Focus Storia 176 - giugno 2021

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Storia SCOPRIRE IL PASSATO, CAPIRE IL PRESENTE

n°176

MENSILE –Austria � 9,20 - Belgio, Francia, Lussemburgo, Portogallo, Spagna � 8 - MC, Côte d’Azur € 8,10 - Germania � 12,00 - Svizzera CHF 10,80 - Svizzera Canton Ticino CHF 10,40 - USA $ 11,50

giugno

REGINE

NEGLI ULTIMI SETTANT’ANNI ELISABETTA II HA TENUTO ALTO IL BUON NOME DELLE MONARCHIE FEMMINILI. MA ANCHE ALTRE SOVRANE HANNO AVUTO VITE MEMORABILI 21 MAGGIO 2021 - MENSILE � 4,90 IN ITALIA

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IL FATTORE FAME CIBO E CIVILTÀ: IL LEGAME CHE SCRIVE LA STORIA DELL’UOMO

SULL’EVEREST

100 ANNI DI TENTATIVI PER RAGGIUNGERE IL TETTO DEL MONDO


Giugno 2021

focusstoria.it

Storia

I

ntelligenti, ambiziose, forti: le sovrane che nei secoli passati sono riuscite a conquistare il gradino più alto del potere, per determinazione e coraggio superavano gli uomini che le circondavano. Perché nei potenti regni d’Europa non ci sono mai state quote rosa, anzi. La legge salica o le consuetudini garantivano la successione per linea maschile, e solo in casi eccezionali si crearono le condizioni per aggirare le regole: accadde con la grande Elisabetta I d’Inghilterra, con la laboriosa Maria Teresa d’Austria, con l’ambiziosa Caterina di Russia... Non andò bene sempre, visto che più di una ci lasciò la testa (Anna Bolena, Maria Stuarda, Maria Antonietta...), ma tutte hanno scritto pagine di Storia memorabili. E se le loro vite hanno appassionato tanto gli studiosi quanto i poeti e gli scrittori, oggi furoreggiano anche nelle serie tv. Una su tutte? The Crown, la fiction sui Windsor che ha portato nei nostri salotti i turbamenti (rari) di Elisabetta II, e gli scivoloni (meno rari) della sua famiglia. Con i suoi 95 anni di età e 69 di regno, è la sovrana più longeva del mondo e il simbolo stesso della monarchia. Potevamo non dedicarle almeno una copertina di Focus Storia? Emanuela Cruciano caporedattrice

CREDITO COPERTINA: MONDADORI PORTFOLIO (5)

RUBRICHE 4 LA PAGINA DEI LETTORI 6 NOVITÀ & SCOPERTE 9 BIOGRAFIE D’AUTORE 10 UNA GIORNATA DA... 12 MICROSTORIA 62 CURIOSO PER CASO 64 DOMANDE & RISPOSTE 97 AGENDA

ALAMY STOCK PHOTO

176

Zenobia in un quadro del 1881.

CI TROVI ANCHE SU:

In copertina: Elisabetta II con Maria Stuarda, Eleonora d’Aquitania, Caterina di Russia e Isabella di Castiglia.

IN PIÙ...

QUOTIDIANA 16 VITA Questo era

un tombino

La pratica del riciclo, vecchia abitudine.

GUERRA NAVALE 22 Bersaglio

Bismarck

L’affondamento della corazzata, duro colpo all’orgoglio del Reich.

68 LaSOCIETÀtransumanza dei bambini

La dura esistenza dei piccoli altoaltesini mandati a lavorare nei campi in Germania.

LE SOVRANE 28 Ne ho viste di cose

Elisabetta II ha vissuto le svolte degli ultimi 70 anni, dalla guerra alla pandemia, e conosciuto i grandi del mondo.

36 Zenobia la ribelle d’Oriente

La regina di Palmira che osò sfidare Roma e conquistare l’Egitto. Ma sulla sua strada incontrò un imperatore soldato.

