MISSIONI IMPOSSIBILI
Azioni militari spericolate, salvataggi miracolosi, sfide considerate perse in partenza: quando la realtà supera Tom Cruise (che torna al cinema)
Azioni militari spericolate, salvataggi miracolosi, sfide considerate perse in partenza: quando la realtà supera Tom Cruise (che torna al cinema)
Quante risorse, ore di addestramento, energie servono per formare quei reparti militari speciali che riescono nelle imprese (sabotaggi, colpi di mano, liberazione di ostaggi... ) più rischiose e difficili? Ai superuomini che, dall’antichità a oggi, hanno affrontato eroicamente le operazioni più pericolose dedichiamo questo numero di Focus Storia. Ispirati dalla figura dell’agente speciale Ethan Hunt-Tom Cruise (al cinema da questo mese con l’ultimo capitolo della saga Mission: Impossible), abbiamo scavato nella storia militare per capire come e quando sono nati gli incursori, i ranger, i commando. Poi però, strada facendo, siamo stati catturati dal fascino di tutte le imprese estreme Non solo militari quindi, ma anche civili e politiche: cosa c’è di più difficile e complesso di una missione di pace? Coraggio e determinazione spesso albergano silenti nell’animo umano, pronti a venire fuori quando tutto sembra perduto.
Il cavallo di Troia che permise agli Achei di espugnare la città.
34
Pronti a tutto
Duro il mestiere dell’incursore! Ma come sono nati i raider? Dai Romani ai guerriglieri boeri, dai ranger agli Arditi, ecco i più noti.
42
In cerca di guai
Come sono state condotte nei secoli le operazioni speciali – special ops – più rocambolesche.
48
L’isola del famoso
Alexander Selkirk fu abbandonato in mezzo al mare. Ma riuscì a sopravvivere per quattro anni e ispirò le avventure di Robinson Crosue.
52
Prove di pace
Dopo 12 giorni di negoziati segreti, Egitto e Israele nel 1978 misero fine alle ostilità. Un accordo che pochi credevano possibile.
56
Salvataggi estremi
Dallo spazio alle viscere della Terra, sono state molte le operazioni di recupero e soccorso eccezionali, riuscite quando tutto sembrava perduto.
In copertina: un soldato durante un’operazione speciale.
18 GIALLO STORICO Omicidio politico?
L’assassinio del premier svedese Olof Palme, nel 1986.
24 SCUOLA Da Napoleone al made in Italy
La nascita (due secoli fa) e l’evoluzione del liceo italiano.
28 PERSONAGGI
Il re della gomma
L’ascesa di Giovanni Battista Pirelli, che dal nulla creò un impero.
68 ARCHEOLOGIA Pop Arch
Theòdoros Papakostas ci racconta a modo suo il viaggio di un vaso.
70 GEOPOLITICA L’ossessione ottomana
Un secolo fa, finiva l’Impero ottomano e nasceva la Turchia.
75 CULTURA Nazi-ladri
Il furto delle opere d’arte perpetrato dai nazisti e un nuovo libro che lo racconta.
80 FOTOGRAFIA L’uomo che vedeva
Gli scatti più belli di Mario Dondero.
86 STATI UNITI Il rombo di un mito
Il fondatore degli Hell’s Angels, Sonny Barger.
92 STORIE ITALIANE Partigiani del Sud
La guerra dei briganti, che cominciò subito dopo l’Unità d’Italia.
