dei grandi cantautori. E' il passato che guarda al futuro, ma è anche uno scontro. L'importanza di chiamarsi Michele era un album che guardava di più alla società in senso politico, era un messaggio di pace, di sveglia, e con quel disco volevo tirare la testa fuori dal sacco dicendo la mia, esponendomi. L'ho fatto, e adesso, con Pereira è il momento di parlare d'altro, in maniera più tranquilla, ma sempre con ironia e provocazione.

Quali sono i tuoi artisti di riferimento? Soffro di monomanie, quindi i miei artisti di riferimento sono vari, ognuno per un determinato periodo o stagione. C'è un mondo che mi appassiona da sempre, che è la cultura italiana del '900, tutta. Da Petrolini a Fedez passando per De Gregori e Fabri

Federico Cimini

Fibra. Sono una persona curiosa e solitamente ottimista, quindi ascolto di tutto e in tutto cerco di trovare quello che mi piace, o anche la piccola caratteristica di un artista che riesce ad arrivarmi in qualche modo. Però non nascondo che ci sono molti artisti che disprezzo.

Ascoltando i brani si sente una forte influenza di Rino Gaetano, è vero? Ho scritto una canzone che parla proprio di questo, si chiama Bruno l'erede di Pino. Parla dell'eredità musicale che viene accostata a tutti noi artisti dai giornalisti e da qualche ascoltatore. E noi operatori di questo mondo fatto di idee e parole da un lato siamo contenti, dall'altro cerchiamo di tenerci alla larga da certi paragoni perché non vogliamo brillare di luce riflessa. Io ho ascoltato Rino Gaetano allo stesso modo in cui ho ascoltato un De Gregori, un Gaber, Battisti, Lucio Dalla o Battiato. Sono quegli artisti che riescono a farmi esplodere dall'interno lacrime o rabbia. Io credo che nel disco siano presenti tutti loro e tutte le sensazioni che riescono a togliermi ad ogni ascolto. Per esempio nell'ultima traccia di Pereira, “Il mondo diverso”, io ci vedo quella disillusione che solo De Andrè ha potuto insegnare. E' una cosa naturale.

Ci sono già nuovi progetti? Ci sono sempre nuovi progetti e non vedo l'ora che ne vengano altri. Intanto voglio godermi il disco, il tour, e tutte le nuove idee che mi verranno in corsa, tra videoclip, concerti e altro. Mi sono accorto che Pereira, sin dall'inizio, è un disco in continua evoluzione, quindi sicuramente succederà qualcosa di bello e diverso. Detto ciò ho anche altri progetti, come riuscire a comprare un pc nuovo, una chitarra, trasferirmi, ingrassare e fare in modo che a fine concerto si creino le schiere di ragazzine a rincorrermi.


ll pittore Bernardino Greco e i carmelitani di Nardò di Fabio A. Grasso

B

ernardino Greco, copertinese, pittore (1648-1730). Di questo prolifico artista fino a pochi anni or sono scarne erano le notizie biografiche e ancora meno si sapeva di quanto ampia potesse essere la sua sua produzione artistica. A quest'ultimo aspetto in particolare si è cercato di dare una risposta con uno studio condotto in parte con Stefano Tanisi. Un elemento molto utile ai fini del riconoscimento dei modi espressivi ed esecutivi di Bernardino Greco è il ciclo di dipinti presenti nel chiostro del convento di San Francesco di Paola a Grottaglie (Ta) che l'artista autografa e data (1723). Fra le opere più significative si ricorda quanto decora l'interno della cupola (con il suo lanternino e gli ovali sul tamburo) della cappella del Crocifisso nella cattedrale leccese. Attribuibile allo stesso autore potrebbe essere inoltre il ciclo di dipinti raffigurante i paesi della “diocesi” di Lecce collocati in una grande sala del palazzo vescovile. Tali ultime opere sono state riportate alla luce solo recentemente e ancora parzialmente. A consentirne una approssimativa datazione plausibilmente potrebbe aiutare l'inventario redatto alla morte del Vescovo Mons. Michele Pignatelli. Nel documento, datato 20 novembre 1695, alla carta 217 si legge: “ ... al pariete di detta sala vi sono pitture con / l'effigie di tutta la Diocesi di Lecce...”. A questo solo indicativo elenco di opere e a quanto di già pubblicato della ricerca sull'artista, si potrebbero aggiungere, sempre con tutte le cautele del caso e soprattutto in