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Eleonora, la donna del destino

Raffinata e colta, Eleonora d’Aquitania fu regina di due nazioni e plasmò la fisionomia dell’Europa medievale.

46 Regina fai da te

Maria Teresa d’Austria non era stata educata per regnare. E cominciò a farlo bene solo quando decise di testa sua.

52 Fu grande davvero?

Caterina di Russia voleva modernizzare un regno vasto ma arretrato. Non ci riuscì, eppure è diventata lo stesso “la Grande”.

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Le altre magnifiche otto

Gli studenti della nostra Academy raccontano otto memorabili sovrane del passato.

ARCHEOLOGIA 72 Prima di Venezia Viaggio nell’antica Altino, fiorente città quando Venezia era un’isola spoglia.

78 DiCULTURA che colore parliamo?

Solo dal Medioevo i colori hanno acquisito i nomi di oggi.

GEOPOLITICA 82 Kennan, lo

stratega della Guerra fredda Gli intrighi di un protagonista del Novecento.

86 IlALIMENTAZIONE fattore fame Il cibo come “termometro” della società.

IMPRESE 92 Alla conquista

dell’Everest

Tutti i tentativi per raggiungere il tetto del mondo. 3

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SPECIALE

B

racconti in versione audio dove i protagonisti e i fatti del passato sono spiegati dagli storici più autorevoli. Dove i segreti del calcio sono svelati dalla viva voce dei campioni di ieri e di oggi. Dove i film e le serie tv a tema storico sono “visti” e commentati insieme agli

esperti. Dove la storia del Vecchio West, con i suoi eroi e le sue leggende, è ricostruita grazie a un accompagnatore d’eccezione, il giornalista Guido Olimpio. In ascolto. Ce n’è davvero per tutti i gusti: per gli appassionati di Storia e per tutti quelli che vogliono

condannato a morte. Tuttavia, il 14 luglio i Servizi segreti inglesi lo liberarono. Dopo la guerra Cruillas fondò il Partito nazionale italiano dei proletari e dei combattenti. Ma chi era Gabriele Cruillas? Lo ha raccontato lo storico e studioso Franco Di Tizio nel saggio del 2016 Gabriele Cruillas. Il figlio non riconosciuto di Gabriele D’Annunzio (Ianieri editore). Scrive di lui la italianista e germanista Paola Sorge: ”Scrittore, poeta, soldato ardimentoso come voleva papà, nato da una nobile che D’Annunzio abbandonò, sognò di sostituire il Duce. (...) Entrò nel mondo letterario, militare e politico del suo Paese come un ciclone: le sue gesta divennero leggendarie; le sue opere di poesia, narrativa e saggistica, circa una ventina, vennero elogiate da critici; combatté da eroe nelle due guerre mondiali e a Fiume; nel 1943 fondò le Camicie Verdi e l’anno dopo osò l’inosabile sfidando non solo i tedeschi ma nientemeno che la Quinta Armata statunitense e l’Ottava Armata britannica. Eppure, questo ‘spavaldo patrizio di spada e penna’ che i suoi contemporanei illustri, tra cui il re e Mussolini, considerarono sempre figlio del Vate, che al padre somigliava anche fisicamente, fu dai posteri negletto, bistrattato e dimenticato ma per i Servizi segreti inglesi fu ‘l’ultimo dei romantici fuori tempo’ ”. MONDADORI PORTFOLIO/FOTOTECA GIL

astano un pc, uno smartphone o un tablet (e magari un paio di cuffie) per entrare nel mondo dei podcast di Focus e di Focus Storia, dove la grande protagonista è proprio la Storia. Nel nuovo sito storiainpodcast.focus.it si possono ascoltare i nostri

I partigiani entrano a Genova (aprile 1945).

