UN TESORO DI NONNO <Driiinn!!> Un brivido percorse lentamente la schiena di Antonio. Immaginava chi fosse a telefonargli a quell’ora della notte. Pur potendo dormire, era sveglio e vigile. Non avrebbe mai potuto chiudere gli occhi per riposarsi sapendo che a 800 km di distanza una persona a lui cara stava per chiudere gli occhi definitivamente. Per sempre. Quella telefonata…ormai se l’aspettava. Ma esitava a rispondere, perché sapeva perfettamente ciò che gli sarebbe stato riferito. Alzò la cornetta con incertezza, non era sicuro di essere pronto a sentire quelle parole. <Antonio> riconobbe la voce della madre spezzata dal dolore. <Mamma, è quello che penso?> la madre non sapeva come dirglielo, lui immaginava la sua difficoltà e le rese le cose più facili, così la madre disse solo sottovoce “Sì”. Quel sì affermava che doveva prendere il primo treno ed andare a Napoli, dove il suo amato nonno stava per morire. Prese frettolosamente un borsone che teneva sotto al letto da settimane ormai, sapendo che questo giorno sarebbe arrivato. Aveva fatto anche già il biglietto, era uno di quelli senza una data, che poteva utilizzare sempre. In realtà ne aveva un blocchetto di questi biglietti, e tutti per Napoli. Era stato il nonno a regalarglielo, quando per lavoro, e per realizzare il suo sogno si era trasferito nella metropoli di Milano. Voleva diventare uno scrittore, fin da piccolo e il nonno ne era a conoscenza. Ma da giorni non lavorava più al libro che stava scrivendo: un racconto di avventura, ambientato a Napoli, la sua città, che conteneva tante informazioni che gli aveva fornito il nonno, uno storico che amava il suo lavoro e Napoli, città
storica per eccellenza, capitale del Regno delle Due Sicilie e metropoli culturale. Qui, il nonno si era innamorato della donna che sarebbe diventata sua moglie e aveva messo su famiglia. Ecco Antonio, venticinque anni e tanti sogni da realizzare, in un treno a pensare a ciò che avrebbe dovuto affrontare quando sarebbe arrivato. Si doveva fare forza, lui non era uno a cui piaceva piangere davanti agli altri, perché sarebbe stato lui a consolare la madre, quindi si concentrò e pianse per un po’ e poi si addormentò. Al suo risveglio era arrivato. Prontamente scese e ad aspettarlo c’era suo cugino, una gioia in quella terribile giornata, da tempo non lo vedeva, il suo compagno di avventure per eccellenza. Lo strinse tra le braccia e lui fece lo stesso, si guardarono negli occhi dai quali traspariva il dolore, il dispiacere e l’amarezza di non poter far niente. <Come stai?> una domanda per spezzare quell’aria di malinconia. <Potrei star meglio> rispose Antonio, e subito suo cugino Francesco si rese conto che invece di aver alleggerito la malinconia l’aveva accentuata. Ma Francesco era fatto così, un po’ come Antonio, faceva fatica ad esternare i suoi sentimenti e molto spesso, come allora, non sapeva cosa dire. Antonio, che si riconosceva in lui, attaccò un discorso, facendo il suo lavoro era frequente fare utilizzo dei famosi “convenevoli”. Francesco era venuto in motorino, così Antonio caricò le sue cose e impaziente di fare quel giro in moto si aggrappò al cugino come una volta. Gli mancava Napoli, il mare, trasparente, l’odore di salsedine, il sole che gli baciava la pelle, il vento nei capelli, le urla dei venditori ambulanti, i colori… mentre era sul motorino alzò la testa, chiuse gli occhi e cercò di estraniarsi da tutto il resto, pensò a quando era piccolo e… una voce interruppe la sua meditazione: era il cugino che lo invitava a scendere dalla moto.