attesa di ulteriori riscontri, quattro dipinti dei quali: tre collocati nell'ex convento neretino dei Carmelitani e uno ad Oria (Br) nella ex chiesa dei Domenicani. Il primo dei tre a Nardò, ne è visibile circa la metà, occupa in parte uno dei muri perimetrali della grande sala a pianterreno oggi usata per conferenze (Fig. 1); gli ultimi due sono invece collocati in corrispondenza di due pianerottoli della scala che, posta difronte all'ingresso principale del convento, conduce dal piano terra a quello superiore del chiostro. Nella scala il primo dipinto (Fig. 2) che si incontra salendo è molto degradato (ciò inevitabilmente influisce sul livello di attendibilità dell'attribuzione cui solo la fine del restauro potrebbe forse dare maggiore certezza) e quindi poco leggibile soprattutto nella sua parte inferiore (quella rettangolare) dove, in basso a destra, si intravede però una figura femminile dal capo velato sostenere il corpo di Cristo morto; il tema potrebbe essere quello della Passione di Nostro Signore tanto più che nella parte superiore (quella di forma ogivale) si vedono due angeli (le cui forme, meglio leggibili perché meglio conservate, si ritrovano simili nelle opere di B. Greco) che sostengono una colonna fornita della sola sua base. Non è da escludere che altre parti dipinte possano esistere al di sotto dell'intonaco rilevato al momento in cui si è fatto il sopralluogo da cui poi è scaturita questa prima analisi. Nel pianerottolo immediatamente successivo, si vede, anche in questo caso sul muro difronte per chi salisse, un altro dipinto (leggibile in molte delle sue parti) in cui è rappresentata (fig. 3) una Madonna (del Carmine?) che seduta in trono con corona sormontata dal simbolo carmeli-

Fig. 4 - Palazzo dei Celestini a Carmiano

tano e, sulle sue ginocchia, il Bambino, è attorniata da angeli festanti che sostengono una tenda. Da ultimo si segnala la probabile presenza di B. Greco anche ad Oria in quella che un tempo fu la locale chiesa dei Domenicani. Sempre a B. Greco potrebbero a attribuirsi anche quei dipinti che, presenti nel palazzo dei Celestini a Carmiano (Le), sono caratterizzati (Fig. 4) da uno stuolo di bambini che giocando con funi, festoni ed altri elementi rendono vivace l'intera composizione. A Oria, nel primo altare a destra, entrando nell'edificio dalla porta principale, si vede in alto, al centro, un dipinto di forma polilobata dove sono rappresentati tre bambini fra fiori e il simbolo dei Domenicani, un cane che regge la torcia con la bocca (Fig. 5). Ritornando invece al convento carmelitano neretino non si può fare a meno di segnalare una interessante cinquecentesca Annunciazione le cui statue (l'Angelo e la Madonna) sono collocate in due nicchie distinte rispettivamente la prima in quella di sinistra e l'altra in quella di destra guardando la porta principale della chiesa conventuale. L'autore, ancora ignoto, sulla base di confronti stilistici, sembrerebbe essere lo stesso che scolpì il celebre cenotafio degli Acquaviva collocato sempre a Nardò ma nella chiesa di sant'Antonio di Padova. Allo stesso artista potrebbe essere infine attribuito anche un altorilievo raffigurante la Madonna Immacolata fra due angeli (segnalato nel 1567); tale scultura è collocata nella chiesa gallipolina dell'Oratorio del Carmine e della Misericordia. Queste ultime tre opere scultoree in particolare saranno oggetto di un articolo di approfondimento successivamente.