sue “Camicie Verdi”, collaborò con il Fronte militare clandestino della Resistenza romana del colonnello Montezemolo, martire delle Fosse Ardeatine, e creò un servizio di controspionaggio. Dopo una coraggiosa controffensiva antitedesca nei pressi di Roma, venne chiamato il “Leone dell’Aniene”. Nel maggio 1944, Mussolini, tramite un emissario, lo pregò, lui “figlio del suo vecchio compagno”, di difendere i fascisti a lui fedeli ma “incolpevoli”, dalle rappresaglie degli Alleati. Il 4 giugno 1944, alla liberazione di Roma, il principe Cruillas tentò di attaccare il Comitato di liberazione nazionale (Cln) e di opporsi alla Quinta Armata statunitense: la sua intenzione era unire utopisticamente antifascisti e fascisti “incolpevoli” in un solo grande movimento. Il suo vero obiettivo? Quello di prendere il posto del duce: diventare quello che il padre Gabriele non era riuscito ad essere. Naturalmente gli andò male. Il 6 giugno, il suo quartier generale venne circondato dai soldati statunitensi, venne imprigionato e

scoprire il passato e capire il presente con un mezzo alternativo come i podcast, ascoltabili e scaricabili attraverso il nostro sito ma anche su tutte le principali piattaforme web. Tutti i podcast di Storia in Podcast sono a cura di Francesco De Leo.

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I NOSTRI ERRORI Focus Storia n° 174, pag. 95, abbiamo scritto che la scoperta della penicillina avvenne negli Usa invece che nel Regno Unito.

Fabio Lambertucci, Roma 5

S


CULTURA

DI CHE

COLORE

PARLIAMO? Il pesce rosso è arancione, gli occhi verdi non esistono, i Romani avevano due neri, “blu” è stato ignorato per secoli...

D

di Marcello Aprile (Docente di linguistica italiana all’Università del Salento)

i che colore è il sole? E il mare? Giallo e blu. Oggi la risposta è ovvia, ma non è sempre stato così. Anzi, c’è stato un tempo in cui questi colori non avevano neppure un nome. Meglio: in certi casi non esistevano le parole per indicarli, o si indicavano con parole diverse. In compenso c’erano termini per tinte che noi dobbiamo descrivere con un giro di parole. Le parole giallo e blu sono piuttosto recenti. La prima nasce nel Medioevo inoltrato: “giallo”, in italiano volgare, è testimoniato verso il 1276, nel poeta fiorentino Guido Guinizelli, come prestito dal francese antico. Per “blu” bisogna aspettare addirittura la fine del Seicento. Insomma, giallo ai tempi di Dante era appena nato e blu non era ancora neanche all’orizzonte: sarebbe entrato nella nostra lingua quando Galileo Galilei era già morto. E allora, alla nostra domanda il Sommo Poeta come avrebbe risposto? Il sole per lui era “giallo”, ma il mare? Sappiamo che tra le tinte usate nella Divina Commedia c’è il color “zaffiro” e che Dante si riferisce a questo spettro cromatico anche con “azzurro” e “indaco” (più scuro). Ma niente blu.

NOI E LA REALTÀ. La visione della realtà, dunque, è condizionata dalla lingua che parliamo e, a sua volta, la lingua condiziona la realtà. È la cosiddetta ipotesi di Sapir-Whorf: secondo due grandi linguisti americani della prima metà del Novecento, Edward Sapir e Benjamin Whorf, le lingue descrivono la realtà ciascuna a modo suo, in modo arbitrario. I diversi popoli vedono le cose e le descrivono in 78

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maniera differente gli uni dagli altri. Il caso della visione del mondo attraverso i colori è forse il più emblematico.

