LA GRAN DE STORIA DELLA FAMIGLIA LAMPA D urante
i corsi svolti, oppure scrivendo nei forum, o ancora semplicemente
conversando con i miei amici e colleghi, spesso mi vengono poste alcune domande.
Vista la mia formazione professionale, che inizia proprio nel mondo dello spettacolo, le domande sono per lo più incentrate sulle caratteristiche delle apparecchiature di illuminazione utilizzate in teatro o nel cinema. In altre occasioni invece, sento alcuni luoghi comuni, ovvero alcune leggende metropolitane, sul tema dell'illuminazione e sulle “lampadine” vere e proprie. Cosi' nel tempo le mie risposte a tali affermazioni, rese discorsive e raccolte, hanno dato luogo alle pagine che seguono. Intendo sottolineare che quanto esposto, pur essendo nei limiti del possibile estremamente preciso e tecnico, e' scritto col tentativo di non annoiare mortalmente chi legge: per questo troverete colloqui “virtuali” con altri personaggi, o con i lettori stessi e anche battute...ehm... spero almeno simpatiche... Mi scuso anticipatamente con i tecnici e i puristi: per loro sono sempre disponibile a tavole rotonde incentrate su amabili disquisizioni tecniche su temi come: “Le proprietà transeunte del blu chiaro nei confronti del celeste scuro utilizzato come sfondo nelle fotografie “still life” di monopattini scattate di notte”.... Ma le pagine che seguono desiderano cedere si delle nozioni, ma senza troppa noia. O almeno lo spero. Buona lettura.
PARLIAMO DI LAMPADINE E ccoci qui a disquisire su uno che e' tra gli oggetti più' diffusi nelle nostre case, per le vie, nella nostra vita, e talmente “comune” che nel tempo ha assunto una standardizzazione tale che la ritrovate uguale in tutto il mondo! Neanche la pizza napoletana ha avuto lo stesso successo. Provate a guardarvi intorno e cercarne una, anzi provate a vedere quante ce ne sono intorno a voi:
Le Lampade ad incandescenza. Ebbe grande, ehm, lungimiranza...un docente francese, Erasmus Wilson, che nel 1889 all'esposizione di Parigi disse la storica frase: “Finita questa mostra di luce elettrica non sentiremo più' parlare...” La storia della nascita la conosciamo tutti, per grandi linee. Magari certi retroscena un po' piccanti (non fu proprio Edison a inventarla, anzi...anche un italiano ne ha il merito, ma di lui si parla poco...cercate Alessandro Cruto in rete o su wikipedia). Edison pero' ebbe il merito di renderla usabile, la lampadina, creando parte delle infrastrutture necessarie, come le centrali elettriche e le linee di trasmissione dell'energia elettrica). Un grande imprenditore. E tra l'altro, escludendo il fuoco, non fu neanche la prima fonte luminosa elettrica, in realtà'. Ma tant'è, e' la più' pratica da utilizzarsi ed e' divenuta la più comune. Comunque sia, evitando di rendere noiosa la lettura, il principio di funzionamento e' moooolto semplice. (N.d.A.: mi scuso con i tecnici, userò termini non proprio corretti, ma chiari.) Si costringe, con artifizi e convincimenti di vario genere, a far “scorrere” una quantità' di corrente elettrica in un sottile filo metallico, quantità talmente elevata per il suo grado di sopportazione, da 1
farlo inc...zare talmente tanto da renderlo incandescente per lo sforzo e la rabbia di essere costretto a farlo! Semplice no? Un po' come se ci costringessero a trasportare un cassa stracolma di Brunello di Montalcino da una parte all'altra e correndo, con la promessa di regalarcene una alla fine della fatica. Insomma saremmo allettati dall'idea, ma dopo qualche viaggio sudati e rossi come capre... Perché questo succeda (vale sia per la lampadina che per le casse di Brunello) e' raccontato in uno dei principi fondamentali della termodinamica, che spiega tutto quello che ci circonda, salvo perché' ci facciamo sempre incastrare da una donna (per le donne che leggono, non vi arrabbiate ma e' cosi'..), e successivamente spiegato dalla legge di Ohm, che non e' solo una sigla, ma il cognome dello scienziato che l'ha esemplificata. Il principio, col quale rendere incandescente un filo elettrico era comunque noto già molto prima dell'avvento della lampadina. Il problema era che dopo un po' il filo fondeva (sublima in realtà'..il termine e' romantico, ma provate a dirlo al filamento) , e il gioco finiva. Ci volle molto tempo a risolvere la questione, che e' ancora solo parzialmente risolta, ma insomma, oggi le lampadine hanno una durata decisamente alta, rispetto ai pochi secondi delle prime nate... Una premessa, che servirà' avanti: Le lampade vere e proprie si dividono in sole due grandi famiglie: Le Lampade ad incandescenza e le Lampade a Scarica in un gas. Da relativamente poco, si sta affacciando una terza famiglia, quella dei LED. Prima di proseguire, e per rendere “avvincente” la lettura, ecco qualche leggenda metropolitana: -Il filamento non e' di tungsteno (che e' un minerale naturale) ne di wolframio (che e' un materiale composto) ma e' composto da una miscela di minerali metallici la cui “formula” e' come quella della Coca Cola. Assssssolutamente segreta! -Nelle lampadine non c'è' il “vuoto”, anzi! Sono in leggera sovrappressione rispetto al mondo esterno! All'interno c'è' una miscela di gas inerti (cioè' che non si incendiano e non favoriscono la combustione). -Le lampadine non “esplodono” quindi, salvo alcune particolari lampade delle quali parleremo e che per questo hanno un doppio vetro di protezione. -Il filamento e' lungo anche qualche decina di metri. -Nei “neon” il neon non c'e' manco a cercarlo col lumicino. -La “temperatura colore” e' veramente una temperatura, e potrebbe essere espressa anche in gradi centigradi, come la febbre che ci assale quando vediamo della polvere sul prezioso sensore della nostra preziosa macchina. -La luce “fredda” non e' affatto fredda, anzi e' la più' “calda” di tutte. -Le lampade fluorescenti (i “neon”), non sono sempre a luce “fredda”. -Nelle lampade fluorescenti, ci sono ben 2 filamenti come quelli della lampadina. -Nelle “quarzine” il quarzo non c'è quasi mai. -Le lampade “alogene” se utilizzate con un “dimmer” cioe' con un regolatore di intensita' luminosa tenendole ad una potenza molto ridotta, durano meno che se lasciate stare in pace e accese a piena potenza. -Non si viene scomunicati se si tocca una “quarzina” con le dita. 2
-Le lampade fluorescenti, e tutte quelle a “scarica”, si spengono e riaccendono un certo numero di volte al secondo. Se siete sfortunati, scattando una foto ad un soggetto illuminato da una lampada fluorescente e in certe condizioni, non si vedrà' nulla...non ve la prendete con la macchina fotografica, semmai con l'Enel. (Raffica in sequenza di una normale plafoniera con tubo fluorescente, esposizione a 1/500 di secondo. Grazie a Mauro Orlando che ha “beccato” alcuni momenti in cui la lampada si stava spegnendo o riaccendendo)
Ecco anche un estratto da un testo interessante (citato da Gianni Forcolini per le ed. Hoepli): “Le lampade comunemente denominate a incandescenza sono a tutt'oggi le sorgenti di luce artificiale più diffuse al mondo, dopo aver subito molteplici perfezionamenti tecnologici durante il secolo abbondante che ci separa dall'anno 1879 in cui Thomas Alva Edison presentò la sua prodigiosa invenzione al pubblico convenuto a Menlo Park, nel New Jersey (USA). In realtà, Edison, senza togliere alcun merito all'eccezionale talento di inventore e alla straordinaria capacità di organizzatore del lavoro collettivo di ricerca, sfruttò con consumata abilità i risultati di studi ed esperimenti sull'emissione luminosa di filamenti percorsi da corrente elettrica, condotti da numerosi ricercatori a partire dai primi anni del diciannovesimo secolo. Nonostante la lunga e continua evoluzione tecnologico del prodotto, il principio di funzionamento è rimasto sostanzialmente immutato: un metallo lavorato con procedimenti industriali e ridotto a sottilissimo filamento, inserito in un bulbo di vetro in cui è praticato il vuoto spinto e di cui si è provveduto al riempimento con una determinata quantità di gas inerti, è attraversato da corrente elettrica, continua o alternata, vicino al punto di fusione del metallo, con emissione di radiazioni luminose, insieme ad una quota cospicua di radiazioni infrarosse e ad una piccolissima quantità di radiazioni ultraviolette. Il cuore della sorgente è il filamento metallico che oppone resistenza al transito della corrente elettrica. Il materiale di cui è costruito è stato oggetto di pazienti ricerche allo scopo di elevarne quanto più possibile il potere emissivo e la durata. L'adozione dei metalli, che doveva rivelarsi definitiva, si 3
diffuse solo dopo la prima decade del nuovo secolo, a causa degli alti costi della lavorazione in carenza di tecnologie produttive adatte. Quando il metallo accumula, per effetto Joule, molto energia termica, inizia ad assumere rilevanza il fenomeno della sublimazione, il cambiamento di stato fisico da solido a vapore. Il vapore del metallo liberatosi tende a condensarsi, tornando così all'originario stato solido, a contatto con le superfici relativamente più fredde, come la parete interna del bulbo di vetro da cui è circondato. Le minute particelle metalliche che si depositano ombreggiano il bulbo, cagionando l'assorbimento di una quota della radiazione emessa dal filamento incandescente. Si verifica il caratteristico annerimento del bulbo, con il conseguente decremento dell'efficienza luminosa della sorgente. Gli atomi volatilizzati riducono la sezione trasversale del filamento, rendendolo sempre più fragile. La sublimazione, pertanto, è all'origine anche di una decurtazione della durata della lampada.
La Lampada Alogena “Toniooooooo si è di nuovo bruciata la lampadaaaaaaaaaa!” Frasi simili dovevano essere pronunciate di continuo... Fino al 1960 le lampadine duravano proprio pochino... Il filamento, che arriva a temperature nell'ordine dei 1500 gradi centigradi nella lampada a incandescenza, rammolliva, bastava uno scossone per spezzarlo, oppure molto velocemente “sublimava”, passava cioè dallo stato solido direttamente alla vaporizzazione, annerendo il bulbo di vetro (già le lampadina a incandescenza nuove che per esempio prelevano 100 W dalla rete elettrica ne trasformano solo 15W in luce, il resto è solo calore...) figuriamoci dopo un po' col bulbo annerito... Insomma, non c'era verso. Inoltre (e qui i vecchi fotografi ricorderanno bene) ste lampade, proprio per il calore sviluppato, dovevano essere grandi....ma grandi....altrimenti il vetro rammolliva! Così nei set fotografici dell'epoca, e anche cinematografici, si vedevano dei “padelloni” enormi...pensate che una lampada da 500 W, magari “solare” cioè col bulbo azzurrino, era lunga 45 centimetri...e con un diametro di quasi 20... E così ci si cominciò a ingegnare. Cosa si può fare per diminuire il calore emesso dalla lampada e aumentarne l'efficienza? “Ma è semplice” disse il fisico di turno “basta aumentare la temperatura del filamento!” tutti lo guardarono storto....ma come aumentare la temperatura del filamento per diminuire il calore emesso??? 4
Dobbiamo, per capire questa assurda teoria, prendere per buono un fatto ottico-fisico che vedremo meglio parlando della temperatura colore. Il calore, è una forma di luce, tanti lo conoscono con il nome di “infrarosso”. I nostri occhi riescono a vedere una banda molto molto limitata di quella energia che chiamiamo luce. Riusciamo a veder benino l'infrarosso (la luce che emette la stufa elettrica, quella con i “cannelli” che diventano incandescenti, oppure il debole bagliore rossastro che vediamo all'interno dell'asciugacapelli in funzione), poi vediamo bene, (anche se osservando qualche mia fotografia, ehm, si direbbe che non ci vediamo proprio...) tutti i “colori della luce” fino all'ultravioletto. Mai stati in discoteca quando accendono la lampada di Wood? E' quella che fa sembrare bianchi pure i denti di un accanito fumatore, e mette in risalto gli strass della cubista di turno (slurp...) oppure il blu acceso della lampada abbronzante...ecco quello è il limite massimo per i nostri occhi. Prima dell'infrarosso e dopo l'ultravioletto, esistono ancora “colori” e “luce”...ma noi non possiamo (sigh) goderne... La pellicola radiografica si, per esempio. Ed è con la “luce” emessa dai raggi “X” (oltre l'ultravioletto) che si impressiona...come ci impressioniamo noi quando vediamo la frattura della caviglia dovuta a quella maledetta sciata sulla neve..... Bene, l'assunto del fisico pazzo di prima era questo: Se scaldiamo il filamento molto di più, spostando la sua temperatura dall'infrarosso (calore) verso l'ultravioletto, beh il “rendimento” sarà certamente più alto! Meno calore, più luce!!! Grande applauso. Eh già e come si fa? Il maledetto filamento evaporava a 1500 gradi, figuriamoci a 2000, o 3000... In aiuto, ci fu una seconda grande intuizione: “Ma se mettessimo nella lampadina degli “agenti di polizia” che blocchino il distaccarsi delle particelle di filamento “ribelli” prima che tocchino il vetro e le riportino sul filamento, ammanettandocele?” E dove trovare degli “agenti di polizia” così indefessi da lavorare così velocemente, ininterrottamente e in un ambiente ehm...direi caldo..., con vortici di vento fino a 250km/h come all'interno del bulbo? Li troviamo in natura, come sempre. Come per tutte le cose. Nella lampadina al tungsteno fu immessa una miscela di gas (per i più pignoli: iodio, Kripto e Xeno, ecco perché le lampade alogene si chiamano anche iodine, o “allo xenon”) che molto semplicemente e naturalmente, si combina con i maledetti atomi di filamento che volano via esasperati dal gran caldo, li ingloba, formando una miscela che si chiama “alogenuro” e li riporta sulla parte più calda del filamento che, guarda caso, è la più sottile.... cioè proprio quella dalla quale si era staccata la stramaledetta particella! Incredibile! Era fatta: ERA NATA la prima lampada a “ciclo alogeno” per gli amici, “lampada alogena”! Uhm..quasi fatta, in realtà... Perché il ciclo alogeno ha una particolarità...funziona solo con temperature molto molto elevate... 3000, 4000 gradi... e il vetro si fonde, inesorabilmente... E poi un altro piccolo problema, insignificante...un nonnulla: il fatto che l'emissione luminosa si spostasse verso la gamma dei colori blu, degli ultravioletti, rendeva la luce emessa...cancerogena!!!!! Ah beh, un capolavoro! E ora? Di nuovo la natura...sempre lei... Si conosceva già da molto la carica “cancerogena” degli ultravioletti, quelli ad esempio generati dalle saldatrici ad arco, o le “fotoelettriche” (ne parleremo, con le lampade a scarica) e per proteggere gli operatori si usava un vetro speciale, un minerale, il quarzo.... EVVAI! Il quarzo ha una temperatura di fusione elevatissima, è trasparente, costa relativamente 5
poco, filtra (un po') gli ultravioletti “cattivi”.... (hihihi ora si capisce perché le alogene si chiamano anche “quarzi” o “quarzine”...) Tutti i problemi risolti! Le lampade alogene erano divenute una realtà: forzatamente piccole (il ciclo alogeno funziona meglio al gran caldo e in spazi piccoli) maneggevoli, il filamento grande e robusto, per arrivare anche a 4000 gradi centigradi e potevano essere di tutte le forme! I grandi apparecchi per illuminazione nei set divennero un ricordo! Una lampada da 500 W diventava grande come un mignolo, scaldava meno rispetto alla sua cugina tradizionale, e le lenti per concentrarne la luce potevano essere piccolissime! Ed erano efficienti! Molto più delle lampade tradizionali! E il bulbo non si anneriva più perché il filamento virtualmente non “evaporava”...insomma una gran fi.....ta...eppoi il quarzo pure può essere sostituito con un vetro minerale ancora più economico... Rose e fiori? Beh, si insomma...
Vantaggi: •
E' piccola.
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Scalda meno rispetto alla tradizionale.
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Rende di più, e dura di più, fino a 6000 ore.
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La luce che emette è più bianca.
Svantaggi: •
E' piccola. Troppo piccola. E deve esserlo forzatamente perché il bulbo esternamente non deve essere freddo, al minimo 250 gradi per far funzionare il ciclo alogeno (ehi! Ma sarà questo il motivo per cui una lampada alogena è meglio se non la si abbassa troppo di intensità luminosa con il “dimmer”, l'apparecchio che serve a questo? Se no il ciclo alogeno soffre il freddo, il filamento evapora, annerisce il bulbo e poi si rompe? Eh si, si, è proprio per questo....). Insomma, rischio di incendio, se usata nei paralumi tradizionali e bruttina assai, rispetto alle forme avvenenti delle lampade normali, tonde, belle, grandi...