spagine

della domenica n°76 - 24 maggio 2015 - anno 3 n.0

Fig. 1 - Nardò, ex convento dei Carmelitani

Fig. 2 - Nardò, ex convento dei Carmelitani

Fig. 3 - Nardò, ex convento dei Carmelitani

l’arte di costruire la città

Fig. 5 - Oria, Chiesa dei Domenicani


spagine

della domenica n°76 - 24 maggio 2015 - anno 3 n.0

Castro da Enea all’acqua bike

N

accade nel Salento

di Rocco Boccadamo

on si giudichi intenzionalmente irriverente l'accostamento, giacché, da parte dell’osservatore di strada e narrastorie, è anzi avvertito forte il senso di rispetto e di doveroso omaggio nei confronti del passato, tuttavia viene quasi inevitabile mettere in prossimità, nonostante la distanza temporale di millenni, l'approdo sulle coste di Castro dell’eroe profugo troiano Enea e il Gran Premio d'Italia d’acqua bike, che rientra nel campionato del mondo di tale specialità, in calendario, giustappunto, a Castro dal 22 al 24 maggio 2015. Quanto al primo avvenimento, sgorga spontaneo e bello riportare, di seguito, i versi dell'Eneide, al terzo libro, con cui Virgilio descrive l’impatto del famoso esule con le nostre scogliere e lo sbarco: "ci spingiamo innanzi sul mare, tenendoci accosti alle vicine scogliere Ceraunie, da dove è la via per l’Italia e più breve il viaggio sulle onde... e già, fugate le stelle, rosseggiava l’Aurora, quando da lungi scorgiamo oscuri colli e il basso lido dell’Italia... Le invocate brezze rinforzano, e già più vicino si intravede un porto, e appare un tempio di Minerva su una rocca. I compagni ammainano le vele e volgono a riva le prore. Il porto è incurvato ad arco dalla corrente dell’Euro; i suoi moli rocciosi protesi nel mare schiumano di spruzzi salati, e lo nascondono; alti scogli infatti lo cingono con le loro braccia come un doppio muro, e ai nostri occhi il tempio si allontana dalla riva". Si tratta di parole e immagini che, seppure risalenti a un contesto lontanissimo, non necessitano di commenti o chiose. In riferimento, invece, all'evento dei nostri giorni, si scorge tutt’intorno uno scenario nettamente diverso. A parlare, comunicare e conferire un’idea agli astanti, sono i modernissimi strumenti di pubblicità, un’infilata di box o tendoni bianchi a uso delle varie squadre di partecipanti al campionato, un importante assetto organizzativo d’insieme, quest’ultimo in tutto degno e a livello delle grandi competizioni sportive e/o agonisti-

che. Poi, la multietnicità del popolo che anima la manifestazione, con pochi italiani e una grande maggioranza, invece, di stranieri, europei e dei restanti continenti. Chi scrive, pass al collo, ha provato a rivolgere un po' in giro la classica domanda: “What country are you from?”, ottenendo in risposta, ad esempio, Qatar, Portogallo, Martinica, Francia e Polonia, una gamma di provenienze chiaramente non indifferente. Poi, ancora, seguitando a riferire sullo scenario, ecco gli strumenti al cuore della competizione, riduttivamente definibili moto d'acqua, ma, in realtà, veri e propri bolidi dotati d’accentuate potenzialità e prestazioni, fra cui quelle inerenti alle esibizioni acrobatiche, fortemente spettacolari. Forse, sin qui e almeno in Italia, rappresenta uno spaccato ancora giovane e da scoprire questo genere di sport, fa presa soprattutto sul pubblico giovane, come traspare dalla ragguardevole sequenza di moto, un unicum davvero eccezionale, sistemate sulla piazzetta di Castro e, non a caso, catturate con un istantanea. Durante il giro fra i box, mi è stato dato di scorgere nelle adiacenze tre giovani e carine ragazze, sedute tranquillamente su uno dei grandi cubi di cemento che fungono da frangiflutti e intente, più che altro, a conversare. Il curioso ha chiesto anche a loro da dove venissero, apprendendo che erano tutte italiane, una di Bologna, l’altra a Catania e la terza di Lecce: “Che ci state a fare a Castro, siete appassionate di aquabike?” e, in questo caso, così ha recitato la risposta: “Sì, si tratta di passione, ma non unicamente per la specialità sportiva, siamo amiche o fidanzate o compagne di atleti che partecipano alle gare”. * * * E‘ una giornata molto bella, il mare quasi calmo, con i suoi colori cangianti che qui, a onore del vero, sono sempre accattivanti e ti penetrano dentro. Per parte sua, anche il cielo è un vero e proprio spettacolo, le striature di bianche nuvole, che qua e là stazionano o incedono lentamente e leggere, impreziosiscono vie più il manto d’intenso azzurro in alto.