EmanuelaIlpunto di partenza dell’ultima puntata del nostro podcast è il calco in gesso di un anello. Anzi, non di tutto l’anello, ma della sola pietra che vi era incastonata: un grosso zaffiro, per la precisione, con incisa la figura di un cavaliere. Il calco è quanto ci resta
di uno dei simboli più importanti del potere dei Savoia, l’anello di san Maurizio, di cui non si conosce con sicurezza l’origine. Ogni conte (e poi ogni duca) lo riceveva al momento in cui saliva al trono, e solo questo gli dava piena sovranità. Dalla metà del Seicento, però,
le cose cambiarono e non si racconta più il passaggio di consegne da un sovrano all’altro. Che ne è stato dunque dell’anello di san Maurizio? Dove è oggi? Su Storia in Podcast cerchiamo qualche risposta. Buon ascolto! Per ascoltare i nostri podcast (dalle
biografie di personaggi agli approfondimenti sui grandi eventi storici) basta collegarsi al sito della nostra audioteca storiainpodcast.focus.it Gli episodi – disponibili gratuitamente anche sulle principali piattaforme online di podcast – sono a cura del giornalista Francesco De Leo.
rapporti tra Italia e Libia, vorrei ricordare che nel 1971 l’Italia, ministro degli Esteri Aldo Moro (1916-1978), contribuì a impedire che un micidiale colpo di Stato monarchico rovesciasse il nuovo regime del colonnello Muammar Gheddafi (1942-2011).
Ricorda lo storico Arturo Varvelli (1976) dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale di Milano nel suo documentato saggio del 2009 L’Italia e l’ascesa di Gheddafi. La cacciata degli italiani, le armi e il petrolio (1969-1974), edito da Baldini e Castoldi, che a Trieste il 21 marzo 1971 la polizia sequestrò il battello Conquistador XIII che avrebbe dovuto trasportare armi e mercenari europei in Libia per un colpo di Stato voluto dal potente Omar Shalhi, ex emissario di re Idris (1890-1983), con lo scopo di prendere la prigione di Tripoli, denominata in codice “Hilton”, il castello
sul porto costruito dagli italiani negli anni Trenta, e liberare i dissidenti e i maggiori rappresentanti del vecchio regime tra i quali Abdul Aziz, fratello di Omar, ex comandante dell’Esercito. Ci sarebbe stata poi una sollevazione appoggiata dalla polizia libica e da alcune tribù della Senussia. I mercenari sarebbero stati comandati dal colonnello inglese David Stirling (1915-1990), eroe della Seconda guerra mondiale e fondatore del Corpo speciale della SAS (Special Air Force).
Tuttavia anche Gran Bretagna e Stati Uniti si mostrarono contrari alla spedizione e l’operazione per far fallire il golpe fu comandata dal colonnello dei Servizi segreti dell’Esercito italiano Roberto Jucci (1926), poi comandante generale dell’Arma dei carabinieri.
Fabio Lambertucci, Santa Marinella (Roma)
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Focus Storia n° 193, pag. 69, abbiamo scritto erroneamente che il cadavere di Matteotti fu ritrovato il 16 giugno 1924 invece che il 16 agosto.
Focus Storia n° 200, pag. 55, l’Italia non
perse tre incrociatori e due cacciatorpediniere durante la battaglia di Capo Teulada, bensì nel corso della battaglia di Capo Matapan (oggi noto come Capo Tenaro), in Grecia.
Il liceo è nato oltre due secoli fa, ma ha sempre subito (e subisce) continue modifiche. E ogni riforma rivela qualcosa dell’epoca storica che l’ha prodotta.
In classe
L’ingresso del liceo scientifico di Colleferro (Roma) a metà anni Sessanta. Nel disegno in alto, lo studente Napoleone intento al gioco della palla. Fu Bonaparte, da imperatore, a volere la nascita dei licei nel 1802 sia in Francia che in Italia.
a un liceo del Made in Italy per valorizzare percorsi che spieghino il legame tra la cultura, i territori e la nostra identità, per formare esperti che possano esportare e posizionare il brand nazionale nel campo della moda, delle nuove tecnologie, dell’agroalimentare ma anche nell’ambito culturale e del turismo». La premier Giorgia Meloni lo scorso aprile ha lanciato un nuovo liceo, interamente dedicato all’italianità e dove, dall’anno scolastico 2024-2025, insieme a italiano, matematica, filosofia, chimica e storia si studieranno anche marketing, gestione delle imprese nostrane, modelli di business della moda, dell’arte e dell’alimentazione. Rinverdendo così la storia del liceo, scuola voluta da Napoleone agli inizi del XIX secolo per formare la futura classe dirigente.
