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QUALI EPISODI DELL’ANTICO TESTAMENTO
POSSONO RICONDURRE A FATTI REALMENTE ACCADUTI
QUALI EPISODI DELL’ANTICO TESTAMENTO
POSSONO RICONDURRE A FATTI REALMENTE ACCADUTI
CRIMEA SENZA PACE
La lunga storia di una penisola da sempre al centro di contese territoriali
COCA E PEPSI
Come le eterne rivali sono diventate strumento politico nelle mani degli Stati Uniti
GIALLI & MISTERI COSTANTINO I Perché l’imperatore romano ordinò la morte della moglie e del figlio prediletto?
L a Bibbia è il libro più diffuso al mondo. Da secoli. Eppure, quanti davvero l’hanno capita? Chi riesce a scindere nelle Sacre scritture la leggenda dalla realtà? Su questo numero, con un occhio rivolto alla Pasqua (che non è quella ebraica, anche questo vi raccontiamo), siamo entrati nel merito del racconto biblico per rileggerlo alla luce della ricerca storica e archeologica. Cosa volevamo sapere? Dove finiscono le leggende elaborate dagli antichi Ebrei e inizia la Storia; quanto c’è di reale nei grandi personaggi protagonisti della narrazione mitica; come interpretare il Diluvio universale, l’Arca di Noè, l’ira divina scatenata su Sodoma e Gomorra... Ricostruire i brandelli di fatti realmente accaduti è stato un lavoro lungo e complesso. Ma secondo noi ne è valsa la pena. Buona lettura.
30
Fra mito e Storia
Libro religioso e di alta letteratura, quali fatti storici narra la Bibbia?
36
Nel nome dei padri
Patriarchi, re e capi: ritratto dei protagonisti dell’Antico Testamento.
42
Ma è successo davvero?
Il Diluvio universale, la separazione del Mar Rosso, Sodoma e Gomorra...
47
Il lungo cammino degli Ebrei
Quanto della storia del popolo ebraico coincide con il racconto biblico?
50
Israele a tappe
Le fasi di Israele scandite dalla Bibbia: 2mila anni in 7 cartine.
52
Il libro di tutti
La Bibbia contiene miti fondativi delle tre grandi religioni monoteiste.
56
Diversi a Pasqua (e non solo)
Le principali feste religiose ebraiche a confronto con quelle cristiane.
60
Guida alla lettura
Chi ha scritto la Bibbia, in che lingua e come si è diffusa.
In copertina: i patriarchi in un affresco.
18 MONDO
Bolle rivali
La lotta fra Coca e Pepsi negli ultimi 70 anni: sono state molto più di semplici bibite.
24 GIALLO STORICO
Strage in famiglia
Costantino I fece uccidere moglie e figlio. Si trattò di delitto passionale?
70 ARTE Manet & Degas
I due pittori, amici e rivali, in una mostra evento da Parigi a New York.
76 GEOPOLITICA
La Crimea contesa
Nell’antichità fu una colonia greca, ma vi si alternarono altri popoli, Romani inclusi.
82 BATTAGLIE
Guerra & cuore
Uomo di mare (e non solo), il comandante Salvatore Todaro arriva in libreria e al cinema.
86 SCIENZA
Natura in posa
Gli artisti-scienziati che hanno fatto scuola con le loro illustrazioni di animali e piante.
94 MEDIOEVO
Verso il sole
Come si costruirono le prime chiese?
Seguendo i punti cardinali e il loro simbolismo.
Emanuela Cruciano caporedattriceMosca, 1980: gli Stati Uniti, seguiti poi da altre 64 nazioni (tra cui Canada, Israele, Giappone, Cina e Germania Ovest), boicottano i Giochi olimpici per protestare contro l’invasione sovietica dell’Afghanistan avvenuta nel dicembre 1979. Non fu la prima né l’ultima
volta che lo sport si mischiò con la politica internazionale: nel Novecento, specialmente durante la Guerra fredda, i boicottaggi sportivi furono infatti molti. A parlarcene su Storia in Podcast è Leo Goretti, esperto del legame tra sport, politica e società. Lo storico ci spiega anche
Ci troviamo all’ interno del Parco delle Alpi Apuane, precisamente dove parte l’ antica Via Vandelli, un percorso fatto di muri a secco che collegava il Ducato di Modena a quello di Massa.