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Scalda meno rispetto alla tradizionale...già, come quantità totale di calore emesso, ma come detto sopra, ahiahaiai se brucia quando la tocchi...
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La tocchi? Nelle più tradizionali, il sudore delle dita, o le sostanze grasse, quando la lampada si accende carbonizzano e macchiano il bulbo, qualche volta arrivando a spaccarlo (ecco perché non si devono toccare, comunque basta pulirle dopo averlo fatto...)
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Emette comunque dei raggi UV dannosi, che vanno filtrati con un ulteriore vetro di protezione, in alcuni casi.
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Costa di più, perché il ciclo di produzione è in camera stagna, e in atmosfera inerte, difficile e costosa da farsi la piccolina...
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La luce che emette è bianca. “Ehhhh ma troppo bianca, cavolo, guarda lì sembra che ti sei lavato con la varechina....” oppure “oddio il mio meraviglioso scialle blù...sob sigh... è diventato verde!!!!”
Insomma... e che cavolo...non si è mai contenti di nulla... 6
E ORA............SILENZIO IN SALA!!!! Parliamo della “GUEST STAR...” la prima “lampada elettrica” della storia, e quella con piu' parenti prossimi:
LA LAMPADA A SCARICA
La sua nascita e' quasi incidentale...e molto antecedente alla lampada a incandescenza.... Fu Benjamin Franklin (osservando la luce emessa dai fulmini) a chiedersi da dove diavolo provenisse tutta quella luce...anche se era più interessato a mostrare i suoi esperimenti con le chiavi e gli aquiloni alle giovin donzelle dell'epoca, come la cronaca racconta... Il fenomeno sul quale si basa, e' imbarazzante...come spesso succede, in Fisica e nella vita...occorre , ehm, ecco....eccitarsi....per concludere qualche cosa di bello! E anche nel caso della lampada a scarica e' cosi: qualunque gas, o miscela di gas come l'aria, se viene “eccitato” facendolo palpeggiare più o meno violentemente da elettroni (cioè se viene fatto attraversare da una scarica elettrica...btzzzzz..ecco perché si chiama lampada a “scarica”...) si eccita e “ionizza”, diventa quello che spesso sentiamo chiamare “plasma”. E tutta questa energia, sprigionata da questo palpeggiare...si traduce in un orgasmico allontanarsi rapidissimo di elettroni....che danno origine ad un nascituro...come nelle migliore tradizioni se non si usano precauzioni... hihihihi...un grande campo elettromagnetico che ha come alone di protezione (perché e' fortunato e nasce con la camicia) una bellissima aura di fotoni! Luce...... Se un fisico legge sta cosa, mi prende per scemo. E Max Planck si rivolterà nella tomba, povero....ma credetemi funziona proprio cosi': una grande orgia generale. Che novita' eh? Un sacco di cose nascono in questo modo... Ovviamente tutto questo strusciamento atomico produce calore, oltre ai fotoni. Non si prescinde dagli enunciati della termodinamica: strusciamento > eccitazione > attrito = calore... La lampada a scarica e' viziatissima: non gli basta essere attraversata da una semplice corrente elettrica, come quella che abbiamo in casa... ne vuole una molto molto potente...aitante...alta... Alta tensione! Ecco, questo serve a lei per “eccitarsi” al meglio... E infatti tutte le lampade a scarica che usiamo, sono corredate da un “aiutante” che eleva la tensione fino a farla diventare proprio come piace a lei...alla lampada: un “personal trainer” in qualche modo. Questo componente (che e' sempre presente per far funzionare qualunque lampada a scarica) si chiama in gergo “reattore” o piu' propriamente “ballast”. Questo componente, come qualunque personal trainer che si rispetti, prima “aiuta” l'inizio della performance (elevando la tensione fino a 2.000, 3000, 10.000 Volt in qualche caso), e poi la “calmiera” tenendo a bada i bollenti 7
spiriti....cerca di fare in modo che il godurioso amplesso duri il piu' a lungo possibile, cercando di evitare prematuri “cali” fisici...mantenendo in sintesi la tensione stabilizzata cosi come piace alla lampada, abbassandola moltissimo, dopo che la lampada si e' accesa,....il minimo possibile per mantenere l'ambiente caldo... Mhhh. Piu' che un personal trainer forse e' una “maitresse”... beh insomma vedete voi come catalogarlo...ma e' un componente chiave per il buon funzionamento della lampada. Immagino che ora appena scorgerete una lampada a scarica sbircerete dentro per vedere 'ste benedette performance...da vicino. Sporcaccioni!!! Comunque sia, i fotoni emessi da questo ambaradam spesso non sono proprio luce. Anzi si, in effetti lo sono, ma noi non la vediamo (ricorderete che vi accennai al fatto che il nostro occhio vede solo una parte limitata dello spettro di radiazioni che esiste in natura). E addirittura nella lampada fluorescente di casa per esempio, il gas che serve a creare i fotoni...non c'è... “Oh ma diavolo!” direte “ma come ci hai appena detto che i fotoni li emette il gas eccitato, e ora nei tubi fluorescenti non c'è....ma levati di torno!!! Buuuuuhhhh....” Ehi calma! Ho detto che non c'è non che non ci sarà...Nel tubo fluorescente non c'è niente salvo delle gocce di mercurio, quello dei termometri (che chissà perché nei termometri e' pericoloso e ne hanno vietata la vendita ma nelle lampade fluorescenti no...boh...misteri del nostro governo...) mercurio che nel momento in cui decidiamo di accendere la lampada, viene fatto evaporare tramite due filamenti, identici a quelli delle lampade ad incandescenza. Il vapore del mercurio, e' un gas che si eccita molto facilmente (un po' come me....) e comincia subito ad emettere fotoni! Solo che noi non li vediamo... Cosi' le lampade fluorescenti sono ricoperte da una sostanza bianca al loro interno che colpita dai fotoni, si eccita pure lei e ne emette altri, questa volta visibili! Una orgia nell'orgia! E che diamine.... Se ci fate caso (tutti col naso in su a guardare) e accendete una lampada fluorescente, noterete ai lati del tubo una debole incandescenza rossastra, dovuta al calore dei filamenti che scaldano il mercurio. E se siete attenti osservatori, ora capite perché i tubi fluorescenti “anneriscono” proprio ai bordi. La lampada a scarica quindi ha sempre questi componenti: 1. Un gas, da eccitare; 2. Due elettrodi, che servono a trasmettere l'energia elettrica nel gas; 3. Una ampolla di vetro per racchiudere il gas (ma non sempre necessaria); 4. Un “ballast” che alimenta la lampada e ne regola la tensione; 5. Qualche volta un “accenditore” o uno “starter” che aiuta il ballast all'accensione, quando il gas e' “duro d'orecchie”..... (P.S.: una volta che la lampada e' accesa lo Starter non serve piu', provate a toglierlo a una fluorescente dopo averla accesa). La lampada a scarica ha inoltre un miliardo di parenti, che funzionano tutti nello stesso modo ecco i piu' importanti: Ad arco di carbone: il gas utilizzato era l'aria, non c'era ampolla a contenerla e gli elettrodi erano appunto due aste di carbone, o di grafite. Utilizzata in passato in tutti i proiettori cinematografici, emette una gran quantita' di calore, e ha provocato numerosi incendi (Nuovo Cinema Paradiso vi dice nulla?) pero' e' economica e rapidamente utilizzabile, si accende abbastanza facilmente. Gli elettrodi a causa del gran calore si consumano rapidamente e quindi dovevano essere avvicinati di continuo, per mantenere una distanza accettabile tra loro. Le “fotoelettriche” dei militari hanno funzionato cosi per anni. Vanno 8
benissimo per fotografare. Molto meglio per saldare insieme il ferro: tutte le saldatrici ad arco funzionano cosi' (non guardate l'arco direttamente eh!!! emette UV cattivi allo stato puro). Tubi fluorescenti a catodo freddo: quelli delle insegne, di tanti bei colori a seconda delle miscele di gas; Tubi fluorescenti a catodo caldo: quelli di casa nostra. (Questa lampada merita un appunto che approfondiremo col tema della temperatura colore e della resa cromatica. Assieme alle lampade a “basso consumo” che derivano per principio di funzionamento dalle normali fluorescenti, vanno BENISSIMO per la fotografia. Tanto che quasi tutte le case costruttrici di illuminatori professionali stanno abbandonando le alogene per puntare sulle fluorescenti.) Vapori di mercurio: le lampade per illuminazione stradale che fanno la luce bluette; Vapori di sodio: sempre stradali, luce rossa o arancione; (Queste due fanno schifo per la fotografia. Ma se volete sperimentare...la lungimirante Nikon ad esempio ha escogitato un sistema per usare pure quelle...non si butta via niente...) Alogenuri metallici:negozi, strade, supermercati, luce piu' o meno bianca (Mediamente schifo per la fotografia, troppo instabili) e poi lei, la nostra amata:
La lampada a scarica a Ioduri metallici! Che goduria: piccola, maneggevole, può essere usata in qualunque posizione, emette un quarto del calore emesso dalla equivalente alogena, la luce che fa viene emessa da un “globo” luminoso tra i due elettrodi, il quale globo e' piccolo, cosicché le lenti e gli specchi dell'eventuale apparecchio che la contiene sono piccoli pure loro, ha una resa cromatica altissima vicina a quella del sole, cioe' fa vedere in modo naturale quasi tutti i colori, e la sua “temperatura di colore” (pazienza ne parleremo...) e' abbastanza stabile e puo' essere decisa dal costruttore. Dura fino a 12000 ore , e consuma un quarto esatto dell'energia della equivalente alogena! E allora perché nel mondo non si usano solo queste? Perché come sempre, non sono rose e fiori...non del tutto almeno... Emettono una incredibile quantità di dannosi raggi UV: immaginate che le lampade facciali per abbronzarsi ne hanno una da 25 W, filtrata da un vetro e l'esposizione massima e' di 5 minuti...poi fa malissimo! Per raggiungere il colore ottimale e la quantità di luce prevista, impiegano 4 o 5 minuti. Sono molto sensibili alle variazioni di tensione, variando il loro colore di conseguenza. E' veramente difficile che due lampade abbiano veramente lo stesso colore di luce, a meno che non facciano parte di una serie “selezionata” dal costruttore. Se accidentalmente si spengono, per riaccendersi si devono prima raffreddare, non si possono riaccendere “a caldo” salvo in alcuni apparecchi straprofessionali e costosissimi. Non si puo' regolare la loro intensita' luminosa, non del tutto almeno... Hanno un effetto “stroboscopico” fortemente presente, provate a guardarne una con la coda 9
dell'occhio che e' più sensibile al fenomeno e vedrete la luce emessa “pulsare”... durante le riprese cinematografiche debbono essere alimentate con particolari apparecchi, altrimenti alla macchina da presa risulterebbero sempre...spente... Esplodono: o meglio, in particolari condizioni la pressione del gas che si genera all'interno puo' farle scoppiare. Per questo hanno quasi tutte un doppio vetro di protezione. Bene abbiamo concluso! Tutti a fare fotografie! “Ehm, ma scusa...e la lampada del flash che lampada e' ???” Ahhh, ma allora siete attenti....volete mettermi in difficoltà..... La lampada del flash, e' una lampada a scarica normalissima, nella quale l'unico gas presente, in gran quantità e' lo Xeno. Questo gas ha una proprieta': quando si eccita attraverso la scarica elettrica, emette una grandissima dose di fotoni, nello spettro della luce visibile azzurrina. Ma e' assolutamente instabile: se non viene miscelato con altri gas, e' impossibile convincerlo a fargli emettere di continuo questi bei fotoni grossi come case...e se lo si miscela perde subito le sue qualità di omaccione...insomma visto che non si può utilizzare per la luce continua lo usiamo per i flash no? Si fa attraversare da una scarica elettrica mooooolto potente, e lui “waaamp” fa una bella flashata...ma dura poco... 1/1000 di secondo in genere...dovete essere veloci....ed essere veramente certi che il lampo arrivi quando la tendina della vostra figlioccia e' aperta completamente...carpe diem... Contenti ora? “mhhh....beh...insomma...e allora il Laser? Che cosa e' il laser? Come funziona?” ...ragazzi, lo Xeno e' utilizzato anche come anestetico. Respiratene una bella boccata per favore....
TEMPERATURA COLORE “Ma sta stoffa e' blu o celeste Anto'?” “Boh, tie' namo alla finestra a vede' mejo, ar sole... 'o vedi che e' celeste no?” “eh, Anto'...fai presto te a di...poi vie' a signora, 'a vede co sta luce de sta lampadina e dice che e' blu'...” “ ho capito, tu fajela vede 'n finestra allora...” “ e si dommani quanno a signnnora vie' piove? E quella magara a vede verde Anto'...” Hihihih...chissa' quante discussioni simili a questa ci sono state... Mia nonna (sarta) andava a comprare le stoffe e il commesso zelante le faceva vedere i colori uscendo dal negozio, alla luce del Sole...ma mia nonna (senza sapere troppo di tecniche di illuminazione e fotografia) se sceglieva la stoffa per un vestito da sera, o da gala', voleva vederla con le lampade del negozio.... Stiamo parlando di un metodo che ci consente di avere un riferimento numerico pressoche' assoluto sul colore della luce: misurarle la temperatura. Ecco come si procede: Si prende un termometro, se la luce e' piccolina si scopre il sederino e poi.... Ma no!!! Non si può fare cosi con la luce... Ma allora che diavolo e' sta “temperatura colore”? 10
E come si misura? L'idea, nasce da osservazioni fisiche e colpi di genio. Perché il fuoco che brucia nel camino, pur se prodotto da legno di tutti i generi, ha più o meno ha lo stesso colore? E la brace della pipa pure? Cosa c'è in comune tra la brace della pipa (o della sigaretta) e il fuoco del camino? Non certo il materiale (provate a fumarvi un ramo di quercia...) e neanche nelle dimensioni (fatevi una bruschetta con la sigaretta accesa...). E allora? Cosa c'è in comune? La temperatura!!! Geniale. La definizione esatta, (scientifica per una volta in questi miei deliranti scritti) di temperatura colore e' questa: E' la temperatura alla quale deve essere scaldato un corpo nero per assumere quel dato colore. Ohhhh! Non e' che mo' andate tutti a “scaldare” una bella modella di colore per dimostrare l'enunciato eh? Non mi riferisco a quel tipo di corpo nero!!! Non e' complicato, anzi. Qualunque corpo “nero” (il filamento della lampadina alogena spenta e' pressoché un corpo nero) riscaldandosi produce fotoni (ma questo oramai lo sappiamo) più si scalda e più di frequente ne usciranno. E più cresce questa frequenza di “sgancio” dei fotoni, più la luce diventa rossa, gialla, bianchina, bianchissimaaaaa, azzurrina....bluuuuuuu..... E vale per qualunque cosa, qualunque tipo di combustione. Se guardate con attenzione la fiamma di una candela, vi accorgerete che ci sono delle zone “colorate” diversamente: la parte piu' rossa, vicino allo stoppino, e' la più fredda, ma e' anche la più calda. Quella esterna e' la più calda, e cioè la più fredda... “Ahooooo!!!, ma che stai a di'???...Che te sei bevuto???” Ehehhe..si avete ragione. E' che l'italiano e' una lingua difficile e ingenera un sacco di confusione. Quando un umano (non un fotografo eh...) parla di luce “fredda”, se non si contestualizza la frase l'umano potrebbe voler intendere una di queste tesi: – Una luce bianchissima, come quella del flash, addirittura azzurrina, come il cielo terso; – Una luce con una temperatura di colore bassa, e quindi una luce di colore rossastro; – Una LAMPADA “fredda” cioè che scalda poco, come una lampada fluorescente, o un led che non si scalda affatto. In genere pero', per luce fredda si intende ovvia la prima affermazione. Ma perché diavolo si chiama luce fredda se per generarla devo scaldare moltissimo il filamento della lampada per fargliela emettere??? Dovrebbe quella fredda chiamarsi calda e viceversa... Avete ragione. E' che ci si rifa' sempre agli elementi naturali per “battezzare” le cose, e per esplicare le nostre sensazioni... Il nostro cervello associa al fuoco (temperatura colore molto bassa) un senso di calore...e al ghiaccio, alla neve (temperatura di colore altissima) un senso di freddo... Che confusione...e allora perché la neve e' fredda, anzi ghiacciata, se abbiamo appena detto che occorre scaldare un corpo nero per farlo apparire bianco??? Vero...mi spiego meglio: occorre scaldare un corpo nero per fargli raggiungere quello specifico 11
colore (il bianco della neve, ad esempio) ma la neve non e' un corpo nero... Le cose, gli oggetti, appaiono di quello specifico colore perche' la loro materia si comporta come una spugna. Assorbe un po' di colori, solo alcuni altri no: la “risultante” la somma di quelli riflessi e' quello che percepiamo noi come colore. •
Il nero, li assorbe in egual misura tutti. Beone.
•
Il bianco li riflette tutti. Schizzinoso.