LETTERE E ARMI. Tutto cominciò infatti il 1° maggio 1802 quando Bonaparte, con la legge “dell’11 fiorile dell’anno X”, riorganizzò l’istruzione, che doveva essere statale, laica e divisa in tre ordini: scuole primarie, ginnasi e licei, università. L’articolo 9 recitava: “Saranno creati dei licei per l’insegnamento delle lettere e delle scienze”, ma anche, nei sette anni di corso, di retorica, fisica, morale, logica, botanica, latino e greco. Tra gli insegnanti non c’era più spazio per i religiosi e ogni istituto aveva il suo responsabile delle buone maniere e quello delle questioni economiche, entrambi scelti da Napoleone. Gli studenti vivevano in collegio, inquadrati in ordinamenti paramilitari che li obbligavano, tra una lezione e l’altra, a esercitazioni belliche comandate da alunni-sergenti. Il lycée nelle intenzioni doveva favorire la mobilità sociale, ma di fatto era frequentato solo dall’alta borghesia, dai figli dei burocrati
lorem! SSpudis debit explit re voluptate nem sum, optae re si volorem po re rorio etdesure color quedese. Nell’altra pagina: Spudis debit explit re voluptate nem sum, optae re si volorem porerorio et que edis debit explit re voluptate nem sum, optaedesure.
e dei graduati dell’esercito. Il loro obiettivo, superato l’impegnativo esame finale, non era lavorare ma andare all’università e poi comandare.
ANCHE DA NOI.
In Italia il liceo fu istituito da Bonaparte con la legge n. 75 del 4 settembre 1802 e affiancò il ginnasio risalente al Settecento asburgico di Maria Teresa d’Austria. Bisognò aspettare però sei anni e il Piano d’istruzione generale affinché la nuova scuola si affermasse. Nel 1807, il liceo divenne “nazionale” e i suoi insegnanti furono chiamati professori e non maestri, avvicinandoli allo status dei docenti universitari. Il Regolamento organico pe’ i Licei, infine, distingueva tra “Licei nazionali senza convitto d’allievi” e “Licei aventi convitto d’allievi”, cioè con collegio annesso. Come in Francia, il fine era formare i futuri dirigenti; c’erano corsi di fisica, chimica, agronomia e botanica, ma dominavano le materie umanistiche e le esercitazioni militari, guidate da veterani dell’esercito. La situazione cambiò dal 1814 quando, sconfitto Napoleone, gli austriaci tornarono in Lombardia per dar vita alla Restaurazione anche nell’insegnamento: introdussero il Codice ginnasiale e al liceo diedero un carattere più pratico. Furono aboliti il diritto e la botanica mentre un ruolo più centrale l’assunse la matematica, considerata la base di ogni sapere. Inoltre Ferdinando I lo rese accessibile anche ai figli della media e piccola borghesia, formate da commercianti e artigiani.
ARRIVA IL GINNASIO. Un nuovo importante capitolo nella storia del liceo italiano lo scrisse nel 1859 il ministro della Pubblica istruzione del Regno di Sardegna Gabrio Casati. Con la legge che porta il suo nome introdusse il ginnasio-liceo e ne fece il cardine della scuola secondaria: dopo quattro anni di elementari, era previsto un piano quinquennale incentrato su lingua italiana, latino, greco, aritmetica e storia e un secondo triennio che aggiungeva filosofia, fisica e storia naturale.
Erano passati sessant’anni, ma gli obiettivi del liceo restavano l’università e la formazione dei dirigenti, mentre gli istituti tecnici e magistrali (anch’essi una novità) erano destinati ai ceti inferiori. E alle ragazze. Non c’era un divieto formale all’iscrizione delle donne al liceo, ma le consuetudini praticamente imponevano che per “futura classe dirigente” s’intendessero i maschi. In generale, nemmeno tra i ragazzi il ginnasio-liceo raccolse proseliti, perché considerato, specie dai pratici genitori borghesi, poco utile per trovare subito un lavoro. L’eterno dibattito su una possibile riforma della scuola superiore iniziò allora e proseguì nel nuovo secolo.