Improvvisamente si rese conto di tutto ciò che gli era accaduto nelle ultime 24 ore: la telefonata, il borsone, i biglietti, il treno, le lacrime, il cugino, il motorino. E adesso si trovava proprio davanti alla casa dove era cresciuto, dove il nonno stava per chiudere gli occhi. Buttò il borsone a terra e corse su per le scale perché l’unico desiderio che aveva era quello di vederlo, ancora una volta, l’ultima. Evitò tutti i parenti che avevano invaso la casa, andò dritto verso la camera da letto. Entrò e chiuse la porta dietro di sé. Non fece in tempo a girarsi che: <Antonio, sei tu?> era la voce del nonno, contento di vederlo. <Nonno sì, sono io> <Avvicinati, ti ricordi la storia di Ferdinando II di Borbone? Quella del tunnel> si affrettò a dire il nonno. <Certo, era quella che mi raccontavi più spesso> disse Antonio tutto d’un fiato. Il nonno di riferiva alla storia che narrava di Ferdinando II di Borbone che, nel 1853, aveva fatto costruire un tunnel che collegava il palazzo Reale al mare come via di fuga, spaventato dai moti rivoluzionari dell’epoca. All’interno di questo tunnel Ferdinando aveva fatto nascondere un tesoro, che sarebbe servito agli abitanti della Reggia in caso di fuga. <Ecco>, riprese il nonno <Non era una storia, ma un’informazione storica>. Il ragazzo non aveva capito bene, il nonno indicò un cassetto facendo segno di aprirlo. Antonio lo aprì prontamente e all’interno vi era una carta che aveva tutta l’aria di essere una mappa. Il nonno gli spiegò che l’aveva trovata nel doppio fondo di un cassetto di uno scrittoio comprato ad un mercatino dell’usato. Prima di esalare il suo ultimo respiro il nonno disse: <Trova il tesoro per me>.
L’uomo, in tutta la sua carriera da storico, l’aveva sempre cercato, ma mai trovato anche perché diventato anziano non poté più dedicarsi alla sua ricerca. Ora Antonio sapeva cosa fare, ormai trovare quel tesoro di cui era a conoscenza fin da piccolo, e che mai avrebbe pensato di poter cercare e magari trovare realmente, era il suo unico desiderio. Osservò tutta la notte la mappa, cercando di capire quale tesoro nascondesse… aveva la frenesia di cominciare le ricerche, una volta per tutte. L’indomani mattina presto, quando tutti ancora stavano dormendo, Antonio uscì e si diresse verso il centro della città, dove si trovava l’entrata della Napoli sotterranea e dove cominciava la mappa e la sua avventura. Arrivò a Vico Del Grottone, nella zona dove si trova Piazza Plebiscito, all’ingresso della Galleria Borbonica. Tra stretti cunicoli e con l’ausilio di una torcia, cercava qualcosa, un indizio che gli indicasse dove andare. Arrivò nei pressi di un lago sotterraneo, esattamente sotto la piazza. Salì sulla zattera, predisposta per la visita di quel tratto. Percorse un breve tragitto nel silenzio: la galleria, infatti, normalmente visitata da molti turisti, era chiusa per ordinaria manutenzione. Sceso dal rudimentale mezzo di trasporto, si trovò ad un bivio. - <Dove andare?> - Pensò. Guardò la mappa illuminandola con la torcia. Uno strano simbolo indicava la strada, ma non trovava nulla di simile nei pressi di nessuna delle due strade percorribili. Mentre era intento ad ispezionare quel posto, sentì un rumore provenire da uno dei due cunicoli che si aprivano davanti a lui…vi direzionò la luce della torcia, mise a fuoco l’immagine: un numero imprecisato di… TOPI! Antonio si schiacciò contro la parete per evitare di esserne travolto. Il palmo della sua mano sfiorò una sorta di bassorilievo. Guardò meglio…si trattava del simbolo della mappa: una corona a tre
punte. Il nonno aveva sempre parlato di un fiore, invece era una corona stilizzata a tre punte, scolpita sulla parete interna di una delle due piccole gallerie. Senza esitare imboccò quella direzione. Camminò per qualche minuto. Ad un tratto un altro rumore gli fece fermare il cuore nel petto. Sembravano voci, sommesse perché lontane. Pensò che fossero custodi o addetti ai lavori, ma spense la torcia perché non avrebbe saputo giustificare la sua presenza lì, in un giorno di chiusura. Si avvicinò verso il luogo da cui provenivano quelle voci, che diventavano sempre più chiare e forti. Antonio si rese conto che si trattava di una banda di furfanti intenti a