Focus Storia n. 175 - Maggio 2021

Page 1

Storia SCOPRIRE IL PASSATO, CAPIRE IL PRESENTE

n°175

MENSILE –Austria � 9,20 - Belgio, Francia, Lussemburgo, Portogallo, Spagna � 8 - MC, Côte d’Azur € 8,10 - Germania � 12,00 - Svizzera CHF 10,80 - Svizzera Canton Ticino CHF 10,40 - USA $ 11,50

maggio

LA CADUTA NAPOLEONE AVEVA TUTTI CONTRO E ALLA FINE FU ACCERCHIATO E SCONFITTO. ECCO I NEMICI E GLI ERRORI CHE LO PORTARONO A MORIRE DA SOLO SU UN’ISOLA SPERDUTA

21 APRILE 2021 - MENSILE � 4,90 IN ITALIA

Sped. in A.P. - D.L. 353/03 art.1, comma 1, DCB Verona

INFANZIA

ESSERE BAMBINI NEL MEDIOEVO? UNA SFIDA CONTINUA

LIBERAZIONE

I DUE ANNI DI LOTTA PARTIGIANA CHE RISCATTARONO L’ITALIA

L’ALTRA POMPEI

SI STAVA RIALZANDO DOPO UN TERREMOTO, MA ARRIVÒ L’ERUZIONE


175

focusstoria.it

Storia ALAMY/IPA

Maggio 2021

Le truppe napoleoniche durante la Battaglia di Ligny (Belgio), nel 1815.

P

rima, generale della Francia rivoluzionaria, poi imperatore dei francesi. Le ambizioni di Napoleone erano troppo forti sia per la fragile Repubblica francese sia per le litigiose monarchie europee: e infatti, in meno di 15 anni si costruì un impero. Con la forza, con l’astuzia e, va da sé, con la propaganda e la censura, maneggiate entrambe con grande disinvoltura. In gioco non c’erano solo i confini europei, ma la sopravvivenza stessa, fuori dalla Francia, dell’Ancien régime, con la sua legittimità dinastica e la scia di privilegi ereditari. “Nello zaino di ogni soldato si trova un bastone da maresciallo”, amava ripetere Napoleone, regalando così anche al più umile il miraggio di un’ascesa sociale. Mentre la Grande Armée esportava sogni eversivi di libertà e uguaglianza, lui progettava di fondare una nuova dinastia e distribuiva troni a fratelli, sorelle e cognati. La Gran Bretagna, l’Impero russo, l’Impero austriaco e la Prussia lo fermarono. Nel nostro Primo piano vi raccontiamo con quali alleanze, eserciti e generali riuscirono a farlo.

CREDITO COPERTINA: MONDADORI PORTFOLIO

Emanuela Cruciano caporedattore

RUBRICHE

4 LA PAGINA DEI LETTORI

6 NOVITÀ & SCOPERTE

8 TRAPASSATI ALLA STORIA

9 GANSTER STORY

10 UNA GIORNATA DA... 12 CHI L'HA INVENTATO 64 DOMANDE & RISPOSTE 68 CURIOSO PER CASO 97 AGENDA

CI TROVI ANCHE SU:

In copertina: Bonaparte a Fontainebleau, nel 1814.

IN PIÙ... ANTICHITÀ 14 Pompei: tutta

un’altra storia

Quando fu distrutta dal Vesuvio era in ricostruzione dopo un terremoto.

CACCIA A NAPOLEONE 30 Tutti contro

Ci vollero sette coalizioni e quasi vent’anni di guerre per fermare e sconfiggere definitivamente Napoleone Bonaparte.

36

Il duca che sconfisse Napoleone

Chi era Arthur Wellesley, il duca di Wellington che sferrò l’attacco decisivo all’esercito francese, a Waterloo.

41 Quando il problema è donna

Napoleone subì le più cocenti delusioni dall'universo femminile...

42

I protagonisti dell’età napoleonica

Sovrani, ministri, artisti, scrittori... Chi furono i grandi contemporanei di Napoleone?