La rievocazione consiste nel riproporre l’antico metodo di trasporto dei blocchi di marmo (lizzatura, appunto) dalle cave ai piazzali o comunque ai luoghi dove poi venivano caricati sui carri e in epoca successiva sui camion.
La discesa avviene lungo vie di “lizza” costruite sui fianchi dei monti squadrando massi e posizionandoli senza calce.
I blocchi di marmo estratti vengono disposti in modo ordinato generalmente due sotto e cinque o sei più piccoli sopra, legati assieme con funi di acciaio e posizionati su “slitte” di legno che scorrono su travicelletti di legno chiamati “parati”. Le corde che tengono la lizza inizialmente in canapa e poi diventate in acciaio, vengono calate facendole scivolare attorno a dei piri in legno conficcati nella roccia e così pian piano la carica scivola lungo i pendii. Man mano che le corde dal retro vengono rilasciate, si procede davanti alla carica aggiungendo nuovi parati strofinati con sapone a pezzi per far scorrere meglio le lizze con sopra i blocchi.
Questo antico metodo risale ai tempi dei Romani ed è stato usato fino agli Anni ’60, poi la tecnologia si è evoluta.
Morris FazziDonne aviatrici
Ho molto apprezzato l’articolo
“L’ultimo volo”, pubblicato su Focus Storia n° 195, relativo alle imprese compiute dalle donne che pilotarono aerei all’inizio della storia dell’aviazione. Circa
il significato dell’odierna esclusione degli atleti russi da molte manifestazioni sportive internazionali a seguito dell’invasione dell’Ucraina avvenuta lo scorso anno. A portata di cuffie. Per ascoltare i nostri podcast (che spaziano dalle biografie
di personaggi famosi alla ricostruzione di grandi eventi storici) basta collegarsi al sito della nostra audioteca storiainpodcast.focus.it Gli episodi – disponibili gratuitamente anche sulle principali piattaforme online di podcast – sono a cura del giornalista Francesco De Leo.
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l’impiego delle donne come ausiliarie nell’aviazione americana durante la Seconda guerra mondiale, vorrei fare notare che, invece, nello stesso conflitto, le appartenenti al “gentil sesso” russe ricoprirono un ruolo decisamente
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più importante delle loro coetanee statunitensi guadagnandosi sul campo il titolo di “streghe della notte” da parte dei nemici tedeschi terrorizzati dai loro attacchi aerei. Mi piacerebbe quindi molto leggere un articolo su questo aspetto, che magari comparasse la realtà della vita quotidiana dell’epoca delle donne russe rispetto a quelle di altre nazioni, come per esempio Italia e America.
Simona MansuttiFocus Storia n° 194, pag. 86, abbiamo indicato erroneamente il 1486 come anno di nascita di Elcano. La data giusta è 1476.
Focus Storia n° 195, pag. 7, abbiamo scritto che Cesare iniziò la guerra civile contro i consoli Pompeo e Crasso il 10 gennaio del 49 a.C., mentre in quella data passò il Rubicone.
Vi siete mai chiesti da dove nasce l’espressione “fare le pulizie di Pasqua”?
Da una prescrizione di Pesach, la Pasqua ebraica, che nei giorni precedenti la festa impone una scrupolosa pulizia della casa per eliminare ogni più piccolo residuo di sostanze lievitate. Pesach, citata e normata nella Bibbia, è una delle tre feste di pellegrinaggio al Tempio di Gerusalemme prima della diaspora, e celebra la liberazione del popolo
ebreo dalla schiavitù egizia. Pesach, infatti, significa “passaggio”. E se facciamo mente locale, Gesù la Domenica delle Palme arrivò a Gerusalemme per seguire la tradizione ebraica: la Passione, con la morte e la resurrezione, secondo i Vangeli avvenne in quel periodo. La Pasqua ebraica e quella cristiana, però, pur cadendo in periodi vicini e avendo alcuni simboli in comune, si differenziano profondamente.
