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Allevamento

La domanda di pascoli è stata responsabile del 38,5% della deforestazione globale nel periodo 2000-2018 (dati Fao). E dal 2001 al 2015 i terreni su cui far pascolare i bovini si sono mangiati 45 milioni di ettari di foreste, una volta e mezza la superficie dell’Italia. Inoltre avere in tavola carne, latte e uova contribuisce per il 57% alle emissioni di gas serra legate alla produzione di cibo (v. sotto), se si contano quelle “dirette” degli allevamenti e quelle di pascoli e coltivazione di mangimi per animali. Si sommano il metano, prodotto nella digestione dei ruminanti e nella decomposizione del letame, il protossido di azoto, derivante da deiezioni animali e concimazione, la CO2 liberata da deforestazione e produzione di mangimi... Le possibili soluzioni? Si stanno sperimentando integratori a base di alghe marine da unire ai mangimi, per abbattere le emissioni di metano dei bovini. E si può poi intervenire su raccolta e stoccaggio dell’urina e delle feci (che con la fermentazione microbica diventano importanti fonti di metano e protossido di azoto), da cui ottenere per esempio biogas.

Metano: questo gas serra è prodotto dai microbi presenti nell’apparato digerente delle mucche, nella digestione del cibo, ed è emesso con espirazione e flatulenze.

32% La percentuale delle emissioni di metano, dovute ad attività umane, che vengono dagli allevamenti (digestione dei bovini, emissioni dal letame).

Sopra, i 5 cibi di origine vegetale e animale in testa alla classifica delle emissioni di gas serra. I numeri indicano le emissioni in un anno, in milioni di t di CO2 equivalente (misura che “trasforma” una quantità di gas serra in quantità di CO2). Lo calcola uno studio di Atul Jain e Xiaoming Xu della University of Illinois a Urbana-Champaign (Usa) che ha considerato tutte le emissioni di CO2, metano e protossido di azoto di agricoltura e allevamenti: trasformazione di foreste in campi, pratiche agricole, uso di macchine ecc. In tutto l’equivalente di 17,3 miliardi di t di CO2 all’anno: il 57% relativo a cibi di origine animale, il 29% a vegetali per il consumo umano, il 14% a prodotti come cotone o gomma. I singoli alimenti che emettono di più sono carne bovina e latte; tra i vegetali il riso (dalle risaie si libera metano).

Alternative vecchie e nuove

Passare a una dieta che prediliga il consumo di vegetali è una delle singole azioni più potenti che possiamo fare contro la crisi climatica. «Se nella tipica dieta europea sostituissimo i derivati animali con i novel food – come preparati a base di insetti, latte coltivato in laboratorio, alghe e proteine derivate dai funghi – ridurremmo dell’80% gli impatti ambientali del cibo (gas serra, consumo di suolo e di acqua), mantenendo un apporto nutrizionale accettabile», spiega Rachel Mazac dell’Università di Helsinki, che ha fatto questo calcolo in uno studio su Nature Food. «Ma la categoria delle proteine alternative è molto ampia. Si va dagli alimenti a base vegetale, come cereali, legumi, noci, fino ai novel food altamente tecnologici come carni e latti coltivati in laboratorio, che hanno impronte ambientali minori ma una produzione su piccola scala e di grande dispendio energetico, che li rende molto cari e inaccessibili ai più. Ci sono però anche novel food poco tecnologici ma nuovi per la cultura europea, come insetti, proteine dei funghi e alghe. Alternative nutrienti che però non siamo abituati a mangiare».

1,3 miliardi di t. Il cibo perso o sprecato nel mondo, circa 1/3 di quello prodotto per il consumo umano.

28% La percentuale del terreno agricolo usata per produrre cibo che non verrà consumato dall’uomo.

Perdite e sprechi

HI-TECH Insalata in coltivazione idroponica alla AquaVerti, fattoria verticale urbana creata in un edificio in Canada.

Il 14% del cibo prodotto nel mondo viene perso tra il raccolto e la vendita, per esempio nella conservazione o nel trasporto. Il 17% invece finisce sprecato dopo: l’11% nelle case, il 5% nella ristorazione e il resto nella vendita al dettaglio. Se consideriamo solo gli sprechi casalinghi, significa buttare 79 kg di cibo a testa ogni anno nei Paesi ad alto reddito (nei Paesi a medio reddito il valore è 76-91 kg). Per produrre quegli alimenti sono serviti acqua, suolo, energia, investimenti, e sono state prodotte l’8-10% delle emissioni globali di gas serra. Fondamentale quindi la lotta a perdite e sprechi, a più livelli. Da una parte migliorando la pianificazione del raccolto e lo stoccaggio dei prodotti (con catene del freddo sostenibili). Dall’altro, anche con l’acquisto di prodotti in scadenza e il food sharing, in cui il cibo in eccesso viene regalato o venduto a prezzo più basso. Ci sono app come Too Good To Go, con cui ristoranti o negozi vendono a prezzi scontati, o Bring The Food, per donare le eccedenze ad associazioni no-profit.

PESCE E...

Pesca e allevamento di animali acquatici (pesci, molluschi ecc.) hanno prodotto circa 178 milioni di t nel 2020.

SOSTENIBILE?

Proporzione di stock ittici pescati in modo sostenibile (blu, con percentuali) e insostenibile (giallo), nelle zone di pesca: quelle con più stock pescati a livelli insostenibili sono Sud-est Pacifico e MediterraneoMar Nero. Mappa tratta dal rapporto Fao The State of World Fisheries and Aquaculture 2022. Towards Blue Transformation

Pesca

Mangiamo in media 20,2 kg di pesce e altri animali acquatici all’anno, più del doppio di 60 anni fa. «La percentuale di stock ittici marini pescati entro livelli sostenibili nel 2019 è stimata al 64,6%», spiega Vera Agostini della Fao. Tuttavia, se consideriamo che gli stock hanno consistenze diverse e danno differenti contributi al totale delle catture, si calcola che da stock pescati in modo sostenibile «venga l’82,5% degli sbarchi monitorati dalla Fao», continua Agostini. «È sostenibile una pesca che soddisfi criteri di crescita economica mentre contribuisce al benessere delle comunità e dell’ambiente. Insostenibili sono la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata, come la cattura accidentale di specie non target e vulnerabili. Ma ci sono progressi, anche grazie ad accordi internazionali vincolanti contro la pesca illegale, a protocolli sui limiti di cattura e alle aree a pesca limitata, che per esempio in alcune regioni del Mediterraneo stanno permettendo agli stock di ripopolarsi. Inoltre il 50% degli alimenti acquatici (600-700 specie, alghe incluse) è oggi allevato: una produzione in crescita, che sta contribuendo alla sicurezza alimentare mondiale».

177,8 milioni di t

I prodotti ittici da pesca e acquacoltura, in mare e acque dolci, nel 2020 (dati Fao). Di questi:

90,3 milioni di t Dalla pesca.

87,5 milioni di t Da acquacoltura.

157,4 milioni di t Per il consumo umano. 20,4 milioni di t Usi non alimentari.

20,2 kg

Il consumo annuo pro capite di prodotti ittici. 36 milioni di t La produzione annua di alghe.

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