spartirsi il bottino di qualche rapina. Si fermò di scatto e rimase immobile nel buio- <Speriamo vadano via presto> - Pensò trattenendo il fiato. Dopo un tempo che sembrò interminabile, i tre balordi gli sfilarono accanto senza vederlo perché avvolto dall’oscurità che gli faceva da mantello. Quando quelli furono lontani abbastanza, Antonio riaccese la torcia e guardò nuovamente la mappa sbiadita dal tempo e dall’essere stata troppo maneggiata. La lunga strettoia finiva in una cisterna. Quel luogo presentava dei meccanismi idraulici molto ben congeniati di epoca borbonica, ma era difficile orientarsi perché nel tempo vi erano stati lavori di pulizia e recupero che avevano mutato la geografia del luogo. Antonio si sedette e cominciò a studiare la mappa… gli riaffioravano nella mente i racconti del nonno e negli occhi le lacrime per la sua morte. Sulla mappa vi era disegnato un veliero e il simbolo delle onde, ma l’unico lago sotterraneo era quello già visto dal ragazzo e ormai lontano. Guardando le pareti della cisterna finalmente capì… Il nonno raccontava a lui bambino delle opere idrauliche di età borbonica, dei pozzi che erano disseminati in tutta la città…quella cisterna veniva riempita all’occorrenza, come già facevano gli antichi romani, per assicurare al popolo l’acqua anche in periodo di siccità. Quel simbolo sulla
cartina indicava la necessità di riempire la cisterna. <Deve esserci un congegno da qualche parte> - Disse, quasi urlando dall’emozione. Mentre ispezionava le pareti curve della cisterna, centimetro per centimetro, sentì nuovamente dei rumori provenire dalla galleria da lui percorsa poco prima. Di nuovo spense la torcia e si nascose nell’ombra. Attese. <Antonio, Antonio!> A sentire chiamare il suo nome, il ragazzo stava per stramazzare dallo spavento, ma aveva riconosciuto la voce del cugino. <Francesco!> Urlò a sua volta <Sono qui> E indicò la sua posizione illuminandosi con la torcia. <Antonio, ti ho seguito fino all’ingresso della galleria, perché ero preoccupato per te, avrei aspettato lì, ma poi ho visto uscire tre tipi poco rassicuranti proprio da dove eri entrato tu e mi sono spaventato, perciò sono venuto a cercarti> spiegò Francesco. I due cugini si abbracciarono e Antonio raccontò tutta la storia che lo aveva condotto fino a lì. Francesco ebbe una reazione inaspettata. <Tu credi alle fantasie del nonno e ti avventuri in un luogo simile mettendo in pericolo entrambi?!> così dicendo si alzò di scatto, perse l’equilibrio, si aggrappò alla parete, tirando una fune, fino a quel momento invisibile perché attaccata alla parete dalla vernice che ricopriva la cisterna. Si sentì il rumore sordo di un ingranaggio e poi lo scroscio dell’acqua che cominciava ad affiorare dal fondo. I due ragazzi fecero appena in tempo ad uscire dalla cisterna, che cominciava a riempirsi. <Da dove arriva tutta quest’acqua?> chiese Francesco. Antonio si guardò intorno, pensieroso e strabiliato, poi si batté la fronte con la mano. <Certo!> esclamò <Il lago sotterraneo!> I due si affrettarono a raggiungere il lago sotterraneo. Il livello dell’acqua si era abbassato ed era riaffiorato il fondo. Antonio notò una botola, che nella mappa non era segnalata, poi guardò il cugino, che era incredulo. I
due si avvicinarono alla botola, uno più emozionato dell’altro, pensavano a quali progetti potevano realizzare con tutto quel denaro che stavano per ritrovare, per qualche minuto sognarono come bambini. Il forziere era ben chiuso e i due ragazzi fecero molta fatica, ma alla fine riuscirono ad aprirlo. Illuminarono il contenuto con la torcia. Avvolto in un panno di lino…un libro! Antonio suggerì di tornare a casa per capire, con calma, di cosa si trattasse. I ragazzi realizzarono che tra le mani avevano un libro di memorie, un diario scritto dal re Ferdinando, di proprio pugno, in cui spiegava al popolo napoletano come mettersi in salvo, in caso di pericolo. Un tesoro dal valore inestimabile che non potevano non condividere con tutto il mondo. Decisero di donarlo alla biblioteca di Napoli, la seconda nella storia, dopo quella malatestiana di Cesena, ad essere stata aperta al pubblico. Il nonno, da storico, lo aveva intuito: il sapere è il più grande tesoro! Laura Cannavacciuolo