Ok. Ma allora che ci facciamo con questa cosa della temperatura? Oh molto semplice: ci cataloghiamo i colori! La temperatura colore e' espressa in gradi Kelvin. Per complicarci la vita, immagino... Potrebbe essere espressa pure in gradi centigradi, ci sarebbe più familiare. Ma tant'è, il sistema universale SI prevede i gradi Kelvin. Ora voi avete un potente computer no? La formula per avere l'equivalente in gradi centigradi dai Kelvin, e' complicatissima ma ve la illustro: C= K + 273,15 beh non e' poi cosi complicata...scherzavo, si può' fare quasi a mente. Insomma 0 gradi centigradi sono 273,15 Kelvin. Non ci serve a molto saperlo salvo che per curiosità: quando parliamo di una lampada ad incandescenza che emette luce con una temperatura colore pari a 5500 gradi kelvin, stiamo dicendo che il filamento viene scaldato fino a circa 5300 gradi centigradi!!!! Azz, se brucia... e poi vi lamentate se durano “solo” 1000 ore....vorrei vedere .... In realtà ad esempio, le lampade a scarica sono molto più fredde in generale. E' il gas contenuto all'interno che emette luce di colore bianco, ma senza scaldarsi cosi' davvero. E' nella natura del gas: cosi come la neve di suo e' bianca a zero gradi centigradi, lo Xeno ionizzato emette luce bianca anche se a “soli” 800 gradi centigradi. La correlazione esatta tra temperatura colore e temperatura fisica, esiste solo partendo da un corpo solido e nero ( e non ripensate alla modella di colore di prima, diavolacci !!! ) Ok. forse vi ho convinto. Ma per essere un efficace strumento di misura del colore, devo misurarla sta temperatura. E come si fa a misurare la “temperatura colore” della neve ? O del flash? O della lampada fluorescente? Si usa uno strumento (oggi elettronico) ma che una volta era mooolto semplice: il colorimetro. Era costituito da un tubicino, tipo un cannocchiale, e all'interno c'era posizionato un filamento. Il filamento veniva collegato elettricamente e alimentato tramite una manopola graduata. Si portava questa specie di cannocchiale all'occhio e attraverso di esso si osservava il filamento, sovrapposto al colore da “campionare”. Muovendo la manopola si scaldava il filamento, sempre di più, fino a non distinguerlo dalla zona di colore prescelta. A quel punto, quando il filamento avendo assunto lo stesso colore del fondo era indistinguibile, si leggeva sulla manopola che temperatura indicava, et voilà. 12
Semplice ed efficace. Ok e che c'entra tutto questo con la fotografia? Eh già...dobbiamo tornare all'inizio della storia... Quando illuminiamo un oggetto per vederlo, o per fotografarlo, lui si “beve” tutti i colori, meno alcuni la cui risultante e' quello che vediamo. Ma quello che vediamo noi e' il risultato appunto, la somma tra il colore riflesso dall'oggetto e il colore della luce che lo illumina: la sintesi tra i due. A scuola vi facevano mescolare gli acquerelli per ottenere un colore diverso no? Uff, a me si e non mi riusciva mai... Ma il concetto e' simile. Questo significa che la stessa scena, illuminata con una lampada a incandescenza e poi successivamente con una alogena “daylight”, ci apparirà diversa. Vedremo “dominanti” di colore diverse. Più rosse, nel primo caso, e più bianche e “slavate” nel secondo. Lo stesso monitor del computer e' soggetto a questo fenomeno. Un normale monitor LCD e' composto da uno schermo che “genera” i colori per trasparenza. Li vediamo perché questo schermo (il pannello lcd appunto) viene retroilluminato da due o più lampade. E queste lampade, come tutte, hanno una loro “temperatura colore”. Se il monitor viene lasciato allo stato “brado”, la stessa fotografia, vista su altri apparecchi, avrà toni di colore diversi. E' per questo (anche per questo) che molti di voi “tarano” il monitor con vari sistemi, i più fortunati e spendaccioni con un colorimetro elettronico. Sulla macchina fotografica digitale vale lo stesso principio: il sensore e' un animaletto mansueto e addomesticato...ma dobbiamo dirgli, fargli sapere quale sia la temperatura colore della nostra fonte luminosa, affinché lui sia fedele. Può farlo anche lui stesso, in modo del tutto automatico su alcune macchine, ma il più delle volte glielo si comunica manualmente, tramite un menu più o meno semplice da utilizzarsi. Ed e' un gran vantaggio: gli estimatori della pellicola a colori sanno bene che non c'è un menu per “tarare” la pellicola per la luce che si desidera utilizzare. Era il costruttore della pellicola che decideva questo parametro a priori. Ed e' anche per questo che esistevano le pellicole per luce diurna (tarate cioè per restituire un bianco naturale se quel bianco veniva illuminato da una sorgente a 5000 kelvin) oppure per luce interna (che restituivano un vero bianco se questo veniva illuminato a 2700 Kelvin). Sulle macchine più costose, oltre alle tarature preimpostate esiste anche la possibilità' di variazioni fini o addirittura di poter “misurare” il bianco naturale, campionando una superficie bianca illuminata dalla sorgente di luce desiderata. Ovvio che tarando il sensore, facendo in modo che lui sappia come deve essere il “bianco”, anche tutti gli altri colori appariranno fedeli in conseguenza. Il bianco viene usato come campione, ecco perché la temperatura colore in fotografia e' anche sinonimo di “temperatura del bianco” e i cameraman ancora oggi dicono di “fare il bianco” quando tarano una telecamera che ne ha bisogno. Sui manuali di istruzione ci sono sempre delle tabelle esemplificative. Inoltre, potrebbe essere simpatico utilizzare delle tarature “sbagliate” per ottenere degli effetti gradevoli, provare col digitale costa molto poco no? Fate attenzione: la resa dei colori, per l'occhio e in fotografia, e' anche stabilita dalla quantità dei colori “emessi” dalla sorgente luminosa. Semplificando molto, se utilizzassimo una lampada rossa per illuminare un foglio bianco, questo apparirà rosso, perché poverino, il foglio rifletterà solo quello di cui dispone...e cioè il rosso! Il parametro per misurare il numero dei colori emessi dalla sorgente luminosa si chiama IRC: l'indice di resa cromatica. Il valore massimo (il sole) e' dato pari a 100. Una buona alogena ha un IRC simile a quello del Sole o poco meno. 13
Uno degli argomenti più dibattuti sui forum e tra i fotografi e' proprio questo: “ma de che...a lampada ar neon...e che... mica se po fotografa' co a lampada ar neon...” Non e' vero, se si intende per lampada al neon la fluorescente. Questa ultima, e le migliori a basso consumo, hanno un IRC pari a 80. Il che significa che emettono tutti i colori visibili, salvo alcuni che tanto neanche il nostro sensore vede bene. Il che significa che non solo e' possibile usarle ma e' auspicabile, proprio in virtù del fatto che “consumano” meno energia elettrica a parità di luce emessa. “Anto'....ma mo' 'a sta signora io come jelo spiego de sta storia dei colori e de sta temperatura?” Su su, termometro in mano e via! Al lavoro!
Sorgenti
Cielo sereno Cielo coperto Sole a mezzogiorno Sole all'alba Lampada a incandescenza Lampade fluorescenti Candele steariche
Temperature di colore 20000 - 15000 15000 - 5000 5250 1600
Tabella di equivalenza temperatura/colore indicata in gradi assoluti (gradi Kelvin). Per averle in gradi centigradi occorre sottrarre 273 al numero letto. Es. 2.000 gradi Kelvin corrispondono a 1.727 gradi centigradi.
3000 - 2400 6500 - 2900 1900 - 1800
E ORA, CHE CI FACCIAMO CON QUESTE LAMPADE? Abbiamo letto e imparato un sacco di cose sulle lampadine...e ora? Che ci facciamo? Come le posizioniamo? La luce alla “Rembrandt” o alla “Mapplethorpe”.... Beh, io direi che sarebbe bene puntualizzare (che termine da maestrina) alcune cose, che credetemi sono fondamentali, con buona pace di tutti gli “artisti visuali” che leggeranno queste righe e che mi sputeranno virtualmente ( o fisicamente quando mi incontreranno). Non esiste la luce perfetta, cioè quella che renda una foto “perfetta” universalmente. Le sensazioni, prodotte in un osservatore che legge una fotografia non sono mai oggettive, ma legate a un miliardo di variabili, e tra questi lo stato d'animo di quel momento, la propria cultura, le alterazioni indotte dall'esterno, l'età, le esperienze maturate. Alcune mie foto di qualche tempo fa, viste ora, mi fanno inorridire (e non dite che a voi fanno inorridire anche le mie attuali eh!!!) Ho condotto personalmente alcuni test, che mi hanno veramente “chiarito” le idee, ve li racconto, ma guardate, qualche riscontro lo si ha anche in alcuni forum. 14
Durante alcuni corsi, ho “introdotto” delle fotografie veramente brutte di still life, ma accompagnate da critiche molto buone, nelle quali si parlava diffusamente delle luci utilizzate per gli scatti. Tutti gli uomini, e una percentuale molto alta di donne (ma non tutte, e questo dovrebbe farci pensare...) presenti al corso, hanno “accettato” le critiche come buone, non giudicando la foto ne tecnicamente ne per le sensazioni che davano, ma solo “aggregandosi” al gruppo nell'affermare che gli scatti erano affascinanti. Successivamente, ho detto loro che avevo sbagliato a leggere le critiche su quella foto, e che le avevo confuse con le critiche di una seconda foto, in effetti tecnicamente perfetta e molto sensuale. Tutti, e dico tutti, hanno fatto marcia indietro sui commenti, e cominciato a dire...”a beh ma io lo avevo notato”....”si in effetti non mi quadrava”...”certo si vede la luce pessima”... Insomma, era il gruppo che giudicava, non il singolo, non la propria “capoccia”. Che c'entra con le lampadine? Eheheh, si avete ragione. Il senso e' il seguente: NON esiste apparecchiatura professionale, macchina da 100miliardi di megafottutistrapixels, oppure obiettivi con lenti al plutonio, che possano donare la “bellezza universale” ad una fotografia. E non esiste un fotografo, uno solo, che possa farlo. “Ah beh, allora ce ne andiamo a casa, che stiamo a fare qui'?” Certo, non e' una prospettiva accattivante per chi si accinge ad iniziare, e a dire il vero neanche per un professionista (poi discuteremo del termine professionista, un altro giorno magari...) E aggiungerei, come carico da 11, che in fotografia e' stato fatto tutto, immortalato tutto, e internet lo dimostra. Non esiste una idea “nuova” ma semmai una ancestrale interpretazione di qualche cosa di già visto. “E daje... E allora che dovemo fa'?” Direi di guardare il guardare il bicchiere mezzo pieno: vengo e mi spiego. Se non esiste attrezzatura costosa, o fotografo, che possano donare una bellezza oggettiva e universale ad una foto, beh allora significa che in teoria tutti possono provare a farlo, anche i “non” fotografi e con attrezzature economiche ma ben studiate. Logico no? Attenzione: non si può prescindere da una buona tecnica, e da un corretto uso dei mezzi che si usano, ma non e' assolutamente necessario esagerare. Banalmente, se io mi mettessi alla guida di una Ferrari, andrei a 130 all'ora, come con la mia Punto. Ma non per questo non arriverei a destinazione no? Altro punto fondamentale: qualunque attrezzo, venduto in un negozio specializzato, ha il prezzo enormemente maggiorato rispetto a quello dello stesso attrezzo venduto in un negozio “generalista”. Prove? Comprate una batteria per un orologio da un orologiaio, e poi la stessa batteria (che va nel telecomando della vostra auto) in un negozio qualunque. E non mi dite che la differenza e' poca solo perché si passa da 3 euro a 2. E' il 50% di aumento per lo stesso prodotto! Provate a comprare una lampada alogena “a sigaretta” in un negozio di fotografia (12 euro), e poi da un elettricista( 4 euro). Insomma, mi piacerebbe pure non generalizzare, ma funziona cosi'. E siamo fortunati! In altri settori succede pure peggio: un olio “miracoloso” per la catena di una costosa mountain bike costa come l'olio di Lorenzo. Dal ferramenta lo stesso prodotto... non hanno di che darti il resto se gli molli 5 euro per pagarlo... 15
E allora come si fa? Bene: piano piano dovremmo imparare a vedere cosa ci serve, e imparare a capire che le stesse cose che ci spacciano come “miracolose” in realtà non lo sono affatto, ma anzi in genere sono “derivate” da oggetti di uso quotidiano, direi comune. Ma dobbiamo prima avere una idea no? Cioè dovremmo capire cosa ci serve, per fare 'ste benedette foto. Certo una macchina fotografica, un paio di obiettivi, un computer. Ok, ve li concedo, salvo che non siate appassionati dell'analogico, allora niente computer. E poi? Un “target”!: cosa vogliamo fotografare? Cosa ci piacerebbe “raccontare” con le nostre foto? E' in riferimento a questo che dobbiamo andare a cercare le nostre attrezzature, e pian piano lo faremo, ma non solo nei negozi di fotografia, non sempre. Pero' intanto, cerchiamo di capire la “chiave”: a cosa serve la luce, che sensazioni suscita? Perdonatemi la “serietà' “ per le righe che seguono....ma credo che sia un argomento che debba essere trattato con i guanti... Schema tipologico delle sorgenti luminose
Confronto dei principali tipi di lampade: Vantaggi
Svantaggi
Alogene
Piccole dimensioni - maggiore efficienza - maggiore durata eccellente indice RA - luce bianca brillante - regolabile
Elevato sviluppo di calore
Fluorescenti
Elevata efficienza - lunga durata - scelta di temperatura di colore - bassi costi di esercizio - basso sviluppo di calore sorgenti luminose diffuse
Elevato costo iniziale - sensibile alla temperatura controllo ottico limitato - richiede alimentatore
Incandescente
Basso costo di acquisto - piccole dimensioni - eccellente RA varietà di forme - regolabile
Bassa efficienza - elevato sviluppo di calore - alti costi di esercizio - breve durata
Alugenuri metallici
Elevata efficienza - lunga durata - buon controllo ottico - bassi Elevato costo iniziale - necessità di alimentatore costi di esercizio - buona resa cromatica lungo periodo di accensione/riaccensione
Sodio ad alta pressione
Lunga durata - efficienza eccezionale - buon controllo ottico costi di esercizio molto bassi - basso decadimento del flusso luminoso
16
Costo iniziale elevato - necessità alimentatore lunghi tempi di accensione/riaccensione - scarsa resa cromatica
Tipo di
Dimensioni mm e
Tensione di
sorgente
Attacco
alimentazione (V)
80x45 (E14)
-bulbo con gas inerti
Indice di Efficienza Temp. di resa del Durata luminosa colore colore nominale (W) assorbita (W) luminoso (lm) media ore (lm/W) (K) (Ra) Potenza
Potenza
Flusso
220
15
15
105
7
1000
105x60 (E27)
220
15
15
115
8
1000
2800
100
"
105x60 (E27)
220
40
40
430
11
1000
2800
100
"
105x60 (E27)
220
100
100
1380
14
1000
2850
100
"
189x90 (E40)
220
300
300
5000
17
1000
2850
100
"
274x130 (E40)
220
1000
1000
18800
19
1000
2850
100
-bulbo vuoto
2750
100
Terminologia Qui avanti si cerca di far conoscere al lettore l'etimologia e i significati delle lettere dalla "H" di HMI alla "T" di Tageslicht (luce diurna in tedesco). Le lettere immediatamente prima dei dati di potenza caratterizzano la famiglia di appartenenza della lampada: HMI, HMP, HTI, HSR. H - Fondamentalmente è la prima lettera della sigla dell'elemento chimico mercurio (Hg=Hydragyrium cioè mercurio in latino) I - Composto con alogeni (I=Ioduri, bromuri) M - Metallo (terre rare, per esempio disprosio, olmio, tullio) P - Proiezione R - Terre Rare (metalli) (vedi anche "M") S - Viene dall'inglese Safe nel senso facile da maneggiare e caratterizza le lampade con bulbo esterno HSR. T - Tageslicht che in tedesco significa luce diurna. Le lettere che stanno dopo la denominazione di potenza (compreso "W" di Watt) descrivono determinate particolarità costruttive dei rispettivi tipi. C - Cavo di alimentazione e spina. D - Per lo più senza attacco con 2 conduttori di contatto nudi uscenti dalle due estremità opposte. DE - Lampade a doppio attacco (Double Ended) con spine filettate. GS - Gap Short (ad arco corto ossia con elettrodi ravvicinati) P - Proiezione, per esempio diaproiettori PAR - Lampada incorporata nel riflettore Parabolico S - Short. Versione di lampada che rispetto a quella standard è più corta SE - Single Ended (lampada ad attacco unico) 22/24/32 - Denominazione della distanza focale (ossia la distanza in mm tra il bordo del riflettore e la zona di massima concentrazione del fascio luminoso). 17
Le lampade HMI e HMP sono riaccendibili a caldo in qualunque stadio di raffreddamento. Le lampade HTI sono lampade ad arco corto con la massima luminanza. Le lampade HSR sono lampade ad attacco unico con bulbo esterno, idonee solo per accensione a freddo. Una lampada viene definita in modo univoco e senza possibilitĂ di confusione solo se di essa viene data la denominazione completa.
