Passaggi tra/versi primi versi
Serena Ramirez
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spagine
spagine - primi versi 02 - Gennaio 2015
Serena Ramirez Passaggi tra/versi
Spagine è un periodico di informazione culturale dell’Associazione Culturale Fondo Verri di Lecce
“Primi versi” accoglie prove poetiche, sfide, emozioni soprattutto... Sentire che tenta la pagina, necessità che si fanno verso... “primi versi” è palestra di poesia.
M.M.
Spagine
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Passaggi tra/versi Serena Ramirez
Primi versi
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Spagine
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“...forse, sempre, e per tutti, altro non è mai, lèggere, che fissare un punto per non essere sedotti, e rovinati, dall'incontrollabile strisciare via del mondo. Non si leggerebbe, nulla, se non fosse per paura. O per rimandare la tentazione di un rovinoso desiderio a cui, si sa, non si saprà resistere. Si legge per non alzare lo sguardo verso il finestrino, questa è la verità. Un libro aperto è sempre la certificazione della presenza di un vile gli occhi inchiodati su quelle righe per non farsi rubare lo sguardo dal bruciore del mondo - le parole che a una ad una stringono il fragore del mondo in un imbuto opaco fino a farlo colare in formine di vetro che chiamano libri - la più raffinata delle ritirate, questa è la verità. Una sporcheria. Però: dolcissima ... lèggere è una sporcheria dolcissima. Chi può capire qualcosa della dolcezza se non ha mai chinato la propria vita, tutta quanta, sulla prima riga della prima pagina di un libro ? No, quella è la sola e più dolce custodia di ogni paura - un libro che inizia..." . A. Baricco da“ Castelli di rabbia”
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Qualcuno ha detto Che il mondo è di quelli che CONTANO Beh… io non so contare… Però ricordo che da piccola, quando giocavo a nascondino, ero bravissima a nascondermi…
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Bisognerebbe tornare indietro con gli anni per poter essere avanti coi tempi ma spesso succede che si è avanti con gli anni e si torna indietro coi tempi
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3 Gocce di sole Accompagnano un pianto: respiro, guardo, sento, tocco, ascolto e penso. Sono colore, sguardi e silenzio sono pelle vestita di vento. Non sono respiro, non sento più il tempo il cuore vola anche se il battito è spento. Vivere è un lento sussurro un tacito abbaglio pronto a svelare che tutto ciò che non è respiro vivo è amore eterno.
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18/6/2009
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Sei quel cassetto dei ricordi in cui mi perdo per trovarti.
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A te che sei un sole che non splende la stagione ti reclama, a me, qui, stanca. Battiti che ho perso in qualche bel ricordo. Battiti sbattuti all’angolo, emozioni al telefono taciute. Un naviglio già affondato, dichiaratamente naufraga ancorata ad un relitto.
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Ho lasciato il cuore spento In un angolo segreto, l’ho lasciato lì sullo sfondo del silenzio. Tutto intorno girano i giorni, le voci, i passi, i respiri lenti… danzano corrono, si inseguono calpestano anche il vento. Era ancora primavera quando ho visto che era spento. Una penna lì in penombra ha tracciato anche un ritratto. Il nero scuro delle pieghe Intrappolato in un foglio bianco. Per dimenticare ho scritto tutto Per dimenticare ho conservato tutto. Cuore spento, o forse stanco, le carezze un po’ insicure qualche volta le hai assaggiate da lontano, in dissolvenza… ha la mano un po’ più grande, ora forse è troppo esperta questa è timida e sbucciata, quella forte e vigorosa stringe già tra le sue dita la metà della sua vita. E così tutto si placa e le voci e le carezze sono tutte poco o niente e per sfiga o per fortuna tu sei lì … ed il resto si consuma al di là della fessura. Spagine - Primi versi
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Amore mio, quanto fatico a non chiamarti con il nome che è solo tuo. Guarda, è interminabile questo andirivieni per chi, come me, non è mai voluto andare. Ti ricordi, Amore mio? non c’era niente e nessuno oltre te ed io. Dopo di te solo repliche dopo te e me nessun altro Noi nessun altro sogno mano nella mano ad accarezzare piano l’ orizzonte. Tutto il resto, senza Noi, è rimandato a poi.