Suggestivo lo spettacolo delle prove degli atleti sulla distesa d'acqua, salutate da applausi specie in occasione di salti e acrobazie fra sbuffi di colonne di schiuma. Notazione doverosa, gli operatori economici di Castro, in previsione e in concomitanza dell’evento, si sono messi a disposizione, a fianco dell’impegno e dello sforzo dell’amministrazione civica, con in testa il sindaco e i suoi stretti collaboratori. Mobilitati a intenso ritmo i vigili urbani insieme con il personale della Guardia Costiera qui convenuto anche da altri centri marittimi della zona.

Accennavo prima agli operatori economici adoperatisi per rendere puntualmente operativi i loro servizi, esercizi e strutture e così fronteggiare l'afflusso degli addetti ai lavori e degli ospiti appassionati di questo tipo di sport. Per citare, ho visto l'esercizio commerciale di Martino, in Piazzetta, con i battenti aperti anticipatamente, lo stesso ha fatto la tradizionale venditrice di frutta; il mitico “Speran Bar” di Lucio, in attesa della definitiva imminente risistemazione negli “antichi” locali propri ricostruiti in uno con l’intero stabile crollato, come è noto, sei anni addietro, ha allestito, per la circostanza, un aggraffiato “balconcino” di servizio semi scoperto con, intorno, una bella platea di tavolini e pure il concorrente e vicino “Bar La Chianca” si è rimesso a nuovo. Da segnalare, infine, che ha anticipato la stagione lo stesso Lido La Sorgente, con Anselmo e figli già in attività. Intanto, fra tutto ciò, mi piace rimarcare che il protagonista dominante di questo sito da sogno che è Castro, nonostante la grandiosità dell'evento sportivo in discorso, e insieme con l’attrattiva inconfondibile esercitata dalle bellezze storiche, architettoniche e naturali complessive, rimane solidamente lui, il mare. Vuoi nelle giornate serene come l’odierna, vuoi quando le condizioni climatiche non sono le migliori, immergersi nelle sue acque o semplicemente fermarsi a goderne la visione, ingenera una sensazione che non è esagerato definire da paradiso.


spagine

della domenica n°76 - 24 maggio 2015 - anno 3 n.0

scritture

Ohi, che nozze!

S

cene dal vivo d’un matrimonio celebratosi in una cittadina pugliese, ovviamente innominabile. Per ambientazione, un’aggraziata piazzetta del centro storico (isola pedonale), resa ancora più suggestiva dal fondale buio tenue delle prime ore della sera, e una prospiciente ed altrettanto graziosa piccola chiesa del diciottesimo secolo. Nubendi, due giovani professionisti appartenenti a buone famiglie e con a fianco redditizie attività commerciali; insomma, tutte le premesse per una cerimonia distinta se non proprio d’élite. Sennonché, ancora una volta, si ha la dimostrazione che la ricchezza, la bellezza e il successo non necessariamente vanno a braccetto con la classe pura, quel volare alto che, prima di tutto, prende l’abbrivo dalla semplicità, dalla naturalezza, dal riserbo e dalla modestia. Veniamo alle sequenze che, secondo il pa-