48

Costruzione di una vittoria

La vigilia della disfatta di Waterloo vista dai nemici.

55 Fine di un imperatore

Il 5 maggio 1821 chiude gli occhi per sempre l’uomo più temuto d’Europa. Solo e lontano dalla Francia.

59

Ritorno a casa

Diciannove anni dopo la morte, Napoleone tornò a Parigi.

60 Tra mito e realtà

I ragazzi della Seconda I del Liceo Berchet di Milano raccontano Napoleone, la sua abilità tattica, il suo rapporto con le donne.

TEMI 18 LaI GRANDI guerra di

Liberazione

Nel 1943 per l’Italia iniziarono 20 mesi duri di lotta partigiana.

MEDIOEVO 24 Un bambino

in comune

Essere bambino nell’Età comunale non era un “gioco da ragazzi”.

72 LaECONOMIA mossa

di Marshall

Oggi il Recovery fund, nel 1948 il piano di aiuti statunitense per la rinascita dell’Europa.

76 IARTEmarmi Torlonia

Per la prima volta aperta al pubblico, a Roma, la collezione di statuaria più prestigiosa del mondo.

86 TECNOLOGIA Energia moneta universale

Dal fuoco al nucleare fino al petrolio, le fonti di energia che hanno portato il progresso, ma a caro prezzo.

PERSONAGGI 92 Facce da galera

Cesare Lombroso, lo studioso che nell’800 formulò teorie azzardate per spiegare criminalità e violenza. 3

S


SPECIALE

N

on mi sono fatto da solo, ma posso dire che almeno non mi sono ‘disfatto’”, così diceva Gianni Agnelli – nato 100 anni fa, nel 1921– che nel 1966 era entrato alla Fiat, l’azienda di famiglia, da presidente e senza aver fatto un

LA VOCE DELLA

STORIA

solo giorno in fabbrica. A ricordare questo aneddoto (e tanti altri) è il giornalista, scrittore e politico Furio Colombo che fra gli Anni ’80 e ’90 fu anche presidente della Fiat America. L’Avvocato è infatti il protagonista di una

preghiera universale (per la Chiesa, il papa, il clero, i governanti, i catecumeni, gli eretici, gli ebrei, i pagani e tutti coloro che si trovano in pericolo o povertà) recitata durante la messa del Venerdì Santo. Formulata nel VII secolo, venne conservata anche nel rito previsto dal messale romano del 1570, in cui la parte dedicata agli ebrei cominciava così: “Oremus et pro perfidis Judaeis”, con un altro riferimento, poco più avanti, alla “judaicam perfidiam”. La maggior parte dei messali in italiano traduceva: “Preghiamo anche per i perfidi Ebrei”. Ma la traduzione di “perfidis” è controversa: la parola “perfidia”, dal latino “per-foedus”, ha infatti anche il significato di “colui che non rispetta i patti” (nello specifico, l’antica alleanza con Mosè) o “infedele”. Quale significato avesse davvero nel VII e nel XVI secolo non lo sappiamo, ma è certo che a causa della diffusa avversione verso gli ebrei, l’opinione comune interpretò l’espressione nel senso più dispregiativo. Tanto più che l’orazione sugli ebrei era l’unica a non essere seguita dalla genuflessione e dalla preghiera. Nel 1948, la Sacra congregazione dei riti confermò che “perfidus” andava inteso come sinonimo di “infidelis” e tradotto con “increduli/incredulità”. A questo si appellò papa Pio XII (1876-1958), quando respinse la richiesta di eliminare quelle parole dalla preghiera. Fu, come dice giustamente il lettore, Giovanni XXIII (1881-1963) a rimuoverle, il 27 marzo 1959, durante la messa che stava celebrando per il Venerdì Santo. A gennaio di quello stesso anno aveva convocato il Concilio Vaticano II, che si aprì però tre anni dopo, l’11 ottobre 1962.

serie di podcast di Focus Storia. In ascolto. Seguite il nostro podcast – curato dal giornalista Francesco De Leo – su www.focus. it/speciali/podcast-focusstoria-la-voce-dellastoria e sulle principali piattaforme di podcast.