GLAUCO COME IL MARE. Che tra i colori non ci siano confini netti è reso evidente dall’arcobaleno: non quello delle bandiere o quello disegnato dai bambini, ma quello reale, in cui ogni colore digrada nell’altro senza che si possano tracciare confini precisi. Quest’ambiguità ha spinto nel tempo le varie culture, inconsapevolmente, a classificarli in modo più netto di quanto non sia in realtà, ma anche diverso a seconda dell’epoca storica e della zona geografica. La percezione cromatica presso gli antichi Greci era completamente diversa dalla nostra. Ai tempi di Temistocle (VI-V secolo a.C.) si classificavano le cromie partendo da presupposti diversi, come la luminosità e la capacità di riflettere la luce. Qualche esempio? Il colore “luminoso” era il glàucos (glauco per noi è sinonimo di bianco). Erano glauchi gli occhi chiari, come era glauco il mare in una giornata piena di sole. Il contrario della luminosità era espresso da mélas, “scuro”. Un colore caldo era xanthós, che possiamo collocare tra il giallo carico e il rosso, per noi distinti: per i Greci la tonalità del grano, quella del fuoco notturno, dei capelli e del sole al tramonto erano la stessa cosa. Vedevano, ovviamente, quelle sfumature, come noi notiamo la differenza tra il giallo canarino e il giallo acido che tende al verde. Sono diversi, ma li classifichiamo mentalmente entrambi come 


Nel blu

MONDADORI PORTFOLIO

L’affresco di Giotto Il sogno di Gioacchino nella Cappella degli Scrovegni a Padova (1303-1305), con un cielo blu intenso. Nell’antichità non esisteva una parola per indicare questo colore e in italiano “blu” si affermò nel Seicento. Nel Medioevo si usavano invece i termini azzurro, indaco, zaffiro.


A fare chiarezza nel vocabolario dei colori furono i popoli germanici: a loro dobbiamo le parole bianco, biondo, bruno e blu gialli. I Greci non erano daltonici: solo, usavano un diverso lessico cromatico. Non meno problematica era la percezione del blu. Nelle sfumature scure era associato al nero, in quelle chiare al glauco. Per i greci porphyreos copriva dunque uno spettro molto ampio, che va dal giallo fino al blu-violetto. Anche nel mondo latino le cose erano differenti rispetto a oggi. Gli antichi Romani consideravano, per esempio, il bianco rilucente o riflettente (candidus) e il bianco latte (albus) come due colori differenti, non come due sfumature della stessa cromia. Lo stesso valeva per le tinte scure, in cui il nero lucido (niger) e quello opaco non riflettente (ater) erano in latino due colori diversi. Cicerone, insomma, sarebbe sorpreso dal fatto che attribuiamo lo stesso colore a una lavagna scolastica (nero opaco) e a un sacchetto per la spazzatura (nero lucido). E il giallo di cui sopra? In latino il giallo esisteva, ma era un colore che noi oggi considereremmo tra il giallo e il verde e si chiamava galbinus.

BARBARE SEMPLIFICAZIONI. Soltanto con quelle che impropriamente sono dette invasioni barbariche cominciammo ad avvicinarci a una “visione linguistica” dei colori più simile alla nostra. I contatti con i popoli migratori del Nord ristrutturarono tutto l’universo dei colori dei nostri antenati. È come se alla fine dell’antichità gli eredi del mondo latino avessero adottato il punto di vista dei Germani. Arrivò infatti la parola germanica

Parole in transito

A sinistra in alto, il re franco Carlo Magno, sullo sfondo di un bel cielo “blu”, parola che proprio al suo tempo (VIII-IX secolo) entrò nell’antico francese. A lato, un mercato di fiori e frutta a Costantinopoli nel 1580: è grazie agli Arabi e alle arance se in italiano si dice “arancione”.

E gli occhi diventarono verdi

N

el canone, forse non solo occidentale, della bellezza avere gli occhi chiari, e in particolare verdi, è considerato un vantaggio strategico nelle relazioni amorose. Eppure gli occhi verdi,

in natura, non esistono. Li possiamo avere neri, blu, cerulei, grigi e marroni di svariate tonalità (compreso il cervone, che è il più vicino al verde), ma tecnicamente non verdi in forma pura. E infatti,

i poeti greci e latini non hanno mai cantato donne con gli occhi del colore dello smeraldo (anche a prescindere dal fatto che gli occhi chiari, nell’antichità, non erano ben visti): per fare solo due esempi, la Lesbia di


In latino

Cinquanta sfumature

Scena evocativa dell’antichità romana: se indicassimo i colori come li chiamavano in latino, diremmo che le vestali erano vestite di albus, il fuoco era galbinus, la statua della Bona Dea era atra.