Decadimento del flusso luminoso per alcuni tipi di lampade calcolato come variazione in percentuale del flusso iniziale al termine della durata media: Decadimento del flusso Tipi di lampade
luminoso (%)
A incandescenza
87
Ad alogeni
94
A fluorescenza
85
A vapori di mercurio ad alta pressione
78
Ad alogenuri
70
A vapori di sodio ad alta pressione
90
A vapori di sodio a bassa pressione
87
Tempi medi di riaccensione a freddo e a caldo con normali sistemi di alimentazione: Tipi di lampade
Fluorescenti tubolari
A vapori di mercurio ad alta pressione
Ad alogenuri metallici
A vapori di sodio a bassa pressione
A vapori di sodio ad alta pressione
Tempi di riaccensione a freddo
Tempi di riaccensione a caldo
1-3 secondi
1-2 secondi
3-5 minuti
4-6 minuti
3-4 minuti
4-6 minuti
10-14 minuti
pressochĂŠ istantanea
5-11 minuti
1-2 minuti
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Sorgenti luminose
Evoluzione dei mezzi d'illuminazione 1) La forma più primitiva della sorgente di luce è stata la torcia; un paniere di ferro, serve da supporto alla legna in fiamme. 2) Lampada a olio a fiamma libera. Lampade di questa forma, risalgono da settemila a ottomila anni avanti Cristo. 3) La candela, succede alla lampada a olio; in teatro è corredata di uno schermo per proteggere la fiamma e mascherare lume e candela. 4)Lampada a canfora, a fiamma libera: si compone di uno o più stoppini, dentro un vaso contenente olio. 5) Lampada a cherosene, a stoppino regolabile, inventata in Francia nel 1783. Prima del suo uso, passeranno vari anni. 6) Il becco a gas a fiamma libera fu inventato nel 1782 e venne usato per primo in teatro. 7) La lampada a reticella a incandescenza, associata al becco a gas, venne inventata nel 1895 da Aver, austriaco. Ne derivò un progresso considerevole. 8) Un becco a calce, riscaldato fino a incandescenza mediante un cannello a fiamma ossidrica, venne impiegato per molti anni come proiettore. 9) Lampada ad acetilene; venne impiegata nelle sale di spettacolo (il becco di Sirius). Il corpo dell'apparecchio costituisce un sistema grazie al quale la miscela di acetilene viene portata a incandescenza. 10) Nel 1908 Sir Humphry Davy perfezionò l'arco elettrico o voltaico: nei quaranta anni seguenti venne utilizzato per il teatro, ma più tardi lo si sostituì con la lampada a calce. 11) La prima lampada ad arco posta in commercio, fu la candela di Jablochkoff composta di due bastoncini di carbone separato da un materiale isolante. 12) La prima lampada elettrica a incandescenza inventata da Edison nel 1879 a filamento di cotone carbonizzato.
19
FOTOMETRIA
Quattro sono le grandezze fondamentali da conoscere; 1) Flusso luminoso: unità di misura: lumen (lm), questa unità di misura indica la quantità di energia luminosa emessa nell'unità di tempo; un secondo da una sorgente. Per energia luminosa si intende, per convenzione, quella emessa nell'intervallo da 380 e 780 nanometri. Per le lampade, la normativa CIE, prevede che la misurazione del flusso luminoso emesso venga effettuata dopo 100 ore di funzionamento. 2) Intensità luminosa: unità di misura: candela (cd): indica la quantità di flusso luminoso emessa da una sorgente all'interno dell'angolo solido in direzione data. Una sorgente luminosa puntiforme emette radiazione della stessa intensità, in tutte le direzioni quindi il suo flusso luminoso si propaga uniformemente come generato dal centro di una sfera. Le sorgenti luminose artificiali, non emettono luce in modo uniforme, in tutte le direzioni dello spazio, il sistema pratico per visualizzare la distribuzione della luce emessa da una sorgente nello spazio consiste nel rappresentare le intensità luminose, come vettori applicati nel medesimo punto, come raggi uscenti dal centro di una sfera. I cataloghi degli apparecchi di illuminazione riportano spesso le curve fotometriche, ossia le sezioni del solido fotometrico, su due piani principali, ortogonali tra loro, intersecati per l'asse di simmetria e di rotazione. La conoscenza delle curve fotometriche è molto importante in quanto in base ad essa, è possibile verificare che l'apparecchio di illuminazione scelto, distribuisca la luce nel modo richiesto. 3) Illuminamento: unità di misura lux (lx): è il rapporto tra il flusso luminoso ricevuto da una superficie e l'area stessa. In altre parole indica la quantità di luce che colpisce un unità di superficie. 4) Luminanza: unità di misura: candela mq (metro quadro) cd/mq: è il rapporto tra l'intensità luminosa emessa da una superficie in una data direzione, e l'area apparente di tale superficie. In pratica indica la sensazione di luminosità che si riceve da una sorgente luminosa primaria o secondaria. Si dice sorgente primaria, un corpo che emette direttamente radiazioni; si dice sorgente secondaria, un corpo che riflette le radiazioni emesse da una sorgente primaria. E' importante aver ben chiaro la differenza esistente tra illuminamento e luminanza, se la prima grandezza indica la quantità di luce emessa da una sorgente che colpisce la superficie considerata, la seconda indica la sensazione di luminosità che riceviamo da questa superficie; vuol dire che su due superfici, una bianca e l'altra nera, possiamo avere lo stesso valore d'illuminamento, ad esempio 500 lux, ma la 20
sensazione di luminosità ricevuta e quindi la luminanza sarà completamente differente in quanto quelle due superfici riflettono la luce in modo diverso. Grandezza
Unità di misura
Flusso energetico
Watt W
Sensibilità visiva
V
Flusso luminoso
lumen lm
E' il flusso energetico percepito con la sensibilità visiva e rappresenta una delle più importanti proprietà delle lampade: per quest'ultima ragione viene sempre indicato nei listini dei fabbricanti di lampade
Efficienza luminosa
lm/W
E' proporzionale al rendimento del processo di trasformazione della potenza elettrica assorbito in flusso luminoso, ed è perciò uno stimolo continuo a sviluppare lampade con una maggiore efficienza luminosa e di conseguenza con un minor consumo d'energia
Intensità luminosa
candela cd
Rappresenta la percentuale di flusso luminoso di una sorgente luminosa in una determinata direzione. Serve per calcolare la distribuzione della luce.
Illuminamento
lux lx
Luminanza
cd/m
Spiegazioni ed applicazione Energia radiante elettromagnetica, per lo più rappresentata suddivisa sullo spettro (a seconda della lunghezza d'onda) Definisce quali sezioni dello spettro (gamme di lunghezza d'onda) vengono percepite dall'occhio sotto forma di luce
Rappresenta il flusso luminoso per m di una superficie illuminata(1 lx=1lm/m ). Grazie alla sua estrema semplicità è il riferimento più spesso usato nei progetti d'impianti d'illuminazione
Rappresenta la luminosità di lampade ed oggetti illuminati come viene recepita dagli occhi ed è il riferimento più importante per un accurata progettazione di impianti di illuminazione per ambienti di lavoro dove è importante assicurare una visione ottima
L'Illuminamento di un lux è dato dal flusso luminoso di un lumen che cade sull'area di un metro quadrato.
ILLUMINAZIONE IN FOTOGRAFIA La classica configurazione dei tre punti luce è la base dell’illuminazione per la fotografia. Dall’evoluzione di questo sistema sono derivati i metodi di illuminazione per la televisione e il cinema. La luce chiave (KEY-LIGHT) è la sorgente principale di illuminazione; la sua caratteristica è quella di illuminare il soggetto o la zona di interesse con una luce “dura”, es. la luce del sole. In una situazione convenzionale, questa luce corrisponde a un faro posizionato entro un’angolazione di 45° a destra o a sinistra della macchina fotografica in senso orizzontale, e non oltre 45° sul piano verticale. Il fotografo interpreta il soggetto in base alle caratteristiche di questo tipo di luce e alla scelta della posizione della luce chiave. La luce di riempimento (FILL-LIGHT) è la sorgente di luce secondaria la cui caratteristica è quella 21
di diffondere una luce “morbida”, per riempire le zone d’ombra create dalla luce chiave; inoltre ha la funzione di abbassare il campo di contrasto, per permettere l’esposizione sulla pellicola delle zone d’ombra. La luce di riempimento viene solitamente posizionata dalla parte opposta della luce chiave e sullo stesso piano della macchina fotografica. A seconda del contrasto o della profondità di campo desiderati, la quantità della luce di riempimento sarà eguale a quella della luce chiave (poco contrasto, poca profondità di campo) o sarà nulla (massimo contrasto, massima profondità di campo). Il rapporto convenzionale tra luce secondaria e luce primaria è di 1:4. La terza sorgente luminosa è il Controluce, la cui funzione è quella di separare il soggetto dal fondo, creando così l’illusione della terza dimensione. Solitamente si tratta di un faro posizionato in modo da non abbagliare la fotocamera. L’angolazione è circa 45° in verticale, tranne che per effetti speciali o particolari, e viene posto lungo l’asse orizzontale della macchina fotografica. Grazie alla sua angolazione, il controluce non influisce più di tanto sull’esposizione: i valori di intensità sono circa quelli della luce chiave. Quando il soggetto è sovra/sotto esposto, solitamente si agisce sul diaframma; in seguito si attenua o si aumenta la luminosità del faro che provoca tale effetto. Bisogna quindi trovare la giusta esposizione per il soggetto e ridurre le zone sovraesposte. Per grandi aperture di diaframma (f-2) la macchina accetta livelli di luce bassi, ma la profondità di campo è minima; per piccole aperture di diaframma (f-16) la profondità di campo è sensibilmente maggiore, ma ci vuole un’intensità di luce maggiore. Se chiudiamo il diaframma, esempio da (f-4) a (f-8); bisogna aumentare di quattro volte la “quantità” di luce per mantenere la stessa esposizione. Proprietà controllabili della luce: Per cominciare a conoscere la luce, si può partire dall'osservazione dei fenomeni naturali. In una giornata di sole vedremo che la luce proviene da una direzione ben precisa, e questa ci è data dal disegno delle ombre sul viso delle persone, o dall'ombra che le stesse proiettano al suolo. In una giornata nuvolosa potremo invece osservare che la luce è molto diffusa e indiretta; la quasi totale mancanza di ombre non ci permette di capire la direzione da cui proviene la luce. Questa è la prima divisione generale che possiamo fare: a) luce con una direzione specifica; b) luce generale indiretta (diffusa). La luce che si produce artificialmente si colloca fra questi due estremi e può avvicinarsi all'uno o all'altro. In ogni caso, qualsiasi tipo di luce artificiale (come quella che useremo per l'illuminazione del set), possiede delle caratteristiche che possono essere controllate o modificate da noi a seconda delle necessità: l'intensità, la distribuzione, il colore e il movimento. Intensità L'intensità è data dalla qualità di luce presente. Si può andare dalla luce tenue di una candela, a quella intensa emessa da potenti proiettori. Su un set la luminosità dipende dal numero delle sorgenti di luce impiegate, dalla loro potenza, dalla distanza dall'oggetto illuminato e da alcune variabili che possono introdurre, come l'uso di filtri colorati, l'utilizzo ad intensità ridotta degli apparecchi e altro. La luminosità può essere decisa in fase di progettazione scegliendo il numero e il tipo di apparecchi nonché la loro potenza (in base anche alla loro distanza dal soggetto), oppure può essere modificata direttamente sul set per mezzo di appositi attenuatori (dimmer) o allontanando la fonte luminosa. Distribuzione Per distribuzione si intende la direzione della luce, la sua forma e la sua qualità. La direzione di provenienza della luce determina l'angolazione con cui il raggio luminoso "colpisce" il soggetto o un elemento scenografico. Dalla direzione dipende anche la posizione dell'ombra che si creerà e le sue dimensioni. La direzione di provenienza di solito viene progettata "a tavolino", e può essere modificata posizionando gli apparecchi illuminanti in una posizione del set piuttosto che in 22
un altra. La forma della luce è data soprattutto dall'angolo di apertura del raggio luminoso emesso da un apparecchio. Quasi tutti i proiettori danno la possibilità di regolare, con una certa escursione, l'angolo del raggio prodotto. La forma poi può essere modificata per mezzo di alette esterne o di lamelle sagomatrici interne che "tagliano" la luce, modificando la forma circolare del normale raggio luminoso. Per qualità della luce si intende la sua concentrazione o la sua diffusione e il fatto, conseguente, di avere dei margini del raggio rispettivamente molto netti o molto sfumati. Queste caratteristiche possono essere decise scegliendo, fra gli apparecchi disponibili, quelli che emettono un tipo di luce piuttosto che l'altro. Colore Il colore è in parte determinabile già con la scelta degli apparecchi; in particolare, si possono utilizzare lampade che producono una luce più calda (tendente al giallo) o una luce più fredda (tendente all'azzurro). In seguito il colore della luce può essere modificato ponendo davanti agli apparecchi dei filtri colorati; in commercio ne esistono praticamente di ogni colore. Una cosa da tenere presente è che sul set il colore generale è dato dalla somma del colore della luce che noi vi inviamo, più il colore della luce riflessa dagli oggetti presenti sulla scena.
Obiettivi dell'illuminazione Per l'illuminazione di uno spazio non esistono regole scientifiche sempre valide, ed ogni set si crea le sue ed ha un proprio stile. Tuttavia, se ci chiediamo cosa può fare la luce, o come possiamo agire con la luce e cooperare alla comunicazione di quanto desideriamo, vediamo profilarsi alcuni compiti specificamente affidati alla luce. Questi sono: l'illuminazione (visibilità), la rivelazione delle forme, la guida selettiva della visione e la creazione di un'atmosfera. Sono quattro obiettivi che chi crea l'illuminazione deve sempre tenere presenti e che sono "trasversali", cioè sono validi per qualunque tipo di set e indipendentemente dal suo stile. Rivelazione delle forme In una fotografia il set è incorniciato, limitato dall'area della foto stessa. Questa situazione tende ad esaltare le dimensioni della larghezza e dell'altezza e a nascondere la terza dimensione: quella della profondità. Questa tendenza alla "piattezza" aumenta con l'aumentare delle dimensioni come nei panorami. Lo strumento più importante per la corretta rivelazione delle forme e per restituire la naturale tridimensionalità ai soggetti e allo spazio, è la luce. Un'illuminazione sbagliata, come quella completamente frontale, sarebbe in grado di appiattire qualsiasi scenografia e rendere inutili tutti gli sforzi. La tridimensionalità è fondamentale anche per il rapporto tra il soggetto e la scenografia. Un attore illuminato solo da una luce frontale sembrerebbe una figurina incollata sulla parete di fondo. Una luce che dia profondità, come quella di taglio o il controluce, serve dunque anche a "staccare" il soggetto dalla scena. La profondità e le forme possono essere rivelate scegliendo una corretta angolazione di provenienza della luce e questa, naturalmente, va studiata in fase di progettazione. Più avanti analizzeremo le singole angolazioni e le tecniche che vengono utilizzate per esaltare la tridimensionalità. Selettività L'inquadratura scelta ha il compito di selezionare le parti di realtà che si vuole che il pubblico veda: da una panoramica sull'intero paesaggio ad un dettaglio del viso del soggetto. Uno dei compiti della luce è quello di guidare l'attenzione verso la zona più importante, o volutamente scelta. La cosa più immediata da fare sembrerebbe quella di illuminare selettivamente solo l'area che interessa, lasciando nel buio tutto lo spazio rimanente. E' un espediente che alcuni fotografi adottano ma è un mezzo estremo, banale, e non può funzionare quando si richiede un certo grado di realismo. Un sistema comunque valido per guidare la visione è quello di bilanciare l'area selezionata ad un livello di luminosità leggermente superiore rispetto al resto del set. E' un metodo che si basa su un fattore psicologico; quello che l'occhio è sempre attirato dal punto più luminoso presente nel suo campo visivo, ed è sorprendente quanto un piccolo aumento di luce aiuti a spostare l'attenzione nella zona desiderata e senza che l'osservatore se ne renda conto.