Nel 1906 fu istituita una commissione reale per provare a modernizzare lezioni e corsi di studi. Si pensò a un ginnasio triennale e a tre licei quinquennali: classico, scientifico e moderno, ma solo quest’ultimo trovò concreta applicazione grazie alla legge 860/1911 del ministro Luigi Credaro. Rispetto al vecchio liceo classico (che cominciò allora a chiamarsi così), nei tre anni di “specializzazione” si studiava meno latino e il greco scompariva, sostituito da una seconda
La prima scuola a chiamarsi “liceo” fu quella di Aristotele (a destra, precettore di Alessandro Magno), che intorno al 335 a.C. teneva lezioni di scienze pratiche (etica e politica), teoretiche (filosofia, matematica, fisica) e poietiche (retorica e poetica) ai piedi della collina Licabetto (“dei lupi”) ad Atene. Nei pressi c’era un santuario del dio Apollo “Liceo” o “Licio”, chiamato così perché il lupo (lykos in greco) era il suo animale sacro o perché il mito narra che la divinità fu portata in fasce in Licia, o ancora per il suo legame con il culto solare e la luce. Su
In un ginnasio femminile degli anni Quaranta, le ragazzine si allenano con il cerchio durante l’ora di educazione fisica. Nei ritratti a destra, sovrani e ministri che hanno giocato un ruolo importante nella storia del liceo in Italia.
lingua straniera (inglese o tedesco) da aggiungere al francese, e c’era maggiore attenzione alle materie scientifiche oltre che al diritto, all’economia e all’educazione fisica. Ma anche questo esperimento fallì: attivato soltanto in 8 province, il liceo moderno chiuse i battenti dopo 12 anni, soppiantato dal nuovo scientifico.
LO SCIENTIFICO. L’idea di un liceo scientifico proposta senza successo dalla commissione reale fu ripresa, ma stravolta, nel 1923 dal ministro della Pubblica istruzione Giovanni Gentile. La famosa (o famigerata, per molti) “riforma Gentile” accentuò la connotazione aristocratica del liceo, trasformando le scuole tecniche in istituti di avviamento professionale e introducendo tre nuovi corsi di studi: lo scientifico, appunto, il discusso liceo femminile (v. riquadro a destra) e quello artistico. Né il primo né il terzo erano finalizzati al lavoro. Lo scientifico, per di più, durava solo quattro anni e, nonostante il nome, puntava tutto sul latino e sull’italiano senza peraltro permettere l’accesso alle facoltà di Lettere e filosofia o Giurisprudenza. Le iscrizioni furono per questo scarse fino
al 1940, quando la riforma Bottai, istituendo la scuola media triennale, permise agli aspiranti liceali di accedere direttamente al loro istituto preferito, scientifico compreso.
Soltanto nel 1969, quando caddero le limitazioni di accesso alle facoltà, le iscrizioni allo scientifico aumentarono vertiginosamente, dando il via al lungo duello con il classico per lo scettro di scuola superiore più ambita d’Italia.
MUSICA E DANZA. A disturbare questa sfida, oltre all’artistico riveduto e corretto, negli anni si inserirono il linguistico, istituito nel 1973 (con tre lingue straniere oltre al latino) e i tanti licei sperimentali nati dal 1968 (biologico-sanitario e il fisicoinformatico... ) e nel 1992 con il
quella stessa area sorgeva un “ginnasio”, cioè una palestra. Nei secoli, questi due termini sono diventati sinonimi di scuola.