Ma torniamo alla Festa del Passaggio. Pesach dura 8 giorni fuori d’Israele,
e inizia con la cena della prima sera, detta seder (“ordine”), in cui si rievocano le vicende descritte nel Libro dell’Esodo, si prega solennemente e si cena con un preciso ordine, mangiando cibi che ricordano l’amarezza e il duro lavoro della schiavitù, come verdure amare e una miscela di datteri, noci, miele. Il pane azzimo e scondito ricorda invece che il popolo eletto dovette fuggire tanto in fretta da non avere il tempo di far lievitare le pagnotte. «Pesach cade nel periodo in cui nell'antico Israele si raccoglieva
Giorni sacri
Un momento delle celebrazioni per la Pasqua ebraica (Pesah) a Gerusalemme: ebrei ultraortodossi leggono la Torah e pregano vicino al Muro del Pianto. In Israele la Pasqua dura sette giorni, mentre fuori dalla Terra promessa otto.
Le origini delle più importanti feste religiose ebraiche, che sono nella Bibbia e nel Talmud. A confronto con quelle cristiane.
l’orzo e nascevano gli agnellini», spiega Erica Baricci, ricercatrice di Lingua e cultura ebraica all’Università dell’Insubria. «Quando gli Ebrei erano agricoltori e pastori, si portavano nei santuari il pane non ancora pronto e agnellini da sacrificare, per donare a Dio le primizie del lavoro nei campi. Più tardi, nel corso del I millennio a. C., a questa festa agricola si sovrappose la narrazione storica dell’Esodo; si iniziò così a celebrare la fuga della schiavitù e anche il pane azzimo prese un altro significato». A proposito di agnello, nella cena del seder è presente anche una coscia di questo animale, simbolo della salvezza dei primogeniti ebrei, risparmiati dall’angelo sterminatore durante le 10 piaghe che Dio mandò agli Egizi, perché sulle porte delle loro case c’era un segno fatto col sangue dell’agnello sacrificale.
LE DUE PASQUE. E qui nasce la più marcata differenza con la Pasqua cristiana, tutta incentrata invece sulla resurrezione di Gesù dopo la crocifissione (tanto che nel Venerdì Santo si dovrebbe digiunare o almeno mangiare di magro). Il più intenso momento di preghiera per i cristiani è la veglia del sabato sera e l’agnello viene mangiato la domenica, come simbolo di Cristo, l’innocente immolato per la salvezza degli uomini dai peccati. Anche le uova sono presenti in entrambe le feste (a Pesach però si mangiano sode o cotte nella cenere), ma per i cristiani significano rinascita, per gli ebrei lutto e ciclicità.
DUE PENTECOSTE. Cinquanta
giorni dopo il primo giorno di Pesach, arriva la seconda delle feste religiose di pellegrinaggio, descritta nella Bibbia: Shavuot, la festa delle settimane o Pentecoste. Shavuot era legata alla mietitura del grano, che nell’antico Israele si svolgeva durante un periodo di 7 settimane e terminava con una
Sinai e ricevette le Tavole con la legge scritta dalle dita di Dio, ovvero il patto tra il popolo eletto e il Signore. «Sette settimane dopo, ciò che era avvenuto a Pesach continua con Shavuot: dalla libertà materiale a quella spirituale, alla consapevolezza della propria identità religiosa», continua Erica Baricci. In Israele dura un giorno, due fuori la Terra promessa.
La Pentecoste cristiana, che porta lo stesso nome (in greco antico, “50° giorno”) e arriva anch’essa sette settimane dopo Pasqua, è invece la festa in cui si celebra la discesa dello Spirito Santo su Maria e gli apostoli riuniti, che venne come la nuova legge donata da Dio ai suoi fedeli e segnò la nascita della Chiesa, a partire dalla comunità di Gerusalemme.
SOTTO LA CAPANNA. La terza e ultima festa di pellegrinaggio è quella di Sukkot, detta delle capanne o dei tabernacoli, così descritta nel Levitico: “E celebrerete questa ricorrenza come festa in onore del Signore per sette giorni all’anno; legge per tutti i tempi, per tutte le vostre generazioni: la festeggerete nel settimo mese. Nelle capanne risiederete per sette giorni; ogni cittadino in Israele risieda nelle capanne, affinché sappiano le vostre generazioni che in capanne ho fatto stare i figli di Israele quando li ho tratti dalla terra d’Egitto”. Oggi solo gli ultraortodossi la rispettano alla lettera.