Negazionismo e cospirazionismo

L’articolo “Contro ogni evidenza”, pubblicato su Focus Storia n° 172 esprime pensieri condivisibili, soprattutto in merito al negazionismo. Ma penso che il complottismo faccia parte della Storia. A tal proposito riporto alcuni eventi tuttora oggetto di discussione tra gli storici. L’attacco di Pearl Harbor: Truman sapeva ma ha lasciato fare per giustificare l’entrata in guerra? Aldo Moro: non fu trovato per incapacità o per regia occulta di uno Stato avvezzo al compromesso? Iraq 2003: come è potuta passare per vera la presenza di armi di distruzione di massa? Potrei andare avanti citando vari colpi di Stato all’apparenza figli di una rivoluzione interna ma nei fatti indirizzati da altri Stati. In conclusione, credere che le torri gemelle siano state fatte cadere dalla Cia è troppo, supporre che i potenti e tecnologici Usa sapessero dell’attacco può apparire come un pensierino complottista ma la Storia, ahimè, non esclude questa ipotesi. Probabilmente parte del cospirazionismo è alimentato anche dai dubbi e sospetti che la Storia ci ha consegnato. Giovanni Delfino

ABBONATI A FOCUS STORIA DIGITALE

Vai su www.abbonamenti.it/ Storiadigitale e scopri tutte le offerte: puoi abbonarti alla versione digitale a partire da 7,99 euro per tre numeri e leggere la rivista direttamente sul tuo tablet o smartphone.

Scarica gratis l’applicazione da AppStore o Google Play e porta Focus Storia sempre con te! Potrai sfogliare le copie incluse nel tuo abbonamento effettuando il login con le tue credenziali oppure acquistare un abbonamento o le copie singole direttamente dall’app, dove trovi anche gli speciali di Focus Storia: Collection, Wars, D&R e Viaggi nel Tempo.

I NOSTRI ERRORI Su Focus Storia n° 173, pag. 70, abbiamo scritto 200 a.C. al posto di 200 d.C. Su Focus Storia n° 173, pag. 84, abbiamo scritto

che in Kosovo si parla l’albanese toskë (tosco), invece si parla quello gegë (ghego). Su Focus Storia n° 173, pag. 39, nella didascalia intitolata “Vigilia elettorale”,

viene riportata la data del 1929, ma si tratta di un errore perché nell’immagine è presente anche il generale Armando Diaz, scomparso nel 1928. 5

S


POMPEI tutta un’altra storia

ANTICHITÀ

Città sannita, fu romana solo per 160 anni. E quando il Vesuvio la seppellì era in ricostruzione dopo un terremoto. di Irene Merli 14

S


Stratificazioni

P

ompei: il destino sembra averla sepolta per diventare una macchina del tempo che ci riporta alla vita quotidiana degli antichi Romani di quasi 20 secoli fa. Ma le scoperte archeologiche degli ultimi vent’anni hanno riservato più di una sorpresa. La città, anzitutto, fu romana solo dall’80 a.C., quando diventò colonia dell’Urbe, al 24 ottobre del 79 d.C., giorno della sua distruzione. In sei secoli di storia, a Pompei si parlò e si scrisse in latino per 160 anni in tutto: ve lo immaginavate? Fino alla romanizzazione il fertile pianoro ai piedi del Vesuvio era stato un fiorente centro dei Sanniti, dove si parlava la lingua di questo popolo dell’interno degli Appennini e si scriveva in osco, la scrittura dei primi abitatori della Valle del Sarno.

«L’80% della Pompei su cui camminiamo oggi risale al II secolo a.C., la tarda epoca sannitica. Lo abbiamo scoperto grazie agli scavi stratigrafici effettuati dal 2000 al 2015 da università di tutto il mondo», spiega Fabrizio Pesando, docente di Archeologia e Storia dell’arte romana all’Università L’Orientale di Napoli. «Quando i Romani vinsero l’assedio a Pompei, che si era schierata contro Silla durante la Guerra sociale, colsero il frutto finale di un lungo periodo di urbanizzazione e costruirono solo gli edifici in cui si riconoscevano, come l’Anfiteatro, il Tempio di Venere e il Capitolium».