La sfida tra liceo classico e scientifico è iniziata nel 1969
MARIA TERESA D’AUSTRIA
cosiddetto “progetto Brocca”. Chiamato così dal cognome del sottosegretario alla Pubblica istruzione coordinatore della commissione istituita nel 1988 per rispondere alle nuove esigenze formative, diede vita a una lunga serie di indirizzi specialistici: economico o elettronico, agroindustriale o biologico, tessile e delle costruzioni.
Molte di queste scuole nascevano dalle ceneri delle magistrali: il socio-psico-pedagogico o quello della formazione, il pedagogicosociale e il liceo delle scienze sociali.
Quinquennali, davano accesso
all’università senza l’anno integrativo (magistero) necessario fino ad allora per maestri e maestre.
In attesa del liceo del Made in Italy, vale la più recente delle tante riforme, quella della ministra Gelmini, datata 2010, che ha accorpato quattro ex magistrali nel liceo delle scienze umane, aggiunto all’artistico l’arte multimediale e la scenografia e creato il liceo musicale-coreutico, indirizzato, nelle parole del ministero, “all’apprendimento tecnico-pratico della musica e della danza e allo studio del loro ruolo nella storia e nella cultura”. •
Agli inizi del Novecento si contava una liceale ogni quaranta colleghi maschi. Il crescente successo del magistrale e una più moderna mentalità che spingeva anche le donne verso il liceo-ginnasio indussero, per evitare ingolfamenti, il ministro Gentile a istituire nel 1923 il liceo femminile. Per dare, si legge nel regio decreto, “un complemento di cultura generale alle giovinette che non aspirino né agli studi superiori né al conseguimento di un diploma professionale”. Si trattava di un percorso di tre anni che non permetteva di accedere né a un lavoro né all’università. Taglio e cucito. Si studiavano italiano e latino, un po’ di filosofia e diritto, ma dominavano economia domestica e lavori femminili, danza e musica. Matematica, storia, scienze e geografia erano assenti, mentre per ottenere ammissione e licenza bisognava dimostrare “gusto e signorilità” in prove di taglio e cucito, cura di abiti e biancheria, disegno su cartamodelli. Aspramente criticato, il femminile chiuse dopo cinque anni per scarsità di iscrizioni.
Perla rara Studentessa dello scientifico “Augusto Righi” (Roma,1955). A sinistra, l’aula magna di un liceo all’inizio dell’anno scolastico 1942-43.
Pace tra Egitto e Israele: la firma c’è. Il Corriere della Sera del 27 marzo 1979 dedicava questo titolo all’evento che, il giorno prima, aveva catalizzato l’attenzione del mondo intero: il trattato di pace israelo-egiziano. Un accordo a lungo atteso, nel quale pochi credevano, siglato a Washington, negli Stati Uniti, dal presidente egiziano Anwar al-Sadat e dal primo ministro israeliano Menachem Begin, grazie alla mediazione del presidente statunitense Jimmy Carter. Si giunse allora a uno snodo fondamentale del Novecento, nell’ambito del conflitto arabo-israeliano. Nella cronaca del giornalista Giuseppe Josca, l’inviato speciale del quotidiano milanese che riportava la notizia in Italia, si leggeva: “Trent’anni di guerre e di ostilità fra Egitto ed Israele sono finiti formalmente ieri”. Come si arrivò fin lì? E con quali risultati?
ALLE RADICI. Il conflitto araboisraeliano si era acuito quando, dopo la Seconda guerra mondiale e il genocidio nazista degli ebrei, il processo di creazione dello Stato di Israele, iniziato alla fine dell’Ottocento, accelerò. La causa sionista, che propugnava il ritorno degli ebrei nella “terra promessa”, riuscì infatti a concretizzarsi, soprattutto con la nascita delle Nazioni Unite. La risoluzione 181 del 1947 dell’Assemblea generale dell’Onu propose infatti la nascita in Palestina, a ovest del fiume Giordano, di due Stati: uno ebraico, che avrebbe coperto poco più della metà della zona, e l’altro palestinese, meno esteso e quasi integralmente arabo-musulmano. I leader palestinesi,
Dopo 12 giorni di negoziati segreti, Egitto e Israele nel 1978 posero fine alle ostilità.