I praticanti costruiscono allora una piccola capanna con tetto di frasche sulle terrazze, nei giardini, fuori dai ristoranti kosher o dalle sinagoghe, dove si deve trascorrere almeno un
Sopra, l’interno, con una Gerusalemme di fantasia, di una capanna per Sukkot, in Germania. Sotto a sinistra, uno shofar, il lungo corno suonato in sinagoga al Capodanno ebraico e all’inizio del digiuno di Yom Kippur A destra, pagina di un antico calendario per contare i 49 giorni tra Pesach e Shavuot.
Precettipasto al giorno per ricordare il tempo in cui gli Ebrei passarono 40 anni nel deserto, nomadi.
«E anche per rimarcare che il popolo ebraico dipende da Dio, non dalla terra», afferma Francesca Sofia, docente di Storia dell’ebraismo e di Storia moderna all’Università di Bologna. Naturalmente, per Pesach, Shavuot e Sukkot ci si reca in sinagoga per le preghiere, anziché al tempio distrutto dal futuro imperatore Tito nel 70 d.C.
ESAME DI COSCIENZA. Le altre tre feste ebraiche più importanti sono solamente accennate nella Bibbia. Sono dette rabbiniche, perché normate nel Talmud. Sono celebrazioni autunnali e cominciano... con il Capodanno. Rosh
proprio testa e anno), di solito cade tra il 6 settembre e il 5 ottobre, dura 2 giorni e per gli ebrei è precetto ascoltare nella sinagoga il suono dello shofar, un antico strumento ricavato dalle corna di ariete, suonato durante la preghiera di Capodanno, particolarmente lunga. A casa si fa una grande cena in cui sono presenti cibi dolci e rotondi, per augurare un anno piacevole, “senza spigoli”, e melograni, che hanno 613 chicchi come i precetti della religione ebraica.
Ma dal giorno dopo, poiché nell’ebraismo non esiste la confessione, iniziano 10 giorni di esame di coscienza in cui si riesamina l’anno appena passato. In questo periodo, per esempio, si saldano i debiti e si chiede scusa dei torti. Il tutto per arrivare pronti a Yom Kippur, che per la religione ebraica è il giorno più solenne, quello in cui anche il meno osservante va in sinagoga (un po’ come fanno i cristiani non praticanti che vanno alla messa di Natale).
Ma non si tratta di una festa gioiosa: Yom Kippur è letteralmente il Giorno dell’Espiazione, in cui si fa ammenda per le proprie colpe rispettando cinque precetti: per 25 ore non si può mangiare, bere, lavarsi, profumarsi né avere rapporti sessuali.
E nelle sinagoghe è giorno di preghiera ininterrotta.
A sinistra, il candelabro a nove bracci proiettato sulle mura intorno alla città vecchia di Gerusalemme durante la festa di Hannukah.
Pesach: 5-13 aprile
Shavuot: 25-27 maggio
Sukkot: 29 settembre/ 6 ottobre
Rosh haShanah: 15-17 settembre
Yom Kippur: 24-25 settembre
Hanukkah: 7-15 dicembre
(le feste iniziano sempre al tramonto)
LUCI. Infine, una festa che si vede spesso nei film americani o di cui si legge nei romanzi: Hanukkah, la Festa delle luci. Cade tra novembre e dicembre, in giorni non lontani dal Natale, ma con il quale non ha nulla a che fare. Questa festività è infatti legata alla nuova consacrazione dell’altare nel Tempio di Gerusalemme, dopo la libertà riconquistata dagli Israeliti assediati dai Seleucidi. «Il santuario era stato profanato con culti pagani e per purificare il luogo sacro fu comandato di ripristinare l’Arca dell’Alleanza e di accendere per otto giorni di fila le luci del candelabro (Menorah). Per alimentare i ceri si cercò olio d’oliva puro, ma purtroppo la quantità trovata non sarebbe bastata neanche per un giorno. Miracolosamente, il pochissimo olio a disposizione durò per tutti gli otto giorni previsti per i festeggiamenti», racconta Francesca Sofia. Proprio per ricordare il miracolo dell’olio che permise di purificare il Tempio riconquistato, durante Hanukkah si accende ogni sera una candela del candelabro a nove bracci – detto Hannukiah e che si differenzia dalla Menorah a sette bracci – in modo che l’ottavo giorno siano tutte accese (il nono braccio serve ad accendere gli altri otto). Nel frattempo, si mangiano dolci fritti, mentre i bambini giocano con la trottola tipica della festività. Hanukkah, quindi, è una festa suggestiva ma minore, mentre Natale per i cristiani è la più importante, perché celebra la nascita del Messia, che gli ebrei stanno ancora aspettando. •
Sfortunato il popolo che ha bisogno di eroi”, afferma il Galileo di Bertolt Brecht in una delle scene più famose del teatro contemporaneo. In realtà, tutti ne abbiamo bisogno: gli eroi sono uomini e donne capaci di andare oltre i limiti del conformismo, della prudenza, dell’istinto di conservazione, per compiere azioni a vantaggio di altri. Mostrano una strada difficile, ma giusta. Dunque: sfortunato il popolo che non sa riconoscere gli eroi, si potrebbe dire. O che non sa di averli. Il comandante Salvatore
Todaro, messinese, classe 1908, morto in combattimento nel dicembre 1942, è uno degli eroi italiani che dovremmo ricordare: soprattutto oggi, visto che il Mediterraneo è di nuovo una liquida frontiera che divide, non un passaggio che unisce, e spesso diventa una tomba per esseri umani che non riusciamo a salvare.