DUE PASSI INDIETRO. Pompei fu fondata intorno al VII secolo a.C. dagli Oschi, una popolazione arcaica

della Valle del Sarno, che si insediò alle pendici meridionali del Vesuvio, non molto distante dal fiume, allora navigabile. Di loro conosciamo pochissimo, sono rimaste soltanto grandi necropoli con tombe a fossa nella vallata di provenienza e cocci dell’Età del ferro. Più tardi l’insediamento, divenuto un importante snodo commerciale, fece gola alle mire espansionistiche degli Etruschi. Infine, a dominarla arrivarono i Sanniti, popolo di guerrieri che diede del filo da torcere ai Romani fino al 308 a.C., anno in cui furono definitivamente sconfitti a Nocera. A quel punto Pompei divenne una città foederata. In pratica, il centro vesuviano continuò a governarsi autonomamente dal punto di vista amministrativo e culturale, ma fu costretto a stipulare un’alleanza 

MONDADORI PORTFOLIO/AGE

I colonnati e l’atrio della Basilica di Pompei, eretta nel II secolo a.C. Fu costruita dai Sanniti e utilizzata in seguito anche dai Romani per amministrare la giustizia e per la gestione degli affari. La Basilica misurava 2.500 metri quadrati ed era l’edificio più sontuoso del Foro.

15

S


Arrivano i coloni

Il Foro e il Tempio di Giove, edificati dai Sanniti e poi trasformati dai Romani quando Pompei divenne colonia dell’Urbe. Sotto, statua della sacerdotessa Eumachia, trovata nell’edificio omonimo in stile augusteo, dell’inizio del I secolo d.C.

SU CONCESSIONE DEL MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI E PER IL TURISMO / MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE

I Sanniti costruirono l’ottanta per cento perpetua con Roma, e a cederle la gestione della politica estera. In compenso i pompeiani riuscirono a entrare nel circuito commerciale dell’Urbe: dopo le vittorie contro Cartagine, il Mediterraneo era sempre più sotto il controllo romano, le merci vi circolavano liberamente e la città foederata arrivò a esportare il vino e l’olio che produceva fino in Provenza e in Spagna. Inoltre avviò un importante traffico con l’emporio sull’isola greca di Delo, nell’Egeo, crocevia dello scambio internazionale di merci e di schiavi.

AUTONOMIA. Risultato? Dal III al II secolo a.C. a Pompei, con la crescita della ricchezza, si sviluppò un forte impulso architettonico di ispirazione ellenistica. La cinta muraria fu ingrandita e sorsero importanti edifici come il Tempio di Giove, quello di Iside (testimonianza dei legami con l’Oriente), il Foro Triangolare, la Palestra Sannitica e un teatro in muratura. Persino la Casa del Fauno, una delle più vaste e celebri dell’odierno sito archeologico, risale al 120-110 a.C. «Apparteneva a un ricco e

colto sannita che si sentiva già romano, tanto che ha scritto Ave all’entrata. Sicuramente parlava il latino come lingua internazionale, e conosceva la cultura ellenistica e l’Oriente», spiega Pesando. Nell’ultimo secolo di autonomia, in effetti, i pompeiani si ispirarono sempre più a Roma. Indossavano anche loro la toga, come facevano pure i Lucani delle tombe dipinte a Paestum. Ma dopo l’assedio dell’80 a.C., la situazione per i nativi della città vesuviana divenne più difficile. Con la fondazione della colonia romana arrivarono infatti duemila veterani di Silla, soldati di lungo corso e fedeli al nuovo dittatore di Roma, con le relative famiglie. Per far loro posto, partirono espropriazioni di case, confische di terreni, condanne all’esilio: a poco a poco la comunità sannita, benché più numerosa, fu emarginata e vennero imposti profondi cambiamenti nella cultura e nel costume. Il latino divenne la lingua comune anche per i documenti e la vita delle istituzioni, nell’arte arrivarono il ritratto individuale e soprattutto i monumenti sepolcrali