Un accordo che pochi credevano possibile.
sentendosi defraudati dei loro diritti, non accettarono, mentre i leader ebrei sì, dichiarando l’indipendenza di Israele il 14 maggio 1948, con l’assenso degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica. Allora il Medio Oriente si incendiò.
La Lega Araba, di cui l’Egitto era un punto di riferimento, attaccò Israele, che però riuscì a ottenere più territori di quelli previsti dall’Onu. Le reciproche posizioni si irrigidirono e i Paesi arabi occuparono alcune aree della zona rifiutando il riconoscimento del nuovo Stato ebraico. L’Egitto, in particolare, prese la striscia costiera di Gaza, mentre centinaia di migliaia di palestinesi si ritrovarono tagliati fuori, finendo nei campi profughi allestiti dall’Onu in condizioni precarie. Mentre in Israele arrivavano altri ebrei, o dalle terre confinanti non più sicure o dall’Europa, ogni dialogo si interruppe. La parola passò alle armi.
GUERRA. Il conflitto arabo-israeliano aumentò la tensione mondiale. Nell’ottobre 1956, durante la crisi di Suez, Israele si unì alla spedizione militare anglo-francese per colpire l’Egitto. Solo l’intervento mediatore di Usa e Urss impedì un’escalation
nella regione. Nel frattempo, gruppi di militanti armati palestinesi si aggregarono con l’intento di cancellare lo Stato ebraico. Nel giugno 1967 Israele, sentendosi accerchiata, si mosse di nuovo e, anche per tutelare i propri interessi sul Mar Rosso, lanciò un attacco preventivo contro l’Egitto, che ricevette immediato supporto da Siria e Giordania. Durante il conflitto, la Guerra dei sei giorni, Israele ebbe la meglio, occupando Gerusalemme Est, la Cisgiordania, la Striscia di Gaza, le Alture del Golan e la Penisola del Sinai, e puntando poi a costituire nuovi insediamenti. Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu invitò a una pace “giusta e duratura”, ma fu inutile.
Un altro passaggio fondamentale si verificò poi nel 1973, durante la festa ebraica dello Yom Kippur, quando l’Egitto e la Siria invasero il Sinai e il Golan. Si raggiunse uno stallo, ma i Paesi mediorientali produttori di petrolio si spinsero oltre per danneggiare gli alleati di Israele, bloccando le esportazioni di greggio e innescando una grave crisi energetica in Occidente. La situazione sembrava senza uscita, anche per via delle complesse dinamiche della Guerra fredda, ma presto tutto cambiò.
SCOMMESSA. Il democratico Jimmy Carter, presidente degli Stati Uniti in carica dal 1977, scommise su un’ipotesi ambiziosa: promuovere un riavvicinamento tra l’Egitto, influenzato dalla personalità del nazionalista Anwar al-Sadat, e Israele, al tempo governata dal conservatore Menachem Begin. La decisione, già caldeggiata dai precedenti presidenti repubblicani, fu in realtà il portato dell’azione strategica di tutta l’amministrazione americana e vide come protagonista indiscusso Henry Kissinger, politico esperto di dinamiche internazionali.
Spiega Claudio Vercelli, storico e docente all’Università Cattolica di Milano: «Le amministrazioni americane succedutesi negli anni Settanta (quelle di Richard Nixon, Gerald Ford, Jimmy Carter) avevano in fondo un interesse comune: chiudere definitivamente il dossier del Vietnam e del Sud-Est asiatico, per concentrarsi su altro e recuperare legittimazione e influenza. Non di meno, poter strappare il ruolo di negoziatore all’Unione Sovietica, in quegli anni il vero antagonista storico degli Usa, costituiva un riscontro imprescindibile. Pur con alcune discontinuità tra le amministrazioni
Questa terra è nostra
Una nave con 2.700 ebrei rifugiati arriva ad Haifa (Israele) nel 1947. A destra, Ben Gurion, Rabin e alcuni soldati sulla Spianata delle moschee (Gerusalemme) nel giugno 1967, dopo la vittoria israeliana nella Guerrra dei sei giorni.