L’ufficiale
Salvatore Todaro (1908-1942), comandante di sommergibili per la Regia Marina durante la Seconda guerra mondiale. A sinistra, il vero Cappellini in una foto d’epoca. Le riprese si sono svolte a Taranto e il film uscirà entro l’anno.
CAPITANO. La vicenda di Salvatore Todaro è straordinaria. Entrato all’Accademia navale di Livorno nel 1923, nominato guardiamarina nel 1927 e tenente di vascello l’anno successivo, dopo un corso specifico venne assegnato a un reparto idrovolanti come osservatore. Il 27 aprile 1933, a La Spezia, il suo aereo (un SavoiaMarchetti S.55) ebbe un incidente, e Todaro subì una grave lesione alla colonna vertebrale: chiese e ottenne di restare in servizio attivo, ma da allora fu costretto a portare un busto in ferro che gli causava sofferenze tali da costringerlo in casi estremi a ricorrere alla morfina. Passato ai sommergibili, nel maggio del 1937 gli venne affidato il battello costiero H.4, e poi – sempre durante la Guerra Civile Spagnola – il Macallè e il Jalea, classificati “da piccola crociera”. Il 1° luglio 1940, meno di un mese dopo l’entrata
Incontro i due autori di Comandante, uscito a fine gennaio per la casa editrice Bompiani, in un albergo romano. Edoardo De Angelis, regista, sceneggiatore e produttore, si è preso un’ora di pausa dal montaggio del film da cui è nato il libro: un percorso
controcorrente, dalla sceneggiatura al romanzo, che è già un piccolo miracolo. Ce ne sono altri nelle 150 pagine del libro: il miracolo di un cavo di mina tagliato da un corallaro che accetta la morte per salvare i compagni; il miracolo di un cuoco napoletano che scopre la squisita semplicità delle patate fritte, piatto nazionale dei naufraghi belgi; il miracolo di un amore lontano, che non potrebbe essere più grande ma vive nella rinuncia; il miracolo di un comandante che sa tutto ciò che deve sapere, anche leggere nella mente del nemico nel momento in cui non è più nemico, ma soltanto un uomo di mare come lui. Il romanzo. La storia del romanzo è quella della prima missione in Atlantico del Cappellini, uno degli 11
sommergibili oceanici classe Marcello entrati in servizio nella Regia Marina tra il 1938 e il 1939, e della straordinaria scelta del comandante Todaro di non abbandonare i naufraghi del mercantile armato belga Kabalo che aveva appena affondato a cannonate, il 15 ottobre 1940, 720 miglia a ovest dell’isola di Madeira. Todaro mise a repentaglio la sopravvivenza del suo sommergibile e dell’intero equipaggio per obbedire a una legge superiore che accomuna i naviganti: chi è in balia del mare deve essere salvato, a qualsiasi prezzo. Non mi aspettavo, leggendolo, un ruolo tanto importante dei personaggi minori, in particolare gli uomini dell’equipaggio del Cappellini: ombre che prendono vita nella
narrazione con un’alternanza di voci, in diversi dialetti, che rende omaggio a un’Italia lontana, ancora aspra, povera, elementare. Un’Italia fatta di molte anime, che la straordinaria e terribile vita dei sommergibilisti racchiude in un universo claustrofobico di 73 metri di lunghezza, stretto come uno dei sigari che il comandante Todaro impara a fumare a fogu aintru, ovvero tenendo la punta accesa in bocca per non rivelare la posizione al nemico, grazie a uno dei suoi cannonieri, il sardo Mulargia. O stretto come una bara d’acciaio, cosa che divennero davvero tre quarti dei 145 sommergibili italiani partiti in missione tra il 1940 e il 1943, e ben nove degli undici della classe Marcello a cui apparteneva il Cappellini