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Atmosfera L'ultimo di questi obiettivi è anche il più affascinante; è quello di riuscire a influenzare lo stato emotivo della foto scattata, attraverso la creazione di un'atmosfera. L'atmosfera può agire a due livelli; ad un livello più superficiale serva a "raccontare" l'ambientazione, cioè, ad esempio, a dirci se siamo in un pomeriggio autunnale, in una mattina d'estate oppure di notte; se piove, nevica o c'è il sole. Ad un livello più profondo l'atmosfera dovrebbe comunicarci il clima emotivo di ciò che stiamo vedendo e la sua evoluzione durante lo spettacolo, provocando in noi il conseguente stato d'animo (apprensione, angoscia, gioia, ecc.). Per creare l'atmosfera e controllarla per mezzo della luce, ci sono principalmente tre metodi. Il primo è quello di bilanciare chiarore e oscurità, legati rispettivamente alla tranquillità e al mistero. Il secondo è quello di miscelare la luce calda e la luce fredda. La prima dà subito una sensazione di serenità e di gioia, la luce fredda induce invece apprensione e un senso di tristezza. Naturalmente c'è poi tutta una gamma di tonalità intermedie. L'ultimo metodo si basa sul controllo del rapporto luce/ombra. Ombre naturali e morbide inducono tranquillità mentre un'immagine molto contrastata o l'esaltazione delle ombre comunicano inquietudine e angoscia (l'esempio tipico è quello dei film dell'orrore). Gli obiettivi appena elencati naturalmente non sono indipendenti ma interagiscono uno con l'altro, dando luogo anche ad alcuni conflitti. Ad esempio: se si vuole ottenere un'atmosfera tramite un abbassamento di luce, ciò va a scapito della visibilità; la selezione di un'area ristretta su cui concentrare l'attenzione si ottiene nel modo migliore usando un solo proiettore, ma ciò può limitare la tridimensionalità; una luce studiata per la tridimensionalità talvolta porta ad un calo della visibilità del viso dei soggetti ecc. In pratica succede che la luce ideale per raggiungere un obiettivo spesso ostacola il raggiungimento degli altri. Così, un progetto procede normalmente in due fasi; nella prima bisogna valutare quali degli obiettivi privilegiare, in base allo stile (naturalistico, surreale, astratto, ecc.) o alle aspettative del fotografo. Nella seconda fase bisogna bilanciare attentamente i mezzi per raggiungere un compromesso che soddisfi più o meno i quattro obiettivi. Dal punto di vista pratico elaborare un progetto luci significa scegliere il tipo di apparecchi da utilizzare, decidere la loro posizione e il loro puntamento e scegliere i colori.
Simboli internazionali CIE dei principali apparecchi Posizionamento e puntamento La scelta della posizione e, di conseguenza, del puntamento dei singoli apparecchi è fondamentale; da questa dipenderà infatti il carattere dell'immagine che otterremo. Proviamo a pensare ad un soggetto al centro del set e analizziamo le immagini che otterremo illuminandolo con un proiettore spostato in tutte le posizioni e orientato con tutte le angolazioni possibili, ponendo l'attenzione soprattutto su tre variabili: l'effetto sul soggetto, l'area di set che andremo ad illuminare e le ombre che si creeranno.
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Luce frontale Partiamo da una luce proveniente dall'alto, con un raggio luminoso che cade verticalmente esattamente sopra la testa del soggetto. Abbiamo gli occhi bui e il naso molto illuminato che però mette in ombra la bocca. L'ombra che produce il corpo è molto piccola e l'area di set illuminata è molto limitata. Tali caratteristiche portano ad un tipo di luce molto selettiva, che scolpisce il corpo e il viso in modo molto drammatico ma che permette una visibilità molto ridotta, soprattutto per il fatto che restano in ombra gli occhi e la bocca. Poniamo ora il proiettore frontalmente rispetto al soggetto e ad una certa altezza. Gli occhi e la bocca diventano molto più visibili ma l'area che andiamo ad illuminare si estende notevolmente dietro il corpo del soggetto. Anche l'ombra sul pavimento diventa più lunga e più presente. Se abbassiamo in avanti ulteriormente il proiettore fino ad arrivare all'altezza degli occhi del soggetto, vediamo il viso completamente illuminato anche se un po' appiattito. In questo caso poi la luce illumina molto in profondità il set, l'ombra è molto lunga e, probabilmente, è proiettata anche su parte della scenografia retrostante. Parlando in generale della luce frontale possiamo dire che alla posizione più bassa del proiettore corrisponde il maggior appiattimento dell'immagine ma anche la massima visibilità e la minima possibilità di selezionare lo spazio tramite la luce. Per molti la luce ideale per i ritratti. Luce laterale Se posizioniamo il proiettore a lato del soggetto vediamo che il suo viso e il suo corpo sono molto scolpiti e tridimensionali. Ciò dipende dal fatto che, guardando dal punto di vista della macchina da presa, solo un lato del soggetto è illuminato. Più si abbassa il proiettore, più aumenta la visibilità e la modellazione del viso. Naturalmente aumentano via via sia l'area di set illuminato, sia le dimensioni dell'ombra. Se utilizziamo due proiettori, uno su ciascun lato, per illuminare il soggetto, avremmo comunque una zona d'ombra al centro del viso, con in più l'inconveniente di aver prodotto due ombre sul pavimento. Abbassando i due proiettori fino a portarli in posizione orizzontale all'altezza degli occhi del soggetto, si otterrebbe un corridoio di luce che attraversa tutto il set. In generale si può dire che, abbassando la fonte di luce lateralmente, aumenta la visibilità e la tridimensionalità del soggetto ma si allunga l'ombra e si perde buona parte della possibilità di selezionare lo spazio. Controluce Una luce proveniente dall'alto e da dietro il soggetto non ci permette di vederne il viso ma aiuta molto a dare profondità a tutto l'ambiente e, grazie al profilo molto luminoso che si crea attorno al capo e alle spalle, permette di staccare nettamente il soggetto dalla scenografia, evidenziandolo. Luce dal basso Una luce frontale dal basso, crea un'ombra del soggetto molto grande e incombente. Naturalmente se viene usata da sola produce un'immagine molto drammatica e innaturale. Usata a bassa intensità come completamento della luce dall'alto, può essere utile per schiarire le ombre sotto il naso e negli occhi e per ammorbidire i contrasti. L'analisi delle posizioni e delle angolazioni possibili ci dice che non esiste una posizione ideale che soddisfi contemporaneamente tutte le nostre esigenze. Le posizioni frontali vanno molto bene per la visibilità ma tendono ad appiattire l'immagine; le posizioni laterali fanno l'esatto contrario (tridimensionalità ma poca visibilità). Le angolazioni alte danno meno visibilità ma consentono di restringere l'area di set illuminata e producono piccole ombre, al contrario delle angolazioni basse, e così via. Si tratta allora di trovare delle posizioni e delle angolazioni di compromesso, basandoci sulle necessità drammaturgiche e sugli obiettivi che vogliamo privilegiare. Se prendiamo come riferimento il tipo di illuminazione che possiamo vedere in natura, questa è riproducibile abbastanza fedelmente seguendo un semplice metodo. Si tratta di utilizzare due proiettori davanti al soggetto, ad un'altezza tale da formare un angolo di 45° tra il raggio di luce e la linea orizzontale dello sguardo, e posizionati in modo tale da formare, ciascuna su ogni lato, un angolo di 45° tra il raggio di luce e il piano verticale che attraversa longitudinalmente il corpo del soggetto. I due proiettori formeranno così, fra di loro, un angolo di 90°.
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E' un metodo derivato empiricamente dal fatto che questa combinazione di angolazioni è il miglior compromesso fra la visibilità e la tridimensionalità che si può dare ad un soggetto. L'ideale sarebbe poi quello di aggiungere un terzo proiettore in posizione di controluce, per dare maggior profondità e tridimensionalità e per staccare il soggetto dalla scenografia circostante. Anche in natura, del resto, la luce illumina ogni oggetto da tutte le direzioni, provenendo sia dalla fonte principale (ad es. il sole), sia da tutto l'ambiente circostante grazie al fenomeno della riflessione. I Fondali Se l'illuminazione dell'area sarà fatta meticolosamente, probabilmente parte della scenografia sarà già ben illuminata per riflessione. Tuttavia le grandi pareti, i panorami o il ciclorama (che produce es. il cielo) richiedono un'illuminazione specifica. Questa viene fatta solitamente con apparecchi diffusori i quali, oltre ad illuminare, danno anche un tono di colore generale alla scena e quindi un'atmosfera. I diffusori vengono usati in batteria alternando eventualmente due o tre colori diversi. Alcuni materiali per panorami (il PVC o certe tele) possono anche essere illuminati dal retro, con un effetto molto suggestivo di profondità. L'illuminazione da dietro può essere fatta anche dal basso, appoggiando gli apparecchi sul piano del set, e può essere diretta o indiretta. Nel primo caso i diffusori alti e bassi vengono puntati direttamente contro il fondale; nel secondo è necessario montare un telo bianco, grande almeno quanto il fondale, ad una distanza di circa 1,5-2 metri. I diffusori in questo caso vengono montati subito dietro il fondale e puntati all'indietro contro il telo bianco. Una volta in funzione, il bianco rifletterà la luce rimandandola sul fondale. Quest'ultima sistema è decisamente il migliore perché è quello che dà l'illuminazione più morbida ed omogenea senza che si veda mai la fonte di luce. D'altro canto però è anche il metodo che richiede il maggior numero di apparecchi o una potenza superiore, perché non tutta la luce viene riflessa dal telo bianco e quindi una parte di questa va persa. Qualunque sia il metodo utilizzato, la cosa più importante è quella di poter controllare autonomamente l'illuminazione delle scene e dei fondali, perché ciò permette di bilanciare nel migliore dei modi il rapporto con il soggetto. Le alternative La principale è quella basata sul binomio luce chiave-luce di riempimento. Questo tipo di illuminazione prevede l'interazione fra due tipi di luce molto diversi; per prima cosa il set viene rischiarato da una luce diffusa di riempimento che, con il suo colore, dà un tono generale alla scena. Questa luce si ottiene con alcuni diffusori, montati dietro o nella parte alta del set, che illuminano "a pioggia" tutta l'area sottostante. I diffusori possono essere numerosi ed avere gelatine 26
di colore diverso, ad esempio quelle dei tre colori primari, così da ottenere molte tinte diverse semplicemente lavorando sulle intensità dei singoli apparecchi. A questa base si aggiunge la luce chiave, una luce più intensa, ottenuta con pochi proiettori, che illumina selettivamente l'area più ristretta dell'azione e definisce in maniera precisa una direzione di provenienza. E' un sistema particolarmente interessante per i ritratti a figura intera, perché permette di ottenere buoni risultati con pochi mezzi, anche se è molto meno versatile del sistema "a zone". Naturalmente nulla vieta di applicare contemporaneamente i due metodi secondo una qualsiasi combinazione, così da unire qualche vantaggio dell'uno a quelli dell'altro.
PICCOLO DIZIONARIO DEI TERMINI PIU' USATI A Abbagliamento: fastidioso effetto sugli occhi dovuto a una luce troppo viva (valori di luminanza superiori ai 10 stilb). L’abbagliamento diretto produce affaticamento visivo e perdita della percezione visiva, mentre quello riflesso provoca anche la perdita di contrasto. Accenditore (Ballast): dispositivo per l’accensione delle lampade a scarica, che genera impulsi di circa 5 kilovolts e si disinserisce quando la lampada è accesa. ACL (Aircraft landing lamp): lampada PAR 24 volt – 600 watt, che emette un fascio strettissimo di raggi quasi paralleli. Adattamento visivo: processo fisiologico nel quale l’occhio, dopo aver comparato i valori di luminanza, resa cromatica, temperatura di colore e di tonalità della luce di due situazioni diverse, si adatta tramite l’iride ai valori dell’ultima. Aletta paraluce (Bandiera): accessorio metallico di colore nero con due o quattro alette incernierate che si può inserire nelle apposite guide porta accessori di un faro per modificare la qualità del fascio di luce emesso. Alimentazione: fornitura di energia elettrica all’utenza che viene trasmessa attraverso linee elettriche. In Italia tale energia viene erogata in ragione di 230 volt –50 Hertz 400 volt trifase – 50 Hertz. Alogeno (Lett. generatore di sali): sostanza (iodio o bromo) che immessa in piccole quantità nel bulbo di lampade con filamento di tungsteno assieme al gas inerte di riempimento, favorisce il processo denominato ciclo di alogeni. Alta Tensione: secondo il Comitato Elettrotecnico Italiano sono considerati ad alta tensione gli impianti nei quali la tensione supera i 400 volt se in corrente alternata, 600 volt se in corrente continua. Americana luci: struttura a traliccio o semplice barra orizzontale di metallo composta di uno o più moduli, sospesa ad altezza variabile tramite tiri contrappesati, manuali o motorizzati, sulla quale si agganciano i fari e si fissa la relativa alimentazione elettrica.
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Ampére: unità di misura della corrente elettrica; 1 ampére è il valore della corrente che fluisce attraverso una resistenza di 1 ohm, sottoposta a una differenza di potenziale di 1 volt. Analizzatore universale (Tester): strumento indispensabile per la misurazione di tensioni e correnti in c.c. e in c.a., di resistenze e di capacità. La precisione di questi strumenti varia dal 3 al 10 % e dipende soprattutto dalla precisione del circuito interno. Analogico: termine che si riferisce a un procedimento che esamina in modo continuo (quindi “fedele”) le intensità di segnali aventi un comportamento analogo, es. l’ago di un tester o le lancette di un orologio.
Angolazione: la scelta dell’angolazione della luce è determinante per mettere in risalto o nascondere la porzione di palcoscenico che si vuole illuminare o per abbellire o distorcere un viso, un corpo, un oggetto. Tra le angolazioni più efficaci ricordiamo quelle di controluce di taglio. Anodo: elettrodo positivo di una pila, batteria, lampade a scarica in genere. Angstrom: unità di misura per lunghezze d’onda che corrisponde a 10-10 m.; lo spettro, o campo delle onde elettromagnetiche, percepibile dall’occhio umano varia dai 3800 ai 7800 A°. Arco elettrico: scarica elettrica luminosa e persistente che avviene tra due elettrodi di metallo in ambiente gassoso (es. lampade HMI, MSR). L’arco produce una sorgente luminosa potente e concentrata. ASA (American Standard Association): sistema di misura dell’indice di esposizione o sensibilità di una pellicola cine-fotografica. Il metodo di misura è aritmetico, cioè la velocità della pellicola è inversamente proporzionale al livello di esposizione richiesto. Assorbimento: i raggi luminosi che incontrano un oggetto vengono in parte trattenuti e in parte ritrasmessi, secondo il coefficiente di assorbimento dell’oggetto in esame. I raggi assorbiti si trasformano in energia termica. B Baby spot: proiettore di limitata potenza, circa 400 W, e di ridotte dimensioni. Backstage: termine inglese per “retroscena” o “dietro le quinte”. Bandiera francese: accessorio che modifica il fascio di luce di un proiettore; è formato da un braccetto metallico snodato; a un’estremità viene applicato un mascherino metallico nero (20x30 cm circa); l’altra estremità si aggancia al proiettore. Barracuda: asta di alluminio (2-4 metri) munita al suo interno di una potente molla che la estende fino a 20 cm. Per una migliore aderenza; viene utilizzata orizzontalmente o verticalmente per sorreggere corpi illuminanti più o meno leggeri (quarzine, baby spot, ecc.). Si usa principalmente in spazi i cui soffitti non superino in altezza o le pareti non distino più di 4 metri. Il barracuda ha fissati alle estremità due zoccoli di gomma per non danneggiare i muri e i pavimenti.
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Bionda – Blonde: parabola o pinza con lampada al quarzo da 2000 W, di colore giallo senape (da cui il nomignolo) usata per le riprese. Brandeggio: rotazione sul piano orizzontale di un corpo illuminante. Bromo: sostanza alogena che, aggiunta al gas di una lampada con filamento di tungsteno e pareti di quarzo, favorisce il rendimento della lampada stessa. Bruto: diffusore utilizzato in cinematografia come luce primaria (keylight). Bulbo: il rivestimento di vetro o di quarzo di una lampada nel quale sono inclusi filamento, elettrodi, ecc.
C Cambiacolori: accessorio motorizzato che si applica davanti a un proiettore per produrre una serie di colori a scelta. Il funzionamento è simile a quello di un rullino fotografico: la pellicola è formata da un nastro che comprende una dozzina di filtri diversi, uniti da un adesivo trasparente; un motorino elettrico fa muovere velocemente due rulli, i quali permettono lo scorrimento del nastro. Un sensore rileva la posizione del colore richiesto. Candela (cd): unità di misura di intensità di luce. Unità fondamentale della fotometria, da cui si fanno derivare tutte le altre grandezze fotometriche. Cantinella: listello di legno lungo 4 m., per 2 cm. di spessore e 4-10 cm. di larghezza. In fotografia come in teatro, è l’elemento base per costruire stangoni, le basi per i praticabili o “cavalle”, l’intelaiatura per quinte di tela, o armatura, ecc. Catodo: elettrodo negativo di una pila, batteria, lampade a scarica in genere. Catottrica: la teoria della luce riflessa da specchi piatti o curvi. CEI: Comitato elettrotecnico Italiano. Organismo che stabilisce norme in base a criteri di affidabilità e sicurezza per l’utilizzo di materiali, apparecchiature, impianti elettrici ed elettronici. Ciclo degli alogeni: fenomeno che avviene all’interno di una lampada col bulbo di quarzo e col filamento di tungsteno. Se al gas della lampada si aggiunge una sostanza alogena (bromo, iodio), essa si combina col tungsteno evaporato dal filamento; la nuova miscela torna al filamento e viene scomposta in tungsteno e iodio o bromo (la scomposizione avviene a circa 3000°C); il tungsteno si deposita sul filamento e la sostanza alogena ritorna nuovamente nel ciclo. La ripetizione di tali cicli mantiene pulite le pareti interne del bulbo. Per mantenere il ciclo, la temperatura delle pareti del bulbo deve essere di circa 600°C.