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Notti sporche Senza strade, è un reimpasto di colori tutto ciò che aspetta fuori. Sporche mani, vuote E riveste asciuga e scalda Questa pelle un po’ imbronciata Scivola … Fa a pugni con le rughe, così unita, lieve copre … copro, involucro che salva piccola scintilla non ti spengo e se ancora, ora sento … timido sussurro di un pugno chiuso. È una notte già sbiancata Nera per orgoglio, sporca per coraggio.
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Provare a respirare il suo profumo Per capire se almeno l’odore Riesce a riscaldare il cuore O un suo frammento ancora intatto. Prendere la voce appena viene fuori E portarla bruscamente In quell’ immagine di ieri Non capire più né le sue parole Non le ascolto Né il mio battito Non lo sento.
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A saziarmi sta sera non c’è voluto niente è sceso giù per la bocca un dolce profumo d’ amore che il solo dire abbuffa.
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Bussa. Dai, aprirò oppure è già aperto e allora entra …dai sorriderò… vai via non ti fermerò, capirò. Resta. …Dai è primavera ed io non scapperò.
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Quante stelle lì attaccate lontane chissà quanto tra loro così sole. Noi ad occhi chiusi qui giù, confusi. Gomito a gomito Giorno dopo giorno siamo noi quelli attaccati ciechi e stanchi non c’è posto, siamo in tanti. È impensabile sapere quel che scorre nelle vene di quel tizio che ogni giorno mano a mano salutiamo. Dalla terra la si vede una stella quando brilla chi lo sa se lì dal cielo c’è qualcosa da guardare, qualcuno di splendido e raggiante che anche il cielo invidierebbe se, una volta sola, per errore con uno sguardo in basso lo vedesse.
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Per un figlio quando alba sarà abbasserò le mani e lascerò andare il cuore. Per un figlio dimenticherò che io, figlia avrei voluto esserlo ancora per un po’. Immaginerò la sua voce già quando, ancora implume, dentro me si cullerà. Sarà il mio corpo ed io il suo respiro. Quando il suo pianto vivo madre mi farà accetterò di nascere ancora e amare ancora… Cancellerò con la luce dei suoi occhi il nero ricordo dei miei “mai più”.
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Certo tepore offuscato silenzio, la cura, il salto, ogni corolla si tinge di pianto. Il sorriso, pallido, infranto combatte, sussurra non vede rimpianto. L’ odore scompare nel lungo vagare, il cucciolo cade, perde il sentiero … e si scontra col cielo. Si affanna, si stanca, aggroviglia i pensieri … e si allunga la strada e la strada lo culla. Il cielo bambino ritorna, rimbalza, lo copre e lo scalda se fosse già notte sarebbe già stella e la luna, bianca premura di mamma di schiena, si piega, risveglia il suo raggio migliore …di un giorno sbucciato. In fondo rimane un cielo bambino che ovunque permane.
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Passeggera da una vita uno sguardo al Capitano e un augurio sottovoce. Era un giorno mezzopieno con la tavola già pronta nessun ospite gioviale lì fuori ancora il vento e dentro quasi inferno. Se non fossi così grande andrei a scarabocchiare qualche muro e invece devo stare e invece voglio urlare. Se ancora fosse nido avrei foglie, rami e canti ma è un muro di cemento pieno zeppo di rimpianti. Non controllo più la voce, darei fuoco anche alla luna nessun conto alla rovescia, qui si apre un grande solco, giusto il tempo di un sospiro poi comincia la caduta… senza fretta un sonno placa anche solo il cuore in fuga. Alle volte le intenzioni fan più danno dei cannoni… quel che è rotto pesa il doppio anche se è soltanto un pezzo.
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C’è chi entra dall’ unica fessura impercettibilmente aperta, fessura che è lì perché qualcosa deve essere ancora sbattuta fuori … e quando qualcuno entra da una fessura non puoi far altro che accoglierlo e portarlo dentro tutta la vita.