in guerra del Regno d’Italia contro l’impero britannico e la Francia, Todaro fu promosso capitano di corvetta al comando del Luciano Manara; finalmente, dal 26 settembre, gli venne affidato il nuovo sottomarino oceanico Comandante Cappellini, una delle 11 unità della classe Marcello, che rappresentava allora il meglio di cui disponesse la flotta sommergibili della Regia Marina: 73 metri di lunghezza e 1.060 tonnellate di dislocamento in emersione, armato con due cannoni da 100 mm in coperta, due impianti binati di mitragliatrici antiaeree Breda da 13,2 mm e otto tubi lanciasiluri da 533 mm, con una dotazione di 16 siluri.
SALVATAGGIO IN ALTO MARE. Il Cappellini salpò da La Spezia il 28 settembre 1940 diretto alla nuova base dei sommergibili italiani a Bordeaux (nome in codice Betasom); Todaro riuscì a forzare lo stretto di Gibilterra – sfuggendo ai cacciatorpediniere britannici e ai campi minati – e iniziò la sua prima crociera atlantica il 3 ottobre. Dodici giorni dopo, alle 23:15 del 15 ottobre, navigando in superficie, il Cappellini avvistò una nave che procedeva a luci spente; Todaro decise di attaccarla, benché non fosse certo della sua nazionalità, visto che alle
navi neutrali era vietato procedere in oscuramento totale: “È una nave con un cannone che naviga a luci spente in zona di guerra. Io la affondo”
Ben presto si trovò preso di mira dal pezzo di coperta del mercantile. Il Cappellini manovrò per offrire il minimo bersaglio al nemico, contemporaneamente portando in
batteria entrambi i cannoni da 100 mm, che colpirono più volte la nave, incendiandola. Finalmente Todaro poté distinguerne il nome e la bandiera: era il Kabalo, piroscafo belga di 5.186 tonnellate di dislocamento. Un mercantile di un Paese ancora neutrale. Quando il Kabalo andò a fondo, gli uomini del Cappellini avvistarono prima
Il comandante Salvatore Todaro discute con alcuni dei suoi uomini prima di partire per un’azione nel Mar Nero (Crimea, giugno 1942).
Una scena sul ponte del sommergibile Cappellini A destra, il regista De Angelis si confronta con Favino durante le riprese del film.
Questo ebbe però un destino diverso: inviato in Estremo Oriente, fu preso in forza dalla Marina imperiale nipponica e catturato dagli americani a Singapore, alla fine della guerra. Come Antigone. Il libro è breve, intenso, senza pause: la morte lo attraversa più volte, ma è la storia di una sorprendente scommessa sulla possibilità di una vita più giusta, dove gli esseri umani, anche
nell’orizzonte di un conflitto terribile, sanno riconoscere il limite oltre il quale non bisogna mai spingersi. Todaro è un uomo di guerra e di mare: cerca la battaglia con una passione antica, epica, e non ha esitazioni quando deve colpire il nemico. Ma non può considerare nemico chi non ha più armi e ha fatto naufragio. Allora non ha importanza quello che potrebbe accadere: la situazione presente
cinque uomini in acqua, prontamente recuperati (v. riquadro a destra), poi una lancia con 21 persone a bordo, tra cui il comandante del mercantile, il capitano Georges Vogels. Todaro prese allora una decisione coraggiosa, che andava contro gli ordini cui dovevano attenersi i sottomarini in zona di guerra: non abbandonare i naufraghi, ma rimorchiare la scialuppa fino al porto sicuro più vicino, nelle Azzorre, distante quasi 400 miglia.