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Ciclorama: noto anche come orizzonte, è un fondale di colore neutro che avvolge il fondo e i lati di un palco scorrendo su un apposito binario o “strada”. CID: Compact Iodide Daylight. Lampada a scarica anche in versione PAR. CIE: Commissione Internazionale dell’illuminazione. Organismo che stabilisce metodologie e misure standard per l'illuminotecnica. Cinefoil: foglio sottile di alluminio rivestito di materiale nero opaco; usato soprattutto per mascherare luci spurie o parassite; si applica e si adatta facilmente su ogni tipo di superficie solida. Circuito: insieme di elementi conduttori le cui estremità sono collegate all’energia elettrica che attraversa ogni elemento. Un circuito è aperto quando in un punto del percorso il passaggio di energia elettrica è interrotto; è chiuso se non vi è nessuna interruzione. Collegamento: connessione tra due o più elementi di un circuito. Collegamento in serie: l’estremità di uscita del primo elemento è collegata all’estremità d’ingresso del secondo, e così fino all’ultimo elemento. Se si applica una differenza di potenziale, una impedenza o una capacità alle due estremità libere del collegamento, essa deve risultare come la somma delle differenze di potenziale, delle impedenze o delle capacità dei singoli elementi. Es. 220 volt è la somma di 9 lampade da 24 volt. Collegamento in parallelo: le estremità di ingresso dei singoli elementi sono collegate assieme così come le estremità in uscita, per cui la somma degli inversi delle singole tensioni, impedenze, capacità, è uguale all’inverso della tensione, impedenza, capacità collettiva. Es. se collego in parallelo due altoparlanti da 16 Ohm, l’impedenza totale sarà di 8 Ohm. Collegamento a stella: in un sistema trifase a corrente alternata, gli avvolgimenti di una qualsiasi apparecchiatura trifase sono collegati a un’estremità tra di loro tramite un punto comune o neutro, e all’altra estremità a una diversa linea di alimentazione. In ogni collegamento controllare bene che il carico sia opportunamente distribuito e che l’apparecchiatura abbia un’efficiente messa a terra per la sicurezza delle persone. Colore: per colore della luce si intende una percezione soggettiva strettamente legata alla lunghezza d’onda delle radiazioni luminose; tale sensazione dipende da diversi fattori, come la composizione spettrale della radiazione luminosa e la capacità dell’occhio di discriminare diverse emissioni di luce. Un colore può essere definito attraverso le sue tre qualità, o tre costanti, che sono: tono cromatico, luminosità, saturazione (croma, intensità) e le variabili tinta e gradazione. Sono note le associazioni psicologiche e gli stati d’animo dovuti alla percezione del colore. Complementare: colore risultante dalla sovrapposizione a coppie dei colori primari, per cui: verde+rosso=giallo; blu+verde=ciano; rosso+blu=magenta. Sommando un colore primario col suo complementare si ottiene bianco, cioè blu+giallo/verde+magenta/rosso+ciano=bianco. Condensatore ottico: in un sistema di proiezione è la lente (lenti) che concentra e converge i raggi di luce emessi da una lampada sull’apertura della pellicola e sull’obiettivo. Contrasto: è il rapporto tra i valori più bassi e quelli più alti di luminanaza in una scena o in un soggetto. L’occhio umano può accettare una vasta gamma di contrasto, mentre il sensore di un obiettivo è limitato. Per la TV è accettabile un campo di contrasto 50:1; per il cinema tale valore è di circa 100:1.
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Controluce: luce da dietro verso la platea (o la foto-cine-telecamera), usata per separare il soggetto dal fondo e dargli più dimensionalità e/o per meglio caratterizzare una scena. L’angolazione prevista è di 45° sul piano verticale e lungo l’asse ottico orizzontale. Corrente: flusso di elettroni dal polo negativo al polo positivo attraverso un mezzo definito o lungo un circuito. Per convenzione internazionale si assume come direzione della corrente quella opposta al movimento delle cariche negative (elettroni). L’unità di misura è l’Ampére (A). Corpo nero: sorgente luminosa teorica, progressivamente riscaldata, in cui l’energia assorbita è uguale all’energia trasmessa. Croma: cioè quanto un colore è vivido o attenuato, ma non quanto è luminoso. Il colore magenta ha un croma molto alto mentre il marrone ha un croma decisamente inferiore. CSI: Compact Source Iodide. Lampada a scarica ad alto rendimento. Curva di Munsell: la risposta dell’occhio alle variazioni di luce viene espressa da tale curva, che mette in relazione le variazioni di luce apparente e le variazioni di luce attuale. Curva di visibilità: curva di sensibilità spettrale che mette in relazione la percentuale di visibilità dell’occhio con lo spettro visibile, che varia dai 380 ai 780 nanometri (nm). L’occhio umano raggiunge la massima sensibilità a circa 500nm., corrispondenti alla gamma dei giallo-verdi. D Daylight: termine inglese che significa luce diurna e si riferisce a lampade, filtri, pellicole cine fotografiche con caratteristiche tali da riprodurre una temperatura di colore compresa tra 5500 e 6500 K. Diaframma: meccanismo nel quale un numero di lamine sottili mobili possono aprirsi o chiudersi per ottenere l’apertura del diametro desiderato. Utilizzato nei seguipersona e nei sagomatori per variare il fascio luminoso. Diagramma tricromatico: schema grafico stabilito dalla CIE (Commissione Internazionale dell’Illuminazione) per determinare esattamente la lunghezza d’onda e la saturazione di qualsiasi colore. Dicroico (due colori): filtro che ha la particolarità di riflettere la componente rosso-gialla della luce e di trasmettere la componente tendente al blu. Nelle lampade si usa per non convogliare calore sul soggetto. Diffusore: apparecchio singolo o a celle, munito di lampada tubolare alogena e di parabola riflettente utilizzato per una distribuzione simmetrica della luce (ribaltine, bilancine) o asimmetrica (fondali, ciclorama). L’ampiezza del fascio luminoso viene regolata dalla distanza tra diffusore e fondale. Dimmer: apparecchio elettronico che regola la quantità di luce emessa da una lampada tramite il controllo della tensione applicata. I dimmer attuali utilizzano i semiconduttori SCR o tiristori.
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DIN: Deutsche Industrie Norme. In cinematografia e in fotografia la sigla DIN, come la sigla ASA e ISO, indica un sistema di misura della sensibilità della pellicola. La sensibilità misurata in DIN deriva da un calcolo logaritmico del valore minimo di esposizione.. In pratica ogni tre gradi DIN il valore ASA raddoppia, per cui 21 DIN = 100 ASA, 24 DIN = 200 ASA. Diodo: componente elettronico a due terminali (anodo e catodo) in cui la corrente può scorrere solo dall’anodo al catodo. Dispersione: fenomeno relativo alla forma e alla direzione di una luce (es. quella di un cielo coperto odi una diffusione softlight), il cui effetto è quello di una luce morbida senza ombre. Distribuzione di energia nello spettro: grafico che mostra la relativa quantità di energia nelle varie lunghezze d’onda per una particolare emissione luminosa. Tale energia è proporzionata alla temperatura e alla frequenza delle lunghezze d’onda. La DES determina il colore della luce, la resa delle superfici colorate illuminate. Domino: diffusore asimmetrico con lampada tubolare al quarzo da 1 kW. Viene utilizzato principalmente per illuminare fondali dall’alto o dal basso. DVD: acronimo di Digital Versatile Device; disco ottico simile al CD, capace però di contenere fino a 17 gigabytes di documenti audio e video di ottima qualità, contro i 650 megabytes di un CD convenzionale. I DVD preregistrati in commercio sono destinati al “home entertainment”, quindi presentano più tracce audio digitali, buona risoluzione delle immagini, possibilità di interagire sul contenuto, facile accesso alle scene preferite e l’ulteriore funzione della scelta della lingua. E Effetto fotoelettrico: fenomeno che consiste nell’emissione (“strappo”) di elettroni da una superficie metallica illuminata da sorgente luminosa di una determinata frequenza. L’analisi di questo fenomeno ha condotto alla teoria dei quanti di luce, che ha avuto un’importanza enorme per lo sviluppo delle teorie moderne. Effetto Purkinje: la rodopsina, una sostanza sensibile presente nell’occhio, che sbiadisce per effetto della luce e si ricompone in oscurità, ha la sensibilità massima nella zona blu-verde dello spettro ed è insensibile alle radiazioni arancioni-rosse. In caso di scarsa illuminazione, gli oggetti di colore rosso-arancione, che brillano di giorno, sembrano molto più scuri degli oggetti colorati di blu-verde. Effetti visivi speciali: a) apparecchiature elettromeccaniche (macchine del fumo, neve, nebbia, sparacoriandoli, ecc.); b) lampade di Wood, stroboscopiche, fotoelettriche; c) proiezioni di luci colorate e forme (sagomatori + gobos, fari motorizzati); d) proiezioni di immagini (fondografi, videoproiettori). Efficienza luminosa: la capacità di una lampada di convertire la potenza elettrica in flusso luminoso. Unità di misura: lumen per watt (lm/W). Il rendimento di una normale lampada ad incandescenza è di 20 lm/W, di una lampada a vapore di sodio a bassa pressione è di 180 lm/W. Elettricità: scienza che studia fenomeni elettrici. Si divide in Elettrologia, che si occupa della parte teorica, fondamentali gli studi di Coulomb, Volta, Ohm, Faraday, Ampére e altri da cui prendono nome le grandezze relative a carica elettrica, differenza di potenziale, resistenza, capacità, corrente, ecc., ed
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Elettrotecnica, che studia l’applicazione delle teorie elettriche ad apparecchiature e macchinari. Elettromagnetismo: branca dell’Elettrologia che si occupa dei fenomeni relativi al passaggio della corrente in un campo magnetico. Basilari le equazioni di Maxwell per la definizione (matematica) della luce come onda elettromagnetica, e il lavoro di Hertz per la verifica sperimentale di tali equazioni. Elettronica: parte dell’Elettrotecnica, studia il comportamento degli elettroni nei circuiti elettrici e nei gas. Molteplici sono le applicazioni dell’elettronica nella vita di ogni giorno: televisore, computer, amplificatori, radar, ecc. Elettrotecnica: lo studio e l’applicazione delle leggi dell’elettricità a macchinari meccanici. Applicazioni: motori elettrici, accumulatori, trasformatori. Esposizione: è “il tempo durante il quale bisogna esporre la pellicola alla luce proveniente dall’obiettivo per ottenere un’immagine di giusta tonalità”.Giusta tonalità significa un rapporto tra luce primaria (keylight) e luce secondaria (fill-light) di 1:4 per la fotografia; di 1:3 per la cinematografia a colori; di 1:2 per i film destinati alla TV. Un soggetto può essere sottoesposto se la pellicola o il sensore del tubo catodico della telecamera riceve troppa luce; la sovraesposizione avviene quando la pellicola riceve troppa luce. Il controllo dell’esposizione si ottiene a) regolando l’intensità luminosa; b) agendo sull’apertura della lente o f-stop; c) mettendo dei filtri neutral density davanti all’obiettivo o davanti ai fari. Formula per il calcolo dell’esposizione di un soggetto medio: L=25 F2 /s t*, dove L=livello di illuminazione richiesto; F=impostazione dell’obiettivo o f-stop; s=indice di esposizione della sensibilità della pellicola; t=tempo di esposizione, solitamente 1/50 sec. (*da Basic motion picture technology di Bernard Happé – Focal Press London.) Esposimetro: strumento calibrato per la misurazione delle grandezze fotometriche più usate (Lux, lumens, candele) o tarato per indicare l’apertura dell’obiettivo in relazione al tempo di esposizione e alla sensibilità della pellicola. Alcuni esposimetri leggono anche la temperatura del colore. I più comuni usano una fotocellula che genera una corrente elettrica proporzionale alla luce incidente, i cui valori sono rilevati da un amperometro. A seconda del tipo tipo di misura che si vuole rilevare ci sono esposimetri a luce diretta e a luce riflessa (luxmetri) e i luminanziometri. F Fascio luminoso: emissione della luce proveniente da un faro; il fascio di luce è modificabile come forma (allargato o stretto, sagomato o normale, semplice o mascherato con un goto) e come qualità (definito o morbido, attenuato o intenso, colorato o bianco). Faro: corpo illuminante che convoglia i fasci luminosi in direzioni specifiche tramite un sistema ottico costituito da specchio-lampada-lente. Un faro può essere a fascio variabile come i sagomatori, spot con lente piano convessa e/o di Fresnel, seguipersona, o a fascio fisso, come le PAR. I diffusori sono fari a fascio fisso sprovvisti di lente. Un faro motorizzato rispetta le caratteristiche sopra descritte e, sfruttando la tecnologia digitale, può diventare un proiettore multieffetti.Lo spostamento del fascio luminoso avviene tramite una forcella o staffa rotante alla quale è fissato il faro, oppure per mezzo di uno specchio rotante collegato esternamente al faro. Fattore: coefficiente che si ottiene dal rapporto tra due grandezze dello stesso tipo. Es. fattore di assorbimento è il rapporto tra quantità della luce assorbita da un oggetto e l’intensità della luce incidente sull’oggetto. Cfr. fattori di luminanza, riflessione, trasmissione.
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Fibre ottiche: fibre sottilissime di vetro (ossido di silicio) composte di nucleo, guaina e rivestimento protettivo. Un raggio luminoso viaggia all’interno del nucleo e rifrange ripetutamente mentre la guaina, che ha un diverso indice di rifrazione, ne impedisce l’uscita. Il diametro del nucleo varia da 10 a 50 micron. Le fibre ottiche non risentono di interferenze esterne, sono flessibili e resistenti quindi adatte ad ogni situazione. I LED e i laser sono ideali per far viaggiare un gran numero di informazioni diverse tra loro senza interferenze reciproche, poca dispersione, lento decadimento del segnale. Filtro: materiale trasparente o traslucido in policarbonato che ha la capacità di assorbire certe lunghezze d’onda di luce e di trasmetterne altre; un filtro può colorare la luce, modificare l’intensità (neutral density), diffondere, polarizzare e correggere la temperatura di colore (filtri di conversione) di un fascio luminoso. Fill light: luce secondaria la cui funzione è quella di aumentare l’effetto della luce primaria, compensandone i limiti, cioè diffondendo luce morbida, riempiendo le zone d’ombra create dalla luce primaria e abbassando il campo di contrasto. Flight-case: custodia di compensato marino rivestito di laminato plastico antigraffio e antiurto, assemblata con profilati e angolari di alluminio e spigoli di acciaio zincato, con coperchio incernierato o mobile, munita di maniglie e serrature ad incasso, imbottitura in poliuretano o resina espansa e, a richiesta, di ruote “autopivotanti” Il flightcase è da una ventina d’anni il contenitore più adatto per proteggere materiale delicato durante i trasporti. Fluorescenza: fenomeno di luminescenza che consiste nell’emissione di luce da parte di un materiale eccitato da raggi UV; tale emissione termina quando si interrompe la radiazione UV; per es. le polveri fluorescenti che captano le radiazioni UV del vapore di mercurio in una lampada al neon sotto tensione. Flusso luminoso: grandezza fotometrica che indica la quantità di luce emessa da una sorgente luminosa nell’unità di tempo. L’unità di misura è il lumen (lm). Focale: distanza dal centro di una lente al punto di convergenza dei raggi paralleli (fuoco) all’asse della lente. Fondale: elemento scenico di stoffa, di plastica o altro materiale, che delimita il fondo di un set. Un fondale può essere opaco e/o traslucido. Fondografo: proiettore di effetti (nuvole, fioco, pioggia, ecc.) statici o in movimento; si presenta esteriormente come un voluminoso proiettore da cinema, solitamente con lampada HMI (2,5-5 kW), condensatore ottico, porta lastrino 13x13 cm. 18x18 cm. , ottica intercambiabile. Emette una luce intensa e chiara anche oltre 30 m. Fosforescenza: fenomeno che differisce dalla fluorescenza per il prolungamento dell’emissione di luce anche quando termina la radiazione UV.
Fotocellula: ricevitore di radiazioni che trasformano un segnale luminoso in uno elettrico. Largamente impiegato per sistemi automatici.