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Ecco, ti penso il grido del tuo ricordo attraversa la pioggia come fosse arrivato dal cielo. Dov’è il riparo da questo scenario? O almeno un balcone, uno ben sporto ad accogliere zitto gocce di storie… ecco, ti perdo ti saluto ogni volta lì in piedi dopo una lotta selvaggia e spietata e tu già di spalle a far da pastore ad un gregge che più non rumina amore. In fila, confuse parole smarrite ritornano chiare, lente fluiscono da quelle spalle lontane. Come un carretto carico d’ oro che attento al sentiero, prosegue ma semina fieno tu non dai peso a quel poco che lasci Tu non raccogli, semini e scappi. Passaggi tra/versi
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Eppure è una fuga che anche io avrei rischiato sotto al balcone con l’acqua che brilla. Nelle mie mani si scioglie un ricordo e macino spighe come un vecchio granaio che ha perso il suo incanto.
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Certo che ho sbagliato, infinite volte l’errore è stato il salvataggio, lo scoglio su cui riposare. È stato travagliato questo tragitto. Io prigioniera invisibile, io soffocata e sorridente, io troppo forte per chi è dalla parte della riva. Onde, piogge, venti maree e vulcani hanno mosso questo mare onda dopo onda sempre questa stessa pelle… E a poco serve raccontarlo il peso che trascini.
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Ti ricorderò fino a quando ricorderò di ricordare, fino a quando il tempo della memoria scandirà IERI, OGGI, DOMANI… fino a quel momento avrai comunque il tempo di restare.
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Avrei quasi voglia di venirti a cercare avrei anche la forza per restare a guardare. Spero in un sogno, un tenero aggancio uno di quelli senza promesse un soffio di cuore senza mute certezze. Non voglio trovarti, non voglio di tuo neanche il pensiero. Voglio l’attesa voglio che esisti e poi, senza fretta, provare ad amarti.
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Mi piace guadarti e pensare che ti ricorderò per sempre, ti sto ricordando e mi ricordo di me. Le cose non vanno come devono andare, le cose vanno come facciamo che vadano‌ E adesso io voglio che vadano esattamente cosÏ: un foglio, una penna ed io che costruisco i miei ricordi esattamente come un giorno li vorrei ricordare.
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Un paio d’occhi un po’ smarriti e dietro ancora il vento. Due occhi senza sguardo, camminava quasi in piedi il volto senza tempo, l’ho visto e in un secondo era già il vecchio e il nuovo. Conservava tutto fiero le onde dei suoi guai era poco, era tanto quanto un gesto … ma di colpo il suo frastuono mi finì tra pelle e cuore e sentivo il suo dolore e mi misi a coccolare dei brandelli di passato, a cucire e rattoppare quel che ancora resisteva al suo fragile vagare.
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Il momento peggiore non è quando perdi qualcosa, è quando non riesci a trovarla e non vuoi convincerti del fatto che ormai l’ hai perduta.
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Basta poco e si rotola giù un soffio, un sospiro che fatica è restare un continuo lottare per evitare lo schianto un affanno perpetuo per attutire l’impatto. Non serve sbattere le ali più forte per evitare le fiamme e starne lontani, il fuoco minaccia, il fuoco spaventa e intanto protegge illumina e scalda. È questo che trovo in tutti i miei voli : lumi di paure e fuochi di coraggio e dove vedo la via perdo la forza e dove mi armo di forza non distinguo la via.
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Come un brivido, come un sogno irrequieto qualcosa mi sveglia senza ragioni, senza ripari. Ho perso i miei sogni a contare a combattere danni. Sono qui ‌ e appendo parole come panni da stendere al sole.
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Tacere, lasciare agli occhi il tempo di parlare il gusto di scoprire la speranza di saper spiegare perché di parole non né avevo da usare ho lasciato il silenzio nudo al suo sguardo quello che era, se era, sapeva la strada non servono parole per accompagnare. Ciò che non ho detto l’ ho sentito più forte e forse sarà apparso al cielo quasi un sussurro ma gli occhi lo sanno, gli occhi ricordano di sguardi segreti e parole sgualcite.
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Aver paura di alzarsi non significa cercare un modo per farlo, vuol dire semplicemente non farlo
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Vinco ogni giorno. Vinco ogni volta che aspetto ogni volta che continuo quando vorrei solo fermarmi. Ho vinto i miei sogni, le idee ho vinto persino i dolori più cupi, ogni piccolo pezzo di questi gradini ogni singolo angolo di questo tragitto ho vinto tutto il tempo che mi ha spostata più in là. Si tratta di vincere vincere sempre, anche quando si cade al tappeto si vince un secondo per riprendere fiato. E se davanti a una scala infinita avrò salito anche solo i primi gradini Avrò vinto orizzonti segreti al mio ieri.