rere e la sensibilità di chi scrive, si caratterizzano per i toni sfasati e fuori luogo. Mancano pochi minuti all’orario fissato, ma lo sposo non appare presente all’ingresso della chiesa ad attendere la dolce metà. Nessun problema, comunque, il suo arrivo è annunciato di lì a breve dal rombo di un’autovettura, da lui stesso guidata, rombo speciale e inconfondibile, giacché trattasi non di un comune veicolo di media o grossa cilindrata, ma, sentite bene, niente poco di meno che di una “Ferrari” color argento metallizzato. Non c’è che dire, un’apparizione veramente sobria, quasi che avvenga a bordo di una cinquecento o di un calesse. Il secondo fotogramma sfocato, diciamo così, si materializza all’interno del luogo sacro, in pieno rito nuziale. Ciascuno di noi pensa che il culmine del sacramento coincida con lo scambio delle cosiddette “fedi”, ma in realtà, almeno nella circostanza, tale opinione ha un grosso limite, è parziale: difatti, dopo che le comuni fascette d’oro arri-

vano a cingere gli anulari della coppia, lo sposo trae dalla tasca un involucro e presenta, alla ormai moglie, un vistoso, preziosissimo anello con mega brillante, a occhio e croce roba da decine di migliaia di euro. Ciò, beninteso, fra gli oh! di meraviglia della generalità degli astanti, integrati da sommessi risolini e sospiri d’innocente invidia da parte delle invitate giovanissime. Neppure in questo atto, v’è alcuna ombra di ostentazione! Si osserva che certe pacchianerie resistono tuttora, specialmente nei centri medio piccoli; di fronte a siffatta considerazione, sembra tuttavia bene e utile replicare che è giunto il momento d’estirpare completamente le radici di atteggiamenti e comportamenti del genere, in qualunque latitudine e ambiente ci si trovi. E io, che ho criticato l’usanza, introdotta da alcuni anni, dei fuochi d’artificio in seno ai matrimoni!

Calpestiamo il presente

Ripeto, io sono la custode e lei non può stare qui!” “Ma sto leggendo, non faccio niente di male. Sto pure attenta a non calpestare le formiche”. “Mi prende in giro? Lei non può stare qui, c'è il divieto di calpestare le aiuole”. É durata pochi minuti la pace, la vicinanza agli alberi. Stavo solo ripetendo ad alta voce tra gemme di voci di bimbi e richiami di madri. In uno dei pochissimi spazi "verdi" della città. Credevo fossero vietate le buche per strada, le voragini sempre imprevedibili e sorprendenti

di Rocco Boccadamo

di Ilaria Seclì

che si aprono come imbuti infernali sotto il culo dei ciclisti. Credevo fosse vietata la mancanza di rispetto... Per quanto riguarda le aiuole, confesso la mia coscienza era abbastanza tranquilla fino a poche ore fa. Ma voi ve li ricordate i prati di Parigi, Vienna, Praga, Milano, Bologna, Lubiana? Ve li ricordate? Ecco, qui non siamo lì. Attaccatevi al tram del ricordo. Qui è un perenne presente inattuale e reazionario. Quello delle mortifere sorti e progressive e delle aiuole intonse.


spagine

della domenica n°76 - 24 maggio 2015 - anno 3 n.0

in agenda - fotografia

Memoria visiva e luoghi dell’immaginario La prima edizione del concorso fotografico “Tonio Rella”