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A

blank a riunire, in un unico termine (“bianco”), sia candidus sia albus. Nelle lingue che pian piano presero il posto del latino si diffusero altre due parole germaniche importantissime: blund (biondo), e brun (bruno). Sul fronte del colore più scuro, in latino sopravvisse solo niger, da cui vengono l’italiano nero, il francese noir, lo spagnolo negro. Si estinse invece ater e per questo non c’è più differenza tra il “nero lucente” e quello “non lucente”. Ancora dalle lingue germaniche – ma si era ormai ai tempi dei Franchi di Carlo Magno,

Catullo li aveva neri, ed erano neri anche quelli della Cinzia di Properzio, che pure con gli occhi, parole sue, lo aveva fatto prigioniero. E allora, come mai, fin dal Medioevo, gli occhi verdi sono considerati, prima in Europa e poi

nel mondo, un ideale di bellezza? Per via di un equivoco linguistico. Licenza poetica. La vicenda si perde nel Medioevo francese, in cui entrano in collisione e finiscono per confondersi due famiglie di parole, i derivati dal

nell’VIII secolo – arrivò finalmente il blu, che entrò nel francese molti secoli prima che nell’italiano. Poi fu il turno della parola azzurro, portata dai Persiani (dal termine per “lapislazzuli”) e dagli Arabi (lazurd). A proposito di influsso islamico: l’arancione diventò un colore a sé e non una sfumatura del rosso dopo che in Europa arrivarono le arance (altra parola di origine persiana). In Italia si affermò nel Trecento. Un riflesso del fatto che l’arancione prima era “rosso” sta nel fatto che diciamo pesce rosso e gatto rosso, quando • invece sono chiaramente arancioni.

latino viridis (verde) e quelli dal latino varius (vario). I poeti francesi del tempo, che avevano una forza mediatica non indifferente, avendo rappresentato il modello per i poeti di tutto il resto del continente, cantavano nelle donne

amate gli ieus vairs, cioè gli occhi di colore chiaro, grigio-blu. Nel giro di qualche decennio, per effetto dell’evoluzione della lingua francese, vairs cominciò a essere inteso come un’altra parola, verts, che significa appunto verdi.

nche il presente è piuttosto anarchico: basta osservare culture diverse dalla nostra per capire che sui colori il fattore linguistico ha sempre l’ultima parola. Blu e verde sono considerati un unico colore in molte lingue, per esempio in quelle berbere del Maghreb, in quelle pashtun dell’Asia Centrale e nel vietnamita; mentre gli studiosi di lingua inglese per definirlo hanno coniato la parola grue (da green e blue). I coreani, più semplicemente, non hanno una parola corrispondente al verde. Quanto ai giapponesi, hanno quattro colori distinti laddove noi “vediamo” solo rosso. Per sopravvivere. C’è poi da considerare l’utilità pratica assegnata dalle singole popolazioni a determinati fatti, che comporta di per sé riflessi linguistici: nelle società di raccoglitori conta tantissimo il colore delle bacche commestibili (è in gioco la sopravvivenza), così come nelle società di allevatori e pastori il manto dei capi di bestiame è indicato con una dettagliatissima serie di cromie: eppure non ci sono parole per designare il blu e il verde, colori evidentemente secondari per loro.

La frittata era fatta e il nuovo ideale di bellezza (a sinistra, particolare del dipinto La Fortezza, di Botticelli) si diffuse e resiste anche oggi: la stringa “occhi verdi”, solo per la lingua italiana, ha milioni di risultati da Google. 81

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GEOPOLITICA Diplomatico, politico e, all’occorrenza, agente segreto. George F. Kennan ha disegnato gli equilibri del Dopoguerra e dato filo da torcere a Stalin, ma anche all’establishment degli Stati Uniti. di Luigi Grassia

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Bravo, ma scomodo

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George F. Kennan (1904-2005) nel 1952 alla stazione di Basilea, appena espulso dall’Urss. Nell’altra pagina, proteste a Washington nel 1972 contro la guerra in Vietnam, osteggiata anche da Kennan.