Le relazioni tra Pompei e Roma, in mostra

P

MONDADORI PORTFOLIO

ompei 79 d. C. Una storia romana, allestita nel secondo ordine dell’Anfiteatro Flavio, a Roma, illustra il dialogo che legò le due realtà più famose dell’archeologia italiana (Pompei e Roma) dalla Seconda guerra sannitica all’eruzione del 79 d.C. L’itinerario, in cui sono esposti 100 reperti grazie alla collaborazione

della città

ALBUM / PRISMA / MONDADORI PORTFOLIO

destinati al titolare e alla sua ristrettissima cerchia familiare. Anche le case cambiarono: i ricchi Sanniti le preferivano con esposizione sulla via, mentre i Romani “d’importazione” costruivano dimore con patii interni e decorate con stili pittorici che venivano dall’Urbe, sconosciuti a Pompei.

tra il Parco archeologico del Colosseo, quello di Pompei e il Museo archeologico di Napoli, è suddiviso in tre sezioni: la fase dell’alleanza, quella della colonia romana, il declino e la fine, con due intermezzi sull’assedio sillano dell’89 a.C. e il terremoto del 62 d.C. «La mostra intende rimarcare il ruolo rivestito dalla città vesuviana

OTIUM ET LUXURIA. La Colonia Cornelia Veneria Pompeianorum – come si chiamava Pompei in latino – con le vicine Stabia e Oplonti divenne una meta di villeggiatura tra le preferite dal patriziato romano. In età imperiale molte famiglie della cerchia di Augusto si trasferirono qui e sorsero eleganti luoghi di culto, come l’Edificio di Eumachia, fondato dalla sacerdotessa omonima. Il rinomato buen retiro alle pendici del Vesuvio era sempre più simile a Roma, in versione più piccola e lussuosa: in questo periodo venne istituito il culto dei Cesari nel Foro e sorsero anche le magnifiche ville in cui i grandi aristocratici di Roma (ne ebbe una persino Cicerone) venivano a praticare l’otium e la luxuria, il piacere del lusso sfrenato, come racconta anche Petronio nella Cena di Trimalcione. Ma fu davvero quella la città che nel 79 d.C. la terribile furia del Vesuvio seppellì sotto cenere, lapilli e pomici? Anche qui ci aspetta una sorpresa.

Ave!

La Casa del Fauno, costruita nel II secolo a.C., con la celebre statua in bronzo del satiro che danza posta originariamente sul bordo dell’impluvium. Apparteneva a un ricco sannita cosmopolita, che parlava latino.

nella compagine storica e artistica dell’Impero romano, in un contesto lungi dall’essere considerato un ininfluente suburbio di periferia, ma una realtà ben caratterizzata e all’altezza della capitale», spiega Alfonsina Russo, direttrice del Parco archeologico del Colosseo. Fino al 9 maggio 2021 Info: www.coopculture.it.