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Fotometro: strumento per la misura delle grandezze fotometriche più utilizzate. Fotone: particella luminosa elementare dotata di quantità di energia; si comporta come un corpuscolo. Einstein affermò che l’energia contenuta in un fotone è direttamente proporzionale alla frequenza della luce e a una costante di proporzionalità. Analogamente la quantità di moto di un fotone dipende dalla sua lunghezza d’onda. Frequenza: è il numero di cicli completi compiuti da un’onda nell’unità di tempo. Fresnel, Augustine-Jean: fisico francese noto per i suoi studi sulla propagazione delle onde luminose, sui fenomeni di polarizzazione della luce e di interferenza di raggi polarizzati, contribuendo allo sviluppo della teoria ondulatoria della luce. Frost: filtro diffusore traslucido. Fuoco: punto in cui convergono i raggi paralleli (cioè i raggi provenienti da una sorgente luminosa posta all’infinito). Fustone: pannello di panno nero opaco che si pone di lato o davanti a un faro per modificarne il fascio di luce. Dimensioni 70x100 cm. G Gaffer tape: nastro adesivo telato ed estremamente resistente, utilizzato per giuntare tappeti per la danza, per fissare i cavi ordinatamente, per segnare le posizioni di oggetti, ecc. Gelatina: filtro colorato Giga: prefisso che significa un miliardo. Gobo: a)accessorio per proiezioni composto da un sottile mascherino in lega metallica termoresistente, sul quale sono fotoincisi motivi e forme varie. b) in cinematografia/TV è un panello, rigido o flessibile, che viene utilizzato per mascherare la luce indesiderata. Golfo Mistico: E' la parte del palcoscenico riservata all'orchestra che suona dal vivo. Gradazione: aspetto variabile di un colore; indica il colore intermedio fra toni cromatici. Grandezze fotometriche: sono grandezze fisiche relative all’illuminazione in uno spazio. Flusso, intensità, illuminamento, luminanza, efficienza luminosa sono le principali grandezze fotometriche. Graticcia: soffitta di un teatro, formata da una travatura principale disposta perpendicolarmente al proscenio; le
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travi secondarie sono disposte sopra le principali e corrono parallele al proscenio, distanziate di 3-5 cm. per consentire lo scorrimento, tramite carrucole (rocchetti), dalle corde che sorreggono gli stangoni da sollevare. Gruppo elettrogeno: gruppo costituito da un motore endotermico e da un generatore (dinamo per la corrente continua, alternatore per la corrente alternata). Questo tipo di generatore eroga piccole e medie potenze e viene impiegato per alimentare un sistema di emergenza o per fornire energia in località non servite da reti di distribuzione. Il peso e le dimensioni variano a seconda della potenza; sono comunque trainabili da automezzi. H Hertz (Hz): unità di misura della frequenza, cioè del numero di cicli completi compiuti da un’onda nell’unità di tempo. I multipli sono Kilo-Mega-Giga Hertz (KHz-MHz-GHz). HMI: Hydrargirium (Hg) Mid arc Iodide; lampada a scarica nella quale l’arco è provocato da due elettrodi in ambiente di vapore di mercurio e ioduri metallici. Una lampada HMI fornisce un’elevata luminosità a una temperatura di colore intorno a 6000 K – 6500 K. I Illuminamento: è la quantità di flusso luminoso che arriva su una superficie. L’unità di misura è il lux (lumen/m2). Infrarossi: raggi luminosi non percepibili dall’occhio umano, le cui lunghezze d’onda sono oltre i 780 nanometri. I raggi infrarossi trovano applicazione nel controllo delle luci da una posizione remota. Indice di resa cromatica: rapporto tra il valore della luce di una lampada da esaminare e quello di una sorgente luminosa di riferimento, aventi entrambi la stessa temperatura di colore. Inquadratura: termine teatrale che indica una disposizione standard di quinte, cieletti e fondale solitamente neri, in modo da mascherare gli eventuali sfori laterali, la graticcia e le americane luci. Intercom: sistema di comunicazione via cavo, composto da un amplificatore integrato che funge da stazione primaria, dal quale si dipartono le linee per diverse sottostazioni. Interfaccia: congegno hardware digitale che serve a tradurre i dati di messaggi seriali di apparecchiature analogicheo digitali in una struttura di dati che può dialogare col sistema operativo del computer. Es. una tastiera che usa il protocollo MIDI necessita di un’interfaccia MIDI per dialogare con un mixer luci. Interferenza: fenomeno per cui due onde piane, sovrapponendosi, producono un aumento oppure un’attenuazione dell’intensità di radiazione. A della frequenza le onde che creano interferenza hanno una differenza di fase costante nel tempo e la stessa frequenza; in pratica sono coerenti e monocromatiche, cioè sono dei raggi laser. Iodina: in gergo indica sia una lampada alogena tubolare sia il corpo illuminante che la contiene.
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Iride (fotografia): sinonimo di diaframma. Irraggiamento: è uno scambio di energia, sia termica sia luminosa, tra due corpi separati. Tale energia è direttamente proporzionale alla temperatura e alla frequenza. ISDN: Integrated Services Digital Network, permette di aggiungere al collegamento telefonico una serie di servizi aggiunti o integrati come una trasmissione video. J Jumbo: modulo illuminante composto da 8 lampade a scarica; viene utilizzato per esterni, in particolare nei concerti, dove ha la funzione di illuminare il pubblico. K Kelvin (K): gradi per la misurazione della temperatura di colore di una sorgente luminosa. Zero K = -273°C. Un cielo coperto ha un valore di 6400-6900 K; il sole a mezzogiorno di 5500 K; una lampada alogena di 3200 K. Keylight: luce primaria. La sorgente principale di illuminazione, le cui caratteristiche di intensità e direzionalità possono stabilire una base per il soggetto da illuminare. Kilowatt: misura della potenza elettrica corrispondente a 1000 watt. L Lampada: sorgente di luce artificiale a incandescenza o a scarica. Nel primo caso la luce viene emessa per effetto della corrente che, attraversando il filamento, incontra una resistenza la quale genera calore. All’interno del bulbo di vetro viene creato il vuoto per non far bruciare il filamento di tungsteno e immesso un gas che ne ritardi l’evaporazione; nel secondo caso la luce proviene da una scarica che si crea applicando una tensione agli elettrodi di un tubo di vetro, nel quale è stato precedentemente creato il vuoto e sono stati immessi gas o vapori metallici. Le lampade alogene, le dicroiche e le PAR sono lampade ad incandescenza; le lampade al neon, a vapori di mercurio e di sodio, le CID, CSI, HMI, MSR, allo xenon, sono lampade a scarica. Laser: acronimo di Light Amplification by Stimulated Emission of Radiation (amolificazione di luce con emissione stimolata di radiazione). Dispositivo che emette luce monocromatica, coerente, estremamente direzionale e intensa. Per questi motivi il laser è stato utilizzato per creare effetti sensazionali anche all’aperto. La luminosità emessa da un laser permette anche di proiettare immagini su schermi e su superfici inconsuete. Un raggio laser può essere scomposto da un prisma, deviato da uno o più specchi ed emesso da fibre ottiche; il colore di un raggio laser ad argo è blu-verde, al rubino è rosso. LCD: Liquid Crystal Display: tecnica a matrice di punti usata per schermi piatti (es. pc portatili) per visualizzare testi e immagini; i cristalli liquidi hanno la particolarità di cambiare colore quando vengono
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stimolati elettronicamente. LED: Light Emitting Diode: diodo formato da elementi semiconduttori che emette luce. Il colore dell’emissione dipende dal materiale. I LED trovano applicazione come indicatori di stato di funzionamento, visualizzazione di livelli di picco e come sorgenti luminose per fibre ottiche. Legge di Ohm: legge fondamentale dell’elettrodinamica, espressa dalla formula V=RI, dove V è la differenza di potenziale applicata ai poli di un conduttore, R è la resistenza che incontra la corrente nel conduttore, I è l’intensità di corrente. In corrente alternata V=ZI, dove Z è la costante di proporzionalità o impedenza. Lente: mezzo trasparente di vetro o plastica che, sfruttando la rifrazione della luce, fornisce un’immagine luminosa di un oggetto è proietta un fascio luminoso compatto a una certa distanza. Il fuoco di una lente è il punto in cui convergono i raggi paralleli emessi da una sorgente luminosa posta a distanza infinita. La distanza dal fuoco al centro della lente si chiama distanza focale. Le lenti adoperate per i fari sono sostanzialmente piano convesse (PC) e Fresnel. Un faro munito di lente PC emette fasci di luce di intensità uniforme e produce contorni definiti; un faro con lente di Fresnel emette fasci di luce morbida, cioè di intensità maggiore al centro, per degradare verso l’esterno della lente. Luminescenza: la proprietà di certi elementi di emettere radiazioni luminose anche dopo un certo periodo trascorso dall’ultima eccitazione. Vedi fluorescenza e fosforescenza. Lumen (lm): è l’unità di misura del flusso luminoso emesso da una sorgente luminosa nell’unità di tempo. Luminanza: il flusso emesso in una data direzione da una superficie visiva luminosa o riflettente. Unità di misura: nit o cd/m2; stilb o cd/cm2. Luminosità: flusso totale emesso dall’unità di superficie in tutte le direzioni. Unità di misura: lm/m2, la stessa dell’illuminamento. Per la luminosità si tratta di flusso emesso da una superficie, per l’illuminamento di flusso che arriva su una superficie. Lunghezza d’onda: la distanza percorsa da un’onda durante il suo ciclo completo. Nel caso di onde elettromagnetiche, tale distanza è misurata in nanometri (10-9 metri). Lux: unità di misura dell’illuminamento; corrisponde all’illuminamento prodotto dal flusso di 1 lumen per metro quadrato. M Mega: prefisso che significa un milione. Micron: un milionesimo di metro. Micro: prefisso che significa un milionesimo.
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Mini Iris: diffusore asimmetrico, con lampada tubolare al quarzo fino a 1 kW, prodotto dalla Ianiro/ Strand, è il compagno ideale del diffusore Pallas per illuminare uniformemente un fondale. Mired: microreciprocal degrees, rappresenta un valore che serve a classificare un filtro o la temperatura di colore di una lampda. Facilita il calcolo di variazione di colore richiesto per modificare la qualità di colore di una lampda. Molefay: modulo illuminante con 8 lampade a scarica, utilizzato per esterni, di dimensioni e potenza inferiori rispetto al Jumbo. Morsetto: a) dispositivo che per pressione permette di collegare dei cavi elettrici tra di loro o ai terminali di interruttori o altre apparecchiature; b) piccola morsa per unire o stringere elementi di una scena o pezzi di dimensione ridotta; noto anche come “sergente”; c) snodo metallico che serve ad unire due o più tubi metallici. N Neutro: in un collegamento a stella è il punto di incontro delle tre fasi, o punto comune. Se la tensione nel collegamento è 400 volt, la differenza di potenziale tra fase e neutro dovrà essere 230 volt. Neutral density: filtro che attenua l’intensità di luce diurna senza alterare la temperatura di colore. Neon: gas impiegato nelle lampade a scarica fluorescenti più comuni; l’emissione luminosa risulta di colore rossastro. O Obiettivo, obbiettivo: sistema ottico composto da più lenti la cui funzione è quella di proiettare su una pellicola, su nastro magnetico o su supporto magnetico-ottico un’immagine reale. Un obiettivo può essere a focale fissa (teleobiettivo, grandangolo), cioè può produrre un’immagine di una certa dimensione per una distanza fissata, e a focale variabile (zoom) per variare a piacere la distanza focale e le dimensioni dell’immagine. Ohm: (simbolo Ω) unità di misura della resistenza elettrica. Olografia: processo ottico che produce una simulazione tridimensionale di oggetti reali o di animazioni computerizzate. Un raggio laser fissa la forma di un oggetto e la trasmette, come luce riflessa, ad un ologramma. Una volta sviluppato, l’ologramma è visibile nelle normali condizioni di luce. L’immagine finale, prodotta da un raggio laser che colpisce l’ologramma, è una perfetta ricostruzione dell’immagine originale con le seguenti proprietà: a)Parallasse-è visibile attorno ad un oggetto; b)Profondità di campofa apparire le immagini come oggetti solidi; c)Proiezione-è come se l’immagine galleggiasse nel vuoto, al di là del piano dell’ologramma. Ottica: lo studio scientifico della luce.
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Otturatore: parte di una fotocamera che si apre per tempi brevissimi (normalmente da 1/50 sec. a 1/4000 sec.) per permettere alla luce di impressionare la pellicola. P Palcoscenico: è il luogo fisico dove accade un evento teatrale e/o musicale. Ovviamente le dimensioni variano, a seconda del tipo di rappresentazione. Pallas: diffusore asimmetrico fino a 1,2 Kw con lampda tubolare al quarzo; viene utilizzato per illuminare un fondale dal basso. Pan: brandeggio o rotazione sul piano orizzontale di un faro motorizzato o altri apparecchicontrollati a distanza. Pantografo: sistema meccanico che funziona come una forbice, e che permette l’innalzamento o l’abbassamento controllato di un faro tramite un sistema di molle e frizioni. PAR: Parabolic Aluminised Reflector, lampada capace di concentrare l’emissione di luce in fasci variabili grazie alla particolare conformazione del bulbo e alla specchiatura della parabola. Parabola: riflettore il cui sistema specchio a parabola e lampada è tale da emettere un fascio di luce stretto e quasi parallelo. PC: acronimo di proiettore con lente piano-convessa. Pinza: riflettore leggero e maneggevole, che può essere montato nei posti più improbabili grazie a una pinza a molla e uno snodo applicati al corpo del riflettore. Le lampade sono a incandescenza, anche alogene tubolari, fino a 800-1200 Watt. Prisma: elemento ottico di materiale rifrangente utilizzato per deviare, riflettere e disperdere raggi luminosi. Gli elementi che caratterizzano un prisma sono: la sezione a forma triangolare o di poligono; l’indice di rifrazione, l’angolo di rifrangenza e l’angolo di deviazione. Profondità di campo: è l’insieme delle distanze entro le quali i soggetti sono apparentemente a fuoco. Le variazioni della profondità di campo dipendono dalla distanza focale, dall’apertura dell’oviettivo (f-stop) e dalla distanza del soggetto a fuoco. Proiettore: a)vedi faro; b) apparecchio ottico composto da un meccanismo ad intermittenza che fa scorrere la pellicola, fotogramma per fotogramma, al di là di un’apertura illuminata da una lampada e da un sistema ottico; l’obiettivo proietta in rapida successione le immagini ingrandite dei fotogrammi su uno schermo. L’otturatore impedisce che la luce della lampada vada sullo schermo mentre la pellicola avanza da un fotogramma all’altro. La pellicola scorre dalla bobina svolgitrice e si avvolge sulla bobina raccoglitrice. I proiettori professionali sono provvisti di un meccanismo per accettare pellicole da 70 mm e da 35mm; la lampda è a scarica allo xenon.