KENNAN

lo stratega della Guerra fredda insignificante nel Wisconsin, che lasciò non appena possibile. Con in tasca una laurea in storia presa a Princeton, rispose a un bando di selezione del Dipartimento di Stato: “La politica internazionale mi era sembrata la materia più interessante” racconterà più tardi “e comunque l’idea di tornare a Milwaukee non mi attraeva”. Così, vinse il concorso per la carriera diplomatica. Fu spedito in servizio consolare a Riga, in Lettonia, ai margini dell’impero sovietico; e qui, per la prima volta, si fece notare a livello internazionale, quanto meno nei circoli del potere. Poliglotta e profondo conoscitore della lingua e della cultura russa, fra il 1931 e il 1932 inondò la sede centrale del Dipartimento di Stato a Washington con rapporti molto dettagliati, densi di cifre, sull’economia e sulla società dell’Unione Sovietica. Si trattava di informazioni che in Urss erano supersegrete, eppure Kennan riuscì a forare

la corazza quasi impenetrabile dei segreti sovietici (vedi riquadro nella pagina successiva). Divenne così una delle persone più informate al mondo sull’Unione Sovietica e nel 1933, quando il presidente Franklin D. Roosevelt riallacciò le relazioni diplomatiche con l’Urss e nominò un ambasciatore, costui si portò dietro Kennan, che a Mosca rimase per qualche anno, sempre più convinto che la Russia fosse il suo destino. Ma la carriera diplomatica è itinerante, e non gli fu permesso di mettere radici. PRESSIONI SU SALAZAR. Dopo Mosca lo mandarono in missione a Praga e poi a Berlino, dove si trovava quando l’11 dicembre 1941 Hitler dichiarò guerra agli Stati Uniti. Kennan venne internato per cinque mesi a Francoforte, tra il 1941 e il 1942, prima di poter rientrare in patria. Durante quel periodo, pur non subendo angherie o  privazioni eccessive (era pur sempre

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ra i tanti Vladimir che hanno regnato sul mondo russo, il primo salì al trono nel 969 a Kiev, il più recente governa tutt’ora, e ha appena firmato una legge che lo autorizza a restare presidente fino al 2036. Il suo cognome è Putin, si è formato nel Kgb e continua a orchestrare giochi di spie anche in Italia, come ci racconta la cronaca. Ma in che modo andrebbero affrontati, da parte dell’Occidente, gli autocrati alla Putin? Mai come oggi potrebbe tornare utile la figura, a metà strada fra agente segreto e politico, di George F. Kennan, vero principe dei diplomatici americani che passò a scrutare il Cremlino quasi tutti i suoi centouno anni di vita (fra il 1904 e il 2005). Per dirla in una riga, Kennan ha forgiato la dottrina del contenimento dell’Urss; ma ha fatto anche molto altro. INFORMATISSIMO. Kennan nacque nel 1904 a Milwaukee. Una città

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Gli Stalin

Iosif Stalin con la figlia Svetlana Allilueva (19262011): padre e figlia incrociarono Kennan sulla loro strada.