RICOSTRUZIONE. Si sa ormai molto dell’eruzione e delle ultime ore dei pompeiani. Pochi invece ricordano che 17 anni prima, nel 62 d.C., un devastante terremoto distrusse gran parte della città. Eppure fu una tragedia tale, che Seneca aggiunse ai suoi trattati un libro sui terremoti ispirato proprio da quel sisma. La città entrò in una lunga fase di ricostruzione che durò fino al fatale 24 ottobre del 79 d.C. Andavano ripristinate le strade principali, ricostruite le facciate, gli edifici religiosi e quelli civili. Il Tempio di Venere, protettrice della città, non si fece nemmeno in tempo a rimetterlo in piedi prima dell’eruzione. «In questa fascia di tempo molti si trasferirono nella vicina Ercolano e altri lasciarono per sempre le ville per luoghi più sicuri», continua Fabrizio Pesando. «La mole di lavoro era tale, per una città di media grandezza, che servì manodopera da fuori. Ecco perché abbiamo l’idea di Pompei come una città brulicante di persone che mangiano a ogni ora, entrano ed escono dalle case e si divertono in uno dei tanti bordelli. La città dell’amore, del piacere e del cibo era in realtà come tutti i luoghi in ricostruzione, anche quelli di oggi, dove le uniche attività aperte sono i bed and breakfast, i ristoranti, i negozi di prima necessità per chi viene da lontano». Fu quel grande cantiere la Pompei sepolta dall’esplosione del Vesuvio e consegnata all’ammirazione delle generazioni future: una città popolata di artigiani, manovali, ristoratori, con ben 25 bordelli attivi. Roma, invece, l’anno dopo inaugurò con sfarzo imperiale l’Anfiteatro Flavio, il futuro Colosseo, e si avviò a trasformarsi in una grande capitale destinata a non morire mai. • 17

S


AKG_IMAGES/MONDADORI PORTFOLIO

ECONOMIA

Cemento

Piano Marshall, cemento d’Europa. Manifesto dell’artista francese Thibault de Champrosay, del 1947, che promuove il piano di aiuti Usa per la ricostruzione (il “cemento” appunto) dopo la guerra. Nell’altra pagina, il generale George Catlett Marshall (1880-1959).


D

ag

St

li a

rc h

ivi

BRIDGEMAN IMAGES

or di ia

La mossa di

MARSHALL Oggi il Recovery fund, nel 1948 il piano di aiuti statunitense per sostenere la rinascita dell’Europa. di Aldo Carioli

C

i vorrebbe un Piano Marshall”. Lo si è detto spesso negli ultimi settant’anni e lo si è ripetuto dopo l’annuncio del pacchetto di interventi NextGenerationEU, con cui l’Unione Europea vuole uscire dalla crisi post Covid-19 e di cui il Recovery fund (“fondo per la ripresa”) è uno degli strumenti. Le differenze sono molte, ma in tanti sperano negli stessi effetti positivi che ebbe il programma di aiuti alla ricostruzione lanciato in Europa dagli Stati Uniti dopo la Seconda guerra mondiale. Quel piano è entrato nella Storia con il nome di George C. Marshall, generale dell’esercito statunitense e segretario di Stato dal 1947 al ’49. Fu una tappa chiave nella nascita del progetto europeo e nell’affermazione degli Usa al di qua dell’Atlantico. Il primo ministro

britannico Winston Churchill lo definì “l’atto più disinteressato della Storia. Solo generosità non fu, ma certo si trattò di un’operazione ambiziosa.

EUROPA ANNO ZERO. Nel 1947 il quadro era questo: da una parte la potenza militare ed economica degli Stati Uniti, usciti rafforzati dalla vittoria nel conflitto. Dall’altra un cumulo di macerie chiamato Europa. Macerie di bombardamenti (anche angloamericani) ma soprattutto sociali: con l’eccezione dell’Urss, nessuna delle nazioni europee del 1939 era più in piedi. Con queste premesse, la disgregazione economica dell’Europa avrebbe aperto la strada alla penetrazione del comunismo. Gli Usa, nel contesto della nascente Guerra fredda, non potevano permetterselo. Nel terribile inverno del 1946-47 i porti inglesi rimasero bloccati da un’ondata

di gelo che provocò fame, penuria di carbone e paralisi delle poche industrie ancora attive. In Francia i raccolti erano compromessi, la Germania a due anni dalla fine della guerra era ancora nella devastazione più totale. Quanto all’Italia, lo sbarco del 1943 in Sicilia e la risalita alleata lungo la Penisola avevano dato una boccata d’ossigeno al Centro-Sud, ma il Nord era uscito stremato dalla guerra di liberazione. Entro la fine del 1947 i governi europei sarebbero rimasti senza un dollaro in tasca. E senza dollari, niente viveri né materie prime. Insomma, c’era un intero continente da far ripartire, ma nessuna istituzione abbastanza solida per farlo.