NelDopoguerra la soluzione diplomatica delle crisi regionali è sempre stata una sfida tutta in salita. Vinta (magari solo in parte) grazie a pazienti negoziati, abilità personali, contesti favorevoli. Alcuni esempi? Il Trattato di Osimo tra l’Italia e la Iugoslavia, che soltanto nel 1975 definì i confini tra i due Paesi e lo status di Trieste dopo le controversie seguite alla Seconda guerra mondiale. Oppure gli accordi di Oslo del 1993, mediati dal presidente Usa Bill Clinton, tra il leader israeliano Yitzhak Rabin e il leader palestinese Yasser Arafat. E ancora l’Accordo del Venerdì Santo che nel 1998 chiuse il conflitto nordirlandese. O più di recente quello che nel 2016, dopo anni di trattative, portò alla pacificazione, in Colombia, tra i guerriglieri delle Farc e il governo.
repubblicane e quella democratica di Carter, si verificò una linea di continuità: sottrarre il dossier mediorientale alle interferenze sovietiche, attribuendosi il ruolo di pacificatori e, come tali, consolidare la propria capacità di influenza sia sull’Egitto sia su Israele». Fu l’inizio di un cambiamento che riscrisse gli equilibri del Medio Oriente.
CAUTELE. Nel 1977 Sadat compì una storica visita in Israele. Nel 1978, con gli accordi di Camp David, negli Stati Uniti, le due parti iniziarono una negoziazione segreta che durò 12 giorni, fra trattative
e compromessi. Il 26 marzo del 1979, a Washington, si arrivò infine al trattato di pace israelo-egiziano, a cui seguì una celebrazione ufficiale sul prato verde della Casa Bianca e in quello stesso anno Sadat e Begin ricevettero il Premio Nobel per la pace.
Oltre a sancire una serie di principi e direttive, il trattato implicava risultati immediati: Israele lasciò il Sinai, occupato nel 1967, e l’Egitto riconobbe lo Stato ebraico stringendo nuove relazioni diplomatiche. Ciò che sembrava impossibile divenne quindi realtà. Carter fu però cauto e
non nascose l’esistenza di divergenze. Davanti a invitati e giornalisti, il presidente disse che la firma era “il primo passo di una strada lunga e difficile”. E in effetti, anche se il conflitto arabo-israeliano subì una drastica ridefinizione, la questione palestinese entrò in una nuova fase.
NUOVA MISSIONE. Le guerre cessarono, ma ebrei e palestinesi non si riconciliarono. L’Egitto fu criticato dal mondo arabo e pagò caro l’avvicinamento a Israele: Sadat venne assassinato nel 1981 da un membro di un’organizzazione islamica radicale, che intendeva punirlo per la sua politica. Israele, con la crescente guerriglia palestinese, cadde nella paura dell’instabilità. Al suo interno si rafforzarono correnti oltranziste e nel 1982 il governo decise di invadere il Libano per stroncare le basi dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp).
Continua Vercelli: «Per Israele la stabilizzazione con il nemico storico egiziano, il più forte nell’intera regione, aveva un’implicazione: i palestinesi divenivano, da quel momento, soggetto politico a tutto tondo. Ovvero, non dipendevano più dalla ‘protezione’ interessata di una qualche potenza regionale, ma assumevano su di sé la propria rappresentanza politica. Beninteso, con tutti i vincoli del caso. Israele cercava vantaggi di ordine geopolitico e in parte li ottenne. Non di meno, si aprì l’imprevedibile e ingestibile partita del rapporto con i palestinesi come comunità politica e società a sé stante. Un orizzonte inedito, che arriva ai giorni nostri». Con la svolta del 1979 si delineava una nuova “missione impossibile”: la pace tra israeliani e palestinesi. •