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un diplomatico), venne comunque privato della libertà personale. Al ritorno in America il Dipartimento di Stato gli affidò un incarico delicato: Kennan passò diversi mesi in Portogallo (fra il 1942 e il 1943) per convincere il dittatore Salazar a cedere agli americani l’uso militare delle Azzorre, nel bel mezzo dell’oceano Atlantico. A un certo punto le trattative si arenarono, e allora un aereo dell’Air Force venne a prelevare Kennan a Lisbona: lo caricarono di peso per portarlo a Washington. Qui Roosevelt, in un colloquiò segreto, lo catechizzò dicendogli esattamente le parole e il tono ostile da usare con Salazar; poi, a stretto giro, Kennan fu riportato a Lisbona. Qui appoggiò, per così dire, la pistola sul tavolo e a nome degli Stati Uniti minacciò Salazar di fare a pezzi il suo regime e l’impero coloniale portoghese se non avesse concesso le basi alle Azzorre. Il dittatore, a quel punto, si piegò. GIAPPONE STRATEGICO. Dopo la fine della guerra, nel 1948, Kennan volò a Tokyo per mettere in riga un altro osso duro, questa volta suo connazionale: Douglas MacArthur. Il generale aveva vinto la guerra nel Pacifico e si era installato in Giappone come Giulio Cesare nella Gallia conquistata, una specie di proconsole che agiva quasi come un potere indipendente. Kennan recava ordini dalla Casa Bianca, che MacArthur non aveva intenzione di ascoltare. Il generale stava epurando la società giapponese in modo che il militarismo dei samurai non rinascesse; invece il nuovo presidente americano Harry Truman dava la priorità alla

lotta al comunismo, e a questo scopo voleva veder ricostituito nel Paese del Sol Levante un ordine autoritario. Con MacArthur, Kennan non poteva alternare persuasione e minacce, come con Salazar. Poteva solo cercare di convincere l’interlocutore a parole: il miracolo è che ci riuscì. Nel colloquio decisivo, a mano a mano che l’emissario di Truman illustrava a MacArthur le direttive della Casa Bianca, il generale perdeva la sua grinta, cambiando atteggiamento. Alla

Un attento lettore

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all’ufficio consolare a Riga (Lettonia) nel 1931-32 George Kennan, in versione John le Carré, sbalordì gli agenti segreti americani procurandosi una quantità di informazioni sull’Urss che gli 007 occidentali non riuscivano a ottenere se non a un prezzo esorbitante di fatica e di sangue. Ma in che modo? Un lavoro certosino. Fece qualcosa che nessun agente serio si sarebbe mai abbassato a fare: si abbonò a decine di riviste specializzate, regolarmente pubblicate in Unione Sovietica, di argomento economico, tecnico, sanitario, demografico, educativo eccetera, e poi si mise a spulciarle con pazienza,

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ricavandone migliaia di dati. Era l’uovo di Colombo: un regime totalitario può vietare ai mezzi di comunicazione di massa di diffondere informazioni veritiere sull’economia e sulla società del Paese, ma le riviste tecniche, poniamo, sull’industria metallurgica, devono per forza pubblicare informazioni oneste e numeri reali, altrimenti come farebbero decine di migliaia di dirigenti, funzionari, ingegneri e specialisti operanti in quel settore, a prendere decisioni sensate? Quello che la Pravda non pubblicava veniva spiattellato sulla Rivista del metallurgico. La spia Kennan fece una scommessa, e la vinse.

fine, stando al racconto di Kennan, MacArthur annuì vigorosamente e si diede una manata su una coscia. Un’altra missione compiuta. Clamorosa. Se poi quello sia stato un bene o un male per il Giappone, resta da discutere. CONTENERE L’URSS. L’apoteosi nella carriera di Kennan fu però un’altra: la formulazione della dottrina del contenimento, che plasmò la politica estera americana dall’avvio della Guerra fredda fino alla dissoluzione dell’Urss nel 1991. Nel luglio del ’47 pubblicò un articolo sulla rivista Foreign Affairs (la bibbia del potere americano) in cui si firmava “X” (già questo contribuiva a suscitare interesse) e dove propugnava “un Arcana imperii. George Kennan da Stalin a Putin, Luigi

Grassia (Mimesis, 2020). L’autore dell’articolo nel suo recente libro approfondisce la vita e il pensiero di Kennan e il suo ruolo nella politica estera Usa fino agli Anni’60.