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Puntamento: l’orientamento e tutte le successive operazioni di modifica di un fascio luminoso (largo o stretto, colorato o neutro, netto o morbido, sagomato o aperto) emesso da un faro. Q Qualità della luce: è la presenza o l’assenza di scintillio, nonché la morbidezza o la durezza di luci e di ombre e l’eventuale utilizzo dei gobo. Quanti: quantità di energia o pacchetti di energia emessi in modo discontinuo quando la luce scambia energia con la materia. Quanto: termine riferito al fotone, che rappresenta una determinata quantità di energia. La teoria dei quanti eleimina le contraddizioni tra la teoria ondulatoria e la teoria corpuscolare della luce, ipotizzando che le onde elettromagnetiche, che costituiscono la luce, vengano emesse in quantità discrete o discontinue chiamate quanti. L’energia contenuta in un fotone è direttamente proporzionale alla frequenza. Quarzina: vedi Iodina. R Reostato: dal dizionario Garzanti: “resistenza variabile che si inserisce in un circuito elettrico per regolare l’intensità della corrente”. RGB: acronimo di Red, Green, Blue (rosso, verde, blu), i tre colori primari della luce usati nel metodo additivo di miscelazione del colore. Riflessione: avviene quando i raggi luminosi colpiscono una superficie. Se essa è speculare e l’angolo d’incidenza è uguale all’angolo di riflessione, la riflessione è regolare; quando la superficie è opaca e la luce si distribuisce omnidirezionalmente e non in modo uniforme, la riflessione è diffusa; la combinazione di luce riflessa regolare e uniformemente diffusa, con maggiore intensità nella direzione regolare, si definisce mista. Riflettore: corpo illuminante che sfrutta il fenomeno della riflessione della luce. E’ composto da una lampada e da una calotta riflettente di forma paraboloide, ellissoidale o semisferica, di metallo o di materiale termoresistente, verniciata di bianco o lucida. La lampada può anche essere avvicinata (spot) o allontanata (flood) dalla calotta per variare l'ampiezza del fascio luminoso. Rifrazione: un fascio di luce che incontra una superficie trasparente, devia dal percorso iniziale ed esce deviandosi o diffondendosi ancora. Nel caso di un prisma, se la luce è policromatica, essa si scompone nei colori dell’iride. Ciò avviene perché la luce viaggia più velocemente nell’aria che, per esempio, nel vetro. Variano pure le lunghezze d’onda, che danno luogo allapercezione dei colori. S Sagomatore: corpo illuminante il cui sistema ottico, composto di calotta riflettente, lampada alogena, due o più lenti, permette di proiettare precisamente zone di luce modellata, con contorni netti o morbidi per effetti
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localizzati o per proiettare gobo. Il fascio luminoso si può modificare tramite quattro lame sagomatrici poste tra la lampada e una lente, o un diaframma. Saturazione: caratteristica che determina la differenza di un colore a gradazione costante del bianco. Un colore puro, non diluito, per esempio il rosso, ha un valore di saturazione del 100%. Scanner: faro motorizzato con specchio rotante esterno. Schermo: per proiezioni frontali uno schermo sarà preferibilmente di materiale plastico di colore bianco/grigio opaco per riflettere tutta la luce incidente in modo uniforme, con lo stesso valore di luminanza per tutto lo schermo di circa 50 cd/m2. Il rapporto d’aspetto (proporzione larghezza/altezza) di uno schermo per film da 70 mm. È 2,2:1; da 35mm. È 1,65-1,85:1; per videoproiezioni la proporzione è 4:3 o 16:9. Set: Lo spazio che delimita l'azione fotografica. Sipario luci: cortina di luce intensa creata da fasci di luce paralleli provenienti dall’alto. Softlight: diffusore che produce ombre morbide e indefinite quando una prsona o un oggetto si trovano tra il diffusore e lo sfondo. Spettro: è il campo delle onde elettromagnetiche percepibile dall’occhio umano; varia da 380 a 780 nanometri (nm). Al di sotto dei 380 nm si hanno i raggi ultravioletti; al di sopra dei 780 nm ci sono i raggi infrarossi. Entrambe risultano invisibili. Spina: a)spillone di metallo che unisce le mappe di una cerniera; b)connettore elettrico. Spot: termine inglese per faro. Starter: interruttore di innesco che serve a preriscaldare gli elettrodi di una lampda fluorescente a catodo caldo. Stativo: supporto formato da un trepiede estensibile, con o senza ruote, e da un’asta metallica, anche telescopica, sulla quale viene montato un faro o una T metallica per più fari. Uno stativo può raggiungere i 4 m. di altezza. Strobo: abbreviazione di lampda stroboscopica; tipo di lampada alimentata a 50 Hz che produce un effetto illusorio di staticità o di movimento a scatti su persone o oggetti che invece si muovono rapidamente. Si può variare la velocità dell’intermittenza per stabilire l’intensità dell’effetto. Svoboda: modulo illuminante ideato dal grande scenografo ceco J. Svoboda. E’ composto di nove lampade con cupola argentata da 250 Watt ognuna, collegate in serie. Il modulo ha sopra ogni lampada degli anelli per limitare la luce spuria e convogliare meglio il fascio luminoso. La luce a fasci paralleli emessa da uno Svoboda è molto intensa; più moduli assieme possono creare un sipario o una parete di luce di notevole impatto.
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T Taglio: luce che rivela forme e contorni e stabilisce il periodo del giorno e il tempo atmosferico. Temperatura di colore: definisce la tonalità della luce. E’ la temperatura a cui bisogna portare un corpo nero affinchè emetta una luce uguale a quella di una sorgente luminosa presa in esame. Si misura in gradi Kelvin (K). 0 K = -273°C. Telaio portagelatina: telaio di metallo, plastica o preferibilmente di cartone rigido, che contiene un filtro e che si mette davanti ad un corpo illuminante. Testa mobile: tipo di faro motorizzato a testa intercambiabile, una con lenti PC, l’altra con lente Fresnel. Tilt: rotazione o inclinazione sul piano verticale di un faro motorizzato o di altri apparecchi controllati a distanza. Tono cromatico: è la sensazione predominante di un colore (rosso, magenta, verde, ecc.) che non tiene conto di saturazione e luminosità. Trasformatore: apparecchio elettrico che converte la tensione di rete in bassa tensione, per esempio da 220 volt a 12 volt. Esistono in commercio sia trasformatori tradizionali sia elettronici. Questi ultimi rendono meglio, sono più leggeri, più piccoli e scaldano meno dei trasformatori tradizionali, che peraltro sono a più affidabili a lungo termine. Trasmissione: definisce in che modo si diffonde un fascio di luce che incontra un materiale. La trasmissione è a)diretta – il materiale lascia passare parte del flusso luminoso (materiale trasparente); b) diffusa – la luce uscente dal materiale si diffonde omnidirezionalmente (materiale traslucido); c) mista – la luce si diffonde secondo una direzione privilegiata. Tulle: può essere considerato come una stoffa con dei buchi molto piccoli. Quando il tulle viene illuminato frontalmente, si comporta come un fondale normale, cioè risulta compatto; se si sagoma con la luce solo la zona retrostante senza lambire il tulle, si ottiene una sorta di trasparenza rarefatta, indicata per effetti retrospettivi o onirici. Tungsteno: metallo con alto punto di fusione di cui è composto il filamento di una lampada ad incandescenza, normale o alogena. U UV: raggi ultravioletti: vedi Spettro. Radiazioni elettromagnetiche invisibili all’occhio umano, cioè al di sotto dei 380 nm. V Velocità della luce: velocità di propagazione della luce nel vuoto (circa 300.000 Km/sec.).
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W Watt: simbolo W; unità di misura di potenza elettrica. Watt=Volt x Ampére (in corrente continua). Wood: lampade che filtrano le radiazioni visibili per emettere i raggi ultravioletti, tramite il bulbo di vetro speciale al nichel cobalto. L’effetto è quello di mettere in risalto le parti bianche o fluorescenti in una persona o di un oggetto. Le lampade a luce di Wood sono note anche come luci nere e non sono nocive alla salute. X Xenon: tipo di gas raro che costituisce l’ambiente in cui avviene la scarica tra due elettrodi di tungsteno, in una lampada a scarica. Z Zoom: obiettivo a focale variabile che consente di variare la distanza focale e le dimensioni delle immagini, evitando di spostare il soggetto e la cine-foto telecamera. Lo zoom presenta svantaggi di distorsione di prospettiva, di messa a fuoco e operatività quando lavora con teleobiettivo. Zonale (sistema): E' una tecnica utilizzata in fotografia per cercare di riprodurre l'intera gamma di sfumature presenti in natura, inizialmente ideata da Ansel Adams.
SPAZIO per NOTE ed APPUNTI
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Schemi luce di base Nella fotografia non ci sono leggi inviolabili, ma regole personalizzabili che costituiscono un buon punto di partenza per ottenere diversi effetti, dai più semplici a quelli di maggior effetto. Ecco una raccolta degli schemi più classici, frutto di esperienza personale e di indicazione tratte da libri, riviste e pubblicazioni scovate in giro nel web. Spero proprio vi sia utile
1. Butterfly: (Glamour o Paramount): piccola ombra sotto il naso che può assomigliare a una farfalla.
a. Posizionamento luce: alta e frontale che getta un'ombra verso il basso. L'ombra non dovrebbe colpire il labbro. L'ombra non deve allontanarsi da una parte o dall'altra. b. Tipo luce: Frontale. c. La migliore applicazione è sui volti giovani, sottili e simmetrici. Può evidenziare le orecchie rendendole prominenti e poco gradevoli. d. Tende ad allargare le facce. e. Adatta ad uno stile glamour di illuminazione. Può essere utilizzato su uomini. Utilizzata per ammorbidire le rughe del viso. f. Non sottolinea le zampe di gallina, le rughe sulla fronte, o le linee intorno alla bocca. Buona per le persone anziane. g. Sorridendo si solleva il labbro superiore, controllare che l'ombra non arrivi a toccarlo. h. La posizione della luce di riempimento o del riflettore dovrebbe essere in asse nei pressi della macchina o direttamente sotto di essa. i. Flessibile: può essere usata sia per viso pieno che per il profilo, ma l'ombra del naso deve rimanere nella stessa posizione. La luce sui capelli deve essere spostata, ma la luce di riempimento rimane la stessa.
2. Loop: L'ombra del naso forma un cerchio verso l'angolo della bocca.
a. Posizionamento luce: alta e frontale a 20/30 gradi. b. Tipo di luce: frontale c. La più universale e si adatta maggior parte delle persone. d. L'ombra può essere lunga o corta. e. Allarga il viso 3. Rembrandt: Questo tipo di schema evidenzia il triangolo che va dall'interno dell'occhio sul lato in ombra al lato opposto a livello degli occhi, fino all'angolo della bocca.
a. Posizionamento luce: alto e di lato (45° circa). b. Tipo di luce: tre quarti c. Come un loop, ma l'ombra si estende ed evidenziare i più piccoli dettagli di volti ed accessori. d. Usare dove non vi è alcuna evidenza triangolo (zigomi “piatti”). e. Restringe la faccia
4. Split: Metà del volto è in ombra
a. Posizionamento luce: allo stesso livello del viso, ma molto laterale b. Tipo: illuminazione laterale c. L' ombra copre metà del naso d. Restringe la faccia e. Buona per le donne con la pelle bella e uomini in cui un aspetto rugoso è voluto, ed è evidenziato dalle ombre sul lato del viso. 5. Doppia : la luce è posta dietro il soggetto a sfiorare la guancia.
a. Posizionamento luce: posizionare 2 luci posteriormente al soggetto ad un angolo di 30° circa b. Tradizionalmente sono utilizzate due luci c. Buona per anziani o per volti particolari e "segnate dal tempo".
d. Può essere utilizzato con persone dalla pelle scura e. Raramente utilizzato per volti femminili f. Restringe la faccia 6. Retroilluminazione: Scatti di profilo.
a. Posizionamento luce: dietro il soggetto. Mette l'intera faccia in ombra. b. E' spesso usata per ritratti di profilo. Con la retroilluminazione, il soggetto è illuminato da dietro evidenziando i tratti del profilo del volto. Alcuni suggerimenti utili quando si scattano ritratti di profilo: In un ritratto di profilo, quando una persona guarda dritto davanti a sé, solo il bianco degli occhi sono visti dalla fotocamera. Questo provoca un effetto indesiderato. Invece se si fanno girare gli occhi un po 'verso la fotocamera, con un piccolo inganno senza girare la testa per mostrare abbastanza l'iride, così l'occhio può essere visto come un occhio, non come una pallina bianca. La testa del soggetto dovrebbe puntare leggermente all'indietro. Ciò separa il mento dalla spalla lontano, rende una scollatura migliore, e riduce l'aspetto di un doppio mento. Lasciare più spazio sul lato della foto verso il quale gli occhi puntano. Questo permette al soggetto di "guardare" al di là della cornice. c. Può anche essere usato come una luce per capelli.
Appendice: • Posizione luci: la maggior parte sono 45 gradi al di sopra ed a lato del soggetto. Ma non ci sono altezze e angoli standard di luce: per variarne l'effetto semplicemente spostare la luce per ottenere ombre più o meno lunghe. Più alto o più a sinistra/destra per più ombra, più frontale per averne meno. • Luce in asse con la fotocamera: Produce una illuminazione generale piatta • Illuminazione di tre quarti: 45 gradi dalla parte anteriore. Illumina ¾ del viso. Questo tipo di illuminazione è flessibile, perché dopo che la luce è impostata, il soggetto può passare il suo viso dal profilo a faccia piena, e l'illuminazione rimane buona. • Luce da ritratto morbida e naturale: Mette in evidenza fronte, naso, guance e mento con ombra sufficiente a completare i tratti del viso.
• Alta luce: per dare brillantezza in modo uniforme sulla fronte, le guance in alto, il ponte del naso e il mento. Un'alta luce molto forte “slava” il volto e produrre un ritratto piatto. • Luce per capelli: Di solito montata su una “giraffa” e diretta da dietro in alto, sulla testa soggetti. L'intensità è dettata da colore e lucentezza dei capelli e dal contrasto con lo sfondo. Posta sul lato opposto della luce principale, si utilizza in genere una griglia o snoot per concentrare la luce in modo che non si estenda al viso e ad altre zone. Potrebbe essere necessario spegnere questa luce per la lettura dell' esposizione.
• Luce di sfondo: Rivolta al fondo per creare separazione tra il soggetto e lo sfondo. Posizionare in modo che il punto più luminoso sia direttamente dietro la testa, e la luce diminuisce gradualmente in tutte le direzioni.
• Luci per silhouette: ore 11- ore 1 di solito
• Luce di riempimento: La luce di riempimento dovrebbe essere il più vicino possibile all'asse del vostro obiettivo. Una luce di riempimento dovrebbe essere diffusa, non una luce direzionale, ottenibile con un semplice pannello bianco, a specchio o con un soft box. Non utilizzare ombrelli (specie se a specchio), perché sono molto direzionali. La maggior parte di ombrelli sono di forma parabolica e che ci crediate o no sono più direzionali di una testa flash diretta in un riflettore standard. Lo scopo è quello di liberarsi di ombre, non di crearne di nuove.
• Sfumatura: posizionare la luce ad un angolo in modo che il centro della luce non colpisca il soggetto, ma lo faccia bordo. Questo aiuterà a non bruciare le alte luci.
• High-Key: immagini a colori che contengono ampie zone di luce e colori desaturati (pastello) con pochi mezzi toni e ombre. Sovraesporre intenzionalmente (esponendo per le ombre) contribuisce a creare un effetto high-key. • Low-Key: effetto e tecnica opposta alla precedente per ottenere colori scuri con particolare attenzione alle ombre. Correzioni di posizionamento di illuminazione: 1. Grasso, viso tondo: Riprendere il soggetto di tre-quarti, con il lato in luce del volto rivolto alla fotocamera. 2. Magro, viso sottile: ripresa frontale, a volto pieno. Usare illuminazione laterale o di tre quarti.. 3. Fronte ampia: scattare con un punto di vista basso, e l'inclinazione verso l'alto del mento. 4. Fronte stretta: usare un punto di vista alto della fotocamera. 5. Calvizie: punto di vista della fotocamera basso, poco o niente i capelli in campo, fondere la testa con lo sfondo. 6. Occhi vicini: posa di tre quarti. 7. Occhi lontani: posa di tre quarti. 8. Occhi piccoli: posa di tre quarti, illuminazione di tre quarti in modo occhi siano in ombra. 9. Occhi grandi: illuminazione alta di tre quarti, e gli occhi un po' socchiusi. 10. Occhi scavati: fotocamera con punto di vista dal basso e uso di illuminazione frontale per tenere gli occhi fuori delle ombre. 11. Occhi Irregolari: far girare la testa di lato in modo che la prospettiva elimini naturalmente l'aspetto irregolare. 12. Borse sotto gli occhi: utilizzare il make-up e una illuminazione frontale. 13. Occhi storti: far girare la testa cosÏ che l'occhio difettoso sia lontano dalla macchina fotografica, e mettere l'altro occhio in ombra. 14. Occhiali: usare una luce frontale alta di tre quarti, o una illuminazione laterale per eliminare le ombre. Usare una illuminazione indiretta diffusa. 15. Guance grosse: illuminazione frontale tenue o laterale. 16. Guance larghe: tre quarti posa. 17. Orecchie piccole: posa in modo da visualizzare un solo orecchio e lasciarlo in ombra. 18. Orecchie grandi: posa in modo da visualizzare un solo orecchio e lasciarlo in ombra. 19. Orecchie a sventola: posa in modo da visualizzare un solo orecchio e lasciarlo in ombra. 20. Naso lungo: usare un punto di vista della fotocamera dal basso. Illuminazione di ž o laterale. 21. Naso corto: punto di vista della fotocamera dall'alto e l'illuminazione frontale. 22. Naso adunco: punto di vista della fotocamera bassa. Illuminazione frontale, taglio a faccia piena. 23. Naso storto: ripresa dal lato dal quale curva. Girare la testa fino a che il crinale del naso appare dritto. 24. Naso largo: evitare un punto di vista frontale. 25. Bocca stretta: utilizzare un colore di rossetto e una matita per estendere la linea delle labbra. Girare la testa da un lato in modo che il make-up non sia evidente. Luce in posizione elevata per creare ombra alla fine delle labbra. 26. Bocca larga: pose con la testa di tre quarti e colore make-up appropriato. 27. Labbra sporgenti: utilizzare una luce tenue e dal basso per eliminare le ombre sotto il labbro. 28. Labbra sottili: riempire ed evidenziare con il rossetto, allargare e sottolineare la forma. 29. Bocca irregolare: pose di tre quarti. 30. Mento allungato: usare un punto di vista della fotocamera alto.
31. Doppio mento: Mantenere il mento in ombra. Tenersi lontano dal soggetto e farlo guardare in camera 32. Mento piccolo: usare un punto di vista frontale a volto pieno. Punto di vista della fotocamera basso 33. Viso squadrato: punto di vista della fotocamera dall'alto. 34. Viso ovale con mento sfuggente: punto di vista della fotocamera dal basso. 35. Collo corto: punto di vista della fotocamera dal basso. 36. Collo lungo: punto di vista della fotocamera dall'alto e tenere il collo in ombra. 37. Imperfezioni del viso: Tenere fuori di vista della macchina fotografica, make-up.