U

ltimi giorni per iscriversi al concorso fotografico “Tonio Rella” – Memoria visiva e luoghi dell’immaginario, una call aperta organizzata dalla cooperativa sociale “Il Girasole onlus” rivolta a tutti coloro che vogliano raccontare fotograficamente il territorio brindisino conosciuto come la Terra dei Messapi che comprende San Pietro Vernotico, Cellino San Marco, Torchiarolo, San Donaci, Latiano, Francavilla Fontana e Mesagne. Il tema di questa prima edizione del concorso sono i luoghi e i paesaggi rurali, tra poesia e memoria. I partecipanti sono invitati a inviare le proprie opere in formato digitale (jpeg) entro il 30 maggio 2015 all’indirizzo comunicazione@ilgirasoleonlus.it. La giuria composta dalla famiglia di Tonio Rella con la guida del figlio Simone Rella, rinomato fotografo brindisino, selezionerà 10 tra gli scatti più significativi per raccontare il territorio che saranno esposti nel mese di giugno a San Pietro Vernotico nell’ambito di una giornata di approfondimento e riflessione dedicata alla figura ancora poco conosciuta di Tonio Rella e alla sua fotografia. Il concorso si inserisce in un percorso più ampio del progetto “Officine della memoria” nato con un duplice obiettivo: promuovere la pratica fotografica quale strumento di conoscenza della realtà e di costruzione della memoria personale e collettiva e valorizzare la figura di Tonio Rella, storico fotografo sanpietrano scomparso prematuramente 26 anni fa. Antonio Rella (nella foto), nasce a San Pietro Vernotico, in provincia di Brindisi, nel 1954. Scopre la passione per la fotografia a diciassette anni a Milano, nel bagno dell'appartamento del cognato, Pino De Giuseppe, il quale aveva creato in quell'insolito ambiente, una camera oscura artigianale dove sviluppava le sue fotografie. Tonio ne è completamente affascinato e comincia ad acquistare avidamente libri di fotografia e manuali di tecnica

Per il Mediterraneo Foto Festival le immagini di Greco e Manno

Sotto spirito

fotografica. Compie le prime esperienze professionali nello studio fotografico di Mimino Leone, prima a San Pietro e poi a Torchiarolo. Poi, il grande salto: apre uno studio fotografico in Via Stazione a San Pietro Vernotico. La sua attività fotografica riceveva apprezzamenti unanimi e la sua considerazione professionale trova conferme nella collaborazione con Enti pubblici, dal Comune, all'Ospedale; al “Ninetto Melli” di San Pietro Vernotico, mette la sua esperienza a disposizione del reparto di Ginecologia ed Ostetricia, nell'ambito della statistica sui feti malformati. Collabora con diversi pittori locali, Oronzo Consalvo, Nicola Refolo, Mino Agrimi. Tonio è un generoso, non è geloso del suo sapere, è prodigo di consigli, la sua abilità fotografica è a disposizione di chi vuole apprendere il mestiere. Il 24 Aprile 1989 scompare prematuramente a causa di un male. La sua arte continua con Fabrizio De Giuseppe, il figlio secondogenito di sua sorella Edelvais, che fin da piccolo compie un apprendistato significativo nello studio di Tonio ed oggi è uno stimato regista e produttore a Milano. Il figlio primogenito di Tonio, Simone, eredita il genio e l'estro fotografico paterno. Oggi Simone gestisce un proprio studio fotografico - ISO 100 Studio - nella città di Brindisi. Per info: coop.ilgirasole@gmail.com

N

ell'ambito del Mediterraneo Foto Festival di Lecce, presso Palazzo Vernazza a Lecce, la mostra fotografica “Sotto spirito. Quando il tempo è sospeso: la Distilleria De Giorgi di San Cesario di Lecce”, di Giancarlo Greco e Massimiliano Manno, che rimarrà aperta fino al 2 giugno. Prima che iniziassero i lavori di ristrutturazione, che per ora hanno riconsegnato alla cittadinanza uno splendido Parco urbano, Giancarlo Greco e Massimiliano Manno hanno voluto fermare la "magia" che quel luogo (abbandonato improvvisamente) ha custodito gelosamente lontano da occhi indiscreti per oltre vent'anni: gli uffici amministrativi, il laboratorio chimico, le macchine industriali, la torre di distillazione, le officine, il giardino... luoghi che giorno dopo giorno hanno subito il trascorre del tempo e gli effetti dell'incuria dell'uomo, della sua decadenza imprenditoriale. 20 scatti inediti che raccontano con sguardo originale l'opificio tra i più importanti e conosciuti in Italia, caso di studio esemplare dell’imprenditoria meridionale della prima metà del Novecento, luogo di produzione – tra gli altri - della famosissima Anisetta (elisir capace di varcare i confini nazionale e imporsi in Francia, Belgio, Germania, Svizzera e Nord Africa), successivamente monumento dell’archeologia industriale di eccezionale pregio, vincolato dal MiBAC, ma sopratuttto una delle testimonianze più interessanti del lavoro dell'uomo nel '900. A San Cesario, la memoria di una fabbrica operosa che dava lavoro a centinaia di famiglie è tuttora vivissima; è vero, i comignoli sono spenti ma la sua storia è un patrimonio di enorme valore che passa anche attraverso la testimonianza dello stato di quei luoghi prima della loro riqualificazione. La mostra vuole esserei un omaggio sia alle lavoratrici e ai lavoratori della Distilleria ma anche all'anno internazionale dell'Archeologia Industriale, proclamato proprio per il 2015.