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La parte più fragile di me mi sorprende: paradossalmente la sua fragilità è così forte da rimanere tale
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Mi annodo da un lato e dall’altro pettino i guai di giorno mi muovo ma di notte mi arrampico. Sono io quella che si lascia cadere e la stessa che poi si lancia una fune Lotto per salvarmi e spingo più forte per buttarmi al tappeto. Faccio il tifo due volte e due volte mi condanno alla fine di tutto sono sempre io che urlo a quell’ altra di risalire e sono io che la schiaccio più forte nelle onde per farla annegare.
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C’è qualcosa tra tutto quello che ho Che non riesce a bastarmi …
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Illusa, di nuova quella porta non volevo più trovarmi tra le mani questi cocci invece, ecco i tagli di nuovo, persa non mi importa come voglio solo arrivare lontano per non raggiungermi. Lasciami in pace maledetta Me che di notte mi infarini le mani e di giorno mi costringi a lavare via i segni lasciami andare mi sento sul ciglio di un fossato e non voglio rimanere allontanati da lontano forse riuscirei a non tremare giù in basso, precipitare o tra milioni di passi in fuga ma non qui sul ciglio delle mie paure. “mai più” avevo detto. e ci ho creduto che tu fossi chissà dove, e io libera. morta non ti ho mai creduta ma almeno debole, tramortita invece ti sei nutrita e Passaggi tra/versi
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sono stata io a darti da mangiare una volta ogni tante volte che ho lottato per non farlo tu il mio vizio il mio appuntamento tu segreta come un’ amante tu che quando ti ho detto “mai più” sorridendo mi hai detto: “A DOMANI”.
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A volte il timore di non sopravvivere è tanto quanto quello di doverlo fare. Capita che ingoiare la vita sia molto meglio di doverla masticare Forse correre senza freni non include una meta
Magari fermarsi giĂš in basso come un marciapiede. Non significa necessariamente aspettare.
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Ăˆ un cammino che inizia, un cammino che deve iniziare per poter finire.
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Ti partorirai ogni giorno e crescerai ci saranno travagli lunghi e soffocanti e un pianto stremante, terrorizzato. Spererai di aver finito ma avrai appena cominciato proprio come la prima volta proprio come fuori dalla culla. non so dire se ricorderai gli schiaffi ma di sicuro avrai aperto gli occhi e ogni giorno verrai al mondo e lo vivrai. Il patto con la vita lo stringi nel momento in cui respiri per la prima volta, è lì che succede tutto, piangi di terrore e dividi la pena con chi ti ha dato alla luce, poi… dimentichi… la prima volta, solo la prima, è concesso dimenticare. Ricorda però che ti partorirai ogni giorno e sarà difficile che qualcuno si faccia carico della metà del tuo pianto un’ altra volta non esiste embrione già nato che non sia in coda verso il suo ennesimo travaglio. Passaggi tra/versi
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Usiamo più quadri che pareti, non facciamo altro che riempire stanze… ma le nostre stanze, quelle chiuse a chiave, quelle che vediamo solo chiudendo gli occhi non possono essere né riempite né svuotate, vanno vissute, respirate, vanno spalancate, bisogna lasciare che si inondino di emozioni, vanno ascoltate.
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Quante volte ho detto: “è tardi”. Tante volte ho aspettato solo che fosse tardi e quel tempo è arrivato solo per non aspettare più l’ unico appiglio per rimanere immobile. Si placa il tempo dell’ attesa e già scalpita il ricordo - ricordi quando non era tardi? - ricordo! attimi assopiti tra un “ dopo” e un “poi” attimi a decidere se rimanere o andare… RIMANDARE …. Rimandandoti mi costringo ad aspettarti ancora, ad aspettarmi ora
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Vivere a volte è allontanarsi da sé, lasciare che gli occhi guardino fuori come quando si guarda un film: bello o brutto, noioso o commuovente, qualsiasi cosa sia … è lì, fuori, e invece tu sei dentro, dentro al tuo blu, abisso che ti copre e ti protegge.