Per procedere più rapidamente, Todaro fu costretto dopo un giorno di navigazione ad accogliere a bordo tutti i superstiti del Kabalo, molti sistemati nella falsatorre di coperta: da quel momento il Cappellini procedette in condizioni di sovraffollamento tali da impedire l’immersione, una scelta che esponeva il sommergibile alla distruzione certa qualora avesse incontrato unità di superficie o aerei nemici. Cosa che accadde davvero il mattino del 18 ottobre, quando incrociò la rotta di un convoglio inglese: ma Todaro, dopo essere stato bersagliato da una delle navi di scorta, trasmise un messaggio in chiaro in cui spiegava la situazione – aveva naufraghi belgi a bordo, e stava navigando per portarli in salvo, quindi chiedeva... una tregua. Il commodoro britannico si fidò di lui,
diventa un imperativo morale che non ammette ripensamenti, e il comandante sceglie per tutti, perché sa che l’onore di tutti è nelle sue mani. Non può accettare “ordini superiori”, come Antigone nella tragedia greca che porta il suo nome non può accettare “la legge della polis”, la legge degli uomini, che pure ha una sua ragion d’essere: perché esiste una legge superiore a cui non si può disobbedire
diede ordine di cessare il fuoco e lo lasciò passare. Il Cappellini raggiunse le Azzorre all’alba del 19 ottobre; tutti i superstiti del Kabalo vennero sbarcati sani e salvi e sopravvissero alla guerra.
L’ULTIMA MISSIONE. Non così il capitano di corvetta Todaro. Dopo una seconda crociera in Atlantico, durante la quale affondò prima il mercantile armato Shakespeare (5 gennaio 1941) e poi il piroscafo Eumaeus, adibito al trasporto truppe (14 gennaio 1941), entrambi britannici ed entrambi a cannonate (Todaro era uno strano sommergibilista, visto che si fidava poco dei siluri), chiese e ottenne di essere trasferito alla Xa flottiglia MAS. Nonostante i successi, e i pericoli costanti delle operazioni nell’oceano, Todaro cercava un altro tipo di combattimento: era fatto per guidare uomini e mezzi all’assalto in superficie, e poté farlo durante il duro assedio di Sebastopoli, in Crimea, dove si guadagnò la terza medaglia d’argento al valor militare (giugno 1942). Rientrato brevemente in patria, nel novembre 1942 venne assegnato al comando del motopeschereccio armato Cefalo che operava dall’isola di La Galite, a nord della costa della Tunisia: qui pianificò un audace attacco contro la base nemica di Bona. Al termine della
senza provare vergogna. Senza perdersi. La storia di Salvatore Todaro, come quella dell’eroina di Sofocle, è un esempio senza tempo: anche per questo Comandante di Edoardo De Angelis e Sandro Veronesi è un libro da leggere, e che andrebbe fatto leggere ai ragazzi delle scuole superiori. Di eroi come Todaro non smetteremo mai di avere bisogno.
missione, mentre rientrava in porto, nella notte tra il 13 e il 14 dicembre 1942 il Cefalo venne mitragliato a bassa quota da uno Spitfire britannico. Todaro rimase ucciso da una scheggia. Il comandante, cui venne conferita la Medaglia d’oro al Valor militare alla memoria, è sepolto a Livorno, dove abita la seconda figlia, venuta alla luce dopo la sua morte. Il suo ricordo e il suo esempio sono vivi nella Marina militare grazie al sottomarino S-526 Salvatore Todaro, entrato in servizio nel 2006; da quest’anno, finalmente, il suo nome diventerà più familiare anche al grande pubblico grazie al romanzo e al film che gli hanno dedicato il regista Edoardo De Angelis e lo scrittore Sandro Veronesi. •
Alrientro alla base dei sommergibili di Bordeaux (Betasom), Salvatore
Todaro venne ripreso per la sua condotta, “ritenuta non consona alle esigenze di guerra di un battello in pattugliamento offensivo”. Gli venne fatto notare che né i tedeschi né gli inglesi si sarebbero comportati in quel modo.
Todaro rispose con una frase rimasta celebre nella storia della Marina militare italiana: “Gli altri non hanno, come me, duemila anni di civiltà sulle spalle”.
Gastone Brecciapoi in servizio sui sommergibili, infine al comando