spagine

della domenica n°76 - 24 maggio 2015 - anno 3 n.0

in agenda - teatro

Pubblicato il Bando per partecipare al “Viaggio” della Residenza Teatrale di "Ti racconto a capo" - www.tiraccontoacapo.it diretta da Ippolito Chiarello

U

Il viaggio è negli occhi

n viaggio che abbia il sapore del passato e il gusto di un nuovo futuro. “Il viaggio è negli occhi” è, infatti, il tema che contrassegnerà la prossima Residenza Teatrale del progetto Ti racconto a Capo, ideato e coordinato da Carlo Ciardo e Luciano De Francesco, organizzato dall’Associazione Idee a Sud Est in collaborazione con Nasca Teatri di Terra. L’edizione 2015 di Ti racconto a Capo come sempre con la direzione artistica dell’attore e regista Ippolito Chiarello, si svolge lungo un percorso artistico e culturale che parte dal Capo di Leuca: “Inizieremo in-

sieme un nuovo viaggio con gli occhi di nuovi esploratori, muovendoci lungo un cammino sia personale che collettivo – dichiara il direttore artistico- Saremo immersi nei luoghi perché diventino palcoscenico e fonte di ispirazione, seguendo un percorso nei paesi del Capo di Leuca, territori di antichi emigranti e di nuovi migranti”. Per far parte di questo viaggio ed essere protagonisti di un periodo di creazione e formazione all’interno della Residenza Teatrale “Hestia. Il Ventre dei luoghi” che si svolgerà nel Capo di Leuca, con epicentro Corsano, dal 31 luglio al 9 agosto, è necessario partecipare al BANDO di selezione nazionale ed internazione che ha come scadenza il 7 luglio.

L’esperienza artistica, giunta al suo sesto anno, è aperta ad attori, danzatori, allievi in formazione, italiani e stranieri e, più in generale, a tutti creativi attivi che siano interessati a trascorrere un periodo di formazione e produzione. Si avrà come set naturale gli angoli di Corsano e dell’intero Capo di Leuca, i luoghi quotidianamente vissuti dalla popolazione, gli scorci architettonicamente più suggestivi, al fine di unire l’espressione artistica con la rivalutazione delle strade, delle piazze e delle storie, con la convinzione che “Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi“ (Marcel Proust).


spagine

della domenica n°76 - 24 maggio 2015 - anno 3 n.0

incontri

Il “collettivo anna” incontra Nicola Valentino da giovedì 28 maggio 2015 alle 18.00 Loop House in via Angelo Russo 29 (adiacente Piazza Garibaldi) a San Cesario di Lecce