IL GENERALE. I vertici statunitensi sapevano come riempire quel vuoto e stabilire la loro leadership economica.

 73

S


MONDADORI PORTFOLIO/FOTOTECA GILARDI

ALBUM / FINE ART IMAGES / MONDADORI PORTFOLIO

ALBUM / FINE ART IMAGES / MONDADORI PORTFOLIO

Aiuti a pioggia

Tre manifesti di propaganda per il piano (Anni ’40). Da sinistra: gli aiuti alimentari, tra cui la farina per il pane; Erp (European recovery program), era il nome del programma di aiuti (“tu hai la chiave”, dice la scritta); nell’ultima immagine è pubblicizzato l’aiuto alle refezioni scolastiche.

Marshall era un generale, segretario di Stato degli Stati Uniti. Il piano gli valse il Nobel per la pace nel 1953

74

S

E aggiunse: “I governi che opereranno per ostacolare la ricostruzione degli altri Paesi non riceveranno nessun aiuto”. Un principio che servì a fare accettare la ricostruzione dell’odiata Germania, ma accelerò la rottura con l’Urss e la Guerra fredda. Mosca infatti costrinse i Paesi dell’Est, che occupava dopo averli liberati dal nazismo, a rifiutare gli aiuti e nel 1948 impose il blocco di Berlino ovest, controllata dagli americani.

FONDI SBLOCCATI. Eppure, quell’ardito “salvastati” rischiò di non vedere mai la luce. Avviati i negoziati tra i governi europei (Urss inclusa, che però poi si ritirò) e gli americani, bisognava convincere il Congresso degli Stati Uniti a sborsare in tre anni circa 13 miliardi di dollari, oltre l’1% del Pil americano. A spingere i senatori ad approvare la legge che autorizzava il finanziamento dell’European BRIDGEMAN IMAGES

Sarebbe bastato seguire il modello che aveva assicurato prosperità alla nazione nordamericana: il libero mercato. Serviva però una regia. Così, gli Usa finanziarono la creazione di nuovi organismi internazionali: l’Onu per assicurare la pace, la Banca mondiale per la ricostruzione e lo sviluppo e il Fondo monetario internazionale (Fmi) per gestire crediti internazionali e mercati valutari. Erano i primi vagiti delle istituzioni che ancora oggi governano la finanza globale. La gestione della ricostruzione fu invece affidata a Marshall, che in Europa c’era già stato durante la Prima guerra mondiale. Allo scoppio del secondo conflitto, nel 1939, era stato nominato capo di stato maggiore dell’esercito dall’allora presidente Roosevelt, di cui era il consigliere militare. Con la rodata macchina logistica delle forze armate ai suoi ordini e grazie ai poteri connessi alla nuova carica di segretario di Stato, nel 1947 era l’uomo giusto al posto giusto. Il piano fu delineato da Marshall nella primavera di quell’anno. Questa la strategia: rinunciare alla ricostruzione di singoli Paesi e puntare a un aiuto globale per tutto il Vecchio Continente. Il 5 giugno 1947, in un discorso tenuto ad Harvard, Marshall dichiarò che gli Stati Uniti avrebbero fatto “tutto quanto in loro potere per contribuire al ritorno di condizioni economiche sane e normali nel mondo, senza le quali non possono essere assicurati né la stabilità politica né la pace. Il programma dovrà essere un programma comune”.

recovery program (il nome ufficiale del Piano Marshall) fu il colpo di Stato del 1948 con il quale i comunisti presero il potere in Cecoslovacchia. Non c’era tempo da perdere: il nuovo nemico stava avanzando verso Occidente e il baluardo Erp doveva essere messo in campo in fretta. Ma chi avrebbe assicurato che il fiume di generi alimentari, macchinari, armi e aperture di credito incondizionate non si sarebbe perso nei mille rivoli della corruzione e dello spreco? Marshall pensò anche a questo. Il Congresso mantenne il diritto di chiudere i cordoni della borsa: il finanziamento si sarebbe infatti rivotato ogni anno. Tutti gli acquisti dovevano essere approvati dall’Eca (Economic cooperation administration), l’ente che gestiva il piano. Una sede dell’Eca era presente in ogni capitale europea, per vagliare