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Sogni andati a male sogni invecchiati‌ Quanti “ vorrei “ ceduti ad un tempo imperfetto, pezzi di storie sbriciolati tra le mani, pezzi di cuore cuciti male. Una secca ferita. Occhi pieni, occhi silenti persi su una giostra di pensieri bugiardi.
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Arrivammo quasi implumi figlie diverse di nidi lontani. Trattenemmo gli sguardi senza fare rumore occhi sognanti intenti a fuggire occhi socchiusi sprofondati nelle pallide sedie. Incredule creature tremanti, piccole scintille strappate ad un incendio mai esploso. Cucimmo insieme l’ esigenza di voler volare all’ urgenza di dover restare.
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Madri smarrite madri mai nate sbattute fuori per natura oppure trascinate scacciate a calci e fiato in un labirinto segreto. Siamo tutti impauriti tutti piccoli figli sgualciti, senza giacche, senza scarpe, ombre infreddolite a tratti docili a tratti maledette.
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Perdonati padre, perdona i peccati risveglia quel figlio che hai lasciato sdraiato sull’ abisso di giorni imbiancati. Riprenditi gli anni che la memoria rincorre, guadagnati tutto quello che hai perso, guadagna tutto quello che perdendoti ti ha fatto uomo.
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Urlare come fanno le rocce quando si mostrano in ogni millimetro che perdono. Stare e restare tra le onde come uno scoglio e tutto ciò che frana è solo riciclo, è vita regalata, morsi di emozioni dati in pasto alla fame di domani.
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Ho cucito e perfezionato abiti forse troppo stretti. Avevo deciso di essere migliore, di rendermi immagine di desideri innominati, così ho usato il mio tempo per scrutare quell’ immagine ed entrarci dentro. Poi, d’un tratto, i piani vengono distrutti: lo specchio in cui quell’ immagine è andato in frantumi. Proiettarsi nei piccoli pezzi non era più la stessa cosa, avevo preso le misure così bene che quando l’immagine è diventata un frammento non sapevo più in quale parte dell’ insieme mi trovassi.
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Fossi fiore, ramo o bestia sarei al di là del vizio di rimuginare storie. ma no, sono figlia e il nome che per primo ho baciato è stato “mamma” fossi nata dalla terra o da un tronco o da un muggito sarebbe nome ogni dettaglio: albero ricurvo, fiore colorato oppure cucciolo macchiato. il figlio non gode dell’ esistere come il frutto di un seme: il figlio deve nascere perfetto e poi… vive difettato.
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Cercavo un angolo di terra dove riposare, cercavo un pizzico di sole per i miei stracci inumiditi, ho pensato di scappare ho pensato di barattare quattro pezzi di passato con quel che ancora rimane da spogliare e assaporare. Ho scoperto poi che i miei quattro pezzi non sono altro che odori a mezz’aria di qualcosa che non ho più fretta di consumare, odori sospesi di un oceano tutto da navigare … e la pelle si bagnerà di un altro mare e nel cielo troverò altro vento da accarezzare. Così preparo le mie vele e onoro luna e stelle perché nelle tasche più non ho alcun conto da saldare.
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Altro che cuore tu sei per me la bocca da te mi nutro con te mi parlo e i tuoi baci sono i miei e i tuoi sorrisi le mie rughe… Altro che cuore tu sei per me le labbra e io per te parole parole liete parole vive… No, tu non sei il cuore tu sei la bocca perché sulla bocca mi navighi ogni giorno ed ogni volta è un battito il tuo nome.
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spagine - primi versi 02
Gennaio 2015
Il Fondo Verri è in via Santa Maria del Paradiso 8.a a Lecce (cap 73100) telefono 0832-304522 fondoverri@tiscali.it Spagine è su issuu.com/mmmotus https://www.facebook.com/perspagine
Quando ho iniziato a scrivere volevo parlare di tutt’altro. Come al solito quello che avrei voluto dire non l’ ho detto, in quello che ho scritto c’è giusto l’ombra di ciò che in realtà mi tiene sveglia. Serena Ramirez
Serena Ramirez il 20 giugno del 1989 vive a San Cesario di Lecce
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