Indentità creatrici

e scarabocchi

Il collettivo anna, in residenza all’Ammirato Culture House di Lecce, inizia la serie di incontri pubblici che continueranno durante il mese di giugno. In questo primo incontro (giovedì 28 maggio 2015 alle 18.00 c/o Loop House in via Angelo Russo 29 (adiacente Piazza Garibaldi) a San Cesario di Lecce) con Nicola Valentino si parlerà di anna, di identità creatrici e di scarabocchi. La cooperativa Sensibili alle Foglie, di cui Nicola fa parte, ha costituito fin dalle sue origini uno specifico ambito di ricerca denominato Archivio di scritture, scrizioni e arte irritata che si adopera per la raccolta e la valorizzazione sociale e culturale di quei linguaggi espressivi che vengono autonomamente prodotti da persone costrette a segnare il passo o perché si trovano in un contesto istituzionale mortificante e afflittivo (il carcere, una istituzione psichiatrica, una casa di cura per anziani, un'aula scolastica, un ufficio, un'azienda, il proprio ambito familiare, la strada). Durante l'incontro esploreremo anche il linguaggio minore degli scarabocchi, segno di contestazione per eccellenza, una scrittura che viene considerata uno scarto ma che quotidianamente emerge e esprime, con un sistema di segni ignoto, una narrazione che ci riguarda ma della quale non ci curiamo. Per maggiori informazioni potete scrivere ad aannablume@gmail.com

pensamenti

N

o1. Beau ciel, vrai ciel, regarde-moi qui Nicola Valentino, sognatore instanca- change! Guardami, cielo bello, cielo vero, come bile, ha scontato la pena dell’ergastolo per fatti legati alla lotta armata degli anni cambio! 70. Ha pubblicato nel 1990 insieme a Renato Curcio e Stefano Petrelli, Nel Bosco Esiste una curva, una traiettoria stellare di Bistorco, una riflessione a più voci immensa e invisibile di cui le nostre sulle forme della reclusione e sui modi di strade e mete possono costituire piccoli sopravvivervi. E’ tra i fondatori della coo- tratti. Immersi in questi proviamo a muoperativa e casa editrice Sensibili alle Fo- verci, restiamo in agguato, in attesa di glie con cui ha pubblicato diverse una metamorfosi, Divenir-qualcos-altro. ricerche e restituzioni di “cantieri”, in cui Entrare in relazione ad immaginari che rianalizza le istituzioni, e i dispositivi che producono zone di autonomia monca,di le animano, attraverso un nuovo metodo istinti, di pratiche e amicizie atmosferida loro creato, la Socioanalisi narrativa. che. Immaginario come movimento E’ anche pittore, animatore di un movi- reale, ritmo di corpi, identità creatrici e mento per la liberazione dalla pena del- pensiero circolare. l’ergastolo e, quotidianamente pratica il Desideriamo osservare e realizzare narTai-chi. razioni nella città che aprano identità, Ecco di seguito il testo che presenta la ri- giornali di idee e di grano, archivi immacerca che il collettivo anna porterà avanti ginari, l’esperienza della durata e dell’alsino al 30 giugno presso l’Ammirato Cul- fabeto con una lamentatrice, immagini di pidocchi, archivi di film sommersi, l’apture House. proccio ad una teoria del cielo, e la festa, traccia di una rotta navigabile, ri-zona, anna pensare l’innesto ed usarne le parole, anna non e’ un gruppo, questo ci spinge alla necessità di condiè una costellazione immaginaria, videre quest’esperienza. un passo di danza e un anagramma, un borborigmo Una ricerca, un naufragio, un montaggio una poesia di kurt schwitters, di studi ed esperienze personali, un tenanna e alberto grifi, tativo di riproduzione di un’idea, l’incontro anna, palindromo e gatta. e’ il nome di mia mamma ed una festa, con parole e corpi, strumenti di lotta.

iveo candore nel tuo volto adolescente, il tuo sangue di ninfa seducente. Quanti folletti pazzi nel tuo bosco notturno, quanti giochi innocenti di inestinta passione. Arancia e limone e gelsomino, reflua memoria il tuo sangue, fiume che scorre. Tempo che corre, percuote il tamburo, scruta il futuro. Il futuro di arancia e limone e gelsomino. Il futuro bambino. Quando i giorni rimasti saranno chicchi di sole e il passato un’inoltrata ferita, rammendata con ago d’amore. Marcello Buttazzo


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.