Export

A lato, trattori per il Piano Marshall in produzione in una fabbrica del Wisconsin (1950). A destra, atterraggio all’aeroporto di Tempelhof a Berlino ovest. Il velivolo rompe il “blocco” voluto dall’Unione Sovietica nel 1948.


richieste ed erogare finanziamenti in valuta locale. Attraverso le strette maglie di questo sistema passarono circa 3,3 miliardi di dollari per il Regno Unito, 2,3 miliardi per la Francia, 1,5 per la Germania Ovest e 1,2 miliardi per l’Italia. Per circa il 90% si trattò di finanziamenti a fondo perduto, seppure vincolati a forniture americane.

MONDADORI PORTFOLIO/FOTOTECA GILARDI

ACCELERATORE. Non tutti i 17 Paesi beneficiari furono entusiasti di quella pioggia di biglietti verdi e beni. In Italia – dove c’era il Partito comunista più grande d’Europa – buona parte della neonata classe politica approvò a denti stretti. Si diceva che lo Zio Sam si era comprato l’Europa e molti vedevano l’Erp come un piano di conquista. Si trattava di accettare un’ingerenza straniera, seppure concordata: gli inglesi temevano un’eccessiva integrazione con il continente, i francesi non volevano essere trattati come i tedeschi.

3,3 miliardi di dollari Investimenti complessivi stanziati dal Congresso Usa per il piano Marshall nel Regno Unito.

1,5 miliardi di dollari Investimenti complessivi stanziati dal Congresso Usa per il piano Marshall in Germania.

1,2 miliardi di dollari Investimenti complessivi stanziati dal Congresso Usa per il piano Marshall in Italia.

Marshall mobilitò allora la propaganda: l’Erp, fino al 1952, produsse circa 300 documentari. I “film di Marshall” avevano titoli come Le straordinarie avventure di un litro di latte o Rinascita agricola. Ma non furono i film, bensì i fatti a segnare il successo del piano. Grazie al “turbo” d’oltreoceano nel 1951, a fine programma, la produzione industriale dell’Europa Occidentale aveva superato i livelli del 1938, l’anno precedente la guerra, e quella degli Usa raddoppiò dal 1945. Soprattutto, le nazioni europee avevano iniziato a collaborare: nel 1951 nacque la Comunità europea del carbone e dell’acciaio e nel 1957 la Comunità economica europea. Da parte loro, gli Stati Uniti si erano assicurati una corsia preferenziale per le loro merci e avevano arginato l’avanzata del socialismo reale. Quanto a Marshall, dopo aver concluso il lavoro al servizio del suo Paese, nel 1953 ritirò il premio • Nobel per la pace.

I due piani per la rinascita a confronto

P

iano Marshall e Recovery fund si somigliano, ma solo a prima vista. Intanto, il piano di oggi è più ricco: 750 miliardi di euro, contro una cifra corrispondente a circa 135 miliardi di euro attuali stanziata dal Piano Marshall. Gli aiuti americani del 1948-51 in gran parte si trasformarono in finanziamenti a fondo perduto (da non restituire) e forniture dirette di materiali e assistenza tecnica. Il pacchetto di stimoli europeo prevede invece strumenti di vari tipi: circa 390 miliardi di euro sono sussidi, il resto prestiti. Il denaro arriverà dal mercato grazie all’emissione, per la prima volta, di titoli di debito comune garantiti dall’Ue. Una bella differenza: oggi l’Europa si aiuta da sé. E infatti i progetti da finanziare devono essere approvati e monitorati dalle autorità europee. Un’ultima grande differenza è l’esclusione dal Recovery fund – causa Brexit – del maggiore beneficiario del Piano Marshall: il Regno Unito.


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.