La sua versione della “dottrina del contenimento” non prevedeva guerre e corsa agli armamenti nucleari contenimento lungimirante e paziente, ma deciso e vigilante, delle tendenze espansionistiche russe [...] mediante un’accorta e attenta applicazione di forze contrarie in una serie di punti geografici [...] come reazione alle manovre della politica sovietica”. A Washington il documento (che riprendeva le idee del cosiddetto “lungo telegramma” di Kennan da Mosca, dove era incaricato d’affari nell’ambasciata Usa) ebbe un’accoglienza entusiastica. Kennan divenne un nome noto e passò a dirigere l’Ufficio di pianificazione politica del Dipartimento di Stato. Proprio l’ufficio dove fu concepito e dettagliato il piano di aiuti all’Europa che il segretario di Stato George Marshall annunciò il 5 giugno 1947, ma che Kennan rivendicò come farina del suo sacco. Pochi anni dopo, nel 1952 ottenne un altro successo, trattando di persona con sovietici e cinesi, lontano dai riflettori, il cessate-il-fuoco in Corea. Ma in quello stesso 1952 fece un passo falso. Kennan, diventato ambasciatore a Mosca, ebbe un incontro occasionale con alcuni giornalisti, in cui lamentò che le condizioni in cui operavano i diplomatici americani in Urss erano paragonabili a quelle sperimentate dallo stesso Kennan durante l’internamento nella Germania nazista fra il ’41 e il

’42. Stalin, che già vedeva Kennan come il fumo negli occhi per via dell’attività di spionaggio in Lettonia negli Anni ’30, e che lo bollava come anticomunista viscerale per la dottrina del contenimento, lo espulse dall’Urss in quanto “persona non grata”. È stato l’unico ambasciatore Usa ad aver subito questo trattamento in Russia.

dove si era laureato. Ebbe ancora occasione di servire l’America in un paio di circostanze: fra il 1961 e il ’63 fu ambasciatore a Belgrado (glielo chiese il presidente Kennedy) e nel 1967, per un gioco del destino, fu tra coloro che convinsero Svetlana Allilueva, figlia del defunto Stalin, a rifugiarsi negli Stati Uniti.

MENO ARMI, PIÙ AIUTI. Eppure proprio allora Kennan aveva cominciato a disconoscere l’interpretazione troppo bellicista che l’America stava dando, a suo giudizio, del contenimento. Deplorava la corsa agli armamenti atomici: a suo parere sarebbe stato meglio negoziare con Mosca un trattato di deterrenza minima, che lasciasse poche testate nucleari per parte. Nel febbraio del 1966 Kennan arrivò persino a uno scontro pubblico con il presidente Johnson sul Vietnam: il comunismo andava contrastato, sostenne, rafforzando i Paesi amici con aiuti politici ed economici, come si era fatto in Europa con il Piano Marshall, non combattendo guerre scriteriate. Già dal 1953 le divergenze di Kennan con i vertici di Washington erano così profonde da indurlo alle dimissioni dal Dipartimento di Stato. Non rimase disoccupato: andò a insegnare storia e politica internazionale a Princeton,

FINE ANALISTA. Da allora George Kennan fu, per decenni, un raffinato analista e commentatore, quasi un “influencer” politico: espresse un cauto apprezzamento per la distensione di Nixon e del segretario di Stato Kissinger; condannò il primo mandato di Reagan, irriducibile antisovietico, ma plaudì al secondo, che avviò con Gorbaciov le trattative sul disarmo. Poi biasimò Clinton per aver allargato la Nato fino ai confini della Russia e condannò nei termini più aspri le guerre mediorientali dei due Bush. Prima di morire centenario vide l’ascesa di Putin. Che cosa direbbe, oggi, della retorica occidentale sul presidente russo come nuovo Hitler? Probabilmente quello che ne dice Henry Kissinger: “Per capire Putin bisogna leggere Dostoevskij, non il • Mein Kampf”.

Osso duro

Il generale americano Douglas MacArthur, noto per il carattere volitivo, finì con l’arrendersi a Kennan, che nel 1948 lo convinse a cambiare strategia nei confronti del Giappone.

Piegato

Il dittatore del Portogallo, António Salazar: Kennan lo persuase a concedere l’uso delle Azzorre come base militare.


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